#La Iena
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Dylan Dog - La Iena (The Hyena), 1990 (1994).
No.42
Publisher: Sergio Bonelli Editore
Cover: Angelo Stano
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La Iena (1945)
Benvenuti o bentornati sul nostro blog. Nello scorso articolo abbiamo cambiato argomento e, dopo diverso tempo, siamo tornati a parlare di letteratura con un’opera fantasy italiana che mi ha stupito parecchio, Malena senza sonno di Daisy Franchetto. Malena ha avuto da poco un aborto spontaneo che l’ha portata a cadere in una profonda depressione e per questo si isola da tutto e da tutti. Poco…
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oggi è una giornata fortunata me lo sento
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Mi ti mostri appena sveglia. Sei ancora su una nuvola di pensieri irrisolti. Ma quanto sei bella! Per fortuna che il caffè te lo faccio sempre bello forte: ho bisogno che tu mi contrasti, che mi offra il tuo punto di vista. Ho bisogno della tua mente, oltre che di amarti la notte con foga. Ti desidero dal lunedì alla domenica. E via daccapo. Ma il venerdì sera ti voglio un po' di più. Ti pretendo nature: appena tornata dal lavoro, senza doccia e incazzata come una iena. So che ti sfogherai facendo l'amore con me. Non chiedo nulla di più di questo.
Aliantis
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Friday I'm in love (The Cure)
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I miei genitori dopo l’episodio di love bombing mi stanno facendo gaslighting e manipolazione emotiva nella vana speranza di farmi cambiare idea sul trasferimento a Torino perché odiano, ODIANO l’idea che non sia più qua in paese, mia mamma mi sta facendo il voto del silenzio e quando risponde è sempre arrabbiata come una iena presa male e antipatica talmente tanto che ogni volta si scherma davanti ai “ho mal di testa” “sto male non capisci” “non so quanto resisterò così” e mio padre dopo ponderata locuzione verbale mi spara la catch phrase “ma sei sicura di quel che stai facendo? Mi sembra tanto una cazzata senza senso” e sto andando in PIEMONTE, mi sembra di star vivendo in terza persona, i miei sono estremamente riluttanti ad aiutarmi economicamente per l’inizio e sono ancora più riluttanti ad appoggiarmi, probabilmente per i primi due mesi mi ghosteranno per tornare piangendo a chiedermi scusa, mi dispiace che la loro idea di genitorialità sia crescere i figli per fare in modo che diventino i tuoi badanti immolati per il senso di obbligo e dovere per gli aiuti economici che gli hai dato quando era un cazzo di ragazzin*/ragazz*, boh, non so come funziona ho 24 anni e ben lontana dall’idea di figliare ma secondo me il senso non è proprio quello…..
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Oggi ero nel mezzo di una conversazione, o meglio, in realtà ero totalmente nel mio mondo e non stavo ascoltando niente.
Poi ho attivato l'udito di comprensione.
-...e allora mettevo i semi di lino nell'acqua, li lasciavo una notte e poi li bevevo! Facevano proprio schifo.
-E perché li bevevi?
-Avevo letto che fanno crescere le tette...
Ora, tralasciando i rimedi della nonna che ogni tanto E mi tira fuori che vorrei abbracciarla e dirle "se non esistessi ti dovrebbero inventare", siamo andate a cercare se ci fosse qualche fondamento scientifico nella cosa.
Arrivo al punto che voglio raccontare perché sono incazzzata come una iena.
E. finisce su un sito sul quale il dottor dei miei coglioni Sir Raffaele Salvione ci illumina con la sua saggezza:
Io non so neanche cosa dire a quest'uomo. Scrivendo queste stronzate ha già fatto capire che tipo di uomo è.
Se possibile vorrei fargli sapere che onestamente spero che il mio biglietto da visita possa essere qualcosa di più di un paio di tette!
Quindi caro Dr. Raffaele Salvione
Le mando un vaffanculo da parte mia e del genere femminile intero,
Le auguro una pessima giornata,
Distinti saluti e blabla.
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L' arte d'insultare:
D’Annunzio su Marinetti
Cretino fosforescente.
Marinetti su D’Annunzio
Idiota con lampi di imbecillità.
Gore Vidal su Truman Capote
È in tutto è per tutto una casalinga del Kansas, pregiudizi compresi.
Truman Capote su Jack Kerouac
Quello non è scrivere, è battere a macchina.
Oscar Wilde su Alexander Pope
Ci sono due modi per disprezzare la poesia: uno è disprezzarla, l’altro è leggere Pope.
D.H. Lawrence su Herman Melville
Nessuno riesce a essere più buffonesco, sgraziato e sentenziosamente di cattivo gusto come Herman Melville, persino in un grande libro come Moby Dick… Uno sforzo immane. Ma c’è qualcosa di finto. Ed è Melville. Oh Dio, quando il solenne asino raglia, raglia raglia!
Charles Baudelaire su Voltaire
Mi sono annoiato in Francia – e la ragione principale è che tutti assomigliano a Voltaire… il re degli imbecilli, il principe dei superficiali, l’anti-artista, il portavoce delle portinaie, il padre Gigogne dei redattori del “Siècle”.
Vladimir Nabokov su Fëdor Dostoevskij
La mancanza di gusto di Dostoevskij, il suo monotono trattare di personaggi sofferenti di complessi pre-freudiani, il suo modo di sguazzare nelle tragiche sventure dell’umana dignità – tutto ciò è difficile da ammirare.
William Faulkner su Ernest Hemingway
Non risulta aver adoperato mai parola che costringesse il lettore a consultare il dizionario.
Ernest Hemingway su William Faulkner
Povero Faulkner. Davvero crede che i paroloni suscitino forti emozioni?
William Faulkner su Mark Twain
Uno scribacchino che in Europa non sarebbe stato considerato nemmeno di quart’ordine, e che ha agghindato qualche vecchio schema letterario di provato successo con la giusta dose di regionalismo per affascinare i superficiali e i pigri.
D.H. Lawrence su James Joyce
Dio mio, che minestrone è James Joyce! Nient’altro che avanzi, torsoli di citazioni bibliche, e tutto il resto cotto nel brodo di una deliberata, giornalistica lascivia.
Virginia Woolf su Aldous Huxley
Completamente rozzo, immaturo e oppositivo.
Friedrich Nietzsche su Dante Alighieri
Una iena che scriveva poesie sulle tombe.
Gustave Flaubert su George Sands
Una muccona piena di inchiostro.
Elizabeth Bishop su J.D. Salinger
L’ho odiato [Il giovane Holden]. Mi ci sono voluti giorni per leggerlo, una pagina alla volta, con cautela, imbarazzandomi per lui a ogni frase ridicola. Come hanno potuto permetterglielo?
Mark Twain su Jane Austen
Non ci guadagno nulla a stroncare libri, e non lo faccio a meno che non li odii. Spesso ho provato a scrivere di Jane Austen, ma i suoi libri mi fanno diventare matto a tal punto che non riesco a nascondere la mia furia al lettore; perciò devo fermarmi ogni volta che comincio. Tutte le volte che leggo Orgoglio e Pregiudizio mi viene voglia di disseppellirla e colpirla sul cranio con la sua stessa tibia.
Henry James su Edgar Allan Poe
Provare entusiasmo per Poe è segno di uno stadio di pensiero decisamente primitivo.
Gertrude Stein su Ezra Pound
Lui descrive villaggi. Sarebbe eccellente se tu fossi un villaggio, ma nel caso non lo fossi, allora non lo sarebbe.
Thomas Bailey Aldrich su Emily Dickinson
Una reclusa eccentrica, sognatrice, di un villaggio fuori mano del New England (o di qualunque altro posto del mondo) non può impunemente disprezzare le leggi della gravità e della grammatica. L'oblio è in attesa nelle immediate vicinanze.
Bernhard su Heidegger
Ridicolo filisteo nazista con calzoni alla zuava, ciarlatano, ruminante, imbecille delle Prealpi.
Giacomo Puccini su Richard Wagner
Non si può giudicare l'opera di Wagner dopo averla ascoltata una sola volta, e non ho nessuna intenzione di ascoltarla una seconda
Lord Byron su John Keats
Ecco qui la poesia di Keats piscia-a-letto, e tre romanzi da iddio sa chi… Non più Keats, vi supplico: scorticatelo vivo; se qualcuno fra voi non è disposto a farlo, lo dovrò fare io in persona: non c’è posto per quelle schifezze idiote nel genere umano.
Céline su Proust
Sì, sarà anche bravo ma vorrà ammettere che scrivere 300 pagine per dire che lo vuoi prendere nel culo sono un pochino troppe.
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È tempo di
tornare all’essenziale,
di decidere cosa tenere e cosa cambiare.
È tempo di
fare la differenza.
È tempo di
scegliere le “nostre persone”
e prendercene cura.
È tempo di
rispettare le lacrime e i dolori.
È tempo di
fare spazio ai nostri talenti,
seppelliti dalle paure.
È tempo di
realizzare ciò che ci rende felici,
e non quello che ci omologa agli altri.
È tempo di
respingere al mittente la rabbia.
È tempo di
capire che siamo tutti importanti
nella nostra unicità,
di opporre al “Tu non sei nessuno”,
il “tu sei qualcuno ”.
È tempo di
capire che chi è più fragile
va protetto,
che malato nonsignifica inutile.
È tempo di
capire che farsi valere ed umiliare
non sono la stessa cosa.
È tempo di
rispettare la nostra terra,
di coltivare il nostro giardino,
con una porta socchiusa verso il vicino.
È tempo di
indossare scarpe diverse dalle nostre,
di leggere in lingue
che non conosciamo,
di cogliere sfumature
che non abbiamo mai notato,
di ascoltare il suono del silenzio
e cullarci su note di isole lontane.
È tempo di
rialzarci e prendere per mano chi non ce la fa.
È tempo di
spargere il bello,
di diffondere la speranza,
di seminare umanità,
di ascoltare.
È tempo di
scegliere se usare la forza
per essere leone che difende
o iena che sbrana.
È tempo di
annullare le distanze,
di abbracciare con il pensiero.
È tempo di
dare alla vita il ritmo
del battito del cuore.
Barbara Hugonin
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Nuove conoscenze
comunque i medici devono avere una pazienza infinita. e qui parte lo story time: alle superiori ho fatto il tirocinio in ospedale, perché d’estate si potevano fare stage in giro per capire che università scegliere poi. durante quel tirocinio dovevo portare il camice, ma insomma si vedeva che ero una ragazzina e di certo non una dottoressa. fatto sta che un giorno una signora mi ferma sulle scale e mi chiede dove andare per raggiungere il reparto x. io la guardo e le dico che non lo so. questa ha iniziato ad incazzarsi come una iena e a dirmi cose tipo “ma come è possibile che lei non sappia dove è il reparto!!” alludendo al fatto che avessi il camice. io l’ho guardata malissimo e me ne sono andata, però cristo santo, probabilmente cercava la psichiatria
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CAPITOLO 2
“Pietro! Pietro! Affacciati!” Urlò la prima voce.
“E muoviti! Sei diventato sordo?” Fece eco la seconda.
Cazzo, no che non ero sordo! Ci sentivo benissimo, l’inconveniente era che avevo solo dodici anni. E a quell’età non puoi fare come ti pare, specialmente se è domenica e sei a pranzo con la tua famiglia. Tutta la tua famiglia, tuo padre compreso, che, gli altri giorni della settimana, è sempre via per lavoro: camionista per una ditta di travi e tavolati in castagno. Lavoro di merda, secondo i miei pochi anni, ma pur sempre un lavoro.
Sentivo le spine sotto al culo, ma guai a sollevare le chiappe senza permesso, così continuavo a fissare il minestrone, che tra le altre cose mi faceva pure schifo, e a giocherellare con il cucchiaio fingendo indifferenza.
“Pietro! E forza! Sei sempre l’ultimo!” Insistettero dal vicolo.
Mio padre sbuffò un paio di volte, mollò le posate, distolse lo sguardo dal telegiornale e mi allungò uno scappellotto.
“Ahio! Cosa ho fatto ora?” Protestai.
Mi fissò con i suoi occhi chiarissimi e l’aria burbera di sempre, poi ordinò: “Su, affacciati e senti cosa vogliono quei piccoli rompicoglioni dei tuoi amici; ché così non mi fanno capire una sega! Già non lo sopporto quello del telegiornale, se non mi fanno neanche capire quello che dice, me lo spieghi tu cosa cazzo lo guardo a fare?”
Controllò il suo orologio e aggiunse: “Ma è appena l’una e quaranta! Come li fanno mangiare ‘sti bambini quelle scansafatiche delle loro madri? Li imboccano con la fionda? Su sbrigati Pietro, che sento che stanno iniziando a girarmi.”
“Tanto a te girano sempre!” Pensai mentre mi precipitai sul balcone.
“Era ora Pietro! Ma che te stai a magna'?” Dissero in coro Tonino e Sergio non appena mi videro.
“Veramente ho iniziato adesso! Ma che volete a quest’ora? E’ troppo presto, i miei si incaz… si arrabbiano se rompete all’ora di pranzo.” Risposi.
Fortunatamente avevo fatto marcia indietro in tempo. O almeno così speravo. Mia madre diventava una iena quando mi scappava qualche parolaccia. Diceva che, per quel genere di vocabolario, bastava e avanzava mio padre. E non è che avesse tutti i torti.
“Ma che ti sei rincoglionito? La proposta l’hai fatta tu ieri sera ed oggi già non te la ricordi più?” Mi ammonì incredulo Tonino.
“Allora davvero sei rincoglionito!” Aggiunse Sergio, che, dei due, era quello che andava sempre a rimorchio.
Finalmente lo sguardo mi cadde sulle biciclette appoggiate al muro scrostato della casa di fronte e la nebbia nella mia mente si diradò all’istante.
“Cazz…volo! Il fiume! Dobbiamo andare al fiume a fare il bagno! Me l’ero proprio scordato! Che testa di legno che sono!” Dissi
“Di legno è dir poco! Di cazzo è più esatto!” Disse Tonino ridendo e facendo ridere anche Sergio.
“Aspettatemi lì, finisco in fretta di mangiare e scendo. Non vi muovete!” Dissi ancora.
“Sbrigati però, che gli altri sono già sotto porta che ci aspettano. Avevamo detto alle due precise!” Insistette Tonino.
“E allora? Non sono ancora le due, stronzi!” Stavolta mi era scappata sul serio e sperare che sarebbe passata inosservata era un’illusione che neanche io potevo concedermi.
“Pietro! Vieni subito dentro!” Fu l’ordine militaresco di mia madre. Come volevasi dimostrare.
Rientrai immediatamente in cucina e la trovai già in posa per la predica. Si era tolta il tovagliolo da sopra le ginocchia, si era alzata in piedi, aveva divaricato leggermente le gambe, ma, quel che è peggio, aveva appoggiato il dorso delle mani sui fianchi, che era davvero peggissimo. Tutte e due le mani, la posizione della brocca, praticamente tuoni e fulmini in arrivo. Fosse stata una sola mano, la posizione a tazzina, come l’avevamo battezzata noi ragazzini, te la potevi anche cavare a buon mercato, ma con la brocca eri finito. Avrei volentieri pensato: “Erano cazzi!” Ma in quel frangente avevo persino paura a pensarle, le parolacce; non tanto per la sgridata, o gli scappellotti, che avrei potuto prendere e che avrei sicuramente preso; quanto per la paura che mi avrebbero potuto vietare di uscire. Quella si sarebbe stata una catastrofe planetaria.
“Allora, signorino? Quante volte ti ho ripetuto che non voglio che tu dica le parolacce?”
“Scusa mamma, mi è scappata!” Risposi col tono più innocente che riuscii a trovare.
Non vidi partire la mano, ma l’impatto con la mia testa lo sentii; eccome se lo sentii.
“Ahio!” Urlai tra il sorpreso, l’arrabbiato e il piagnucoloso. Poi guardai mio padre di traverso.
Lui raccolse il tovagliolo con la mano assassina, si pulì i folti baffi castani, mi fissò e disse: “Scusa, mi è scappato. Non volevo. Magari se ci avessi pensato prima, sarei anche riuscito a non dartelo; ma purtroppo è così che va il mondo e io non posso farci un cazzo di niente!”
Da una parte mia madre, ovvero la teoria, dall’altra mio padre, senza ombra di dubbio la pratica. Insieme formavano una morsa d’acciaio che mi avrebbe stritolato senza scampo. Potevo dire addio agli amici, al fiume, al bagno e a chissà quanti altri divertimenti.
Ma non andò così. Una via di fuga esisteva, ridotta al lumicino, ma esisteva ed io la imboccai di filata, incurante dei tremendi pericoli ai quali sicuramente andavo incontro. Non fu una scelta consapevole, proprio no, fui costretto ad imboccarla dalla rabbia e dal desiderio di vendetta per essere stato colpito, a mio avviso, ingiustamente e a tradimento.
“Allora perché lui le dice in continuazione?” Urlai verso mia madre, ma rivolgendomi più che altro a mio padre. Gli occhi mi si affollarono di lacrime, ma le trattenni stoicamente. Ero schifosamente orgoglioso, fin da piccolo. Era un colpo basso, lo ammetto, avventato e alla cieca, l’ultimo colpo, di quelli che come va, va; quello della disperazione, che ti può regalare il KO, ma che, più spesso, fa finire te al tappeto e trionfare l’avversario.
“Cosa, cosa?” Ringhiò basso mio padre.
“Le parolacce ecco cosa! Perché tu puoi dirne quante ne vuoi, ma se ne scappa una a me sono guai? Penso che se una cosa è sbagliata, è sbagliata per tutti!” Dissi, sempre con le lacrime in bilico e sforzandomi di non abbassare lo sguardo. Un rischio della Madonna!
Fu ancora svelto come un gatto, mi afferrò per la maglietta e mi trascinò a pochi centimetri da lui, facendomi rovesciare la sedia dove prima ero seduto. Ma come aveva fatto? Era grosso come un armadio e con la pancia di chi non sa mai dire di no ad una bella bevuta; ma quando si muoveva era Flash Gordon in persona. Certo che da grande avrei voluto essere come lui! Nessuno mai si sarebbe azzardato a prendermi in giro!
“Ascolta bene, stronzetto,” Mi disse inondandomi col suo alito di vino. Di vino: staccato,”L’unica persona che poteva dirmi ciò che dovevo, o non dovevo fare, era mio padre ed ora sta sotto un paio di metri di terra. Pace all’anima sua.”
Devo dire che il sospetto che lo avesse ammazzato lui mi attraversò la mente, ma mica potevo dirlo.
“Adesso ho quarantacinque anni,” Proseguì,” e nessuno, dico: nessuno, può permettersi di darmi degli ordini.”
“Io non…” Tentai di giustificarmi.
E giù un altro scappellotto, stavolta un po’ più sonoro, visto che mi rimbombarono i pensieri. Il vecchio ora era incazzato sul serio. Ora non potevo fare passi falsi. Dovevo stare attento a giocare bene le mie carte. Soprattutto dovevo uscire il più in fretta possibile da quella spiacevole situazione. Fortunatamente ed inaspettatamente mia madre arrivò in mio soccorso. Cuore di mamma non tradisce mai.
“Dai Alfredo, lascialo stare. Basta con gli schiaffi!” Disse con tono pacato ma perentorio.
“Cosa fai ora, Maria? Prendi le sue difese? Io intervengo a darti manforte e tu mi vieni contro? E’ ora che qualcuno insegni davvero l’educazione a questo moccioso sfrontato e se non vuole capire con le buone, peggio per lui! Io sono cresciuto a pane e scapaccioni tuttavia non mi sono mai sognato di rispondere a mio padre; anche perché mi avrebbe scorticato vivo!”
“Ma io non ti ho risposto male! Ho solo dett…”
Fu il terzo scappellotto della giornata a troncare il discorso e a sbaragliare la mia timida difesa.
“E basta Alfredo! Piantala di alzare sempre quelle tue manacce! Poi non picchiarlo sulla testa che è pericoloso!” Lo ammonì di nuovo mia madre.
“Così impara a parlare soltanto quando è interrogato! In quanto agli schiaffoni invece, di cosa hai paura? Per il tuo marmocchio la testa non è un organo vitale, visto che è vuota. O forse temi che il rimbombo possa causargli danno all’udito?” Concluse ridendo di gusto.
Cosa volete farci, mio padre era fatto in questa maniera: se la suonava e se la cantava. Faceva le battute e rideva da solo. Era capace di passare dall’incazzatura più nera all’ilarità più sfrenata, e viceversa, in un battibaleno. Difatti mi strizzò l’occhio, mi scompigliò i capelli neri e arruffati e disse:”Dai, finisci la minestra, mangia la carne e fila via. I tuoi amici saranno già in pensiero.”
“E no, cari miei!” Intervenne mia madre sempre mantenendo la posizione; ma ebbi l’impressione che la “brocca” in questa circostanza, fosse tutta per mio padre: “Con te facciamo i conti dopo,” Disse rivolta al vecchio, “In quanto a te signorino: ora finisci di pranzare, poi te la fili dritto, dritto in camera tua. Uscirai domani. Sempre che tu sia capace di non dire ancora parolacce.” E questo era per me.
“Ma dai, Maria! Tre sberle, per oggi, vanno più che bene come punizione. Domani, se si azzarderà ancora ad essere maleducato, lo portiamo al fiume e ce lo affoghiamo! Così ci togliamo il pensiero!” Detto ciò si batté forte sulle gambe e rise a crepapelle.
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hair coloring applied and now just waiting the 25 minutes before we rinse and I am once again La Iena in toto
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È tempo di
tornare all'essenziale,
di decidere cosa tenere e cosa cambiare.
È tempo di
fare la differenza.
È tempo di
scegliere le “nostre persone”
e prendercene cura.
È tempo di
rispettare le lacrime e i dolori.
È tempo di
fare spazio ai nostri talenti,
seppelliti dalle paure.
È tempo di
realizzare ciò che ci rende felici,
e non quello che ci omologa agli altri.
È tempo di
respingere al mittente la rabbia.
È tempo di
capire che siamo tutti importanti
nella nostra unicità,
di opporre al “Tu non sei nessuno”,
il “tu sei qualcuno ”.
È tempo di
capire che chi è più fragile
va protetto,
che malato non significa inutile.
È tempo di
capire che farsi valere ed umiliare
non sono la stessa cosa.
È tempo di
rispettare la nostra terra,
di coltivare il nostro giardino,
con una porta socchiusa verso il vicino...
...È tempo di
spargere il bello,
di diffondere la speranza,
di seminare umanità,
di ascoltare.
È tempo di
scegliere se usare la forza
per essere leone che difende
o iena che sbrana.
È tempo di
annullare le distanze,
di abbracciare con il pensiero.
È tempo di
dare alla vita il ritmo
del battito del cuore.
Barbara Hugonin 🖋
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Ciao Iena.
Ieri sera apro il pc, così tanto per fare un giro qua e su FB, magari ascoltarmi un pò di musica sul tubo, giusto per conciliare il sonno e scopro su FB attraverso un post, di una tizia che conosco, che un amico di vecchissima data è morto 😢. Sono restato di stucco senza barbatrucco, negli ultimi 10 anni ne ho salutati diversi, persone con cui abbiamo condiviso anni di concerti come spettatori e alcuni sul palco, persone piene di passione per la musica, come Massimo, noi degli anni 80 lo chiamavamo Iena Plinsky perché aveva quel sorrisino modi ghigno quando faceva le battute e quando lo chiamavo Iena spesso mi rispondeva "Chiamami Plinsky", come nel film. Era un patito dei Doors, tanto da comprarsi la chitarra come Krieger. Chissà se adesso sta parlando con Jim, ciao Iena.
youtube
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Insegna a tuo figlio ad esser un uomo forte.
Un vero duro che non abbia paura di affrontare le responsabilità.
Tanto duro da metter chi è più debole sotto la sua ala.
Forte, da saper digerire un rifiuto.
Da ricever un no e accettarlo come tale.
La vera forza è di chi non ha paura.
Non ha paura di mostrarsi gentile.
Non ha paura di far del bene al prossimo.
Non ha paura di combatter per cause che l'animo gli dice giuste. Di riuscire a vincere battaglie senza averle dovute combattere.
Ecco cosa devi insegnare a tuo figlio.
Non è forte chi vigliaccamente si approfitta dei più deboli.
Non è forte chi pretende un rispetto che non è capace a dare.
Non è duro chi fa scempio del corpo e dell'anima d'una donna.
Il vero duro è colui c'hè capace d'impedirlo anche contro tanti.
Ricordagli che anche la iena si fa forte con il leone, ma solo se spalleggiata da altre iene.
Se ogni figlio imparasse che il rispetto e la bontà d'animo sono imprescindibili, questo diventerebbe un bel mondo dove vivere.
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