#Margherita Rami
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Famiglia Aldobrandini
Aldobrandini antica nobile famiglia fiorentina, trapiantata a Roma nel XVI secolo. In seguito, si chiamarono del Papa, quando Ippolito Aldobrandini da Fano, del ramo proveniente dalle Marche (dove suo padre Silvestro si trovava esiliato con sua moglie, per i suoi sentimenti antimedicei), venne eletto Pontefice nel 1592, con il nome di Clemente VIII. Nel medio Evo, questa famiglia si divise in tre rami: i Bellincioni furono molte volte eletti alle Magistrature della Repubblica Fiorentina. A Firenze ebbe notorietà con Aldobrandino (1388 - 1453, Magistrato dei Priori (1417), fu dei sedici Gonfalonieri di Compagnia dal 1422 al 1453 (Gonfaloniere di Compagnia porta bandiera della Milizia Urbana), dei Dodici Buonomini nel: 1429 – 1436 – 1436 – 1446, commissario a Montepulciano nel 1428, Gonfaloniere di Giustizia della Repubblica Fiorentina nel 1434. Ramo Aldobrandini di Lippo (forse derivati dai Bellincioni); gli Aldobrandini di Madonna dal quale discese Ippolito poi Papa Clemente VIII. La famiglia attiva in Firenze si arricchì con il commercio. Il mercante Benci Aldobrandini sposò Giovanna “Bugiazza” nata Altoviti, chiamata così per la sua bontà e la dedizione a fare carità (in queste opere pie si unì anche il marito), si guadagnò l’appellativo di “Madonna”. La coppia da sposati, visse nelle case della famiglia in campo Corbolini (l’attuale piazza Madonna degli Aldobrandini), chiamata familiarmente dai fiorentini “Piazza Madonna”. I due coniugi unirono le loro abitazioni e proprietà. Successivamente ampliate dai loro discendenti fino ad erigere nel XVIII secolo il Palazzo Aldobradini del Papa, ancora oggi esistente. Partigiano dei Medici, fu fra coloro che richiamarono dall’esilio Cosimo, mandatovi da Rinaldo degli Albizzi. Giovanni figlio di Aldobrandino (1422- 1481) tenne la carica di Gonfaloniere della Repubblica nel 1476, distaccatosi dall’appoggiare i Medici, fu costretto a ritirarsi dalla vita politica cittadina. Nel 1480 venne inviato come capitano alla città di Sarzana dove vi trovò la morte. Salvestro (1499 – 1558), studiò legge a Pisa, avversario dei Medici, fu fra coloro che cacciarono Ippolito e Alessandro nel 1527, dando vita all’ultima Repubblica. In quel periodo ricopri la carica di primo Cancelliere alle Riformagioni. Con la caduta della Repubblica e il ritorno dei Medici, nella persona di Alessandro primo Duca, venne arrestato e esiliato a Faenza, da lì nel 1533 venne trasferito a Bibbona, da dove riuscì a fuggire trasferendosi in un primo tempo a Rome in seguito a Napoli.
Papa Clemente VIII Ippolito Aldobrandini A Napoli nel 1536, si trovava Carlo V, ospite del Viceré Don Pedro di Toledo. Si unì ad altri fuorusciti fiorentini nell’ambasceria presso l’Imperatore, per perorare le sorti della loro patria. Ma l’intento dei fiorentini non ottenne il risultato sperato, e furono costretti ancora all’esilio. Salvestro passò a Fano, Bologna, e Ferrara. In seguito, Alessandro Farnese Paolo III lo chiamò a Roma, dove in seguito fu nominato avvocato concistoriale. Ippolito suo figlio venne creato cardinale. Con l’aiuto del Farnese poté dedicarsi agli studi universitari presso le città di Padova, Perugia e Bologna. Pio V dimostrò benevolenza verso la famiglia Aldobrandini, li prese sotto la sua ala protettrice. Ippolito ebbe i titoli di: Prefetto di Castel S. Angelo, avvocato concistoriale, uditore del Camerlengo, nel 1569 uditore di Rota al posto del fratello Giovanni nominato vescovo di Imola e poi Cardinale. La nipote del cardinale Ippolito, Olimpia nata a Roma nel 1567 unica erede dei beni dei genitori Pietro Aldobrandini e Flaminia Ferracci, inquanto suo fratello Pietro venne creato cardinale dallo zio Papa Clemente VIII. Nel 1587 sposò Giovanni Francesco Aldobrandini principe di Meldola e Sarsina. Da questo matrimonio nacquero otto figli: Silvestro diventato cardinale, Margherita sposò Ranuccio Farnese IV duca di Parma e Piacenza, Elena sposò Antonio Carafa della Stadera, Giorgio principe di Meldola e Sarsina (titoli ereditati dal padre), Caterina Lesa sposò Marino Caracciolo, Ippolito cardinale, Pietro duca di Carpineto, Maria sposò Giovanni Paolo Sforza. Poi nel 1467 Olimpia sposò Camillo Pamphili. Con l’estinzione dei Pamphili beni di Margherita, passarono definitivamente ai Borghese. Con l’elezione di Ippolito a Papa, gli Aldobrandini si trasferirono definitivamente a Roma, con il dichiarato nepotismo del Pontefice, ne beneficiarono con vari titoli ecclesiastici. Per riconoscenza aggiunsero al cognome l’appellativo del Papa.
Alberto Chiarugi Read the full article
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ROMEO E GIULIETTA
È tradizione ormai inveterata che tutti i registi teatrali, a cominciare dai più grandi, quando devono cimentarsi con un testo classico del teatro, cerchino nelle loro messe in scena di darne una versione “attualizzata”, cerchino insomma di ambientare l’azione nella contemporaneità. Sono pochi i registi che hanno resistito a questa tentazione. Così anche Mario Martone, uno dei più celebrati registi italiani (non solo teatrale, s’intende), ha ceduto al richiamo del “hic et nunc”, nella sua prima regia per il Piccolo Teatro di Milano, dove ha portato in scena “Romeo e Giulietta” di William Shakespeare, scritta presumibilmente tra il 1594 e il 1597. L’operazione, come è facilmente immaginabile comporta dei rischi notevolissimi: opere tanto perfette, fatte di equilibri delicati, orditi e trame calibratissime e veicolatrici di messaggi profondi, di morali solenni o di dubbi amletici, se non maneggiate con cura possono trasformarsi in patetiche boiate o ridicole rappresentazioni. Credo si possa dire che Mario Martone abbia superato più che brillantemente la prova che si presentava piuttosto ardua. L’apertura del sipario con il disvelamento della scena, ha subito fatto ben sperare: un colossale intreccio di rami di un gigantesco albero (o forse l’intersecarsi di più alberi), popolato dai protagonisti del dramma shakesperiano, con una carcassa d’auto e altre tipologie di rifiuti urbani, introducono Montecchi e Capuleti, molto più simili a due gang giovanili che non alle due storiche famiglie veronesi. Il rischio era elevato, non v’è dubbio, ma fin dai primi dialoghi, la bellezza del testo (voglio solo ricordare le funamboliche parole di uno strepitoso Mercuzio, (interpretato da Alessandro Bay Rossi), sembra valorizzata da questa ambientazione che, se da un lato propone una bucolica visione naturale, dall’altro sottolinea la crudezza della cultura urbana nella durezza delle dialettiche famigliari, tematica ben presente nel testo di Shakespeare, come sottolinea lo stesso Martone. Anche l’adattamento dell’opera originale, con ampi inserti di frasi e gesti idiomatici della nostra contemporaneità utilizzati da Chiara Lagani, non solo quindi semplice traduttrice, rende il testo agibile al presente. Se sulla trama è inutile indugiare, trattandosi di un capolavoro della letteratura e del teatro, è certamente utile interrogarsi sulla sontuosa scenografia di Margherita Palli. L’imponente albero, che deve molto alle “macchine ronconiane”, quasi un bosco in sospensione, permette agli attori di muoversi ed agire sui giganteschi rami utilizzati come spazi e camminamenti, mettendo quindi la “natura” del sentimento in luogo della “cultura” della città, quella Verona che fa da sfondo alla vicenda dei due giovani innamorati. Un po’ una contraddizione se vogliamo, anche in considerazione del fatto che gli scontri tra i componenti delle due famiglie sono di natura prettamente urbana. Trenta gli attori, quasi tutti giovani o giovanissimi sulla scena, un formicaio brulicante dove su tutti, non potevano che brillare i due eccezionali protagonisti Romeo (Francesco Gheghi) e Giulietta (Anita Serafini, 15 anni). Una recitazione intensa e mai forzata, un mondo d’amore disperato, ma sempre protetto dall’ostile mondo circostante. Allo Streheler di Milano fino al 6 aprile, disponibile per chi non si voglia perdere un “quasi-capolavoro”.
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Cagliari e la sua Municipalità in festa tra colori, maschere e tradizioni di Carnevale
Cagliari e la sua Municipalità in festa tra colori, maschere e tradizioni di Carnevale Tutto pronto a Cagliari e nella Municipalità di Pirri per celebrare il Carnevale 2024 con una serie di eventi che promettono di trasformare la città in un tripudio di colori e divertimento. La conferenza stampa ospitata stamani a Palazzo Bacaredda ha svelato i dettagli di un programma ricco di tradizioni e festeggiamenti. Oggi (8 febbraio), Giovedì Grasso, la festa partirà con un corteo alle ore 17 dal Bastione. Il percorso attraverserà i quartieri storici di Castello, Marina, Stampace e Villanova, animando le strade con maschere, tamburi e balli. Il divertimento continuerà domenica (11 febbraio) con "Carnevale in famiglia", un altro appuntamento imperdibile. La partenza da piazza Garibaldi alle 17.30 sarà seguita da una festosa marcia, attraversando le vie dello shopping e raggiungendo la piazza Yenne. Le celebrazioni proseguiranno Martedì Grasso (13 febbraio) con l'inizio alle 18 nel Corso Vittorio Emanuele II. Lungo il percorso attraverso via Manno, piazza e via Garibaldi, "i festeggiamenti quest'anno non culmineranno nel piazzale di via Santa Margherita con lo spettacolare rogo di Re Cancioffali per motivi di sicurezza", ha annunciato Matteo Putzu dell'ACS Senza Confini, che coordina l'organizzazione dell'evento. Per gli stessi motivi non sfileranno neanche i carri allegorici. La ratantira, le sfilate e la vivacità della tradizione saranno i protagonisti indiscussi di queste giornate di festa, unendo grandi e piccoli in un abbraccio di allegria carnevalesca. Come la Pentolaccia di domenica 3 marzo al Villaggio dei Pescatori dove dalle ore 18 sono previsti giochi, animazione, spettacoli con artisti di strada e, in forma ridotta, il rogo di Canciofali. All'appuntamento con i cronisti di questa mattina di giovedì 8 febbraio, oltre a Matteo Putzu, Mariano Strazzeri, Fabrizio Aramu e Omar Lecca, rispettivamente di ACS Senza Confini, Comitato Villaggio Pescatori, Sa Ratantira casteddaia e Gruppo Viking che curano l'organizzazione del "Carnevale cagliaritano" 2024 insieme all'associazione Tuvumannu, anche Rita Atzeri dell'associazione il Crogiolo, che invece organizza "Su Carrasciuali pirresu". "Iniziato il 28 gennaio – ha spiegato Atzeri – i festeggiamenti a Pirri continuano oggi, Giovedì Grasso, a Casa Saddi. Con un ticket di 1 euro alle ore 17 si potrà assistere allo spettacolo teatrale "Nais (Rami) e alle ore 20.30 a "Il sogno di un uomo ridicolo", tratto da un racconto di Dostoevkij". Si prosegue l'11 febbraio, domenica di Carnevale, al Parco della Vetreria, con la sfilata delle maschere dalle ore 11 e alle ore 12 "Bingo e la magia delle bolle di sapone". Alle ore 17 Casa Saddi accoglierà "Frammenti rosa", alle ore 19.30 "Ninna nanna per la pace". Il 13 febbraio, Martedì Grasso, sempre a Casa Saddi, gli spettacoli "Mago OZ", alle ore 17, e "Le corna sono come i tacchi slanciano", alle ore 21.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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FLORAÏKU - YOUNG AT HEART- Collezione Enigmatic Flowers - Eau de Parfum - Novità 2021 - Per alcuni è normale essere speciale. Serbano la poesia nell’anima libera e custodiscono nel cuore lo stupore ammaliante dei fanciulli. Ti ricordi quando?... e la memoria si spalanca come un diario aperto sulle pagine della spensieratezza, la fantasia galoppa... le capriole nei prati, i quadrifogli conservati tra le pagine dei libri, la musica a cento decibel, l’attesa del verdetto quando sfogli l’ennesima margherita, le stelle che non ti aspetti illustrate da lui che sa nelle notti limpide e infinite. Come attendere le lucciole d’estate e l’arcobaleno dopo il temporale, sentire raccontare le fiabe della buonanotte con quella cantilena amabile e rilassante. Come incrociare le mani alla nuca, fissare il soffitto e leggere nelle ombre il tuo futuro. Quanta strada fatta e quanta ancora da fare, eh sì, instancabile mente sognatrice, cuore mio temerario. Giappone che passione! sembrano dire le fragranze FLORAÏKU, nelle quali Clara Molloy (fondatrice del brand oltre che di Memo Paris) ha concentrato il suo interesse per l’arte e la cultura del paese del Sol Levante. La poesia Haiku, componimenti ermetici dalla struttura semplice in tre versi per raccontare l’essenzialità delle emozioni, l’indaco colore che appartiene alla tradizione della tintura giapponese, distintivo della collezione Enigmatic Flowers di cui l’ultima creazione Young at Heart fa parte, l’ikebana antica arte di disporre fiori recisi, rami e foglie secondo i principi Zen. Così YOUNG AT HEART interpreta la purezza e la leggerezza della giovinezza, nell’haiku un volo di farfalle variopinte invita a cogliere la leggiadria dell’istante, a far decollare i pensieri senza peso, a liberare la mente nello slancio creativo, provocandola con un’overdose di curiosità. Fresca e gioiosa nei suoi accordi fruttati floreali, la fragranza instilla un senso di incanto nostalgico, la nota acquosa e rinfrescante dell’anguria irrora la morbida dolcezza delle assolute di osmanto e gelsomino. Semplicità complice di felicità. Come assorbita da un vortice di aromi conosciuti, ti ritrovi in quel prato a riguardare le stelle con Sinatra che canta in lontananza. Splendido ed esclusivo il pack che evoca i bento box a custodire il flacone da 50 ml, il cui tappo artistico si trasforma in lussuoso vapo sac con l'inserimento dell'ampolla da 10 ml oltre al tappo dedicato in dotazione. In selezionate profumerie e nelle boutique Campomarzio70. instagram.com/igbeautycove ©thebeautycove
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Giardini & Orti - Fiori & Piante Vocabs
il giardino - garden il giardinaggio - gardening l’erba - grass il prato - lawn, grassland potare - to trim raccogliere - to pick up piantare - to plant innestare - to graft, to insert il tagliaerba - lawnmower le cesoie - shears le forbici - scissors i guanti - gloves la rafia - raffia i filari - rows, lines il restrello - rake la pala - shovel la zappa - hoe la vanga - spade il piccone - mattock l’annaffiatoio (m.) - watering can la carriola - handcart la ramazza - besom il trattore - tractor il diserbante - weedkiller l’erbicida - herbicide l’insetticida - insecticide il concime, il fertilizzante - fertilizer
tagliare il prato / l’erba - to cut the grass potare le piante - to trim plants raccogliere i fiori - to pick up flowers piantare un geranio - to plant a geranium la maturazione della frutta - fruits’ maturation annaffiare/innaffiare le piante - to water the plants il ciliegio (m.) è cresciuto molto - The cherry tree grew up a lot mi piacciono molto le ciliegie (f.) - I really like cherries
il fiore - flower i semi - seeds i bulbi - bulbs la rosa - rose la margherita - daisy il crocus - crocus il tulipano - tulip il garofano - carnation l’orchidea - orchid il dente di leone, il tarassaco - dandelion (1st name lit.: lion’s tooth) la portulaca - portulaca la primula - primrose il mughetto - lily of the valley la viola - pansy, violet la calla - arum lily
la pianta - plant il legno - wood le radici - roots i rami - branches il bocciolo - flower bud i germogli - sprouts, buds l’ortensia - hydrangea la camelia - camellia il geranio - geranium il girasole - sunflower il lillà - lilac la magnolia - magnolia la felce - fern l’azalea - azalea
le piante da frutto - fuit trees il pesco - peach tree il melo - apple tree il ciliegio - cherry tree il pero - pear tree l’albicocco (m.) - apricot tree
l’albero (m.) - tree il cipresso - cypress il faggio - beech il pino - pine l’abete (m.) - spruce il larice - larch la betulla - birch la quercia - oak l’ontano (m.) - alder l’acacia (f.) - acacia il salice piangente - willow tree (lit.: crying willow)
le colture - cultivations coltivare - to cultivate, to farm l’orto (m.) - vegetable garden il campo - field la campagna - country, countryside la fattoria - farm l’agriturismo - holiday farm, agritourism la cascina - country house il frutteto - fruit garden le verdure - vegetables la frutta - fruits il grano / il frumento - wheat il riso - rice il mais / il granturco / il granoturco - corn, maize i pomodori - tomatoes le carote - carrots le zucche - pumpkins le zucchine - zucchini
( more food - vegetables + fruits - here )
#parole words#if you're curious about other stuff tell me and i'll add it#italian#italian langblr#Italian language#langblr#italian vocabulary#vocabulary
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Tagged by @headless-twink and @skiplo-wave
Nickname: Peace (on this website) Leese (in real life)
Star Sign: Aquarius
Favorite Musicians: Don’t really have any. I like a wide variety of genres and artists.
Sports Team: Don’t really have one. Not a big fan of a lot of sports (or the industry)
Lucky number: 36. Though I guess that would be a considered an unlucky number too. 6 x 6 = 36 😨
Dream Vacation: Greece. Or most of the Iberian peninsula. Might be awhile though...
Favorite Foods: Lemon Pepper Chicken Thighs with Creamy Garlic Sauce, Ribeye, scallops, Margherita Pizza, Buffalo wings.
Favorite Drink: Italian Soda and Passion fruit juice.
Celebrity Crush as a Kid: Rami Malek. Started from Night at the Museum when he played the hot pharaoh.
Random Fact: I frequently like to call my self the “recessive genes” of my family. Because I always felt like the black sheep compared to everyone else and didn’t have a whole lot in common with them.
Tagging anyone who wants to play. Way too lazy!!
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Recensione semiseria de "Il Maestro e Margherita"
Il Maestro e Margherita è, senza mezzi termini, uno dei cento libri da leggere almeno una volta nella vita. E, anche se nell'elenco Best Books Ever di Goodreaders sta al 112 posto, lo proclamo senz'altro un capolavoro. È molto difficile parlare di libri difficili. Ma partiamo dall'inizio, o quasi. L'inizio è sempre il solito: quello in cui l'adolescente s'incaponisce nel fare esattamente il contrario di quello che dicono i genitori. In questo caso l'adolescente ero io che mi rifiutavo di leggere i libri osannati dal genitore. Il genitore era Madre, la mia, che faceva, guarda caso, la bibliotecaria. Di libri se ne intendeva. Mentre a me sono serviti altri quindici anni per scoprire il talento di Bulgakov . L'edizione che mi è capitata fra le mani aveva un gatto in copertina, solo in seguito ho scoperto che la maggior parte delle diverse edizioni aveva come soggetto l'immagine di un gatto. Generalmente smilzo, quindi in completo disaccordo col personaggio. Andiamo con ordine.
In copertina: Théophile Alexandre Steinlen, Riapertura del cabaret Chat Noir, 1986 Ambientazione de Il Maestro e Margherita Sullo sfondo Mosca, anni 30, circoli intellettuali, discorsi impegnati, impiegati, scrittori, impiegatucci, umanità varia costretta ad arrangiarsi sotto la morsa feroce del regime che permea ogni atomo. Ed è questo regime il vero Satana, peggio di Woland, l'oscuro Diavolo venuto in visita nella capitale russa in una placida estate come tante. Eppure il regime resta in secondo piano, mai nominato davvero, mai esplicitamente indicato come ragione di tutti i mali. Quando di mali ce n'erano in abbondanza. A capitoli alternati, ci spostiamo indietro di 2000 anni: Gerusalemme, palazzo di Ponzio Pilato, palme, caldo afoso, una decisione da prendere: crocifiggere Jeshua Hanozri oppure... Personaggi de Il Maestro e Margherita Diversamente dal regime, Woland invece è ben presente come personaggio, in primissimo piano, sul palcoscenico addirittura. Un Lucifero profondo come l'inferno, giusto come solo un Innominato può essere, onnipotente, paurosissimo. Ancor di più se si analizza quel modo di dire tutto balcanico (e presente nella maggior parte dei romanzi est-europei) "che il Diavolo ti porti", un "augurio" spaventoso, ma usato con la leggerezza di chi non dà peso alle parole. Specie se indirizzato verso sé stessi: "che il Diavolo mi porti...", specie se si dà il caso che il Diavolo sia nei paraggi. Woland però è oltre lo spauracchio da tenebra, lui è l'essenza della controparte, il peso perfetto sulla bilancia universale. La compagnia di Woland è "piccola, mista e senza malizia": Behemoth – il gatto della copertina per l'appunto, ma molto più ciccione e combina-guai –, Korov'ev, personaggio fastidioso e difficile da inquadrare, Azazelo, un tipo che non promette nulla di buono, e Hella, discinta ragazza dal nome che è tutto un programma.
Behemoth Ph.@Museo di Bulgakov Confesso che inizialmente ho avuto difficoltà nel trovare la chiave di lettura, avevo sentito dire che le chiavi per questo libro erano persino molteplici, ma Korov'ev e Behetmoth mi confondevano non poco: ciarlieri, buffoni, talmente grotteschi da non riuscire a star loro dietro. La vacuità dei loro discorsi innervosiva la mia sete di compiuto, ma non erano vacui, loro, ero io a essere cieca. Solo dopo parecchie pagine ho avuto un'epifania, mi si è aperto finalmente il mondo del libro e improvvisamente mi è sembrato di leggere in una lingua che potevo comprendere. Momento epico. La Donna. Margherita Nikolaevna, personaggio sublime nella sua semplicità assoluta, talmente da rasentare la purezza d'animo, eppure capace di stringere un patto col Diavolo. Esatto. Margherita è pronta a tutto per salvare il suo amore. E, pagato il pegno, al momento di riscattare il suo premio, pensando di essere stata ingannata, non fa domande, non implora giustizia, non piange pietà. Lei è così immensa da congedarsi semplicemente così: "– Stia bene, Messere, – disse ad alta voce e pensò: >" Eppure il Diavolo non inganna, la sua parola è sola verità, quindi messa nuovamente davanti alla scelta del suo premio, Margherita sorprende ancora. Sorprende il lettore, rinunciando a tutto quello per cui si è venduta l'anima, il suo adorato Maestro e, ancor più strabiliante, sorprende Lucifero, che tutto sa (ma questa non se l'aspettava). Nella sua soave pacatezza, Margherita incarna regalmente le mille anime della donna: quella da amante, da strega, da guerriera, quella sacrificale e quella vendicativa, la donna completata dall'amore, eppure completa anche senza. Il Maestro. Se Margherita è pronta a tutto per il suo amore, il Maestro rinuncia a tutto per il suo. Che è il suo libro. Stroncato impietosamente dalla critica. Così, Bulgakov fa vivere al suo personaggio, anch'esso scrittore, l'angustioso tormento che lui stesso ben conosceva: la critica, la censura, il negare la possibilità di scrivere, di pubblicare. Il Maestro si deprime, impazzisce, butta le armi, brucia il manoscritto. Ah, di cosa parlava, il suo libro? Di un posto afoso, pieno di polvere e sabbia e palme, di Ponzio Pilato e di una decisione da prendere... I punti salienti de Il Maestro e Margherita La società che si delinea con chiarezza nel libro di Bulgakov potrebbe essere ovunque, in qualsiasi momento della storia, composta da chiunque. La corruzione, gli escamotage, una mano che lava l'altra, le bassezze umane, il lecca-piedismo, vi suonano conosciute? Ed ecco che è il Diavolo a punire tutto questo, un Diavolo giusto che non se la prende mai con i giusti, un Diavolo amante della verità, della rettitudine e della bellezza, chi l'avrebbe mai detto? Il personaggio negativo per eccellenza che diventa eroe Le ambientazioni quasi oniriche magistralmente descritte: il volo di Marherita sopra la città, il ballo di mezzanotte, la foresta oscura che piega i suoi rami al passaggio di Woland, tu sei lì, ogni volta sei lì e respiri la loro stessa aria pregna di mistero e sottile minacciosità. La storia di Ponzio Pilato: un libro nel libro, il tormento di un uomo che sembra avere solo una scelta, la pacifica rassegnazione di un altro uomo davanti a una scelta già fatta.
Il ballo di Satana Ph.@Pinterest Le frasi de Il Maestro e Margherita La prima freschezza (Il Diavolo al barista disonesto) " – Io, – disse con amarezza il barista, – dirigo il buffet al teatro di Varietà...” L'artista tese la mano, sulle cui dita brillavano gemme, come per sbarrare le labbra del barista, e disse con molto calore: – No, no, no! Non una parola di più! In nessun caso, mai e poi mai! Non metterò mai in bocca niente dal suo buffet! Io, egregio, sono passato ieri vicino al suo banco, e non riesco ancora a dimenticare lo storione e il pecorino! Carissimo! Il pecorino non può essere verde, qualcuno l'ha ingannato. Deve essere bianco. E il tè? È sciacquatura di piatti! Ho visto con i miei occhi una sozza ragazza che versava nel vostro enorme samovar acqua fredda da un secchio, e continuava a servire il tè! No, carissimo, così non va! – Chiedo scusa, – disse Andrej Fokič sbalordito da quel attacco improvviso, – io non sono venuto per questo, e lo storione qui non c'entra... – Come sarebbe a dire, che non c'entra, se è guasto! – Hanno mandato uno storione che non era più di prima freschezza, – comunicò il barista. – Amico, sono assurdità! – Perché assurdità? – Una cosa che non sia più di prima freschezza! La freschezza è una sola: la prima, ed è anche l'ultima. Se lo storione non è più di prima freschezza, vuol dire che è putrefatto." Le giuste regole (Il Diavolo a Margherita) "– Non chieda mai nulla a nessuno! Mai nulla a nessuno e tanto meno a quelli che sono più forti di lei. Ci penseranno loro a offrire e daranno tutto." L'ovvio (Korov'ev al controllo tessere) "– Lei non è Dostoevskij, – disse la donna a cui Korov'ev faceva perdere il filo. – Be', chi lo sa, chi lo sa, – rispose lui. – Dostoevskij è morto, – disse la donna, ma con poca convinzione. – Protesto! – esclamò calorosamente Korov'ev. – Dostoevskij è immortale." L'amore "Ma chi ama, deve condividere la sorte di colui che egli ama." L'atmosfera "E, finalmente, Woland volava anch'egli col suo vero sembiante. Margherita non avrebbe potuto dire di cosa erano fatte le briglie del suo cavallo, e pensava che, forse, erano catenelle di raggi lunari e il cavallo era soltanto un blocco di tenebra, e la criniera di questo cavallo, una nube, e gli speroni del cavaliere, bianche macchie di stelle." Conclusione "Tutto sarà giusto, su questo è costruito il mondo."
La mia invece, di conclusione, non è esattamente in linea con quella di Woland. D'altronde io, di tenebroso, non ho neanche il gatto. E non avendo neppure il tempo dalla mia, devo concludere con un'ovvia amarezza in cui i regimi sono peggio di qualunque immaginario, gli eroi sono tali solo dopo la morte e i salvatori arrivano sempre quando non è rimasto più nulla da salvare. Annabelle Lee Read the full article
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TOward 2030
05-08-2019
Al fine di divulgare e promuovere i Sustainable Development Goals (SDGs), Lavazza e la Città di Torino hanno promosso il progetto TOward 2030 What are you doing? - un’iniziativa di arte urbana che parla di sostenibilità e che entro la fine del 2019 renderà la città, dal centro alla periferia, un amplificatore dei 17 +1 Goal delle Nazioni Unite, attraverso il linguaggio universale della street art.
Goal 11. Città e comunità sostenibili
Il Goal 11 ha come obiettivo quello di rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili.
Ufo Cinque
Corso Regina Margherita 68
In varie tradizioni mitologiche il cervo ha rivestito un ruolo significativo. In particolare, il rinnovo periodico del suo palco è stato visto come simbolo della fecondità, del rinnovo continuo della vita, dei ritmi di crescita, morte e rinascita. Il palco di corna del cervo nell'opera si trasfigura in rami di alberi, che proteggo un grande nido con all'interno un uovo, ovvero l'uovo cosmico, identificato anticamente con l'anima del mondo. Nella parte superiore dell'opera, una città si eleva sopra tutto, la città ideale, che non può esistere senza il suo essere sostenibile, se non in armonia con il ciclo della vita naturale.
Goal 4. Istruzione di qualità
Il Goal 4 ha come obiettivo lo sviluppo sostenibile attraverso un’educazione di qualità, equa e inclusiva, che garantisca un futuro di successo alle giovani generazioni.
Vesod
Viale Ottavio Mai
Noi esseri umani abbiamo imparato a fare la carta dagli alberi e dalla carta i libri. I libri contribuiscono alla nostra conoscenza. Attraverso la conoscenza comprendiamo che per fare altri libri sarà necessario seminare altri alberi. Idealmente questo rappresenta un ciclo vitale in cui uomo e natura vivono in equilibrio, crescendo insieme.
L’opera intende rappresentare questo ciclo utilizzando simbolicamente l’immagine dell’albero, della carta, del libro, del seme.
Ci si propone di affrontare il tema dell’educazione ponendo l’accento in particolare sull’ educazione alla sostenibilità e sul diritto di apprendimento per tutti, uno dei punti da soddisfare entro il 2030.
Continua...
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IL BARONE RAMPANTE
Non è mai facile trasporre un’opera di narrativa in un copione teatrale, qualche volta non è nemmeno legittimo farlo. È ancora più difficile farlo con un testo di Calvino e, difficilissimo, se il testo è conosciuto e riconosciuto come “Il barone rampante”. Ci ha provato il regista Riccardo Frati che lo ha portato in scena con il Piccolo al Teatro Grassi nella scorsa stagione teatrale e lo ripropone, all’inizio di questa, sempre nella stessa sede. Uno spettacolo all’altezza delle aspettative e della grande tradizione del più celebre teatro milanese. Come è noto la vicenda ha inizio con il rifiuto di mangiare un piatto di lumache, rifiuto che il baroncino Cosimo Piovasco di Rondò oppone ai genitori e in particolare alla militaresca madre. In seguito a ciò, per ripicca, Cosimo si rifugia sugli alberi della tenuta e si rifiuta di scendere. Siamo nel 1767, in pieno Illuminismo e in un regno immaginario, e da quel momento il barone Cosimo vivrà sugli alberi come narrato dal di lui fratello Biagio. Cosa ci fa veramente il barone sugli alberi? Difficile da dirsi con precisione e la risposta non è così scontata, poiché gli alberi e la foresta non sono propriamente la lanterna di Diogene. E’ qualcosa di più complesso, quantomeno di più articolato. La spiegazione meno problematica è quella che Biagio dà a Voltaire (sì, proprio lui, il grande filosofo illuminista) che chiede : “Ma vostro fratello sta lassù per avvicinarsi al cielo?” Biagio risponde: “Mio fratello sostiene che chi vuole guardare bene la Terra deve tenersi alla distanza necessaria…” Ma questo suo isolamento dal mondo terreno non deve proprio essere letto come il ritiro dell’intellettuale sulla sua eburnea torre. Al contrario, Cosimo Piovasco di Rondò, ha molto di più i tratti di un “militante”. Ne dà ampia dimostrazione quando durante un incendio del bosco, il barone invoca l’intervento di un altro personaggio del romanzo (e della pièce teatrale), quel Cavaliere Avvocato Enea Silvio Carrega, turcomanno e grande esperto di idraulica, che da tempo progetta un sistema di canalizzazioni e dighe, in grado di irrigare i terreni agricoli e salvare le foreste dalla siccità. La descrizione che Biagio fa delle foglie dei diversi alberi che, con un azzeccato artifizio scenico scorrono sulla scena come antiche lastre fotografiche, sembrano uscire da una lezione sulla tribù degli alberi del Professor Stefano Mancuso, arboricoltore ed ecologista. Diavolo d’un Calvino! In un testo del 1957 aveva già pensato alla vita delle piante, alla siccità e al problema ambientale. E questa coscienza paleo-ambientalista non sembra casuale, anche in considerazione del fatto che nello stesso anno Calvino dà alle stampe un altro testo di scottante attualità (allora come adesso), ovvero “La speculazione edilizia”. Coincidenze o preveggenza a dir poco strabilianti?Insomma il barone rampante è un contestatore che interagisce con la società che lo circonda proprio grazie al suo isolamento. Questo isolamento non influenzerà nemmeno i rapporti sentimentali: la sua relazione con Viola, anch’essa di nobili origini, è reso possibile proprio grazie a quel rifugio su un ramo che sconfina nella vicina proprietà. Dopo tante vicende vissute il barone calviniano, com’è noto, scomparirà trasportato in volo dall’ancora di una mongolfiera…Lo spettacolo messo in scena al Teatro Grassi è certamente di quelli che non si dimenticano, oltre che per la brillante trasposizione del testo narrativo, anche per una regia minuziosa, attenta al testo e per la messa in scena raffinata e molto spettacolare che Riccardo Frati “lascia parlare”, magari con un tocco di compiacimento, ma sempre con grande efficacia. E’ evidente il tributo che Frati paga alle grandi macchine teatrali di Luca Ronconi. Inoltre è anche curioso notare che un’altra grande messa in scena della passata stagione aveva come scenografia principale un intreccio di rami, quelli che Margherita Palli ideò per “Romeo & Giulietta” di Will Shakespeare. “Il Barone rampante” è una grande magia teatrale e anche grazie alle scene di Guia Buzzi.
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Brindisi tra IX e X secolo in balia del 'tutti contro tutti' (parte prima)
Dopo un primo arrivo dei Saraceni a Brindisi – nell’838 – per due secoli
intorno alla città non ci fu null’altro che un desolante ‘tutti contro tutti’
di Gianfranco Perri
Le fonti relative alla storia di Brindisi tra il VI e il X secolo inclusi, sono molto avare, particolarmente avare, costituendo tale carenza quasi assoluta un forte indizio della effettiva mancanza di eventi, circostanze e personaggi da riferire in relazione alla città, un indizio quindi di marcata decadenza, associata, anche e certamente, ad un progressivo accentuato processo di depopolamento ed alla conseguente perdita della stessa fisionomia urbana della città.
Esula dal proposito di questo scritto il trattare delle possibili cause di tale situazione e basti solo accennare che, eventualmente, la prolungata guerra greco-gotica prima, l’esosa occupazione bizantina dopo, una serie di catastrofi naturali e finalmente, l’approssimarsi dei Longobardi ed il susseguirsi delle prime devastanti incursioni saracene, furono tutti eventi che più o meno in successione, per secoli affossarono completamente la città, la sua economia e la sua popolazione. Fino a quando, dopo che nel 1005 Durazzo ritornò sotto il controllo di Costantinopoli, Brindisi fu chiamata a rinascere per svolgere di nuovo una funzione di primo piano nel contesto di un rinnovato e più vasto orizzonte politico di Bisanzio. Una rinascita rimasta incipiente, che però, poco dopo, fu impulsata con decisione dai nuovi arrivati: i Normanni.
Dopo la rovinosa ventennale guerra greco-gotica conclusa nel 553 e dopo la distruttiva conquista longobarda – che per Brindisi si materializzò ai danni dei Bizantini intorno al 680 ad opera di Romualdo I duca Benevento – la città rimase semidistrutta, stremata e ridotta a poco più che un’espressione geografica quasi spopolata, anche se non del tutto abbandonata.
«La documentazione epigrafica indica che ai margini della città rimasero, sia alcuni gruppi di Ebrei – parte stabiliti presso il seno di levante del porto interno e parte presso l’attuale via Tor Pisana, dove vi fu anche un loro sepolcro – e sia qualche altro sparuto gruppo di cittadini stabiliti intorno al vecchio martyrium di San Leucio»1.
«Per il X secolo si hanno rade se non nulle notizie di transiti o approdi, reali o leggendari che siano, nella rada di Brindisi, eccezion fatta, il 908, per le reliquie di Santa Marina o Margherita d’Antiochia che il monaco benedettino pavese Agostino trasferì da Costantinopoli, ove erano conservate nella chiesa della Madonna del Mare, in Italia»2.
Dunque, alla fine del VII secolo, Brindisi, sottratta al controllo bizantino, divenne longobarda e poi per circa un secolo e mezzo di essa non se ne parla più, né se ne sa praticamente nulla, con eccezione – forse la sola – della citazione che ne fa l’anonimo tranese, descrivendola “eversa vero atque diruta” nel suo racconto del trafugamento delle spoglie del protovescovo brindisino San Leucio, effettuato nottetempo da un gruppo di Tranesi ad ulteriore riprova dell’estrema debolezza sociale, oltreché politica ed economica, in cui versava la città con i suoi superstiti abitanti.
Città quindi formalmente longobarda, Brindisi restò tale anche dopo l’arrivo dei Franchi di Carlo Magno che, sceso in Italia nel 771 chiamato dal papa Stefano III e sconfitti i Longobardi nel 774, rinunciò ad estendere il proprio controllo sulle longobarde terre beneventane. Quando poi, nel 787, Carlo decise di compiere una sortita all’interno di quei confini, ottenuta una formale sottomissione del duca Arechi II alla propria autorità, lo elevò a principe. Probabilmente, il re Carlo preferì mantenere in vita quello stato longobardo in un certo qual modo a lui sottomesso, piuttosto che intraprendere impegnative campagne militari che avrebbero potuto attivare pericolose frizioni con il confinante – in quel sud italiano – impero bizantino, nonché stimolare imbarazzanti richieste di ampliamento territoriale verso sud da parte pontificia.
Se ne riparla – di Brindisi – solo nell’838 e se ne riparla perché sullo scenario del Meridione continentale d’Italia è apparso un terzo litigante ad affiancare i due precedenti e già secolari contendenti longobardi e bizantini. Si tratta degli Arabi originari del nord Africa, poi più comunemente detti Saraceni, provenienti dalla loro nuova vicina base, la Sicilia, che da poco più di una decina d’anni – dall’827 – avevano gradualmente cominciato ad occupare (Palermo sarebbe caduta nell’831 e, ultima, Siracusa nell’878) sottraendola ai Bizantini. E perché mai e come mai, i Saraceni provenienti dalla Sicilia giunsero fino a Brindisi?
Accadde semplicemente che, una volta sbarcati e ben insediati nella Sicilia, fu naturale che gli Arabi guardassero all’Italia peninsulare come ad una meta di conquiste e, soprattutto, di scorrerie. Le incursioni e le loro azioni offensive verificatesi nel Meridione d’Italia, infatti, per lo più contrastarono con la stabilità propria dell’insediamento musulmano insulare della Sicilia, dove da subito si manifestarono il desiderio di una durevole conquista e la volontà di includerla nel dominio islamico.
Nel territorio peninsulare, invece, i pochi isolati episodi di conquista, come quelli di Bari e Taranto o sul Garigliano a sud di Gaeta, si estinsero nel giro di due o tre decenni al massimo; mentre per ben due secoli, il IX e il X, quasi l’intero Mezzogiorno visse la presenza musulmana come un endemico flagello di guerra e di rapina, continuamente combattuto – da Bizantini, Veneziani, Longobardi, Pontifici, Franchi – e mai debellato.
E tutto ciò durò così a lungo, anche perché gli Arabi furono abili a inserirsi nelle vicende della tribolata storia altomedievale del Meridione italiano, proprio come avvenne in quella loro prima incursione dell’836 e 837, quando fu lo stesso duca di Napoli, il console Andrea, che li chiamò in suo soccorso contro Sicardo, il principe longobardo di Benevento, che lo aveva assediato.
Da lì in avanti il prosieguo fu inevitabile e, solo un anno dopo, gli Arabi di Sicilia comparvero nelle acque dell’Adriatico e s’impadronirono indisturbati di Brindisi.
«Per idem tempus Agarenorum gens, cum iam Siculorum provinciam aliquos tenuerunt per annos pervasam, iam fretum conabantur transire Italiam occupandam. Dum vero cum multitudine navium fretunque ille transmeassent, sine mora Brindisim civitatem pugnando ceperunt (Chronicon Salernitanum)»
Il duca Sicardo, appena saputolo, accorse da Benevento con numerose forze a cavallo per respingerli, ma la sua corsa si bloccò per un banale tranello: gli assalitori, scavata una lunga e profonda trincera in prossimità dell’ingresso alla città, la ricoprirono con rami e con zolle di terra; quindi vi attirarono l’ingenuo nemico che cadde nella trappola subendo gravissime perdite, e Sicardo riuscì solo fortunosamente a salvarsi.
Quegli Arabi giunti fino a Brindisi, probabilmente in pochi, avuta notizia che dopo lo scacco il duca-principe Sicardo stava facendo grandi preparativi per la rivincita, non esitarono a dar fuoco alla città e a ritirarsi, non senza averla depredata del poco ancora depredabile. Eventualmente, fu anche opera loro la distruzione del monastero bizantino di Santa Maria Veterana [a meno che tale monastero non sia invece stato edificato a fine secolo, in concomitanza con il primo avvio – poi presto interrotto – della ricostruzione bizantina della citta seguita alla riconquista di Niceforo Foca, e sia stato quindi distrutto in una delle successive incursioni saraceno-slave].
Poi, abbandonata momentaneamente Brindisi, alcuni Saraceni si stabilirono una quindicina di chilometri più a nord, nella strategica e protetta baia di Guaceto, ove costruirono un campo trincerato – denominato “ribat” del quale fino a tutto il XVI secolo si scorgevano ancora le rovine – che servì loro come base da cui dedicarsi, a lungo e indisturbati, a organizzare scorrerie per mare e per terra.
I Saraceni, che con l’intervento a favore di Napoli prima e con la presa di Brindisi poi, avevano sperimentato la debolezza del ducato beneventano, nell’840 risalirono le coste della Calabria ed occuparono Taranto e subito dopo, nell’841, riattaccarono la costa adriatica con un primo assalto fallito alla città di Bari, che finalmente fu stabilmente occupata l’anno dopo. Così, oltre che dalla Sicilia, anche da Taranto e soprattutto da Bari – città che divennero sedi di emirati – partirono per anni le incursioni arabe, sempre più penetranti e più incisive, dirette sulle città e sui territori adiacenti appartenenti ai domini bizantini residui in Italia, nonché a quelli longobardi.
La situazione di instabilità causata dalla presenza araba nell’Italia meridionale cominciò finalmente a preoccupare seriamente anche il papa e quegli stessi principi che avevano in qualche modo flirtato con gli Arabi di Sicilia, i quali pensarono bene di richiedere l’aiuto dell’impero, quello dei Franchi – il quarto contendente nello scacchiere dei “tutti contro tutti” – e così, eletto sacro romano imperatore nell’850, Ludovico II nipote di Carlo Magno, nell’852 fu sollecitato a scendere nel sud d’Italia, nel tentativo di liberare le città pugliesi – Bari in primis – dal giogo arabo, ma fallì nell’intento a causa dei contrasti ben presto sorti con i principi longobardi, primordialmente interessati a conservare la propria autonomia.
Fu Venezia poi, con il suo Doge Orso, che nell’864 inviò una flotta di quaranta navi e finalmente batté i Saraceni e permise per qualche anno la restaurazione del dominio bizantino su Taranto. Ciò però, non impedì ai Saraceni di resistere di nuovo allo stesso sacro romano imperatore, il franco Ludovico II, il quale, ridisceso a sud nell’866, in Puglia nell’868 solo riuscì a liberare dall’occupazione araba Matera Canosa e Oria, giacché l’enorme flotta di ben quattrocento navi – comandata dal patrizio Niceta Orifa inviatagli dall’imperatore bizantino nell’869 per supportare l’attacco terrestre a Bari – si ritirò a Corinto e lo lasciò impotente. Ludovico II, infatti, nel mezzo di una disputa ideologica con l’imperatore d’Oriente Basilio I, si era rifiutato di acconsentire al già accordato matrimonio di sua figlia, Ermengarda, con Costantino, figlio di Basilio I.
Nel trascorso di quella campagna, con lo strategico obiettivo di colpire i Saraceni del vicino emirato barese, i Franchi di Ludovico II assediarono e quindi assaltarono e presero – 867 circa – anche Brindisi, che nel frattempo era stata rioccupata dagli Arabi.
«Due reperti archeologici testimoniano l’influenza franca sul territorio brindisino tra fine VIII secolo e inizi del IX. Si tratta di una vera di pozzo e di uno stampo con il nome di santa Petronilla, patrona dei Franchi, che potrebbero essere appartenuti al monastero di Santa Maria Veterana, dai Normanni ricostruito nell’XI secolo per ospitare le suore benedettine – unico edificio religioso documentato in Brindisi per il secolo VIII, nell’ambito della vecchia città»1.
1 G. Carito Lo stato politico economico della città di Brindisi dagli inizi del IV secolo all’anno 670 – 1976
2 G. Carito Brindisi nell’XI secolo: da espressione geografica a civitas restituita – 2013
#Basilio I#Bizantini#Brindisi#Gianfranco Perri#Ludovico II#Saraceni#Pagine della nostra Storia#Spigolature Salentine
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L'usignolo e la rosa – Oscar Wilde
"Ha detto che ballerà con me se le porto rose rosse" esclamò il giovane Studente, "ma in tutto il mio giardino non c'è nemmeno una rosa rossa".
Dal suo nido nel folto della Quercia l'Usignolo lo sentì e guardò attraverso le foglie e si stupì. "Nemmeno una rosa rossa nel mio giardino!" ripeté e i suoi begli occhi si riempirono di lacrime. "Oh! Da che misere cose dipende la felicità! Ho letto tutto quello che i saggi hanno scritto, e possiedo ogni segreto della Filosofia; ma ora, poiché mi manca una rosa rossa, la mia vita è rovinata." "Ecco, dunque, un vero innamorato!" disse l'Usignolo. "Notte dopo notte ho cantato per lui, anche se non lo conoscevo: notte dopo notte ho raccontato la sua storia alle stelle e, finalmente, lo vedo. I suoi capelli sono scuri come il bulbo del giacinto, e le sue labbra sono rosse come la rosa che bramerebbe avere; ma la passione ha reso il suo viso pallido come avorio e il dolore ha impresso il suo sigillo sulla sua fronte". "Il Principe darà un ballo domani sera" mormorò il giovane Studente, "e il mio amore ci andrà. Se le porterò una rosa rossa, lei danzerà con me fino all'alba. Se le porterò una rosa rossa, la potrò tenere tra le mie braccia e lei appoggerà il suo capo sulla mia spalla e la sua mano stringerà la mia. Ma non c'è nemmeno una rosa rossa nel mio giardino, cosicché io siederò da solo e lei mi passerà vicino. Non si curerà di me e il mio cuore sarà spezzato". "Ecco, dunque, un vero innamorato!" disse l'Usignolo. "Per ciò di cui io canto, lui soffre: ciò che è gioia per me, per lui è sofferenza. Certamente l'amore è una cosa meravigliosa. È più prezioso di uno smeraldo e più raro del più splendido opale. Le perle e i granati non riescono a comprarlo, e nemmeno si riesce a trovarlo al mercato. Non può essere acquistato dai mercanti, né può essere pesato su un bilancino per l'oro". "L'orchestra siederà sul palco" disse il giovane Studente, "e suonerà, e il mio amore ballerà al ritmo dell'arpa e del violino. Danzerà con leggerezza, senza nemmeno toccare il pavimento e i cortigiani si affolleranno nei loro vestiti variopinti attorno a lei. Ma con me non ballerà: non ho una rosa rossa da donarle". Detto questo si gettò sull'erba e si coprì il volto con le mani e pianse.
"Perché sta piangendo?" chiese una piccola Lucertola verde, correndo accanto a lui agitando la coda in aria. "Perché, insomma?" chiese una Farfalla, mentre volava in un raggio di sole. "Perché, insomma?" sussurrò una Margherita alla sua vicina con voce bassa e sottile. "Sta piangendo per una rosa rossa" rispose l'Usignolo. "Per una rosa rossa!" esclamarono. "Che cosa ridicola!" E la piccola Lucertola, davvero cinica, gli rise in faccia. Ma l'Usignolo capì il segreto dispiacere dello Studente e rimase silenzioso, appollaiato su un ramo della Quercia, pensando al mistero dell'Amore. Improvvisamente, aprì le sue ali marroni e si librò nell'aria. Passò attraverso il boschetto come un'ombra, e come un'ombra volò attraverso il giardino. Al centro di un'aiuola cresceva un bellissimo Cespuglio di rose, e quando lo vide gli volò sopra, posandosi su di un piccolo ramo. "Dammi una rosa rossa" esclamò, "e ti canterò la mia canzone più dolce". Ma il Cespuglio scrollò il capo. "Le mie rose sono bianche" rispose, "bianche come la schiuma del mare, e più bianche della neve sulle montagne. Ma vai da mio fratello che cresce vicino alla vecchia meridiana, e forse lui ti darà quello che desideri". Così l'Usignolo volò sopra il Cespuglio di rose che cresceva vicino alla vecchia meridiana. "Dammi una rosa rossa" esclamò, "e ti canterò la mia canzone più dolce". Ma il Cespuglio scosse la testa. "Le mie rose sono gialle" rispose, "gialle come il capelli della ninfa marina che siede vicino al trono d'ambra, e più gialle dell'asfodelo che spunta nel prato prima che il giardiniere giunga con la sua falce. Ma vai da mio fratello che cresce vicino alla finestra dello Studente, e forse lui ti darà quello che desideri". Così l'Usignolo volò sopra il Cespuglio di rose che cresceva vicino alla finestra dello studente. "Dammi una rosa rossa" esclamò, "e ti canterò la mia canzone più dolce". Ma il Cespuglio scosse la testa. "Le mie rose sono rosse" rispose, "rosse come le zampe della colomba e più rosse dei grandi ventagli di corallo che ondeggiano nelle caverne dell'oceano. Ma l'inverno ha gelato le mie vene, e il gelo ha fatto cadere i miei germogli, e la tempesta ha spezzato i miei rami, e io non avrò più rose per quest'anno". "Una sola rosa rossa mi basta" insistette l'Usignolo, "solo una rosa rossa! Non c'è nessun modo per averla?" "C'è un modo" disse il Cespuglio, "ma è così terribile che non oso parlartene..." "Dimmelo" replicò l'Usignolo, "non ho paura!" "Se vuoi una rosa rossa" proseguì il Cespuglio, "devi costruirtela con il tuo canto alla luce della Luna, e colorarla col sangue del tuo cuore. Devi cantare per me con il petto squarciato da una spina. Devi cantare tutta la notte e la spina deve straziare il tuo cuore e il tuo sangue, il tuo fluido vitale, deve scorrere nelle mie vene, diventando il mio". "La morte è un caro prezzo da pagare per una rosa rossa" si lamentò l'Usignolo, "e la Vita è cara a tutti. È bello stare nel folto degli alberi e seguire il corso del Sole sul suo carro dorato e della Luna sul suo cocchio di perle. Dolce è il profumo del biancospino e dolci sono le campanule che si nascondono nella valle e l'erica che cresce sulla collina. Però l'Amore è più bello della Vita, e cos'è il cuore di un piccolo uccellino paragonato al cuore di un uomo?" Così l'usignolo distese le sue alucce marroni per il volo e s'innalzò in aria.
Passò il giardino sfiorandolo come un'ombra e come un'ombra volò dentro il folto del boschetto. Il giovane Studente stava ancora disteso sull'erba, come lo aveva lasciato, e le lacrime non si erano ancora asciugate nei suoi splendidi occhi. "Stai allegro" disse l'Usignolo, "stai allegro: avrai la tua rosa rossa. Te la costruirò con il mio canto alla luce della Luna e la colorerò con il sangue del mio cuore. Tutto quello che ti chiedo in cambio è che tu sia un buon innamorato poiché l'Amore è più saggio della Filosofia, benché essa sia saggia e più forte della stessa Forza, la quale è tuttavia potente. Le ali dell'Amore sono colore di fiamma e colore di fiamma è il suo corpo. Le sue labbra sono dolci come il miele e il suo alito è profumato come l'incenso".
Lo Studente alzò la testa dall'erba per ascoltare, ma non poté capire quello che l'Usignolo gli stava dicendo dato che conosceva solo le cose che sono scritte nei libri. Ma la Quercia comprese e si sentì triste, perché amava molto il piccolo Usignolo che aveva costruito il suo nido nel folto dei suoi rami. "Cantami un'ultima canzone" sussurrò, "mi sentirò molto triste quando tu non ci sarai più". Così l'Usignolo cantò per la Quercia e la voce gli uscì dalla gola come acqua che sgorga da un vaso d'argento. Quando concluse il suo canto lo Studente si alzò e tirò fuori di tasca un quaderno e una matita. ' È bella ' disse a se stesso, mentre usciva dal folto del boschetto ' e questo non si può negarlo; ma avrà del sentimento? Ho paura di no. In effetti è come la maggior parte degli artisti: è solo apparenza, apparenza senza sincerità. Non si sacrificherebbe per gli altri. Lei pensa solo alla musica e tutti sanno che le arti sono egoiste. Però bisogna ammettere che ha una bella voce. Che peccato che tutto questo non significhi niente o, comunque, non porti nessun beneficio pratico '. Si diresse, dunque, verso la sua stanza. Si gettò sul suo lettuccio e cominciò a pensare al suo amore; dopo poco si addormentò. E quando la Luna iniziò a splendere in cielo, l'Usignolo volò dal Cespuglio di rose e gettò il suo petto contro una spina. Tutta la notte cantò con il petto contro la spina e la fredda, pallida Luna si sporse ad ascoltare il suo canto. Tutta la notte cantò, e la spina penetrò sempre più profondamente nel suo petto, e il suo sangue, il suo fluido vitale, fuggì da lui. Dapprima cantò della nascita dell'Amore nel cuore di un ragazzo e una ragazza. E sul ramo più alto del Cespuglio di rose spuntò un fiore meraviglioso, petalo dopo petalo, man mano che una canzone seguiva l'altra. Era pallido, all'inizio, come la bruma che cala sulla riva del fiume nel primo mattino, e colore dell'argento, come le ali dell'aurora. Come l'ombra di una rosa in uno specchio d'argento, come l'ombra di una rosa in uno stagno, così si colorò il fiore che cresceva sul ramo più alto del Cespuglio. Ma il Cespuglio disse all'Usignolo di premere più forte contro la spina che gli trafiggeva il petto. "Premi più forte, piccolo Usignolo!" incitò il Cespuglio. "O il Giorno si alzerà prima che la Rosa sia spuntata". Così l'usignolo premette più forte e sempre più alta salì la sua canzone mentre cantava della nascita della passione nell'animo di un uomo e una donna. E un delicato flusso di colore tinse i petali del fiore, simile al rossore che coglie il volto del fidanzato mentre bacia la sua promessa. Ma la spina non aveva ancora raggiunto il suo cuore e per questo motivo il centro dei petali rimaneva bianco: solo il sangue del cuore di un Usignolo può arrossare il cuore di una rosa. E ancora il Cespuglio disse all'Usignolo di premere più forte contro la spina. "Premi più forte, piccolo Usignolo!" incitò il Cespuglio. "O il Giorno si alzerà prima che la Rosa sia spuntata". Così l'usignolo premette più forte e la spina trafisse il suo cuore: sentì una fitta dolorosa. Amaro, amaro fu il dolore e la sua canzone salì sempre più forte: cantava dell'Amore che è reso perfetto dalla Morte, dell'Amore che non può morire in una tomba.
E la meravigliosa rosa divenne cremisi, il colore del cielo ad oriente. Cremisi la ghirlanda dei petali e rosso rubino il cuore del fiore. Ma la voce dell'Usignolo divenne più debole e le sue piccole ali cominciarono a sbattere: un velo gli annebbiò la vista. Sempre più debole saliva la sua canzone e cominciò a sentire qualcosa che gli soffocava la voce in gola. Quindi cantò un'ultima volta. La Luna bianca l'ascoltò e si dimenticò dell'alba incombente, indugiando in cielo. La rosa rossa l'ascoltò e fu scossa da una specie di estasi, aprendo i suoi petali alla fresca brezza del mattino. L'eco portò il suo canto alla sua caverna purpurea sulle colline e svegliò i pastori dai loro sogni. Il suo canto galleggiò attraverso i canneti del fiume e arrivò fino al mare. "Guarda, guarda!" esclamò il Cespuglio. "La rosa ora è spuntata". Ma l'Usignolo non rispose perché giaceva morto nell'erba alta, con una spina piantata nel petto. E a mezzogiorno lo Studente aprì la sua finestra e guardò fuori. "Che fortuna incredibile!" esclamò. "Ecco una rosa rossa! Non ne ho mai vista una uguale in tutta la mia vita. È così bella che sono sicuro che deve avere un lungo nome latino". Si sporse e la colse. Si mise quindi il cappello e andò alla casa del Professore con la rosa in una mano.
La Figlia del Professore era seduta sulla soglia di casa ed era intenta a dipanare dall'arcolaio una matassa di seta azzurra. Il suo cagnolino era accoccolato ai suoi piedi. "Hai detto che avresti danzato con me se ti avessi portato una rosa rossa" cominciò lo Studente. "Eccoti la rosa più rossa del mondo. L'appunterai vicino al tuo cuore stasera e mentre balleremo ti dirà quanto ti amo". Ma la ragazza aggrottò le ciglia. "Ho paura che non si adatti al mio vestito" rispose, "e, inoltre il Nipote del Ciambellano mi ha mandato dei veri gioielli e tutti sanno che i gioielli valgono molto di più dei fiori". "Ebbene, parola mia, sei proprio ingrata" replicò lo Studente arrabbiato, gettando la rosa in strada. Il fiore cadde in un rigagnolo e la ruota di un carro la schiacciò. "Maleducato!" esclamò la ragazza. "Sei proprio maleducato. E dopo tutto chi sei? Solo uno Studente. In verità non credo nemmeno tu abbia fibbie d'argento alle scarpe come il Nipote del Ciambellano." Detto così, si alzò e rientrò in casa. "Che cosa sciocca è l'Amore!" esclamò lo Studente. "Non vale la metà della Logica: non dimostra niente, fa sperare in eventi che non succedono mai e fa credere cose che non sono vere. In effetti è poco utile, mentre in quest'epoca tutto deve essere utile. Tornerò alla Filosofia e studierò la Metafisica".
Così egli ritornò alla sua stanza, tirò fuori un vecchio libro polveroso e si mise a leggerlo.
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Siccome stanotte ho sognato che sparavano a quartodisecolo, giusto per mia pace dei sensi mi diresti teoricamente cosa bisognerebbe fare in quei casi? Colpito una sola volta al basso ventre. Io nel sogno schiacciavo la ferita ma mi sa che facevo peggio.
Peggio no @maewe (bisogna sempre comprimere qualsiasi tipo di ferita penetrante, soprattutto toracica o addominale) ma che possa bastare, assolutamente NO.
Se non sono stati lesionati vasi importanti (l’aorta addominale si biforca più o meno a livello dell’ombelico nei due rami laterali dell’arteria iliaca comune, dietro la massa intestinale), considera che nel ‘basso ventre’ è collocato l’intestino tenue, una cui perforazione porterebbe inevitabilmente a peritonite e morte per setticemia in poco tempo (anche se c’è solo ferita penetrante del peritoneo senza lesione delle anse o, a maggior ragione, se è stata perforata una ansa e il materiale fecale ha contaminato la cavità peritoneale).
Poi, dipenderà dal calibro del proiettile (sul tipo di munizionamento sarebbe superfluo stare a discettare): una cosa è sei hai sparato con un cal.22 (proiettile che oltrepassa appena le fasce addominali), un’altra con un cal.38 (il proiettile penetra nella cavità addominale e lacera le anse intestinali) e un’altra ancora con un cal.45 o .357 Magnum... in quel caso il foro di entrata sarebbe delle dimensioni di una piattino da tè e quello di uscita di una pizza margherita formato famiglia con tutti gli intestini e parte della colonna vertebrale frullati a 15 metri di distanza a decorare le pareti.
Premere con entrambe le mani e l’ausilio di un tampone (asciugamano, straccio etc) e far chiamare il 118 tenendo il paziente sdraiato. Se c’è emorragia addominale venosa ma sono veloci ad accorrere e a trasfondere plasma expanders, forse @quartodisecolo si salva. Con emorragia arteriosa @quartodisecolo insegna agli angeli a guardare Neo che schiva le pallottole dell’Agente Smith. Se non c’è emorragia, viene estratto il proiettile in sala operatoria e Quarto si fa qualche settimana di pappa in vena e bestemmie sulla lingua (con lesione del colon, pure la cacca nel sacchetto).
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"La mattina del 13 luglio, dopo le cerimonie religiose e la processione durante la quale la statua di Santa Margherita attraversa le strade del centro, viene rappresentata la battaglia. Un gruppo di giovani vestiti alla turca armati di lance, alcuni a cavallo altri a piedi marciano mimando una incursione mentre un drappello di tre soldati, mandato in avanscoperta, si trova improvvisamente davanti una misteriosa ragazza che li prega di desistere dai loro propositi distruttivi e poi sparisce. Ma i Saraceni vengono rincuorati dal comandante che li incita a proseguire, fatta poca strada ecco che la fanciulla misteriosamente riappare e li esorta di nuovo a tornare indietro. I Saraceni decidono lo stesso di sferrare l’ultimo attacco, ma si trovano davanti una trave incandescente che sbarra loro il passo, mentre la fanciulla riapparsa di nuovo oltre il fuoco li ammonisce severamente. I belligeranti sconvolti indietreggiano fino alla località la Croce dove decidono di rinunciare all’assedio e al saccheggio e di entrare a Villamagna da amici.
Avanzano fino alla chiesa dove la popolazione è raccolta in preghiera davanti alla statua della santa in cui riconoscono la fanciulla misteriosa e il capitano le dona il suo pennacchio tempestato di gemme. La rappresentazione si conclude con la conversione dei saraceni a cui vengono offerti dolci e vino, mentre la Santa viene omaggiata da fanciulle recanti in testa cesti ricolmi di spighe di grano ornate di rami di basilico, fiori e ciambelle. Queste offerte richiamano alle feste agrarie di ringraziamento di cui fanno spesso menzione i folcloristi del secolo scorso."
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The festa of Santa Margherita. The locals dress as “Saracens” and the patron saint defends their town, Villamagna. Come to the real Italy! www.absolutelyabruzzo.com #absolutelyabruzzo #myabruzzoheritage #italianamerican #abruzzi #heritage #heritage_italy #history #traditional #tradition #festa #villageitaly
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La ferita A Est, il cielo è più chiaro , sopra la città lontana; di un colore che tende al rosa, ma appesantito da qualcosa di grigio, che non è semplice sfumatura, bensì sostanza di pulviscolo vagante. Tutto intorno, il nero delle montagne è punteggiato dalle cento luci dei villaggi sparsi a mezza costa. Non si sentono ancora, fra i rami del ciliegio, gli uccelli proclamare il loro risveglio dal giardino della vicina. Il gatto dell’altra vicina, lasciato all’addiaccio durante la notte, tenta di intrufolarsi in cucina, strusciandosi contro le mie gambe mentre sto uscendo. Non è buio fitto e solo per questo lo vedo e non inciampo. Risalendo la valle lungo la strada del paese ancora addormentato, mi vengono incontro i fari delle poche automobili dirette al lavoro e qualche autobus. Gruppi di studenti sono in attesa alle fermate. L’addetto al distributore attesta la sua presenza presso la stazione di servizio appendendo cartelli alle vetrate dell’ufficio; poco più in là, alcune luci brillano sul retro della panetteria dalle serrande abbassate. Tutti i lampioni sono ancora accesi, sottraendo alla vista il paesaggio che sta intorno. Le ultime case, il campo sportivo; bene allineati sul bordo dei fossi, ammassi fangosi di detriti lì trascinati dalla recente alluvione, ammonticchiati e abbandonati in attesa di ulteriori provvedimenti. Oltrepasso il Malanaggio (De Malasorte), piccola borgata sovrastata da grandi rocce, un tempo luogo di imboscate per chi si apprestava ad entrare nell’alta valle, fino a quando non venne costruita da Napoleone l’attuale strada statale numero 23.L’acqua del torrente alla mia sinistra ha ormai perso l’impeto devastante di qualche giorno prima e gorgoglia appena fra i massi e i cumuli di pietrame del suo letto. Alla base del contrafforte roccioso incombente sulla destra, protetta da un’imponete muraglia, l’ampia curva della strada buca la strettoia all’imbocco della valle del Chisone. Volendo, puoi proseguire all’infinito lungo il corso del torrente in direzione dei valichi persi nell’oscurità e immaginare di fermarti in una delle più rinomate mete turistiche invernali, oppure di raggiungere paesi esteri dai quali non fare ritorno. Se invece non temi l’estraneità delle valli laterali, puoi imboccarne qualcuna a caso, e saprai di esserti addentrato nelle terre di uno dei tanti mondi che non esistono, perché estranei alla coscienza e alla comprensione dei contemporanei. Terre a volte impietose, quando le popolazioni stremate dalle privazioni e dall’isolamento non avevano altra scelta che di valicare a piedi quei monti per cercare lavoro nell’emigrazione, ma anche sicuro rifugio dai persecutori, proprio per l’inaccessibilità e per la conformazione selvaggia dei luoghi. Alla seconda rotonda, dal vecchio ponte a volta, che ha resistito immobile sotto l’urto della piena, per un bizzarro fenomeno ottico fatto di luci ed ombre, sembrano condensarsi in presenze quasi corporee figure di visitatori giunti da molto lontano. Perché, se oltrepassi quel ponte, come gli altri sulla desta orografica che incontrerai man mano che procedi, finirai con l’infilarti, che tu lo sappia o no, in una delle tante fenditure verticali che a intervalli non sempre regolari aprono passaggi momentanei nel muro del tempo. Bastano pochi passi in salita verso le montagne che si elevano alte incontro al cielo, basta un’occhiata ai cartelli stradali, o uno sguardo di sfuggita agli edifici laterali, per cadere a capofitto nella Storia, ma se vuoi muoverti a tuo agio in quella dimensione devi per forza andare a piedi. Ti imbatterai in segnalazioni di percorsi guidati, cartelli esplicativi, aree turistiche attrezzate, frecce direzionali che rimandano a decine di piccoli musei, a rocce a strapiombo, a remoti pianori già sede di adunanze, persino a siti preistorici e incisioni rupestri. Quello che non puoi fare, incontrando abitanti di vecchia data, è di scorgere nella loro fisionomia dei richiami a qualche figura della letteratura europea che puoi esserti immaginato grazie alle letture più diverse. Nessuno scrittore, infatti, ha mai reputato le persone che qui vivono o hanno vissuto suscettibili di essere innalzate a protagoniste di storie che seguano una trama, abbiano un loro sviluppo e una loro conclusione. Niente innamoramenti, né triangoli amorosi, né fughe romantiche, né tradimenti sui quali sorvolare, che sono gli ingredienti ritenuti degni di un racconto scritto che ambisca a trovare un suo mercato. Non che siano mancati accoppiamenti di varia natura, suicidi, adulteri, ubriachezza molesta, botte da orbi, persino omicidi, ma tutta roba che fa parte della tragedia della vita, e di cui è bene tacere. Oppure trasfigurarle in racconti di apparizioni, di sogni, di presenze, narrati a mezza voce a tarda ora, che passino di bocca in bocca a rappresentare un destino comune, e che rimangano impressi nella memoria orale attraverso i nomi dei luoghi e la loro configurazione. Malanaggio; le Garde; il Salto del diavolo; la Roccia delle fate; la Roccia dei folletti; il Lago dell’uomo; la Fontana della peste; il Lago della Malanotte … La costruzione del ponte di San Germano risale al 1836, quando il re Carlo Alberto volle collegare il Vallone del torrente Risagliardo con la strada di Napoleone. Il Risagliardo, in realtà, ha nome Rûzilhart, vale a dire «colui che rosicchia», con sfumature di significato che potrebbero connotarlo anche come «litigioso» o «attaccabrighe», e confluisce nel Chisone in prossimità dell'ex cotonificio Widemann, impiantato all’entrata del paese dal barone Mazzonis di Pralafera nel 1862. Correva l’anno 1894 quando il pastore Carlo Alberto Tron (1850 –1934) fondò l’«Asilo Dei Vecchi - Umberto-Margherita» con l’aiuto economico di vari donatori. L’Asilo fu aperto il primo gennaio 1895, proprio per venire incontro alle necessità più impellenti della popolazione valligiana, umiliata dalla povertà e dall’isolamento. Più risali all’indietro nel tempo, e più ti giunge all’orecchio l’eco di nomi altisonanti, dei quali rimane traccia cospicua nei libri e negli opuscoli. L’Ospizio fatto costruire dal pastore Tron, dunque. Ristrutturato nel 1989 con il sostegno finanziario della popolazione e delle Chiese Evangeliche della Germania e della Svizzera, da severo e un po’ tetro edificio qual era (il primo fu edificato «per raccogliere quei vecchi che sono senza casa e senza famiglia dando loro l’opportunità di vivere in pace»), è stato trasformato in una ampia ed accogliente casa di riposo per anziani, inserita nella rete dei Servizi territoriali, che può ospitare fino a 96 persone. Così la pubblicità. Ad ogni buon conto, tutti continuano a chiamarlo «Asilo dei vecchi», ed è innegabile che quella sia la sua funzione: di essere un asilo, un rifugio, un tetto sopra la testa, un boccone di pane, un bicchier d’acqua, un letto. E di ospitare dei vecchi. Attualmente quella è anche la casa della mia amica. Un giorno mi dice: «Me la puoi recitare, quella poesia che racconta della foglia di faggio che il vento divide dal suo ramo? Mi fa piangere, ma è un pianto che fa bene». E alla fine piange a singhiozzi: «Io sono quella foglia!» L’ultima volta che l’ho vista, la scorsa settimana, si era appena esaurita l’ondata di piena di fine Novembre; tutto intorno rimanevano le strade comunali ostruite dalle frane, le borgate isolate, gli acquedotti danneggiati, gli alberi divelti. Il Chisone aveva da poco restituito la sua vittima di qualche giorno prima, ghermita alcuni chilometri più a monte, e abbandonata nei pressi del ponte alla compassione di un isolotto appena riemerso. Con occhi senza lacrime e sbarrati sulla scena del sogno dal quale non riusciva a districarsi, scrutava nelle profondità di mondi paralleli, che lei continuava a vedere davvero. Scenario di sostegno e responsabilità condivise, ma anche di debolezza, di tradimento e di abbandono. Tre donne ancora giovani, che si conoscono molto bene, si preparano a un incontro importante con altre donne per l’indomani. Tutte le camere dell’albergo che le ospita sono occupate, tranne una. Il letto che la arreda, dalle dimensioni insolite, ne ingombra quasi tutto lo spazio, ma si presta bene ad accoglierle tutte e tre: due dalla parte della testa, una dalla parte dei piedi. «Mi ero appena addormentata, quando un chiodo mi lacera le carni. Dalla coscia all’ascella, tutto il fianco destro. Scendo dal letto per chiedere aiuto, e mi accorgo che la responsabile che riposava accanto a me è andata via. Provo a svegliare la seconda compagna, all’altro capo del letto, ma la vedo infilarsi in modo brusco sotto le coperte, che si spostano piano, segnando l’onda del suo corpo strisciante. Tutta la superficie dove dormiva è bagnata al tatto e lo spazio del suo nascondiglio si fa sempre più profondo. Suona un telefono, dal comodino. È mio fratello, che mi grida: c’è l’alluvione! Vengo a prenderti. Esci da quell’albergo, ché è un posto orribile! Ma mio fratello non è più con noi ormai da molti anni. Mi ha telefonato dall’aldilà! Chi mi ha ferita in questo modo? Provo a scappare dell’albergo. Lunghi corridoi, con tante porte chiuse. Solo una è aperta, e dà sulle scale, ma a quelle scale non ci arrivo. Ti posso far vedere la ferita? Scusa, mi dispiace, devo sollevare la camicia da notte e non ho niente sotto. Non dirmi che non vedi il segno del chiodo!» «Lo vedo, dico. Ma non sanguina più». E mentre, piano piano, lo sguardo le si fa più presente, passi echeggiano nel corridoio, un rotolìo di ruote di carrelli, un tintinnìo di stoviglie. Porte che si aprono dopo il riposo pomeridiano degli ospiti, voci che si rincorrono. Tutto torna al presente, ora, in questo Asilo. Dicembre 2016
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In prima linea per il Covid-19, il dottor Carlo Alfaro fa il punto della situazione partendo dall’origine fino alla sua attuale evoluzione
Il dottor Alfaro è Dirigente Medico di Pediatria presso gli Ospedali Riuniti Stabiesi, componente della Consulta Sanità del Comune di Sorrento, Consigliere Nazionale di SIMA e Responsabile del Settore Medicina e Chirurgia dell’Associazione Scientificò-culturale SLAM
di Carlo Alfaro
Il Coronavirus è in Italia. La Cina sembrava così lontana con i suoi malati e morti di Coronavirus e le immagini surreali di intere città svuotate e spente, che osservavamo a distanza come fosse un medical thriller, eppure, a distanza di due mesi dall’esordio dell’epidemia, in pochi giorni è cambiato tutto e addirittura l’Italia è tra i tre Paesi, con Corea del Sud e Iran, che rilevano il più alto numero di casi al di fuori della Cina (forse, dicono gli esperti, anche perché li abbiamo cercati più attivamente di altri Paesi europei) e ci sono addirittura 24 casi, secondo l’Oms, esportati dall’Italia in 14 Paesi, compresa la Cina stessa.
Il dottor Carlo Alfaro
Mentre il Presidente della Repubblica, in una dichiarazione alla Nazione, invita ad essere uniti per sconfiggere il virus, e sempre più Paesi chiudono le frontiere agli Italiani, considerati pericolosi per la trasmissione del nuovo virus, ogni giorno attendiamo con apprensione il bollettino diffuso in conferenza stampa alle 18 dal commissario straordinario per l’emergenza Coronavirus, e capo della protezione civile, Angelo Borrelli.
Maschera sanitaria filtrant
All’8 marzo, una surreale Giornata della Donna senza feste e senza baci e abbracci, si contano 7.375 contagiati, di cui 650 in terapia intensiva e 366 deceduti. Solo nelle ultime 24 ore ci sono stati 1.492 nuovi contagi, 769 dei quali nella sola Lombardia, e 133 decessi. Sono coinvolte tutte e 20 le Regioni, nell’ordine: 4.189 casi in Lombardia, 1.180 in Emilia-Romagna, 670 in Veneto, 360 in Piemonte, 272 nelle Marche, 166 in Toscana, 101 in Campania, 87 in Lazio, 78 in Liguria, 57 in Friuli Venezia Giulia, 53 in Sicilia, 40 in Puglia, 26 in Umbria, 23 in Provincia autonoma di Trento, 17 in Abruzzo, 14 in Molise, 11 in Sardegna, 9 in Provincia autonoma di Bolzano, Valle d’Aosta, Calabria, 4 in Basilicata.
La diffusione del contagio
L’epidemia in Italia è cominciata in due focolai, apparentemente non collegati tra di loro: uno nel lodigiano, in Lombardia, costituito da 10 piccoli Comuni abitati da un totale di oltre 50mila persone, e un altro in Veneto, nell’area di Vo’ Euganeo, in provincia di Padova. La maggior parte dei restanti casi in Italia sarebbero collegati ad importazioni dal “cluster” lombardo-veneto.
Il primo caso di contagio locale in Italia (caso “indice” o paziente numero 1) è stato annunciato nella notte tra il 20 e il 21 febbraio: un 38enne di Castiglione d’Adda, in provincia di Lodi, affetto da una forma grave e ricoverato tuttora all’ospedale di Codogno (i casi precedenti, il 30 gennaio una coppia di turisti cinesi provenienti da Wuhan, città focolaio dell’epidemia, e il 6 febbraio un ricercatore italiano arrivato dalla Cina, curati e guariti allo Spallanzani di Roma, erano importati e non hanno dato luogo a focolai).
Nei giorni precedenti al ricovero, il 38enne ha condotto la vita di tutti i giorni: è andato al lavoro, nel reparto amministrazione dell’Unilever di Casalpusterlengo, ha partecipato a due corse – una mezza maratona a Santa Margherita Ligure il 2 febbraio e una il 9 con la sua squadra a Sant’Angelo Lodigiano – ha giocato a calcetto, è stato ad almeno tre cene e incontri di lavoro.
Dal caso indice il virus si è diffuso a macchia d’olio, considerando che il paziente ha avuto nei due giorni prima della diagnosi rapporti con 120 colleghi, 80 persone della sua più stretta cerchia di amici, a partire dai 40 della sua squadra di corsa, 70 tra medici e personale sanitario, oltre ad altri pazienti, anche perché all’ospedale di Codogno, dove ha praticato due accessi, non essendo stato subito diagnosticato, è stato trattato senza le precauzioni del caso, trasformandosi in uno spaventoso amplificatore del contagio.
Non è stato possibile individuare, invece, il paziente o i pazienti zero da cui è partito il contagio, il che avrebbe consentito di tracciare l’intera linea della catena del contagio e tutti i rami di diffusione dell’epidemia, ma oramai, data l’ampia diffusione raggiunta, questo non ha più importanza.
Gli esperti presuppongono che il virus, venuto dalla Cina, abbia iniziato a circolare nel Nord-Est d’Italia, che ha forti contatti commerciali con il Paese orientale, già prima della fine di gennaio, quando ancora i voli non erano bloccati: vari soggetti non identificati avranno preso l’infezione in forma lieve, con sintomi comuni (febbre, tosse) e l’avranno diffusa nell’epicentro dell’epidemia, nel lodigiano; altri “pazienti zero” potrebbero essere implicati in altri piccoli focolai.
Dopo il primo caso clinicamente rilevante, l’Italia ha adottato la strategia di sottoporre al prelievo con tampone faringeo per la ricerca del virus tutti i contatti delle persone malate, arrivando ad eseguire ad oggi oltre 34mila tamponi, a dispetto delle indicazioni dell’Oms di ricercare il virus solo in presenza di sintomi di sospetto e su eventuali contatti stretti di casi confermati, dato che la positività del test non fornisce indicazioni utili ai fini clinici o terapeutici.
Dal 27 febbraio, il Consiglio superiore di sanità ha deciso di cambiare la strategia di rilevazione: non più test a tappeto anche a soggetti asintomatici ma solo a chi ha i sintomi di un’infezione respiratoria sospetta, cioè con sintomi simil-influenzali (ILI: Influenza-Like Illness, definita dall’improvviso e rapido insorgere di almeno uno tra i sintomi generali di febbre/febbricola, malessere/spossatezza, mal di testa, dolori muscolari e, almeno uno tra i sintomi respiratori di tosse, mal di gola, respiro affannoso) e proviene da una zona a rischio o ha avuto stretto contatto con un caso confermato negli ultimi 14 giorni, oppure con sintomi gravi quali Sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS: Acute Respiratory Distress Syndrome,) o Infezione Respiratoria Acuta Grave (SARI: Severe Acute Respiratory Infections).
La nascita dell’epidemia
Il 31 dicembre 2019, la Commissione Sanitaria Municipale della città di Wuhan, nella provincia cinese di Hubei, ha segnalato all’Oms un cluster (focolaio) di casi di polmonite ad eziologia ignota con quadro radiografico a vetro smerigliato. Wuhan è una metropoli di 11 milioni di abitanti, dotata di aeroporto, ed è la città più grande della Cina centrale. L’epidemia è esplosa in modo esponenziale e dall’epicentro i casi sono stati esportati in altre città cinesi e fuori dalla Cina. Il 9 gennaio 2020, il China CDC (Center for Disease Control) ha identificato e sequenziato quale agente eziologico dell’epidemia un nuovo ceppo di Coronavirus, che non era mai stato trovato prima negli esseri umani, denominato provvisoriamente “novel 2019 Coronavirus” o 2019-nCoV. Il 20 gennaio la National Health Commission cinese (massima istituzione sanitaria nel Paese) ha confermato che il nuovo virus si può trasmettere da uomo a uomo, il che ne fa un virus potenzialmente capace di creare una pandemia. Gli studi sui genomi virali isolati suggeriscono che il virus si sia sviluppato presso il mercato ittico di Wuhan, dove, passando da un animale serbatoio ancora sconosciuto all’uomo, sarebbe mutato acquisendo la possibilità di trasmettersi ad altri umani. I contagi sarebbero iniziati tra la seconda metà di ottobre e la prima metà di novembre 2019, ma è stato a dicembre 2019 che il virus ha manifestato una forte accelerazione nella capacità di propagazione, avendo probabilmente acquisito una maggiore rapidità ed efficienza di trasmissione.
Il salto di specie
Per passare da una specie all’altra (“salto di specie” o “spillover”) i virus devono mutare il loro patrimonio genetico. I Coronavirus, come gli altri virus a RNA, tendono a mutare facilmente. Anche in casi precedenti di gravi epidemie influenzali erano in gioco nuove varianti virali che dal serbatoio animale si erano adattate all’uomo: la SARS nel 2002 dai pipistrelli agli zibetti e poi all’uomo, nel 2009 l’influenza A H1N1 (aviaria) dagli uccelli ai suini e da questi all’uomo, nel 2012 la MERS dai pipistrelli ai dromedari e poi all’uomo.
Dopo il salto di specie, il virus può mutare ancora e diventare capace di passare da uomo a uomo, moltiplicando esponenzialmente la capacità di diffusione. Non è ancora chiaro in quale specie si sia originato il nuovo Coronavirus. Le analisi genetiche suggeriscono che i pipistrelli siano i suoi ospiti originali, dato il suo stretto legame con altri coronavirus che circolano in questo mammifero, tuttavia un altro animale (probabilmente presente al mercato ittico di Wuhan) ha agito da ospite intermediario (transfert) tra pipistrelli e umani. L’ipotesi dei serpenti, nei quali il virus, trasmesso dai pipistrelli, si sarebbe ricombinato e poi passato all’uomo per ingestione, è poco accettata dato che i Coronavirus hanno infettato sinora solo mammiferi e uccelli e non ci sono evidenze che possa svilupparsi in altre specie animali.
Il micidiale salto di specie del virus si collega strettamente comunque ai mercati di animali vivi diffusi in Asia e in Africa, detti “wet market” (“mercati bagnati”) per l’abbondante quantità di acqua usata per ripulire i pavimenti: in questi luoghi si vendono animali vivi di ogni tipo (anche selvatici) destinati all’alimentazione umana, in condizioni igieniche scadenti per l’estremo affollamento e l’eccessiva promiscuità tra animali, alimenti e uomo, che possono creare un mix epidemiologico esplosivo: spesso gli animali sono macellati e scuoiati sul posto, col rischio di diffondere goccioline di sangue e liquidi organici nell’aria e infettare cibi e bevande, mentre mani non pulite possono toccare e contaminare la merce. Inoltre un fattore di rischio è collegato al consumo, collegato a questi mercati, della “bushmeat”, letteralmente “carne da cespuglio”, la selvaggina tropicale (scimmie, roditori, uccelli, rettili) che è una fonte di cibo classica nelle culture di popolazioni di Asia, Africa e Sudamerica. L’infezione è partita tra quanti avevano frequentato il Mercato Ittico Huanan della città di Wuhan: un mercato di prodotti ittici dove oltre al pesce fresco e ai frutti di mare vengono esposti e venduti animali vivi, domestici e selvatici, quali volatili, conigli, maiali, pipistrelli, serpenti, tassi, porcospini, zibetti, molti dei quali noti come riserve di virus capaci di “saltare” all’uomo.
I Coronavirus
I Coronavirus (CoV) sono una vasta famiglia di virus a RNA responsabili di infezioni respiratorie, chiamati così per le punte a forma di corona che sono presenti sulla loro superficie quando osservati al microscopio elettronico, che sono un fattore di virulenza, perché costituite da glicoproteine per l’aggancio alle membrane delle cellule dell’organismo. I coronavirus sono presenti in molte specie animali (uccelli, mammiferi di allevamento, cammelli, pipistrelli) che fungono da serbatoio per la loro diffusione, ma in alcuni casi possono evolversi e infettare l’uomo (virus “zoonotici”).
Si conoscono almeno 6 ceppi che infettano esseri umani – ora 7, col nuovo virus cinese. Nella specie umana, sono responsabili di comuni raffreddori, influenza e patologie del sistema respiratorio. Si stima che i 4 Coronavirus 229E, NL63, OC43 e HKU1 siano ormai endemici anche alle nostre latitudini e nel complesso causino circa un terzo dei raffreddori comuni. Nell’ambito di quelli tipizzati come Beta-Coronavirus, ci sono alcuni ceppi capaci di dare una sintomatologia importante e potenzialmente fatale, quali il SARS-CoV, responsabile della SARS (Severe acute respiratory syndrome) e il MERS-CoV, responsabile della MERS (Middle east respiratory syndrome), gravi epidemie occorse negli anni scorsi.
La SARS (Sindrome respiratoria acuta grave) apparve inizialmente in Cina nella provincia del Guangdong nel novembre 2002, e tra il 2002 e il 2003 provocò quasi 8.500 casi con oltre 800 decessi in 37 Paesi del mondo, con una mortalità di circa il 10 per cento. Il numero maggiore di decessi si ebbe in Cina, seguita da Hong Kong, Taiwan, Canada e Singapore (4 casi in Italia).
La MERS (Sindrome respiratoria mediorientale) è stata una grave epidemia sviluppatasi da un focolaio in Arabia Saudita nel giugno 2012, con 2.494 casi e 858 morti, manifestando, rispetto alla SARS, una maggiore letalità (del 35%) ma una minore contagiosità.
L’analisi del patrimonio genetico del nuovo virus lo rende vicino a SARS-CoV e MERS-CoV per il 70-80%, tuttavia è ancora più simile ad altri due patogeni (bat-SL-CoVZC45 e bat-SL-CoVZXC21) che infettano i pipistrelli e che sono stati identificati nel 2018 nella Cina orientale. Dal punto di vista epidemiologico, il nuovo Coronavirus presenta rispetto a SARS e MERS maggiore infettività ma minore letalità, benchè non trascurabile.
Denominazione del nuovo virus
Il nuovo Coronavirus cinese è stato denominato dall’International Committee on Taxonomy of Viruses (ICTV), che si occupa della designazione e della denominazione di tutti i virus, “SARS-CoV-2” ovvero “Sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2” e la malattia che provoca “Covid-19” dove “Co” sta per corona, “vi” per virus, “d” per disease e “19” per l’anno in cui si è manifestata.
Diffusione
SARS-CoV-2 è un virus respiratorio che, come gli altri Coronavirus, si diffonde da una persona a un’altra attraverso contatto ravvicinato: saliva, goccioline del respiro eliminate attraverso tosse e starnuti, contatti diretti personali (come toccare o stringere la mano e portarla alle mucose), o con oggetti o superfici contaminati dal virus portandosi poi le mani (non lavate) su bocca, naso, occhi; non è contemplata per i virus respiratori la trasmissione alimentare, ma è al vaglio della comunità scientifica la trasmissione per via oro-fecale. Gli occhi, attraverso la congiuntiva, sembrerebbero una potenziale via di ingresso della infezione virale. Il principale “driver” di trasmissione del virus sono persone ammalate con evidenti sintomi; le persone nella fase pre-sintomatica, quando sono cioè asintomatiche ma di lì a poco svilupperanno la patologia, sono potenzialmente infettive nelle 48 ore antecedenti ai sintomi.
Ci sono invece dubbi sull’esistenza di “portatori sani”, che peraltro aumenterebbero i contagi e ne renderebbero molto più complicata la prevenzione: una delle caratteristiche della SARS che ha permesso di limitarne la diffusione, infatti, è stata proprio la rarità di casi asintomatici. Benchè le autorità di Hong Kong abbiano segnalato che sulla mucosa orale e nasale di un cane asintomatico appartenente ad una donna colpita dal SARS-CoV-2 sono state trovate tracce dello stesso virus, al momento c’è accordo sul fatto che cani o gatti non possano essere infettati né essere una fonte di infezione per l’uomo.
Incubazione
Si stima che il periodo di incubazione, cioè il tempo tra il contatto con la persona che contagia e il manifestarsi dei sintomi, vari da 0 a 14 giorni, più spesso 2-10 giorni, con la media di 5-7 gg, mentre l’intervallo seriale, cioè il tempo che passa tra l’insorgere dei sintomi nell’individuo che contagia e l’insorgere dei sintomi nell’individuo che è stato contagiato, vada dai 4,4 ai 7,5 giorni. Per precauzione, il contatto si considera potenzialmente contagioso fino a 14 giorni dopo l’esposizione all’ammalato.
Contagiosità
In epidemiologia per poter valutare contagiosità e velocità di diffusione di una malattia infettiva si ricorre a un indicatore, R0 (“R naught”, cioè R-zero) che indica il numero di individui che è capace di contagiare una persona ammalata: se ogni persona ne contagia un’altra, R0 equivale a 1, se l’indicatore risulta superiore al valore 1, significa che ogni persona ne sta contagiando più di una, e più il valore cresce, più l’agente patogeno si sta diffondendo velocemente. Il morbillo, uno dei virus più contagiosi, ha in valore R0 fino a 15-18, la parotite circa 10, la pertosse 5, il virus Ebola pari a 2, anche perché data l’alta letalità molte persone infette muoiono prima di poter contagiare.
Per il Covid-19, la stima di R0 è intorno a 2,5 (ogni persona infetta ne contagia altre 2 o 3), grossomodo come per la SARS e altre influenze, compresa quella spagnola del 1918 e la pandemia di influenza H1N1 del 2009.
Quando R0 è inferiore a 1, cioè ogni infetto non contagia almeno un’altra persona, la diffusione si arresta da sola, mentre se R0 è maggiore della soglia critica di 1, si può sviluppare un’epidemia. Obiettivo della prevenzione primaria, ridurre il valore di R0, cioè limitare il più possibile i contagi per rallentare l’espansione esponenziale del virus.
Come è accaduto attualmente in Cina, dove il picco dei contagi è stato raggiunto e superato proprio ed esclusivamente grazie alle misure iper-restrittive che sono state applicate, bloccando in casa un centinaio di milioni di persone, il che ha trascinato giù e mantenuto basso a forza il tasso di contagio (R0): nel momento in cui le misure di isolamento sociale venissero allentate, è probabile che R0 tornerebbe al suo valore “naturale” di 2,5 e il contagio ricomincerebbe a diffondersi.
Poiché i casi sintomatici sono solo la punta dell’iceberg dell’epidemia, non basta isolarli per contenere i contagi, ma si rende opportuno il “distanziamento sociale” per ridurre la velocità di diffusione del virus.
Fin quando si hanno solo casi isolati e sporadici che sono importati da focolai epidemici a distanza il rischio epidemico è ancora contenuto, ma quando si verificano casi autoctoni a trasmissione locale, ovvero in soggetti non direttamente provenienti dalle aree a rischio, si entra in una nuova e più pericolosa fase dell’epidemia, che degenera ancora di più se si contano focolai plurimi che si accendono contemporaneamente in più parti: a quel punto non vale più per il sospetto clinico il criterio epidemiologico di contatto con una persona che o ha il virus o è stata in un paese ad alto rischio, perché chiunque potrebbe avere il virus.
Le misure draconiane, cioè rigorosissime e intransigenti, prese dalla Cina e ora anche in Italia per il contenimento della diffusione, mirano ad evitare di entrare nella fase incontrollabile, come si riuscì a fare per la SARS, che a un anno dalla diffusione si arrestò, grazie allo sforzo a livello globale di controllare l’epidemia attraverso l’isolamento e il tracciamento di contatti, ma ciò fu più facile perché la trasmissione avveniva dopo l’insorgenza dei sintomi, non in fase pre-sintomatica o asintomatica.
Sintomatologia
L’infezione da Covid-19 causa una malattia respiratoria acuta che nella maggior parte dei casi colpisce le vie aeree superiori, con sintomi tipici e non specifici di un’influenza classica, come febbre, raffreddore, tosse secca e insistente, respiro corto, gola secca e dolente, stanchezza, dolori ossei e muscolari, mal di testa, malessere generale, più raramente nausea, vomito, diarrea (quest’ultimo sintomo, secondo una ricerca cinese, sarebbe uno dei più presenti, confermando la possibilità di una trasmissione oro-fecale del virus).
Nei casi più gravi, l’infezione può causare una polmonite virale primaria che può provocare una sindrome respiratoria acuta grave con difficoltà respiratoria fino a distress respiratorio, shock settico, insufficienza multipla di organi e morte. Una forma inizialmente lieve, simil-influenzale, può progredire in una forma grave, soprattutto in persone anziane e/o con condizioni cliniche pre-esistenti (comorbidità).
Il primo studio “di massa” effettuato dal Chinese Centre for Disease Control and Prevention (Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie della Cina) su oltre 72mila casi registrati dall’inizio dell’epidemia fino all’11 febbraio, pubblicato lo scorso 17 febbraio su Chinese Journal of Epidemiology e ripreso poi da Jama, documenta che nell’80,9% dei casi Covid-19 causa una malattia lieve, nel 13,8% grave (con dispnea, polipnea, saturazione di ossigeno nel sangue inferiore al 93%, infiltrazioni polmonari tra le 24 e le 48 ore) e nel 4,7% critica (con insufficienza respiratoria, shock settico e disfunzione multiorgano). Il tasso di mortalità è risultato del 2,3%, con un rischio più elevato per pazienti con oltre 60 anni che presentavano patologie di base (pazienti “fragili”).
Gli uomini hanno manifestato maggiori probabilità di decesso (2,8%) rispetto alle donne (1,7%). La maggior parte dei pazienti hanno tra i 30 e i 79 anni, il 3% è costituito da adulti oltre gli 80 anni, mentre i bambini tra gli 0 e i 9 anni e i giovani tra i 10 e i 19 rappresentano ognuno l’1% dei casi totali. I ricercatori hanno osservato una riduzione del numero di linfociti nella maggior parte dei pazienti, come nella SARS.
L’evoluzione
Si stima attualmente che, su 100 persone colpite da Covid-19, 80 hanno sintomi assenti o lievi e guariscono a domicilio, 15 hanno una malattia seria da gestire in ambiente sanitario, 5 hanno forme gravi che richiedono assistenza intensivistica, e 3 muoiono, soprattutto se con gravi condizioni di salute di base. Per le persone con malattia lieve, il tempo di recupero è di circa due settimane, mentre le persone con malattia grave o critica guariscono entro 3-6 settimane.
Al di là della letalità, un aspetto preoccupante del Covid-19 è l’elevato tasso di ricoveri necessari, che potrebbe, in caso di rapida diffusione del contagio tra le persone suscettibili (potenzialmente, tutta la popolazione, essendo un virus nuovo per la specie umana) avere un impatto devastante sui sistemi sanitari. In Italia, in particolare, abbiamo una popolazione tra le più anziane del mondo: la demografia che caratterizza il nostro Paese ci espone sicuramente a rischi elevati di mortalità da Covid-19, in caso di epidemia, anche considerando che in Italia sono meno di 5mila i posti in terapia intensiva, essendone stato tagliato negli ultimi dieci anni il 7-8%. Già dalla Lombardia, arrivata ormai al limite delle proprie capacità di assistenza, con oltre 2.700 malati, 359 dei quali in terapia intensiva (solo il 28 febbraio erano 50), è stato preannunciato il trasferimento di pazienti nelle Regioni vicine, Piemonte e Liguria.
La mortalità
In epidemiologia si studiano due parametri circa la capacità di un evento patogeno di causare la morte: il tasso di letalità e il tasso di mortalità. Il tasso di letalità è il rapporto tra morti per una malattia e il numero totale di soggetti affetti dalla stessa malattia, mentre il tasso di mortalità è il rapporto tra il numero di morti e il totale della popolazione media presente nel periodo di osservazione (e non il numero di malati). L’Oms ha riportato per il Covid-19 una letalità pari a circa il 3,4% degli ammalati, dunque superiore all’influenza stagionale (1%), anche se inferiore a SARS (9.6%) e MERS (34,4%), rispetto alle quali, in assoluto, sta causando un numero molto maggiore di decessi, per il numero elevato di persone colpite, data la superiore contagiosità.
La letalità potrebbe essere tuttavia sovrastimata perchè non è possibile considerare tutti i potenziali casi asintomatici o pauci-sintomatici. Il tasso di mortalità è compreso tra il 2% e il 4% e, proprio come l’influenza, aumenta nelle persone sopra i 65 anni e/o con altre patologie di base, precipitate dal virus, soprattutto le malattie cardiovascolari (10,5%), il diabete (7,3%), le malattie respiratorie croniche e l’ipertensione (6%), il cancro (5,6%). Fino a 39 anni, il tasso di mortalità rimane basso (0,2%) per poi aumentare gradualmente con l’aumentare dell’età: tra i 40 e i 49 anni, è pari allo 0,4%, tra i 50 e i 59 è dell’1,3%, per salire al 3,6% tra i 60 e i 69 anni, all’8% dai 70 anni e al 14,8% dagli 80 anni.
Nella casistica italiana, riportata al 4 marzo dall’Istituto superiore di Sanità, l’età media dei pazienti deceduti è stata di 81 anni, in maggioranza maschi e in più di due terzi dei casi con patologie preesistenti (ipertensione, cardiopatia ischemica, diabete mellito): oltre l’80% più di due malattie, il 60% più di tre e solo il 2% senza alcuna co-morbidità.
Rischi in gravidanza e allattamento
Le donne in gravidanza sono considerate in genere una popolazione a rischio per le infezioni respiratorie virali, per cui è innanzitutto fondamentale per loro la prevenzione primaria come lavarsi accuratamente le mani ed evitare il contatto con soggetti malati o sospetti. Secondo una revisione pubblicata su Lancet, non ci sarebbero prove di trasmissione intrauterina dell’infezione da Sars-CoV-2 e quindi di passaggio verticale della malattia dalla madre al feto. Allo stato attuale delle conoscenze, per le donne infette non esiste indicazione elettiva al taglio cesareo. Il Covid-19 non è stato rilevato nel latte materno delle donne affette, per cui l’allattamento al seno viene liberamente consentito, con le rigorose misure per prevenire l’eventuale trasmissione dell’infezione per via aerea o per contatto con le secrezioni nel post partum, come l’accurata igiene delle mani e l’uso della mascherina durante la poppata. Sulla base degli ancora limitati dati disponibili in letteratura, l’infezione postnatale da Sars-CoV-2 sembrerebbe comunque non essere grave o risultare addirittura asintomatica rispetto a quanto avviene nelle età successive.
I bambini e gli adolescenti
Sulla base dei dati dell’Oms in Cina, solo il 2,4% dei casi di infezione da Covid-19 sono stati segnalati nella fascia di età inferiore ai 19 anni, e solo una piccola parte di questi (il 2,5%) ha sviluppato una forma severa della malattia, mentre in genere si osservano quadri clinici sfumati e decorso non grave; nessun decesso segnalato. Non è noto perché l’età evolutiva sembri preservata dall’attuale epidemia di Coronavirus: si è ipotizzato per una minore probabilità di esposizione al virus date le principali modalità di diffusione iniziale dell’epidemia (mercato di Wuhan, ospedalità), oppure perché I bambini entrano frequentemente in contatto con altri Coronavirus, implicati in patologie respiratorie banali come il raffreddore, e questo potrebbe creare una risposta anticorpale tale da proteggerli. Anche per la SARS, su 8.000 casi, le diagnosi pediatriche furono poche: solo 80 casi confermati in laboratorio e 55 casi probabili o sospetti, con sintomi più lievi rispetto agli adulti e nessun decesso. Allo stesso modo, durante l’epidemia di Mers nel 2016, il World Journal of Clinical Paediatrics ha riportato come il virus fosse raro nei bambini, anche se la ragione della bassa prevalenza non era nota.
La diagnostica
La ricerca dell’infezione si effettua attraverso tampone rino-faringeo e test diagnostico Real Time PCR per SARS-CoV-2; richiede normalmente 16 ore. Vengono effettuati da un centro ospedaliero di riferimento, mediamente uno per ogni Regione. I test effettuati nei centri di riferimento regionali sul territorio devono poi essere validati presso il laboratorio dell’Istituto Superiore di Sanità, benchè fino ad ora si sia trovata una concordanza del 100%. Sono in fase di sperimentazione avanzata anche test rapidi che permettono di identificare l’infezione in poche ore.
La classificazione dei casi di Covid 19
il Ministero della Salute con una circolare ad hoc ha fornito precise indicazioni sulla definizione di caso “sospetto”, “probabile”, “confermato”, e di “contatto stretto”.
Caso sospetto, che richiede esecuzione di test diagnostico: una persona con infezione respiratoria acuta (insorgenza improvvisa di almeno uno tra i seguenti segni e sintomi: febbre, tosse e difficoltà respiratoria) che richieda o meno il ricovero ospedaliero e che soddisfi almeno uno dei seguenti criteri epidemiologici (riferiti al periodo di tempo dei 14 giorni precedenti la comparsa dei segni e dei sintomi): essere un contatto stretto di un caso confermato o probabile, o essere stato in zone con presunta trasmissione comunitaria.
Caso probabile: un caso sospetto positivo al test presso i laboratori di riferimento regionali.
Caso confermato: un caso con una conferma di laboratorio effettuata presso il laboratorio di riferimento dell’Istituto Superiore di Sanità.
Contatto stretto: chi vive nella stessa casa di un caso confermato, o che ha avuto un contatto fisico diretto (per esempio la stretta di mano) o indiretto (ad esempio toccare a mani nude fazzoletti di carta usati) o ravvicinato (faccia a faccia o in ambiente chiuso, a distanza minore di 2 metri e di durata maggiore a 15 minuti) con un caso confermato, o un operatore sanitario che abbia fornito assistenza diretta a un caso o personale di laboratorio addetto alla manipolazione di campioni di un caso, senza l’impiego dei dispositivi di protezione raccomandati, o infine una persona che abbia viaggiato seduta in aereo nei due posti adiacenti.
Terapia
Contro la malattia Covid-19 causata dal nuovo Coronavirus SARS-CoV2 non esistono al momento terapie specifiche, ma solo sintomatiche oltre che, nei casi più gravi, il supporto meccanico alla respirazione. Sono in corso trials clinici promossi dall’Oms con terapie antivirali sperimentali, con il lopinavir/ritonavir, un antivirale utilizzato per l’infezione da Hiv attivo anche sui Coronavirus, e il remdesivir, un antivirale già utilizzato per la malattia da Virus Ebola e potenzialmente attivo contro l’infezione da nuovo Coronavirus.
Questi farmaci sono stati utilizzati anche per trattare i due coniugi cinesi e il ricercatore italiano, guariti dallo Spallanzani di Roma. Anche sul favipiravir, un farmaco antinfluenzale disponibile nei mercati stranieri, è in corso uno studio clinico controllato. Buoni risultati ha dimostrato pure una terapia che utilizza il plasma dei pazienti guariti. Anche la clorochina fosfato, farmaco ampiamente utilizzato contro malaria e malattie autoimmuni da oltre 70 anni, è stato impiegato con buoni risultati nel trattamento di 285 pazienti gravemente malati di Covid-19 in un ospedale di Wuhan.
In corso in Cina anche sperimentazioni con tocilizumab, un anticorpo monoclonale ad attività anti-infiammatoria (blocca gli effetti dell’interleuchina-6) usato nell’artrite reumatoide, e con le cellule staminali. Poiché il virus per penetrare nelle cellule alveolari utilizza l’endocitosi tramite l’angiotensin-converting enzyme 1 come recettore d’entrata, modelli di intelligenza artificiale predicono che il Baricitinib, un immunosoppressore che agisce inibendo enzimi noti come Janus Chinasi, usato per curare l’artrite reumatoide, sarebbe potenzialmente in grado di contrastarne l’azione. Intanto, passi avanti si stanno facendo anche sul fronte del vaccino, per la cui disponibilità si dovrà, comunque ancora attendere vari mesi. L’Oms ha riferito che ci sono più di 20 vaccini in via di sviluppo a livello globale.
Le strategie di prevenzione: misure governative in Italia
L’epidemia da Covid-19 rappresenta una sfida per il nostro Paese e il mondo intero di cui non si conosce ancora bene la portata. Le uniche armi disponibili al momento per arginare la diffusione dei contagi sono: diagnosi precoce dei casi, isolamento dei pazienti e contact tracing per isolare i contatti in quarantena, in modo da rompere le catene di trasmissione. Misure che vanno assolutamente perseguite, anche se non si sa se basteranno: secondo uno studio pubblicato il 28 febbraio su The Lancet dai ricercatori del Centre for the Mathematical Modelling of Infectious Diseases della London School of Hygiene & Tropical Medicine, che hanno elaborato un modello di trasmissione matematico per quantificare la potenziale efficacia del tracciamento di contatti e dell’isolamento dei casi nel controllo di questo virus, sembra che potrebbero non essere sufficienti a scongiurare la pandemia.
Dopo l’inizio del contagio in Italia, il 22 febbraio il Consiglio dei Ministri ha approvato all’uopo un decreto-legge con drastiche misure urgenti nelle aree interessate dai focolai.
Era inoltre previsto su tutto il territorio nazionale la disinfezione e sanificazione degli ambienti aperti al pubblico e la disponibilità in tutti i locali pubblici, palestre, supermercati, farmacie e altri luoghi di aggregazione, di soluzioni idroalcoliche per il lavaggio delle mani per gli addetti, nonché per utenti e visitatori.
Un nuovo decreto, datato 4 marzo, alla luce del diffondersi dell’epidemia sul territorio nazionale, seguendo la linea della massima precauzione, estende a tutto il territorio nazionale le limitazioni inizialmente prescritte per le “zone rosse”:
chiude scuole e università fino al 15 marzo (molte scuole e atenei hanno già attivato la didattica a distanza, mentre il governo è già al lavoro per mettere a punto una norma che prevede la possibilità per uno dei genitori di assentarsi dal lavoro per accudire i figli minorenni), esclusi i corsi post universitari connessi con l’esercizio di professioni sanitarie;
sospende congressi e riunioni, manifestazioni ed eventi di qualsiasi natura e in qualsiasi luogo; ordina che partite e competizioni sportive, compresa la serie A, si svolgano a porte chiuse;
fa divieto agli accompagnatori dei pazienti di permanere nelle sale di attesa e proibisce l’accesso di parenti e visitatori a strutture di ospitalità e lungo degenza, residenze sanitarie assistite e strutture residenziali per anziani, istituti penitenziari;
richiede al personale sanitario di applicare le appropriate misure di prevenzione per la diffusione delle infezioni per via respiratoria previste dall’Oms e le indicazioni per la sanificazione e la disinfezione degli ambienti previste dal Ministero della salute.
Si raccomanda poi alle persone anziane, o affette da patologie croniche, o con multi-morbilità o stati di immunodepressione congenita o acquisita, di evitare di uscire dalla propria abitazione fuori dai casi di stretta necessità e di evitare comunque luoghi affollati nei quali non sia possibile mantenere la distanza di sicurezza interpersonale di almeno 1 metro dagli altri.
Chiunque, a partire dal quattordicesimo giorno antecedente la data di pubblicazione del decreto, abbia fatto ingresso in Italia dopo aver soggiornato in zone a rischio epidemiologico, o sia transitato o abbia sostato nei Comuni a rischio, dovrà comunicare tale circostanza al dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria competente per territorio nonché al proprio medico di medicina generale o al pediatra di libera scelta; l’operatore di sanità pubblica e i servizi di sanità pubblica territorialmente competenti dovranno provvedere, sulla base delle comunicazioni, alla prescrizione della permanenza domiciliare sotto sorveglianza (divieto di contatti sociali, divieto di spostamenti e viaggi, obbligo di rimanere raggiungibile per le attività di sorveglianza, misurazione bi-quotidiana delle febbre e monitoraggio dei sintomi). In caso di comparsa di sintomi, la persona in sorveglianza deve: avvertire il medico o pediatra di famiglia e l’operatore Asl; allontanarsi dagli altri conviventi e rimanere nella propria stanza con la porta chiusa, in attesa del trasferimento in ospedale, ove necessario. Ulteriori misure sull’intero territorio nazionale prevedono: obbligo di esporre in tutte le scuole di ogni ordine e grado, nelle università, negli uffici delle pubbliche amministrazioni, negli esercizi commerciali, le informazioni sulle misure di prevenzione igienico-sanitarie rese note dal Ministero; in tutti i locali aperti al pubblico devono essere messe a disposizione degli addetti, utenti e visitatori, soluzioni disinfettanti per l’igiene delle mani; le aziende di trasporto pubblico devono adottare interventi straordinari di sanificazione dei mezzi; nello svolgimento delle procedure concorsuali pubbliche e private devono essere adottate le opportune misure organizzative volte a ridurre i contatti ravvicinati tra i candidati; vanno incoraggiare modalità di lavoro “agile” per la durata dello stato di emergenza.
La chiusura delle scuole fino al 15 marzo potrà essere prorogata ulteriormente in base a quello che sarà lo scenario epidemiologico che sarà verificato giorno per giorno. La chiusura delle scuole come modalità di contenimento dell’epidemia ha suscitato parei discordi; secondo il Centro Europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) può funzionare in caso di epidemia di una normale influenza come deterrente al contagio dei bambini, che sono particolarmente esposti al virus influenzale (con un’incidenza superiore di 10 volte a quella degli adulti) e ne risultano pertanto grandi diffusori nel loro contesto familiare e nella comunità, ma non per questo nuovo virus che non impatta sui bambini e per il quale non è stato mai dimostrato alcun contagio scolastico. Peraltro, le evidenze scientifiche indicano il perseguimento di risultati, peraltro di modesta efficacia, solo con provvedimenti di durata almeno di due mesi. Ulteriori misure assunte dal governo prevedono l’assunzione di 20mila nuove unità tra medici e personale sanitario, processi a porte chiuse o rinviati a giugno, acquisto immediato di macchine e strutture necessarie per potenziare del 50% i posti in terapia intensiva sul territorio nazionale, la possibilità di requisire alberghi da trasformare in luoghi di assistenza domiciliare collettiva, l’accelerazione delle procedure per l’acquisto di materiale sanitario.
Un nuovo Decreto ministeriale delle ultime ore prevede una ulteriore inasprimento delle restrizioni per contrastare e contenere il diffondersi del Coronavirus: evitare in modo assoluto ogni spostamento in entrata e in uscita” nella Regione Lombardia e in 11 province di Veneto, Emilia Romagna, Piemonte e Marche: Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Asti e Alessandria, mentre sull’intero territorio nazionale sono sospese le attività di pub, scuole di ballo, sale giochi, sale scommesse e sale bingo, discoteche e locali assimilati fino al 3 aprile, prevedendo specifiche sanzioni in caso di mancato rispetto; bar e ristoranti possono rimanere aperti se riescono a garantire la distanza di un metro tra una persona e l’altra. Sono confermati gli eventi sportivi nazionali solo a porte chiuse. Infine, il governo raccomanda di limitare la mobilità al di fuori dei propri luoghi di dimora abituale ai casi strettamente necessari.
Le misure di protezione individuali
La protezione individuale nei confronti del virus prevede, secondo le raccomandazioni delle autorità sanitarie di tutto il mondo, alcune semplici regole: lavarsi frequentemente e correttamente le mani per almeno 20 secondi con acqua e sapone o un disinfettante per mani con almeno il 60% di alcol (il virus sopravvive sulle mani per circa dieci minuti); non toccarsi occhi, naso e bocca con le mani non lavate; evitare luoghi affollati e assembramenti di persone; evitare le strette di mano e gli abbracci (tranne che in ambito familiare); non scambiarsi bottiglie e bicchieri; evitare il contatto ravvicinato con chiunque mostri sintomi di malattia respiratoria acuta come febbre, mal di gola, tosse, starnuti, difficoltà a respirare; evitare di andare al lavoro o uscire se si è malati; coprirsi con un fazzoletto quando si tossisce o starnutisce (e gettare il fazzoletto subito dopo); pulire le superfici (il virus può persistere su oggetti, strumenti, mobili, cellulari, a temperatura ambiente, fino a 9 giorni): è bene sanificare 1-2 volte al giorno (dopo pulizia con un detergente neutro) con disinfettanti a base di ipoclorito di sodio allo 0,1-0,5% (candeggina) o etanolo al 62-71% o perossido di idrogeno allo 0,5%; lavare spesso gli abiti o esporli al sole (il virus può vivere annidato nei vestiti e sui tessuti per circa 6/12 ore).
La gestione sanitaria dei casi
Nelle strategie di prevenzione è cruciale la gestione sanitaria dei casi. Le indicazioni delle autorità sanitarie internazionali, e in Italia il Ministero della Salute e l’Istituto superiore di sanità, raccomandano agli utenti di non affollare i Pronto soccorso o gli ambulatori medici, i luoghi più pericolosi per la diffusione delle infezioni, ma in caso di sintomatologia sospetta avvisare telefonicamente il proprio medico o i servizi assistenziali di emergenza o i sanitari dei numeri verdi regionali, che effettueranno un triage telefonico fornendo consigli mirati al ridurre al minimo le occasioni di contatto tra pazienti. Ai medici è stata infatti fornita una scheda di triage telefonico per inquadrare il rischio del paziente di essere stato contagiato: provenienza da zone a rischio, esposizione a casi sospetti per sintomi (febbre >37,5°, mal di gola, rinorrea, difficoltà respiratorie) o per provenienza da aree a rischio, tipo di sintomatologia e suo decorso (esempio data di comparsa dei sintomi, andamento della febbre, difficoltà respiratoria, stato generale), compresenza di patologie, esecuzione del vaccino antinfluenzale. Se vi sono segni suggestivi di infezione da Coronavirus, il medico richiede attivazione del 118/112. Per i medici che dovessero visitare a domicilio pazienti potenzialmente infetti, è raccomandata la protezione di bocca, naso e occhi con mascherina, camice mono-uso e occhiali sanitari o visiera. Per i pazienti che si recano in ospedale, è stata predisposta la strutturazione di un triage pre-ospedaliero, con spazi idonei distinti e separati dai PS, attraverso allestimento di tende esterne ai dipartimenti di emergenza dedicate appositamente ai casi sospetti, allo scopo di separare i flussi dei pazienti. Il paziente sospetto, individuato al proprio domicilio attraverso il triage telefonico con il medico o dal triage ospedaliero, attraverso il 118/112 viene condotto al reparto di malattie infettive di riferimento attraverso ambulanza ad hoc da decontaminare subito dopo. Per tutto il trasferimento il paziente sarà gestito da personale sanitario dotato di adeguata protezione. I medici in ospedale, secondo le linee di indirizzo ministeriali, visiteranno gli ammalati a rischio dopo essersi lavati le mani con acqua e sapone o alcol, indossando un primo paio di guanti, poi il camice monouso sopra la divisa, quindi la maschera filtrante facciale, gli occhiali di protezione e infine un secondo paio di guanti. Dopo la visita, per prima cosa i sanitari devono rimuovere il camice monouso e il primo paio di guanti (che vanno nei rifiuti infettivi), gli occhiali per sanificarli, ancora nel contenitore infettivi la mascherina filtrante maneggiandola dalla parte posteriore, via l’ultimo paio di guanti e poi devono lavarsi le mani con soluzione alcolica o acqua e sapone. Il paziente accertato resta isolato e non sono consentite visite fino a guarigione clinica sancita da due tamponi negativi a distanza di 24 ore. I familiari degli ammalati in quanto “contatti stretti” sono sotto monitoraggio per due settimane, con gli operatori sanitari venuti in contatto e con chi ha viaggiato insieme all’ammalato.
La classe medica a rischio
Come per la SARS e la MERS, esiste un grande rischio potenziale per il personale sanitario. Ogni sanitario che diventa un contatto di un paziente infetto deve essere sottoposto alla quarantena di 14 giorni. E’ quanto accaduto agli operatori sanitari della terapia intensiva dell’ospedale di Codogno che erano di turno la sera del 20 febbraio, quando si è scoperto che il 38enne ricoverato con gravi problemi respiratori era positivo al Coronavirus: sono rimasti in servizio “prigionieri” del loro stesso reparto ad accudire i malati per 30 ore, fino a quando i loro colleghi – con le dotazioni adatte – hanno potuto dare loro il cambio, dopodichè non sono andati a casa ma in isolamento. Anche i medici curanti diventano “contatti stretti” quando l’Asl trasmette l’informazione che un assistito visitato negli ultimi 14 giorni è positivo al Coronavirus. Più di 250 medici si trovano in quarantena in Italia, e di questi 150 medici di base, con circa 200.000 pazienti virtualmente senza medico.
I Dispositivi di Protezione Individuale (DPI)
I DPI sono attrezzature utilizzate allo scopo di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. I DPI per le vie respiratorie sono studiati per evitare o limitare l’ingresso nelle vie aeree di agenti potenzialmente pericolosi (fumi, polveri, fibre o microrganismi); comprendono maschere, occhiali, guanti e tute. Le maschere di uso medico, a differenza di quelle chirurgiche (o “igieniche”), che servono solo a proteggere i pazienti dai germi eventualmente propagati dall’operatore, sono le semi-maschere Facciali Filtranti la Polvere (FFP): dispositivi monouso che proteggono bocca, naso e mento grazie a un bordo di tenuta sul volto e sono muniti di uno specifico sistema filtrante per aerosol solidi e liquidi che trattiene le particelle aero-disperse, impedendone l’inalazione. Sono classificate in quattro tipologie, FFP1, FFP2 e FFP3, FFP4, in base al livello crescente di protezione. In presenza di contaminazioni elevate o di agenti biologici estremamente pericolosi come quelli di gruppo 4 (per es. virus delle febbri emorragiche), potrebbe essere necessario isolare completamente l’operatore dall’ambiente esterno impiegando autorespiratori che forniscono aria pura: non è il caso del Covid-19, per il quale è raccomandato l’utilizzo di maschere con protezione almeno 2 o 3. La loro durata è limitata, massimo 4 ore secondo l’Oms, dopodichè si riduce la capacità filtrante. L’Oms stima che per l’emergenza Covid-19 ogni mese saranno necessari almeno 89 milioni di maschere mediche, 76 milioni di guanti da visita e 1,6 milioni di occhiali: per fronteggiare queste richieste a livello globale le forniture di DPI dovranno essere aumentate del 40%. Poiché il Covid-19 ha dimensioni piuttosto grandi (diametro circa 400-500 nanometri), se la carica virale non è eccessiva, l’Oms nelle nuove linee guida del 27 febbraio permette la sostituzione delle semi-maschere filtranti antipolvere, in loro mancanza, con quelle chirurgiche (non filtranti) per gli assistenti di studio, i tecnici di laboratorio, gli inservienti e i visitatori degli ospedali, ma non per i medici, esposti a cariche virali molto alte quando visitano. Il decreto Gualtieri consente invece di far ricorso alle mascherine chirurgiche, quale dispositivo idoneo a proteggere gli operatori sanitari, e consente di usare anche mascherine prive del marchio CE previa valutazione dell’Istituto superiore di sanità. Affinché comunque la mascherina sia efficace e sicura, l’Oms raccomanda specifiche regole per indossarla, rimuoverla e smaltirla in modo corretto, per evitare che, invece di proteggere dal contagio, possa diventare una fonte di infezione a causa dei germi che potrebbero depositarsi sopra: prima di indossarla, pulire le mani con un disinfettante a base di alcol o con acqua e sapone; nel coprire la bocca e il naso, assicurarsi che non vi siano spazi tra il viso e la mascherina; evitare di toccare la mascherina mentre la si utilizza e, se necessario farlo, pulire prima bene le mani; sostituire la mascherina con una nuova non appena è umida e non riutilizzare quelle monouso; per toglierla, rimuoverla da dietro (senza toccare la parte anteriore) e buttarla immediatamente in un contenitore chiuso; pulire nuovamente le mani con un detergente a base di alcool o acqua e sapone.
La pandemia
È opinione diffusa degli scienziati che l’epidemia si stia globalizzando. Il Covid-19 finora ha provocato, secondi gli ultimi dati Oms aggiornati all’8 marzo, 105.523 casi confermati nel mondo con 3.584 morti, di cui in Cina 80.859 casi confermati e 3.100 morti, e 24.664 casi confermati in 100 altri Paesi con 484 morti.
Il governo cinese ha messo in atto misure di controllo della diffusione del virus senza precedenti, creando la più estesa quarantena della storia, a carico di oltre 50 milioni di abitanti (come “chiudere” l’Italia o la Francia): il trasporto pubblico è stato fermato, chiusi asili, scuole, università, mercati, locali, cinema e teatri, templi, annullati i festeggiamenti per il Capodanno Cinese, interrotti i viaggi turistici; i posti letto negli ospedali pubblici e privati sono stati ampliati e hanno costruito, in poco più di 20 giorni, due nuovi ospedali a Whuan, il primo di 1.000 posti e il secondo di 1.600 posti, attrezzati per la terapia intensiva degli ammalati di Covid-19. Il “Comitato di emergenza speciale per il nuovo coronavirus” che l’Oms ha convocato a Ginevra il 30 gennaio ai sensi del Regolamento sanitario internazionale, ha dichiarato l’epidemia di Coronavirus in Cina “Emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale” (PHEIC), che configura una situazione “grave, improvvisa, insolita o inattesa” ed è definita come “un evento straordinario che si manifesta quando costituisce un rischio per la salute pubblica anche per altri Stati attraverso la diffusione internazionale delle malattie e quando richiede una risposta internazionale coordinata”. Dal 2009 ci sono state cinque dichiarazioni PHEIC: per la pandemia di H1N1 (o influenza suina) del 2009, per la polio del 2014, per l’epidemia del 2014 di Ebola nell’Africa occidentale, per l’epidemia di virus Zika 2015-2016 e, a partire dal 17 luglio 2019, per l’epidemia di Kivu Ebola iniziata nel 2018, mentre la SARS, il vaiolo, la poliomielite di tipo selvaggio e qualsiasi nuovo sottotipo di influenza umana sono automaticamente PHEIC. Inoltre, il 28 febbraio 2020, l’Oms ha elevato la minaccia di epidemia a livello mondiale da “alto” a “molto alto”, benchè non si possa parlare ancora di pandemia in quanto, anche se al momento ci sono epidemie in numerosi Paesi al di fuori della Cina, la maggior parte dei casi può ancora essere ricondotta a contatti noti o gruppi di casi circoscritti a specifici focolai: non si evidenziano ancora riscontri che il virus si stia diffondendo liberamente nelle comunità ad elevata velocità né con una grave mortalità su vasta scala, e questo consente di sperare sulla possibilità di contenere ancora la diffusione, mentre si parlerebbe di pandemia se ogni persona nel mondo fosse potenzialmente esposta al contagio indipendentemente dall’esposizione a uno specifico rischio. A quel punto le misure di contenimento internazionale finora adottate non avrebbero più ragione di essere e, trattandosi di un virus nuovo per l’uomo, verso il quale nessuno ha anticorpi, come nel caso della “spagnola” del 1918, si potrebbe prospettare un contagio a carico del 35-40% della popolazione mondiale. Ma per l’Oms, l’epidemia si può ancora contenere, a patto che i Paesi mettano in campo misure rapide e incisive che interrompano la trasmissione, isolando i focolai. Tre le maggiori preoccupazioni dell’Oms: la protezione degli operatori sanitari; la protezione delle persone che sono maggiormente a rischio, in particolare gli anziani e le persone con condizioni di salute compromesse; la tutela dei Paesi più vulnerabili, con sistemi sanitari più deboli che non sono preparati ad affrontare l’epidemia. Per l’immediato futuro quello che conta è che gli ospedali si preparino ad accogliere più pazienti, facendo anche scorta di materiali protettivi, e che si proceda a effettuare vaccinazioni di massa per influenza e infezioni da pneumococco, in modo da rendere più facile l’identificazione del Covid-19, e per morbillo, che deprime il sistema immunitario. Al momento è impossibile comprendere come evolverà la situazione del nuovo Coronavirus. Secondo gli esperti, possono verificarsi due opposti scenari. Quello più ottimistico è che l’epidemia non diffonda in nessun altro Paese come ha fatto in Cina (dove sono concentrati ancora il 95% dei casi mondiali) e come una normale influenza rallenti la sua diffusione finito il periodo invernale, anche se al momento non c’è alcuna certezza che il Covid-19 abbia un picco stagionale per poi recedere, come le influenze ordinarie. Il secondo scenario è quello della pandemia, che molti ricercatori ritengono ormai inevitabile. Questo non accadrà solo se le misure messe in atto per contenere la diffusione delle infezioni funzioneranno. Il futuro del mondo, a questo punto, diventa responsabilità individuale di ognuno di noi, col suo comportamento consapevole.
Info
Per informazioni generali si può chiamare il numero 1500, numero di pubblica utilità attivato dal Ministero della Salute, 24 ore su 24, per rispondere alle domande dei cittadini sul nuovo Coronavirus.
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Epidemia da Covid-19: cosa sta succedendo In prima linea per il Covid-19, il dottor Carlo Alfaro fa il punto della situazione partendo dall’origine fino alla sua attuale evoluzione…
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Così il piccolo Rami ha evitato la strage sul bus a Milano
Così il piccolo Rami ha evitato la strage sul bus a Milano
Rami “è stato furbo”, racconta Adam, 13 anni. Uscendo dalla scuola Margherita Hack di San Donato il giovane studente parla solo del compagno di classe. “Ci ha salvato la vita”.
Perché “quando l’autista ci ha requisito i telefoni, lui lo ha nascosto e ha chiamato il 112: è il nostro eroe”.
La prima delle tre volte in cui Ousseynou Sy, l’autista 47enne italiano di origini senegalesi, ha…
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