#Melodie Magiche
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grazielladwan · 2 months ago
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LO SCAMBIATORE DI MONDI: IL MERCANTE
Immagine creata con IA Anthea si rese conto che lo Scambiatore, una volta compiuto il suo ultimo viaggio, aveva cessato di funzionare. Il meccanismo si bloccò, come se il suo scopo fosse stato esaurito. Tentò più volte di attivarlo, puntando la ghiera o facendo girare la lancetta, ma nessun portale si aprì. Con un sospiro, capì che il suo viaggio attraverso i mondi era giunto alla fine, ma che…
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ilpianistasultetto · 2 years ago
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Burt Bacharach, l'uomo dalle mille eleganze. Uno elegante nel vestire, nel parlare, nella voce e nelle note. Un mondo d'altri tempi dove ancora si credeva alle favole romantiche e certi artisti sapevano suonare i tasti di un pianoforte come sa fare un debole alito di vento con le foglie. Quanta raffinatezza dentro certe melodie, quanto rispetto, quanta vera emozione. Le sue composizioni erano come un profilo di donna nuda dentro una sottoveste di seta quasi trasparente. Dovevi avere il cuore ben predisposto e la mente colma di fantasia per immaginare le scene che raccontava suonando quei tasti bianchi e neri. Un gentleman sempre dentro l'ascensore metaforico della musica. Se n'e' andato lasciandoci un bellissimo book of love pieno di note magiche... @ilpianistasultetto
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danzameccanica · 3 years ago
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I Watain con Trident Wolf Eclipse fecero un po’ tabula rasa delle proprie sonorià e crearono un disco violento, d’impatto, che tributasse gli onori alle vecchie glorie degli anni ’80 dopo un percorso tutto dentro il black metal svedese. Ora, in casa Nuclear Blast, i toni tornano più classici: una ventina d’anni fa se una band finiva su Nuclear Blast aveva il futuro assicurato dal lato economico ma dall’altro equivaleva ad un grandissimo torto fatto a tutti i fan della prima ora. The Agony & Ecstasy of Watain è un album compatto e melodico, che ci fa vedere di nuovo la band dei tempi di Lawless Darkness e The Wild Hunt. Le prime tracce ci dicono ancora che il nostro terzetto (forse oggi sono diventati cinque) è ancora compatto e preparato sulla lezione dei Dissection.
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"Serimosa", una delle tracce più riuscite del disco, evoca melodie magiche, esotiche ed occulte. I Watain sono stati forse la band più importante ad evidenziare i sincretismi di un satanismo mescolato con culti gnostici, quelli del caos e di Kālī e le chitarre di "Serimosa", con i loro arpeggi e l’andamento in mid-tempo evoca un tipico rituale di distruzione, fatto di sangue e fuoco. In questa accattivante iconografia si snodano i Watain di oggi e le loro canzoni che creano lineamenti sempre più lenti, atmosferici e evocativi. La parte più interessante dell’album è la seconda, dopo l’interludio di pianoforte. "Before the Cataclysm" tira fuori i Watain più melodici e violenti, quasi ai tempi di "Sworn to the Dark". "We Remain" però, grazie ai synth e alle voci femminili (di Farida Lemouchi dei Devil’s Blood), porta la band ancora in quei punti più alti della loro discografia: il brano è epico, che si snoda fra blues fumogeno, ricordi gothic alla Tribulation, e una vena progressive che va a braccetto con le magiche e venefiche evocazioni spirituali. La liquidita delle chitarre, il loro cambiare forma e consistenza è coerente con i varie trasformazioni elementali di spiriti e demoni chiamati in causa. La vicinanza iconografica e quasi fraterna coi Devil’s Blood mostra due band diverse ma in fondo poi non così tanto. Le chitarre degli svedesi hanno incorporato tante volte sensazioni degli amici olandesi fondendole col loro songwriting tipicamente swedish. "Funeral Winter" rivela ancora l’amore per (e la connessione spirituale con) i Dissection. Perfetta anche l’epica "Septentrion" che mette fine ad un disco compatto che vede i Watain ancora in forma come i migliori alfieri del black metal svedese. Impossibile non rimanere affascinati dall'intricata iconografia magica, che saluta il compianto Timo Ketola e racchiude tutto il cosmo più nero e maligno delle culture primordiali umane.
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micro961 · 11 months ago
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Mr. Joy Natale senza.. Remixsmas 2023
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La canzone di Natale dedicata alla sua città, Milano
Mr. Joy, dopo il remix de "Il ballo del farfallo", arrivato in cima alle classifiche dance di tutta Italia, torna con il remake del brano natalizio "Natale senza". Con lo zampino del maestro Silvio Melloni (Matia Bazar) e la collaborazione di vari DJ del panorama milanese, rielabora una canzone perfetta per un Natale da poter vivere anche intorno a un tavolo a ballare.
Questa canzone dedicata alle magiche atmosfere, conserva uno spirito molto leggero, com’è nello stile dell’autore milanese, che affida al testo il vero messaggio del brano: un pensiero a chi è più solo. Chi ha perso un amore, chi sente la nostalgia di qualcuno che non c’è più, o chi semplicemente è lontano da casa, può riconoscersi in questo brano che cerca nel ricordo di un Natale passato.
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L'artista è chiuso in studio per la definizione e la chiusura del suo colorato e intenso album che sarà trainato da un singolo originale e unico come nel suo stile dopo la kermesse Sanremese. 
Mr. Joy - alias di Andrea Robicci - nasce a Milano nel 1970, da una famiglia di importanti gioiellieri. A 17 anni si inventa il mestiere di PR e la sua “bigiata party” fa storia nella “Milano da bere”. Diventa un creativo che anima i locali più “in” di tutta Italia e inizia parallelamente la carriera di cantautore e produttore. Mr. Joy esordisce a Milano all’Osteria della Musica in una serata improvvisata, che gli regala una nuova consapevolezza.
Suona e riempie piazze e collabora con il Maestro Massimo Luca, chitarrista e produttore di Lucio Battisti, Grignani, Minetti, Moro e molti altri, arrivando in finale all’Accademia di Sanremo durante la direzione artistica di Pippo Baudo. Pubblica due singoli, poi dopo il tour con Radio Italia, incide il brano “Vivere” prodotto con Gabriele Fersini, chitarrista di Laura Pausini, Biagio Antonacci ed Eros Ramazzotti.
Il 2 settembre pubblica "Pinocchio", brano dedicato alle maschere che ognuno indossa ogni giorno. Mentre a dicembre esce col brano “Natale senza”, la più classica delle melodie per consolare chi si sente solo. Poi l’11 aprile 2023 è la volta del brano “Mancandoti l’aria” e in estate “Il Ballo del Farfallo” legato a doppio filo al suo nuovo romanzo dal titolo proprio “Il Farfallo”. Il remix del "Ballo del Farfallo" si è posizionato nelle settimane di luglio e agosto in testa alle classifiche dance. Tutto questo ad anticipare quello che sarà il nuovo disco di inediti in studio.
Contatti e social
Facebook: facebook.com/mr.joy.music/ Youtube: https://youtube.com/channel/UCzO1rWyRYLmnizSohG_EQAQ Instagram: instagram.com/mrjoy.official Tik Tok: https://www.tiktok.com/@mrjoy.music
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diceriadelluntore · 2 years ago
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Storia Di Musica #230 - John Fahey, America, 1971
Le storie di Luglio saranno dedicate a meravigliosi chitarristi, di svariati generi, per un viaggio differente nel suono dello strumento principe del rock. Il primo di cui racconterò l’ho conosciuto nel modo più stravagante. Tutto nasce quando un carissimo amico cinefilo mi mostrò tempo fa una sequenza di Arancia Meccanica di Stanley Kubrick dove compare una copertina di un disco. Mi disse dato che sei l’esperto, dovresti sapere chi sia. E io da esperto ovviamente non lo sapevo. Però la curiosità si impadronì di quel disco e di quell’artista, e ho fatto ricerche. Come spesso accade in situazioni del genere, si va a scoprire che quel disco e quell’autore sono per bizzarria, genio e altre cose simpatiche, degni di un romanzo. Il disco in questione era The Transfiguration Of Blind Joe Death (1965) e l’artista è John Fahey. Fahey è stato uno dei più grandi, se non il più grande, maestro della chitarra acustica, il re del fingerpicking. È stato pioniere nella autoproduzione dei dischi, fondando da solo la sua casa discografica, la Takoma (dal nome della sua città natale, Takoma Park, un sobborgo di Washington DC), agli inizi degli anni’60. È considerato unanimemente uno dei più fini ed acuti musicologi, enciclopedia vivente della musica tradizionale americana, del bluegrass sua passione e ossessione (tanto che la sua autobiografia si intitola Come il bluegrass mi ha rovinato la vita), ed è stato decisivo nella riscoperta di alcuni dei giganti del blues, come Bukka White o Charlie Patton, su cui scrisse la sua tesi di laurea che fu stampata come titolo a sé nel 1970, dal titolo Charlie Patton, e sullo stesso autore nel 2001 pubblicherà un set antologico con tutte le sue canzone, alcune addirittura inedite da 78 giri degli anni 20, Screamin' And Hollerin' The Blues: The Worlds Of Charley Patton, che vinse ben 3 Grammy Awards. Fahey per tutta la vita ha ricercato la magia del suono solo con la chitarra acustica, con qualche sporadico disco suonato in quintetto, a volte aiutato da qualche strumento a fiato e solo verso la fine della sua vita, con una svolta clamorosa e iconoclasta (ne parleremo brevemente dopo) passò agli strumenti elettrici, per pure sperimentazioni avanguardistiche. Per definire la sua musica credo che nulla possa essere meglio che il titolo di una sua canzone: Guitar Excursions Into The Unknown, da uno dei suoi capolavori The Great San Bernardino Birthday Party & Other Excursions (1966), tanto è che per lui fu coniato il termine di American Primitive Guitar. Autore di melodie e musiche incredibilmente poetiche, eteree, magiche, che spaziavano dal ragtime ai raga indiani, alla musica modale a incredibili viaggi in luoghi lontani, spesso seguendo le ferrovie (sua grande passione) oppure da dedicare ai suoi amori femminili, varie canzoni dedicate a donne che hanno segnato la sua vita, disseminate per tutta la sua discografia ed addirittura un intero disco, stupendo, dedicato ad una The Yellow Princess (1968), sciorinati in titoli barocchi che da soli già mettono curiosità: tra i più belli Dance Of The Inhabitants Of The Palace Of King Phillip XIV da Death Chants, Breakdowns & Military Waltzes (1963) e Commemorative Transfiguration And Communion At Magruder Park da The Yellow Princess (1968). Io ho scoperto la musica di Fahey con questo disco del 1971, in uno dei momenti più alti della sua genialità. America era pensato per essere un doppio album, ma Fahey alla fine pensando fosse un suicidio commerciale per la sua piccolissima etichetta, cambiò idea, e lasciò solo 4 brani. Due tra questi, Mark 1:15 e The Voice Of The Turtle, sono due incredibili ed imperdibili strumentali di oltre 15 minuti in bilico tra magia, misticismo, religiosità. Nell’edizione del 1998 in cd che ho io viene ripresa la scaletta originale: ci sono due stupende versioni del classico Jesus Is a Dying Bedmaker (conosciuta anche come In My Time Of Dying ripresa poi con infinito successo dai Led Zeppelin), Amazing Grace, il terzo movimento della ottava sinfonia di Dvorák, una deliziosa The Waltz That Carried Us Away And Then A Mosquito Came And Ate Up My Sweetheart. L’album è per i cultori della sua musica un capolavoro assoluto. Fahey continuerà la sua carriera per decenni, dando il battesimo ad altri chitarristi geniali, tipo Leo Kottke suo allievo prediletto ma uno dei primi a sconfessare il patrimonio del maestro. La sua figura venne riscoperta in toto, dopo decenni di oblio, negli anni ’90, con il gruppo di musica sperimentale di Jim O’Rourke, i Gastr Del Sol, facendolo conoscere ad una nuova generazione di musicisti riproponendo Dry Bones In The Valley nel 1996 e un anno dopo nel 1997 Fahey fa sue quelle idee e nel suo disco City Of Refuge, nel brano On The Death And Disembowelment Of The New Age si dà alla chitarra elettrica in una prova autodistruttiva di tutta la sua musica magica dei precedenti 40 anni. Morirà, povero e malato, nel 2001. Solo pochi anni più tardi, la rivista Rolling Stone lo colloca al 35° posto tra i più grandi chitarristi di ogni tempo. Se le classifiche hanno mai avuto un senso, quel posto secondo me non ha nessun valore: Fahey rimarrà uno dei più straordinari, magici e delicati chitarristi di tutti i tempi. Ascoltate la magia della sua musica, e vedete se è vero…
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lanottediamsterdam · 4 years ago
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Qui per combattere la noia. Come nasce la tua passione per la musica?
Quando ero piccolo, passavo moltissimo tempo nella mia cameretta a giocare con i vari giochini dei bambini degli anni 90; per la mia prima comunione, a nove anni, il mio padrino mi regalò uno splendido stereo Sony, leggeva i cd, e le audiocassette, così iniziai ad ascoltare un sacco la radio. Questa aveva la splendida funzione di fare da sottofondo alle storie che inventavo, e alle furiose litigate dei miei genitori, aveva il potere di teletrasportarmi in un mondo tutto mio fatto di emozioni meravigliose e melodie magiche. Con il tempo scoprì le audiocassette vergini e così iniziai a creare le mie playlist, ai tempi (mi sento incredibilmente vecchio) si chiamavano ancora compilation o mix, oggi hanno nomi molto più affascinanti come playlist e mixtape. Lasciavo una cassetta vergine inserita nella radio e quando sentivo una canzone che mi piaceva correvo a premere rec, così avevo delle splendide collezioni di canzoni già iniziate da qualche secondo da riascoltare a mio piacimento durante i pomeriggi a giocare. Provavo un'ammirazione esagerata per quegli artisti così li imitavo sulle canzoni, facendo quello che oggi chiamiamo lipsync e da li iniziai a cantare ogni genere di canzone che mi emozionasse. La passione per la musica non è mai più andata via, anzi è diventata una parte fondamentale della mia vita e sinceramente non saprei nemmeno immaginarla senza. Ad oggi la musica e cantare sono forse il modo migliore che conosco per esprimermi ed esprimere le mie emozioni al meglio.
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parolesenzavoce · 5 years ago
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Il pianoforte che non si sentiva
C'era una volta, un pianoforte. Un pianoforte bellissimo, di un nero talmente lucido e brillante da poter riflettere le stelle, dai tasti bianchi come nuvole, e dalla melodia capace di farti volare nei sogni più belli. Purtroppo però, nessuno riusciva a sentire le sue magiche note. Si racconta che solamente se eri in grado di guardare ad occhi chiusi e ascoltare con il cuore, potevi sentire le sue melodie volare nell'aria. Ma dato che nessuno ci riusciva, il pianoforte rimase per anni e anni in un castello, vedendosi passare davanti camerieri, signori eleganti che parlavano di affari, bambini che giocavano, visitatori incuriositi dai quadri, senza che nessuno, si fermasse ad ascoltarlo. Solo che, quando i padroni del castello morirono, l'immenso edificio rimase abbandonato, e con il tempo la vegetazione circondò la struttura e il terreno circostante, diventando un'enorme foresta.
Si racconta ancora, che il castello sia rimasto in quella foresta, con al suo interno, il pianoforte, che nonostante tutti questi anni continua a suonare sperando che qualcuno senta la sua musica. Si dice che se si è davvero capaci di guardare ad occhi chiusi e ad ascoltare con il cuore, lo si possa veramente sentire.
Nonna, ma è una storia vera?
Non lo so, ma io ho sempre pensato che se fosse vera, sarebbe bellissimo, quindi perché non credere nella bellezza?
Ma se non è vera hai creduto in una bugia
No, ho creduto in una storia, ho creduto in un sogno. Tu ci credi ai sogni?
Non lo so
Piccola mia, se credi nei sogni, puoi essere libera di fare quello che vuoi, puoi anche credere in una storia come questa.
Tu dici che lo posso sentire il pianoforte?
Se ci credi davvero, si. Ora vai a dormire però, domani mattina mi racconterai se l'hai sentito va bene?
Va bene nonna, buonanotte
Quella notte, il pianoforte suonò come sempre e, la nipotina dell'unica persona che fino a quel momento era stata in grado di sentirlo, riuscì ad addormentarsi ascoltando una misteriosa ninna nanna proveniente dalla foresta.
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elpisdiary · 5 years ago
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"La nostra esistenza si compone di svariate melodie, che si formano e raccolgono man mano che accumuliamo esperienze, per poi unirsi con lo scopo di creare la colonna sonora che finirà per narrare la storia della nostra vita.
Anche tu, nel tuo piccolo, stai componendo la tua musica personale. E, con le magiche note collezionate nel tempo, stai realizzando quella che sarà la sinfonia più bella di sempre". - S
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cinquecolonnemagazine · 2 years ago
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Andrea Riccio e la sua "Notte Magica"
Sommessamente, il podcast di Cinque Colonne Magazine vi dà il benvenuto all'ultima puntata del mese di Settembre. Ospite della puntata di oggi è Andrea Riccio che ha da poco pubblicato il suo nuovo singolo "Una Notte Magica". Ascolta il podcast Il brano Il sound pop e leggero accompagna questa canzone dell’artista toscano. Dopo un periodo complesso si può finalmente tornare a vivere notti magiche come quella descritta nel pezzo di Andrea Riccio. Un dialogo con una lei che rende speciale il tutto, con ritmo cadenzato e melodie orecchiabili che risultano in una potenziale hit di questa estate: tutto questo e una contagiosa voglia di muoversi a tempo nella nuova uscita, disponibile su tutte le piattaforme. https://www.youtube.com/watch?v=KQvGng9nugw&feature=youtu.be L'ospite di oggi, Andrea Riccio Andrea Riccio è un cantante italiano nato nel settembre del ’96 in provincia di Grosseto. Pubblica il suo primo singolo ‘Verticale’ nel 2017 sotto Saifam Music, seguito dall’Album ‘Andrea’uscito nel giugno 2020. Altri e due singoli dal titolo “Gossip” e “Mi hai rotto i coglioni” e Nel 2021 a seguito della firma con Sorry Mom! pubblica il singolo ‘Tik Tok’, seguito da ‘Soy Loco’, e poi arrivano due singoli per “Be next music” casa discografica distribuita da “Sony Music”, ovvero “Principessa” e “Una notte magica”. Read the full article
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poetyca · 3 years ago
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Siediti – Sit down
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Siediti
Siediti tu siediti qui accanto a me e raccontami ancora la storia del vento o della stella innamorata della luce della luna
Siediti tu siediti ancora una volta accanto al fuoco acceso che riscalda anche questa stagione di colori e malinconie di speranza e Primavera
Siediti tu siediti e suona la tua melodia che viene da lontano attraversando, come lampo le pianure stanche e silenziose accarezzando da sempre l’anima
Siediti tu siediti e chiudi gli occhi perchè questa brezza d’estate accarezza le ali e come ninnananna è soffio di armonia della notte
Siediti tu siediti e racconta ancora la tua favola nuova che accompagna il respiro di questa attesa senza tempo io sempre ascolto in me le tue note magiche
15.06.2011 Poetyca
Sit down
Sit down you sit down here beside me and tell me more the history of the wind or of star fallen in love of moonlight
Sit down you sit down again beside the lit fire that also heats this season of colors and melancholies of hope and Spring
Sit down you sit down and plays your melody that comes from far through, like lightning tired and quiet plains always caressing the soul
Sit down you sit down and close your eyes because this summer breeze Pat the wings and as a lullaby it is for harmony breath of the night
Sit down you sit down and tell me more your new fairy tale that accompanies the breath of this time without waiting I always listen your magical notes
15.06.2011 Poetyca
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grazielladwan · 2 months ago
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LO SCAMBIATORE DI MONDI: IL BAMBINO parte seconda
Immagine creata con IA Anthea, con il bambino tra le braccia, camminava lungo il sentiero di terra battuta che conduceva alla sua casa sulla Terra. Il cielo era limpido, ma dentro di lei c’era solo confusione. La Terra non era la casa del bambino, in realtà un anziano. Doveva riportarlo sul mondo Bambino, ma lo Scambiatore non si sarebbe attivato per portarla in un luogo che non aveva più…
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projectindia · 6 years ago
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I Veda (in alfabeto devanāgarī वेद, sanscrito vedico Vedá) sono antichissimi testi sacri in sanscrito vedico trasmessi dai popoli arii che invasero l’India settentrionale intorno al XX secolo a.C. , i quali fondarono la civiltà religiosa vedica, tracciando le prime linee di pensiero che sono alla base dell’Induismo e di tutte le dottrine e credenze religiose ad esso correlate.
Il termine veda deriva dalla radice indo-ariana vid («conoscere»), che a sua volta deriva dal proto-indoeuropeo Weid, sapere o vedere, come il latino videre. Gli autori dei Veda vengono tradizionalmente ritenuti i rishi. Si tratta dei «veggenti» che grazie alle proprie intuizioni e al soma, una bevanda inebriante, essi si sentono ispirati e incoraggiati a trasmettere quanto hanno appreso all’umanità.
Secondo la tradizione fu il Rishi Krishna Dwaipayana, meglio conosciuto come Veda Vyasa, l’autore di questa opera, affidando poi a 4 suoi discepoli la redazione finale. Molti storici considerano i Veda come uno dei testi più antichi e il cui nucleo centrale si fa risalire alla tarda età del bronzo, pur con parti molto più recenti datate attorno al 500 a.C. Bisogna comunque tener presente che la precedente tradizione orale di questi testi é certamente di gran lunga anteriore.
Si tratta di una raccolta di opere in quattro gruppi: Rig-Veda, Yajur-Veda, Sàma-Veda e Atharva-Veda.
Ogni Veda si divide in diverse  sezioni: Mantra o Samhita, Brahmana, Aranyakas e Upanishad. La parte Mantra è certamente la più antica, mentre le ultime due furono redatte probabilmente intorno all’800-600 a.C.
Lo Yajur-Veda ha per oggetto le formule del sacrificio; il Sàma-Veda, le melodie musicali; l’Atharva-Veda, la raccolta più tarda, nonché un compendio delle teorie mediche indiane, le formule magiche. La raccolta filosoficamente rilevante è il Rig-Veda. L’eterogeneità di visioni e contenuti è imputabile alla redazione di più autori. Vi sono raccolti 1017 inni, suddivisi in dieci libri in cui vengono cantati e adorati molte divinità. Essi corrispondono ai fenomeni naturali: per esempio, Sùrya (il sole), Agni (il fuoco), Dyaus (il cielo) e Vàyu (il vento o l’aria). Vi sono poi altre Divinità più astratte, come Indra, Varuna e Vishnu, che venivano correlate anch’esse in origine a elementi naturali. Indra, che finì per diventare il dio più popolare, era associato al fulmine.
I pensatori del Rig-Veda ritengono che ogni fenomeno naturale sia da considerarsi divino e degno di adorazione. Oltre pantheon di dei, si ammette l’esistenza degli spiriti dei boschi, delle fate (gandharva) e delle damigelle celesti (apsara).
Nel Rig-Veda si celebra l’ordine del mondo (Rita): tutto avviene in conformità a leggi basilari, che si ripetono costantemente. L’uomo tenta di capirle, ma i suoi tentativi rimangono vani davanti al mistero della vita. I pensatori vedici tentano di modellare una società che possa riprodurre questo ordine. Viene accolta l’idea di una stretta corrispondenza tra il micro e il macrocosmo.
Le Caste
Una forte influenza che ancor oggi influisce sulla vita quotidiana degli induisti proviene dal Rig-Veda, 10, 90, il passo in cui si allude alle quattro caste: bràhmani (sacerdoti), kshatriya (guerrieri e principi), vaiçya (agricoltori, artigiani e commercianti) e çùdra (servi e operai).
Le prime tre caste erano quelle dei dominatori ariani, i quali s’imposero sui pacifici abitanti della valle dell’Indo; l’ultima è quella dei vinti, i non-ariani. Verrà anche ammessa una categoria «fuori casta», composta dai membri delle tribù non sottomesse. Ulteriori indicazioni sul comportamento delle caste verranno fornite in un’opera più tarda, il Codice di Manu, relativa al diritto, all’etica e alla politica. Già nel periodo vedico si afferma che ciascun individuo deve restare al proprio posto, e svolgere le funzioni che gli competono, in modo da garantire il perfetto funzionamento della società. Ciò comporta il compimento dei doveri etici (dharma).
Si raccomanda inoltre di amare il prossimo e di essere gentili e ben disposti con tutti. Anche il controllo delle passioni viene suggerito, ma non è ancora l’epoca dell’ascesi: i Veda cantano la vita, la gioia di esistere e il godimento dei fenomeni naturali – per esempio, della bellezza d’un tramonto. Così, i loro autori affermano il mondo. Negli Inni non viene formulata una concezione univoca della condizione post-mortem. In genere, l’uomo è considerato immortale. A seconda della sua buona o cattiva condotta, dopo il decesso fisico, finirà, rispettivamente, nel mondo di Vishnu o di Yama.
I Mantra
I sacri veggenti con le loro penitenze e la ricerca dell’a natura di Dio concepirono i mantra come Suoni Divini. L’Aksara AUM è l’origine dei Veda e del Creato. I Veda sono chiamati anche Sruti che significa nota musicale. Si tratta quindi di versi di lode in metrica, composti per essere recitati a voce alta.
I Brahmana
Sono composti in prosa e si dividono a loro volta in due parti: una che codifica ed interpreta i rituali di sacrificio e l’altra che ne commenta il lato filosofico. Contengono spiegazioni e leggende associate ai vari inni. I sacrifici e il loro minuzioso rituale erano subordinati alla comprensione mistica del rituale stesso. La conoscenza era fondamentale per poter focalizzare l’obiettivo ed ottenere il vantaggio richiesto attraverso i sacrifici.
Gli Aranyakas
Sono testi destinati a coloro che scelgono di dedicare la vita alla ricerca della sapienza, vivendo in eremi o nelle foreste – Aranyas – e focalizzano principalmente il lato filosofico dei sacrifici e dei rituali.
Le Upanishad
Si tratta di commenti aggiunti ai Veda, dove si tenta di esplicare la natura profonda della realtà. Questi trattati mistici si occupano della natura di Dio e della relazione tra l’anima e la materia, rappresentando la vera fruizione del pensiero filosofico e religioso vedico. In essi si manifesta la grande libertà di pensiero espressa in alcuni dei più grandiosi inni del RigVeda; l’incessante ricerca di risposte, l’aspirazione verso le più alte verità si dipanano attraverso diversi punti di vista. Le Upanishad divennero col tempo i veri Veda dei filosofi indù e da queste derivarono le sei Darshana, scuole principali, del pensiero indù.
Lo studio dei Veda divenne obbligo religioso per i maschi appartenenti alle 3 caste superiori in tarda età vedica, mentre è più che probabile che in origine fosse aperto anche alle donne. I Sudra, della 4a casta, ne erano esclusi. Metodi sofisticati di apprendimento mnemonico vennero messi a punto per assicurare la preservazione dei testi, discipline sussidiarie come i Vedanga e letteratura esegetica vennero in seguito sviluppati nelle scuole vediche.
[su_youtube url=”https://www.youtube.com/watch?v=qPcasmn0cRU” width=”700″ height=”500″]
      Per approfondire l’argomento vi consigliamo la seguente lettura; rispettivamente in formato kindle e cartaceo:
I Veda, antichi Testi Sacri fondamento della cultura induista, dai quali proviene la divisione in caste della società indiana, ma precisamente di cosa parlano e da dove provengono i Veda? #spiritualità #induismo #india #incredibleindia #caste #veda I Veda (in alfabeto devanāgarī वेद, sanscrito vedico Vedá) sono antichissimi testi sacri in sanscrito vedico trasmessi dai popoli arii che invasero l'India settentrionale intorno al XX secolo a.C. 
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mrfonardiepippetti · 3 years ago
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Assieme o insieme.
Amplessi di moltitudini celesti in arderdenti passione e maniacali atti d'amore solcano di pathos e di magiche melodie esaustive i nostri animi divisi da barriere di soli e lune di dimensioni e tempi diversi ma legati e uniti da un solo corpo, spirito in una unica esistenza comunicante alle porte degli allegri altari degli inferi superiori e spregiudicati, al pudor comun mortale nelle menti di ognuno di noi.
M. Z.
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thebeautycove · 7 years ago
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DIPTYQUE • 50° Anniversario - TEMPO • FLEUR DE PEAU • Eau de Parfum - Novità 2018 - Il profumi diptyque festeggiano 50 anni. Aver visto passare la storia davanti alle proprie vetrine. Aver viaggiato per il mondo, attraversato tutti i continenti, incontrato e amato tante persone, di ogni colore e cultura. Aver guardato intensamente e osservato molto. Collezionato idee e moltiplicato sorprese. Senza mettere rughe. Dal 1968, anno in cui prendeva vita il primo profumo d'autore - L'Eau - diptyque non ha perduto la propria vivacità creativa, né la voglia di novità, sempre fedele alla curiosità e a quell'allure di raffinatezza che contraddistingue le sue creazioni. Oggi, per celebrare il 50° anniversario del lancio della sua prima fragranza, annuncia la nascita di due nuove composizioni, rispettivamente la 36a e 37a di una collezione in costante evoluzione. Breve storia di una rivoluzione profumata - All'inizio degli anni '60, epoca di grandi trasformazioni culturali e sociali, tre lungimiranti artisti gestiscono un'attività al 34 di blvd Saint Germain a Parigi. I loro nomi sono Desmond Knox-Leet - pittore, Christiane Gautrot - architetto d'interni e Yves Coueslant - scenografo teatrale, uniti nella passione per la sperimentazione, l'innovazione e l'amore per il bello. Nel loro affascinante bazaar, autentico concept store ante litteram, si trovano cose particolari, molte delle quali introvabili. Lanterne magiche, giocattoli preziosi, manufatti in ceramica, cartoleria elegante, tessuti stampati a mano e le prime candele profumate. Grazie a Desmond, di origini britanniche, nel negozio trovano spazio le fragranze inglesi, colonie odorose di lillà e mughetto, aromi sconosciuti per l'epoca come il bay rhum. Due vetrine e tanta immaginazione, col nome diptyque. Nella primavera del 1968 si fa largo il desiderio di reinventare il mondo degli odori. La prima fragranza originale diptyque è un tripudio di spezie con chiara evocazione ai pomander antichi (rosa, chiodi di garofano, cannella, arancia), creata da Desmond, autoproclamatosi naso della Maison, e laconicamente battezzata L'Eau. E' il primo passo verso la reinterpretazione dell'arte profumiera, il primo profumo di nicchia non assegnato ad un genere, la prima fragranza autorale che si distingue per due peculiarità, imprescindibili nel futuro del marchio: i nomi contengono una sonorità in O (Oponé, Ofrésia, Tam Dao, Olène etc) e "l'incidente olfattivo", quella nota inattesa, di rottura, imprevista che sa cogliere di sorpresa e caratterizza ogni composizione. Questa la genesi. Tempo e Fleur de Peau. Ritorno olfattivo al futuro - Due nuove fragranze celebrative per questo importante traguardo: Tempo e Fleur de Peau, omaggi contemporanei all'amato predecessore L'Eau che, dal lontano '68, trasporta l'eco di melodie olfattive divenute manifesto di generazioni. Tempo riprende il tema del patchouli, attualizzandolo in raffinatezza estrema. Vengono impiegati per la composizione tre differenti estratti, provenienti dall'isola di Sulawesi in Indonesia le cui vibrazioni odorose interpretano sentori di terreni umidi di foreste primitive tra felci arborescenti e immensi alberi di teck, una vegetazione fitta, in penombra, nella quale sopravvivono antichissime specie endemiche. Le possenti note boisé dal carattere volitivo sono sottolineate da un'assoluta di mate, che vira al verde canforato con la presenza di foglie di violetta. Un leggero tocco di cacao selvatico, pepe rosa, bergamotto e gelsomino infondono vivace luminosità, l'accordo ambrato conduce sex appeal. Un mix di salvia sclarea e ambrofix dal sentore agrumato aromatico delicatamente animale e traducibile nella morbidezza del daino, anticipa il finale perfezionato dai muschi. L'incidente olfattivo appartiene all'opposizione tra il carattere acido/untuoso della foglia di violetta e l'elemento erbaceo/terroso del patchouli. Fleur de Peau è l'odore della pelle, il sentore intenso di muschio. A volte naturale, importato dal Tibet dove è ancora accessibile, più spesso di sintesi, ricorda i corpi di chi amiamo, olfattivamente riporta alla pelle scamosciata morbida, indossata sul corpo nudo. Per evitare ogni possibile banalizzazione la nota di accostamento scelta è l'iris, freddo, opaco e profondo nell'impatto. L'esordio è vigoroso, un'esplosione di pepe rosa, bergamotto, mandarino e Aldeidi in perfetto contrasto con il divenire morbido e rotondo del jus. Vari muschi conquistano la ribalta, in un rincorrersi di effluvi cuoiati, poudré, fruttati, alternando percezioni carnali, selvagge, soffici. Una dissolvenza incrociata tra rizomi terrosi, ferruginosi, aristocratici e la raffinata vivacità di una rosa turca che ammicca oltre, scivolando tra le volute di un'infusione di ambra grigia con accenti d'inchiostro e iodio per liberare il richiamo di un profumo peace & love. Per diptyque l'illustrazione dei flaconi è un elemento di primaria importanza nella narrazione olfattiva. Per Tempo (illustratore Safia Ouares) viene riprodotta la visione di uno sciamano in comunicazione con la foresta dove nasce il patchouli e vivono spiriti e animali, un universo rigoglioso e misterioso. Sul retro la presenza di un vulcano in eruzione, montagna magica, temibile e insieme benefica poichè dalle ceneri le piante traggono nutrimento. In Fleur de Peau (illustratore Dimitri Rybaltchenko) l'ispirazione è allo psichedelismo, una principessa di rara bellezza si invaghisce del figlio di Afrodite, dopo innumerevoli allucinazioni e calamità i due amanti, già genitori di una figlia chiamata Voluttà, si uniscono per l'eternità. Tempo e Fleur de Peau sono creazioni di Olivier Pescheux. Disponibili nel formato Eau de Parfum 75 ml. presso le profumerie concessionarie esclusive, nelle boutique diptyque di Roma e Milano e nei Bar à Parfums Olfattorio.  ©thebeautycove
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diceriadelluntore · 3 years ago
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Storia Di Musica #199 - The Allman Brothers Band, Fillmore West ‘71, 2019
Sarebbe stato ingiusto non parlare di loro nel mese che ho dedicato alla musica Southern. La Allman Brothers Band è considerata la prima a spingere a fondo la fusione tra rock, blues, improvvisazione di chiara matrice jazz e sono, quasi più che una band, uno stile di vita: sregolatezza, infuocati concerti (negli anni d’oro anche 300 date in un anno), contraddizioni politiche (l’orgoglio sudista), amori illeciti, risse a volte persino sul palco, amore viscerale per i posti dove vivono. Si formano nel 1967 come Allman Joys, per diventare poi Hourglass e infine, fondendosi con i Second Coming, la Allman Brothers Band, nella prima e leggendaria formazione: Duane Allman (chitarra solista e slide guitar), Gregg Allman (organo Hammond B-3 e voce solista), Dickey Betts (chitarra), Berry Oakley (basso, e qualche volta voce), Jai Johanny Johanson detto Jaimoe (batteria e percussioni) e Butch Trucks (altra batteria). La loro musica, sin da subito pirotecnica e spettacolare, incrocia il blues prendendo sia dal suono elettrico dei gruppi inglese che spopolavano negli Stati Uniti (alla Cream) sia da quello americano: i primi due dischi The Allman Brothers Band (1969) e Idlewild South (1970), entrambi prodotti dalla Capricorn, l’etichetta del Southern Rock, sono già delle succulente preparazioni, che però hanno poco successo. Il momento che li consegnerà alla storia del rock avviene il 12 e il 13 Marzo del 1971 quando in uno dei templi della musica americana, il Fillmore East di New York, di proprietà del manager e organizzatore di concerti Bill Graham (e prodotto da Tom Dowd) registrano un’esibizione leggendaria che verrà trasferita nei solchi di At Fillmore East (1971, di cui parlai qui), in uno dei dischi dal vivo più importanti e belli della storia della musica rock occidentale. Ma qualche mese prima, nel teatro gemello che lo stesso Graham aveva a San Francisco, il Fillmore West, in tre magiche serate (29, 30 e 31 Gennaio 1971) la band tenne tre fenomenali concerti: per anni tenuti nei cassetti degli archivisti, fu pubblicato nel 2019 in uno strepitoso e raro quadruplo cofanetto che raccoglie le tre serate esibizione. Il Fillmore West era all’epoca il palcoscenico della rivoluzione che i fenomenali gruppi della zona di Haight Ashbury avevano messo in pratica dilatando le strutture classiche della musica convenzionale, innestando momenti di pure improvvisazione musicale e spirituale, aiutati in questo dall’utilizzo, a fini psico-creativi, delle droghe lisergiche. Al Fillmore oltre ai paladini del rock acido come i Grateful Dead, i Jefferson Airplane, i Quicksilver Messanger Service (che furono l’ultima band a suonare al teatro prima della chiusura) Graham affiancò gruppi minori (i Malo, gli It’s A Beautiful Day) aprendo anche al soul e al jazz (con una storica esibizione di Miles Davis poche settimane dopo la pubblicazione di Bitches’ Brew). Gli Allman raccolgono quelle energie e le trasformano in tre esibizioni magistrali ed emozionanti per potenza, tecnica e coinvolgimento motivo (per la cronaca storica, non erano nemmeno l’esibizione principale, onore che avevano gli Hot Tuna di Jorma Kaukonen). Il primo Cd, dalla qualità di registrazione peggiore (c’è nel box un caveat emptor di avvertimento) segna la prima parte della scaletta anche per gli altri: Statesboro Blues, nata con Blind Willie McTell negli anni ‘20, ma che per la versione degli Allman deve molto alla cover che Taj Mahal ne fece nel 1969, diventando con gli Allman uno dei brani del rock, la Trouble No More di McKinley / Morganfield, Don't Keep Me Wonderin’ di Gregg Allman (da Idlewild South) e poi In Memory of Elizabeth Reed di Dickey Betts  con versioni di 14:28,  11:46 e 12:27 minuti che sviluppano idee e melodie per infinite altre canzoni. Nel primo disco le stupende ballate di Greg Midnight Rider e la sognante Dreams lasciano i fuochi artificiali prima a You Don't Love Me di Willie Cobbs e poi alla prima di tre portentose e selvagge versioni di Whipping Post, altro brano cardine di tutta l’epopea Allman, che nella serata del terzo cd, molto più lunga e corposa degli altri 2, sfonda il tetto dei 20 minuti. Alla festa partecipano anche brani che faranno parte del leggendario concerto di New York al Fillmore East, tra cui Stormy Monday di T-Bone Walker, una torrida versione di Hoochie Coochie Man di Willie Dixon e una versione sensazionale di Hot ‘Lanta, brano che non verrà mai registrato in studio che però rimaneva uno dei momenti clou dei loro concerti. Il 4° cd infatti contiene i 5 minuti di Hot ‘Lanta, i 20 minuti di Whipping post e la versione più audace e cosmica di uno dei loro brani mito: Mountain Jam, che qui sfiora i 46 minuti (!!!!!!), live al The Warehouse di New Orleans nel 1970, riprende il tema di una canzone di Donovan, There’s A Mountain, che durante una serata proprio al Fillmore East Duane suonò insieme a Jerry Garcia dei Grateful Dead e Peter Green dei Fleetwood Mac: da quel piccolo arpeggio si parte per un viaggio cosmico ai confini del suono per scalare la “montagna”, un brano ai limiti dello shock musicale. Il disco si trova facilmente su tutte le piattaforme online, fisicamente è più complicato dato che l’etichetta,  Allman Brothers Band Recording Company, lo ha pubblicato solo negli Stati Uniti. Ma ne vale la pena per la bellezza meravigliosa della musica e come esempio filologico di una delle più grandi rock band di tutti i tempi. 
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khecara · 7 years ago
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“Śr̥ṅgāra rasa: eros in India Rasa è una parola sanscrita che indica la linfa o il succo delle piante. Ma non solo: talvolta indica la quintessenza di un oggetto o di una persona. Ciononostante tale termine si riferisce anche al piacere estetico generato dalla fruizione di un'opera d'arte e, più genericamente, da un'esperienza sentimentale sublime. Ebbene, la teoria dei rasa è contenuta nel Nātyaśāstra di Bharata, il quale descrive una serie di "emozioni" in grado di risvegliare, appunto, determinati rasa. Fra questi, si ricorda il celebre "śr̥ṅgāra rasa" (assaporamento dell'esperienza culminante), volto a definire l'esperienza amorosa. Questo sostantivo sanscrito maschile esprime l’amore, la passione erotica, il desiderio e il godimento. A tal proposito, gli abilissimi pittori indiani si sono prodigati affinché tale "sapore" potesse essere espresso sulle loro incantevoli miniature. Ma anche i poeti, si pensi soprattutto a Bihārī Lāla, non hanno arretrato di fronte alle magiche ed avvolgenti vibrazioni di questo incantevole rasa: "Il suono della vīṇā, l’appagamento della poesia, le melodie piene di emozione, e la gioia nell’unione d’amore. Chi vi è immerso a metà è perduto, chi vi è immerso completamente è salvo".“
Diego Manzi
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