#Le foto di Gioia
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Movie Review | Delirium: Photo of Gioia (Bava, 1987)
I first became interested in this movie after seeing a screenshot of a woman with a giant eyeball for a head. Having finally seen it, I can confirm that not only does the movie not disappoint on that front, it throws in another scene where a woman has a bee’s head. Of course, these are murder sequences and the latter woman is stung to death by a bunch of bees while being very naked, although the first woman is only stabbed with a pitchfork. In the torso, not in the eyes. Just thought you should know.
This is an ‘80s giallo, and is definitely glossy instead of rich and darkly decadent like the ‘70s variety. The gloss makes a certain amount of narrative sense as it’s about the publisher of a fancy porno magazine, which also means that there’s a good amount of nudity on top of the stylish murder sequences. And as it clips along at a nice pace and has a bunch of actors I like seeing in these things, it’s quite entertaining, although I’m not sure how well it all coheres. While the movie looks good, the stylishness comes in fits and starts and is mostly noticeable in the murder set pieces. (As far as Lamberto Bava efforts go, this lacks the sustained force of Demons.) And there’s enough sleaze on paper, but the movie’s heart isn’t really in it. There are forays into perversion, like a nightmare where the heroine is sexually assaulted by her wheelchair-bound Mick Jagger lookalike neighbour, and the final reveal, but the movie never makes us complicit like the genre would in its earlier years.
After my viewing I watched the interview with George Eastman included in my copy. Eastman appears for like two minutes and apparently had his nuts crushed by a soapy Serena Grandi sliding around in their steamy bathtub scene. Eastman talks shit about everybody involved in the movie, except for David Brandon for some reason. First off all, dude, you made Porno Holocaust. Second of all, Serena Grandi is fine in the movie (and fine in the movie). I think Eastman was just mad about his nuts. Although acting wise, I do agree that Brandon brings a certain humanity to an edgy character, and I also liked seeing Daria Nicolodi as I always do.
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Le foto di Gioia (1987)
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Le foto di Gioia (1987) Serena Grandi
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Come primo mese da padre, al di là delle battute che ogni tanto pubblico qui, è stato abbastanza duro.
Non che io le rimproveri nulla, ci mancherebbe. Come biasimare una persona che, dalla sera alla mattina, si ritrova un povero stronzo nella propria vita, senza aver avuto la possibilità di poter dire la sua, ed essere anche costretta suo malgrado a doverla accettare, quando nulla era dovuto a nessuno, solo perché le è andata di sfiga (certo, c'è di peggio, ma sempre di sfiga si tratta, è andata molto meglio al gatto di Ilaria, per capirci). Razionalmente l'ho sempre accettato, ma una cosa è dirla, una cosa è viverla, e io l'ho vissuta male, molto male, il suo tenermi a distanza, il suo volermi evitare a tutti i costi, quasi come a dire "so che devi essere il mio papà perché l'ha detto un burocrate qualsiasi, ma almeno non mi rompere il cazzo", e diciamo che così ho fatto, pieno di rabbia e delusione ci siam divisi, vivevamo come due studenti universitari che condividono una casa, ognuno per conto suo, e così è stato per giorni, non ci ho dormito per diverse notti, e non riuscivo a trovare una soluzione, nonostante ci provassi in tutti i modi, una via per comunicare, un modo per trovarsi, quelle robe di cui tutti sembrano capire tanto qui sopra e poi a nessuno funziona. Esausto e avvilito, mi sono arreso e ho fatto finta come se non esistesse più, se non nei miei stretti doveri, perché rompere le scatole mai, a nessuno.
Poi, non so bene cosa sia successo, un giorno si è svegliata e mi ha detto ti voglio bene, così, di botto, lasciandomi come un cretino. E non perché le servisse qualcosa o avesse un po' di melassa da smaltire, era sincera, si sentiva dal suo abbraccio. E da allora sembra come se stessimo insieme da sempre, la mia scrivania è piena di disegni che mi dedica, mi tira via dai meeting, ci tiene a dire davanti a tutti che passare il tempo con me è tutta un'altra cosa, e che vi devo dire, io ho ritrovato il sorriso, il sonno e la gioia di vivere. Non saprò mai perché, e non lo voglio manco sapere.
Personalmente sono contrario a mostrare foto che non sono mie, quindi qui non ci sarà mai, e pur se volessi legalmente parlando non potrei. Questi racconti sono le mie foto con lei, perché chissà, se non schiattiamo tutti forse riuscirà a leggerle queste parole un domani, e ci faremo insieme una bella risata e un bel pianto su.
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Le foto di Gioia AKA Delirium (1987), directed by Lamberto Bava.
#le foto di gioia#horror#grindhouse#delirium#cult film#lamberto bava#80s#cult horror#trippy#creepy#horror movies#gothic#80s horror#italian horror#eyeball#monster#80s movies#italian cinema#wtf
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QUESTA È UNA STORIA CHE NON SO COME COMINCIARE A RACCONTARVI
È una storia triste con un finale velato di speranza che però non riesce a diminuire in me la tristezza, visto che è troppo spesso ripetuta ovunque nel solito loop di solitudine e sofferenza.
Non a caso ho deciso di raccontarla solo adesso e a taluni potrà sembrare che io mi voglia agganciare furbescamente al trend 'femminicidio' e con questo post fare virtue signaling.
Tutt'altro, credetemi.
Questa storia parla del coraggio di una ragazzina di 20 anni, l'unica reale protagonista, mentre noi come famiglia, semmai, abbiamo avuto solo il merito di essere al posto giusto al momento giusto.
Ricordate questo: AL POSTO GIUSTO AL MOMENTO GIUSTO e poi nella chiusa a questo post capirete.
Anche se dubito fortemente che conosciate lei o siate venuti a sapere della sua storia, per un mio senso di riservatezza cambierò molti particolari, senza però far perdere mai il senso di quanto accaduto.
Mia figlia piccola aveva una compagna di studi con la quale era rimasta in contatto anche dopo la maturità e una sera questa ragazza è venuta a cena a casa nostra, su strana insistenza di nostra figlia perché era già tanto tempo che non si vedevano, tranne qualche messaggio con cui lei la teneva informata sullo stato di salute del fratellino di 7 anni, affetto da una forma aggressiva ma curabile di leucemia.
Avevamo capito che era successo qualcosa e infatti questa ragazza, durante la cena, ci confida che lei, la madre e, soprattutto, il fratellino sono da anni vittime di maltrattamenti psicologici e fisici a opera del padre.
E noi, su insistenza di nostra figlia che è riuscita a convincerla, siamo state le prime e uniche persone alle quali trova finalmente la forza di dirlo, visto che il padre aveva costretto la madre a chiudere i contatti con ogni parente e cerchia di amici.
Erano sole, la madre non lavorava e tutti dipendevano da un unico stipendio, quello del padre, che inoltre decideva quando e quanto potessero uscire di casa.
Una storia di abusi familiari come tante, solo che invece di sentirlo in un telegiornale ce le stava raccontando di persona una ragazzina smilza e che sorrideva triste per l'imbarazzo.
E poi ho visto gli occhi di mia figlia, pieni di rabbia e indignazione ma scintillanti anche di qualcos'altro... speranza, anzi, convinzione che noi potessimo aiutarla.
Con un peso enorme nel cuore, le abbiamo allora parlato tutta la sera, l'abbiamo consolata, consigliata e spronata a fare quello che la madre non aveva più la forza di fare: denunciare ai carabinieri e rivolgersi a un centro antiviolenza.
E mentre lei piangeva lacrime di gioia per aver finalmente trovato qualcuno con cui aprirsi, le arriva un messaggio wathsapp sul telefono con una foto.
Una foto da suo fratello.
Che si era fotografato il naso.
Rotto e sanguinante.
E il messaggio sotto diceva 'Papà ha picchiato la mamma e poi me. E poi se n'è andato'.
Un bambino di 7 anni con la leucemia che deve andare a fare la chemio due volte a settimana.
A vederlo scritto pare assurdo pure a me, una di quelle brutte sceneggiature per una fiction rai in prima serata ma il fatto era che stava succedendo di fronte ai nostri occhi e non so come io sia riuscito a non prendere una delle mie asce appese al muro per andare schiantarlo in due come un ceppo marcio.
Lei, però, non si scompone più di tanto e ci dice 'Adesso vado. Ci penso io' con un tono che nascondeva stanchezza e abitudine... ma forse anche qualcos'altro di nuovo.
Vent'anni anni e ci pensava lei, quando noi - cinquantenni - eravamo solo riusciti a dire delle belle parole, tutto sommato inutili.
Prende ed esce, con noi che le andiamo dietro urlandole di chiamare subito i carabinieri e cercando di andare assieme ma lei sembra essere molto decisa, finché le luci posteriori della sua macchina non scompaiono nella notte.
Minuti, decine di minuti e poi ore ad aspettare notizie, senza conoscere il suo indirizzo e senza sapere dove mandare qualcuno a controllare.
Poi squilla il telefono. È lei. Ci racconta che quando è arrivata a casa ha subito controllato che non ci fosse la macchina del padre, è entrata e ha chiuso la porta da dentro lasciandoci le chiavi sopra. E quando il padre, ore dopo, ha provato a entrare e, non riuscendoci, ha cominciato a dare in escandescenze, ha chiamato i carabinieri dicendo loro che aveva picchiato la madre e il fratello.
Carabinieri che, ovviamente, lo hanno beccato mentre prendeva a calci la porta di un appartamento con dentro una donna e un bambino sanguinanti per le botte ricevute.
Nonostante tutto, quella notte non siamo riusciti a dormire.
Il giorno dopo mi arriva un audio su whatsapp (le avevo dato il mio numero per emergenza) e per quanto forse avrei potuto postarvelo qua per farvelo ascoltare, preferisco trascrivervelo
'Ciao, sono E. Ti volevo dire che ieri sera siamo stati al pronto soccorso e io ho insisitito con i medici che facessero tutte le foto a mamma e L. e che poi chiamassero la polizia che c'è dentro. L. è stato coraggioso e ha raccontato tutto, poi anche mia mamma ha trovato il coraggio di parlare. Ora stiamo andando al centro antiviolenza di Parma così ci aiutano con gli avvocati e magari ci trovano anche un altro posto dove andare. Io vi volevo ringraziare perché per la prima volta in vita mia mi sono sentita in una famiglia vera che capiva il mio dolore e la mia paura e con voi ho trovato la forza di parlare. Grazie di essere così meravigliosi'
Io ogni tanto ascolto quell'audio e poi le telefono per sapere come va. Lo ascolto perché, vedete, non mi sembrava che avessimo fatto chissà che cosa ma il tono della sua voce diceva tutto il contrario.
E allora mi sono ricordato di quella vecchia storia del ragazzino con la gamba rotta al quale ho fatto compagnia mentre aspettavamo l'elisoccorso e di come i genitori, mesi dopo, mi hanno riconosciuto in mezzo alla folla e mi sono venuti ad abbracciare come se gliel'avessi riattaccata, quando io mi ero limitato solo a rassicurarlo in attesa dei soccorsi.
Però ero al posto giusto al momento giusto.
Quel posto e quel momento, però, che non sono e non accadono mai a caso alla persona che sa cosa sia la sofferenza.
Se questo mondo non vi ha reso cattivi - e se siete arrivati a leggere fin qua non solo non siete cattivi ma anzi molto pazienti - allora avrete capito che il posto giusto al momento giusto è quello in cui siete ora, nello stesso frammento di tempo in cui decidete di spostare gli occhi dal centro del vostro dolore personale alla consapevolezza di quello degli altri.
Come non mi stancherò mai di dire, una mano protesa salva tanto chi la stringe quanto chi la tende.
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(Foto: slipperyslipping)
Ora che cos'altro vuoi, da me? No, scordatelo: l'amore è una cosa troppo seria, per farlo con te. E comunque, amarsi deve essere un luogo calmo, pieno di gioia reciproca, perché io decida di affidare il mio cuore a qualcuno. Che ovviamente non puoi essere tu.
(Foto: Ellen von Unwerth)
Proprio tu ti proponi? Sheeesh... Non scherziamo. Rivestiti. No: non sono sorpreso. Si, si: sei sempre bellissima. Certo: tranquilla, sono sempre attratto, da te. No, non penso vi sia molto altro da dire. Tieni: asciuga le tue lacrime. Tirati dietro la porta, quando hai finito. Io vado a lavorare.
Aliantis
(Foto: jerusalem111)
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su questo social compaio e scompaio, non lo faccio apposta, sono talmente presa dalla vita, dalla mia testa e talmente persa e alla ricerca di me stessa che a volte mi estraneo.
nessuno mi obbliga ad usare questo social, eppure a volte sento il bisogno di tornarci.
penso mi piacerebbe parlare e raccontare di quello che accade nella mia vita, delle piccole vittorie e scoperte ma poi mi ricordo che questo blog è principalmente erotico e chi mi segue non è interessato alla mia gioia di aver cucinato o di esser uscita a passeggiare con il mio cane, se mai gli interessa del mio corpo o delle mie passioni sessuali… sapete una cosa? in questo periodo ho zero pulsione sessuale e forse per questo quando apro il mio blog e vedo le mie foto e reblog non mi sento a mio agio.
magari creo un blog parallelo, non so
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Io mi ricordo, quando t’ho vista la prima volta
Eri giovanissima, infagottata dentro una tuta da benzinaia, con dei guanti di pelle a dita scoperte e un cappellaccio di lana calato sulla fronte. Soffrivi il freddo, ma il tuo sorriso riscaldava tutto, nel raggio di due metri. Ero arrivato in paese da poco, per il mio nuovo lavoro nella vicina città e stavo ricreando la mia piccola rete di conoscenze e posti utili. Quella routine che man mano poi chiamiamo “casa” lontani da casa.
Ho preso a servirmi da te. Eri la tuttofare di quella piccola pompa di benzina, che gestivi assieme a tuo padre. Un uomo saggio e sereno, con cui parlavamo di calcio e imprecavamo contro il governo. Mettevo solo dieci euro di benzina, per passare di nuovo da te al più presto. L’avevi capito e mi sorridevi, complice. Noi uomini siamo furbi stupidi. Eri lusingata, da questo fatto.
E regolarmente ridendo mi chiedevi: “ma perché non metti trenta euro?" E io: “perché così la macchina è più leggera e consuma di meno: ma tu che lavori con le macchine, non guardi la formula uno?” così mi guadagnavo il ”ma vattene, va'!” quotidiano, detto con un sorriso che avrebbe fermato un esercito. Poi papà è morto e tu sei rimasta sola: facevi di tutto, con competenza, pazienza e stringendo i denti.
Olio, acqua, pressione, rabbocchi. Ma un sorriso l’avevi per tutti. E tutti t’adoravano. Il fruttivendolo lì vicino, vecchio amico di papà, uno che t’ha vista crescere, ogni mattina ti portava il caff��. Rigorosamente fatto nel suo retrobottega con la napoletana.
La panettiera, tua amica, solo di qualche anno più grande di te, alle dieci ti portava un bel trancio di pizza e t’aggiornava sui pettegolezzi. Servizio completo: due euro. Prezzo quasi simbolico. Tutto in pace, fino a quando le nuove norme, il piano regolatore e la sopraggiunta illegalità delle piccole pompe in città non t’hanno costretta a chiudere l’esercizio. Un lunedì sono venuto a far benzina e... semplicemente non c’eri più!
Ero sinceramente disperato e mi sarei preso a schiaffi, per non aver avuto mai il coraggio di chiederti di uscire con me. Mi mancavano da morire lo scambio di battute quotidiano, la barzelletta che ti raccontavo, che tu ascoltavi con gli occhi attentissimi e la tua esplosione di gioia finale genuina, la risata fragorosa e il solito congedo finale: “quanto sei scemo!” che per me equivaleva a una carezza sul cuore.
Quando ormai m’ero rassegnato, pur non smettendo di pensare a te ogni giorno, t’ho ritrovata per caso dal dentista: su una rivista di moda! Bella come il sole, agghindata solo con intimo e accessori. Eri tu! Eri proprio tu! Non ci potevo credere! Sono rimasto imbambolato a guardarti, a bocca aperta. Una vera dea. Senza troppe speranze, ho scritto un’e-mail alla redazione del giornale, vantando una parentela inesistente e chiedendo che in qualche modo te la girassero. Se non a te, almeno all’agenzia o al fotografo degli scatti, al produttore dell’intimo.
Era un vero e proprio biglietto della lotteria. Un messaggio in bottiglia. Poi dice che i miracoli non succedono: dopo una settimana circa m’hai scritto! Mi hai detto che eri contentissima di avermi ritrovato, che un po’ avevi addirittura nostalgia del vecchio lavoro, soprattutto per i contatti umani e che tenevi particolarmente a me. Perché anche se, da bravo tricheco imbranato, non t’avevo mai confessato il mio sincero interesse per te, tu l’avevi capito da subito e non aspettavi altro che ti invitassi. Mi sarei preso a schiaffi appena letta l’e-mail!
Non ho perso tempo: t’ho chiesto il numero di telefono, ci siamo sentiti e con piacere ho constatato che il tuo dialetto è bello vivo. Anzi: forse proprio per non rompere con le tue radici, con me usi più il dialetto che l’italiano! Mi hai parlato a lungo delle difficoltà economiche dopo la perdita dell’unica fonte di introito, della solitudine in casa, delle preghiere a Dio perché ti facesse trovare un lavoro, delle foto che già avevi inviato, nei mesi che precedevano la chiusura della pompa, a varie agenzie, su suggerimento e presentazione di una tua ex compagna di scuola, ora fotografa professionista.
Della fiducia incrollabile che da sempre hai in te stessa, del fatto che eri sicurissima che qualcuno t’avrebbe offerto un’occasione. Poi mi hai parlato della gioia nell’aver trovato questo lavoro, dove tutti ti vogliono bene, anche se parlare di denaro... è volgare e vivete in quattro in un miniappartamento che sembra un campo di battaglia! E per quanto mi riguarda... adesso eccomi qua: sono su un volo Palermo-Milano, con l’unico obiettivo di aspettarti puntuale stasera alle sette, sotto l’agenzia dove lavori, per portarti a cena e gustarmi le stupende fossette sulle guance, acchiappabaci che ti si formano quando ridi.
Per farti morire di risate allora ho preparato una ventina di barzellette e aneddoti locali vari. T’aggiornerò sui pettegolezzi del quartiere, farò per te le imitazioni dei soggetti che ben conosci in paese. E poi, se Dio m’aiuterà, voglio vedere e adorare finalmente il resto del tuo corpo stupendo. Il viso e il tuo carattere meraviglioso, solare, positivo e bello li conosco già molto bene: sono la cosa che amo di più, di te. M’hai catturato. Scema che non sei altro!
RDA
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questa mattina sono stata dalla parrucchiera, lo desideravo tantissimo di potermi fare questo regalino e sono felice del risultato, di fatti in quella foto non riuscivo a contenere il sorriso, mi piacciono davvero tanto. ho sperato con tutta me stessa che mia madre non mi rovinasse questa piccola gioia eppure ha deciso di togliermi anche il saluto proprio perché sono andata dalla parrucchiera, nonostante sapesse da giorni che sarei andata; è riuscita solo a chiedermi quanto ho speso e a guardarmi con quegli occhi pieni di disgusto, tanto da farmi chiudere in bagno e poi uscire con i cani solo per non starle vicino. ovviamente proprio oggi piove e si sono rovinati uscendo con le mie bimbe ma penso sia un po' la metafora di tutte le cose belle e rare della mia vita. è stato comunque bello prendermi un paio d'ore per me stessa.
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Ma non c'era un amante ricorrente nella tua vita?
Ricordo delle manette, o sbaglio?
Ah, sei bellissima ❤️
Grazie. Più che altro brava a fare le foto
Non sbagli cmq
C'è uno sbirro (finanza a dire il vero), uno operativo, quelli che vedete in tv che sequestrano droga e hanno i cappucci, gli infiltrati
È un figo, il mio sbirro
Però non ce l'ha tanto per
l'anal sex e io nn so proprio come faccia!!
Cioè, se chiedo, me lo butta eh! Però non è una priorità, mentre io vivrei soprattutto di quello,Cristo!
Mi spiace tirarlo in ballo, ma è l'opposto di Oreste, che invece non voleva scoparmi la fica!
Insomma, mai una gioia
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Per onorar di gioia questo lunghissimo ponte, la mia famiglia, scortata dall'entusiasmo di mio cognato archeologo, è partita giovedì al gran completo per andare a Roma. Senza di me, perché essendo schiavo di me stesso, m'impedisco le ferie anche quando vorrei. Tuttavia venero e bramo la solitudine, perciò, da bravo Kevin McCallister, me la godo come posso, quando posso. Quindi giovedì ne ho approfittato per regalarmi due volumi da tempo in lista, Rughe di Roca (una meravigliosa pugnalata al cuore) e Il Bestiario del Crepuscolo di Schmitt (sul visionario di Providence) e trovare un degno regalo per gli imminenti 40 anni di mia sorella, ovvero un'incantevole agata dal pizzo blu, concludendo poi la giornata con un bellissimo film ingiustamente trascurato, Cattiverie a domicilio, sui mostri generati dagli orrori del patriarcato. Un film superbo, retto da una sublime recitazione (Timothy Spall e Olivia Colman di un livello superiore), in grado di far ridere, riflettere e arrabbiare allo stesso istante.
Tutto sembrava filare liscio, dunque, giocavo ai fornelli, preparando gaudente il mio cavallo di battaglia (figli di Cthulhu al sugo), quando mi hanno inviato una foto sul gruppo famiglia. I miei, mia sorella e il piccolo Rocco abbracciati dinanzi al Colosseo. Mi s'è crepato il cuore, scrutavo il vuoto fra mio padre e mia sorella, pensandomi fra loro e scoprendo mia sorella figlia unica, come se per un istante non fossi mai esistito, quasi fossero stati sempre e soltanto loro. Avrebbero allora gli stessi occhi? Gli stessi sorrisi? Guarderebbero il mondo allo stesso modo? Ho dovuto dunque rimediare, rammentandogli invadente la mia presenza spirituale fra di loro. Che stupida paura quella di essere dimenticati.
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Le foto di Gioia (1987)
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Una mia amica ed il suo fidanzato sono andati a convivere, hanno finito di sistemare casa e una delle prime cose che hanno fatto è stata mandarmi le foto di com’era venuta e dirmi: appena possiamo vieni a cena da noi.
Non so, sono cavolate, ma a me riempie il cuore di gioia sapere che due miei amici hanno avuto il pensiero di condividere con me un traguardo per loro così importante.
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Verrà il momento
in cui, con gioia,
saluterai te stesso mentre arrivi
alla tua porta, nel tuo specchio,
e ognuno sorriderà al benvenuto dell’altro,
dicendo: siediti qui. Mangia.
Amerai di nuovo l’estraneo che era in te.
Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore
a se stesso, all’estraneo che ti ha amato
per tutta la vita, che hai ignorato
per un altro, che ti conosce a memoria.
Togli le lettere d’amore dallo scaffale dei libri,
le foto, gli appunti disperati,
sbuccia la tua immagine dallo specchio.
Siediti. Banchetta con la tua vita.
(Derek Walcott)
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