#MEDIEVALISTA
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ernestdescalsartwok · 1 year ago
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OTTO RAHN-ENCUENTRO-GRIAL-MONTSEGUR-CUEVA-ARTE-PINTURA-MISTCISMO-AGUA-PIEDRAS-ARTISTA-PINTOR-ERNEST DESCALS por Ernest Descals Por Flickr: OTTO RAHN-ENCUENTRO-GRIAL-MONTSEGUR-CUEVA-ARTE-PINTURA-MISTCISMO-AGUA-PIEDRAS-ARTISTA-PINTOR-ERNEST DESCALS- En su larga búsqueda del GRIAL, por fin OTTO RAHN encuentra el mágico cáliz en las cuevas cercanas al castillo de Montsegur en la Occitania de Francia, entre piedras y un tranquilo estanque de agua, momentos especiales en la vida del investigador alemán, en un entorno de enorme misticismo el lugar se ilumina con gotas de agua que parecen llover con lentitud. Pintura del artista pintor Ernest Descals sobre papel de 50 x 70 centímetros.
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ginogirolimoni · 2 months ago
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Ursula von der Leyen nomina Peter Strohschneider, professore di storia medioevale perché supervisioni un importante rapporto sull’agricoltura; il professore guadagnerà 973,79 € al giorno.
se credevate che l’amichettismo fosse un fenomeno solo italico, vi siete sbagliati, prima la Metsola nomina il cognato come capo di gabinetto (“La Meloni si e io no?”), adesso la Ursula che nomina Peter.
In molti hanno trovato esagerato il compenso per questo studioso, molto meno ha stupito che un medioevalista si interessi di agricoltura, noi per fortuna siamo abituati a gente che non c’entra niente con l’incarico che ottiene, Lollobrogida è “laureato” (Università Cusano) telematicamente in giurisprudenza ed è ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare (qualunque cosa sia, Dio ci perdoni tutti) e delle Foreste (quelle che sono rimaste).
Molto probabilmente i contadini da ora in poi andranno al lavoro a piedi o su un carro di buoi, periodicamente metteremo una parte di terreno a maggese e faremo la rotazione delle colture, reintrodurremo l’aratro a versoio trainato da buoi o cavalli e ricorreremo al “debbio” (no a Paolo Del Debbio), cioè all’utilizzo delle ceneri delle erbacce estirpate come fertilizzante.
Un ritorno al medioevo insomma, pensate che io stia scherzando? Neanche per idea, Francesco Lollobrigida ha proposto il “servizio civile agricolo”, cioè l’idea di offrire ai giovani l’opportunità di poter lavorare quasi a titolo gratuito (i rimborsi previsti coprono appena le spese) nelle aziende agricole in cambio del 15% di posti riservati nei concorsi pubblici.
Insomma, stanno reintroducendo la servitù della gleba, dove il nobile proprietario delle terre obbligava i suoi contadini a prestare gratuitamente lavoro per le courvée che desiderava effettuare.
Prossimamente è prevista anche la reintroduzione dello jus primae noctis.
E allora, cosa state aspettando? Tirate fuori zappe, roncole e falcetti e iniziate ad affilarle.
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bibliotecasanvalentino · 25 days ago
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Ed eccoci di nuovo qui con la rubrica a cadenza mensile e precisamente l'ultimo giorno di ogni mese, curata dalla nostra utente e amica @valentina_lettrice_compulsiva
Questa rubrica nasce anche e soprattutto da una riflessione che ci accompagna da un po' di tempo: per una "piccola" biblioteca di un piccolo paese non è sempre facile stare al passo con le richieste, i suggerimenti, le necessità degli utenti e non. Per questo motivo, con l'aiuto di Valentina scopriremo nuovi autori e nuove letture, consigli e spunti di riflessione, insieme a curiosità e notizie sui nostri cari libri. E allora, diamo il benvenuto a questo nuovo spazio culturale dove si viaggerà alla scoperta delle case editrici indipendenti: ʟᴇᴛᴛᴜʀᴇɪɴᴅɪᴇ.
La casa editrice di questo mese è: @pelledocaeditore
Buona lettura a tutti!
GHOST STORIES – M. R. JAMES
È la notte di Halloween, quale modo migliore di trascorrerla se non leggendo le storie di fantasmi dello scrittore e medievalista britannico Montague Rhodes James?
La casa editrice Pelledoca, specializzata in narrativa per ragazzi, ha pubblicato un graphic novel che raccoglie i cinque racconti più famosi dell’autore, nell’adattamento di Leah Moore e John Reppion, in cui vengono trattati: il tema della vendetta, del ritorno dal regno dei morti, della curiosità che spinge l’uomo a superare limiti invalicabili.
I protagonisti di queste storie sono studiosi impegnati in misteriose e insidiose ricerche in archivi polverosi o in dimore infestate, che si trovano ad affrontare esperienze al di là dell’umana comprensione.
"LA MEZZATINTA", in assoluto il mio racconto preferito di James, racconta di un dipinto che, notte dopo notte, prende vita per ricordare in eterno la terribile vendetta di un nobile decaduto.
"IL FRASSINO", invece, narra la storia di un albero che nasconde un terribile segreto, legato alla morte di una donna giustiziata per stregoneria
"LA NUMERO 13" racconta di una stanza d’albergo che appare e scompare.
"IL CONTE MAGNUS" è ambientato in un mausoleo misterioso nel quale sarebbe meglio non entrare.
“FISCHIA E IO VERRÒ DA TE” narra di un fischietto capace di evocare mostri e demoni.
Le splendide illustrazioni di Fouad Mezher, Alisdair Wood, George Kambadais, Abigail Larson e Al Davison costituiscono il valore aggiunto del volume.
COSA MI È PIACIUTO
Adoro la letteratura gotica e, in particolare, le storie di fantasmi. Quelle di M. R. James mi hanno sempre affascinata per le ambientazioni cupe e le vicende oscure che le caratterizzano.
COSA NON MI È PIACIUTO
Purtroppo l’età avanza e ho avuto un po’ di difficoltà a leggere le vignette di alcune tavole.
   
L’AUTORE
M. R. James (1862-1936) è stato uno scrittore e studioso medievale, ricordato soprattutto per le sue storie di fantasmi che sono considerate tra le migliori del genere. I racconti di M. R. James continuano ad influenzare molti dei grandi scrittori di oggi, tra cui Stephen King ��(che discute di James nel libro di saggistica del Danse Macabre, 1981) e Ramsey Campbell.
LA CASA EDITRICE
I libri di Pelledoca editore vogliono raccontare storie belle, forti e particolari. Storie da brivido, capaci di tenere il lettore con il fiato sospeso e gli occhi incollati alla pagina. La casa editrice ha fatto una scelta precisa, decidendo di occuparsi solo di thriller, noir e mistero. Chi scrive per Pelledoca accompagna i lettori, soprattutto i più giovani, in un mondo narrativo di intrighi in cui si muovono personaggi equivoci, vittime e carnefici, ma anche astuti eroi.
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borgmerica · 9 months ago
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Ok im gonna be annoying .. not new to kraken tumblr but here's a little intro post thing bc i have new followers 😊
Lily, 20, she/her, born & raised in seattle but living on the east coast for school!!!
Kraken are the only nhl team i rly watch but im also a mariners fan and will blog about them when baseball season is in full swing
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profesor-javaloyes · 2 years ago
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En mi "molesta" opinión.-
Deconstruyendo al perdonavidas que desde su inalcanzable superioridad moral va de progre señalando a fachas mientras guarda y esconde... "lo suyo".
Qué figura tan universal la del progre rico y que fácil resulta detectarlo ya sea en cualquier idioma o lugar así hable en español, inglés, catalán, esperanto o que intente esconderse tras el lenguaje de signos. Es irrelevante en dónde se establezca, la ciudad, el campo, islas, penínsulas o mirando para Cuenca sus rasgos son tan definitorios que identificarlos se torna tarea sencilla y no requiere mayor esfuerzo.
El progre es de clase media o alta, que se dice de ideas (que el denomina sentimientos) de izquierda y se adorna de una aparente inquietud intelectual. No deja de ser más que un señor burgués que no reconoce serlo y que en ningún modo renuncia a su cómoda vida pese a que dichas comodidades materiales que tanto aprecia y gusta vienen derivadas de la integración con su principal enemigo: el capitalismo. Y este último rasgo es característico y uno de los que mejor lo definen porque el progre no vive de forma coherente con "eso" que reclama como sus ideas que dice atesorar en su interior en forma de sentimientos.
Su actividad se dirige más a decorar una postura de izquierdas que a mostrar una verdadera convicción política. Su comportamiento refleja más la idea de ganar lo que entiende como prestigio social o incluso de limpiar culpas, que una auténtica creencia en esas ideas que no practica precisamente con el ejemplo. Pero él/ella/elle no reconocerás jamás ni en el potro de tortura su total incoherencia vital plagada de contradicciones tan claramente a la vista.
Puede poseer cuatro vehículos para uso propio, de su paraje y prole y al mismo tiempo hacer del ecologismo una causa con la que se manifiesta comprometido en la lucha final. Lo mismo que aboga por el laicismo más radical al tiempo que defiende la religión islámica como cultura y ataca a católicos y judíos como supersticiosos e ignorantes medievalistas.
Vive adornando sus reivindicaciones de clase obrera en su acomodado o más que muy acomodado entorno, lo que le permite una seguridad económica y personal que favorece su dedicación a la lucha por los derechos del pueblo desde la calidez confortable de su chalet de dos plantas con muchos metros cuadrados de gran jardín y piscina privada en donde imagina construir la revolución con la ayuda de un ordenador Mac y su iPhone 14.
La superioridad ética y moral que desprende lo ocupa todo a su alrededor y nos perdonan por nuestros pecados, fruto sólo de nuestra ignorancia, con la doctrina de su catecismo que recita con pose y amaneramiento de reflexivo intelectual, perdonándonos la vida por la ceguera en la que hemos caído todos presos por culpa del capitalismo como sistema económico, el liberalismo como meta política y Occidente como entorno social.
"¿Enseñar sin saber? como no sea el culo, no sé qué." (Viejo Profesor Javaloyes en su "Epístola a los Sabelotodo")
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levysoft · 2 years ago
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Questa scoperta è stata fatta dal medievalista Grigory Kessel utilizzando la fotografia ultravioletta su manoscritti della Biblioteca Vaticana. Il testo scoperto è stato trovato grazie al Sinai Palimpsests Project, formato da un gruppo di ricercatori che mirano a recuperare testi cancellati e sovrascritti dagli scribi nel IV-XII secolo d.C. Il testo originale veniva molto spesso, raschiato via e il foglio veniva recuperato ed riutilizzato data la scarsità di materiale per scrivere. Dopo secoli però, il testo è stato recuperato illuminando i manoscritti con fluorescenza o con lunghezze d’onda diverse della luce. Con questo metodo, gli esperti hanno recuperato 74 manoscritti ma l’ultimo è stato quello più importante poichè conteneva una traduzione di un secolo più antica delle traduzioni greche.
“La tradizione del cristianesimo siriaco conosce diverse traduzioni dell’Antico e del Nuovo Testamento”, spiega Kessel in un comunicato . “Fino a poco tempo fa, si sapeva che solo due manoscritti contenevano la traduzione in antico siriaco dei vangeli”. Il testo scritto per la prima volta nel III secolo d.C. e copiato nel VI secolo d.C. – non è stato ancora reso pubblico integralmente ma offre dettagli importanti rispetto alla traduzione greca di Matteo nel capitolo 12. La traduzione greca del versetto 1 presenta la frase “in quel tempo Gesù passò di sabato tra i campi di grano; e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere le spighe e a mangiarne”. La traduzione più antica e scoperta da Kessel termina con “cominciarono a cogliere le spighe, a sfregarle nelle loro mani e mangiarle». “Grigory Kessel ha fatto una grande scoperta grazie alla sua profonda conoscenza degli antichi testi siriaci e delle caratteristiche della scrittura”, afferma Claudia Rapp, direttrice dell’Istituto per la ricerca medievale presso l’Accademia austriaca delle scienze. “Questa scoperta dimostra quanto possa essere produttivo e importante il lavoro congiunto delle moderne tecnologie e la ricerca di base quando si ha a che fare con manoscritti medievali”.
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eumedieval · 2 years ago
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Feliz dia de Abraçar um Medievalista!
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 Dia 31 de Março
  Eu estava muito, mas muito ansioso para esse dia, mas infelizmente eu fiquei doente e não pude publicar nada, mas estou publicando agora, pois antes tarde do que nunca. 
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alfss · 2 years ago
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DERECHOS A QUIEN CORRESPONDA.
PRESAGIOS DE UNA CONQUISTA
(EN LA CULTURA MEXICA)
Según las fuentes cuasiindígenas retomadas por los frailes de los siglos XVI al XVIII, antes de conocer la existencia física de los españoles, los mesoamericanos y especialmente los mexicas, muy particularmente Moctezuma, tuvieron "presagios" de su llegada. Y esa idea se repite en la historiografía, en la mitología y en la literatura.
Los informantes de Bernardino de Sahagún hacen el recuento de ocho "presagios funestos". El cronista tlaxcalteca Diego Muñoz Camargo coincide con ellos. Van desde presencia de cometas, rayos que caen en el Templo, hasta agua que hierve sin explicación, una mujer que lloraba por sus hijos (leyenda de la llorona), un ave con espejos, aparición de creaturas deformes.
¿Que hacemos con los presagios?: ¿Los ignoramos por inverosímiles?, ¿Los consideramos una explicación de lo inexplicable construida posfacto por "mentes primitivas"?
Esos presagios, esa "superstisión", resultan particularmente poderosos, porque impactan de manera decisiva a Moctezuma. Cosas maravillosas que ocurrieron y que hacían temer el retorno de Quetzalcóatl, de sus enviados o de sus descendientes.
De entrada, ningún historiador pone en duda que existieran dichos "presagios", o que la mentalidad primitiva de los indígenas los hubiera construido. Y aparecen en todas las fuentes de tradición indígena: desde el Códice Florentino hasta el tlaxcalteca Muñoz Camargo y el texcocano Alva Ixtlixóchitl.
Y sin embargo, estos sucesos, que para los historiadores modernos reflejan la mentalidad "primitiva" de los mesoamericanos, son muy parecidos a los que "vieron" en Europa en vísperas del Milenio. Guy Rozat cita a los grandes historiadores medievalistas Jacques Le Golff y Georges Duby, que muestran cómo toda Europa se reportó la presencia de "cometas, lluvia de lodo, estrellas fugaces, temblores, maremotos", en fin, "prodigios" que auguran "cualquier cosa asombrosa y terrible". Este tipo de prodigios sigue apareciendo en Europa en los siglos XVI y XVII.
Ahora, la tradición historiográfica medieval pone gran énfasis en la vida y los hechos de los "grandes personajes" cuyas acciones impactan decisivamente a los pueblos y naciones. Si además repetimos la idea que hace de Moctezuma un tirano todo poderoso, resulta entonces decisivo el papel de Moctezuma (recordemos que la "cobardía" de éste es una de las causas sobre la derrota de los mexicas).
En este sentido, que Moctezuma sea el único que pueda ver o entender los "presagios", lo hace el único vidente según las fuentes cuasiindígenas. Sólo él ve. Y lo que ve está aún oculto. Así, según Álvaro Tezozómoc, manda llamar adivinos, pero éstos no resuelven su angustia. Busca a su alrededor sin encontrar respuestas. Los informantes de Sahagún y Muñoz Camargo lo repiten: "Sólo Motecuhzoma está marcado con el sello de la videncia, con el sello de Dios".
El desconcierto y la angustia de Moctezuma se inscriben en una retórica apocalíptica: cuando se acerca el fin de los tiempos, la mayoría de los hombres pierden la sed y el hambre, no sabe dónde refugiarse, se inca y suplica. De acuerdo con los relatos indígenas de las dos embajadas enviadas a Cortés, cuando Moctezuma se convence al fin, cuando admite el retorno de Quetzalcóatl, toma conciencia de que vienen grandes males para él y su reino. Y se generaliza un ambiente de pánico y zozobra, tanto en Motecuhzoma cómo en los demás indios.
Sin duda, tal como lo muestran los informantes de Sahagún y tantas otras fuentes, esos augurios constituyen una explicación fatalista de la caída de Tenochtitlan: la ciudad en medio del lago tenía que caer porque así lo había previsto Quetzalcóatl.
Bibliografía:
La Batalla por Tenochtitlan, Pedro Salmerón Sanguinés, Fondo de Cultura Económica.
#Mis_dos_Culturas #Soy_Mestizo
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bwtalpine · 2 years ago
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Lily / 20 / she / USA
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fotograrte · 10 months ago
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El vampiro de la Catedral de Toledo o el muerdo de Caín. Finales Siglo XIV.
Una rara representación de la historia bíblica de Caín y Abel en la que Caín mata a Abel mordiéndole, en lugar de golpeándole con una piedra.
Alguna nota más sobre este extraño, singular y poco común relieve, que bebe de las propias leyendas e historias que pululaban por la ciudad en dichas fechas:
A excepción del relieve de la Catedral, únicamente comparte esta característica la Biblia de Alba, una versión manuscrita de las Sagradas Escrituras realizada en el primer tercio del siglo XV por Mosé Arragel de Guadalajara, rabino de la judería de Maqueda. Se conserva en el Palacio de Liria, en Madrid. Medievalistas como Karl Nordström han planteado que detrás de esta interpretación hay una fuente de gran importancia, el Zohar o Libro del esplendor, el texto más importante de la Cábala y del misticismo judío. Escrito probablemente en Guadalajara a finales del siglo XIII, recoge este texto que «cuando Caín quiso matar a Abel, no sabía cómo separar o disociar su alma de su cuerpo, así que le mordió como una serpiente». La versión latina de la apócrifa Vida de Adán y Eva —en donde «la sangre de nuestro hijo Abel estaba en las manos de Caín, quien estaba tragándolo bajo su boca»— es otra de las fuentes propuestas. La versión griega no resulta menos terrible e inquietante: «Mi señor, anoche tuve un sueño. Vi la sangre de mi hijo Amilabes, llamado Abel, siendo llevada hacia la boca de Caín, su hermano, y él la bebía sin piedad. Y no permanecía en su estómago, sino que salía de su boca». Según el Génesis Rabbah, una recopilación de comentarios judíos sobre el primer libro del Antiguo Testamento, la sangre derramada del hermano no pudo subir a los Cielos, dado que ninguna otra alma había ascendido allí todavía, de modo que permaneció en donde había caído, lugar en donde siguen sin crecer los árboles. Otra tradición aseguraba que la tierra arrojaba de sí el cuerpo de Abel, y que continuaría haciéndolo hasta recibir los restos de su padre Adán.
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The vampire of Toledo Cathedral (or Cain's bite). Late 14th Century.
A rare representation of Cain and Abel's biblical story in which Cain kills Abel by biting him, instead of hitting him with a rock.
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sitioliterario · 29 days ago
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Obra-prima
“Toda obra-prima de qualquer literatura é constituída pelo consórcio indissolúvel da ideia com a expressão verbal que a reverte”. ⠀ Augusto Magne,  jesuíta, filólogo, romanista, lusitanista e medievalista brasileiro de origem francesa.
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jgmail · 2 months ago
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El Minnesang en el legado creativo de Otto Rahn
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Por Dmitry Moiseev
Traducción de Juan Gabriel Caro Rivera
Dmitry Moiseev explora la fascinación de Otto Rahn por la espiritualidad cátara, centrándose en el concepto de Minne como forma de “recuerdo amoroso” y su conexión con las tradiciones esotéricas de los trovadores medievales, símbolo de la búsqueda de la perfección y la inmortalidad en un mundo espiritual oculto.
Continuemos el estudio del mundo espiritual y el legado del medievalista alemán Otto Rahn, que comenzó en un artículo anterior para Arktos Journal, fascinado con la leyenda del Grial y el estudio de lo que los católicos llamaron la Herejía Cátara, que no es otra cosa que la antigua espiritualidad del sur francés: Provenza. En este artículo hablaremos de los aspectos específicos de la espiritualidad cátara, en particular, del significado de la palabra Minne, del alto alemán medio, que significa “amor”, “recuerdo” o “recuerdo amoroso”.
En La cruzada contra el Grial (1934) Otto Rahn nos dice lo siguiente sobre el Minne: “Entre los glaciares alpinos y los soleados Pirineos, desde los valles plantados de viñas del Loira hasta los paradisíacos jardines en terraza de la Costa Azul y de la Costa Bermeja, se desarrolló, a comienzos de nuestro milenio, una civilización brillante, gentil y rebosante de espíritu, donde la poesía y la Minne (el amor ideal, el amor sublime, el amor idílico) tenían sus leyes. Se dice que estas leyes, las leys d’amors (las leyes de la Minne), fueron entregadas al primer trovador por un halcón que se hallaba posado en la rama de una encina de oro. Al Minnedienst o servicio de amor (homenaje rendido a la gracia y a la hermosura) llamaban los trovadores domnei (de domina = dama). El domnei provocaba en el domnejaire (servidor de la Minne) el joy d’amour: anhelo, empuje, ímpetu que llevaba al poeta a hacer la Minne”.
Esta explicación coincide en general con la idea de los trovadores y de la cultura provenzal con su poesía sublime, bien asentada en los estudios medievales y culturales modernos. Minnesang aparece con canciones sobre el amor a una bella dama inalcanzable, a la que el trovador jura fidelidad eterna y, al mismo tiempo, no codicia su cuerpo, sino que pretende entrar en su corazón y en su alma para siempre. En la siguiente obra de Rahn, La corte de Lucifer (1937), se da una explicación detallada del significado esotérico de Minne: «A favor hablaría el que la cataridad pidió ser una Gleyiza d'amours, una Iglesia del Amor, y que el ritual de escuchar atentamente a un trovador por parte de su dama se llamaba consolament, consuelo, como es bien sabido, también se denominaba así al acto de consagración que permite a un credens herético convertirse en un perfectus. De aquí provino el cantante y enamorante chevalier errant, el caballero errante, y pasó a convertirse probablemente en chevalier parfait, caballero perfecto; de un pregaire, rogador o buscador, llegó a ser un trovador, un hallador o encontrador. La categoría de chevalier errant habría correspondido al de un credens herético, y la categoría del chevalier parfait, a la de un perfectus herético. Las denominaciones latinas primero fueron introducidas por los inquisidores escribientes en latín. En lo que atañe a la Table Ronde, la Mesa Redonda, de la que los poemas medievales tantos prodigios supieron cantar, será el símbolo de la comunidad de los perfecti y el objetivo de los anhelos de los chevaliers errants, ya que tiene la forma “perfecta” de un círculo. La redondez de la tabla de Arturo y la redondez del Grial deben considerarse como el mundo poético del amor glorificado de los cátaros».
Así, el medievalista alemán sostiene que la llamada herejía cátara era un mundo espiritual especial, significativamente diferente de la Edad Media cristiana. La caballería cátara en la visión de Rahn aparece como un círculo de iniciados en los misterios esotéricos, lo que se refleja simbólicamente en el lenguaje. La transformación de Credens en Perfectus mediante una iniciación adecuada abría nuevas posibilidades existenciales para el iniciado, pero también le imponía requisitos especiales. En el lenguaje de los poetas, esta transición simbólica se refleja en las canciones de los trovadores, en las que el esoterismo de Provenza se codificaba en un motivo romántico. Rahn expone aún más esta idea: «Quien lea sin prejuicios las canciones del Minnesang provenzal pronto constatara que los trovadores nunca nombran a sus damas por sus nombres, sino que le cantan alabanzas de “rubia dama”, de “dama de la bella faz” o de “luz del mundo”. Estas damas no serían otras que la simbolización de su Iglesia del Amor [Minnekircher], y todos los trovadores que, a manera de ejemplo, elogiaban a su rubia “dama de Toulouse” o a su “señora de Carcassonne” no se referían a otra cosa que no fuera la Comunidad Cátara Secreta de Toulouse o Carcassonne. Como último fin, los inquisidores de Roma introdujeron por fuerza la adoración a María y la práctica del rosario, no pocas veces bajo amenaza de hoguera; y si los trovadores le dedicaron versos a María, iban dirigidos secretamente a su Iglesia del Amor. Esto se desprende inequívocamente de las actas de la Inquisición. La Domina, señora de los trovadores, según su punto de vista, era una diosa, no un ser humano, Cuándo ellos alaban en ella a la sabiduría divina. Así fue también en sus comienzos con los Fedeli d'amore, los Fieles al Amor [Minnegetreuen] de la alta Italia, trova influida directamente desde la Provenza que ensalzaba con ardor a una Madonna Intelligenzia, Señora Sabiduría».
El culto a la “Señora Sabiduría” bajo la apariencia de la Santa Virgen, que subraya Otto Rahn, es un interesante signo de los tiempos. En la Europa medieval, especialmente durante las Cruzadas, la profesión abierta de una espiritualidad no cristiana ponía en peligro la vida, lo que era bien comprendido por la gente de la época. Debido a ello, el culto a Minne sólo podía existir de forma oculta, esotérica, exteriormente poco diferente de la caballería cristiana. Al sumergirse en el contenido oculto de esta fe misteriosa, el medievalista alemán llega a otra interpretación de la propia palabra Minne: «La ceremonia de consagración, del Consolament en la lengua de los albigenses, también se llama Manisola, o Fiesta de la Mani Consoladora; la Mani correspondería a la alemana Minne y la palabra gótica del mismo origen munni corresponde a lo que nosotros llamamos Gedenken [conmemorar]. ¡Nunca la palabra Minne significó amor sin más ni más! Quiere decir una “memoria en amor”. En sánscrito, el lenguaje culto de la India antigua, tiene el mismo significado, pero también designa a una piedra legendaria que según dicen esclarece el mundo y destierra la Noche del Error. Quizá ya me era conocido que muchos investigadores imaginan esta piedra, en la mayoría de los casos, como el vivo retrato de la mesa de piedra oferente de comida y bebida, cuándo no ven en ella el Ideal del Grial. La palabra alemana Minne no significa amor, sino recuerdo y memoria. Entonces, teniendo en cuenta que yo pienso, poetizo e interpreto a causa de mis ancestros, resulta que yo mismo soy un poeta trovador [Minnedichter]. Yo busco. Quisiera ser trovador: encontrador».
Al hablar de ello, Rahn traspasa los límites del tiempo y de las formaciones culturales e históricas. Es evidente que la fe albigense está muerta: aplastada, destruida, difamada por los celosos católicos. Al mismo tiempo, la interpretación esotérica emprendida por el medievalista alemán nos permite tender un hilo conductor entre el pasado y el presente, y sentir el espíritu de aquella época trágica oculto en las obras de los trovadores. A este respecto, Rahn señala: «Por esta razón quizás el canto trovadoresco de nuestro tiempo, que se esfuerza, por un pensamiento sintetizador, esté acercándosele, aunque las formas de pensar de aquella época estén lejos de las nuestras. Sin limitaciones aceptaremos, sin embargo, su sincera exigencia de belleza de la manifestación vital, por la educación de gusto, por la alegría del “ser-en-el mundo más estético” y por su “ideal de nobleza en el interior del hombre”. La nobleza caballeresca provenzal no tenía nada en común con la tristemente célebre nobleza caballeresca feudal. París y Roma observaban con odio y envidia al mundo trovadoresco provenzal».
Así pues, para Rahn, el mundo de Minne combina la perfección ética y estética, tanto un “sincero deseo de belleza de la vida” como un “ideal de nobleza”. Además, se trata de la “nobleza interior”, que puede entenderse alegóricamente no sólo como una especie de código ético, sino también como una cierta dimensión trascendente característica de un tipo especial de individuo, cuyo modelo para Rahn era el caballero cátaro iniciado: el Perfectus. Otra interpretación de Minne, a la que llega Otto Rahn, está relacionada con el profundo esoterismo de la fe cátara: “Minne como lealtad”. Señala lo siguiente: «Peire Vidal, hijo de un peletero tolosano, caballero y trovador, permitió cabalgar al Paladín Fiel en el séquito del dios Amor. La fidelidad está condicionada por una ley, que puede ser exterior o interior. También los trovadores estaban subordinados a una norma de esta clase: la ley de la Minne, cuyo párrafo superior da a conocer que Amor nada tiene que ver con el amor carnal. Aunque a todos los trovadores se los llamara Chanters d'amour. Salimos sin esfuerzo de la disyuntiva cuándo les aplicamos la traducción alemana corriente desde hace siglos: Minnesanger. El Amor provenzal es la Minne alemana. Ésta en sus orígenes tampoco tenía ninguna relación con el amor físico, porque no es, como bien sabía Walter von Vogelweide, “ni hombre ni mujer” y no tiene “ni alma ni cuerpo”. Es fuerza y fortalece el espíritu, porque es la fidelidad. También Wolfram von Eschenbach es de esta opinión: la verdadera Minne es la verdadera fidelidad».
En el contexto de la obra de Otto Rahn, las famosas palabras de Dante, “todos mis pensamientos me hablan siempre de amor, y sin embargo tienen entre sí tanta diferencia”, adquieren un significado completamente distinto del habitual. Recordemos el razonamiento de René Guénon de la obra El esoterismo de Dante (1925) sobre el carácter secundario de las formas en todo lo relacionado con la espiritualidad. Hablando del Minne, Rahn llama “verdadera lealtad” a esto, es decir, lo esencialmente esotérico en el sentido genuino, más allá de religiones y cultos. Minne, como “memoria del amor”, conecta a las almas elevadas que aspiran hacia arriba. Rahn llega a la conclusión de que la “memoria en el amor” y la “lealtad” son las claves de la eternidad misma. Ilustra esta idea en La corte de Lucifer con la leyenda de la rosaleda del rey Laurin, que recuerda en las tierras altas alpinas del Bolzano suizo:
«Jamás olvidaré este anochecer, estaba delante de mí cabaña y miraba morir el día. La campanita de la capilla del bosque, situada sobre otra pendiente, doblaba a muerto. Pero una insospechada vida animaba la magnífica rosaleda. Rojas como las delicadas rosas enrojecían sus rocas. Algunas veces llameaban como si en su interior ardiera fuego, y como si el turbión de niebla que se recostaba en ellas fuese de penachos de humo. Miraba y recordaba antiguas canciones que saben contar muchos prodigios de este monte. El rey enano Laurín, aquí, en esos tiempos remotos cuándo los hombres eran mejores, debe haber tenido una deliciosa rosaleda. El perfume encantador de las miríadas de cálices tejía en su interior, e incontables fueron los pájaros que noche y día cantaron jubilosas alabanzas al Creador.
«Sin embargo, hombres malévolos consiguieron aherrojar al rey enano para conducirlo a su ciudad y forzarlo a ser un risible malabarista y bufón. Pero, más temprano que tarde, sucedió que Laurín logró en secreto liberarse de su prisión y retornó al hogar de sus paradisíacos paisajes. Para que nunca más volviera a producirse una experiencia tan indigna como la que había sufrido anteriormente, se recubrió con un hilo de seda. Ni siquiera un hombre de brazos musculosos tendría la fuerza necesaria para romper la sutil telaraña. Ni siquiera el hombre más rico podría comprar jamás la vista de la rosaleda. Y ni siquiera el más erudito de los hombres podría saber del país maravilloso de Laurín, porque ningún libro lo puede describir. Así, yo me ensoñé frente a mi cabaña del pastizal. Por sobre mí, la noche definitivamente estaba allí, y la luna la había seguido. Sus rayos argénteos se reflejaban sobre las rocas apagadas. El día iba muriendo dominado por la noche fresca, que empezó a cantar la muerte con una bella canción puesta en música por Brahms. Sola, la montaña frente a mí no vivió menos.
«Siempre opinaré que la mayor de las maravillas de Laurín es la sabiduría sobre el día y la noche, que es también la sabiduría sobre la vida y la muerte. ¡Si pudiéramos saber algo de esto!, así se quejan los hombres y no debieran hacerlo. Ya que es posible entrar en el reino de las maravillas de Laurín. Pese al hilo de seda protector. Mas eso sólo se admite para los que son caballeros o niños o poetas.
«Por el vetusto Troj de rèses (o sendero de rosas tirolés) que conduce desde el paso de montaña de los Carios, por el valle del Tierser, hacia el norte, cierta vez cabalgó un héroe de la escolta de Dietrich von Bern. En vano se había empeñado en hallar un acceso al reino de Laurín. Todas las veces que creyó haber logrado su objetivo, frente a él se alzaron intrepables murallones rocosos. Más he aquí que en esta ocasión frente a él se halla un estrecho barranco horadado por las aguas. Desciende hacia él. Próximo a un arroyo recibe cantos encantadores de innumerables pájaros. Se detiene y aguza su oído. Entonces ve a una mujer que cuida corderos en una pradera soleada. Le pregunta si los pajarillos siempre cantan. La mujer responde que no los escuchaba desde hacía mucho, pero que ahora se podría, conjeturaba ella, encontrar por fin el molino, y para la redención de los hombres volver a ponerlo en funcionamiento. Que qué tipo de molino era ese, interpeló el caballero. Que estaba encantado y se había detenido hacía ya muchísimos años – respondió la mujer –. Por aquellos tiempos remotos lo habían trabajado los enanos y era pertenencia de Laurín, que en él hacía moler harina que donaba a los hombres que eran pobres. Fue sólo saberlo y ya se dejaron caer por aquí los codiciosos. Uno de ellos arrojó un enano al agua por no haberle dado bastante harina; desde esta acción el molino se detuvo y no se lo ha podido volver a encontrar. Que se lo encontraría si los pájaros volvían a cantar. El molino está en lo profundo del estrecho barranco, tan fuertemente cerrado y desgastado que ni siquiera su rueda se puede mover. Se lo ha bautizado como “el molino de rosas” porque zarzarrosas le han crecido, envolviéndolo.
«El caballero se apresuró a adentrarse en el bosque a la búsqueda del molino. Y lo halló. Sobre su techo proliferaban musgos, los tabiques estaban ennegrecidos de viejos, y la rueda no giraba. Las rosas lo poblaban tan densamente que aquel que no supiera del molino seguiría su camino pasando frente a él sin enterarse. Fueron infructuosos los enormes esfuerzos del caballero por abrirle las puertas. El candado no cedió ni un ápice. En la pared se fue dejando ver un ventanuco. El caballero se apoyó sobre el lomo de su corcel y miró a través de los vidrios. Dentro del recinto del molino había siete enanos tendidos, y dormían. El caballero llamó a viva voz e insistió golpeando con el puño. En vano. Cansino cabalga de regreso al prado y se tiende a descansar. A la mañana siguiente se encarama a una altura sobre el barranco del bosque. Allá hay tres matas de zarzarrosa.
«El caballero saca una rosa de la primera mata. Una sílfide grita desde la mata.
-¡Traedme una rosa de los buenos viejos tiempos!
-Lo haría gustoso -replica el caballero-, mas ¿cómo la encontraré?
Gimiendo, la sílfide se desvanece.
El caballero camina a la segunda mata. Coge una flor. Otra vez aparece una sílfide que ruega, gime y se desvanece. Al coger una rosa de la tercera mata, una tercera sílfide pregunta:
-¿Por qué has golpeado a nuestra puerta?
-Quiero ir a la rosaleda del rey Laurín porque busco a la novia de mayo.
-Sólo le es permitida la rosaleda a los niños o a los bardos. Si puedes cantar una canción hermosa, tendrás expedito el camino.
-Sí que puedo.
-Si es así, ven conmigo -dice la sílfide, coge zarzarrosas y baja a la quebrada.
El caballero la sigue. Llega al molino. La puerta se abre ipso facto por sí sola. Los enanos duermen todavía. La sílfide los toca con las rosas y grita:
-¡Despertad, dormilones, las jóvenes rosas florecen!
Los enanos se levantan, se frotan los ojos y empiezan a moler... La sílfide le indica al caballero el sótano del molino. Desde allí parte un caminito a la montaña, que acaba finalmente en luminosa claridad. Y los dichosos ojos del caballero admiran el jardín paradisíaco del rey Laurín, con coloridos arríales, amenos bosquecillos y resplandecientes rosas. También ve el hilo de seda que todo lo envolvía.
-Empieza ahora tu canción -dice la sílfide.
Canta el caballero de Amor (Minne) y de mayo. El paraíso de rosas entonces se abre para él. Para siempre. El caballero va entrando en la eternidad».
La metáfora de la “entrada a la eternidad”, utilizada por Rahn en su recapitulación de la leyenda de la Rosaleda, refleja simbólicamente la aspiración a la perfección. Su caballero, que aspira a pasar al jardín de la inmortalidad, debe ser “un niño” o “un cantor”. Un niño es símbolo de inocencia y pureza espiritual (al mismo tiempo, no olvidemos que, en la alquimia, un niño coronado es la designación de la Piedra Filosofal). El cantor, al que el duende de la leyenda equipara a un niño, representa al trovador Perfectus, un auténtico caballero que canta al “recuerdo amoroso”. Cantando a Minne y a mayo (recordemos el simbolismo tradicional de la novia de mayo, por ejemplo, mayo es el mes dedicado a Flora en la Antigua Roma, que representaba el renacimiento de la naturaleza, las flores y la fertilidad), el caballero entra en el Jardín de las Rosas: gana la inmortalidad eterna y la felicidad eterna. Contemplando a Minne, Rahn recuerda también a Walther von der Vogelweide, que “siendo tirolés, conocía sin duda la leyenda de la Rosaleda”. Cantaba sobre Minne:
El Amor (Minne) no es hombre ni mujer,
No tiene alma ni cuerpo.
Su ausencia nadie aún la inventó.
A nada se le puede comparar.
Y nunca tú podrás obtener
Gracia de Dios sin él.
Nunca entra en corazón falso.
Sólo es propio de los nobles.
La profunda meritocracia de la Iglesia de Minne, sobre la que escribe Otto Rahn, es característica de la fe cátara y una de sus diferencias clave respecto al igualitarismo dominante en el cristianismo. “Minne pertenece sólo a los nobles", dice Walther von der Vogelweide; “noble” significa Perfecti o Chevalier Parfait. Este elevado ideal, que es una lucha por la perfección absoluta, puede ser una estrella guía de la ética personal incluso en nuestros tiempos, y en este sentido la obra de Otto Rahn, su interpretación de la fe cátara, es extremadamente relevante.
Al mismo tiempo, es difícil seguir luchando por la perfección sin una luz que guíe y un ejemplo. La Estrella de la Mañana guio a Otto Rahn y a sus almas gemelas, los Perfectos Cátaros, en su camino hacia el Cielo. Hablaremos de esto la próxima vez.
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armatofu · 5 months ago
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Aparece una mezquita de Abderramán III en un cortijo de Málaga
A 13 kilómetros en línea recta de Bobastro (Málaga), donde Omar ben Hafsun y sus hijos se levantaron contra el emirato de Córdoba en una rebelión que duró desde el año 880 hasta el 929, Abderramán III planeó levantar una ciudad, al-Madina, como símbolo del poder oficial frente a los sublevados y empezó por la mezquita. Esta es la razón, en opinión del doctor en Historia Medieval Virgilio Martínez Enamorado, de la existencia de una mezquita de piedra labrada, porte monumental y capacidad para unas 700 personas, en medio de la vega de Antequera, en un paraje rural alejado de cualquier asentamiento.
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“Pero el emir derrotó a los disidentes antes de lo esperado y, probablemente, decidió abandonar su proyecto porque ya no necesitaba demostrar su poder frente al enemigo y prefirió retomarlo más cerca de Córdoba. Fue así como nació Medina Azahara, que comenzó a construirse en el 936”, explica el medievalista y profesor de la Universidad de Málaga en el interior del cortijo Las Mezquitas, ante el muro de la quibla, en el que aún puede verse el mihrab orientado hacia La Meca.
Hasta 2006, nadie conocía la existencia de la mezquita, que conserva sus muros de hasta seis metros de altura reforzados con contrafuertes y cuenta con un patio. El conjunto, de 30x30 metros, se construyó según el sistema de medidas antropométricas de la dinastía Omeya, el codo mamuni, que equivale a 47,14 centímetros. Lo único que delataba su pasado era el topónimo del cortijo: Las Mezquitas. Fue entonces, cuando el historiador Carlos Gozalbes descubrió los arcos del templo embutidos en los muros del cortijo, el centro de una finca propiedad de José María Alcalde en la que se crían trigo y olivos y que está ubicada en el término municipal de Antequera, lindando con Campillos y Sierra de Yeguas y muy cerca de la laguna salada de Fuente de Piedra. Dos años más tarde, en 2008, el inmueble fue declarado bien de interés cultural (BIC) por la Junta de Andalucía. La mezquita, aunque ha sido objeto de varios estudios, permanece embutida en el cortijo y, de momento, no se ha realizado una prospección arqueológica en el bien ni está prevista su puesta en valor.
“Al principio se dijo que se trataba de una mezquita rural, pero esa teoría está totalmente descartada, tanto por el estudio arquitectónico que han realizado Pedro Gurriarán y la arqueóloga del CSIC María de los Ángeles Utrero, como por las fuentes de cronistas árabes que he consultado y publicado en mi libro La mezquita de Lamaya [Editorial La Serranía, 2018]”, apunta el arqueólogo y arabista, quien ha estudiado textos de la época en busca de referencias al edificio y las ha encontrado en la obra de Ibn Hayyan (Córdoba, 987-1075), el gran cronista de Abderramán III, quien tras doblegar a los rebeldes de Omar ben Hafsun se autoproclamó califa.
"[Abderramán III] Se volvió contra la ciudad extraviada de Bobastro, acampando de nuevo cerca de ella por la parte de Lamaya y, viendo que los contrabaluartes eran la cosa más dañina contra los prevaricadores, ordenó fortificar allí una vieja peña llamada al-Madina (...) en una posición desde la que dominaba todos los caminos de la ciudad del maldito (...). En aquel lugar estuvo siete días hasta completar aquello, sin dejar a los prevaricadores respiro ni recurso, hostigando al maldito Hafs y a los suyos de Bobastro", escribió Ibn Hayyan, como recoge Martínez Enamorado en su libro y justifica así una de sus teorías: que la ciudad se comenzó a construir por la mezquita, como elemento fundacional, y que las gentes del emir vivían en un campamento militar, que se desmontó tras la derrota del rebelde.
La situación de la mezquita entre tres términos municipales no es producto del azar, como señala Virgilio Martínez. "El templo se emplazó entre tres demarcaciones provinciales de al-Ándalus en el siglo X, las coras o provincias de Estepa, a cuya jurisdicción perteneció sierra de Yeguas hasta época moderna; la de Campillos, integrada en Teba, que en época andalusí formaba parte de la provincia bereber de la serranía de Ronda de nombre Takurunna, y Antequera, de Rayya, demarcación que tuvo a Archidona y Málaga como capitales. Los antiguos límites quedaron fosilizados en los actuales y eso explica tan insólita ubicación".
“La mezquita se ha conservado muy bien gracias a que ha estado protegida por el cortijo, que se levantó en el siglo XVI y ha seguido usándose hasta finales del siglo XX. Si se elimina la arquitectura parasitaria, el edificio aparecerá en todo su esplendor. De momento, la estructura está a salvo porque el propietario colocó una cubierta de uralita después de que la gran tormenta que cayó en esta zona en octubre de 2018 acabara con el techo”, afirma Martínez Enamorado, autor de una treintena de libros sobre arqueología y epigrafía de al-Ándalus.
“La mezquita es un modelo reducido de la gran mezquita de Córdoba de Abderramán I [del año 786 y más pequeña que la actual], una cuarta parte de aquella, aunque con algunos cambios respecto al modelo como por ejemplo, las arquerías interiores que son paralelas al muro de la quibla y no perpendiculares como en el caso de la mezquita cordobesa”, explica Pedro Gurriarán, especialista en arquitectura andalusí que estudió el edificio en 2015 junto a Utrero y han publicado el resultado en la revista anual Mainake de la Diputación de Málaga, en el número 37 del pasado noviembre.
“Este es uno de los grandes descubrimientos de arquitectura altomedieval islámica en nuestro país en las últimas décadas. Hemos podido constatar que se construyó en dos fases. En la primera, a finales del siglo IX, utilizaron piezas romanas de acarreo, que abundan en la zona de asentamientos anteriores, y otras nuevas ensambladas con mortero; mientras que en la segunda fase, de principios del X, la destreza con la que están cortados los sillares revela la presencia de especialistas que entonces solo trabajaban en talleres de cantería cordobeses”, abunda Gurriarán para avalar su tesis de que se trata de una obra de Estado que los Omeya proyectaron como propaganda política frente a sus enemigos.Fuente: * https://elpais.com/cultura/2019/12/18/actualidad/1576698493_798053.html
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borgmerica · 4 days ago
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Self-promo but if any mutuals here want to become non-kraken mutuals my main is @medievalista ....:-D
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agendaculturaldelima · 5 months ago
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#AmigosInolvidables #Poesia
📖 “MAGNOLIA” 📜✒👀
💥 El libro se inicia como un oasis refrescante cuando leemos: “Mi corazón baila al ritmo de mi felicidad/se balancea y traza formas de amor”. Dicha poesía no es una poesía hermética ni áspera, mucho menos oscura; se acerca más bien a un trovar pla o leu, que es como define el medievalista español Martin de Riquer a la “versificación sencilla”, llana y abierta. Magnolia tiene dos caras, muy demarcadas: la luz/la sombra, porque el libro está dedicado a una figura enigmática, que entabla una lucha contra el desarraigo, el autoritarismo frente a las imposiciones externas, aunque por momentos cae en la perdición y el abismo. Por ello, no faltan las alusiones a los disturbios políticos y a la decepción amorosa.
✍️ Autora: Patricia Josefina Denegri
👥 Comentarios: Marco Martos y Carmen Ollé
© Organiza: Tierra Nueva Editores.
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📌 PRESENTACIÓN DEL POEMARIO:
📆 Martes 18 de Junio
🕖 7:00pm.
🏫 Librería El Virrey (jr. Bolognesi 510 - Miraflores)
🚶‍♀️🚶‍♂️ Ingreso libre 
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considerandos · 6 months ago
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Paradoxos da História
A leitura do surpreendente "A Mulher no Tempo das Catedrais", da famosa historiadora medievalista francesa Régine Pernoud (1909-1998), editado originalmente em 1980, chamou a minha atenção para um fen��meno curiosíssimo, um efeito pernicioso do Renascimento e do movimento universitário que eclodiu na Europa no final da Idade Média, no que concerne ao papel social da mulher. Efeito esse que perdurou durante o Antigo Regime e se acentuou até, após a Revolução, com a disseminação do código napoleónico pela Europa continental e pelas suas colónias.
Em traços muito gerais e simplistas, até porque nem sou historiador nem tenho aspirações a fazer crítica ou exaltação do trabalho de alguém como Régine Pernoud, eu diria que a obra fala essencialmente de como o Cristianismo primitivo, dos padres da Igreja, libertou a mulher de um papel secundário e desprovido de direitos, que detinha na sociedade greco-romana, para mais tarde ser novamente aprisionada pelos preconceitos da antiguidade, com a redescoberta do direito romano justinianeu e o seu estudo, batismo e aplicação sistemática pelo movimento universitário, que excluiu peremptoriamente as mulheres até quase ao século XX, e indiretamente pela conversão do aristotelismo à doutrina cristã, operada por São Tomás de Aquino, também ele um eminente universitário e expoente desse importante movimento.
O papel da mulher na sociedade greco-romana era de facto o de um menor ou incapaz, sempre sujeita a uma tutela masculina. Se o pater familias tinha um poder absoluto, de vida ou de morte, sobre a descendência, esse poder, com algumas limitações, sobretudo de ordem patrimonial e relacionadas com a titularidade e administração do dote, passava quase integralmente para o marido. E se este repudiava a mulher, ou esta enviuvava, a tutela transmitia-se integralmente de regresso ao pai, ou se este já não existisse, aos irmãos ou até aos filhos varões. A mulher romana nunca alcançava a emancipação. Estava sempre sob tutela legal de um parente masculino, que tinha amplos poderes, até para administrar os seus bens. Era um regime de completa e total incapacidade legal.
Não admira assim a adesão das mulheres romanizadas ao Cristianismo. Apesar de São Paulo insistir na inferioridade da mulher, relativamente ao homem, os evangelhos eram bastante mais igualitários e defendiam as mulheres dos abusos masculinos, conferindo-lhes direitos inexistentes na cultura romana, nomeadamente a emancipação, nem que fosse necessário recolherem-se a um convento para a obterem em absoluto, como fizeram regularmente varias figuras importantes na Idade Média, com destaque em França para a Abadia de Fontevraud.
As mulheres foram assim as grandes impulsionadoras da cristianização da Europa. Desde Santa Helena, mãe do imperador Constantino, que muito terá contribuído para a sua conversão e também para a emancipação da mulher cristã, partindo, juntamente com muitas seguidoras, em peregrinação à terra santa, onde terá descoberto, segundo a tradição cristã, o local de crucificação de Jesus Cristo e ordenado a construção de igrejas, como a da Natividade em Belém e a do Santo Sepulcro em Jerusalém.
Mas também o primeiro rei dos Francos, Clóvis, converteu-se ao catolicismo por estímulo de sua esposa, Clotilde da Borgonha, ato de imensa importância na história subsequente da Europa.
A oriente temos também a figura importante de Santa Olga, princesa regente de Kiev que teve um papel fulcral na cristianização da Rússia e bem assim de Ana Porfirogénita, filha do imperador Bizantino Romano II que, ao casar-se com o rei Vladimir de Kiev, lhe exigiu a prévia conversão ao Cristianismo Ao retornar triunfalmente a Kiev, Vladimir exortou os residentes da sua capital a irem ao Dniepre para receberem o batismo. Esse batismo em massa tornou-se o evento inaugural do cristianismo na Rússia de Kiev.
Como estes, outros exemplos podem ser citados, da influência das mulheres na Cristianização da Europa, a ponto de Régine Pernoud concluir que foram estas as principais responsáveis pela expansão do Cristianismo, primeiro no império romano e depois entre os povos pagãos da Europa.
O principal atrativo do cristianismo, para as mulheres, seria precisamente a emancipação relativamente ao estatuto de incapaz, que detinham no mundo romano.
Consequentemente à mulher teria sido permitido gozar de uma posição de destaque, na Europa medieval, citando mulheres exemplares, que se destacaram na governação, na liderança militar e na influência política, durante a Idade Média. Nomes como Bertrade de Monfort, Ermengarda da Bretanha, Matilde de Anjou e Matilde "a imperatriz", Leonor da Aquitânia, Adélia de Blois, a Rainha Ana de Kiev, Inês de Poitou, Matilde da Toscana, Leonor de Castela e finalmente, as duas figuras ímpares que foram Catarina de Siena e Joana d'Arc.
Como português acrescentaria ainda as nossas Rainha D. Teresa de Portugal e Rainha Santa Isabel, como figuras importantes da nossa história medieval, sem esquecer a pouco simpática mas influente Leonor Teles ou ainda a lendária Brites de Almeida, a heróica padeira de Aljubarrota.
Com o fim da Idade Média as mulheres eclipsaram-se da vida pública. Privadas do acesso à educação universitária, foram afastadas do poder, salvo raras exceções, como Catarina da Rússia e Maria Teresa da Áustria.
No caso português, datam porém deste período as duas únicas rainhas titulares da nossa história (se excluirmos o polémico, mas importante, reinado de D. Teresa), mas se D. Maria II ainda conseguiu ter um papel relevante, como estandarte do triunfo do constitucionalismo, após a guerra civil, já a bisavó D. Maria I era notoriamente incapaz e foi o filho, futuro D. João VI, quem exerceu a regência, durante a maior parte do seu reinado.
De tudo isto resulta uma ideia surpreendente. Do ponto de vista da emancipação feminina, a ascensão do Cristianismo, do feudalismo e do monaquismo foram momentos fundamentais, impulsionados por mulheres e onde estas alcançaram um estatuto de relativa igualdade com os homens. Paradoxalmente, as repúblicas democráticas da antiguidade, o Renascimento e o Iluminismo recolocaram a mulher num papel secundário, subordinada ao homem, impedida de aceder à educação e a um conjunto de profissões que já lhe tinha sido permitido exercer no passado.
Só o século XX trouxe a luta pela emancipação feminina e a preocupação com a igualdade de direitos e de oportunidades entre os géneros.
Curiosamente, Pernoud mostra-se bastante cética, no que respeita ao feminismo, porque vê nele não o direito à diferença que enriquece, mas sim à uniformização, a ascensão da mulher ao papel masculino, o que implica a renúncia à sua feminilidade, à capacidade de exercer o poder e o conhecimento de um modo único e feminino, diferente dos homens, ganhando assim a sociedade, com a diversidade de pontos de vista decorrente das diferenças entre os géneros.
Acho pertinente a crítica, sobretudo quando se verifica, na sociedade contemporânea, que Pernoud já não conheceu, que até o género passou a ser opcional e criativo, abolindo-se as características próprias de cada sexo, tornadas obsoletas e até ofensivas da liberdade individual.
Será que na ditadura do politicamente correto, haverá lugar para um modo masculino e feminino de olhar o mundo, como pretendia Régine Pernoud? Ou estaremos condenados a uma monotonia assexuada, de um mundo arco íris?
Tendencialmente a ideia seria multiplicar as visões do mundo pela multiplicação dos géneros. Mas essa via não nos conduzirá à ausência de género e à normalização de uma visão monolítica, politicamente correta, do mundo?
Olhando para a política de hoje, vejo muito mais em prática esta segunda hipótese do que a primeira.
22 de Maio de 2024
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