#MEDIEVALISTA
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ernestdescalsartwok · 1 year ago
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OTTO RAHN-ENCUENTRO-GRIAL-MONTSEGUR-CUEVA-ARTE-PINTURA-MISTCISMO-AGUA-PIEDRAS-ARTISTA-PINTOR-ERNEST DESCALS por Ernest Descals Por Flickr: OTTO RAHN-ENCUENTRO-GRIAL-MONTSEGUR-CUEVA-ARTE-PINTURA-MISTCISMO-AGUA-PIEDRAS-ARTISTA-PINTOR-ERNEST DESCALS- En su larga búsqueda del GRIAL, por fin OTTO RAHN encuentra el mágico cáliz en las cuevas cercanas al castillo de Montsegur en la Occitania de Francia, entre piedras y un tranquilo estanque de agua, momentos especiales en la vida del investigador alemán, en un entorno de enorme misticismo el lugar se ilumina con gotas de agua que parecen llover con lentitud. Pintura del artista pintor Ernest Descals sobre papel de 50 x 70 centímetros.
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ginogirolimoni · 4 months ago
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Ursula von der Leyen nomina Peter Strohschneider, professore di storia medioevale perché supervisioni un importante rapporto sull’agricoltura; il professore guadagnerà 973,79 € al giorno.
se credevate che l’amichettismo fosse un fenomeno solo italico, vi siete sbagliati, prima la Metsola nomina il cognato come capo di gabinetto (“La Meloni si e io no?”), adesso la Ursula che nomina Peter.
In molti hanno trovato esagerato il compenso per questo studioso, molto meno ha stupito che un medioevalista si interessi di agricoltura, noi per fortuna siamo abituati a gente che non c’entra niente con l’incarico che ottiene, Lollobrogida è “laureato” (Università Cusano) telematicamente in giurisprudenza ed è ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare (qualunque cosa sia, Dio ci perdoni tutti) e delle Foreste (quelle che sono rimaste).
Molto probabilmente i contadini da ora in poi andranno al lavoro a piedi o su un carro di buoi, periodicamente metteremo una parte di terreno a maggese e faremo la rotazione delle colture, reintrodurremo l’aratro a versoio trainato da buoi o cavalli e ricorreremo al “debbio” (no a Paolo Del Debbio), cioè all’utilizzo delle ceneri delle erbacce estirpate come fertilizzante.
Un ritorno al medioevo insomma, pensate che io stia scherzando? Neanche per idea, Francesco Lollobrigida ha proposto il “servizio civile agricolo”, cioè l’idea di offrire ai giovani l’opportunità di poter lavorare quasi a titolo gratuito (i rimborsi previsti coprono appena le spese) nelle aziende agricole in cambio del 15% di posti riservati nei concorsi pubblici.
Insomma, stanno reintroducendo la servitù della gleba, dove il nobile proprietario delle terre obbligava i suoi contadini a prestare gratuitamente lavoro per le courvée che desiderava effettuare.
Prossimamente è prevista anche la reintroduzione dello jus primae noctis.
E allora, cosa state aspettando? Tirate fuori zappe, roncole e falcetti e iniziate ad affilarle.
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bibliotecasanvalentino · 3 months ago
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Ed eccoci di nuovo qui con la rubrica a cadenza mensile e precisamente l'ultimo giorno di ogni mese, curata dalla nostra utente e amica @valentina_lettrice_compulsiva
Questa rubrica nasce anche e soprattutto da una riflessione che ci accompagna da un po' di tempo: per una "piccola" biblioteca di un piccolo paese non è sempre facile stare al passo con le richieste, i suggerimenti, le necessità degli utenti e non. Per questo motivo, con l'aiuto di Valentina scopriremo nuovi autori e nuove letture, consigli e spunti di riflessione, insieme a curiosità e notizie sui nostri cari libri. E allora, diamo il benvenuto a questo nuovo spazio culturale dove si viaggerà alla scoperta delle case editrici indipendenti: ʟᴇᴛᴛᴜʀᴇɪɴᴅɪᴇ.
La casa editrice di questo mese è: @pelledocaeditore
Buona lettura a tutti!
GHOST STORIES – M. R. JAMES
È la notte di Halloween, quale modo migliore di trascorrerla se non leggendo le storie di fantasmi dello scrittore e medievalista britannico Montague Rhodes James?
La casa editrice Pelledoca, specializzata in narrativa per ragazzi, ha pubblicato un graphic novel che raccoglie i cinque racconti più famosi dell’autore, nell’adattamento di Leah Moore e John Reppion, in cui vengono trattati: il tema della vendetta, del ritorno dal regno dei morti, della curiosità che spinge l’uomo a superare limiti invalicabili.
I protagonisti di queste storie sono studiosi impegnati in misteriose e insidiose ricerche in archivi polverosi o in dimore infestate, che si trovano ad affrontare esperienze al di là dell’umana comprensione.
"LA MEZZATINTA", in assoluto il mio racconto preferito di James, racconta di un dipinto che, notte dopo notte, prende vita per ricordare in eterno la terribile vendetta di un nobile decaduto.
"IL FRASSINO", invece, narra la storia di un albero che nasconde un terribile segreto, legato alla morte di una donna giustiziata per stregoneria
"LA NUMERO 13" racconta di una stanza d’albergo che appare e scompare.
"IL CONTE MAGNUS" è ambientato in un mausoleo misterioso nel quale sarebbe meglio non entrare.
“FISCHIA E IO VERRÒ DA TE” narra di un fischietto capace di evocare mostri e demoni.
Le splendide illustrazioni di Fouad Mezher, Alisdair Wood, George Kambadais, Abigail Larson e Al Davison costituiscono il valore aggiunto del volume.
COSA MI È PIACIUTO
Adoro la letteratura gotica e, in particolare, le storie di fantasmi. Quelle di M. R. James mi hanno sempre affascinata per le ambientazioni cupe e le vicende oscure che le caratterizzano.
COSA NON MI È PIACIUTO
Purtroppo l’età avanza e ho avuto un po’ di difficoltà a leggere le vignette di alcune tavole.
   
L’AUTORE
M. R. James (1862-1936) è stato uno scrittore e studioso medievale, ricordato soprattutto per le sue storie di fantasmi che sono considerate tra le migliori del genere. I racconti di M. R. James continuano ad influenzare molti dei grandi scrittori di oggi, tra cui Stephen King  (che discute di James nel libro di saggistica del Danse Macabre, 1981) e Ramsey Campbell.
LA CASA EDITRICE
I libri di Pelledoca editore vogliono raccontare storie belle, forti e particolari. Storie da brivido, capaci di tenere il lettore con il fiato sospeso e gli occhi incollati alla pagina. La casa editrice ha fatto una scelta precisa, decidendo di occuparsi solo di thriller, noir e mistero. Chi scrive per Pelledoca accompagna i lettori, soprattutto i più giovani, in un mondo narrativo di intrighi in cui si muovono personaggi equivoci, vittime e carnefici, ma anche astuti eroi.
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borgmerica · 1 year ago
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Ok im gonna be annoying .. not new to kraken tumblr but here's a little intro post thing bc i have new followers 😊
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levysoft · 2 years ago
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Questa scoperta è stata fatta dal medievalista Grigory Kessel utilizzando la fotografia ultravioletta su manoscritti della Biblioteca Vaticana. Il testo scoperto è stato trovato grazie al Sinai Palimpsests Project, formato da un gruppo di ricercatori che mirano a recuperare testi cancellati e sovrascritti dagli scribi nel IV-XII secolo d.C. Il testo originale veniva molto spesso, raschiato via e il foglio veniva recuperato ed riutilizzato data la scarsità di materiale per scrivere. Dopo secoli però, il testo è stato recuperato illuminando i manoscritti con fluorescenza o con lunghezze d’onda diverse della luce. Con questo metodo, gli esperti hanno recuperato 74 manoscritti ma l’ultimo è stato quello più importante poichè conteneva una traduzione di un secolo più antica delle traduzioni greche.
“La tradizione del cristianesimo siriaco conosce diverse traduzioni dell’Antico e del Nuovo Testamento”, spiega Kessel in un comunicato . “Fino a poco tempo fa, si sapeva che solo due manoscritti contenevano la traduzione in antico siriaco dei vangeli”. Il testo scritto per la prima volta nel III secolo d.C. e copiato nel VI secolo d.C. – non è stato ancora reso pubblico integralmente ma offre dettagli importanti rispetto alla traduzione greca di Matteo nel capitolo 12. La traduzione greca del versetto 1 presenta la frase “in quel tempo Gesù passò di sabato tra i campi di grano; e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere le spighe e a mangiarne”. La traduzione più antica e scoperta da Kessel termina con “cominciarono a cogliere le spighe, a sfregarle nelle loro mani e mangiarle». “Grigory Kessel ha fatto una grande scoperta grazie alla sua profonda conoscenza degli antichi testi siriaci e delle caratteristiche della scrittura”, afferma Claudia Rapp, direttrice dell’Istituto per la ricerca medievale presso l’Accademia austriaca delle scienze. “Questa scoperta dimostra quanto possa essere produttivo e importante il lavoro congiunto delle moderne tecnologie e la ricerca di base quando si ha a che fare con manoscritti medievali”.
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eumedieval · 2 years ago
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Feliz dia de Abraçar um Medievalista!
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��Dia 31 de Março
  Eu estava muito, mas muito ansioso para esse dia, mas infelizmente eu fiquei doente e não pude publicar nada, mas estou publicando agora, pois antes tarde do que nunca. 
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alfss · 2 years ago
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DERECHOS A QUIEN CORRESPONDA.
PRESAGIOS DE UNA CONQUISTA
(EN LA CULTURA MEXICA)
Según las fuentes cuasiindígenas retomadas por los frailes de los siglos XVI al XVIII, antes de conocer la existencia física de los españoles, los mesoamericanos y especialmente los mexicas, muy particularmente Moctezuma, tuvieron "presagios" de su llegada. Y esa idea se repite en la historiografía, en la mitología y en la literatura.
Los informantes de Bernardino de Sahagún hacen el recuento de ocho "presagios funestos". El cronista tlaxcalteca Diego Muñoz Camargo coincide con ellos. Van desde presencia de cometas, rayos que caen en el Templo, hasta agua que hierve sin explicación, una mujer que lloraba por sus hijos (leyenda de la llorona), un ave con espejos, aparición de creaturas deformes.
¿Que hacemos con los presagios?: ¿Los ignoramos por inverosímiles?, ¿Los consideramos una explicación de lo inexplicable construida posfacto por "mentes primitivas"?
Esos presagios, esa "superstisión", resultan particularmente poderosos, porque impactan de manera decisiva a Moctezuma. Cosas maravillosas que ocurrieron y que hacían temer el retorno de Quetzalcóatl, de sus enviados o de sus descendientes.
De entrada, ningún historiador pone en duda que existieran dichos "presagios", o que la mentalidad primitiva de los indígenas los hubiera construido. Y aparecen en todas las fuentes de tradición indígena: desde el Códice Florentino hasta el tlaxcalteca Muñoz Camargo y el texcocano Alva Ixtlixóchitl.
Y sin embargo, estos sucesos, que para los historiadores modernos reflejan la mentalidad "primitiva" de los mesoamericanos, son muy parecidos a los que "vieron" en Europa en vísperas del Milenio. Guy Rozat cita a los grandes historiadores medievalistas Jacques Le Golff y Georges Duby, que muestran cómo toda Europa se reportó la presencia de "cometas, lluvia de lodo, estrellas fugaces, temblores, maremotos", en fin, "prodigios" que auguran "cualquier cosa asombrosa y terrible". Este tipo de prodigios sigue apareciendo en Europa en los siglos XVI y XVII.
Ahora, la tradición historiográfica medieval pone gran énfasis en la vida y los hechos de los "grandes personajes" cuyas acciones impactan decisivamente a los pueblos y naciones. Si además repetimos la idea que hace de Moctezuma un tirano todo poderoso, resulta entonces decisivo el papel de Moctezuma (recordemos que la "cobardía" de éste es una de las causas sobre la derrota de los mexicas).
En este sentido, que Moctezuma sea el único que pueda ver o entender los "presagios", lo hace el único vidente según las fuentes cuasiindígenas. Sólo él ve. Y lo que ve está aún oculto. Así, según Álvaro Tezozómoc, manda llamar adivinos, pero éstos no resuelven su angustia. Busca a su alrededor sin encontrar respuestas. Los informantes de Sahagún y Muñoz Camargo lo repiten: "Sólo Motecuhzoma está marcado con el sello de la videncia, con el sello de Dios".
El desconcierto y la angustia de Moctezuma se inscriben en una retórica apocalíptica: cuando se acerca el fin de los tiempos, la mayoría de los hombres pierden la sed y el hambre, no sabe dónde refugiarse, se inca y suplica. De acuerdo con los relatos indígenas de las dos embajadas enviadas a Cortés, cuando Moctezuma se convence al fin, cuando admite el retorno de Quetzalcóatl, toma conciencia de que vienen grandes males para él y su reino. Y se generaliza un ambiente de pánico y zozobra, tanto en Motecuhzoma cómo en los demás indios.
Sin duda, tal como lo muestran los informantes de Sahagún y tantas otras fuentes, esos augurios constituyen una explicación fatalista de la caída de Tenochtitlan: la ciudad en medio del lago tenía que caer porque así lo había previsto Quetzalcóatl.
Bibliografía:
La Batalla por Tenochtitlan, Pedro Salmerón Sanguinés, Fondo de Cultura Económica.
#Mis_dos_Culturas #Soy_Mestizo
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fotograrte · 1 year ago
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El vampiro de la Catedral de Toledo o el muerdo de Caín. Finales Siglo XIV.
Una rara representación de la historia bíblica de Caín y Abel en la que Caín mata a Abel mordiéndole, en lugar de golpeándole con una piedra.
Alguna nota más sobre este extraño, singular y poco común relieve, que bebe de las propias leyendas e historias que pululaban por la ciudad en dichas fechas:
A excepción del relieve de la Catedral, únicamente comparte esta característica la Biblia de Alba, una versión manuscrita de las Sagradas Escrituras realizada en el primer tercio del siglo XV por Mosé Arragel de Guadalajara, rabino de la judería de Maqueda. Se conserva en el Palacio de Liria, en Madrid. Medievalistas como Karl Nordström han planteado que detrás de esta interpretación hay una fuente de gran importancia, el Zohar o Libro del esplendor, el texto más importante de la Cábala y del misticismo judío. Escrito probablemente en Guadalajara a finales del siglo XIII, recoge este texto que «cuando Caín quiso matar a Abel, no sabía cómo separar o disociar su alma de su cuerpo, así que le mordió como una serpiente». La versión latina de la apócrifa Vida de Adán y Eva —en donde «la sangre de nuestro hijo Abel estaba en las manos de Caín, quien estaba tragándolo bajo su boca»— es otra de las fuentes propuestas. La versión griega no resulta menos terrible e inquietante: «Mi señor, anoche tuve un sueño. Vi la sangre de mi hijo Amilabes, llamado Abel, siendo llevada hacia la boca de Caín, su hermano, y él la bebía sin piedad. Y no permanecía en su estómago, sino que salía de su boca». Según el Génesis Rabbah, una recopilación de comentarios judíos sobre el primer libro del Antiguo Testamento, la sangre derramada del hermano no pudo subir a los Cielos, dado que ninguna otra alma había ascendido allí todavía, de modo que permaneció en donde había caído, lugar en donde siguen sin crecer los árboles. Otra tradición aseguraba que la tierra arrojaba de sí el cuerpo de Abel, y que continuaría haciéndolo hasta recibir los restos de su padre Adán.
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The vampire of Toledo Cathedral (or Cain's bite). Late 14th Century.
A rare representation of Cain and Abel's biblical story in which Cain kills Abel by biting him, instead of hitting him with a rock.
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jgmail · 2 months ago
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Lucifer, Apolo y la visión cátara de la luz en el pensamiento de Otto Rahn
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por Dmitry Moiseev
Traducción de Juan Gabriel Caro Rivera
Dmitry Moiseev explora la audaz reinterpretación de Otto Rahn de Lucifer y Apolo como símbolos de la luz y la divinidad dentro de la espiritualidad cátara, contrastándolos con las narrativas cristianas tradicionales y vinculándolos a las tradiciones metafísicas de la Provenza medieval, desvelando en última instancia una visión panteísta enraizada en la naturaleza, la pureza y el autoconocimiento.
Tras considerar en nuestro anterior artículo para Arktos Journal el significado esotérico de Minne como «recuerdo amoroso» en el esoterismo cátaro de la Provenza medieval, nos detuvimos en el hecho de que uno de los aspectos importantes de esta enseñanza espiritual es un esfuerzo meritocrático hacia arriba, accesible a pocos, y que en este camino una persona necesita una luz que le guíe y un ejemplo. En este ensayo, referido a la obra de Otto Rahn La corte de Lucifer (1937), revelaremos la interpretación que Rahn hace de lo divino, y qué representación simbólica de ello ofrece. Hablando del asedio de los cruzados a Montségur, una de las fortalezas clave de Provenza, durante la cruzada contra los albigenses, Otto Rahn escribe: «En mi habitación hasta ahora colgaba un cuadro de colores chillones representando a Jesucristo en el Monte de los Olivos. Un ángel alado sobresale de la mitad de una nube ofreciendo al orante un cáliz semejante a una custodia. Quité el cuadro y lo reemplacé por una hoja de mi mejor papel de carta, sobre la que, lo más cuidadosa y más bellamente que pude, escribí algunos versos de Wolfram von Eschenbach. Dicen así: Desde la Provenza hasta tierra alemana Nos fue enviada la leyenda auténtica. Lucifer se perdió al bajar Con su rebaño al infierno, Entonces el hombre nació. ¡Pensad lo que Lucifer obtuvo Junto a los camaradas de lucha! Ellos eran inocentes y puros... Quisiera creer que fueron las huestes de Satán y no las de Lucifer las que se apostaron frente al Montségur para obtener el Grial caído de la corona del portador de la luz, Lucifer, y guardada por los Puros. Puros eran los cátaros, pero no los frailucos y aventureros que con la cruz al pecho querían preparar la Provenza a favor de una nueva estirpe: su propia estirpe».
Este fragmento nos obliga a volver a la idea expresada en el primer artículo de esta serie: que el Grial, según la interpretación de Rahn, no es el cáliz de Jesús de Nazaret, sino la piedra que cayó de la corona de Lucifer, que da la inmortalidad a quienes la contemplan. En la interpretación de Rahn, los verdaderos servidores del diablo son los cristianos que cometieron genocidio contra el pueblo provenzal y su refinada espiritualidad, y no los albigenses en absoluto. Así, la imagen de Lucifer, a quien la tradición cristiana retrata como un ángel caído que se rebeló contra Dios, tiene un significado completamente distinto del convencional en la obra del medievalista alemán. En su libro, Otto Rahn recuerda una conversación que mantuvo con una dama de familia herética durante un viaje a la región de Toulouse. Ella le dijo: «La gran Esclarmonde es de mi sangre. Me siento orgullosa de ello. A menudo suelo verla en espíritu sobre la plataforma reclinada en el torreón y en la paz de Montségur, leyendo los astros. Los herejes amaban el firmamento, creían firmemente que después de la muerte tendrían que ir acercándose a la divinidad de estrella en estrella, cumpliendo las etapas de deificación. Por la mañana rezaban hacia el sol del levante; al ocaso dirigían su mirada, devotamente, hacia el sol del poniente. Por la noche se dirigían a la argéntea luna o al norte, porque el Norte les era sagrado. En cambio, consideraban al sur como una morada de Satán. Satán no es Lucifer, pues Lucifer significa portador de luz. Los cátaros tenían otro nombre para él: Luzbel».
En otras palabras, según Rahn, Lucifer aparece como una deidad, que puede mostrarse como una constelación, al igual que el Sol y la Luna, de hecho, una personificación del esplendor abstracto de la naturaleza y de la vida misma. La expresión más brillante y deslumbrante de este esplendor es el Sol. El medievalista alemán califica la representación de esta entidad como un «antidios» de sustitución llevada a cabo por los cristianos. Además, continuando su explicación, llega a la siguiente identificación, que puede parecer paradójica a primera vista: «No soy experto en la Biblia y tampoco pretendo serio. De todos modos, mantengo que el Antiguo y Nuevo Testamento hablan de dos “antidioses” diferentes, pero piensan en uno y el mismo. El Antiguo Testamento anatematizó la “hermosa estrella matutina”; el Nuevo Testamento, en cambio, revela en el Apocalipsis según san Juan que un determinado “rey y Ángel del Abismo” tiene en griego el nombre de “Apolión”. Apolión, Ángel de los Abismos y Príncipe de este mundo, es el ¡Apolo luminoso! Mi afirmación de que la Estrella Matutina del Antiguo Testamento y el Apolión del Nuevo Testamento son uno solo se apoya en el hecho de que en el espacio griego a la Estrella Matutina Fósforos (esta palabra también significa portador de luz) se la considera la acompañante permanente, anunciadora y representante del dios Apolo, máximo portador de la luz, y que al propio Apolo se le tiene como la bella “estrella de la montaña”, el Sol… El día del solsticio de primavera fue celebrado en el país de los griegos como el día de la festividad suprema. Apolo era el sol con sus leyes del naciente y del poniente, como también la naturaleza luminosa dominante y eterna, inmutable. Sólo en épocas más tardías fue adorado como dios principal el solar Helios en lugar de Apolo. Al comienzo, Helios sólo había sido venerado en la isla de Rodas, en el mar de Asia Menor, o ambos considerados lo mismo».
«Cuando apareció Apolo, se dice que la Tierra se echó a reír. ¿Sabía ella que se le concedería una ciencia alegre?», se pregunta Otto Rahn, mencionando el nombre alegórico del arte poético de los trovadores provenzales (gai saber, ciencia alegre o gaya ciencia). Rahn analiza sistemáticamente el simbolismo de Pitia y sus profecías, señalando que es en Delfos donde se origina la «fuente castaliana de las musas y la fuente de la necesaria catarsis (κάθαρσις), purificación para la conversación con Dios»; luego escribe sobre Artemisa, Deméter, y llega a la siguiente afirmación: «En la época del florecimiento del catarismo vivió en Sicilia un prestigioso eremita de nombre Joaquín Flora. Pasaba por ser el mejor comentador del Apocalipsis según san Juan. Como las langostas de las que habla el capítulo noveno del Apocalipsis, debió de haber considerado a los cátaros, “que con la fuerza de los escorpiones salen de las profundidades sin fondo al abismo”. Ellos serán, arguyó Joaquín, en secreto, el mismísimo Anticristo, su poder aumentará y su rey ya está elegido. En griego su nombre es ¡Apolión! Apolo no puede ser otro más que Lucifer, a quien los herejes provenzales llamaron Luzbel y a quien, como ellos creyeron, no se le hizo justicia. Los cátaros interpretaron la “caída” de Lucifer como la “suplantación ilegítima del hijo primogénito, Lucifer, por el Nazareno”».
Así, para el escritor alemán, la antigua imagen griega del dios solar Apolo y la reconstruida imagen cátara de Lucifer, guía del Espíritu Puro, se funden en una sola. Antes de continuar siguiendo la línea de pensamiento de Rahn, volvamos a las importantes explicaciones sobre la imagen mitológica de Apolo que da su compatriota y contemporáneo Friedrich Georg Jünger (1898-1977) en su obra Mitos griegos (1947): «El ámbito que preside el dios es ancho y luminoso. Luminoso como el propio Apolo, a quien nada permanece oculto, nada del presente y nada del futuro. Es, como lo define Esquilo, el profeta del padre Zeus cuya voluntad comunica en el santuario de Dodona. De Zeus obtuvo el don del presagio y de él, en cuanto dios présago, depende el oráculo de Delfos. Transferirá este don del presagio a Hermes. De Apolo irradia una luz que difunde su claridad en la oscuridad y que por esta claridad instaura orden. Por este orden las cosas no sólo se separan, de forma que adquieren nitidez y destacan vigorosamente unas de otras; bajo esta luz resaltan también los límites y las medidas. No es la luz de Helio, que aparece girando sobre a tierra, que desaparece y regresa; es una luz que irrumpe desde dentro del dios y que promulga leyes. Es enemigo de lo turbio, lo sordo, lo confuso; al indeciso, al ambiguo y vacilante le sale al encuentro como dios de la decisión. En él se encuentra el hilo conductor del conocimiento. Su poder anula el peso de la oposición desidiosa y pesada, su orden consiste también en hacer transparentes las condiciones difíciles y opresivas que advienen al hombre. El dios comunica a sus favoritos su propia ligereza y su aplomo, la fuerza en suspenso de su pie destinado a la danza».
Friedrich Jünger llama nuestra atención sobre el hecho de que Apolo, en primer lugar, simboliza la claridad, la determinación, la concreción, la confianza, pero al mismo tiempo la ligereza que confiere a músicos y poetas. Apolo es una constancia serena y luminosa; es una imagen de la perfección divina encarnada, que, al mismo tiempo, es un límite y una medida. Apolo es el «presente infinito», el dios del instante, que se opone a los engaños, cuya clave es el propio tiempo. Su armonía es sinónimo de todo lo bello, cuya expresión, a su vez, es el arte. Jünger añade: «Apolo comunica a sus favoritos su propia claridad ordenadora, la claridad cristalina del espíritu que engendra formas y así mismo lo vivo y melodioso que es inherente a las figuras. Abre la mirada. En el reino de Apolo Licio no hay nada inerte o rígido, todo está vivo, toda vida es consciente y toda conciencia se eleva hacia un conocimiento placentero… Es el dios de la juventud, el dios bello y juvenil. Su figura es un arquetipo de la belleza y los artistas plásticos, que tanto tienen que agradecerle, compiten por representar esta hermosura. No lo representan en posición sedente ni yacente; el dios es más bello de pie y desnudo, pues así resplandece la perfección de sus formas».        
Recordemos también a este respecto que el tradicionalista italiano Julius Evola (1898-1974), hablando del Norte y del Sur en su obra Rebelión contra el mundo moderno (1934) indica que «la etapa hiperbórea puede caracterizarse como aquella en la que el principio luminoso presenta las características de inmutabilidad y de centralismo, que son, por así decirlo, típicamente “olímpicas”. Son las mismas características propias del dios hiperbóreo Apolo que, a diferencia de Helios, no representa al sol siguiendo sus pautas de ascenso y descenso sobre el horizonte, sino que es el sol mismo, la fuente de luz dominante e inmutable». En la interpretación tradicionalista de Evola, el sol aparece como «luz pura» y «valor incorpóreo», a los que se asocian los mitos heroicos. El sol es también «un símbolo de la naturaleza suprema, triunfante cada mañana sobre la oscuridad», y un símbolo de la dignidad real. El pensador italiano cita una antigua fuente egipcia: «He decretado que debes alzarte eternamente como rey del Norte y del Sur en la sede de Horus, como el sol», y señala también que Mitra era llamado particeps siderum y «Señor de la paz, salvación de la humanidad, hombre eterno, vencedor que se alza en compañía del sol».
La vinculación de la antigua imagen mitológica griega del radiante y bello Apolo, personificación del sol, y el Lucifer cátaro, «que sufrió la injusticia», emprendida por Otto Rahn, puede sorprendernos en un primer momento. Al mismo tiempo, este movimiento audaz y aparentemente inesperado esconde una posición espiritual sólida y coherente, que Rahn deduce sobre la base de su estudio de toda la vida de la metafísica cátara y expone coherentemente en La corte de Lucifer: «La piedra fundamental de la cristiandad eclesiástica es la doctrina de Dios personal y de Jesús, el Hijo de Dios hecho hombre. A este respecto, caen en profundas contradicciones las representaciones de Dios de los cátaros. Decían: nosotros, herejes, no somos teólogos, sino filósofos que primero buscamos la sabiduría y la verdad. Reconocemos que Dios es Luz, Espíritu y Fuerza. Si bien la tierra es manantial, sin embargo, permanece ligada a Dios. Por medio de la Luz, el Espíritu y la Fuerza, ¿cómo podríamos el mundo y nosotros vivir, si el Sol no nos diera vida? ¿Cómo podríamos pensar y conocer, si no estuviera obrando dentro de nosotros nada espiritual? ¿Cómo podríamos buscar la verdad y la sabiduría, que son tan difíciles de encontrar, y empeñarnos en seguir buscándolas pese a todos los obstáculos, si no hubiese fuerza en nosotros? Dios es Luz, Espíritu y Fuerza. Y obra en nosotros. No decimos que el Sol o uno de los astros sea el propio Dios. Ellos son anunciadores de Dios y portadores de Dios. La divinidad es múltiple, pero no hay dioses, como se nos reprocha por doctrina. Con nuestros sentidos sólo podemos concebir una parte: la naturaleza. Esta se compone de nosotros mismos, ya que somos materia perecedera; provenientes del mundo mil veces diferente, en el que tenemos que cursar nuestra carrera de vida; provenientes del cielo estrellado, el del día y el de la noche. La naturaleza no es Dios Padre, por lo tanto, absolutamente Luz, Espíritu y Fuerza. Ella es Hija de Dios, una criatura de la Luz, del Espíritu y de la Fuerza. Ella se rige sólo por la Ley dada por el Dios Padre… La naturaleza no es Dios, sino divina. Ella no es la Luz sin más ni más, sino portadora de Luz. Ella no es la Fuerza sin más, sino fortalecedora. Ella no es Espíritu sin más ni más, sino que proporciona al espíritu activo, desde nuestro nacimiento, la ley del conocimiento que conduce a la contemplación de Dios. Ésta es la única y verdadera “redención”. Nuestro portador de Luz supremo es el Sol; él es el dirigente de los ejércitos celestiales a los que se les llama ángeles, que no son otra cosa que las estrellas, todas ellas sujetas a la Ley también vigente en la Tierra. También nosotros, los seres humanos, podemos conocer las leyes si buscamos consecuentemente y observamos atentamente el cielo, podemos conocer aquella ley divina que rige allá en lo alto y que también organiza de tal modo nuestra vida que nosotros tampoco podemos infringirla, sino cumplirla. ¡Tenemos que ser hijos del Sol portador de la Luz!»
En relación con las interpretaciones de Rahn, observemos que tanto Friedrich Jünger como Julius Evola señalaron la «permanencia solar» y la «estabilidad de la luz» como los aspectos más importantes de Apolo. Otto Rahn sitúa al Sol en el centro de su sistema espiritual neocátaro. Al mismo tiempo, el Sol también forma parte de la Naturaleza. Deificando decididamente la Naturaleza («La Naturaleza es divina»), el pensador alemán da otro paso hacia el panteísmo. Desde el punto de vista de la filosofía académica, en la ontología expuesta por Rahn podemos ver referencias tanto al antiguo monismo panteísta griego como a algunas formas más cercanas a nosotros en el tiempo (como las formuladas por Bruno y Spinoza). Al mismo tiempo, nos vemos obligados de nuevo a volver a la idea de que la fuente espiritual y filosófica más cercana a Rahn (a la que se refiere ocasionalmente en sus obras) es Meister Eckhart y su doctrina de lo divino, que se manifiesta incluso en los argumentos del medievalista alemán sobre la trinidad de lo divino, que en el modelo de Rahn es «Luz, Espíritu y Fuerza».
A continuación, Rahn vincula su idea panteísta de los «hijos del sol» con el simbolismo de Minne, «recuerdo amoroso», sobre el que escribimos en nuestro último artículo. Llama la atención sobre el hecho de que «los minnesinger rechazaron abruptamente todos los conceptos, términos, enseñanzas y leyendas teológicas católicas. No cantaban a Jehová ni a Jesús de Nazaret, sino a su héroe Heracles o al dios Amor. Y este dios era profundamente odiado por la vanidosa Iglesia romana, que era rechazada por los cátaros como «sinagoga de Satanás» y «basílica del diablo». En otra parte del libro, señala: «Dios-Amor es el dios de la primavera, y Apolo es este dios. Por lo tanto, tanto Amor como Apolo son el dios de la primavera. El que devuelve la luz del sol de la primavera a la tierra es, por lo tanto, un portador de luz, un Lucifer».
Una vez más, debemos subrayar que, según Rahn y su interpretación de la fe cátara, la verdadera divinidad no se revela a todo el mundo. Como ya hemos señalado en artículos anteriores, esta apertura requiere un cierto nivel de correspondencia existencial, que en las enseñanzas del pensador alemán se identifica con la «pureza» y la «fuerza». Entonces aparece en el camino de una persona un auténtico guía que le mostrará el «Sendero Rosa» o el camino hacia la Luz. Rahn escribe en La Corte de Lucifer: «El dios Amor puede ser visto en el mundo, opina el famoso trovador Peire Cardinal, por un espíritu fuerte al que la creencia le aclare el ojo. Desde luego que puede ser así, canta el no menos conocido Peire Vidal, pero el dios sólo se muestra en primavera, y para verlo, sigue diciendo, hay que ir a la Casa de Dios, la que precisamente entonces despierta Naturaleza. Dios tiene él aspecto dé un caballero, de cabellera rubia, y cabalga un corcel mitad negro como la noche y mitad blanco deslumbrante. Un carbúnculo en la rienda brilla cual sol. En su séquito hay también un paladín. Su nombre es fidelidad».
La metáfora de Rahn «Dios tiene aspecto de caballero» es un tema para otro debate. Por ahora, nos basta con señalar que la imagen de un caballero-Dios rubio sobre un caballo, que es mitad blanco y mitad negro, completa nuestra discusión sobre las manifestaciones simbólicas de lo divino según Otto Rahn. Deberíamos concluir esta parte de nuestra historia sobre el sistema espiritual de Rahn con la siguiente cita de La Corte de Lucifer, que describe una visión que experimentó en Ginebra: «Encantamiento de mediodía... Lucifer, desde el bosque alemán, llegó a mi cuarto. No puedo verlo, pero siento su presencia. Solamente puede ser él quien alza el trozo de friso del templo de mi escritorio; bajo él crecen columnas y a éste con otros escombros lo hace unirse en friso y techo. La casa délfica de Apolo se levanta de repente frente a mí en esta casta belleza. Desde la sagrada oscuridad de los olivos y laureles me contempla la frase: “Conócete a ti mismo”».
La frase «conócete a ti mismo», o «γνῶθι σεαυτόν» (gnothi seauton), es una referencia a la famosa inscripción en la pared del templo délfico de Apolo; según Platón, se trata del «testamento de los siete grandes sabios» o «mandamiento del oráculo de Delfos». Este pasaje nos remite a una de las ideas más importantes de Rahn: que los cátaros «no eran teólogos, sino filósofos». En última instancia, la búsqueda del autoconocimiento es una de las virtudes más importantes de que disponemos, y sin conciencia de nosotros mismos, de nuestras metas y objetivos en el mundo, es extremadamente difícil dar pasos hacia una vida productiva y consciente, como insinúan el escritor alemán y su guía solar.
Una vez completada la explicación de qué deduce exactamente el científico alemán bajo la imagen del «Lucifer cátaro», en la parte final de nuestra historia sobre la búsqueda espiritual de Otto Rahn, pasaremos a la presentación sistemática de su visión de los principios de la metafísica provenzal medieval.
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laus-deo · 2 months ago
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Fallece Luis Suárez a los 100 años, maestro de medievalistas, experto en Isabel la Católica y defensor contra la Leyenda Negra
Miembro de la la Comisión para la causa de Beatificación de Isabel la Católica del Arzobispado de Valladolid fue maestro de historiadores y un experto en la Baja Edad Media. Con la muerte de Francisco Franco convenció a su familia para que preservasen los documentos en un archivo que a día de hoy pertenece a la Fundación Francisco Franco. Leer más… »
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sitioliterario · 3 months ago
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Obra-prima
“Toda obra-prima de qualquer literatura é constituída pelo consórcio indissolúvel da ideia com a expressão verbal que a reverte”. ⠀ Augusto Magne,  jesuíta, filólogo, romanista, lusitanista e medievalista brasileiro de origem francesa.
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armatofu · 7 months ago
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Aparece una mezquita de Abderramán III en un cortijo de Málaga
A 13 kilómetros en línea recta de Bobastro (Málaga), donde Omar ben Hafsun y sus hijos se levantaron contra el emirato de Córdoba en una rebelión que duró desde el año 880 hasta el 929, Abderramán III planeó levantar una ciudad, al-Madina, como símbolo del poder oficial frente a los sublevados y empezó por la mezquita. Esta es la razón, en opinión del doctor en Historia Medieval Virgilio Martínez Enamorado, de la existencia de una mezquita de piedra labrada, porte monumental y capacidad para unas 700 personas, en medio de la vega de Antequera, en un paraje rural alejado de cualquier asentamiento.
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“Pero el emir derrotó a los disidentes antes de lo esperado y, probablemente, decidió abandonar su proyecto porque ya no necesitaba demostrar su poder frente al enemigo y prefirió retomarlo más cerca de Córdoba. Fue así como nació Medina Azahara, que comenzó a construirse en el 936”, explica el medievalista y profesor de la Universidad de Málaga en el interior del cortijo Las Mezquitas, ante el muro de la quibla, en el que aún puede verse el mihrab orientado hacia La Meca.
Hasta 2006, nadie conocía la existencia de la mezquita, que conserva sus muros de hasta seis metros de altura reforzados con contrafuertes y cuenta con un patio. El conjunto, de 30x30 metros, se construyó según el sistema de medidas antropométricas de la dinastía Omeya, el codo mamuni, que equivale a 47,14 centímetros. Lo único que delataba su pasado era el topónimo del cortijo: Las Mezquitas. Fue entonces, cuando el historiador Carlos Gozalbes descubrió los arcos del templo embutidos en los muros del cortijo, el centro de una finca propiedad de José María Alcalde en la que se crían trigo y olivos y que está ubicada en el término municipal de Antequera, lindando con Campillos y Sierra de Yeguas y muy cerca de la laguna salada de Fuente de Piedra. Dos años más tarde, en 2008, el inmueble fue declarado bien de interés cultural (BIC) por la Junta de Andalucía. La mezquita, aunque ha sido objeto de varios estudios, permanece embutida en el cortijo y, de momento, no se ha realizado una prospección arqueológica en el bien ni está prevista su puesta en valor.
“Al principio se dijo que se trataba de una mezquita rural, pero esa teoría está totalmente descartada, tanto por el estudio arquitectónico que han realizado Pedro Gurriarán y la arqueóloga del CSIC María de los Ángeles Utrero, como por las fuentes de cronistas árabes que he consultado y publicado en mi libro La mezquita de Lamaya [Editorial La Serranía, 2018]”, apunta el arqueólogo y arabista, quien ha estudiado textos de la época en busca de referencias al edificio y las ha encontrado en la obra de Ibn Hayyan (Córdoba, 987-1075), el gran cronista de Abderramán III, quien tras doblegar a los rebeldes de Omar ben Hafsun se autoproclamó califa.
"[Abderramán III] Se volvió contra la ciudad extraviada de Bobastro, acampando de nuevo cerca de ella por la parte de Lamaya y, viendo que los contrabaluartes eran la cosa más dañina contra los prevaricadores, ordenó fortificar allí una vieja peña llamada al-Madina (...) en una posición desde la que dominaba todos los caminos de la ciudad del maldito (...). En aquel lugar estuvo siete días hasta completar aquello, sin dejar a los prevaricadores respiro ni recurso, hostigando al maldito Hafs y a los suyos de Bobastro", escribió Ibn Hayyan, como recoge Martínez Enamorado en su libro y justifica así una de sus teorías: que la ciudad se comenzó a construir por la mezquita, como elemento fundacional, y que las gentes del emir vivían en un campamento militar, que se desmontó tras la derrota del rebelde.
La situación de la mezquita entre tres términos municipales no es producto del azar, como señala Virgilio Martínez. "El templo se emplazó entre tres demarcaciones provinciales de al-Ándalus en el siglo X, las coras o provincias de Estepa, a cuya jurisdicción perteneció sierra de Yeguas hasta época moderna; la de Campillos, integrada en Teba, que en época andalusí formaba parte de la provincia bereber de la serranía de Ronda de nombre Takurunna, y Antequera, de Rayya, demarcación que tuvo a Archidona y Málaga como capitales. Los antiguos límites quedaron fosilizados en los actuales y eso explica tan insólita ubicación".
“La mezquita se ha conservado muy bien gracias a que ha estado protegida por el cortijo, que se levantó en el siglo XVI y ha seguido usándose hasta finales del siglo XX. Si se elimina la arquitectura parasitaria, el edificio aparecerá en todo su esplendor. De momento, la estructura está a salvo porque el propietario colocó una cubierta de uralita después de que la gran tormenta que cayó en esta zona en octubre de 2018 acabara con el techo”, afirma Martínez Enamorado, autor de una treintena de libros sobre arqueología y epigrafía de al-Ándalus.
“La mezquita es un modelo reducido de la gran mezquita de Córdoba de Abderramán I [del año 786 y más pequeña que la actual], una cuarta parte de aquella, aunque con algunos cambios respecto al modelo como por ejemplo, las arquerías interiores que son paralelas al muro de la quibla y no perpendiculares como en el caso de la mezquita cordobesa”, explica Pedro Gurriarán, especialista en arquitectura andalusí que estudió el edificio en 2015 junto a Utrero y han publicado el resultado en la revista anual Mainake de la Diputación de Málaga, en el número 37 del pasado noviembre.
“Este es uno de los grandes descubrimientos de arquitectura altomedieval islámica en nuestro país en las últimas décadas. Hemos podido constatar que se construyó en dos fases. En la primera, a finales del siglo IX, utilizaron piezas romanas de acarreo, que abundan en la zona de asentamientos anteriores, y otras nuevas ensambladas con mortero; mientras que en la segunda fase, de principios del X, la destreza con la que están cortados los sillares revela la presencia de especialistas que entonces solo trabajaban en talleres de cantería cordobeses”, abunda Gurriarán para avalar su tesis de que se trata de una obra de Estado que los Omeya proyectaron como propaganda política frente a sus enemigos.Fuente: * https://elpais.com/cultura/2019/12/18/actualidad/1576698493_798053.html
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agendaculturaldelima · 8 months ago
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#AmigosInolvidables #Poesia
📖 “MAGNOLIA” 📜✒👀
💥 El libro se inicia como un oasis refrescante cuando leemos: “Mi corazón baila al ritmo de mi felicidad/se balancea y traza formas de amor”. Dicha poesía no es una poesía hermética ni áspera, mucho menos oscura; se acerca más bien a un trovar pla o leu, que es como define el medievalista español Martin de Riquer a la “versificación sencilla”, llana y abierta. Magnolia tiene dos caras, muy demarcadas: la luz/la sombra, porque el libro está dedicado a una figura enigmática, que entabla una lucha contra el desarraigo, el autoritarismo frente a las imposiciones externas, aunque por momentos cae en la perdición y el abismo. Por ello, no faltan las alusiones a los disturbios políticos y a la decepción amorosa.
✍️ Autora: Patricia Josefina Denegri
👥 Comentarios: Marco Martos y Carmen Ollé
© Organiza: Tierra Nueva Editores.
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📌 PRESENTACIÓN DEL POEMARIO:
📆 Martes 18 de Junio
🕖 7:00pm.
🏫 Librería El Virrey (jr. Bolognesi 510 - Miraflores)
🚶‍♀️🚶‍♂️ Ingreso libre 
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considerandos · 9 months ago
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Paradoxos da História
A leitura do surpreendente "A Mulher no Tempo das Catedrais", da famosa historiadora medievalista francesa Régine Pernoud (1909-1998), editado originalmente em 1980, chamou a minha atenção para um fenómeno curiosíssimo, um efeito pernicioso do Renascimento e do movimento universitário que eclodiu na Europa no final da Idade Média, no que concerne ao papel social da mulher. Efeito esse que perdurou durante o Antigo Regime e se acentuou até, após a Revolução, com a disseminação do código napoleónico pela Europa continental e pelas suas colónias.
Em traços muito gerais e simplistas, até porque nem sou historiador nem tenho aspirações a fazer crítica ou exaltação do trabalho de alguém como Régine Pernoud, eu diria que a obra fala essencialmente de como o Cristianismo primitivo, dos padres da Igreja, libertou a mulher de um papel secundário e desprovido de direitos, que detinha na sociedade greco-romana, para mais tarde ser novamente aprisionada pelos preconceitos da antiguidade, com a redescoberta do direito romano justinianeu e o seu estudo, batismo e aplicação sistemática pelo movimento universitário, que excluiu peremptoriamente as mulheres até quase ao século XX, e indiretamente pela conversão do aristotelismo à doutrina cristã, operada por São Tomás de Aquino, também ele um eminente universitário e expoente desse importante movimento.
O papel da mulher na sociedade greco-romana era de facto o de um menor ou incapaz, sempre sujeita a uma tutela masculina. Se o pater familias tinha um poder absoluto, de vida ou de morte, sobre a descendência, esse poder, com algumas limitações, sobretudo de ordem patrimonial e relacionadas com a titularidade e administração do dote, passava quase integralmente para o marido. E se este repudiava a mulher, ou esta enviuvava, a tutela transmitia-se integralmente de regresso ao pai, ou se este já não existisse, aos irmãos ou até aos filhos varões. A mulher romana nunca alcançava a emancipação. Estava sempre sob tutela legal de um parente masculino, que tinha amplos poderes, até para administrar os seus bens. Era um regime de completa e total incapacidade legal.
Não admira assim a adesão das mulheres romanizadas ao Cristianismo. Apesar de São Paulo insistir na inferioridade da mulher, relativamente ao homem, os evangelhos eram bastante mais igualitários e defendiam as mulheres dos abusos masculinos, conferindo-lhes direitos inexistentes na cultura romana, nomeadamente a emancipação, nem que fosse necessário recolherem-se a um convento para a obterem em absoluto, como fizeram regularmente varias figuras importantes na Idade Média, com destaque em França para a Abadia de Fontevraud.
As mulheres foram assim as grandes impulsionadoras da cristianização da Europa. Desde Santa Helena, mãe do imperador Constantino, que muito terá contribuído para a sua conversão e também para a emancipação da mulher cristã, partindo, juntamente com muitas seguidoras, em peregrinação à terra santa, onde terá descoberto, segundo a tradição cristã, o local de crucificação de Jesus Cristo e ordenado a construção de igrejas, como a da Natividade em Belém e a do Santo Sepulcro em Jerusalém.
Mas também o primeiro rei dos Francos, Clóvis, converteu-se ao catolicismo por estímulo de sua esposa, Clotilde da Borgonha, ato de imensa importância na história subsequente da Europa.
A oriente temos também a figura importante de Santa Olga, princesa regente de Kiev que teve um papel fulcral na cristianização da Rússia e bem assim de Ana Porfirogénita, filha do imperador Bizantino Romano II que, ao casar-se com o rei Vladimir de Kiev, lhe exigiu a prévia conversão ao Cristianismo Ao retornar triunfalmente a Kiev, Vladimir exortou os residentes da sua capital a irem ao Dniepre para receberem o batismo. Esse batismo em massa tornou-se o evento inaugural do cristianismo na Rússia de Kiev.
Como estes, outros exemplos podem ser citados, da influência das mulheres na Cristianização da Europa, a ponto de Régine Pernoud concluir que foram estas as principais responsáveis pela expansão do Cristianismo, primeiro no império romano e depois entre os povos pagãos da Europa.
O principal atrativo do cristianismo, para as mulheres, seria precisamente a emancipação relativamente ao estatuto de incapaz, que detinham no mundo romano.
Consequentemente à mulher teria sido permitido gozar de uma posição de destaque, na Europa medieval, citando mulheres exemplares, que se destacaram na governação, na liderança militar e na influência política, durante a Idade Média. Nomes como Bertrade de Monfort, Ermengarda da Bretanha, Matilde de Anjou e Matilde "a imperatriz", Leonor da Aquitânia, Adélia de Blois, a Rainha Ana de Kiev, Inês de Poitou, Matilde da Toscana, Leonor de Castela e finalmente, as duas figuras ímpares que foram Catarina de Siena e Joana d'Arc.
Como português acrescentaria ainda as nossas Rainha D. Teresa de Portugal e Rainha Santa Isabel, como figuras importantes da nossa história medieval, sem esquecer a pouco simpática mas influente Leonor Teles ou ainda a lendária Brites de Almeida, a heróica padeira de Aljubarrota.
Com o fim da Idade Média as mulheres eclipsaram-se da vida pública. Privadas do acesso à educação universitária, foram afastadas do poder, salvo raras exceções, como Catarina da Rússia e Maria Teresa da Áustria.
No caso português, datam porém deste período as duas únicas rainhas titulares da nossa história (se excluirmos o polémico, mas importante, reinado de D. Teresa), mas se D. Maria II ainda conseguiu ter um papel relevante, como estandarte do triunfo do constitucionalismo, após a guerra civil, já a bisavó D. Maria I era notoriamente incapaz e foi o filho, futuro D. João VI, quem exerceu a regência, durante a maior parte do seu reinado.
De tudo isto resulta uma ideia surpreendente. Do ponto de vista da emancipação feminina, a ascensão do Cristianismo, do feudalismo e do monaquismo foram momentos fundamentais, impulsionados por mulheres e onde estas alcançaram um estatuto de relativa igualdade com os homens. Paradoxalmente, as repúblicas democráticas da antiguidade, o Renascimento e o Iluminismo recolocaram a mulher num papel secundário, subordinada ao homem, impedida de aceder à educação e a um conjunto de profissões que já lhe tinha sido permitido exercer no passado.
Só o século XX trouxe a luta pela emancipação feminina e a preocupação com a igualdade de direitos e de oportunidades entre os géneros.
Curiosamente, Pernoud mostra-se bastante cética, no que respeita ao feminismo, porque vê nele não o direito à diferença que enriquece, mas sim à uniformização, a ascensão da mulher ao papel masculino, o que implica a renúncia à sua feminilidade, à capacidade de exercer o poder e o conhecimento de um modo único e feminino, diferente dos homens, ganhando assim a sociedade, com a diversidade de pontos de vista decorrente das diferenças entre os géneros.
Acho pertinente a crítica, sobretudo quando se verifica, na sociedade contemporânea, que Pernoud já não conheceu, que até o género passou a ser opcional e criativo, abolindo-se as características próprias de cada sexo, tornadas obsoletas e até ofensivas da liberdade individual.
Será que na ditadura do politicamente correto, haverá lugar para um modo masculino e feminino de olhar o mundo, como pretendia Régine Pernoud? Ou estaremos condenados a uma monotonia assexuada, de um mundo arco íris?
Tendencialmente a ideia seria multiplicar as visões do mundo pela multiplicação dos géneros. Mas essa via não nos conduzirá à ausência de género e à normalização de uma visão monolítica, politicamente correta, do mundo?
Olhando para a política de hoje, vejo muito mais em prática esta segunda hipótese do que a primeira.
22 de Maio de 2024
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xavicuevas · 1 year ago
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LA PELÍCULA QUE LOGRÓ QUE EL AUTOR DE EL SEÑOR DE LOS ANILLOS ODIARA TODA LA OBRA DE DISNEY
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Que a J.R.R. Tolkien no le gustaban nada las películas de Disney no es ningún secreto. El mítico autor de El Hobbit, El señor de los anillos y El Silmarillion cargó contra la obra de Disney en varias ocasiones, pero ¿Por qué le disgustaba tanto? La respuesta está en la película Blancanieves.
Blancanieves se estrenó en el Reino Unido en 1938, pero en Estados Unidos lo hizo en 1937. En septiembre de ese mismo año (unos meses antes), Tolkien publicaba por primera vez El Hobbit. Ambas obras tienen una cosa en común: sus protagonistas son enanos, y parece que el concepto de Disney sobre estas criaturas no gustó nada al escritor. Curiosamente, Tolkien no fue solo a ver Blancanieves. Lo hizo con un amigo y rival literario: C.S. Lewis, un conocido académico medievalista al que conocemos por ser el autor de Las Crónicas de Narnia. La idea de dos escritores de la talla de Tolkien y Lewis entrando juntos a ver Blancanieves parece el principio de un chiste, pero lo cierto es que sucedió de verdad, y a sus protagonistas no les hizo nada de gracia. En una carta a su amigo A.K. Hamilton, Lewis escribía: Los enanos tienen que ser poco agraciados, por supuesto, pero no en ese sentido, y la fiesta que celebran a ritmo de jazz es terrible. Supongo que al pobre diablo no se le ocurrió que podía haber elegido otro tipo de música. Las partes terroríficas están bien. Los animales son realmente conmovedores y el uso de las sombras en elementos como los enanos o los pájaros es genial. Me pregunto de que habría sido capaz este hombre (refiriéndose a Walt Disney) si tan solo hubiera nacido o se hubiera criado en una sociedad decente. La posibilidad de que Disney copiara el concepto de enanos de Tolkien ya ha sido investigada por autores modernos como Trish Lambert, pero la cuestión está fuera de toda duda. Disney no copió, al menos no a Tolkien. El maestro de la animación se inspiró en obras más infantiles como la de los hermanos Grimm, pero su visión comercial de unos enanos caricaturescos, torpes y simpáticos chocaba de lleno con las criaturas nobles y graves de la mitología Nórdica en las que se inspiraba el escritor británico. Lambert, autora de Snow White and Bilbo Baggins: Divergences and Convergences Between Disney and Tolkien, explica: Creo que lo que más molestó a Tolkien y a Lewis era que Disney estaba comercializando algo que ambos consideraban sagrado. De repente, un astuto empresario estadounidense tiene la audacia de hacer dinero a costa de los cuentos de hadas. No existen testimonios concretos de Tolkien sobre Blancanieves, pero sus declaraciones generales sobre Disney me hacen sospechar que la película le molestó muchísimo. En ensayos posteriores a Blancanieves, Tolkien tacha la obra de Disney de “vulgar”, y aseguraba que los relatos en que se basan estaban “excesivamente infantilizados”. En una carta de 1964 a la Universidad de Stanford, Tolkien describe la obra de Disney como “corrupta más allá de toda esperanza.” El escritor abunda en esta idea explicando que “aunque en las películas del estudio hay pasajes admirables y con encanto, su efecto general me resulta muy desagradable. Algunas escenas en concreto me han producido náuseas”. Dos años más tarde, la editorial original de Tolkien, Allan & Unwin, mantuvo conversaciones con Disney para llevar El Señor de los Anillos al cine. Por fortuna para la salud mental de Tolkien, Disney rechazó la idea porque pensaba que era un proyecto demasiado caro de realizar. Todas esas conversaciones se hicieron sin el permiso del autor. [vía Atlas Obscura]
ByCarlos Zahumenszky PublishedApril 26, 2017
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citeifoucault · 1 year ago
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But of late years a great uprising of ecclesiastical zeal, coinciding with a great increase of study, and consequently of knowledge of mediæval architecture, has driven people into spending their money on these buildings, not merely with the purpose of repairing them, of keeping them safe, clean, and wind and water-tight, but also of ‘restoring’ them to some ideal state of perfection; sweeping away if possible all signs of what has befallen them at least since the Reformation, and often since dates much earlier: this has sometimes been done with much disregard of art and entirely from ecclesiastical zeal, but oftener it has been well meant enough as regards art: yet you will not have listened to what I have said to-night if you do not see that from my point of view this restoration must be as impossible to bring about, as the attempt at it is destructive to the buildings so dealt with: I scarcely like to think what a great part of them have been made nearly useless to students of art and history: unless you knew a great deal about architecture you perhaps would scarce understand what terrible damage has been done by that dangerous ‘little knowledge’ in this matter: but at least it is easy to be understood, that to deal recklessly with valuable (and national) monuments which, when once gone, can never be replaced by any splendour of modern art, is doing a very sorry service to the State.
Morris, 1919, l. 287, grifo nosso.
Contrastar com Violet-le-Duc e outras manifestações "medievalistas".
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