#Lido del Sole
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abr · 2 years ago
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Il comunista mentale italiano è quello che chiede di non fare la spesa a ferragosto così i dipendenti dei supermercati possono andare al ristorante o al lido a farsi servire lo spritz in spiaggia. È quello che schiuma se un ricco chiama il 112 per farsi recuperare in montagna, affermando che dovrebbe pagarsi le cure e le emergenze da solo. Ma è anche quello che schiuma se il ricco si paga il pronto soccorso privato, perché la sanità deve essere comunista. È quello che se uno propone di eliminare il ministero delle donne e pari opportunità in Argentina lo chiama psicopatico di ultra destra. E tanto altro, se volete aggiungete voi.
Il comunista mentale italiano è quello che esulta all’ordine della guardia costiera di smontare un gazebo in spiaggia per ripararsi dal sole, perché il gazebo occupa il demanio pubblico.
È quello che dice il corpo e mio e decido io se deve abortire un feto ma vuole l'antinfluenzale obbligatorio per tuttj
E' quello che non si deve confondere meteo con clima, ma che usa i temporali estivi per sostenere che il clima sta cambiando.
E' quello che schiumò quando il sindaco neoeletto nero di Johannesburg annullò gli investimenti per piste ciclabili del predecessore, dicendo che son cose non per le masse ma da privilegiati della ZTL.
E' quello che fa il sindaco de Milan, d'estate chiude i parchi e va a Formentera, chi resta se la prenda col cambiamento climatico.
E' quello che quando pensa al Covid gli vengono i lucciconi agli occhi, che occasione perduta per dare una disciplina sociale centralista, equa e solidale oltre che austera e decrescista a tutti.
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alessandrom76 · 5 months ago
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il chiar di luna
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per noi, la luce del giorno non è tanto ciò che fuga le tenebre notturne, quanto la condizione naturale della terra e del cielo, sia nuvolo o sereno. se pensiamo alle colline, pensiamo al loro aspetto diurno, così come pensiamo a un coniglio con la sua pelliccia addosso. ci sarà chi si figura lo scheletro all'interno del cavallo, ma perlopiù non avviene così: quindi di solito non ci figuriamo le colline senza luce diurna, benché la luce non sia parte integrante di esse, come la pelle invece è parte del cavallo.
noi diamo per scontata la luce del giorno, quindi non ci facciamo caso. ma il chiar di luna è diverso. è incostante.
la luna ha le sue fasi, cala e ritoma a crescere. le nuvole l'oscurano più di quanto non oscurino il sole. l'acqua ci è necessaria, una cascata no. costituisce un di più, un bell'ornamento. della luce diurna abbiam bisogno, quindi ne abbiamo un concetto utilitaristico, del lume di luna no. quando c'è, non soddisfa una necessità. esso trasforma le cose: si posa su una pendice e separa un filo d'erba dall'altro; d'un mucchio di foglie secche, fa qualcosa di misterioso; scintilla su un ramoscello bagnato, e la luce sembra latte.
i suoi raggi si versano, candidi e netti, fra i tronchi degli alberi, e il loro chiarore si fa via via immateriale, per svanire nei recessi della boscaglia. al chiar di luna, un campo d'avena, folto e arruffato come una criniera, sembra una baia solcata dalle onde, che s'accavallano correndo al lido. la macchia invece è così intricata che neanche il vento la muove, però sembra che sia il chiar di luna a conferirle quell'immobilità. noi non diamo il chiar di luna per scontato. è come la neve, o come la guazza una mattina di luglio.
non rivela bensi cambia ciò che illumina, ciò che riveste.
quella luce, d'intensità tanto inferiore alla luce diurna, è qualcosa che si aggiunge al paesaggio, alla collina, per donarle un aspetto singolare, un nonsoché di meraviglioso, che dovremmo ammirare finché dura, perché fra breve sarà già svanito.
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[ richard adams - la collina dei conigli ]
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yanderepinkhair · 2 years ago
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Cosa schifosa successa al mare.
Eravamo io, mia madre e una sua amica al ristorante del lido in spiaggia e stavamo aspettando la pizza.
Io stavo vestita semplicemente con la parte di sopra del costume e i pantaloncini e accanto al mio tavolo c'erano tre signori sulla cinquantina che stavano bevendo qualcosa.
Fin qua tutto okay
Peccato che appena sono rimasta da sola al tavolo un signore ha iniziato ad indicarmi la sedia libera vicino a lui e io avendo gli occhiali da sole ho fatto finta di non vedere, nonostante ciò, ha iniziato a scherzare con i suoi amici dicendo cose che non riuscivo a capire.
Detto ciò, per fortuna sono ritornata ad essere in compagnia e hanno smesso per qualche minuto per poi uno di questi che mi indicava la sedia ha ripreso a camminare tra i tavoli e a passare davanti al mio tavolo guardandomi.
Per fortuna me me sono andata subito dopo ma mi è venuto il ribrezzo.
Fate semplicemente schifo
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abcpoesiainmusica · 3 months ago
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Il porto
Antonia Pozzi pensa a sé come a una nave, agitata dai flutti e dai venti, che agogna la riva senza riuscire mai a toccarla. Con una metafora vivida e profonda, la poetessa simbolizza un dramma esistenziale che nessuna delle attività che la impegnano è in grado di placare.
Il porto Io vengo da mari lontani – io sono una nave sferzata dai flutti dai venti – corrosa dal sole – macerata dagli uragani – io vengo da mari lontani e carica d’innumeri cose disfatte di frutti strani corrotti di sete vermiglie spaccate – stremate le braccia lucenti dei mozzi e sradicate le antenne spente le vele ammollite le corde fracidi gli assi dei ponti – io sono una nave una nave che porta in sé l’orma di tutti i tramonti solcati sofferti – io sono una nave che cerca per tutte le rive un approdo. Risogna la nave ferita il primissimo porto – che vale se sopra la scia del suo viaggio ricade l’ondata sfinita? Oh, il cuore ben sa la sua scia ritrovare dentro tutte le onde! Oh, il cuore ben sa ritornare al suo lido! O tu, lido eterno – tu, nido ultimo della mia anima migrante – o tu, terra – tu, patria – tu, radice profonda del mio cammino sulle acque – o tu, quiete della mia errabonda pena – oh, accoglimi tu fra i tuoi moli – tu, porto – e in te sia il cadere d’ogni carico morto – nel tuo grembo il calare lento dell’ancora – nel tuo cuore il sognare di una sera velata – quando per troppa vecchiezza per troppa stanchezza naufragherà nelle tue mute acque la greve nave sfasciata – Antonia Pozzi, 1933
Schena ha scritto una musica che si ispira alla nostalgia della musica brasiliana: il brano diventa una bossa che si libera sul finale.
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andyfi03 · 10 months ago
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81ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia (red carpet inaugurale)
Il sole, il caldo ed il Lido di Venezia!!! Come ogni anno, siamo alla 81ma edizione, è iniziata la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia più semplicemente chiamata Festival del Cinema! Continue reading 81ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (red carpet inaugurale)
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agrpress-blog · 10 months ago
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Sveva Alviti, madrina della Mostra di Venezia: un arrivo trionfale al Lido Il 27 agosto 2024, la Mostra Internazio... #SvevaAlviti https://agrpress.it/sveva-alviti-madrina-della-mostra-di-venezia-un-arrivo-trionfale-al-lido/?feed_id=6555&_unique_id=66cf6a02f118d
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deliziosamentepoetica · 1 year ago
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Il senso del grigio
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Meccanismo di difesa: l’espressione di per sé mi ha sempre affascinato, non mi fa pensare a ingranaggi impegnati in una danza bensì a un enorme portone di ferro che si chiude, tutt’al più al frenetico tentativo di accorpare vecchi stracci in una cassapanca che non si apre più. Immagino così il mio cervello, affaticato mentre cerca di nascondere la cosiddetta polvere sotto il tappeto… mentre cancella la mia infanzia per evitarmi ulteriore dolore. Il cervello umano è a dir poco affascinante, protegge l’anima e il corpo cercando di nascondere i brutti ricordi così da permetterci di vivere meglio: siamo portati a pensare che il suo maggiore impegno sia archiviare e riproporre i ricordi, invece sa quanto sia importante a volte dimenticare. La rimozione è proprio un potente meccanismo di difesa… ed è qualcosa che io conosco bene.
Non è infallibile, ahimè. In periodi particolari, come quello che sto vivendo, certe dinamiche risvegliano i ricordi ed è per questo che sono settimane che non dormo bene. Erano anni che non sognavo e ora sogno tutte le notti, letteralmente, e tra le assurdità oniriche purtroppo ci sono spesso i ricordi della mia infanzia e adolescenza. Tra questi, uno mi ha lasciato perplessa: ho ricordato una particolare mattinata al liceo, quando l’insegnante dell’epoca chiese alla classe in un momento di pausa quale fosse il colore che proprio non ci piaceva; una mia compagna in particolare insisteva che il colore più brutto e insignificante fosse il marrone, la professoressa concordava. Al solito, io non dissi nulla, neanche avrei avuto spazio per commentare e se lo avessi fatto molto probabilmente nessuno avrebbe ascoltato o peggio ancora mi avrebbero preso in giro tanto per cambiare… e neanche ci pensai.
Uscita da scuola, nei minuti di passeggiata che mi concedevo lì attorno per tardare il più possibile il ritorno a casa, pensai alla questione dei colori… e probabilmente la mia risposta sarebbe andata sul grigio. Era gennaio, faceva freddo e minacciava pioggia, mi guardai attorno a Port’Alba e pensai che quel periodo dopo le feste natalizie, concentrato soprattutto sul primo mese dell’anno, era caratterizzato proprio dal colore grigio, era attaccato alle pareti dei palazzi. Pensai che il grigio fosse la via di mezzo tra bianco e nero e non riuscii ad apprezzarne l’equilibrio, sono sempre stata meteoropatica e detestavo il grigio del maltempo perché la pioggia nelle case in cui sono vissuta ne sottolineava la fatiscenza. Il grigio divenne il colore che non amavo, non ne trovavo il senso mentre tutti gli altri colori avevano per me collegamenti interessanti con la natura; persino il suddetto marrone, che mi ricordava la preziosa terra e il gustoso cioccolato. Il grigio non aveva senso per me neanche rapportato al cibo, non a caso spesso la muffa tendeva a quel colore ed era quinti la tappa del viaggio che rendeva marcio un buonissimo frutto.
In quei pochi giorni, sprazzi di “vacanza” (sempre intossicata, tanto per cambiare) di qua e di là, che ci concedevamo nella mia cosiddetta vecchia vita… il maltempo era una autentica tragedia. Ho sempre odiato la pioggia ma alla riva del mare i nuvoloni tempestosi mi lasciavano una strana sensazione di benessere… che non ho mai approfondito per via della collera perenne di mia madre, che gridando mi trascinava via come se il temporale potesse inghiottirmi. Come se le fosse cara la mia esistenza. Non ho mai approfondito… fino a questi giorni d’estate 2024.
A mare vado spesso da sola, in un lido che frequento oramai da anni. Avevo controllato il meteo e doveva reggere… e invece, neanche il tempo di aprire l’ombrellone, quella mattina iniziò a piovere. Iniziai a sbuffare, scocciata che il primo giorno di relax estivo non mi permettesse di abbronzarmi sotto il mio amato sole. Il Vesuvio dal mio lettino sembrava sparire secondo dopo secondo dietro dei nuvoloni… grigi. La pioggia si fece forte, io restai sotto l’ombrellone. Ero serena. Presi il libro che avevo portato dietro e alternavo le righe dei fogli allo spettacolo bigio del mare di fronte a me. Andai a farmi un bel bagno sotto la pioggia, ero liberamente felice. Telefonai a Dario ridendo, raccontandogli che fossi l’unica su tutta la spiaggia, e restai fino a chiusura.
Io non ho rivalutato il grigio, in realtà l’ho sempre apprezzato. Mi ricorda le mie amate perle, è elegante, ha mille sfaccettature di suo, è il colore dell’argento ed è la tinta che si accosta alla preziosa vecchiaia. Avevo solo bisogno, tanto per cambiare, di equipararmi agli altri, di sentirmi una adolescente con un pensiero critico da formulare ed esprimere. Il grigio è il colore secondo me di gennaio, per me in altra sfumatura lo è non so perché della mia adorata Pasqua, lo percepisco nelle nuvole del periodo primaverile che accompagna il mio compleanno e precede la bella stagione. Amo l’estate e il caldo (pensiero per molti non condivisibile, lo so), odio l’inverno e il freddo… ma da quando ho altri vetri attraverso i quali guardare la pioggia, le stille diventano ticchettii di pace, non mi fa più paura la tempesta.
In ogni senso.
Soprattutto, nel senso del grigio.
Emilia Sensale
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lecodellariviera · 1 year ago
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Perchè Arma ha perso la Bandiera Blu se una tartaruga Caretta Caretta ha scelto proprio il mare di Taggia e la sabbia del Piccolo lido per figliare?
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Al turismo, ai cittadini, agli ospiti di Arma e di Taggia, all'amministrazione Conio, è tornato il sorriso. Dopo anni di successi l'aver perso inaspettatamente e malamente a maggio la Bandiera Blu per l'estate 2024 aveva, infatti, aperto un'autostrada a "mugugni" e legittimi interrogativi. A riparare danni, rilanciare, a tirare le orecchie a chi ha sbagliato, a mettere questa volta le cose a posto ci ha pensato non l'uomo (per fortuna?), ma la natura. Sono state infatti le tartarughe  marine Caretta Caretta,  animali tra i più antichi della terra. Da giorni quotidiani, media, social, riviste non parlano d'altro. Pubblicità e promozione cadute dal cielo straordinarie. Per la prima volta nella storia tabiese queste tartarughe, quasi sfidando la sentenza dei giudici della Bandiera Blu, quest'anno infatti hanno scelto il mare, le spiagge, il sole, gli arenili di Arma come sede più idonea, pulita, accogliente del Mediterraneo non per una vacanza o alla ricerca di zone di mare e di pesca più abbondanti, ma per compiere nel migliore dei modi l'atto fondamentale della vita. Nello specifico, nella sabbia  dello storico stabilimento balneare Piccolo Lido, di "Lito & family Cichero", all'ombra del campanile di Sant'Erasmo, patrono dei marinai, una tartaruga Caretta Caretta ha sepolto 80-100, forse anche più uova per far nascere in piena estate, in una zona ideale, a pochi passi da un mare pulito, tranquillo, protetto  i suoi piccoli.
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Lito Cichero
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La moglie Paola
Sul posto sono subito intervenuti tecnici del Gruppo Ligure Tartarughe Marine, l'Acquario di Genova, l'Associazione Delfini del Ponente, il Comune, la Guardia Costiera, l'Università di Genova, l'Arpal, bagnanti, turisti italiani, stranieri, soprattutto francesi armati di telecamere, cellulari, foto a go gò. A scoprire  per prima le tracce di tartaruga sulla sabbia e pensare ad un loro possibile nido al  "Piccolo Lido" è stata Federica Turco che, prontamente, ha telefonato ai vari enti interessati. Tra i primi ad intervenire il responsabile dei bagnini, Franco, amante degli animali, da 15 anni ha in casa e la porta al mare, fotografatissima dai turisti, Medea, uno splendido, coloratissimo e loquace pappagallo femmina.
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Al centro il bagnino Franco con i biologi marini
Poi lo staff di "Lito", il sindaco Conio e company. La zona del nido è stata subito protetta con transenne, avvisi. Si trova tra sdraio, ombrelloni, bagnanti, ed è meta di un numero sempre crescente di persone, tanti ragazzi, curiosi, amanti della tintarella, delle novità. Avere a portata di mano o di click fotografico il nido di tartarughe marine Caretta Caretta, infatti, non è roba da poco. Ad Arma poi...ha quasi dell'impossibile. Invece possibilissimo. Qualcuno si domanda anche perchè sia stata tolta ad Arma la Bandiera Blu se, proprio quest'anno, il mare di Arma è stato scelto, ritenendolo naturalmente tra i più puliti ed adatti, per generare, continuare la specie addirittura da tartarughe Caretta Caretta che, com'è noto, rischiano brutalmente di scomparire perchè il mare, gli oceani, per loro non sono più l'Eden, ma parte del globo pericolosissimo proprio per l'inquinamento crescente. 
Buona estate a tutti ed appuntamento a fine agosto per assistere all'eccezionale schiusa ed alla prima entrata in mare di tantissime tartarughine. 
Roberto Basso
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macabr00blog · 1 year ago
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Ti vedo e ti attraverso ma non ti capisco
Passo dopo passo, lo spazio negligente dell’accoglienza. Quando ho tempo passo ore chino sulla scrivania come un vecchio scriba, non ho nulla di bello da fare, nulla di pronto da dire, messaggi e conversazioni lasciate in archivio ed io con una penna in mano ad annotare strascichi di quello che é già successo. Tipo: tu appoggiato al termosifone del mio salotto. Tipo: mangiare una mela ammaccata dal davanzale e guardarti scomparire sul retro, luci soffiate via dalla nebbia, il tuo capo che appare e scompare. Tipo: i miei piedi pallidi sulla sabbia. Tipo: l’odore della tua schiena al sole. Non ho nient’altro. Mi concedo qualcosa di più forte, camminare lungo l’argine, ritagliare pezzi di stoffa e rammendare colori su una coperta usurata, atti di incoscienza del venerdì sera quando scambio qualche tenerezza in preda ad una delle più cupe nostalgie di questo mese. Sono uno che si accontenta, ho aspettato tanto, perché non ancora?
(Perché adesso non ce la faccio più.)
Mi sembra di non avere più tempo.
Tieni conservala bene
Questa è una stella polare
Era per la crudeltà della montagna, per dovere della cronaca aguzza, io dicevo: io e te non ci possiamo incontrare in questo mondo. E poi aspettavo un segno di vicinanza, un fumo di pace, i colori bruni dei nei sulle tue spalle quando ti cade il sole addosso. Non siamo fatti per la pasta di sale dove ammollano i fiori d’acqua, non siamo fatti per il calore di questo spazio di terra, io sono un arbusto aggrovigliato e forse ho sbagliato luogo. Si, ho decisamente sbagliato luogo. La testa recisa per un pomodoro di troppo, il velenoso sapore metallico sui denti, non c’è niente di più libero di quello che ci imponiamo di non fare. Tu dici? Appigli di poco spessore, camminare oltre la linea gialla alla stazione, zaino che mi lascia un alone bagnaticcio sulle scapole, è estate e perché sento così tanta stanchezza? Dovrebbe essere la mia stagione di riposo, dovrei accoccolarmi e accontentarmi di un pregio di una donna, di un difetto di un uomo, sconosciuti, frammenti dei loro pensieri sulle mie pareti, ma sono tragicamente investito dalla nebbia.
Tu mi avevi avvisato. La provincia non si lascia.
Dai, ti porto a ballare
Ti porto a ballare
Musica brasiliana
Parlare dei vecchi templi erosi dagli incendi, un cambiamento climatico che trascina Venere in collisione, tu con le ciglia impastate dal sonno sembri un delfino che ha smesso di respirare. Un tempo saresti stato una sirena. Un tempo saresti stato un pirata. Il mare è quello che più mi fa pensare a te, anche se non ti ho mai visto immergerti in acque salate. Ci siamo io e te, più avanti degli altri, accostati a qualche metro di distanza, camminiamo insieme sul lungomare di un lido che non conosco. Tu mi parli di un faro, io ti dico che non ho paura del buio, sprechiamo altre conversazioni in modi maledetti. Ho capito quel giorno che in te esistevano due realtà amiche. Una era la forma del figlio di Dio che avevo visto camminare a gambe leggere lungo il patio, il telo mare sulla spalle e i capelli ancora umidi, reggevi in mano un frutto roseo, parlavi di sistemi oratori, di letterature, avevi una croce argentea che ti si esponeva sul petto e credevi ancora che solo Dio ti potesse fare cosi tanto male. L’altra era il corpo di un cane randagio, spelacchiato dopo una grandinata, le sue gambe erano diventate pesanti dal gonfiore, i suoi occhi si erano nascosti sotto il pelo scuro, si sedeva all’ombra e aspettava che qualcuno lo scambiasse per un ramo e lo portasse via. Aspettava che il vento lo scambiasse per un detrito e lo lasciasse fluttuare.
Lascia stare gli inglesi, la trap, i cassoni
Non fanno per te
Ho appoggiato il tuo nome per un po’, l’ho lasciato alla portata di tutti ma io non l'ho più maneggiato. Nella mia bocca c’era altro da masticare, altro su cui far arrancare i molari, ero così apparentemente devoto, e mi stava bene. Sono andato a convivere, ho pensato a famiglie e ad essere adulto, ho fatto regali e ho lasciato mille baci su cinque o sei bocche diverse, mi piaceva pensare che più mi impegnavo a dedicarmi ad altro, più mi sarebbe bastato avere messo tutto in ordine. Mi sarebbe bastato pensare che c’era un posto che ci avrebbe regalato accoglienza, ma che quel posto non era qui ed non era ora.
Mi ricordo che quando eravamo ancora ghettizzati e provinciali ti chiesi se dopotutto, qualsiasi cosa fosse accaduta, saremmo rimasti amici. Avevo una concezione puramente astratta di quello che poteva essere divenirti amico dal nulla, quando per mesi interi ti avevo visto come una creatura a sé stante, dopo che ti avevo iperanalizzato, diviso in piccoli frammenti di realtà, dopo che ti avevo conosciuto senza conoscerti. Tu mi dissi che forse non avresti saputo come rimanermi amico, che non eri capace, che i tuoi amici si contavano sulle dita di una mano, che ti avrebbe fatto troppo male.
Mi ricordo di aver pensato: troppo male? Esiste un troppo? Non ne vale la pena?
Che sei nata e cresciuta Catania
Hai dei capelli troppo belli, troppo belli
Come si chiama il vento quando fa troppo caldo per prendere aria? Quando ti si chiude la gola per allergie non medicalizzate? Come si chiama quando non ti vedo più attraversare il patio di una casa che ha smesso di essere mia tempo fa, in pieno agosto, le ciabatte di gomma che ti ho prestato la prima volta e che non mi hai mai più restituito perché le volevi tutte per te? Come si chiama l’inverno caldo? L’inverno quest’anno mi ha distrutto le speranze di tornare a galla con un po’ di fiato quest’estate. Io so che, come tutte le volte che ripercorro i ricordi, finirò per scoprire cose che non voglio scoprire.
Tu non sei un figlio di Dio, sei corroso quanto me, sei marcio quanto me, sei così ignorante nella tua posizione da Messia, sei così bello quando ammetti debolezze, ma non sei un figlio di Dio. E non sei un cane randagio, non sei una vecchia cagna che si trascina le zampe, sei molto di più di ispidi peli grigiastri, il tuo corpo mi accarezza le gambe, ti sei inginocchiato per una preghiera?
Sei la punta di un iceberg
Sei la pensione che non avrò mai
Siamo il teorema che non capisco
Io ho smesso di saper scrivere per conto mio, ora è tutto una chiara memoria di verità diverse. Di quando sono arrabbiato, di quando i giorni felici mi si attaccano ai polpstrelli, di quando quelli tristi me li scottano, non c’è niente di più grave di questa mia situazione, io continuo ad appuntarmi immagini che mi colgono sprovvisto nei ricordi, ma non so come trattenerti per qualche ora in più. Non ho ancora imparato a dirlo per intero, il tuo nome, me ne vergogno.
Ma è perché adesso non ce la faccio.
Perché mi sembra di non avere più tempo.
Il futuro che avanza dentro a un fosso
Dentro a un fosso
Su un tappeto rosso
Ti vedo e ti attraverso, ma non ti capisco
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reginadeinisseni · 2 years ago
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Inno a Satana-Carducci
A SATANA A te, de l'essere Principio immenso,[6] Materia e spirito, Ragione e senso;     4 Mentre ne' calici Il vin scintilla Sí come l'anima Ne la pupilla;     8 Mentre sorridono La terra e il sole E si ricambiano [7] D'amor parole,        12 E corre un fremito D'imene arcano Da' monti e palpita Fecondo il piano;     16 [8] A te disfrenasi Il verso ardito, Te invoco, o Satana, Re del convito.          20 Via l'aspersorio Prete, e il tuo metro! [9] No, prete, Satana Non torna in dietro!     24 [10] Vedi: la ruggine Rode a Michele [11] Il brando mistico, Ed il fedele     28 Spennato arcangelo Cade nel vano. Ghiacciato è il fulmine A Geova in mano.     32 [12] Meteore pallide, Pianeti spenti, Piovono gli angeli Da i firmamenti.     36 Ne la materia Che mai non dorme, Re de i fenomeni, Re de le forme,     40 Sol vive Satana. [13] Ei tien l'impero Nel lampo tremulo D'un occhio nero,     44 O ver che languido Sfugga e resista, Od acre ed umido Pròvochi, insista.      48 [14] Brilla de' grappoli Nel lieto sangue, Per cui la rapida Gioia non langue,     52 Che la fuggevole Vita ristora, Che il dolor proroga Che amor ne incora.     56 [15] Tu spiri, o Satana, Nel verso mio, Se dal sen rompemi [16] Sfidando il dio     60 De' rei pontefici, De' re crüenti: E come fulmine Scuoti le menti.     64 [17] A te, Agramainio, Adone, Astarte, [18] E marmi vissero E tele e carte,     68 Quando le ioniche Aure serene Beò la Venere Anadiomene.      72 [19] A te del Libano [20] Fremean le piante, De l'alma Cipride Risorto amante:      76 A te ferveano Le danze e i cori, A te i virginei Candidi amori,      80 Tra le odorifere Palme d'Idume, [21] Dove biancheggiano Le ciprie spume.     84 [22] Che val se barbaro Il nazareno Furor de l'agapi Dal rito osceno      88 Con sacra fiaccola I templi t'arse E i segni argolici [23] A terra sparse?     92 [24] Te accolse profugo Tra gli dèi lari La plebe memore Ne i casolari.      96 [25] Quindi un femineo Sen palpitante Empiendo, fervido Nume ed amante,     100 La strega pallida D'eterna cura Volgi a soccorrere L'egra natura.      104 [26] Tu a l'occhio immobile De l'alchimista, Tu de l'indocile Mago a la vista,     108 Del chiostro torpido Oltre i cancelli, Riveli i fulgidi cieli novelli.     112 [27] A la Tebaide Te ne le cose Fuggendo, il monaco Triste s'ascose.     116 [28] O dal tuo tramite Alma divisa, Benigno è Satana; Ecco Eloisa.       120 [29] In van ti maceri Ne l'aspro sacco: Il verso ei mormora Di Maro e Flacco     124 Tra la davidica Nenia ed il pianto; E, forme delfiche, A te da canto,       128[30] Rosee ne l'orrida Compagnia nera, Mena Licoride, Mena Glicera.     132 [31] Ma d'altre imagini D'età più bella Talor si popola L'insonne cella.     136 [32] Ei, da le pagine Di Livio, ardenti Tribuni, consoli, Turbe frementi     140 Sveglia; e fantastico D'italo orgoglio Te spinge, o monaco, Su 'l Campidoglio     144 [33] E voi, che il rabido Rogo non strusse, Voci fatidiche, Wicleff ed Husse,     148 A l'aura il vigile grido mandate: S'innova il secolo Piena è l'etade.     152 [34] E già già tremano Mitre e corone: Dal chiostro brontola La ribellione,     156 E pugna e prèdica Sotto la stola Di fra' Girolamo Savonarola.     160 [35] Gittò la tonaca Martin Lutero: Gitta i tuoi vincoli, Uman pensiero,     164 E splendi e folgora Di fiamme cinto; Materia, inalzati: Satana ha vinto.     168 [36] Un bello e orribile Mostro si sferra, Corre gli oceani, Corre la terra:     172 Corusco e fumido Come i vulcani, I monti supera, Divora i piani;     176 Sorvola i baratri; Poi si nasconde Per antri incogniti, Per vie profonde;     180 Ed esce; e indomito Di lido in lido Come di turbine Manda il suo grido,     184 Come di turbine L'alito spande: Ei passa, o popoli, Satana il grande.     188 Passa benefico Di loco in loco Su l'infrenabile Carro del foco.     192 [37] Salute, o Satana, O ribellione, O forza vindice De la ragione!      196 Sacri a te salgano Gl'incensi e i vóti! Hai vinto il Geova De i sacerdoti.      200 [38]
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yoginviaggio · 2 years ago
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Bye Bye Sole & Fenicotteri
Sabato 30 settembre 2023
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Cari amici ecco la prima delle nostre magiche Esperienze in Natura d'Autunno 🍁🍄🦩 Partiamo da Lido di Spina in sella alle nostre biciclette, raggiungiamo l’Argine degli Angeli che percorriamo per intero fino al suggestivo Flamingo Spot di Volta Scirocco.🙏🧘🌞 Lì ci prendiamo una pausa per ricaricare corpo e fantasia della suggestiva energia del luogo e dei suoi abitanti di ogni specie e colore, fenicotteri, gruccioni, volpoche, gabbiani, marangoni 🦜🦩🦤🦆 e per salutare il sole con la pratica del Surya Namaskar ☀( il saluto al sole appunto) attendendo il tramonto che tutto tinge di rosa, armonizza i contrasti e placa gli animi.🌄 Rientriamo percorrendo in tranquillità la lunga lingua di terra lambita dalla laguna, dentro al giorno che lascia spazio alla discreta penombra della sera 🌛
Segue, per chi lo desidera, pizza e birra in condivisione a Lido di Spina.🍕🍺
📌Leggi per intero l'evento allegato clikkando qui dove trovi tutte le info in dettaglio‼
☎Per iscrizioni (entro giovedì 28/9) Annalisa 339 2549407
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enzopizzolo · 2 years ago
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Maggio-Pizzolo (UIL-ADOC): “Laguna di Varano, subito un tavolo tecnico-istituzionale per salvaguardare la stagione balneare e definire un piano pluriennale di interventi”
“Evitare le prese di posizione sensazionalistiche e preoccuparsi di tutelare cittadini, turisti, operatori e imprenditori”. Questo il commento di Luca Maggio, Coordinatore UIL PUGLIA, SEDE di FOGGIA ed Enzo Pizzolo, Presidente ADOC FOGGIA in merito alla questione Laguna di Varano-Lido del Sole.
“Non c’è dubbio che gli enormi ritardi che hanno caratterizzato i lavori di rigenerazione urbana di strade e marciapiedi nella zona di Lido del  Sole abbiano determinato significativi disagi, tuttora in corso, a cittadini e turisti. Rispetto a questa questione, nell’interesse di cittadini, turisti e operatori, andremo fino in fondo per comprendere se esistono responsabilità politiche, amministrative ed esecutive”, affermano Maggio e Pizzolo che poi si soffermano su un’altra criticità: “In questi giorni abbiamo raccolto il grido di allarme di tecnici, imprenditori e operatori. Il problema delle “acque verdi” nell’area lagunare di Varano non nasce oggi ma era stato già censito e segnalato da tecnici, esperti e operatori di ricerca: la fascia tra Cagnano Varano e Lido del Sole presentava già lo scorso anno valori singolari a causa della presenza di fitoplancton (cosi fu dichiarato dagli enti competenti nel 2022). È evidente che qui c’è un problema più complessivo di gestione e tutela della risorsa lagunare e della risorsa mare; così come è palese il deficit di programmazione. Sono questioni complesse che avrebbero richiesto -  e richiedono – una programmazione politico-amministrativa di lungo termine, un monitoraggio attento e un piano pluriennale di interventi. A maggior ragione, il dragaggio della laguna di Varano e delle foci, programmato per il 20 luglio, rischia di rendere ancora più difficile la gestione dell’emergenza perché l’operazione, per via delle correnti, determinerebbe lo sversamento di ciò che c’è nel lago di Varano direttamente nel mare. La nostra proposta è quella di rinviare le operazioni di dragaggio alla chiusura della stagione balneare, e, in ogni caso, non prima di ottobre 2023. Inoltre, condividiamo la proposta di Atas (Associazione di tutela ambientale di Lido del Sole): va effettuata una puntuale verifica di eventuali sversamenti lungo tutto l’asse costiero da Lido del Sole a Capoiale”.
Sulla stessa lunghezza d’onda Bruno Zangardi, presidente del consorzio di operatori turistici “Gargano Ok”: “Non si può pensare al dragaggio delle foci in piena stagione balneare; così come equivale a darsi la zappa sui piedi incatenarsi o emanare ordinanze di divieto di balneazione per un’area di Rodi Garganico. Si tratta di decisioni che non risolvono il problema e creano solo un enorme danno di immagine alle zone interessate. Ora, nell’interesse di tutto il Gargano, occorre stringere i denti e pensare a tutelare cittadini, turisti e imprenditori. Terminata la stagione balneare, sarà giusto e doveroso riunire attorno a un tavolo sindaci, Regione, Parco del Gargano, sindacati, imprenditori e operatori per definire un piano pluriennale di interventi, incluso il dragaggio della laguna”.
In conclusione, per  il Coordinatore UIL PUGLIA, SEDE di FOGGIA e il Presidente ADOC FOGGIA: “In questa complessa vicenda vanno considerati priorità assolute la tutela dell’ambiente, dei cittadini, degli operatori, degli imprenditori, dei turisti e del territorio nella sua interezza. Le bellezze, del Gargano, e in questo caso particolare della fascia tra Cagnano Varano e Lido del Sole, meritano maggior attenzione e una programmazione oculata degli interventi di risanamento e riqualificazione. Per tutti questi motivi, ci faremo carico di sollecitare l’istituzione di un tavolo tecnico-istituzionale che abbia come obiettivi prioritari la salvaguardia della stagione balneare in corso e la definizione di un piano pluriennale di interventi”.
➡️le foto del lago sono tratte dalla pagina: “Foce Varano in Foto”⬇️⬇️⬇️⬇️
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handmadenostalgia · 2 years ago
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La prima estate di Lana Del Rey
Di Elisa Carini e Vincenzo Grasso
Quasi come in una funzione religiosa ortodossa, Lana Del Rey volge le spalle al pubblico. Consumata la prima metà del concerto, si ferma per qualche minuto nell’atmosfera febbrile del parco di Bussoladomani a Lido di Camaiore. È il 2 luglio 2023, e siamo all’ultima data del Festival La Prima Estate.
Sul display proiettato in fondo al palco inizia un monologo, quello che accompagna il video musicale di uno dei suoi singoli più celebri, Ride. La sua voce registrata recita: 
Ero nell’inverno della mia vita, e gli uomini che ho incontrato sulla mia strada sono stati la mia unica estate… 
Una dopo l’altra, sotto forma di fotogrammi, le mille estati di Lana prendono vita: Lana prima della fama, quando ancora si faceva chiamare Lizzy Grant e aveva i capelli biondo platino; Lana in Video Games, il fenomeno YouTube del 2011 in cui tutto cambia con un videoclip homemade e un ritornello supportato da quel timbro fumoso impossibile da replicare. Citando quanto detto da lei al «Daily Mail» nel 2011: “Se avessi saputo che così tante persone lo avrebbero guardato, avrei fatto scelte decisamente differenti”. 
Eppure, forse sono state proprio quelle scelte – la webcam a bassa risoluzione puntata sul volto, le labbra protese a canotto – a segnare la traiettoria di un’artista destinata a divenire un cult del panorama musicale contemporaneo.
E poi ancora, in una road coast to coast all’interno del suo catalogo discografico, continua la rappresentazione delle sue trasformazioni. In tutto questo ci chiediamo che cosa spinga un’artista del genere a scegliere come location dell’unica data italiana Lido di Camaiore, annunciata appena sei giorni prima. 
Si tratta forse di quell’estetica della sottrazione che Lana ha portato avanti per tutta la sua carriera. Il terrore di stare al centro della scena, forse persino la consapevolezza dell’incapacità di sostenere le aspettative che vengono poste alle artiste donne nella musica pop. E quindi via dai social media affinché la musica “possa parlare da sola”, nessuna strategia promozionale se non quella della sua stessa fanbase. 
Ci sono 17.000 persone, sebbene la località non sia di certo facilmente raggiungibile. 
Quando il monologo si conclude e Lana riprende a fronteggiare il nostro sguardo, ci chiediamo quale sarà la sua prossima mossa, quando quella stessa Lana che adesso stiamo osservando diverrà, anche lei, parte di quel carosello celebrativo.
Malinconia fatta a mano
Occhiali da sole rossi a forma di cuore, fiori bianchi tra chiome di capelli scuri, mullet e baffi, magliette con la scritta cherry coke e peyote, cowboy boots, shorts di jeans, vestitini eterei.
Le telecamere riprendono una folla emozionata, impaziente.
Dopo un pomeriggio assolato, finalmente spira una brezza marina.
Riflesso nei maxischermi, un ragazzo alza un cartello con la scritta “MOMMY?”, sorride.
Attraverso un repertorio estremamente vasto, curato nell’arco di un decennio, Lana ha creato un universo narrativo complesso, inequivocabile, e per i primi anni 2000 assolutamente innovativo.
Tra le sue citazioni troviamo alcuni dei capisaldi della letteratura e della musica statunitense: Walt Whitman, Allen Ginsberg, Tennessee Williams, Sylvia Plath, T.S. Eliot, Bruce Springsteen, Elvis Presley, Joni Mitchell, senza contare cover di canzoni come Blue Velvet, Summer Wine, Don't Let Me Be Misunderstood e Chelsea Hotel n°2. Lana ha ripreso un’estetica passata – quella degli Stati Uniti a partire dagli anni ’50 – rendendola sua e raccontandola con la grazia propria della poesia.
Pensiamo a Lolita, il romanzo di Nabokov che, come lei stessa, è stato spesso frainteso perché accusato di romanticizzazione. È pressoché impossibile pensare a Lana Del Rey senza che al contempo vengano in mente certi riferimenti letterari, o altre immagini iconiche come Marilyn che canta Happy Birthday a JFK, Jackie O’ e il suo completo rosa di Chanel. E allo stesso tempo la California di inizio anni ’70, a “jazz singers” e “cult leaders” (Charles Manson and the family), alla vita “on the road” a cavallo di Harley Davidson con la guancia posata sul gilet in pelle di uomini molto più anziani, a motel semivuoti in mezzo al deserto e gas stations abbandonate.
Impossibile non pensare ai suoi riferimenti religiosi, a Tropico, cortometraggio realizzato dall’artista nel 2016, al velo azzurro sui suoi lunghi capelli scuri e le mani giunte in preghiera. Quello di Lana è un mondo fatto delle sue passioni, di estetiche che le parlano, di una “malinconia fatta a mano”. Le citazioni e i riferimenti non sono mai fini a se stessi, ma funzionali a creare atmosfere, evocare sensazioni. Lana racconta storie, a volte anche le sue, con estrema sincerità e vulnerabilità, un coraggio forse inconsapevole che potremmo definire autentico: non può fare altrimenti, e nemmeno vuole.
Lana ha costruito un mondo, e nutrito quello di altri. Pensiamo a un romanzo come Le Ragazze, di Emma Cline, e a una canzone come Freak, ad artiste che si ispirano a lei, che già ne raccolgono l’eredità. Le stesse Laila Al Habash e Maria Antonietta – che hanno aperto il concerto e sono state meravigliose, che raccontano storie e costruiscono mondi – hanno ribadito l’importanza di un’artista come lei nel panorama contemporaneo. È impossibile pensare a Lana senza pensare all’epoca di Tumblr, quand’era ancora diffuso tra i più giovani e pieno di sue foto: Lana davanti a una bandiera americana con i capelli color miele che strizza l’occhio alla fotocamera, Lana nella sua giacca rossa Ferrari. Impossibile non pensare alle ore trascorse a ricondividere foto e video che la ritraevano, a cercare di ricreare la sua estetica. 
È impossibile non ripensare a come la si è scoperta, Lana.
C’è ancora luce, ma per poco. Guardiamo i maxischermi. Un cartello recita: “YOU DID MORE FOR ME THAN MY THERAPIST”. La ragazza con cui abbiamo fatto amicizia sorride, le chiediamo se ricorda la prima volta che ha ascoltato Lana. Racconta che era l’estate del 2012, che si trovava in vacanza nella casa di campagna della nonna. “Non c’era niente da fare” dice, “Io e mio cugino passavamo le giornate seduti sul prato a parlare, a disegnare e ad ascoltare Born To Die, me l’ha fatta scoprire lui”. Sorride: “Avevamo sedici anni, io ascoltavo Summertime Sadness piangendo tutte le sere perché il mio fidanzato si era trasferito. Vivevamo su Tumblr”. Beve un sorso della sua birra: “Sono passati dieci anni e heaven is a place on earth with you ogni tanto ce lo scriviamo ancora”.
Una camera di motel tutta per sé
Per tutta la durata del concerto, Lana è accompagnata dalla band, un corpo di ballerine e dalle sue tre coriste. Durante l’esecuzione dei suoi brani più celebri – Young and Beautiful, Ride, Born to Die, Blue Jeans, Summertime Sadness e Video Games – la folla sovrasta la sua voce.
Nelle canzoni meno conosciute dal grande pubblico, come quelle più recenti estratte dall’ultima fatica discografica – Did you know that there’s a tunnel under Ocean Boulevard –, la folla si acquieta e la performance vocale viene fuori decisa e matura. Sembrano ormai lontani i tempi in cui Lana veniva aspramente criticata per imprecisioni tecniche frutto di un’ansia che appariva ingestibile.
Durante gli esordi, i media americani ed europei l’hanno ritratta come frutto di un’operazione frankensteiniana tra le spoglie delle dive del cinema e le torch singers degli anni ’40.
In un’intervista a «The Guardian» del 2014, la cantante, spesso accusata di una sorta di ingratitudine nei confronti della vita dovuta alla caratteristica tristezza che forgia ancora adesso la sua musica, confessa: “Speravo di essere già morta”. 
Lo stesso anno, in occasione della pubblicazione della sua opera più controversa, Ultraviolence, verrà fatta a pezzi dalla critica per aver “reso glamour” l’abuso domestico. 
Realtà o finzione? In questo caso la ricerca di una risposta è meno interessante della stessa domanda. Lana, infatti, si è spesso mossa nello spettro liminale dell’autofiction e solo di recente ha cominciato a consegnarsi alla pratica dell’autobiografismo spietato. 
Nella prima metà del concerto, Lana intona The Grants, singolo estratto dall’ultimo album in cui racconta la paura di perdere i propri familiari. Si tratta di un elogio alla memoria affettiva: cita la nascita di sua nipote, le ultime parole della nonna – insomma, ciò che intende portare via con sé quando arriverà anche il suo momento. 
Quando intona una versione intimistica della title track di Ocean Boulevard, la questione si rovescia e si trasforma in un invito al suo pubblico: “Don’t forget me”. 
Migliaia di braccia sollevano i cellulari con le torce accese. 
Difficile dimenticare un’artista che ha cambiato irrimediabilmente il corso della musica pop narcotizzandolo, prima del suo arrivo dominato dai ritmi ossessivi ed edulcorati dei primi anni 2000. Parafrasando dunque un passo della sua stessa canzone, anche oggi, qui su un palco davanti a migliaia di persone, c’è una ragazza rinchiusa nella camera di un motel che canticchia. Se hai trovato l’ingresso a questo mondo nascosto, non abbandonarlo.
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rodigarganico · 7 years ago
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SPRAR di Rodi, un progetto vincente
Il Rotary Gargano, su iniziativa della sua presidente Angela Masi, sabato 19 maggio ha organizzato, presso l’Auditorium Filippo Fiorentino dell’IISS “Mauro del Giudice” di Rodi Garganico, un convegno sulla tutela giuridica dei minori migranti non accompagnati. Sono intervenute l’avv. Gerarda Carb...
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autolesionistra · 2 years ago
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Cogli occhi spenti, con le guancie cave, Pallidi, in atto addolorato e grave, Sorreggendo le donne affrante e smorte, Ascendono la nave Come s’ascende il palco de la morte.
E ognun sul petto trepido si serra Tutto quel che possiede su la terra, Altri un misero involto, altri un patito Bimbo, che gli s’afferra Al collo, dalle immense acque atterrito.
Salgono in lunga fila, umili e muti, E sopra i volti appar bruni e sparuti Umido ancora il desolato affanno Degli estremi saluti Dati ai monti che più non rivedranno.
Salgono, e ognuno la pupilla mesta Sulla ricca e gentil Genova arresta, Intento in atto di stupor profondo, Come sopra una festa Fisserebbe lo sguardo un moribondo.
Ammonticchiati là come giumenti Sulla gelida prua morsa dai venti, Migrano a terre inospiti e lontane; Laceri e macilenti, Varcano i mari per cercar del pane.
Traditi da un mercante menzognero, Vanno, oggetto di scherno allo straniero, Bestie da soma, dispregiati iloti, Carne da cimitero, Vanno a campar d’angoscia in lidi ignoti.
Vanno, ignari di tutto, ove li porta La fame, in terre ove altra gente è morta; Come il pezzente cieco o vagabondo Erra di porta in porta, Essi così vanno di mondo in mondo.
Vanno coi figli come un gran tesoro Celando in petto una moneta d’oro, Frutto segreto d’infiniti stenti, E le donne con loro, Istupidite martiri piangenti.
Pur nell’angoscia di quell’ultim’ora Il suol che li rifiuta amano ancora; L’amano ancora il maledetto suolo Che i figli suoi divora, Dove sudano mille e campa un solo.
E li han nel core in quei solenni istanti I bei clivi di allegre acque sonanti, E le chiesette candide, e i pacati Laghi cinti di piante, E i villaggi tranquilli ove son nati!
E ognuno forse sprigionando un grido, Se lo potesse, tornerebbe al lido; Tornerebbe a morir sopra i nativi Monti, nel triste nido Dove piangono i suoi vecchi malvivi.
Addio, poveri vecchi! In men d’un anno Rosi dalla miseria e dall’affanno, Forse morrete là senza compianto, E i figli nol sapranno, E andrete ignudi e soli al camposanto.
Poveri vecchi, addio! Forse a quest’ora Dai muti clivi che il tramonto indora La man levate i figli a benedire.... Benediteli ancora: Tutti vanno a soffrir, molti a morire.
Ecco il naviglio maestoso e lento Salpa, Genova gira, alita il vento, Sul vago lido si distende un velo, E il drappello sgomento Solleva un grido desolato al cielo.
Chi al lido che dispar tende le braccia. Chi nell’involto suo china la faccia, Chi versando un’amara onda dagli occhi La sua compagna abbraccia, Chi supplicando Iddio piega i ginocchi.
E il naviglio s’affretta, e il giorno muore, E un suon di pianti e d’urli di dolore Vagamente confuso al suon dell’onda Viene a morir nel core De la folla che guarda da la sponda.
Addio, fratelli! Addio, turba dolente! Vi sia pietoso il cielo e il mar clemente, V’allieti il sole il misero viaggio; Addio, povera gente, Datevi pace e fatevi coraggio.
Stringete il nodo dei fraterni affetti. Riparate dal freddo i fanciulletti, Dividetevi i cenci, i soldi, il pane, Sfidate uniti e stretti L’imperversar de le sciagure umane.
E Iddio vi faccia rivarcar quei mari, E tornare ai villaggi umili e cari, E ritrovare ancor de le deserte Case sui limitari I vostri vecchi con le braccia aperte.
Edmondo De Amicis - “Gli emigranti” dal 1882 con furore
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mucillo · 3 years ago
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"Gli Emigranti" Edmondo De Amicis
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Cogli occhi spenti, con le guance cave,
Pallidi, in atto addolorato e grave,
Sorreggendo le donne affrante e smorte,
Ascendono la nave
Come s’ascende il palco de la morte.
E ognun sul petto trepido si serra
Tutto quel che possiede su la terra.
Altri un misero involto, altri un patito
Bimbo, che gli s’afferra
Al collo, dalle immense acque atterrito.
Salgono in lunga fila, umili e muti,
E sopra i volti appar bruni e sparuti
Umido ancora il desolato affanno
Degli estremi saluti
Dati ai monti che più non rivedranno.
Salgono, e ognuno la pupilla mesta
Sulla ricca e gentil Genova arresta,
Intento in atto di stupor profondo,
Come sopra una festa
Fisserebbe lo sguardo un moribondo.
Ammonticchiati là come giumenti
Sulla gelida prua morsa dai venti,
Migrano a terre inospiti e lontane;
Laceri e macilenti,
Varcano i mari per cercar del pane.
Traditi da un mercante menzognero,
Vanno, oggetto di scherno allo straniero,
Bestie da soma, dispregiati iloti,
Carne da cimitero,
Vanno a campar d’angoscia in lidi ignoti.
Vanno, ignari di tutto, ove li porta
La fame, in terre ove altra gente è morta;
Come il pezzente cieco o vagabondo
Erra di porta in porta,
Essi così vanno di mondo in mondo.
Vanno coi figli come un gran tesoro
Celando in petto una moneta d’oro,
Frutto segreto d’infiniti stonti,
E le donne con loro,
Istupidite martiri piangenti.
Pur nell’angoscia di quell’ultim’ora
Il suol che li rifiuta amano ancora;
L’amano ancora il maledetto suolo
Che i figli suoi divora,
Dove sudano mille e campa un solo.
E li han nel core in quei solenni istanti
I bei clivi di allegre acque sonanti,
E le chiesette candide, e i pacati
Laghi cinti di piante,
E i villaggi tranquilli ove son nati!
E ognuno forse sprigionando un grido,
Se lo potesse, tornerebbe al lido;
Tornerebbe a morir sopra i nativi
Monti, nel triste nido
Dove piangono i suoi vecchi malvivi.
Addio, poveri vecchi! In men d’un anno
Rosi dalla miseria e dall’affanno,
Forse morrete là senza compianto,
E i figli nol sapranno,
E andrete ignudi e soli al camposanto.
Poveri vecchi, addio! Forse a quest’ora
Dai muti clivi che il tramonto indora
La man levate i figli a benedire….
Benediteli ancora:
Tutti vanno a soffrir, molti a morire.
Ecco il naviglio maestoso e lento
Salpa, Genova gira, alita il vento.
Sul vago lido si distende un velo,
E il drappello sgomento
Solleva un grido desolato al cielo.
Chi al lido che dispar tende le braccia.
Chi nell’involto suo china la faccia,
Chi versando un’amara onda dagli occhi
La sua compagna abbraccia,
Chi supplicando Iddio piega i ginocchi.
E il naviglio s’affretta, e il giorno muore,
E un suon di pianti e d’urli di dolore
Vagamente confuso al suon dell’onda
Viene a morir nel core
De la folla che guarda da la sponda.
Addio, fratelli! Addio, turba dolente!
Vi sia pietoso il cielo e il mar clemente,
V’allieti il sole il misero viaggio;
Addio, povera gente,
Datevi pace e fatevi coraggio.
Stringete il nodo dei fraterni affetti.
Riparate dal freddo i fanciulletti ,
Dividetevi i cenci, i soldi, il pane,
Sfidate uniti e stretti
L’imperversar de le sciagure umane.
E Iddio vi faccia rivarcar quei mari,
E tornare ai villaggi umili e cari,
E ritrovare ancor de le deserte
Case sui limitari
I vostri vecchi con le braccia aperte.
Scritta nel 1882
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