#Milano storica
Explore tagged Tumblr posts
Text
Il mercante di lana di Valeria Montaldi: Un viaggio nel Medioevo tra mistero, fede e intrighi. Recensione di Alessandria today
Un romanzo storico che intreccia sacro e profano nella Milano del XIV secolo
Un romanzo storico che intreccia sacro e profano nella Milano del XIV secolo Recensione Il mercante di lana di Valeria Montaldi è un avvincente romanzo storico ambientato nel Medioevo, che ci porta nella Milano del XIV secolo, un’epoca oscura e affascinante segnata da contrasti tra sacro e profano, superstizione e fede, potere e povertà. Al centro della vicenda c’è Thomas, un mercante di lana,…
#Alessandria today#atmosfera medievale#Chiesa e fede#Colpi di scena#credenze popolari#giustizia e religione#Il Mercante di Lana#intrighi medievali#italianewsmedia.com#libri sul Medioevo#Medioevo#mercanti medievali#Milano nel XIV secolo#Milano storica#mistero medievale#narrativa ambientata nel passato#narrativa d’epoca#narrativa italiana#narrativa medievale#Narrativa storica#peste e carestie#peste medievale#processi per eresia#religione e superstizione#religione medievale#Ricostruzione storica#romanzi storici italiani#romanzi su intrighi e misteri#romanzi su Milano#romanzi sui processi
0 notes
Text
« Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L'onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l'ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole.
Si batté fino all'ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su sé stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro.
Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell'infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania.
In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l'omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944.
Fosse Ardeatine, Sant'Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati. Queste due concomitanti ricorrenze luttuose, primavera del '24, primavera del '44, proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica - non soltanto alla fine o occasionalmente - un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista.
Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così.
Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell'ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via.
Dopo aver evitato l'argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l'esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola "antifascismo" in occasione del 25 aprile 2023).
Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell'anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola - antifascismo - non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana. »
- Antonio Scurati
Monologo (censurato dalla Rai), ma qui per condividerlo perché: antifascismo sempre!
#antonio scurati#antifascismo#nervi tesi fasci appesi#fasci appesi#viva l'antifascismo#25 aprile#censura#rai merda#giorgia meloni#democrazia#giacomo matteotti#italia#fasci merda
242 notes
·
View notes
Text
Ecco il testo integrale del monologo di Antonio Scurati sul 25 aprile, censurato dalla Rai:
"Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sottocasa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini.
L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole.
Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro.
Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania.
In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944.
Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati.
Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia?
Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via.
Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023).
Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra.
Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana".
74 notes
·
View notes
Text
Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sottocasa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania. In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati. Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023). Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana
monologo di Antonio #Scurati sul 25 aprile, censurato dalla Rai
60 notes
·
View notes
Text
Armani
testo di Richard de Combray
introduzione di Arturo Carlo Quintavalle , Postace di Anna Piaggi
edizione a cura di Gini Alhadeff e Graziella Buccellati Piaggi
Franco Maria Ricci, Milano 1982, 224 pagine, 25x37cm, con cofanetto, ISBN 88 216-25931, 6000 copie numerate , copia n.2010
euro 1400,00
email if you want to buy [email protected]
Il libro raccoglie in 121 disegni le creazioni di Giorgio Armani, seguendo l’evoluzione di questo grande astro dello stile. Lo scrittore Richard de Combray ne traccia l’itinerario umano e professionale.
La prima collezione ufficiale di Giorgio Armani, con la sua “griffe”, nel 1975, ha segnato un nuovo capitolo nel modo di vestire contemporaneo e oppone allo stile romantico del periodo un nuovo “tailoring” contemporaneo. Mentre da un lato George Sand ritornava alla ribalta, dall’altro, come omaggio al suo stile “coraggioso”, l’uomo riprendeva, per un momento, una sua storica flamboyance. Questo volume presenta una ricca selezione delle sue invenzioni di stile, raccogliendo disegni nei quali la posa frontale dei figurini è abolita, e abolita è anche la costruzione articolata del corpo secondo modelli proporzionali un tempo accademici, e quindi, a seconda dei tempi, riprogettata secondo formule diverse: figure allungate, figure slanciatissime, figure senza seno e senza natiche oppure con sento e natiche accentuate. Attraverso queste prove grafiche sarà evidente come Armani lasci per strada il rituale stereotipo della “recita di moda” per intraprendere una via personalissima e originale.
01/01/25
#Armani#Giorgio Armani#121 disegni#6000 copie numerate#copia n.2010#Richard de Combray#Anna Piaggi#Arturo Carlo Quintavalle#Gini Alhadeff#fasion books#fashionbooksmilano
12 notes
·
View notes
Text
Testo del monologo di Scurati censurato dalla Rai
"Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania. In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati. Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola ‘antifascismo’ in occasione del 25 aprile 2023). Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana".
51 notes
·
View notes
Text
Sono trascorsi 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci e, per celebrare questo importante anniversario, torna alla ribalta uno dei suoi dipinti, La Dama in pelliccia, realizzato a Milano tra il 1495 e il 1499 e nascosto per quasi un secolo.
Si tratta di un'opera dal forte impatto emotivo, realizzata su un pannello di pioppo alto 61,5 cm e largo 54,5 cm. Molti sono gli elementi caratteristici dell'artista Leonardo: l'opera raffigura una giovane donna dallo sguardo malinconico e malizioso, con un accenno di sorriso, la cui ambiguità rimanda a quella della Gioconda. La posa delle mani è simile a quella della Dama con l'ermellino.
Sulla base della ricostruzione storica, è molto probabile che l'opera sia stata dipinta nel periodo milanese in cui Leonardo era al servizio di Ludovico il Moro e che il dipinto fosse ancora nelle mani di Leonardo durante il suo soggiorno a Roma e successivamente negli ultimi anni ad Amboise.
Dal 1691 al 1700, l'opera fece parte della collezione privata di Antonio Pignatelli, papa Innocenzo XII. In un successivo passaggio di proprietà, fu scoperta nella residenza di Domenico Morelli, vescovo di Strongoli, poi vescovo di Otranto.
Dal 1975, il dipinto è in possesso di una famiglia residente in Germania, ed è stato ora riportato alla luce da Silvano Vincetti, presidente del Comitato per la valorizzazione del patrimonio storico, culturale e ambientale.
Molti studiosi attribuiscono l'opera a Leonardo senza ombra di dubbio: in un suo scritto del 2 settembre 1921, Adolfo Venturi, uno dei più grandi storici dell'arte del secolo scorso, affermava: "Questo magistrale ritratto di giovane donna dal profilo delicato e gentile è sicuramente opera di Leonardo".
8 notes
·
View notes
Text
La Libreria Utopia risorge dalle proprie ceneri, a pochi passi dalla sua storica sede di Via della Moscova. La nuova Utopia ha riaperto lo scorso 26 settembre, nei nuovi locali di Via Marsala 2. Sempre a Milano.
E con Lucio sulla porta.
Perché Dio è morto, Marx è morto, ma Lucio non lo ammazza nessuno, e le Utopie, quelle, non muoiono mai!
"Questo luogo è un mistero, Daniel, un santuario. Ogni libro, ogni volume che vedi possiede un'anima, l'anima di chi lo ha scritto e di coloro che lo hanno letto, di chi ha vissuto e di chi ha sognato grazie a esso. Ogni volta che un libro cambia proprietario, ogni volta che un nuovo sguardo ne sfiora le pagine, il suo spirito acquista forza.”
Carlos Ruiz Zafón, ( L'ombra del vento)
26 notes
·
View notes
Text
instagram
«Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L'onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l'ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all'ultimo, come aveva lottato per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell'infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania. In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l'omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant'Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati. Queste due concomitanti ricorrenze luttuose - primavera del '24, primavera del '44 - proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica - non soltanto alla fine o occasionalmente - un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell'ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver evitato l'argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l'esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola "antifascismo" in occasione del 25 aprile 2023)»
16 notes
·
View notes
Text
Alle 16 e 37 del 12 dicembre del 1969, un giorno freddo e nebbioso, una bomba esplode nella Banca nazionale dell'Agricoltura in piazza Fontana a Milano, dove erano in corso le contrattazioni del mercato agricolo e del bestiame, causando 17 morti e oltre 80 feriti. Sono passati 54 anni da quella strage, che ha segnato l’inizio della “strategia della tensione” in Italia: un attentato di cui esiste – dopo anni di processi – una verità storica, ma senza che siano mai state accertate le responsabilità personali di esecutori, mandanti e depistatori. Proprio dal cratere scavato dall'esplosivo di Piazza Fontana prende il titolo il podcast e la serie di Flavio Tranquillo "Il Buco nero: storia critica delle strategie della paura", un viaggio dentro stragi, terrorismo e violenza politica del primo mezzo secolo del dopoguerra.
21 notes
·
View notes
Text
"Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L'onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l'ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all'ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro".
"Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell'infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania".
"In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l'omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant'Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati".
"Queste due concomitanti ricorrenze luttuose - primavera del '24, primavera del '44 - proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica - non soltanto alla fine o occasionalmente - un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell'ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via".
"Dopo aver evitato l'argomento in campagna elettorale la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l'esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola "antifascismo" in occasione del 25 aprile 2023)".
"Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell'anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola - antifascismo - non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana".
Antonio Scurati e la versione integrale (non censurata dalla Rai) del suo monologo scritto in ricorrenza del 25 aprile 2024, Festa della Liberazione dal nazifascismo in Italia.
10 notes
·
View notes
Text
Correre a scaricare il libro "Le armi della persuasione" e leggerlo. Pare interessante.
+++ COSA FA DIVENTARE L'AMORE PREZIOSO COME I PRODOTTI IN SALDO DURANTE IL BLACK FRIDAY +++
Eccomi qui a chiedere un vostro aiuto.
Salve, ho 31 anni e vivo in Campania dove gestisco una storica attivita familiare.
Dopo aver avuto varie esperienze con ragazze di altre regioni, tutte finite per la distanza, mi fidanzo con una mia compaesana.
Ora dopo 4 anni di fidanzamento, rapporti familiari molto stretti e quasi in procinto di un matrimonio, lei ottiene un bel contratto a Milano e tra qualche giorno si trasferisce.
Questo ha distrutto tutti i nostri piani che sembravano concordati, lei insiste che dovrei volere il suo bene e non "essere egoista".
Da una relazione semplice di provincia ora passerà a tutt'altra vita e le novità mi spaventano.
Come potrei comportarmi?
Grazie del supporto
+++
Caro amico,
ma che cazzo!
Robert Cialdini è uno psicologo con la faccia devastata dai lifting che ha scritto un libro intitolato "Le armi della persuasione" dove spiega i motivi inconsapevoli che guidano i nostri comportamenti.
La tua storia è minacciata da quello che lui chiama "Principio di scarsità". Ossia più una risorsa è scarsa e più diventa desiderabile e irrinunciabile. Una risorsa può essere scarsa perché ce n'è poca, perché ce n'è tanta ma vedo che diminuisce velocemente, perché posso ottenerla solo per un periodo limitato di tempo o solo per un periodo limitato posso accedervi a condizioni vantaggiose.
Quindi siccome tu sei la sua relazione, l'amore per lei non è una risorsa scarsa. E poi come si dice a Napoli, "Un mulo da maridar te lo cata".
Il lavoro invece continuano tutti a sottolineare che non c'è e moriremo tutti di disoccupazione. Probabilmente nella sua testa è una risorsa scarsa e quindi molto desiderabile.
Le cose forse cambieranno tra dieci anni quando si sarà rotta le palle di Natale del suo lavoro e di Milano e improvvisamente quello che scarseggerà sarà l'intimità con qualcuno. Inizierà una disperata corsa contro il tempo per trovare un partner, una specie di Black Friday dell'amore, e finirà per dare valore a qualcuno il cui unico valore è quello di essere l'ultimo rimasto.
Poi dopo un periodo costellato di relazioni disastrose la risorsa che scarseggerà sarà la tranquillità. A quel punto diventerà desiderabile lasciare perdere sto strazio di cercare un compagno e prenderà un gatto. O dieci.
Questo concetto reso popolare da Cialdini è stato spiegato prima da Jack Brehm negli anni 60, lo chiama reattanza psicologica e dice: ogni volta che la nostra libertà di scelta è minacciata, il bisogno di mantenere quella libertà ci porta a desiderarla molto più di prima.
Riassumendo, un uomo in catene sa benissimo cosa vuole: togliersi le catene. Ma un uomo libero, che cosa vuole?
E così finiamo per indossare delle catene che nessuno ci impone, buttarci nell'acqua legati e tentare disperati numeri di magia per liberarci prima di soffocare.
È quello che succede quando reagiamo verso la famiglia che disapprova il nostro partner desiderandolo ancora di più. O quando lasciamo un lavoro né carne né pesce perché tutti ci dicono che dovremmo accontentarci. Facciamo l'opposto di quello che ci viene chiesto se percepiamo che quella richiesta limita la nostra libertà di scelta.
Quindi chiedere alla tua fidanzata di restare non funzionerà.
Il fatto che lei abbia cercato lavoro a 600 chilometri di distanza da te potrei interpretarlo comeil sintomo di un'insoddisfazione a stare dove sta. Il che, come puoi immaginare, non lascia molto margine di manovra.
In generale, ci sono solo due modi per sfruttare il principio di scarsità a nostro vantaggio in amore. Uno sano e uno tossico.
Il primo, quello sano, consiste nel diventare una risorsa scarsa. Quindi un partner che offre qualcosa che l'altro sa che sarebbe difficile trovare altrove.
Il secondo, quello tossico, fingere di essere una risorsa scarsa. E purtroppo questa in questa deriva ci cascano in tanti. Per esempio ci casca chi fa ingelosire il partner mettendo in mezzo un rivale. O chi lascia il partner per cercare maggiori attenzioni. O chi usa la frase "se continua così ci lasciamo" come spinta motivazionale per indurre il partner a fare meglio.
Tutto questo per dirti che ora lei per te è la risorsa più scarsa della terra perché la stai perdendo. Ma proprio per questo ti sembra più importante di quello che è.
(Sì, il principio di scarsità è anche quella roba che ci fa tornare con l'ex che non abbiamo mai sopportato perché ora che non c'è ci manca)
Quello che farai ora sarà provare a tenere insieme i pezzi della relazione fin quando non sarà più ragionevole provarci. Soffrirai perché la vita è una merda. Dopo rialzerai la testa e incrocerai lo sguardo di una nuova ipotesi di parner. Sarà interessante conoscerla e scegliere cosa raccontare di te. Poi chissà...
Ultima cosa. Sta roba del volere il suo bene o essere egoista, se vuoi spiegargliela, funziona così:
La dicotomia non è tra scelte egoiste o altruiste. Cioè, la tua scelta egoista è volere che resti, la sua è volere andare. Non ha senso ragionare su questo piano.
La dicotomia è tra scelte di coppia o scelte individuali. Lei sta facendo una scelta individuale. Punto. Non puoi biasimarla. Tutto quello che puoi fare è cerca di capire se nella sua scelta individuale c'è ancora spazio per la coppia.
Probabilmente no. Ma su con la vita che tra poco è Natale.
2 notes
·
View notes
Text
Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia
L'Italia non è mai stata capace di esprimere una grande Destra. È questo, probabilmente, il fatto determinante di tutta la sua storia recente. Ma non si tratta di una causa, bensì di un effetto. L'Italia non ha avuto una grande Destra perché non ha avuto una cultura capace di esprimerla. Essa ha potuto esprimere solo quella rozza, ridicola, feroce destra che è il fascismo. In tal senso il neofascismo parlamentare è la fedele continuazione del fascismo tradizionale. Senonché, nel frattempo, ogni forma di continuità storica si è spezzata. Lo «sviluppo», pragmaticamente voluto dal Potere, si è istituito storicamente in una specie di epoché, che ha radicalmente «trasformato», in pochi anni, il mondo italiano. Tale salto «qualitativo» riguarda dunque sia i fascisti che gli antifascisti: si tratta infatti del passaggio di una cultura, fatta di analfabetismo (il popolo) e di umanesimo cencioso (i ceti medi) da un'organizzazione culturale arcaica, all'organizzazione moderna della «cultura di massa». La cosa, in realtà, è enorme: è un fenomeno, insisto, di «mutazione» antropologica. Soprattutto forse perché ciò ha mutato i caratteri necessari del Potere. La «cultura di massa», per esempio, non può essere una cultura ecclesiastica, moralistica e patriottica: essa è infatti direttamente legata al consumo, che ha delle sue leggi interne e una sua autosufficienza ideologica, tali da creare automaticamente un Potere che non sa più che farsene di Chiesa, Patria, Famiglia e altre ubbìe affini. L'omologazione «culturale» che ne è derivata riguarda tutti: popolo e borghesia, operai e sottoproletari. Il contesto sociale è mutato nel senso che si è estremamente unificato. La matrice che genera tutti gli italiani è ormai la stessa. Non c'è più dunque differenza apprezzabile - al di fuori di una scelta politica come schema morto da riempire gesticolando - tra un qualsiasi cittadino italiano fascista e un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicologicamente e, quel che è più impressionante, fisicamente, interscambiabili. Nel comportamento quotidiano, mimico, somatico non c'è niente che distingua - ripeto, al di fuori di un comizio o di un'azione politica - un fascista da un antifascista (di mezza età o giovane: i vecchi, in tal senso possono ancora esser distinti tra loro). Questo per quel che riguarda i fascisti e gli antifascisti medi. Per quel che riguarda gli estremisti, l'omologazione è ancor più radicale.
P. P. Pasolini, dall'articolo: Gli italiani non sono più quelli in Corriere della Sera, 10 giugno 1974. Ora in: P. P. Pasolini, Il fascismo degli antifascisti, Milano, Garzanti, 2022
25 notes
·
View notes
Text
SUL CONCETTO DI EGEMONIA CULTURALE
Nel vasto e variegato panorama della Destra italiana che ormai governa il paese (ma anche regioni, provincie, comuni), dirige televisioni, spopola sui social, indice feste di partito ecc. da qualche tempo ha preso piede il dibattito sulla cosiddetta “egemonia culturale”, espressione di derivazione gramsciana che definiva in realtà una idealità operativa, una “conditio sine qua non” che potesse consentire ad un “blocco storico” di governare la nazione (Gramsci usava spesso il termine “nazione”). Cos’era un “blocco storico”? Secondo quanto elaborato nei “Quaderni” il blocco storico era l’unione del proletariato del Nord con la classe contadina del Sud, sotto la guida degli intellettuali. Certo, anche le terminologie erano di altri tempi (e infatti erano altri tempi), così come lo erano le idee. Ma almeno erano idee. Oggi una Destra con un ampio consenso elettorale, ma con un evidente complesso inferiorità culturale, sembra tutta impegnata a colmare questo “gap”. Lo si vede a livello locale, lo si vede a livello nazionale. E, non per caso, si ritorna a parlare di “egemonia culturale”. Ma mentre la Destra storica, pensando non solo ai soliti Papini e Prezzolini, ma anche a quella destra che costituì la matrice ideologico-artistica dell’eversione fascista, come fu quella di Filippo Tommaso Marinetti e dei futuristi, produceva cultura, la cultura che, ideologicamente opposta, produceva la Sinistra, mentre la Destra di oggi produce poltrone, non nel senso che si sono dati all’industria manufatturiera dell’arredamento, ma nel senso simbolico del termine. Loro pensano che l’egemonia culturale non si costruisca nei teatri con le idee, ma con il figlio del Presidente del Senato infilato nel CDA del Piccolo Teatro di Milano, pensano che non si costruisca con programmi televisivi di grande rilevanza culturale, ma creando le condizioni perché Corrado Augias lasci la Rai. Loro pensano che basti nominare loro simpatizzanti a dirigere musei, biblioteche, assessorati alla cultura, per far sì che questa “egemonia culturale” si compia. Purtroppo per loro e per fortuna per noi, non è così. Gramsci non elaborò questo concetto da una poltrona di un ministero o nel salotto di Bruno Vespa e nemmeno sulle pagine di un social, Gramsci lo elaborò dal carcere, dove era stato rinchiuso dai fascisti, tanto per chiamarli col loro nome. Ed è questo che fa la differenza, perché la “santa guerra dei pezzenti” non la si può condurre dopo una prestigiosa nomina, e nemmeno dalla direzione di un partito che si riunisce in una SPA di lusso. “La rivoluzione” è il lavoro della talpa e per fortuna la talpa continua a scavare nei libri, nei teatri, nella musica, nell’arte, nel cinema e nella coscienza di tutti noi…
10 notes
·
View notes
Text
Bemberg e l'arte di Gruau
Progetto e realizzazione Milano Comunicazione
Testi di Benedetta Barzini
Bemberg, Milano 1995, 126 pagine, 24x30cm, cofanetto in cartoncino nero, Testo bilingue italiano/inglese
euro 180,00
email if you want to buy [email protected]
Edizione originale di questa rassegna celebrativa per i 75 anni della ditta Bemberg. Ricostruzione storica diacronica dei filati più celebri - Cupro e Ortalion - via la produzione grafica ideata da Gruau per la Bemberg
A partire dal 1955 inizia la collaborazione dell’azienda con il famoso grafico René Gruau, pseudonimo di Renato Zavagli Ricciardelli delle Caminate (Rimini, 1909 – Roma, 2004), che crea delle locandine per i prodotti Bemberg nei loro prioritari settori di impiego.
Bemberg era ormai diventato un affermato brand in ambito tessile, il sodalizio con René Gruau, ne consacrò il mito. Dalla sua matita nacquero una serie di raffinati manifesti pubblicitari che rendevano unici e riconoscibili i manufatti Bemberg grazie anche alla sua inconfondibile firma formata da un G con in cima una stella. Gruau è stato un maestro di eleganza e di stile, un grande protagonista nella storia della pubblicità e della moda. 09/02/24
#Bemberg#René Gruau#Benedetta Barzini#manifesti pubblicitari#rare books#fashion books#fashionbooksmilano
28 notes
·
View notes
Text
Il monologo di Antonio Scurati sul 25 aprile che non andrà in onda sulla Rai
ANTONIO SCURATI
Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sottocasa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro.
Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania.
In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944.
Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati.
Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia?
Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via.
Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023).
Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana.
5 notes
·
View notes