#Motivazioni oscure
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Monografie seriali: Leonarda Cianciulli - 13 piccole bare bianche in un Viaggio Esoterico tra Maledizioni e Riti Magici
Leonarda Cianciulli, conosciuta erroneamente come “la saponificatrice di Correggio” (erroneamente perchè non ha mai fabbricato saponi) è una figura oscura nella storia criminale italiana. Durante gli anni ’40, ha commesso una serie di omicidi che hanno sconvolto l’opinione pubblica. Continue reading Untitled
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#Anni &039;40#Assassina spietata#Celebrità oscure#Crimine italiano#Donne criminali#Follia omicida#Mistero e terrore#Motivazioni oscure#Omicidi#Psicologia criminale#Rituali macabri#Saponificatrice di Correggio#Serial Killer#Serial Killer Italiani#Storia criminale#Superstizione#Tragedia familiare
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Un chirurgo del Texas è accusato di aver negato segretamente i trapianti di fegato Accuse di manipolazione dei trapianti di fegato Il dottor J. Steve Bynon Jr., chirurgo dei trapianti in Texas, è al centro di un’indagine che lo accusa di aver manipolato dati per negare trapianti di fegato ai suoi pazienti, mettendoli a rischio. Il Memorial Hermann-Texas Medical Center di Houston ha interrotto i programmi di trapianto di fegato e rene la scorsa settimana, a seguito delle accuse emerse. Le indagini continuano per fare luce su questa grave situazione. Ragioni sconosciute della manomissione Le motivazioni dietro la presunta manipolazione dei documenti da parte del dottor Bynon rimangono oscure. Le autorità stanno cercando di
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Amon Saga – Volume Unico – Dragon Variant
Amon Saga – Volume Unico – Dragon Variant - UN MANGA DI YOSHITAKA AMANO, IL PIU’ GRANDE ILLUSTRATORE GIAPPONESE
Amon Saga – Volume Unico – Dragon Variant UN MANGA DI YOSHITAKA AMANO, IL PIU’ GRANDE ILLUSTRATORE GIAPPONESE Nella città di Vahliss si svolge ogni anno un torneo dove giovani guerrieri in erba devono dimostrare il loro potenziale per unirsi ai ranghi dell’esercito. Uno di questi candidati è Amon, e le sue motivazioni sono oscure… Dietro la schiena tiene la spada del padre, lasciata in eredità,…
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• 01:23 09/02/2021 •
Non amo sentirmi perso, eppure è una delle sensazioni che sovrasta il mio essere.
Tutti ci sentiamo persi, chi per motivazioni legate a determinate persone, chi invece dettate dal periodo della loro vita in cui si trovano, magari non dei migliori.
E poi c'è chi si ritrova perso per chissà quale ragione. Forse per persone di cui sentiamo la mancanza, forse per una vecchia fiamma non ancora spenta, forse per una situazione in famiglia non delle migliori, probabilmente invece siamo solo noi e non dobbiamo sempre additare gli altri.
O magari, semplicemente, perchè non riusciamo a trovare un senso alla nostra esistenza, vagando per vie a noi oscure, sbattendo la testa contro muri che non possiamo superare.
Siamo banalmente persi, ed abbiamo bisogno della luce dell'alba che ci guiderà verso strade a noi conosciute, o forse sconosciute, ma verso strade, non dirupi.
- Simone Rauti
#vita#solitudine#depressione#tristezza#amore#io#tu#lei#lui#musica#notte#lacrime#mancanza#mi manchi#ti amo
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Una canzone semplice, Transap 2019.
Le cose più belle della Transap sono quelle che non si vedono con gli occhi, sono quelle che non puoi toccare e quantificare materialmente.
Credo sia un aspetto positivo non avere oggetti o riconoscimenti che definiscano il valore delle motivazioni e delle azioni.
Non ci servono ‘cose’ per essere e per fare.
Nel caso della Transap, tutto ciò che ha un significato, almeno per me, rimane immateriale.
A dare un senso alla Transap non sono certo i kilometri (non pochi !), ne tantomeno il dislivello (non male !), anche se ci devi fare i conti, e magari dopo un po’ li maledici, come se fossero diventati delle vespe sotto la maglietta o delle tarme nelle scarpe bucate.
Sudi e soffri, a volte sbocchi in mezzo al bosco, sbuffi come un vecchio motore a gasolio sfatto, ma vai avanti perché nella Transap c’è un perenne senso di attesa nei confronti di qualcosa che sta per accadere.
Mi piace pensare alla Transap come ad un viaggio ideale, che in realtà non si compie, ma ridefinisce ogni volta una meravigliosa aspettativa.
Perché è sempre difficile cogliere il senso di un’attesa, visto che la sua magia è proprio il non compiersi ma aspettare che nasca.
Ci vuole impegno e il giusto atteggiamento per capire la semplicità.
C’è l’attesa che precede la partenza e poi quella di vedere il mare.
L’attesa di un versante che cambia e della notte che ti avvolge.
L’attesa che una crisi passi e che la strada termini il prima possibile, anche se poi alla fine ti dispiacerebbe.
Ci sono incertezze e dubbi che si trasformano in scoperte.
Ma so, che nonostante tutto - la fatica, i dolori e il dolce desiderio di abbandonarsi al sonno - so che vale sempre la pena arrivare in fondo.
Perché la cosa più bella resta sempre il momento in cui vedi brillare gli occhi del tuo compagno o dei tuoi compagni, e hai vissuto per tutto il giorno l’attesa di vederli felici, ancor prima di esserlo per davvero anche tu.
Così, al mattino presto, lentamente, e ciascuno con la propria idea in testa di cammino e di sentiero, ci siamo diretti verso un’ intuizione di orizzonte e di memorie marine, a sud.
Ognuno a suo modo è ispirato da qualcosa.
E da qui, da Borgo val di Taro, il mare è per davvero ispirazione, promessa e idea, ma in alcuni momenti del nostro viaggio ci è sembrato quasi un miraggio, una chimera e una condanna, soprattutto quando la testa ti porta in un loop di malessere e di pensieri negativi.
È come essere impigliato nei rovi e nelle ortiche senza venirne fuori (e magari a qualcuno è successo, più zecche optional !).
Ma il momento nero passa sempre, basta saper aspettare.
E si tratta di capire che fa parte del gioco mettersi a nudo, saltare per aria e ripartire.
È questo il bello.
Alla fine siamo sempre rimasti in cinque, siamo partiti e arrivati tutti insieme; io, Giulio, Edoardo, Eva e Ombra.
Una lunghissima giornata di condivisione, di sguardi, di parole e di silenzi, che quasi sempre raccontano perfettamente lo stupore.
Sempre insieme, camminando nel respiro dei faggi più alti e poi correndo sugli assolati crinali battuti dal sole pomeridiano.
Insieme a cercare acqua, non trovarne, aspettare, chiedere ad un contadino, trovare una locanda aperta al passo e rinfrescarsi finalmente !
Sempre insieme, con le gambe adesso più stanche, prima di arrivare in cima a Prato Pinello nell’ora d’oro, e fermarsi ad osservare l’arco ideale di montagne disegnate con i piedi fino a quel momento.
Pensi alla generosità e alla dedizione dei tuoi amici, di chi ha razionato l’acqua e ne ha portato in più per gli altri e per Ombra, il fedele amico a quattro zampe.
Pensi che sia il posto giusto e il momento giusto.
E diventa più facile correre di nuovo, almeno per un po’, incontro alla luna che cresce dietro montagne placide ma adesso oscure, relitti abbandonati in una terra di alberi a volte storti, a volte dritti e luminosi come se esplodessero di luce.
Torni indietro con la mente fino al mattino, quando lungo un tratto di via Francigena, una vecchietta ci ha chiamato da un pugno di case in pietra ed è uscita fuori.
C’era il sole fragrante e l’odore dell’ appennino profondo, quello che scivolando nell’autunno ti lascia con un nodo alla gola.
Abbiamo firmato il diario dei pellegrini e annusato i porcini essiccati al sole, poi siamo ripartiti.
Era di nuovo il posto giusto e il momento giusto, era l’attesa che precedeva altre cose belle.
La Transap porta ancora avanti la propria idea originale, pulita ed essenziale, spesso selvatica e anarchica, e chi si mette in cammino non cerca premi e classifiche.
Chi si mette in viaggio non cerca di essere migliore, ma cerca di essere se stesso e di condividere un pezzo di strada (e di attesa) con qualcuno.
È come una canzone semplice che ascolti di notte davanti al mare, con gli amici che si abbracciano e sorridono per tutte quelle cose che ci sono state e che non si possono vedere.
È come una canzone semplice che avevi in testa e che hai saputo aspettare.
***
Grazie ai ragazzi che hanno ideato la Transappenninica.
Grazie a Giulio, Eva, Edoardo e Ombra.
Le foto belle sono di Giulio.
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Il senso del sacro
Il senso del sacro
Il senso del sacro è innato nel figlio di Dio, e, se fosse caratteristica esteriore, lo svelerebbe agli occhi del figlio dell’uomo. Viceversa esso traspare solo nelle motivazioni profonde delle sue scelte, che sono spesso oscure persino a lui, pur essendo imperative. In lui si manifesta quanto risponde all’intuizione di F. Schuon che lo radica nel mondo degli assoluti criticando “l’illusione di…
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Tanti Auguri: 20 anni di Panic Room
Tanti Auguri: 20 anni di Panic Room
Regia – David Fincher (2002) Doppio compleanno questo mese, perché io sono (diventata col tempo) bimba di David Fincher e finalmente mi si presenta l’occasione per dichiarargli un po’ del mio amore, tra l’altro con uno dei suoi film meno apprezzati, giudizio le cui motivazioni mi sono sempre state abbastanza oscure: si tratta dell’home invasion perfetto, ti tiene in uno stato di tensione…
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MEDIATICA-MENTE (3)
L'ultima parte "mediaticamente" considera alcuni dei più grandi eventi di cronaca mondiale del primo scorcio degli anni 2000, non tralasciando -a monte- ciò che nel corso degli anni '90 ha contribuito ad alimentare e a scatenare negli anni a venire. Sia sul piano nazionale ma ancor più su quello internazionale, fatti che hanno influenzato pesantemente l'opinione pubblica, fortemente condizionata dai "poteri forti" che hanno imposto un dominio su vasta scala dell'informazione, a partire dal "fenomeno" del World Economic Forum (WEF)
che ogni anno a Davos in Svizzera riunisce il "gotha" della finanza, dell'economia, dell'imprenditoria mondiale, delle multinazionali, delle banche e della politica, e che sulla carta orienta i destini del mondo attraverso le cosiddette "politiche mirate", che in teoria dovrebbero venire incontro alle esigenze dei vari paesi, ma che in pratica poi si rivelano come dei "morbidi diktat" verso quegli stati in perenne difficoltà ad adeguarsi a cambiamenti imposti da vessazioni economiche e da indecifrabili "mantra" di tipo ecologico, ambientale, sociale e umano, ma che in realtà finiscono con il "fare il gioco" delle elites mondialiste che da decenni e sotto varie forme di democrazia, stabiliscono in una forma di "massoneria", come "regolare" e agire in virtù e in nome della supposta perenne crescita demografica secondo la quale il numero degli abitanti dovrebbe gradualmente diminuire per arrivare a condizioni accettabili di sostenibilità e di convivenza.
Sono, ovviamente, scelte e teorie del tutto opinabili, e le maggiori manifestazioni -non solo a Davos, ma sparse in tutto il mondo sotto forma dei vari "raduni" denominati G7, G8, G20, ecc...- anti "forum" lo dimostrano: alla base di tutto ciò che anima il malcontento degli strati popolari, c'è innanzitutto il presumibile "blocco" del movimento delle persone, costringendo le varie popolazioni a produrre certificati, documenti e a sottostare a norme di sicurezza via via sempre più illogiche; sul piano sociale e occupazionale, i paesi arretrati faticano a trovare una terza via, soggiacendo a politiche discriminatorie e a decisioni che mettono in ginocchio le loro economie (vedi la Grecia nella prima metà degli anni 2000).
Ma non solo il WEF si prende la scena che ancora tuttora canalizza l'intero "way of life" attraverso poitiche mirate ad avvantaggiare le imprese multinazionali, a convergere su di esse la maggior parte degli introiti, a rafforzare le posizioni di determinate aree politiche a scapito di una socialità sempre più latente e di politiche lavorative e occupazionali che contemplano l'aumento del "monte ore" in cambio di salari sempre più bassi e di stili di vita sempre più precari.
Tornando agli eventi internazionali (ma non solo) gli anni 2000 si aprono non solo con l'attentato o presunto tale alle Torri Gemelle, ma con il "giallo dell'antrace" e di strane buste recapitate a banchieri, finanzieri, politici, imprenditori di livello mondiale, politici, insomma...Il tutto sotto una "cappa" di spionaggio e contro-spionaggio degno dei migliori film di "007" che nemmeno il mondo del cinema può interpretare al meglio! Buste contenente antrace vengono spedite ai maggiori esponenti di quei mondi sopracitati, e pure in Italia si succedono fatti analoghi che non portano all'individuazione di soggetti protagonisti di tali fatti. In Italia, peraltro e in quegli anni, strani "attentati" e piccole esplosioni specialmente nel Veneto e in tutto il Triveneto, danno il "la" ad indagini su presunti "unabomber": del tutto oscure le dinamiche ma soprattutto le motivazioni dei gesti che portano le stesse indagini sulle piste anarchiche e su isolati tentativi di depistaggio e di sovvertire l'ordine costituito.
Ma l'antrace e il suo giallo, condizionano forse da qui sino a oggi le varie politiche, ed eventi di grandezza universale si compiono, a partire dalle uccisioni di due importanti personaggi come Saddam Hussein
e Osama Bin Laden.
Uccisioni avvenute in tempi e modi diversi, entrambe hanno scatenato reazioni contraddittorie e paradossali. In Iraq, dove Saddam era accusato di detenere armi di distruzione di massa per gli eventi succedutisi nei primi anni '90 (la guerra del petrolio), lo stesso Hussein è stato difeso a spada tratta da gran parte della sua popolazione e anche da molta parte del mondo politico "contro" la narrazione "mainstream" (già anticipatrice degli eventi degli ultimi 5 anni) che voleva quello iracheno come un feroce dittatore sanguinario piuttosto che un abile stratega e protettore del suo popolo e che addirittura lo vedeva convinto detrattore di tensioni, soprattutto nella fascia dei paesi arabi affacciati sul Golfo Persico.
Viceversa, la scomparsa di Bin Laden, spettacolare nei modi e nelle narrazioni, è passata quasi sottotraccia, nella convinzione che con la morte del terrorista afghano, le tensioni e i conflitti latenti tra Stati Uniti, Afghanistan e paesi arabi si venissero pian piano assottigliando.
Ma non è stato così e non poteva esserlo, sempre se si considera che alla base di ciò vi è sempre la questione mai irrisolta (volutamente) del conflitto israelo-palestinese che nella prima parte degli anni 2000 coinvolgono anche la Siria, la Libia, la Russia, la Turchia e gran parte dell'area "persica" e che prende il nome -preceduta dalle primavere arabe-
di "guerra all'ISIS".
Ma prima delle guerre islamiche, notiamo come la più grande emergenza che il mondo è stato chiamato ad affrontare è stata quella sanitaria con la comparsa del "virus Ebola",
ovvero: quasi le prive generali in vista del "virus" presente (2021) da circa due anni. I paesi africani sono i più colpiti da questo del quale ancora non si conoscono le origini, e che già sta fermando i popoli e i cittadini del mondo, sottoposto a misure fuori logica, senza senso e che si vedono "frenati" nelle loro quotidianità, specie nei paesi dell'Africa equatoriale; ci si avvia verso la "fabbricazione" di malattie del tutto sconosciute e mai affrontate nella civiltà dall'uomo?
Il dubbio è legittimo, ancor più se si considera che negli anni 2000 troppi "gialli" legati a "virus" strani e forse mai isolati e mai identificati e perciò poco studiati e quindi con la possibilità di creare cure appropriate, si sono succeduti: in Italia il "virus della mucca pazza" o della "fiorentina" che ha messo fuori causa le aziende agricole toscane; nei paesi asiatici le varie forme di "asiatica" influenzale che ben presto si sono propagate su scala mondiale; in Brasile, nei tempi più recenti, si è avuta la "zika" in occasione dei Campionati Mondiali di calcio e delle Olimpiadi.
L'ebola pare mettere in affanno l'economia mondiale, subito "debellata" sul piano mediatico dalla comparsa sullo scacchiere internazionale del terrorismo islamico denominato ISIS!
Tagliatori di teste, i "guerriglieri" islamici si ergono a protagonisti nella seconda metà del 2015 uccidendo vari cittadini occidentali "colpevoli" di portare un cambio culturale indegno per quei paesi di matrice religiosa islamica, con ciò divenendo rei di voler modificare usi e costumi in quei popoli -in particolare i sunniti- refrattari a cambiamenti di dottrine religiose, come quella musulmana, integraliste e non orientate a un cambiamento radicale. Ma queste sono teorie non enunciabili e per le quali lo stesso mondo islamico non si trova concorde nel denunciare e nel non condannare i "peccati" occidentali, in parte anzi aprendo a nuovi dogmi, e in parte -pur nella difesa delle tradizioni- respingendo accuse di chiusura culturale e di dispotia religiosa. Tutte teorie, queste, respinte con sdegno da quelle parte islamica che interviene a difesa di tali tradizioni, con ciò perpetrando gesti e atti di grande enfasi, ai quali viene contrapposto una manipolazione delle realtà che fa riferimento a mosse strategiche di portata ben più ampia e che poco hanno a che fare con la religione e con la tradizione. In effetti, dietro al fenomeno dell'ISIS ci sono conflitti politici ed economici che creano tale fenomeno, e che nei paesi arabi danno vita a conflitti e tensioni anche armate, e che coinvolgono di nuovo quegli stato che si affacciano sul Golfo Persico, via via allargandosi all'Estremo Oriente e in quell'area geografica compresa tra la Tunisia, l'Egitto e la Siria, coinvolgendo finanche la Turchia e la Russia (in particolare la Crimea).
A farne le spese sono Siria e Libia, quest'ultima con l'uccisione di Gheddafi,
tra gli ultimi dittatori rimasti, ma forse dittatore a "fin di bene".
L'egemonia dei paesi occidentali (Francia, Inghilterra e USA in primis, pur con un ruolo quasi da comparsa degli Stati Uniti soprattutto dall'avvento di Trump in poi)
disegna una nuova mappa di potere nel mondo, con i paesi aderenti al New World Order (NWO, Nuovo Ordine Mondiale) e sempre più inclini al WEF, che instaurano un modello politico-economico che porterebbe meno stabilità economica e sociale tra la popolazione, e più potere dei ruoli istituzionali in particolare nel nuovo modello di comando e di rafforzamento dell'egemonia tra paesi industrializzati e finanziariamente appoggiati dalle maggiori multinazionali bancarie: a tal proposito, la crisi del 2007 -apripista dell'attuale situazione "2021"- ha fatto capire come le leve del comando non siano in mano alla politica ma alla finanza.
-FINE (3)
nel prossimo e ultimo articolo -a breve- i maggiori eventi e fatti politici e di cronaca degli ultimissimi anni-
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Centenario del Pci: 1956-57, la polemica tra Longo e Giolitti e il tabù del “revisionismo”
Il 19 Luglio 1957 Antonio Giolitti si dimetteva dal Pci firmando una lettera alla Federazione del Partito di Cuneo, alla quale era iscritto: “…sono giunto alla grave e amara decisione di uscire dal PCI…attraverso un’esperienza profondamente meditata e sofferta…le tesi da me esposte vengono ormai additate come esempio tipico, e unico nel PCI, di ‘revisionismo senza principi’ e addirittura come concessioni consapevoli all’ anticomunismo… ma ciò che conta non è la polemica contro presunte mie posizioni ‘revisioniste’, bensì l’interpretazione del marxismo, del XX congresso e dell’ VIII congresso che emerge da quella polemica e si contrappone a ogni idea innovatrice e a ogni onesto tentativo di ricerca intorno ai gravissimi problemi aperti dal XX Congresso e dai fatti di Polonia e d’Ungheria. Per queste ragioni politiche e non certo per un puntiglio intellettualistico, io non posso più accettare una disciplina formale che significherebbe rinuncia a battermi per le idee e gli obbiettivi che ritengo oggi essenziali alla vittoria del socialismo…”.
Un anno prima, Giolitti aveva già motivato le ragioni del suo dissenso all’VIII congresso del PCI, dopo la denuncia kruscioviana del dispotismo di Stalin. In sintesi, egli sposava il riformismo marxista di Bernstein (“il movimento è tutto, il fine è nulla”) contro la dottrina della “dittatura del proletariato” di matrice leninista, propria dei partiti comunisti. Ne aveva dato conferma in un saggio dal titolo “Riforme e rivoluzione” che aveva dato luogo ad una sprezzante replica di Luigi Longo intitolata “Revisionismo nuovo e antico”. A quel punto seguì la scelta del distacco dal PCI che lo avrebbe visto entrare a far parte del PSI nella corrente autonomista di Pietro Nenni. L’evento suscitò larga eco pubblica, in particolare turbò gli animi nel mio ambito familiare: per la vicinanza di mio padre e mia madre con la famiglia Giolitti (non solo con Antonio, ma anche con sua moglie Elena) con la quale avevo avuto anch’io dimestichezza, per le diverse festività natalizie passate assieme ai figlioli dei funzionari dirigenti di Botteghe Oscure (Ingrao, Onofri, Sereni, Pajetta, e tanti gli altri) tra i quali ricordo anche la sorridente Anna Giolitti…Mio padre Antonello era rimasto più che turbato come tanti dalle rivelazioni di Krusciov sul dispotismo di Stalin, ed aveva certamente riconosciute per buone le motivazioni del dissenso di Giolitti. Ma giunti alla parola tabù –“revisionismo”- ricordo che egli si irrigidiva per fedeltà al Partito e non ammetteva cedimenti o repliche.
In verità di tutte le animate discussioni che ad alta voce si incrociavano per casa mia, capivo ben poco (avevo appena 12 anni): ma ricordo i volti accesi e preoccupati, le esasperate manifestazioni di sconforto di tanti amici di mio padre che poi si allontanarono dal PCI: Tommaso Chiaretti, Mario Socrate, Tonino Guerra, Gianni Puccini, Bruno Corbi e perfino mio zio Gaetano Trombatore che, per avere firmato la “lettera dei 101”, per anni si vide togliere il saluto…Ma per tornare alla parola tabù –“revisionismo”- un adolescente come me non poteva immaginare fino a qual punto fosse intesa quale diffamante epiteto in ambiente comunista: al punto che nessuno voleva esserne tacciato, nemmeno alla lontana, per le idee che esponeva. Ne ebbi la conferma sempre in quei giorni del distacco di Giolitti, ascoltando mio padre Antonello impegnato nella solita discussione (Stalin, l’Urss, la democrazia, la libertà e il socialismo) col suo caro amico Giuseppe Mariano, che aveva passato anni a Radio Praga durante il Cominform, e con il quale si parlavano senza reticenze di dubbi ed ansie varie nel merito ideologico e politico. A un certo punto, mosso dal desiderio di dire la mia su cose più grandi di me, ma su cui ritenevo di avere capito qualcosa, mi rivolsi verso “Peppe” Mariano –che consideravo uno di famiglia, ed era come se lo fosse- e gli dissi ammiccando: “secondo me tu sei un ‘revisionista’…!”. Non l’avessi mai detto. Peppe si rabbuiò, si sentì quasi ferito, poi mi chiese chi mi avesse detto di lui certe cose, perché quella di “revisionista” era una accusa grave. Così ingenuamente, mi sentivo di aver detto la mia senza dare grande importanza alla cosa. Ma avevo tuttavia inconsapevolmente toccato un nervo scoperto. Parlare liberi da catene ideologiche, esprimere dubbi ed ansie sulle scottanti verità che le crepe del socialismo sovietico avevano messo in brutale evidenza, era comunque nel senso comune circolante nel PCI, un indizio di “revisionismo”. Indizio che, per certe mentalità, era prova di animo controrivoluzionario. Ma per altre era conferma di uno spirito di libertà che andava emergendo nella cultura e negli spiriti più indipendenti dello stesso mondo comunista. “Peppe” Mariano e mio Padre Antonello ne facevano parte. Ma anche loro subivano, inconsciamente, il ricatto ideologico dell’anatema “anti-revisonista”…
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18 gen 2021 12:47
“LA VERITÀ” CONFERMA LO SCOOP DI DAGOSPIA SUI MEDIA DEL VATICANO CHE HANNO CENSURATO IL PAPA - UNO DEI COORDINATORI DELL'INFORMAZIONE DI OLTRETEVERE (PAOLO RUFFINI? ANDREA TORNIELLI?) HA DATO INDICAZIONI DI IGNORARE L'INTERVISTA DI FRANCESCO A CANALE5 E A SPORTWEEK - TUTTI NE STAVANO PARLANDO, MA A VATICAN NEWS, INVECE, BISOGNAVA “NON SOCIALIZZARE”. ERA UN DISPETTO PERCHÉ IL PAPA SI ERA MOSSO DA SOLO E I CAPI DEI MEDIA VATICANI NAVIGAVANO AL BUIO?
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Lorenzo Bertocchi per “la Verità”
Lo smarrimento dalle parti dei media vaticani che la Verità aveva segnalato ieri è confermato. Anzi, probabilmente si comprende il perché di quelle antipatiche chiacchiere sul malcontento del Papa rispetto ai vertici del dicastero, con il direttore editoriale, Andrea Tornielli, in testa. Francesco, lo scrivevamo ieri, è scontento della copertura mediatica che Vatican news e tutti i satelliti della comunicazione della Santa sede hanno dato all'intervista che il Pontefice ha concesso a Canale 5 e a Sportweek.
La Verità è venuta in possesso di un messaggio di posta elettronica circolato sabato 9 gennaio tra i redattori, un giorno prima della messa in onda dell'intervista che Francesco ha concesso al vaticanista di Mediaset Fabio Marchese Ragona.Il messaggio nell'oggetto riporta chiaramente che si tratta di «indicazioni» sull'intervista «Papa-Canale 5» e lo invia un coordinatore di Vatican news, Alessandro De Carolis, ai collaboratori.
Il riferimento è per l'«anticipazione» della video intervista del Papa che circolava già da sabato 9 gennaio, e l'indicazione che viene data «su questo argomento» lascia a bocca aperta: queste notizie «non vanno socializzate». In effetti la consegna, che probabilmente il coordinatore ha ricevuto dalla cabina di regia editoriale, è stata rispettata, perché sui social ufficiali di Vatican news non c'è nulla sull'intervista di Francesco a Canale 5 fino a domenica 10 gennaio alle 23:09, 8 minuti dopo che una sintesi, non firmata, dell'intervista era stata pubblicata sul portale della Santa Sede.
Peraltro risulta alla Verità che i media vaticani si fossero trovati l'intervista del Papa un po' tra capo e collo, in zona Cesarini, senza aver ricevuto alcuna informazione precedente, anche perché sembra che il Papa avesse attivato il contatto con Mediaset senza coadiuvarsi con i capi della sua comunicazione.
Appare quindi del tutto evidente che per ragioni a noi oscure qualcuno nei media vaticani, cioè quelli che dovrebbero fare da grancassa alle parole del Papa, giusto per rammentarlo, aveva deciso che alle parole del Papa a Canale 5 era meglio dare poca importanza. Anzi, nella mail di De Carolis si invitano addirittura le redazioni a «continuare a seguire la vicenda del Boing precipitato poco dopo il decollo a Giacarta».
Con tutto il rispetto per la tragedia aerea consumata il 9 gennaio scorso, fa comunque impressione questa «indicazione» che odora ancor più di censura casalinga all'intervista del Papa; tutti ne stavano parlando, ma a Vatican news, invece, bisognava «non socializzare».
A questo punto c'è da scommettere che la convocazione di sabato scorso in udienza dal Papa dei vertici del dicastero della comunicazione deve essere stata un po' antipatica.
Tutto lascia pensare che una bella ramanzina papale, nella prospettiva della parresia, sia andata in onda, e Paolo Ruffini e Andrea Tornielli forse avranno dovuto spiegare scelte editoriali che l'editore sommo potrebbe non aver compreso. Tutte le sedie tremano perché tutti in Vaticano sanno che anche per i fedelissimi Francesco non si fa problemi, qualora lo ritenga, ad accompagnarli verso la porta.Il Papa della «Chiesa in uscita» difficilmente può comprendere le motivazioni per cui una sua intervista, data per una prima serata in Tv, debba essere «non socializzata».
Forse la decisione editoriale di non dare importanza alle parole del Papa a Canale 5 sarà stata dovuta a possibili brutti commenti social che talora appaiono in uscite papali come questa, come peraltro conferma anche la pubblicazione sul Facebook di Vatican news delle 23:09 del 10 gennaio.
Oppure, si è deciso di stare fermi per evitare fraintendimenti, visto che il Papa si era mosso da solo e i capi dei media vaticani navigavano al buio. Comunque la si voglia interpretare la faccenda puzza di bruciato, come minimo evidenzia una fase del papato di Francesco in un crescendo di caos anche tra i suoi uomini più fidati.Quando l'ex direttore della Sala stampa vaticana, l'americano Greg Burke, e la sua vice, la spagnola Paloma Ovejero, se ne andarono sbattendo un po' la porta, il 1° gennaio 2019, molti gettarono acqua sul fuoco. Ma in realtà la motivazione di quel gesto inaspettato era chiara: non ci stavano a lavorare, da seri professionisti quali sono, alle nuove condizioni.
E tra le nuove condizioni c'era proprio la riformata catena di montaggio dell'informazione vaticana in cui il direttore editoriale Andrea Tornielli, allora da poco nominato, veniva ad assumere un ruolo fondamentale e di conseguenza quello del direttore della Sala stampa decisamente minimizzato, quasi al rango di passacarte. Greg Burke e la Ovejero ritenevano probabilmente di non poter svolgere bene il loro lavoro e se ne andarono.
Perché seguire un Papa pirotecnico come Francesco non è facile per un giornalista, a maggior ragione con una struttura riformata come quella attuale che ha sollevato diversi malumori tra le sacre stanze.È probabile che ora di questo si stiano accorgendo anche gli attuali vertici delle comunicazioni vaticane, ma quella di «non socializzare» un'intervista del Papa è davvero una scelta notevole che, per quanto «furba», potrebbe non esserlo abbastanza per la «santa furbizia» di Francesco.
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Pezzi di me
Ho una passione viscerale per il cinema, si sarà capito.
Potrei parlare per ore di film e telefilm e attori sfoderando una cultura su cose del tutto inutili di cui vado particolarmente fiera.
Ognuno ha le sue passioni.
Non sono ignorante sul resto, ma se devo essere sincera le storie mai accadute e l’immaginario mi appassionano più della realtà. Più facile coinvolgermi in una disquisizione sul viaggio di Frodo che in una su quello di Colombo.
Questo non mi esonera dal conoscere la realtà, com’è dovere di ogni essere umano.
Però ho dei film che definisco “della mia vita” che la dicono lunga su cosa intendo io per VITA.
I miei film sono Big Fish sopra ogni altro. Poi El Laberinto del Fauno, Le fabuleux destin d’Amélie Poulain, Bridge To Terabithia, Donnie Darko, Predestination.
Ultimamente si è aggiunto anche Men & Chicken.
Cos’hanno in sottofondo tutti questi film?
Un tocco di assurdo, impossibile, che ti sfiora la vita prima che le luci si spengano.
Che la sfiora in modo da renderla speciale per sempre. Qualcosa che fa dire che se anche i giochi si stanno per chiudere, tutto ha avuto senso.
Ognuno dei protagonisti dei MIEI film può dire questo della sua vita, senza timore di esagerare.
Più di tutti lo possono dire Edward di Big Fish e l’unico protagonista (in tutti i sensi) di Predestination.
Voglio dire, si pensi solo alla vita di Edward Bloom. Che importa che sia vero o meno ciò che gli è successo? Che importa se quello è un racconto di fantasia scaturito dalla mente di un uomo che della fantasia aveva fatto la sua linfa vitale?
Quando puoi raccontare così la tua vita, credendoci fino in fondo, quando sei così sicuro che la tua vita è stata meravigliosa, un sogno ad occhi aperti, qualcosa da raccontare per farlo conoscere, che importa di avere prove che certe cose siano accadute? L’importante è che tu le ricordi così, che l’impatto che hanno avuto su di te ha generato un ricordo indelebile nella tua mente.
Che gli altri ci credano non è necessario; come hai percepito il tuo viaggio in questo mondo è solo affare tuo. E Edward Bloom è l’esempio di chi ha goduto e apprezzato ogni singolo attimo.
E Predestination, santo cielo… Per come la penso io sulla vita quella è l’assoluta perfezione. Essere non solo il motivo della tua nascita, non solo l’artefice vero, unico, della tua esistenza, ma anche quello della tua dipartita. Padre, madre, figlio, vita, morte e perfino amico di te stesso.
Morboso sì, lo ammetto, ma chi se ne importa? Posso dire che se scoprissi domani ciò che scopre il protagonista di Predestination potrei dire che non solo la mia vita ha avuto senso, ma che anche dietro alla mia morte c’è una logica schiacciante. Non sono in molti a poter dire una cosa del genere.
Ovviamente, perché certe cose non ci è dato di saperle. Ma a me questa cosa dà fastidio.
È dura quando a darti fastidio è il fatto di non conoscere il senso della vita, perché non dovrebbe farti arrabbiare non sapere qualcosa che non sa nessuno. Però è così.
Penso a Donnie e al profondo significato che lui trova nella sua vita. Tutto un lungo conto alla rovescia alla ricerca di una spiegazione che si trova solo correggendo quell’errore che apparentemente è minimo, e invece fa tutta la differenza del mondo.
Non era previsto che Donnie vivesse. Il caos totale perché un essere umano era lì e non doveva esserci.
Il Nono Dottore lo dice a Rose in una puntata bellissima in cui Rose salva suo padre dalla morte: un essere umano che non era previsto ci fosse ora c’è. Fa tutta la differenza del mondo.
Ma è solo mio padre, dice Rose.
E il fatto che ci sia fa tutta la differenza del mondo.
Così come la fa l’esatto opposto.
Donnie c’è e tutto il mondo attorno a lui si sgretola, Donnie non c’è e probabilmente, anche se il film non lo mostra, sarà tutto un altro tipo di catastrofe.
Un solo essere umano fa la differenza.
Ed io amo questa visione della vita, solo vorrei sapere perché.
Sono convinta sia così davvero, solo che non ho idea della motivazione e vivo cercandola.
È comunque un buon incentivo a proseguire, soprattutto considerando che nessuno ti può aiutare in questa impresa, nessuno può dare consigli, è una cosa personale e privatissima. E a me sta bene perché i consigli sulla vita mi vanno proprio stretti.
Mai ascoltati.
Soprattutto quando sono dati con un’alzata di spalle e lo sguardo spalancato di chi ha capito tutto e ti dice “Basta poco, che ci vuole?”
Non basta mai poco, nella vita. Se bastasse poco non sarebbe la vita. È un gran bel caos, altrimenti non ne avremmo solo una; se fosse prevista la difficoltà minima ne avremmo dieci probabilmente tutte uguali e noiose e già con una linea da seguire.
Invece no, come in un videogioco subito la modalità Hard così non rischi che a metà ti annoi e ne cominci un altro.
Ho divagato?
Neanche poi tanto, sto parlando di film che danno da pensare, del resto.
C’è Amélie che mi fa tanta tenerezza. Perché di base vive esattamente come me, solo che lei ha una forte componente di romanticismo in tutto ciò che fa che a me manca.
Io ho più l’animo di Ofelia del Labirinto.
Anche i miei sogni me lo dicono. Il mio paese delle meraviglie non è fatto di fate, elfi, creature adorabili e animali paffuti.
Oddio, può essere, magari ci sono anche quelli, ma non ti devi fidare delle apparenze. Mai.
Io preferisco le creature più oscure e spaventose, quelle che a prima vista già ti dicono di stare lontano.
Se ad occhi aperti devo immaginarmi qualcosa che spunta da dietro un albero difficilmente immaginerò un coniglio bianco col panciotto. Immaginerò qualcosa di molto simile al mostro di Ofelia seduto alla tavola imbandita.
La povera, adorabile, Ofelia è il risultato di una mente cresciuta nell’orrore della guerra, però. Di certo lei ha motivazioni più valide delle mie per giustificare i suoi sogni. Ofelia vede solo orrore attorno a lei e il suo paese delle meraviglie, la sua fuga dalla realtà, è un mondo basato su ciò che lei conosce meglio e quindi non molto allegro, non colorato, non facile.
Ci sono amici sì, ma dagli amici stessi si deve guardare. Ci sono premi che si conquista se fa le cose per bene ma, Dio, se sbaglia quali sono le conseguenze…
E cosa posso farci? Il mondo immaginario di Ofelia è terribile eppure lo trovo affascinante. In parte è quasi più bello di Terabithia.
Perché quando esci da Terabithia purtroppo ti devi scontrare con una realtà difficile, mentre Ofelia si scontra con l’orrido in entrambi i casi. E in entrambi i casi vince, anche se può non sembrare.
Ofelia è un’eroina nel vero senso della parola, uno dei pochissimi personaggi femminili che stimo con l’anima, che mi emoziona. Ce ne sono talmente pochi da elencare che ogni tanto mi chiedo se chi scrive e produce film si sia mai reso conto che i buoni personaggi per essere buoni non dovrebbero essere gestiti in base al loro sesso, visto che non è quello che ci muove.
Nel mio mondo ideale mi verrebbe chiesto di che sesso voglio essere prima di affibbiarmene uno ed io risponderei che non mi sta bene che ce ne siano solo due, che se è così allora non mi schiero da nessuna parte.
Per fortuna non è così, di sessi ce ne sono finché mai. Non ho la minima idea di quale sia il mio ma la cosa non mi preoccupa, perché non è quello che mi fa agire.
Ho divagato di nuovo?
È perché la vita nelle sue molteplici sfaccettature mi distrae. Se potessi trascorrere la mia giornata a mettere giù i miei pensieri credo che il tempo trascorrerebbe così velocemente da non avere più quello per vivere davvero.
Che poi chi se ne frega?
L’altro giorno mi è stato chiesto perché non esco di più ed io ho risposto che se esco non posso scrivere.
Allora, c’è da avere pazienza, ci sono le persone che bramano di vivere e sperimentare e ci sono quelle che vogliono mettere per iscritto ciò che gira loro per la testa. Vorrei sapere perché la distinzione tra le due categorie è sempre bene per la prima e male per la seconda.
Chi l’ha stabilito?
Di nuovo sono uscita dal discorso principale, chiedo scusa.
Come ultimo film c’è Men & Chicken, perla, capolavoro, gioiello che mai avrei scoperto non fosse stato per la mia passione per Hannibal.
Non mi curo tanto del sottofondo del film in cui io non credo, la prosecuzione della specie, il fare figli e riprodursi, quello è all’esatto opposto delle mie convinzioni. Si scoprisse domani che la razza umana non è più fertile penso sarebbero contenti tutti quelli che non sono umani, io per prima.
Ma l’insegnamento una vita è una vita, è meraviglioso. Il viaggio dei fratelli Thanatos alla ricerca delle loro origini parte da presupposti diversi dai miei, ma sempre lì va a finire. Cos’è la vita, perché siamo qui, chi siamo.
E la risposta che loro trovano ha quel tocco di impossibile e assurdo che dà senso a tutto, che ti mette il cuore in pace dandoti una spiegazione. Beati loro.
Amo i Thanatos così come sono nella loro imperfezione. Se non rischiassi il linciaggio o una tranvata in testa quella sarebbe la casa perfetta in cui io vorrei vivere per sempre.
Ecco, sono un’appassionata di film, soprattutto di horror e ho una lista infinita di titoli di ogni genere che considero capolavori. Ma questi appena citati sono quelli che toccano nel profondo ciò in cui credo, un po’ come fanno le canzoni di Caparezza.
E non mi capita spesso di trovare pezzi di me in giro.
#Pensieri#Scrivere#Scrittura#Me#Film#Movies#Parole Mie#Vita#Considerazioni#el laberinto del fauno#le fabuleux destin d'amélie poulain#Donnie Darko#Predestination#Big Fish#Men & Chicken#bridge to terabithia
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FRANCESCO MONTE:"MAI TRADITO GIULIA SALEMI, NON LO AVREI MAI FATTO". Francesco Monte nega con fermezza di avere tradito l’ex fidanzata Giulia Salemi. L’ex tronista pugliese, che a breve parteciperà alla nuova edizione di 'Tale e Quale Show', ha rilasciato un’intervista a 'Uomini e Donne Magazine' in cui nuovamente smentisce che la relazione con Isabella De Candia sia iniziata prima che finisse quella con l’influencer italo – persiana: "C’è un attaccamento morboso alla coppia, alla vecchia coppia. Mi fa piacere, ma a tutto c’è un limite. Io non posso ritrovarmi su Instagram minacce di aggressione con l’acido sotto casa mia o una serie di cose di cui ho parlato, ma non ho pubblicato gli screen, perché a fare la figuraccia sarebbero queste persone, che scrivono con i loro profili. Tanta gente ha voluto ricamare sopra a queste situazioni, perché io uso il silenzio, ma non sempre funziona. E per questo ho deciso di dire la mia. Non mi hanno dato fastidio tanto i flirt, ma essere definito un traditore. Non sono io, non fa per me. Sono una persona molto rispettosa e se qualcuno vuole per forza immaginare che ci sono motivazioni assurde dietro la chiusura di una relazione, non sempre è così. È più esaltante, forse, immaginare storie oscure e strane, ma non è così. La vita è molto più semplice di come viene raccontata". Francesco sta molto attento a non fare mai il nome di Isabella, suo nuovo flirt. Eppure le foto pubblicate dal settimanale 'Chi' che mostrano i due in vacanza insieme parlano chiaro: Francesco e la modella sono una coppia a tutti gli effetti. Non è arrivato, almeno fino a oggi, il commento di Giulia Salemi. Dopo la fine della sua storia con Monte e dopo avere ammesso che quella scelta subita le aveva provocato una forte sofferenza, l’influencer ha preferito non aggiungere altro, tornando a concentrarsi su se stessa. Fonte: gossip.fanpage.it E VOI COSA NE PENSATE? #francescomonte #giuliasalemi #fralemi #isabelladecandia #gossip #gosspinews #spetteguless #intervista #uominiedonnemagazine #vigofficial #vig https://www.instagram.com/p/B0FpH-WI2S9/?igshid=144p3peflw4p9
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Pubblichiamo alcuni stralci - in due parti - dal lungo rapporto del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute, Mauro Palma, uscito agli inizi dell'anno. Organizziamo il 19 giugno in ogni città presidi, iniziative ai Tribunali e alle carceri - A Roma proponiamo un presidio al Ministero della Giustizia Facciamo notare come nel rapporto venga in particolare sottolineata la gravissima situazione del carcere de L'Aquila e in particolare la condizione delle donne detenute - Nadia Lioce è da 14 anni in regime di 41bis. Vari presidi sono stati fatti presso questo carcere per la difesa delle condizioni di vita, No al 41bis per Nadia Lioce, liberazione per tutti i prigionieri politici rivoluzionari. Ieri un altro presidio si è svolto per le due compagne anarchiche Silvia e Anna, trasferite in questo carcere-tomba e dal 29 maggio in sciopero della fame. RAPPORTO SUL REGIME DETENTIVO SPECIALE EX ARTICOLO 41-BIS (2016 – 2018) Le persone detenute sottoposte a tale regime sono 748 (incluse 10 donne e 4 sono in posizione definitiva). Casa circondariale di Cuneo: 44 Casa circondariale di L’Aquila: 163 (di cui 10 donne) Casa circondariale di Novara: 67 Casa di reclusione di Opera (Milano): 97 (di cui 9 al Sai) Casa circondariale di Parma: 77 (di cui 9 al Sai e 3 in sezioni per persone con disabilità) Casa circondariale di Roma-Rebibbia: 42 Casa circondariale di Bancali (Sassari): 87 Casa di reclusione di Spoleto: 83 Casa circondariale di Terni: 27 Casa circondariale di Tolmezzo: 12 e 5 internati Casa circondariale di Viterbo: 49 Il Rapporto qui presentato si focalizza sulla valutazione di come l'applicazione del 41bis non rispetti i parametri di legittimità indicati dalla Corte costituzionale e altresì di come la sua reiterazione, spesso per un numero cospicuo di anni, a carico della singola persona, possa esporsi al rischio di incidere sull’inderogabile principio di tutela dei diritti umani di ogni persona. “Aree riservate” - all’interno delle sezioni speciali di cui all’articolo 41-bis o.p. Tali sezioni sono separate dalle altre che accolgono le persone sottoposte a tale regime e sono destinate alle figure ritenute apicali dell'organizzazione criminale di appartenenza. In tali “Aree” si applica un regime detentivo di ancor maggiore rigore rispetto a quello derivante dall'applicazione delle regole dell’articolo 41-bis o.p. Tale modalità applicativa a volte porta a un quasi sostanziale isolamento della persona detenuta (alla data odierna in 4 casi, a L’Aquila, Novara, Parma e Opera). Per evitare la violazione formale delle norme che regolano l’istituto dell’isolamento, viene spesso collocato nell'area riservata anche un altro detenuto, sempre in regime speciale, che non avrebbe titolo a starvi ma che svolge una funzione “di compagnia” nei momenti di “socialità binaria” e durante i passeggi: soluzione che determina l'applicazione di un regime particolare del tutto ingiustificato a una seconda persona oltre a quella destinataria della specifica cautela. Tuttavia, la disposizione a due non è, a parere del Garante, di per sé accettabile perché, nel caso di un eventuale provvedimento disciplinare di isolamento di uno dei due si determina inevitabilmente l’isolamento dell’altro. Tale situazione è vietata perché in contrasto con il principio di responsabilità personale, nonché con il principio espresso dalla regola delle Regole penitenziarie europee. Il garante raccomanda pertanto che si ponga fine alla previsione di apposite sezioni di “Area riservata” all’interno degli Istituti che ospitano sezioni di regime speciale di cui all’articolo 41-bis o.p. E’ inoltre assiomatico che una persona non possa essere detenuta per mesi o addirittura anni in regime di totale isolamento, senza che si determini il rischio una violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea… L’impropria socialità binaria - Particolarmente preoccupante la situazione delle donne, detenute nell’unica sezione speciale femminile nell’Istituto di L’Aquila. Il loro numero ristretto, unito alla provenienza territoriale e in un caso alla indisponibilità a partecipare a tali gruppi, determina che la composizione di quasi tutti i gruppi è limitata a due persone e almeno in un caso si ha una detenzione individuale, senza alcuna socialità… il Garante nazionale… raccomanda che siano abolite sezioni o raggruppamenti costituiti da meno di tre persone detenute. ...il regime ex articolo 41-bis o.p. ha trovato effettiva applicazione anche nei confronti di persone che hanno concluso l’esecuzione della pena... nell’Istituto di L’Aquila: le persone erano ristrette con un regime identico a quello delle persone detenute, in condizioni materiali peggiori, all’interno di locali strettamente detentivi e fatiscenti, senza alcuna effettiva proposta di lavoro che giustificasse la denominazione della misura applicata. La sezione si caratterizzava per l’insufficienza di luce naturale e artificiale. Le finestre, infatti, erano oscurate con ‘gelosie’ e reti che impedivano alla luce e all’aria di entrare in maniera adeguata... Prolungamento del regime stesso - senza che né la misura né la sua modalità esecutiva inerissero al reato. Inoltre le reiterate proroghe della misura di sicurezza estendono illogicamente un determinato regime... La prolungata reiterazione di misura di sicurezza in regime speciale non ha risparmiato neppure il caso di chi dopo una lunga pena espiata e con palesi patologie che più volte hanno determinato il ricovero in un Sai e che presentano seri profili di disturbi comportamentali che non consentono neppure un dialogo continuativo, continua a essere sottoposto per periodi singolarmente brevi e continuamente ripetuti a tale misura, in un tempo che sembra dilatarsi all’infinito. La concreta operatività dei decreti di proroga è esposta al rischio di disattendere le prescrizioni della Corte costituzionale che, a partire dal 1993 e costantemente, nelle successive pronunce, ha stabilito la necessità di adeguata motivazione per ogni provvedimento applicativo e per ogni decreto di proroga, non possono ammettersi semplici proroghe immotivate del regime differenziato, né motivazioni apparenti o stereotipe, inidonee a giustificare in termini di attualità le misure disposte». Nel corso delle visite, il Garante nazionale ha verificato la ricorrenza nei provvedimenti di proroga di motivazioni che sostanziano il fondamento della reiterazione nella «assenza di ogni elemento in senso contrario» al mantenimento di collegamenti con l’organizzazione criminale operante all’esterno. Nei provvedimenti di proroga i riferimenti sono il reato ‘iniziale’ per cui la persona è stata condannata e la persistente esistenza sul territorio dell’organizzatone criminale all’interno del quale il reato è stato realizzato. Norme regolatrici delle vita quotidiana - Una prima osservazione di fondo riguarda la definizione eccessivamente dettagliata di norme regolatrici della vita quotidiana, come il diametro massimo di pentole e pentolini (rispettivamente 25 e 22 cm), il numero di matite o colori ad acquarello detenibili nella sala pittura (non oltre 12), il numero di libri che si possono tenere nella camera (4), le misure delle fotografie (di dimensione non superiore a 20-30 cm e in numero non superiore a 30). Lasciano perplessi tale particolari, di cui sfugge il senso rispetto alla finalità del regime stesso. In che modo, per esempio, detenere nella sala pittura 15 matite anziché 12 può rappresentare un rischio rispetto all’interruzione di collegamenti e comunicazioni interni ed esterni con le organizzazioni criminali? Un altro elemento di criticità della circolare riguarda alcuni aspetti interpretativi. In particolare, quello applicato alle ore da trascorrere all’aperto: di fatto, l’ora nella sala di socialità viene sottratta alle due ore da trascorrere all’aperto... Il Garante esprime perplessità, per esempio, relativamente alla prescrizione della circolare che prevede che «la fruizione del televisore sia consentita solo in orari stabiliti, con accensione alle ore 07.00 e spegnimento non oltre le ore 24.00» con l’effetto di interrompere la visione di programmi, prima della loro fine. Se tale previsione può apparire a prima vista irrilevante, occorre invece chiedersi se tale prescrizione abbia una coerenza rispetto alla finalità del regime detentivo speciale, anche tenendo conto che la fruizione della radio è in tutte le sezioni incorporata nell’apparecchio televisivo e, quindi, di fatto si determina una compressione del diritto all’informazione nelle ore di spegnimento dell’apparecchio televisivo, assolutamente ingiustificata e sproporzionata… Colpiscono alcune previsioni di difficile comprensione. Per esempio, un cartello appeso nella sala di socialità dell’Istituto di Cuneo comunicava la possibilità di acquistare due gelati a volta, ma che era «assolutamente vietato depositare i gelati all’interno del frigo per essere consumati successivamente»: se si comprano vanno mangiati subito entrambi. A Novara veniva riferito al Garante che non si poteva andare in doccia con accappatoio e asciugamano insieme: o l’uno o l’altro; i familiari non potevano indossare magliette con una qualsiasi scritta neppure quella dell’azienda produttrice: erano costretti a toglierla e indossarla a rovescio. Oppure a L’Aquila risultavano vietate, anche d’estate e per le donne, fuori dalla stanza detentiva le scarpe aperte, a parere dell’allora Direzione per motivi di decoro... Il controllo esterno - è prioritariamente assegnato alla Magistratura di sorveglianza. Colpisce per esempio che, dopo il trasferimento collettivo in altro Istituto (15 marzo 2018) di tutte le persone precedentemente ristrette in sezioni che altrove erano state chiuse, il magistrato di sorveglianza della nuova sede non avesse fatto alcuna visita fino alla data della visita del Garante (28 giugno 2018)… non sempre le realtà locali hanno ottemperato e ottemperano alle ordinanze del Magistrato di sorveglianza... (CONTINUA)
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Problemi di autostima, senso di vuoto, inefficacia, paura di vivere, solitudine Autostima Le credenze che abbiamo su noi stessi, sulle nostre qualità, sulle competenze e i modi di pensare o sentire, formano la nostra immagine personale. Essa è la valutazione che facciamo di noi stessi, sulla base di sensazioni ed esperienze che abbiamo interiorizzato nel corso della vita. Ci consideriamo svegli o sciocchi, capaci o incapaci, siamo fieri di noi o no; questa autovalutazione è molto importante perché da essa dipende in larga parte la realizzazione del nostro potenziale e gli obiettivi che ci poniamo nella vita. In questo senso, le persone che si sentono bene con se stesse, hanno una buona stima di sé, e sono quindi in grado di affrontare e risolvere le sfide e le responsabilità che la vita gli pone. Al contrario, quelli con bassa autostima tendono a limitare se stessi e a fallire. Folon J. M. La bassa autostima è legata ad una discrepanza tra il sé reale e il sé ideale. Il sé reale è la valutazione oggettiva che facciamo di noi stessi mentre il sé ideale è ciò che si vorrebbe essere ed è influenzato da molti fattori (famiglia, cultura, società). Quando questa discrepanza è molto marcata, anche la persona più dotata e competente può sentirsi fallita e incapace, perché gli standard con cui si confronta sono estremamente rigidi ed elevati e permeati di perfezionismo. La persona può credere che fallire in una singola cosa significhi essere un fallimento totale su tutto oppure pensare nel modo “tutto o niente”: o una cosa riesce alla perfezione oppure è un disastro. Il circolo vizioso che può rinforzarsi è che la persona criticandosi in modo così feroce può rafforzare l’idea che non è abbastanza e quindi riconfermarsi nella sua visione mediocre e pessimista. La consulenza psicologica può aiutare la persona a riflettere in modo “non contaminato” su sé stessa, analizzando quale dialogo interno mette in atto per boicottarsi e rinforzare le false credenze su se stesso e sulle sue prestazioni, questo al fine di comprendere che non è lui sbagliato ma è irrealistica la perfezione che vuole raggiungere. Solitudine e senso di vuoto Quante volte nelle nostre vite avremo voluto trovarci da soli, avere un momento solo per noi per ricaricarci dagli stress quotidiani, da usare come fonte di ispirazione o di ristoro mentale? Folon J. M. La solitudine però può essere anche altro… Se è legata a sentimenti di tristezza e senso di vuoto, di frustrazione e angoscia, se non si ha nessuno con cui condividere le cose importanti della vita, si può cadere in uno stato di sconforto tale che impedisce di aprirsi al mondo con gioia e serenità, ma anzi rinforza la paura che gli altri potrebbero ferirci o non capirci. A volte la bassa autostima può essere collegata a questo tipo di solitudine e viceversa, ed è importante quando questa esperienza diventa ricorrente e dolorosa, chiedere aiuto. Il sostegno di uno psicologo può facilitare la persona a comprendere quali motivazioni ci sono dietro la sua chiusura, quale parte di sé sta proteggendo con tanta forza, rischiando però paradossalmente di impoverirsi ulteriormente. La terapia può fornire un modello di relazione nella quale sperimentare accoglienza e supporto e trovare le strategie migliori per “uscire dal proprio guscio”. Inefficacia e paura di vivere Un po’ come i bambini, che spaventati nella notte dal buio e dai rumori, cominciano ad agitarsi e ad avere paura, se sono da soli nella loro stanza, molte persone possono sperimentare nella loro vita dei momenti in cui tutto diventa minaccioso e triste, non si hanno certezze né fuori casa, a causa di tutto quello che accade di brutto e di angosciante, né dentro sé stessi. In quei momenti quello che è sempre sembrato un piccolo laghetto, che si conosceva bene, può diventare un oceano grande e minaccioso che non si conosce e che genera molta paura. Ci si può sentire persi e inefficaci, sprovveduti e disarmati e ci si può deprimere. In questi momenti la cosa più importante è non farsi soli, ma prendere a cuore il proprio disagio e parlarne con uno specialista. La terapia psicologica, un po’ come un faro che illumina e rasserena, può essere un valido aiuto per far luce nelle zone oscure, per vedere qual è la radice del malessere e comprenderla, e può infine aiutare la persona a sentirsi padrona di sé e competente nell’affrontare le inevitabili incertezze che la vita ci mette davanti.
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Ezra Pound? È colpa sua se i neofascisti aumentano e se Salvini è un “pericolo”. Chiose intorno all’intitolazione di un luogo civico in onore di Ez. L’Italia non è una terra per grandi poeti, tutto va in vacca partitica
Non amo i puristi – mi fa paura chi accampa pretese di purezza, chi pretende di dividere i buoni dai cattivi, chi sa chi salvare e chi condannare. I paladini della purezza, anzi, della pulizia, rimandano – sopruso inappropriato e gemellare – ai burocrati sovietici che punivano per sentito dire o ai randellatori in camicia nera che menavano per gioco.
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Il fatto. Il Comune di Rimini intende intitolare a Ezra Pound il “campone” che fa aureola a Castel Sismondo. L’atto pare ovvio: Pound non solo è transitato per Rimini, nel 1922 e nel 1923, ma ha fatto del principe di Rimini, Sigismondo Pandolfo Malatesta, il protagonista dei così detti “Malatesta Cantos”, la porzione VIII-XI dei Cantos. Era folgorato dal Tempio Malatestiano, il geniale ‘Ez’, tanto che un suo ‘discepolo’ recente, il poeta australiano David Brooks, ritiene che “Il Tempio è sostanzialmente la metafora dell’intero progetto poetico dei Cantos”. [David Brooks, va ribadita anche la fedina politica dei poeti in questi tempi idioti, non è un nostalgico dei fasci, tutt’altro: “La sua visione politica non ho mai neppure tentato di accettarla. Ma non è stata certo la prima grande intelligenza ad aver fallito durante gli immensi orrori e le contraddizioni del XX secolo”].
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Preciso. Intitolare un’area civica a Ezra Pound, in Rimini, è talmente ovvio che pare uno sgarbo. Un certo numero di anni fa, quando praticavo per “La Voce di Romagna”, scrivevo una cosa vergognosamente banale. A Pound non bisogna intitolare uno spazio e lavarsene le mani. Rimini deve diventare un centro di studi poundiani, che raccolga i massimi ricercatori nazionali e internazionali. Rimini, d’altronde, è la patria di un grande editore, Walter Raffaelli, che sugli studi poundiani ha fondato parte della propria autorevolezza. Insieme a lui, proponevo, variamo una immensa ri-traduzione dei Cantos, un lavoro complessivo compiuto dai poeti italiani, oggi. In effetti, Pound fu decisivo per la ricerca poetica di Pasolini e di Montale, di Giovanni Raboni e perfino di Tonino Guerra (che a ‘Ez’ dedicò un “giardino pietrificato”). Di per sé, altrimenti, l’intitolazione è una cretinata, una ghigliottina.
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La reazione. Ripeto, ho paura dei puristi, di chi vuole i puri di cuore, certo, evidentemente, di essere sempre nel giusto. L’intitolazione del ‘campone’ riminese ha infastidito Giovanni Rimondini, storico noto e attento. Con un certo stupore, da lui ho letto frasi un poco fanatiche come queste: “Tuttavia il nome di Pound evoca, soprattutto oggi in fase di ondata reazionaria montante, anche la maledetta responsabilità di una sua tragica scelta storica, l’essersi schierato dalla parte di terrificanti assassini nel folle tentativo di cancellare un popolo di persone e la sua cultura… Troppi giovani sono trascinati in questa marea montante di neofascismo, con il pericolo imminente di un governo Salvini che quella marea cavalca”. La conseguenza di queste frasi è culturalmente agghiacciante: col senno di poi Pound, morto a Venezia nel 1972, sarebbe la causa della “marea montante di neofascismo”, addirittura del “pericolo imminente di un governo Salvini”. In effetti, auspico a Salvini di leggere Pound: che sia un “pericolo” – non diverso da Renzi o da Di Maio al governo, I suppose, ma qui il discorso è un acquazzone verbale – è una idea di Rimondini, che c’entra con il tema in discussione? Faccio una sintesi aristotelica: non bisogna intitolare un luogo civico a Pound altrimenti il neofascismo s’infiamma e i giovani votano Salvini. Ribadire che questa è una idiozia, è idiozia.
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Fin qui, però, è poco. Intitolare un luogo civico è un gesto politico, per cui Rimondini fa bene a fare un discorso politico. Sono le motivazioni ‘partitiche’, però, a essere sbagliate, offensive. Più gravi ancora quelle culturali. “Non possiamo, a mio avviso, in questo momento perdonare i cattivi maestri, nemmeno se sono grandi poeti. Non possiamo da ‘uomini e donne responsabili’, onorare Ezra Pound con una dedica urbana, anche se non smetteremo di leggerlo, di citarlo e di ragionare sui Cantos”, scrive Rimondini. Non si può onorare Pound, a cui è riservata la gogna eterna, perché è un cattivo maestro. Ecco il paladino della purezza che mi fa paura. Obiezione astratta: poeti e scrittori sono quasi sempre ‘cattivi maestri’. Fanno scelte sbagliate, spesso fanno schifo perché non hanno la puzza sotto il naso, sono spogli e lebbrosi, vanno dove nessuno vuole andare, scrivono ciò che nessuno vuole leggere. Dante era bastardo e fondamentalista – infatti in alcune scuole statunitensi lo vogliono mettere al bando, troppo ‘scorretto’ –, Shakespeare era sottilmente antisemita, come Tomasi di Lampedusa, per altro, idem Thomas S. Eliot, a cui si unisce quel suo untuoso tradizionalismo. Dostoevskij era misogino, meschino, reazionario; Tolstoj un perverso ipocrita. D’altronde, Faulkner era un ubriacone, Hemingway un traditore compulsivo, Simenon un sessuomane, per non parlare di Pasolini. Vado, volutamente, per esempi scemi e sommari, che fanno scempio della ragione, che esiste perché sa che l’uomo è intriso nella contraddizione, figlia l’errore. Ma… come la mettiamo con Ungaretti che spera – fino a ottenerla – in una prefazione di Mussolini al suo libello di poesie? E con Elio Vittorni che incensava il Dux come grande scrittore, sulle colonne del “Bargello”? E con D’Annunzio e Pirandello, e con Malaparte e con Di Giacomo e Soffici, tutti firmatari del “Manifesto degli intellettuali fascisti”, perciò degni di ludibrio civico?
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Ecco, io ho paura dei paladini della purezza, degli spudorati censori degli errori altrui. Ma io capisco… capisco che l’arte spaventa, che al poeta non puoi mettere il bavaglio perché il fuoco non ha misura, capisco che non capite. Cosa intendete fare, allora, avvoltoi del rancore, paladini del candore, istituire una lista dei libri che si possono leggere a scuola per edificare buoni cittadini, una lista con i nomi dei poeti e degli scrittori indegni di onori civici? Beh, fatevene una ragione: la letteratura non edifica, disintegra le convinzioni acquisite, le convenzioni comuni; rassegnatevi, sotto le sottane dell’artista troverete quasi sempre pozze oscure, un confessionale di fogne.
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A proposito dei puristi della purezza, mi schermo con Jean Cau, già segretario di Sartre, scrittore dal talento esasperante. “L’uomo di sinistra era una specie di santo, più virtuoso di Catone, più dolce di Gesù, bevitore d’acqua, fermo nei suoi propositi, deciso e al tempo stesso misurato nei suoi atti, il cuore colmo d’amore per l’umanità e di democratico orrore per la violenza. Vestito di bianco, il viso disteso, la voce calma, si chiamava Stalin e (così ci apparve in un film sovietico) coltivava le rose… A destra si fabbricavano le bombe atomiche, si sfruttavano i popoli sottosviluppati frustandoli a sangue, ci si lavava i piedi nello champagne e si sostenevano tesi cretine”.
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Ora. Precisare la grandezza lirica di Pound è puerile, non lo farò. Ricordare l’importanza culturale di Pound – ha galvanizzato Yeats, insegnato a scrivere a Hemingway, esaltato il talento di Eliot, aiutato Joyce a pubblicare e a campare – è da beoti, studiate. Marco solo un paio di cose. Primo: Ezra Pound ha pagato. Non ha ucciso, le sue parole valevano, per il regime fascista, quanto il due di picche, ma ha pagato. Ha pagato duro. È stato in prigione, al St. Elizabeths di Washington, dal 1945 al 1958. Lo avrebbero lasciato lì, nonostante gli appelli dei poeti e degli amici che gli dovevano molto (Hemingway in prima fila), non fosse stato per l’inchiesta pubblicata da “Esquire” nel settembre del 1957, The Question of Ezra Pound, a firma di Richard H. Rovere. Il giornalista ricordava, documenti in mano, che Pound, nel 1941 e nel 1942, aveva chiesto di poter rientrare in patria e gli “era stato negato il visto di rientro… se Pound fu messo nelle condizioni di non poter rimpatriare dalle autorità del suo paese, l’arresto e l’accusa di tradimento erano costituzionali?” (così Piero Sanavio, grande studioso di Pound, non certo ‘camerata’). L’accusa di incostituzionalità era circostanziata e clamorosa: il vero tradimento fu operato dal governo americano nei confronti di un proprio cittadino. Seguì la liberazione del poeta. Detto questo, il ‘tradimento’ di Pound si comprende leggendo i Radiodiscorsi trasmessi su Radio Roma tra 1941 e 1943 (e pubblicati dalle Edizioni del Girasole nel 1998): Pound parla di Yeats e di Joyce, di Eliot e di Wyndham Lewis, di teoria economica e di strategia politica, maledice l’ingresso in guerra degli Usa. Mi domando chi sia riuscito a dipanare la massa alchemica dei suoi ragionamenti.
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La dico svelta, ora. Secondo me siamo al rimbecillimento totale, alle statue costruite a testa in giù, ai valori morali – transitori e facilmente fraintesi – che soggiogano quelli estetici (assoluti), all’arte utile a fini politici. Al realismo socialista, all’utilitarismo letterario, al ghetto comminato a chi non la pensa come me. Chi riuscirà a discernere i Cantos, tra un po’? I paladini della purezza, che ignorano la nudità, il fango, il crollo, gli preferiranno i fogli pieni di brio sentimentale di un poeta a casaccio, dal generoso profilo pubblico: versi garbati, puliti, inoffensivi. Quanto al resto, l’intitolazione è un insulto. Rimini non è una città degna di Pound, non è una città per la grande poesia – difendano la propria, patetica, verginità. (d.b.)
L'articolo Ezra Pound? È colpa sua se i neofascisti aumentano e se Salvini è un “pericolo”. Chiose intorno all’intitolazione di un luogo civico in onore di Ez. L’Italia non è una terra per grandi poeti, tutto va in vacca partitica proviene da Pangea.
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Rebecca Ferguson: 10 cose che non sai sull’attrice
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Rebecca Ferguson: 10 cose che non sai sull’attrice
Rebecca Ferguson: 10 cose che non sai sull’attrice
Rebecca Ferguson: 10 cose che non sai sull’attrice
Rebecca Ferguson è una di quelle attrici che ha dimostrato che non impegno, dedizione e tanto talento è possibile arrivare ai piani più alti del cinema.
L’attrice, che seguito questa strada dopo esperienze di modella e di ballerian, si è subito fatta valere, riuscendo a cogliere i personaggi migliori per le sue abilità, indipendentemente dai generi cinematografici, diventando una delle attrici più amate ed apprezzate in tutto il mondo.
Ecco, allora, dieci cose da sapere su Rebecca Ferguson.
Rebecca Ferguson film
1. I film e la carriera. Dopo una carriera di modella e ballerina, l’attrice svedese si è dedicata alla recitazione, debuttando sul grande schermo nel 2004 grazie a Drowing Ghost – Oscure presenze. In seguito, ha preso parte ad Hercules: il guerriero (2014), Mission: Impossibile – Rogue Nation (2015), Florence Foster Jenkins (2016) e La ragazza del treno (2016). Tra i suoi ultimi lavori, vi sono Life – Non oltrepassare il limite (2017), L’uomo di neve (2017), The Greatest Showman (2017), Mission: Impossibile – Fallout (2018), Il ragazzo che diventerà re (2019), Men in Black – International (2019) e Doctor Sleep (2019).
2. Ha lavorato anche per il piccolo schermo. L’attrice non ha prestato la sua attività solo per il grande schermo, ma ha lavorato spesso anche per diverse seria. La sua carriera nel mondo della recitazione, infatti, è iniziata con la soap opera Nya tider (1999-2000), per poi proseguire con Ocean Ave (2002), Il commissario Wallander (2008), The Vatican (2013, episodio pilota), Der Kommisar und das Meer (2013), The White Queen (2013) e The Red Tent (2014).
Rebecca Ferguson Mission Impossible
3. Tom Cruise ha messo una buona parola. L’attore l’ha scelta personalmente per Mission: Impossible – Rogue Nation dopo averla vista nella miniserie The White Queen. Rimasto colpito dalla sua interpretazione, Cruise ha suggerito il nome alla produzione.
4. Ha girato Fallout mentre era incinta. L’attrice stava aspettando la sua seconda figlia durante le riprese di Mission: Impossible – Fallout. Di fatto, quando le riprese si sono dette concluse, Ferguson era al settimo mese.
Rebecca Ferguson fidanzato
5. È stata fidanzata per lungo tempo. Nel 2005, l’attrice si è fidanzata con Ludwig Hallberg e i due hanno vissuto insieme fino all’aprile 2015. Le motivazioni della rottura non sono chiare, anche perché l’attrice ha sempre tenuto la sua vita privata lontano dai riflettori.
6. Si è sposata recentemente. Dopo un paio di anni dall’addio al suo fidanzato storico, l’attrice ha ammesso, nell’agosto del 2018, di essersi fidanzata ufficialmente con Rory. In seguito, Ferguson ha rivelato, nel gennaio 2019, di essersi sposata durante le vacanze di Natale. Attualmente, la famiglia vive tra Simrishamn, un paese svedese, e Londra.
Rebecca Ferguson figli
7. Ha due figli. L’attrice è madre di due figli, Isac, nato nel 2007 e avuto con il suo fidanzato storico, e Saga, nata nel 2018 e figlia del suo attuale marito.
Rebecca Ferguson The Greatest Showman
8. È stata doppiata nel canto. La voce dell’attrice è stata doppiata da Loren Allred: sebbene avesse studiato musica, ammettendo di essere in grado di cantare la melodia, il suo personaggio, Jenny Lind, è considerata la miglior cantante al mondo. Di fatti, il doppiaggio si è reso quasi indispensabile al servizio del film, anche se l’attrice ha insistito per cantare durante le riprese, anche per dare un maggiore interpretazione realistica.
9. Hugh Jackman l’ha incoraggiata. L’attrice ha ammesso di essersi sentita estremamente nervosa quando ha dovuto eseguire una canzone del film: infatti, avrebbe dovuto cantare di fronte a un pubblico completo, senza contare la crew che lavorava al film e molte altre persone. Hugh Jackman, protagonista del film, vedendola agitata a nervosa, l’ha incoraggiata e l’ha aiutata ad affrontare quel momento di stress.
Rebecca Ferguson: età e altezza
10. Rebecca Ferguson è nata il 19 ottobre del 1983 a Stoccolma, in Svezia, e la sua altezza complessiva corrisponde a 165 centimetri.
Fonti: IMDb, The Famous People
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
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Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Mara Siviero
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