#L'istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico
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gregor-samsung · 10 months ago
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" Nel 1925, un manifesto di artisti francesi che si firmavano la « revolution surrealiste », indirizzato ai direttori dei manicomi, cosi concludeva: « Domattina, all’ora della visita, quando senza alcun lessico tenterete di comunicare con questi uomini, possiate voi ricordare e riconoscere che nei loro confronti avete una sola superiorità: la forza ». Quarant’anni dopo - legati come gran parte dei paesi europei, ad una legge antica ancora incerta fra l’assistenza e la sicurezza, la pietà e la paura - la situazione non è di molto mutata: limiti forzati, burocrazia, autoritarismo regolano la vita degli internati per i quali già Pinel aveva clamorosamente reclamato il diritto alla libertà… Lo psichiatra sembra, infatti, riscoprire solo oggi che il primo passo verso la cura del malato è il ritorno alla libertà di cui finora egli stesso lo aveva privato. La necessità di un regime, di un sistema nella complessa organizzazione dello spazio chiuso nel quale il malato mentale è stato isolato per secoli, richiedeva al medico il solo ruolo di sorvegliante, di tutore interno, di moderatore degli eccessi cui la malattia poteva portare: il valore del sistema superava quello dell’oggetto delle sue cure. Ma oggi lo psichiatra si rende conto che i primi passi verso la « apertura » del manicomio producono nel malato una graduale trasformazione del suo porsi, del suo rapporto con la malattia e col mondo, della sua prospettiva delle cose, ristretta e rimpicciolita, non solo dalla condizione morbosa, ma dalla lunga ospedalizzazione. Dal momento in cui oltrepassa il muro dell’internamento, il malato entra in una nuova dimensione di vuoto emozionale… viene immesso, cioè, in uno spazio che, originariamente nato per renderlo inoffensivo ed insieme curarlo, appare in pratica come un luogo paradossalmente costruito per il completo annientamento della sua individualità, come luogo della sua totale oggettivazione… "
Franco Basaglia, Le istituzioni della violenza, in:
AA. VV., L'istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico, (a cura di Franco Basaglia; collana Nuovo Politecnico, n° 19), Giulio Einaudi editore, 1974⁷ [1ª edizione 1968]; il brano citato si trova alle pp. 129-130 (corsivi dell’autore).
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palindromi · 4 years ago
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«La distruzione dell’ospedale psichiatrico è un lavoro politico, perché la psichiatria tradizionale, dissolvendosi, ha lasciato psichiatri e pazienti direttamente a confronto con i problemi della violenza societaria: tuttavia non ha le caratteristiche tipiche di un lavoro rivoluzionario.
Ciò spiega alcuni dei limiti della presa di coscienza dei degenti. Per questi ultimi, è comprensibile che i valori di guarigione continuino a essere considerati più facilmente secondo le definizioni conformistiche della società esterna, cioè in funzione di un tentativo di integrazione, anziché secondo i valori assai più difficili da elaborare (e più ardui da sostenere anche sul piano dello sforzo psicologico) di una contestazione all’assetto societario.
Anche per l’équipe curante, nella misura in cui essa non è in grado di forgiare un nuovo tipo di coscienza antipsichiatrica, è evidente il rischio di continuare ad agire esclusivamente nell’ambito delle contraddizioni del suo vecchio mandato.
Il discorso sembrerebbe chiudersi con una constatazione di impotenza. Tuttavia, nel momento in cui sono stati affermati con sufficiente chiarezza i limiti pratici di una azione antistituzionale a partenza dagli Ospedali Psichiatrici, è anche necessario proporre un nuovo rovesciamento, e riconoscere che è possibile negare ancora una volta la specificità della psichiatria.
Per il degente, questo rovesciamento è embrionalmente possibile nella misura in cui la pratica antistituzionale contiene già in sé il rifiuto del principio di autorità; per l’équipe curante, l’esperimento ha un senso quando registri non più soltanto l’incongruenza della psichiatria, ma la formulazione di un protesta dotata di un significato e di una portata più generali.
[…]
Gli Ospedali Psichiatrici possono insegnarci molte cose su di una società dove l’oppresso viene sempre più allontanato dalla percezione delle cause e dei meccanismi dell’oppressione. Nel momento in cui la critica politica comincia a far leva anche sulla potenzialità eversiva di tutti coloro che sono stati dichiarati “fuori dal gioco”, il velleitarismo della antipsichiatria si propone di indicare, in un esperimento e in una teorizzazione decisamente anticipatori, alcune delle vie possibili per una società totalmente diversa.»
Giovanni Jervis, “Crisi della psichiatria e contraddizioni istituzionali”, in Franco Basaglia (a cura di), L'istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico, Baldini&Castoldi.
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gregor-samsung · 5 years ago
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Famiglia, scuola, fabbrica, università, ospedale, sono istituzioni basate sulla netta divisione dei ruoli: la divisione del lavoro (servo e signore, maestro e scolaro, datore di lavoro e lavoratore, medico e malato, organizzatore e organizzato). Ciò significa che quello che caratterizza le istituzioni è la netta divisione fra chi ha il potere e chi non ne ha. Dal che si può ancora dedurre che la suddivisione dei ruoli è il "rapporto di sopraffazione e di violenza fra potere e non potere, che si tramuta nell’esclusione da parte del potere, del non potere": la violenza e l’esclusione sono alla base di ogni rapporto che si instauri nella nostra società. I gradi in cui questa violenza viene gestita sono, tuttavia, diversi a seconda del bisogno che chi detiene il potere ha di velarla e di mascherarla. Di qui nascono le diverse istituzioni che vanno da quella familiare, scolastica, a quelle carcerarie e manicomiali; la violenza e l’esclusione vengono a giustificarsi sul piano della necessità, come conseguenza le prime della finalità educativa, le altre della «colpa» e della «malattia». Queste istituzioni possono essere definite come le "istituzioni della violenza". Questa la storia recente (in parte attuale) di una società organizzata sulla netta divisione fra chi ha (chi possiede in senso reale, concreto) e chi non ha; da cui deriva la mistificata suddivisione fra il buono e il cattivo, il sano e il malato, il rispettabile e il non rispettabile. Le posizioni sono - in questa dimensione - ancora chiare e precise: l’autorità paterna è oppressiva e arbitraria; la scuola si fonda sul ricatto e sulla minaccia; il datore di lavoro sfrutta il lavoratore; il manicomio distrugge il malato mentale. Tuttavia, la società cosiddetta del benessere e dell’abbondanza ha ora scoperto di non poter esporre apertamente il suo volto della violenza, per non creare nel suo seno contraddizioni troppo evidenti che tornerebbero a suo danno, ed ha trovato un nuovo sistema: quello di allargare l’appalto del potere ai tecnici che lo gestiranno in suo nome e continueranno a creare - attraverso forme diverse di violenza: la violenza tecnica - nuovi esclusi. Il compito di queste figure intermedie sarà quindi quello di mistificare - attraverso il tecnicismo - la violenza, senza tuttavia modificarne la natura; facendo sì che l’oggetto di violenza si adatti alla violenza di cui è oggetto, senza mai arrivare a prenderne coscienza e poter diventare, a sua volta, soggetto di violenza reale contro ciò che lo violenta. Il compito dei nuovi appaltatori sarà quello di allargare le frontiere della esclusione, scoprendo, tecnicamente, nuove forme di deviazione, fino ad oggi considerate nella norma.
Franco Basaglia, Le istituzioni della violenza, in:
AA. VV., L'istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico, (a cura di Franco Basaglia; collana Nuovo Politecnico, n.19), Giulio Einaudi editore, 1974⁷ [1ª ed.ne 1968]; il brano citato si trova alle pp.115-16.
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gregor-samsung · 6 years ago
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A ben esaminarla, la malattia - come condizione comune - viene ad assumere un significato ‘concretamente’ diverso, a seconda del livello sociale di chi è malato. Ciò non significa che la malattia non esiste, ma si puntualizza un fatto reale di cui si deve tener conto, qualora ci si metta in contatto con il malato mentale dei ricoveri psichiatrici: le 'conseguenze’ della malattia mentale sono diverse, a seconda del diverso tipo di approccio che con essa si instaura. Queste «conseguenze» (e mi riferisco al livello di distruzione e di istituzionalizzazione del ricoverato nei manicomi provinciali) non possono essere ritenute come la diretta evoluzione della malattia, quanto del tipo di rapporto che lo psichiatra, e quindi la società che egli rappresenta, instaura con lui:   1) Il rapporto di tipo "aristocratico" dove il paziente ha un potere contrattuale da opporre al potere tecnico del medico. In questo caso esso si mantiene su un piano di reciprocità al solo livello dei ruoli, dato che si attua fra il 'ruolo' del medico (alimentato dal mito del proprio potere tecnico) e il 'ruolo sociale' del malato che viene ad agire come l'unica garanzia di controllo sull’atto terapeutico di cui è oggetto. Nella misura in cui il malato cosiddetto 'libero' fantasmatizza il medico come il depositario di un potere tecnico, gioca contemporaneamente il ruolo di depositario di un altro tipo di potere: quello economico, che il medico fantasmatizza in lui. Benché si tratti di un incontro di 'poteri' più che di uomini, il malato non soggiace passivamente al potere del medico, almeno finché il suo valore sociale corrisponde ad un valore economico effettivo, perché - una volta che questo venga esaurito - il potere contrattuale scompare, ed il paziente si troverà ad iniziare la reale «carriera del malato mentale» nel luogo in cui la sua figura sociale non avrà più peso né valore. 2) Il rapporto di tipo "mutualistico", dove si assiste ad una riduzione del potere tecnico e ad un aumento di potere arbitrario, di fronte ad un «mutuato» che non sempre ha la coscienza della propria forza. Qui la reciprocità del rapporto è già sfumata, per ripresentarsi - reale - nei casi in cui vi sia una presa di coscienza da parte del paziente della propria posizione sociale e dei propri diritti, di fronte ad una istituzione che dovrebbe essere creata per tutelarli. Quindi la reciprocità esiste, in questo caso, soltanto in presenza di un notevole grado di maturità e di coscienza di classe da parte del paziente; mentre il medico conserva spesso la possibilità di determinare, come meglio gli aggrada, il rapporto, riservandosi di rientrare nel terreno del 'potere tecnico' nel momento in cui gli venga contestata la sua azione arbitraria. 3) Il rapporto "istituzionale" nel quale aumenta vertiginosamente il potere puro del medico (non è più neppure necessario che sia 'potere tecnico'), proprio perché diminuisce vertiginosamente quello del malato che, per il fatto stesso di essere ricoverato in un ospedale psichiatrico, diventa - automaticamente - un cittadino senza diritti, affidato all’arbitrio del medico e degli infermieri, che possono far di lui ciò che vogliono, senza possibilità di appello. Nella dimensione istituzionale, la reciprocità non esiste, né la sua assenza viene in qualche modo mascherata. È qui che si vede - senza veli e senza ipocrisie - ciò che la scienza psichiatrica, come espressione della società che la delega, ha voluto fare del malato mentale. Ed è qui che si evidenzia come non sia tanto in gioco la malattia, quanto la mancanza di valore contrattuale di un malato, che non ha altra alternativa per opporsi che il comportamento abnorme.   Questo abbozzo di analisi dei modi diversi di affrontare e di vivere la malattia mentale, di cui per ora non conosciamo che 'questa' faccia in 'questo' contesto, evidenzia che il problema non è quello della malattia in sé (che cosa sia, quale la causa, quale la prognosi), ma soltanto di 'quale tipo sia il rapporto che viene ad instaurarsi con il malato'. La malattia, come entità morbosa, gioca un ruolo puramente accessorio dato che, pur essendo essa il denominatore comune di tutte e tre le situazioni suggerite, nell’ultimo caso sempre (spesso nel secondo), assume un significato stigmatizzante che conferma la perdita del valore sociale dell’individuo, già implicita nel modo in cui la sua malattia era stata precedentemente vissuta.
Franco Basaglia, Le istituzioni della violenza, in:
AA. VV., L'istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico, (a cura di Franco Basaglia; collana Nuovo Politecnico, n.19), Giulio Einaudi editore, 1974⁷ [1ª ed.ne 1968]; il brano citato si trova alle pp.120-22.
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