Tumgik
#Il cotone
marcogiovenale · 1 year
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libri di mg alla biblioteca villino corsini (roma, monteverde/gianicolense)
https://www.bibliotechediroma.it/opac/query/marco%20giovenale?bib=RMBR3&context=catalogo Le schede di Shelter e di Maniera nera contengono inoltre delle inattese note di lettura
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jaibaisetamere · 3 months
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sewing vocab list | français - english
verbes
coudre - to sew
couper - to cut
enfiler - to thread
froncer - to gather
installer - to install
marquer - to mark
ourler; faire un ourlet - to hem
repasser - to iron
s'effilocher - to fray
épingler - to pin
adjectives
cousu main - hand-stitched
tissé - woven
noms (fem/masc)
la laine - wool
la manche/la manchette - cuff
une aiguille - needle
une machine à coudre
une paillette - sequin
une pince - dart
une ruche - ruffle
une épingle - pin
le coton - cotton
le tissu - fabric
le tricot - knit fabric
le tulle - tulle
un bouton - button
un fil - thread
un mannequin - mannequin
un modèle - pattern
un mètre ruban - measuring tape
un vêtement - garment
si quelqu'un a les autres mots pour recommender ou des corrections, mets-ils en les comments/tags ou dm moi ^.^
(aussi si vous avez quelques autres thèmes pour une liste, je vais essayer les faire :3)
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teenagedirtstache · 7 months
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Cotone oleato per il giaccone militare e il gilet impermeabile con ganci e zip; round-neck bianco naturale, camicia di cotone, pantaloni di panno, cravatta tricot. Tutto Ermenegildo Zegna
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susieporta · 8 months
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[Lei s’innamorò come s’ innamorano sempre le donne intelligenti:
come un’ idiota]
La zia Daniela s’innamorò come s’innamorano sempre le donne intelligenti: come un’idiota. Lo aveva visto arrivare un mattino, le spalle erette e il passo sereno, e aveva pensato: «Quest’uomo si crede Dio». Ma dopo averlo sentito raccontare storie di mondi lontani e di passioni sconosciute, si innamorò di lui e delle sue braccia come se non parlasse latino sin da bambina, non avesse studiato logica e non avesse sorpreso mezza città imitando i giochi poetici di Góngora e di suor Juana Inés de la Cruz come chi risponde ad una filastrocca durante la ricreazione. Era tanto colta che nessun uomo voleva mettersi con lei, per quanto avesse occhi di miele e labbra di rugiada, per quanto il suo corpo solleticasse l’immaginazione risvegliando il desiderio di vederlo nudo, per quanto fosse bella come la Madonna del Rosario. Gli uomini avevano paura di amarla, perché c’era qualcosa nella sua intelligenza che suggeriva sempre un disprezzo per il sesso opposto e le sue ricchezze.
Ma quell’uomo che nulla sapeva di lei e dei suoi libri le si accostò come a chiunque altra. Allora la zia Daniela lo dotò di un’intelligenza abbagliante, una virtù angelica e un talento d’artista. Il suo cervello lo guardò in tanti modi che in capo a dodici giorni credette di conoscere cento uomini.
Lo amò convinta che Dio possa aggirarsi tra i mortali, abbandonata con tutta se stessa ai desideri e alle stramberie di un uomo che non aveva mai avuto intenzione di rimanere e non aveva mai capito neppure uno di tutti i poemi che Daniela aveva voluto leggergli per spiegare il suo amore.
Un giorno così com’era venuto, se ne andò senza neppure salutare. Non ci fu allora in tutta l’intelligenza della zia Daniela una sola scintilla in grado di spiegarle ciò che era successo.
Ipnotizzata da un dolore senza nome né destino, diventò la più stupide delle stupide. Perderlo fu un dolore lungo come l’insonnia, una vecchiaia di secoli, l’inferno.
Per pochi giorni di luce, per un indizio, per gli occhi d’acciaio e di supplica che le aveva prestato una notte, la zia Daniela sotterrò la voglia di vivere e cominciò a perdere lo splendore della pelle, la forza delle gambe, l’intensità della fronte e delle viscere.
Nel giro di tre mesi divenne quasi cieca, le crebbe una gobba sulla schiena e dovette succedere qualcosa anche al suo termostato interno, perché, nonostante indossasse anche in pieno sole calze e cappotto, batteva i denti dal freddo come se vivesse al centro stesso dell’inverno. La portavano fuori a prendere aria come un canarino. Le mettevano accanto frutta e biscotti da becchettare, ma sua madre si portava via il piatto intatto mentre Daniela rimaneva muta, nonostante gli sforzi che tutti facevano per distrarla.
All’inizio la invitavano in strada, per vedere se, guardando i colombi e osservando la gente che andava e veniva, qualcosa in lei cominciasse a dare segni di attaccamento alla vita. Provarono di tutto. Sua madre se la portò in Spagna e le fece girare tutti i locali sivigliani di flamenco senza ottenere da lei nulla più di una lacrima, una sera in cui il cantante era allegro. La mattina seguente inviò un telegramma a suo marito:«Comincia a migliorare, ha pianto un secondo». Era diventata come un arbusto secco, andava dove la portavano e appena poteva si lasciava cadere sul letto come se avesse lavorato ventiquattr’ore di seguito in una piantagione di cotone. Alla fine non ebbe più forze che per gettarsi su una sedia a dire a sua madre:«Ti prego, andiamocene a casa».
Quando tornarono, la zia Daniela camminava a stento, e da allora non volle più alzarsi dal letto. Non voleva neppure lavarsi, né pettinarsi, né fare pipì. Un mattino non riuscì neppure ad aprire gli occhi.
«E’ morta!», sentì esclamare intorno a sé, e non trovò la forza di negarlo.
Qualcuno suggerì a sua madre che un tale comportamento fosse un ricatto, un modo di vendicarsi degli altri, una posa da bambina viziata che, se di colpo avesse perso la tranquillità di una casa sua e la pappa pronta, si sarebbe data da fare per guarire da un giorno all’altro. Sua madre fece lo sforzo di crederci e seguì il consiglio di abbandonarla sul portone della cattedrale. La lasciarono lì una notte con la speranza di vederla tornare, affamata e furiosa, com’era stata un tempo. La terza notte la raccolsero dal portone e la portarono in ospedale tra le lacrime di tutta la famiglia.
All’ospedale andò a farle visita la sua amica Elidé, una giovane dalla pelle luminosa che parlava senza posa e che sosteneva di saper curare il mal d’amore. Chiese che le permettessero di prendersi cura dell’anima e dello stomaco di quella naufraga. Era una creatura allegra e attiva. Ascoltarono il suo parere. Secondo lei, l’errore nella cura della sua intelligente amica consisteva nel consiglio di dimenticare. Dimenticare era una cosa impossibile. Quel che bisognava fare era imbrigliare i suoi ricordi perché non la uccidessero, perché la obbligassero a continuare a vivere.
I genitori ascoltarono la ragazza con la stessa indifferenza che ormai suscitava in loro qualsiasi tentativo di curare la figlia. Davano per scontato che non sarebbe servito a nulla, ma autorizzarono il tentativo come se non avessero ancora perso la speranza, che ormai avevano perso.
Le misero a dormire nella stessa stanza. Passando davanti a quella porta, in qualsiasi momento, si udiva l’infaticabile voce di Elidé parlare dell’argomento con la stessa ostinazione con la quale un medico veglia un moribondo. Non stava zitta un minuto. Non le dava tregua. Un giorno dopo l’altro, una settimana dopo l’altra.
«Come hai detto che erano le sue mani?», chiedeva.
Se la zia Daniela non rispondeva, Elidé l’attaccava su un altro fronte.
«Aveva gli occhi verdi? Castani? Grandi?».
«Piccoli», rispose la zia Daniela, aprendo bocca per la prima volta dopo un mese.
«Piccoli e torbidi?», domandò Elidé.
«Piccoli e fieri», rispose la zia Daniela, e ricadde nel suo mutismo per un altro mese.
«Era sicuramente del Leone. Sono così, i Leoni», diceva la sua amica tirando fuori un libro sui segni zodiacali. Le leggeva tutte le nefandezze che un Leone può commettere. «E poi sono bugiardi. Ma tu non devi lasciarti andare, sei un Toro: sono forti le donne del Toro».
«Di bugie sì che ne ha dette», le rispose Daniela una sera.
«Quali? Non te ne scordare! Perché il mondo non è tanto grande da non incontrarlo mai più, e allora gli ricorderai le sue parole: una per una, quelle che ti ha detto e quelle che ha fatto dire a te».
«Non voglio umiliarmi».
«Sarai tu a umiliare lui. Sarebbe troppo facile, seminare parole e poi filarsela».
«Le sue parole mi hanno illuminata!», lo difese la zia Daniela.
«Si vede, come ti hanno illuminata!», diceva la sua amica, arrivate a questo punto.
Dopo tre mesi ininterrotti di parole la fece mangiare come Dio comanda. Non si rese neppure conto di come fosse successo. L’aveva portata a fare una passeggiata in giardino. Teneva sottobraccio una cesta con frutta, pane, burro, formaggio e tè. Stese una tovaglia sull’erba, tirò fuori la roba e continuò a parlare mettendosi a mangiare senza offrirle nulla.
«Gli piaceva l’uva», disse l’ammalata.
«Capisco che ti manchi».
«Sì» disse la zia Daniela, portandosi alla bocca un grappolo d’uva. «Baciava divinamente. E aveva la pelle morbida, sulla schiena e sulla pancia».
«E com’era… sai di che cosa parlo», disse l’amica, come se avesse sempre saputo che cosa la torturava.
«Non te lo dico», rispose Daniela ridendo per la prima volta dopo mesi. Mangiò poi pane e burro, formaggio e tè.
«Bello?», chiese Elidé.
«Sì», rispose l’ammalata, ricominciando a essere se stessa.
Una sera scesero a cena. La zia Daniela indossava un vestito nuovo e aveva i capelli lucidi e puliti, finalmente liberi dalla treccia polverosa che non si era pettinata per tanto tempo.
Venti giorni più tardi, le due ragazze avevano ripassato tutti i ricordi da cima a fondo, fino a renderli banali. Tutto ciò che la zia Daniela aveva cercato di dimenticare, sforzandosi di non pensarci, a furia di ripeterlo divenne per lei indegno di ricordo. Castigò il suo buon senso sentendosi raccontare una dopo l’altra le centoventimila sciocchezze che l’avevano resa felice e disgraziata.
«Ormai non desidero più neppure vendicarmi», disse un mattino a Elidé. «Sono stufa marcia di questa storia».
«Come? Non mi ridiventare intelligente, adesso», disse Elidé. «Questa è sempre stata una questione di ragione offuscata: non vorrai trasformarla in qualcosa di lucido? Non sprecarla, ci manca la parte migliore: dobbiamo ancora andare a cercare quell’uomo in Europa e in Africa, in Sudamerica e in India, dobbiamo trovarlo e fare un baccano tale da giustificare i nostri viaggi. Dobbiamo ancora visitare la Galleria Pitti, vedere Firenze, innamorarci a Venezia, gettare una moneta nella Fontana di Trevi. Non vogliamo inseguire quell’uomo che ti ha fatto innamorare come un’imbecille e poi se n’è andato?».
Avevamo progettato di girare il mondo in cerca del colpevole, e questa storia che la vendetta non fosse più imprescindibile nella cura della sua amica era stata un brutto colpo per Elidé. Dovevano perdersi per l’India e il Marocco, la Bolivia e il Congo, Vienna e soprattutto l’Italia. Non aveva mai pensato di trasformarla in un essere razionale dopo averla vista paralizzata e quasi pazza quattro mesi prima.
«Dobbiamo andare a cercarlo. Non mi diventare intelligente prima del tempo», le diceva.
«E’ arrivato ieri», le rispose la zia Daniela un giorno.
«Come lo sai?»
«L’ho visto. Ha bussato al mio balcone come una volta».
«E che cosa hai provato?»
«Niente».
«E che cosa ti ha detto?»
«Tutto».
«E che cosa gli hai risposto?»
«Ho chiuso la finestra».
«E adesso?», domandò la terapista.
«Gli assenti si sbagliano sempre».
Ángeles Mastretta
[racconto tratto dal libro “Donne dagli occhi grandi”]
*traduzione di Gina Maneri
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waltergoldpreppy · 3 days
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Good Golden morning for Anthony
The next morning, at exactly 7am, Anthony is woken from his sleep by a notification on his phone. A message from Waltergold containing a video. Still half asleep, he unlocks his phone and opens the video. The screen flickers with a strange mix of white and Gold lights, hypnotic. The soundtrack, a low, repetitive melody, fills his ears as he instinctively puts on his headphones.
He hesitates for a moment. He knows the video is an hour long, but he can't help but stare at the screen, fascinated by the Golden sparkles dancing before him. "It's just a video," he tells himself. Yet something about the flicker captivates him more than he would like. Gradually, his eyelids become heavy, and his mind blurs, as if he's dissolving into the Golden flow.
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Lorsqu’il cligne enfin des yeux, une heure s’est écoulée sans qu’il ne s’en aperçoive. Il regarde l’horloge de son téléphone, incrédule. Il est 8h15. « Merde, je suis en retard ! » Son cœur s’emballe. Il sursaute, se précipite vers la salle de bain. Sous la douche, une pensée étrange lui traverse l’esprit. Il se souvient d’un détail presque oublié ; lors de son entretien d’embauche, son patron avait évoqué un code vestimentaire au travail. À l’époque, Anthony n’y avait pas prêté attention, préférant ses vêtements décontractés. Mais aujourd’hui, pour une raison qu’il n’arrive pas à expliquer, cette règle lui paraît soudain indispensable.
En sortant de la douche, ses mains s'attardent plus longtemps que d'habitude sur son visage, son menton, ses cheveux. Il se sent étrangement préoccupé par son apparence. Il ouvre son placard et, au lieu de prendre sa tenue décontractée habituelle, il se retrouve à chercher des vêtements plus formels. Son esprit est embrumé, mais une certitude émerge : il doit se conformer. C'est comme si une voix intérieure lui disait que suivre les règles est la seule option.
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Il sort une chemise en coton blanc immaculé. La matière est douce, presque soyeuse sous ses doigts. Il la fait glisser sur son torse, ajustant chaque bouton avec une précision méticuleuse. Puis, il attrape un pantalon gris anthracite, en laine légère. Il ne se souvient même plus pourquoi il a ce pantalon, mais il le trouve parfait aujourd'hui. Enfilant de fines chaussettes noires et des chaussures de ville en cuir noir brillant, il est surpris par la sensation du cuir sur sa peau, raide et structurée, à l'opposé du confort de ses baskets habituelles.
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Devant le miroir, il hésite avant d’ajouter une cravate bleu marine, à peine texturée. Il l’enroule autour de son cou, serrant le nœud avec une précision surprenante pour quelqu’un qui en a à peine porté une. La soie de la cravate glisse doucement entre ses doigts, et il ajuste le nœud jusqu’à ce qu’il soit parfaitement centré et serré. Un dernier détail saute aux yeux : ses cheveux. Il ramasse un pot de gel qui traînait dans son tiroir, se demandant brièvement pourquoi il fait ça, puis l’applique généreusement, en peignant ses cheveux sur le côté avec une raie parfaitement visible. Le gel brille à la lumière, fixant ses cheveux impeccablement. En voyant son reflet, il se sent à la fois étrangement satisfait et troublé. Pourquoi cette obsession soudaine ?
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As he leaves for the office, a feeling of absolute control washes over him. The tight, well-fitting clothes reinforce a sense of discipline he has never felt before. The wool of the pants gently rubs against his legs with each step, the collar of his shirt is slightly tight around his neck, and the knot of his tie exerts a constant, almost reassuring pressure.
At the office, reactions are quick to come. As soon as he walks through the door, his colleagues look up, surprised. This sudden change in style does not go unnoticed.
“Wow, Anthony, this is the first time I’ve seen you dressed so smartly!” exclaims one of his colleagues.
“Do you have an interview with the bosses or something?” jokes another.
Anthony sketches an awkward smile, his cheeks slightly red, not really knowing what to say. He shrugs, mumbling something unintelligible about a “change of mood”. But that’s not the real reason. He knows it. There’s this inner voice, this impulse that pushed him to put on these formal clothes. He has a hard time understanding it, but it’s there, still echoing in his head.
Throughout the day, he receives compliments on his appearance. He finds himself enjoying the admiring glances. Yet, every chance he gets near a mirror, he can’t help but check his hair, running his hand through the gel to make sure his parting is still well defined. His tie knot becomes a silent obsession, which he adjusts constantly, even when no one is looking.
Despite the remarks and questions, Anthony easily focuses on his work. His thoughts also often drift to that morning video, to that strange feeling of obedience that now seems anchored in him. A part of him still resists, trying to understand what is happening, but another part, deeper, feels good in this new version of himself, more disciplined, more compliant.
The day finally ends. Anthony quickly greets his colleagues, escaping their curious glances, and goes home. He breathes a sigh of relief as he closes the door to his apartment behind him, but even at home, he cannot get rid of this strange feeling of discomfort and satisfaction mixed together.
(End of Part 3)
(Part 2)
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libero-de-mente · 13 days
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LA LEGGENDA DELL'ANANAS NEL CARRELLO
Sabato pigro, sabato fresco in questa metà di settembre, con le temperature velocemente precipitate. Ma è anche sabato di spesa questo.
Entro al supermercato con il carrello, il primo reparto che trovo è quello della frutta. Distrattamente prendo un ananas, attratto da quel colore giallo e verde acceso, che mi ricordano i colori della bandiera brasiliana.
Non appena l'ananas è nel carrello, mi sento osservato. Mi giro, incrocio lo sguardo di una donna dall'aria vivace con un carrello colmo di prodotti biologici.
<Forse>, penso tra me e me, <approva la mia scelta di aver preso un ananas fresco e non di quelli inscatolati e già affettati.>
Mi fermo a osservare una piantina di basilico, lei mi si avvicina: "Hai il pollice verde?"
"Scusa?", le chiedo stranito, incredulo che mi rivolga la parola.
"Chiedevo se hai il pollice verde, vedendoti interessato al basilico", mi risponde.
"Mah, ci stavo pensando ma poi ho valutato che vivrebbe di più senza di me ed è meglio lasciarla qui al supermercato", le ho risposto con aria rassegnata.
Così dovrebbe bastarle. Dovrebbe capire che se faccio morire le piante di basilico figuriamoci i frutti dell'amore. Appassirebbero subito.
"Piacere, mi chiamo Monica", decisa con la mano allungata verso di me.
"Eh... piacere, Ri-Rino", le rispondo preso in contropiede.
"Ririno? Che nome strano."
"Mi hanno chiamato così perché non capivo mai niente, dovevano ripetermi le cose due volte da piccolo."
Lei ride. Ha capito la mia battuta, che non era una battuta, ma una vergognosa menzogna per mascherare il fatto di aver balbettato, davanti a lei, il mio nome.
Sorrido e riparto con il carrello, mi sento in imbarazzo, percepisco dal rumore che resta nei miei paraggi con il suo carrello.
Prendo una busta d'insalata e la butto distrattamente nel mio carrello.
"Quindi cerchi una relazione veloce e leggera", mi chiede incuriosita.
"Scusami ma non ti ho compreso."
"Allora", con un sorriso che stenderebbe chiunque, "se vicino all ananas metti l'insalata vuol dire che cerchi una relazione basata sul solo sess0, nulla di più."
"Ah... e se ci fosse della cioccolata?"
"Vuol dire che si cerca un'esperienza dolce e romantica."
"E se ci mettessi della conserva di frutta?", le chiedo incuriosito.
"In questo caso sei alla ricerca di una relazione dolce e duratura."
"Caramelle?"
"Passionale e sempre dolce."
A questo punto dal mio cervello sbuca un ricordo, quello della leggenda dell'ananas nel carrello. Nei supermercati era il modo di segnalare la propria disponibilità a conoscerci. Prima dei vari Tinder, Badoo e Meetic c'erano ananas e altri frutti.
Cazz0. Non me l'ero ricordato, a saperlo ci avrei messo subito dei limoni nel mio carrello, per segnalare una vita aspra. O dei kiwi, per indicare quanto ne avessi pieni gli 'zebedei'.
Deciso do una spinta al carrello, ora non so cosa metterci dentro. Ho paura a guardare la lista. Metti che ci fossero scritte 'zucchine', come interpreterebbe la cosa?
Entro nel reparto delle celle frigorifere, quelle aperte, dove in piena estate trovi quel refrigerio che ti riporta alle fresche serate d'ottobre.
Sento il suo carrello dietro al mio, dal fiato sul collo al carrello al culo è un attimo. Mi giro, lei sorride. Faccio la mossa di indossare la felpa in cotone che avevo appoggiato sull'impugnatura del carrello.
"Sai com'è", le dico mentre la indosso, "ho una certa età:"
Questo dovrebbe essere un chiaro segno della mia anzianità latente.
Velocemente mi fiondo nel reparto dolci, rimango in quella corsia fissando gli scaffali. Credo di aver avuto un'espressione abbastanza preoccupata.
"Tutto bene?", sento di nuovo lei prontamente a chiedermelo.
"Ehm, diciamo di si."
"Stai guardando gli ovetti al cioccolato, ti piacciono?"
"Si, il problema è quando arriverò alla cassa, mi creano più ansia gli ovetti al cioccolato che dei preservativi."
Ride, "Ma dai e perché?"
"Ti sembro uno che ha l'età per comprarsi degli ovetti al cioccolato? Mia cara... cara... scusami, già non mi ricordo il nome."
A quel punto mi mostra il cartellino di riconoscimento, appeso al suo collo, che le era andato sotto la sua felpa, "Ce l'ho scritto qui: Monica. Se vuoi tra poco vado in cassa, appena ho finito di rimuovere alcuni prodotti in scadenza dagli scaffali, così con me non dovrai andare in ansia."
"Ah, ma tu lavori qui!", ma dai ma che scoperta, ma cosa mi credevo? Illuso.
"Si, sei un nuovo cliente da noi?"
"Come fai a saperlo? Generalmente vado da un'altra parte."
"Si impara velocemente a riconoscere la gente che frequenta il supermercato dove si lavora. Chi sono, la frequenza e le assenze."
"Cosa intendi?"
"Intendo dire che lavorando in questo tipo di attività impari a capire il passare del tempo, della vita. Le persone anziane, per esempio, le noti perché ti fanno tante domande. Credo che a volte lo facciano perché sole, per parlare con qualcuno. Quando non le vedi per un po’ di tempo cominci a preoccuparti. Se non le vedi più capisci che potrebbero essere finite in un ospizio. O peggio morte. I bambini invece li noti perché corrono tra le corsie, li trovi spesso in quelle dei dolci o dove ci sono i giocattoli. Quando non li vedi più correre per le corsie vuol dire che sono diventati adolescenti, hanno la loro vita con gli amici. Non vengono più con i genitori a fare la spesa."
Rimango allibito e le chiedo, "E chi sta nel mezzo?"
"Quelli stanno nel mezzo, della vita, vanno e vengono come le offerte promozionali, spesso anche loro sono scontati", gli occhi di Monica sono lucidi, sembrano contenere il firmamento intero.
"Comunque", le rispondo per cercare di farla sorridere, "Non si è mai troppo vecchi e né troppo giovani, per lanciare prodotti a caso nel carrello di sconosciuti al supermercato mentre non guardano. Quando sarai in cassa e vedrai gente rinnegare quello che hanno nel carrello, ecco in quel momento pensa a me. Anche se non sono in offerta."
Non ho fallito, quel sorriso me lo porterò con me fino a che non mi addormenterò. Questa notte.
Oggi un ananas mi ha dato modo d'imparare, di conoscere. La frutta fa davvero bene. Anche se i nostri problemi sono iniziati da una cacchio di mela.
P.s. per questo racconto nessuna addetta alle vendite/cassiera è stata maltrattata
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angelap3 · 1 month
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"Che buon profumo, vita mia! ".
"Che profumata, amore mio! ".
Eravamo novelli sposi.
Erano frasi di rigor.
Dopo il bagno lui puzzava di Yardley o che ne so io
mentre io mi profumavo
con profumi Christian Dior.
Ma oggi... Che differenza!
Lui odora di unguenti e io
alla Pomada della campana
che mi metto all'ingrosso.
Come sono cambiati i tempi
di quando mi ha conosciuto!
I vecchi tempi erano
sopra il cassettiere
una rosa, il suo ritratto,
un profumo e un orologio.
Adesso? Un flacone di aspirina;
l'unguento di rigor;
alcune bende; i miei occhiali;
pillole di canfora;
la siringa, la fiala,
cotone e alcool.
E nel suo, ammucchiati,
affinché stiano meglio,
un bicchiere per i suoi "denti";
il flacone dell'attrito;
un libro aperto; i suoi occhiali;
sciroppo per la tosse;
e acqua e aspirina
nel caso ci venisse un dolore...
Tuttavia: non ci manca
"Via col vento".
Ricordiamo ciò che eravamo
e viviamo il nostro oggi.
Al mattino, senza fretta,
sempre la stessa canzone:
"Come hai dormito, tesoro? ".
"Un dolore mi ha svegliato"...
"Come ti senti, tesoro? ".
"Oggi sento forte il dolore".
E di notte, forse
ricordando qualcosa di meglio,
odorando di salicilato,
pomate e iniezione,
Ripetiamo il solito,
la stessa cosa di ieri e oggi:
"Dormi bene vita mia".
"Dormi bene amore mio"...
Preghiamo un Padre Nostro e ringraziamo Dio.
La vita è bella, a qualsiasi età..
(Web)
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Nouveau projet cousette terminé ! 🪡💞
Trousse matelassée d'après un modèle publié par le blog Sewing Times.
Extérieur : gabardine kaki matelassée à la machine, ornée d'un petit motif au point de croix réalisé il y a des années et précieusement conservé depuis...
Doublure : coton imprimé et biais posé à la main (je trouve les finitions bien plus jolies quand je couds mes biais à petits points de surjet).
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th3lost4uthor · 5 months
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Les nouvelles expériences d’une vie sans fin (9.2/15)
La grande salle était baignée par le soleil de midi, l’aura dorée contrastant à merveille avec le vert des plantes alentours, les spores de coton voletant dans l’air ne faisant qu’ajouter à la féérie de la scène... Un décor aux antipodes de l’humeur de ses occupants.
          Maître Joris avait fait convoquer une assemblée extraordinaire dès que le Tofu messager s’était posé à la volière. La missive était relativement longue, fourmillant de détails que seuls des administratifs pouvaient trouver attrayants, mais l’on pouvait aisément la résumer en quelques mots. Des mots terribles…
« Bien, je vous remercie d’être venu aussi vite. Comme vous le savez très certainement, des nouvelles de Bonta nous sont parvenues il y a moins d’une heure… » Commença l’émissaire, l’air indéchiffrable tant sa capuche voilait son regard. « Et… Je suis au regret de vous... de vous annoncer que-
- Non ! »
          Adamaï s’était relevé de sa chaise pour frapper la table. Au coin des écailles bleutées, des larmes avaient commencé à se former.
« Ce n’est pas possible ! I-il doit y avoir une erreur, jamais il- !
- Ad’… » Son frère avait posé sa main sur la sienne. « S’il te plait… »
          Les yeux encore emplis d’une rage aveugle, le dragonnet se laissa choir à nouveau, laissant Yugo masser ses phalanges dans l’espoir d’en desserrer la terrible étreinte. Les autres membres de la Confrérie et de la famille Royale compatirent, chacun à leur manière, à la souffrance des deux plus jeunes qui venaient à nouveau de perdre quelqu’un de cher. De l’autre côté de la salle, là où Ruel l’avait fait s’asseoir après une marche éprouvante depuis le laboratoire, Qilby observait les jumeaux. D’après leur réaction, leur Wakfu ne semblait pas les avoir alerté de « la rupture »… Ou du moins, pas de manière aussi brutale qu’il avait pu en faire l’expérience. Tant mieux. Non pas qu’apprendre le décès d’un proche par la bouche d’un autre ne soit plus aisé, bien sûr que non, mais si cela avait au moins pu leur éviter la… la douleur… alors ce n’était pas plus mal. Soudain, son cadet croisa son regard, le forçant à se recentrer sur Maître Joris. Celui-ci reprit :
« Je… Je suis désolé pour votre perte. Je sais bien que cela ne représente que peu de chose en une période si… difficile, mais sachez que Bonta vous sera toujours reconnaissante. » Relevant la tête. « Et que je vous le serai également.
- Humpf ! A-au moins… ! » Tenta le dragonnet, désormais seul représentant de son espèce sur ce plan d’existence. « A-au moins d-dites nous qu’il est parvenu à… ! 
- O-oui ! » Renchérit Tristepin, qui s’était rapproché de son camarade d’entraînement, tout aussi ému. « Il l’a e-eu, ce Népharien, pas vrai ? Il a dû livrer la plus b-belle des batailles ! 
- Pinpin… » Murmura Évangéline. « Je ne sais pas si c’est le bon moment pour…
- Maître Joris ? »
          Tous se retournèrent à la question de la Princesse Amalia. L’intéressé ne répondit pas. Le scientifique commençait à goûter le fer : ses dents avaient entamé la chair tendre de ses lèvres.
L’antidote que vous étiez en train de concevoir…
Je suis un scientifique !
Même pas certain qu’il soit efficace…
Il y a toujours des chances que- !
« J-je ne peux rien affirmer avec certitude. Aucun… Aucun cadavre n’a été retrouvé aux côtés de… » Soupir. « … de Sir Phaéris. »
          Devant le silence, l’émissaire déplia le parchemin qu’il tenait, serti d’un sceau de cire frappé de l’emblème du chêne.
« �� l’aube, la patrouille Bronze, en charge d’inspecter les prairies de Montay, a découvert le… Sir Phaéris, sévèrement blessé et… inconscient. Une fiole ouverte mais également brisée se trouvait à ses côtés. Des traces d’une lutte bestiale ont pu être relevée. De son acheminement par les équipes de secours à sa prise en charge par les Éniripsas disponibles, Sir Phaéris n’a pas regagné conscience. Les blessures physiques étaient larges, multiples et profondes, notamment une au niveau du torse et deux sur le flanc gauche… Des signes et symptômes d’une forte fièvre ont commencé à faire leur apparition une heure après son arrivée au poste frontière. Malgré toutes les tentatives du personnel présent ce jour, la… la « disparition » du sujet en un flux de Wakfu a été constaté peu de temps après… »
          Le vieil Éliatrope ferma les yeux, la simple luminosité ambiante, pourtant filtrée par les lianes tombantes servant de rideaux, lui donnait la nausée. Toutefois, quelque chose en son for intérieur le dérangeait : un détail du discours qui… ne collait pas. Un sentiment horrible qui lui irritait la peau. Un souvenir. Il lui fallait juste un peu de temps pour…
« Tout ça c’est de ta faute !! »
          Adamaï en avait décidé autrement. Sans avoir la chance de voir l’attaque arriver, le scientifique se retrouva projeté au sol. Il parvint à réprimer de justesse le juron provoqué par son propre côté endommagé, qui n’avait que peu apprécié le contact brutal avec le plancher, mais était désormais bien en peine de retenir la furie du dragonnet dans son état. Son unique bras valide tentait en vain de protéger son visage des assauts répétés de griffes.
« C’est toi qui a planifié tout ça, hein ?! L’antidote n’a pas fonctionné : tu l’as fait exprès !!
- A-Adamaï ! J-je te jure que- !
- Tais-toi ! Tu mens !! Tu n’as jamais cessé de mentir !
- Ad’ ! » Essaya à nouveau son frère qui le maintenait à présent. « Arrête ! Ç-ça n’arrangera rien !
- Il a raison, bonhomme. » C’était le mineur, qui aidait le savant à se redresser. « O-on va en discuter, d’accord ?
- Tout le monde ici sait que tu détestais Phaéris ! » Continuait-il d’asséner. « Ça serait vraiment si étonnant que tu aies voulu en profiter pour… ! Pour l’éliminer ?! »
          Ce furent les mots de trop.
« Suffit ! » Hurla soudain le scientifique, provoquant la stupeur générale. « Tu ne sais absolument rien de ce dont tu parles ! Comment oses-tu m’accuser de… ?! Après tout ce que j’ai fait pour vous !?
- Ce n’est pas comme si cela serait la première récidive. » Contra le Prince Armand.
« Et qu’est-ce que j’aurai à y gagner, hein ?! Phaéris et moi portons pas mal de différents, mais ce n’est pas comme si cela ne faisait pas déjà des millénaires que je les supportais ! Tout ça pour quoi, je vous prie… ? Risquer de retourner dans cet… cet enfer ?! »
Plutôt crever !
« Ouais, enfin… ça n’explique pas pourquoi la potion n’a pas fait effet. Ni pourquoi vous avez envoûté Évangéline en la forçant à venir vous voir tous les soirs… »
          L’attention se reporta sur le guerrier roux, alors resté en retrait du tumulte.
- Pa… Pardon ? » Interrogea le Prince, une once de violence dans la voix.
« Pinpin ! Je t’ai déjà dit que- !
- Oui, oui, je sais. » Balaya l’autre. « Mais rien ne prouve que tu n’es pas sous l’emprise d’un maléfice ou je ne sais quoi, et que tout ça ne sont que des excuses. Tu ne peux pas dire que tout ça n’est pas louche ! Pourquoi tu voudrais parler à ce… à ce… !
- Ce traître ! » Conclut Adamaï.
          La douce chaleur de la matinée avait été remplacée par un froid glacial. Dans son dos, Qilby sentait l’Énutrof osciller d’une jambe sur l’autre, visiblement indécis de ses prochaines actions. Un regard jeté vers l’archère lui confirma qu’il ne pourrait pas non plus compter sur le soutien de sa confidente : celle-ci était trop occupée à vouloir rassurer son futur époux de sa bonne foi… Chose qui semblait peine perdue d’après sa moue déterminée. Ne restait plus alors que…
« Yugo… ? »
          L’intéressé leva la tête. Qilby n’était pas, ou plus assez optimiste pour croire que son frère lui avait déjà pardonné tous ses méfaits : il avait beau être jeune, il n’en demeurait pas moins doté d’une certaine intelligence… ainsi que d’une rancune tenace.
          Cependant… Le script avait changé, non ? Combien de fois n’avaient-ils pas joué une scène différente de celles que sa mémoire lui avait fournies ? Combien de fois avait-il deviné le remord, la gêne, la compassion même, derrière ces grands iris noisette ? Voilà bien longtemps qu’ils n’avaient pas été aussi proches ; cela devait bien remonter à l’Odyssée ! Sûrement il-
« Eh bien… Je ne suis pas sûr… »
          Il fallait s’y attendre. Mais tout de même…
          Le Roi Sadida s’avança, écartant les querelleurs sur son passage, le regard soucieux. La « Grand Salade » n’était pas d’humeur à plaisanter dans les situations où son peuple était à risque.
« N’y aurait-il pas moyen de démêler cette histoire alors ? Bien que cette solution ne me plaise guère nous pouvons, si besoin est, perquisitionner la chambre de notre invité… »
          De la sueur froide commença à se former le long de l’échine du scientifique.
Tesla !
          Finalement, même s’il ne s’agissait pas de l’objet de leurs accusations, les autres n’avaient pas totalement tors non plus : il avait bien des choses à se reprocher ! Pourquoi avait-il fallu qu’il cherche à… ? Voulait-il toujours… ? Quoiqu’il en soit, si l’on découvrait quoique ce soit de compromettant, ne serait-ce qu’un misérable boulon au fond d’un placard, le moindre papier calciné au fond de sa corbeille, alors… !
« Si Sa Majesté me le permet… » Intervint subitement Maître Joris. « Il se peut que j’aie une meilleure solution à vous proposer. »
          D’une sacoche relativement imposante, l’émissaire sortit alors un bien curieux objet, comme nul autre en ce monde… Un prototype.
« Il se trouve que… Sir Phaéris et moi-même avons fait la connaissance d’un certain marchand lors de notre dernière expédition à la Foire de la Science. Ce-dernier nous a assuré que sa création permettait de « lire les souvenirs », d’où le nom de « Lectanima » qui lui a été donné. Nous n’avons jamais eu l’opportunité de le tester, et je pensais d’ailleurs l’envoyer bientôt chez un antiquaire de ma connaissance, mais… Le Seigneur Phaéris semblait persuadé que nous en aurons l’utilité un jour. » Le regard qu’il lança au scientifique était dénué de toute émotion. « Peut-être ce jour est-il arrivé…
- Et comment fonctionne-t-il ? » S’enquit le Roi, perplexe devant l’engin qui, à son goût, ressemblait un peu trop à un outil de torture.
« De ce que j’en ai compris… Comme un projecteur de souvenirs. Les lunettes à l’avant sont empreintes de magie Xélor :  elles permettraient de récupérer les images enfouies dans la mémoire des sujets.
- M-mais c’est sans danger ? » S’enquit la Princesse, également perturbée par l’appareil de cuir et de métal.
« Ça ne devrait pas l’être… » Répondit l’émissaire. « Pas d’après ce que nous en a dit son concepteur en tous cas… »
          La coiffe crème se retrouva centre de tous les regards. On attendait visiblement son aval, ou, a minima, sa pensée sur la chose. À partir du moment où le sujet acceptait de se soumettre à l’expérience, alors la responsabilité de cette dernière n’était plus du ressort du scientifique, n’est-ce pas ? Ou de celle du tortionnaire dans ce cas… Mais avait-il encore le choix ? Refuser serait perçu comme un signe de faiblesse… Une preuve supplémentaire. Un aveu. Et qui sait, peut-être pourrait-il garder un minimum de contrôle sur ce qui serait diffusé : l’objet pouvait peut-être lire dans les souvenirs, mais il en demeurait l’écrivain et donc le maître. C’était tricher, oui, mais toujours mieux que de laisser le doute planer.
Tout ça doit avoir un sens.
Je...
Je ne repartirai pas là-bas.
« Soit… Finissons-en. »
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               Les Lectanima étaient bien plus impressionnantes à observer qu’horribles à porter. Certes, le cerclage métallique aurait mérité quelques ajustements pour ne pas vous écraser les tempes et la sangle de cuir ne conviendrait pas aux plus larges têtes, mais la morphologie du scientifique lui permettait de s’y accommoder sans trop de mal. On aurait presque pu dire qu’elles avaient été conçues sur mesure… La pensée lui provoqua un soubresaut involontaire, arrachant par mégarde une mèche de cheveux prise entre deux boucles d’acier.
« Ne bougez pas autant je vous prie : le manuel stipule clairement que l’appareil doit être correctement fixer pour éviter toute-
- Comme si cela était de ma faute si son inventeur n’a pas été capable de prévoir que la plupart de sa clientèle n’était pas chauve ! » Préféra rétorquer l’Éliatrope.
          Cette remarque fit néanmoins s’arrêter Maître Joris un instant, celui-ci contemplant un peu trop longuement la tignasse brune qui venait une fois de plus de s’emmêler. À ses côtés, se trouvait toujours une paire de ciseaux à peine dégrossie ayant servi à débarrasser les différentes pièces de leur emballage. Qilby déglutit.
« V-vous n’oseriez pas... »
          Heureusement pour lui, l’archère Crâ, restée jusqu’alors en retrait avec le reste de la troupe pour installer la petite salle dans laquelle ils avaient décidé de s’installer, prit les devant. D’une de ses nombreuses poches, elle sortit un fin bandeau noir, un de ceux qu’elle utilisait elle-même pour attacher ses propres mèches blondes par le passé. L’émissaire la remercia sobrement avant d’aller superviser le reste des opérations.
          Dès son départ, Évangéline s’affaira à cette nouvelle tâche, prenant, pour les plus attentifs, grand soin de ne pas arracher davantage le scalp du scientifique. Profitant de l’agitation ambiante comme de leur mise à l’écart temporaire, elle se pencha à son oreille pour lui murmurer quelques mots. Sa voix trahissait une certaine inquiétude :
« Comment… Comment vous sentez-vous… ?
- À votre avis ? » Soupira-t-il.
« Écoutez, je ne sais pas ce que cette… machine du diable peut réellement faire, mais j’ai appris à me méfier des inventions Xélor comme de la peste. »
          Qilby émit un discret grognement affirmatif à cela. Il savait ce que son frère, Adamaï et leurs amis avaient dû affronter lors de leur rencontre avec Nox, le « Xélor Fou ». Plus qu’une bande de joyeux lurons, cette quête et ces batailles avaient demandé de véritables aventuriers…
« Pensez-vous qu’il… que Yugo pourra voir… ?
- Je ne l’espère pas. » Répondit-il, sombre. « Mais vous comprendrez que je ferai tout ce qui est en mon pouvoir pour qu’il-
- Hey ! Éva ! » Interpella soudain son petit-ami Iop. « T’as bientôt fini ?
- Je comprends. » Chuchota l’archère en finissant d’attacher les cheveux du savant en une queue de cheval lâche. « Sincèrement. Je… Bon courage… Major. »
          Elle se leva, visiblement en manque de temps… ou de paroles rassurantes. Lui dut se retenir de pouffer de rire à l’usage de ce titre ridicule : décidément, relater leurs campagnes d’extension sur leur planète d’origine avait eu des retombées déplorables. Enfin, au moins était-elle parvenue à le faire sourire avant le début de cette… « expérience » en somme. Toutefois, avant qu’il ne balaye à nouveau la pièce du regard, il eut le temps d’apercevoir celui du Roi Sadida, lui aussi observateur de la scène.
Merde…
          Les avait-il vu échanger ? Lui qui voulait éviter d’attirer les soupçons… Qilby n’eut néanmoins pas le loisir de réfléchir davantage que Maître Joris appelait au rassemblement de ceux encore libres de leur mouvement. La chambre privée était enfin prête, avec ses grands rideaux de lianes tirés, ses couvertures de soie blanche suspendues en lieu et place d’une tapisserie, ainsi que de plusieurs coussins et tapis étalés à même le sol pour ceux et celles qui seraient pris de fatigue durant « l’interrogatoire ». Étrangement, l’accusé serait tourné dans le même sens que les présupposées victimes… La seule différence résidant dans la rude chaise en bois, les lianes maintenant son poignet droit immobile contre son dossier, ce pour empêcher toute tentative de retirer les imposantes lunettes de métal durant la « projection ». Elles ressemblaient presque à celles qu’employaient les forgerons pour se protéger des étincelles et autres éclats aveuglants, mais possédaient cette aura malsaine que seuls les bourreaux et tortionnaires savaient vous instiller.
« Bien ! Nous allons commencer l’interrogatoire. » Enonça Maître Joris, protocolaire à son habitude. « Messire Qilby, avez-vous- ?
- Oui, j’ai bien compris mes droits et obligations, petit gardien de l’ordre. »
          Le dénommé leva un sourcil interrogateur sous sa capuche : il n’était pas dans les habitudes du scientifique d’en venir aux sobriquets et autres formules dégradantes, ce autant pour leur cible que pour leur créateur. L’Éliatrope était acculé ; le voilà à s’en remettre à de maigres attaques verbales. Intriguant. Dangereux…
« Et acceptez-vous toujours de vous soumettre aux questions que nous vous poserons ? » S’enquit le Prince Armand. « Jurez-vous de nous montrer la vérité, et seulement la vérité ?
- La vérité est un concept bien trop complexe pour des âmes aussi juvéniles que- !
- Doc’… » Grommela Ruel, une plainte silencieuse dans le regard.
          Tous s’étaient réunis au centre de la pièce. Maugréant, il finit par concéder :
« Disons que je ferai de mon mieux. Les souvenirs ne sont pas forcément quelque chose… d’aisé à plier à notre volonté. » Soupir. « Et les miens, aussi précis et justes soient-ils… n’y font pas exception.
- Ne vous inquiétez pas, mon cher. » Le Roi Sadida avait posé une main sur son épaule, prenant soin qu’il s’agisse de la bonne. « Je veillerai personnellement à ce que leurs limites soient respectées. »
          Cette dernière phrase, si elle fut appuyée d’une moue sévère à l’encontre du Prince, ne sembla pas apaiser le scientifique pour autant. Après tout, La Source ne connaissait pas de limites. Un puit d’encre infini dont les murs laissaient chaque jour s’envoler davantage de notes, parchemins et gravures vers Les Cimes, qui trieraient, numéroteraient… archiveraient. Ce pour les siècles et millénaires à venir.
« Qilby… ? »
          C’était Yugo, qui s’était enfin approché de lui depuis le début de ce procès infernal. Cela lui rappelait d’ailleurs… Non ! Il ne fallait pas y penser. Enfouir. Enfouir loin ! Il ne pouvait pas prendre le risque que celui-là resurgisse.
« Je… J’aurai préféré que l’on fasse autrement, mais… Mais j’ai peur que les autres ne parviennent pas à croire… » Ses yeux cherchaient ses mots. « … juste des paroles. Tu comprends, n’est-ce pas ? »
          Yugo, petit Yugo, naïf Yugo… Comme s’il n’y avait pas eu d’alternatives à cette farce. Aussi jeune soit-il, son frère n’en demeurait pas moins un membre estimé de la Confrérie du Tofu, un défenseur émérite du Monde des Douze. Eut-il ordonné que l’on offre le bénéfice du doute à son fou de frère, ne serait-ce qu’une enquête soit menée en premier lieu, les autres auraient bien été en mal de lui résister. Mais c’était là la différence majeure qui se tenait entre les deux Éliatropes :
Tu te croies toujours au service des autres,
là où, moi, fatigué de donner…
« Parce que toi, tu y croirais… » Demanda-t-il, un léger rire dans la voix. « … Mon Roi ? »
J’ai fini par exiger que l’on me rende la pareille.
« Bien sûr. »
          Son visage enfantin était ouvert. Déterminé. Ce n’était pas la promesse d’une foi aveugle, comme il avait pu l’avoir lors de leur première rencontre dans cette vie, c’était… Du temps laissé pour s’expliquer. Écouter puis juger. S’excuser, pardonner ou demander réparation si nécessaire. C’était… de la conf- ?
« Prenez place je vous prie ! Nous allons revenir sur les évènements des deux dernières semaines. Pour rappel, une fois la machine lancée, il n’existe pas de moyens de revenir ou d’arrêter le processus de lecture : soyez donc attentifs à chaque détail. Messire Qilby ? » L’intéressé releva la tête, désormais enserrée par le cuir, le métal et le verre. « Je vous sais assez intelligent, mais aussi animé par la curiosité, pour tenter de tester les limites de cette… création. Mais je dois vous informer que le Xélor nous a mis en garde : tenter d’aller à l’encontre du « flot mémoriel », comme décrit par son inventeur, pourrait mener à… disons, des souffrances inutiles.
-  Pardon ? » Les regards inquiets de plusieurs membres de la Confrérie vinrent seconder l’exclamation du Roi Sheran Sharm. « Il me semblait que vous aviez dit que la procédure ne comportait aucun ri- ?
- Elle n’en présentera aucun, Votre Majesté… Si la personne concernée se plie à son mode d’emploi. »
          « Si vous ne faîtes pas de vagues » fut l’implicite. La tentative de réassurance ne sembla pas convaincre le père des Sadidas, qui, s’il s’écarta raisonnablement pour laisser place à la « projection », demeura néanmoins à une liane de distance de leur hôte. Aucune torture inutile n’aurait lieu sous son toit… Du moins espérait-il qu’elle ne le deviendrait pas.
« Tout le monde est-il prêt ? » Demanda une dernière fois l’émissaire pour bonne mesure. « Bien, dans ce cas… »
          Dans sa nuque, Qilby put sentir un loquet se fermer, tandis que l’on tirait le cadre d’une chenille un peu plus haut. Contre le verre noir qui lui bloquait alors la vue, une lumière se mit à danser, créant un tunnel qui ne cessait de croître à mesure que le chaîne contre sa tempe déroulait ses maillons. Une vingtaine : un pour chaque jour que ses utilisateurs souhaitaient visionner. L’effet avait de quoi vous rendre nauséeux. Le cliquetis s’interrompit… Avant de reprendre de plus belle, mais cette fois-ci, dans le sens inverse. La lumière se rapprocha. Le tunnel rétrécissait. Encore. Encore… Encore.
Oh Déesse,
Faites donc au moins que cela soit cou- !
          Soudain… La lumière le frappa en plein cœur. En plein dans ses souvenirs…
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Hey ! Le Traître !
« Ah ! Ça commence !
- Apparemment, il s’agit d’une altercation entre les deux intéressés peu après notre retour de la Foire… »
Tss… Bonjour à toi aussi, Pha-…
Silence ! Phaeris n’a pas de temps à perdre avec tes paroles mielleuses, Qilby !
« Mais… ! Pourquoi… ?
- Chut ! On n’entend rien avec vos commentaires ! »
Le poison contre la créature : quand l’auras-tu terminé ?
Écoute, je ne sais vraiment pas ce qu’il te prend, mais saches que je ne pourrai pas t’en dire plus qu’à l’autre encapuchonné : le mélange n’est pas encore prêt, point final.
« Hum, outre la dénomination, voilà qui est intéressant. Alors il semblerait que Sir Phaéris ait reçu les mêmes informations que nous. »
Et pourquoi donc ?! Toi qui te vantes sans cesse de ton géni, comment se peut-il que cela ne soit pas déjà prêt ? Et ce pour une recette que tu connais déjà ?!
Ce n’est pas la formule qui fait défaut, imbécile, mais les ingrédients ! ! C’est comme si tout reprenait de zéro !
Essayerais-tu maintenant de rejeter tes fautes en plus de ton incompétence sur Phaeris, Traître ?
Ce n’est pas la peine de vouloir réendosser ton ancien rôle, Phaeris « le &X$*/+ », tu sais tout comme moi que je ne fais que dire la véri-Aaaartch ! »
« Que… ? Non…
- Hey, qu’est-ce qu’il a dit ? Phaéris le … ?
- Messire Qilby : n’essayez pas de résister au Lectanima.
- Cette… c-conversation est…
- Tout aussi importante que les autres. Merci de ne pas chercher à en supprimer des éléments qui pourraient se révéler clefs dans leur compréhension. »
Dans une d-dizaine de jours. Je devrai avoir fini dans une dizaine de jours…
Tu en es certain ? Tu n’as pas intérêt à vouloir nous berner !
Tu as intérêt à tenir ce délai. Nous ne pourrons probablement pas nous permettre d’attendre plus longtemps.
Que… ? Quelque chose est-il… ?
Contente-toi de remplir la tâche que l’on t’a confiée.
« Sire Phaéris savait. La rencontre avec le faux émissaire avait donc déjà eu lieu : les éléments concordent pour l’instant, n’êtes-vous pas d’accord Maître Joris ? »
Et pour le poison ? Pardonnez-moi de revenir toujours à notre problème initial, mais…
Je vous promets qu’il sera mis au point à temps.
« Ha ! Quand on parle du Mulou…
- Ruel ! »
J-j’y arrive pas !
Encore un effort : ouvre tes épaules davantage, ralentis ton souffle et-…
Ça marche pas ! Je vais jamais- !
Yugo, calme-toi, ce n’est qu’une question de temps avant que toi aussi tu ne-…
Non ! Tais-toi !!
« C-c’est… moi ?
- Messire Q- !
- Non, attendez. C’était… le jour de l’entraînement. Ceci est donc un… souvenir ? Peut-être que cette perspective, disons, « récente », a provoqué une vision plus ancienne ? »
Comme tu le sais très certainement, le Wakfu se nourrit des flux d’énergies traversant tous les êtres vivants, tels le sang, la lymphe, ou tout simplement l’eau…
Hey, Tristepin ! Intéressé par un petit match amical ?!
« Nous avons visiblement avancé jusqu’à l’après-midi. »
[ Quelque chose ne va pas.
Je pourrais jurer que… Mais non, ce n’est pos-
C’est comme lorsque…
Elle a su se rattraper : la chute n’a pas été violente. ]
Pourquoi donc t’es-tu interposé de la sorte ? Te rends-tu compte du danger que tu as provoqué pour Dame Évangéline ?!
J’ai dit. Regarde-la.
Il semblerait que Dame Évangéline ne soit pas en posture de continuer le combat. Nous ferions mieux de la laisser se reposer pour aujourd’hui et reprendre notre entraînement plus tard.
« Cet épisode était… particulièrement étrange.
- Il a été capable de voir que quelque chose n’allait pas donc.
- C’est pas un Doc’ pour rien : lui sait faire des observations utiles.
- Comment os- ?!
- Armand, assis-toi. »
Hey ! Je sais que vous êtes là !
Ah, vous m’en voyez vraiment désolé, ma chère…
« Voilà ! Le moment de vérité !
- Pinpin… »
Vous êtes un scientifique, non ? J’ai pensé que cela pourrait vous faire plaisir.
« …
- Maître Joris… ?
-Hum ? Non, rien… »
Le collier fonctionne. Je ne peux pas utiliser mes pouvoirs. Je suis simplement plus adepte à sentir les flux de Wakfu.
« Comme à la séance d’entraînement… »
Yugo est mon ami, j’irai même à dire que… je le considère comme un frère. Vous comprendrez donc que je ne peux pas vous laisser agir à votre guise.
Vous… Vous ne partirez pas… hum ?
« Je… Merci, Éva. 
- De rien, Yugo. »
Je suis contente d’avoir eu cette discussion : je vous remercie pour votre honnêteté.  J’aurai encore plusieurs questions à vous poser.
Malgré le plaisir de votre présence… je ne peux pas me permettre de délayer davantage mes travaux sur l’antidote. Mais peut-être seriez-vous intéressée pour partager une autre tasse de thé, disons… Après-demain, vers 15 heures ?
« Donc… Tu voulais juste le surveiller de plus près Éva ? Tu aurais pu me le dire quand même : tu sais quel mal j’ai eu à distraire les gardes durant tout ce temps !
- Pardon ?! Distraire les g- ?!
- Plus tard, Armand. Plus tard. »
Ad’ s’interroge beaucoup ces derniers temps… Il s’est rendu compte que… il, enfin nous – les Éliatropes et les dragons – avons des pouvoirs incroyables. Mais que cela signifie également que nous devons apprendre à les contrôler pour éviter des accidents… de blesser les autres.
« Hey !
- Je devais en parler, Ad’. Il fallait bien commencer quelque part… »
Eh bien, je vous remercie pour cet après-midi. J’espère, cette fois-ci, vous voir manger davantage qu’au diner d’hier soir. Vous ferez plaisir à Yugo en avalant plus que trois feuilles de salade…
Oserai-je voir du souci pour ma santé dans cette requête ?
Pensez donc à faire corriger vos lunettes…
J’y veillerai…
« Et toi qui doutais… »
Qilby ?!
Hum… ?  Oh, Yugo : c’est toi ! Déjà debout ? Je me suis simplement retrouvé à cours de thé et cette charmante personne s’est proposée pour m’accompagner jusqu’à la réserve !
Tu es disponible cet après-midi ?
Disponible est un bien grand mot. Je serai présent dans ma cellule jusqu’au souper si c’est que tu souhaites savoir.
Ah, Yugo ! Comment ça va aujourd’hui, gamin ? Et vous, Doc’ ? C’est rare de vous voir ici-bas dès le réveil ! Vous ne vous êtes pas trop fait mal en tombant d’vot’ lit j’espère ?
« C’était il y a une semaine. Le jour où… »
Sir Phaéris ne nous a pas encore rejoint ?
[ Hey ! Le Traître !
Le poison contre la créature : quand l’auras-tu terminé ?
Un Nephylis…
Dans une d-dizaine de jours. Je devrai avoir fini dans une dizaine de jours…
J’imagine certainement, à l’image de certains ici présents, que ceux-ci se sont lancés tête baissée dans la bataille, hum ?
La bête les as r-ravagées.
Or, il s’agit là exactement de ce que la créature désire…
.
Nous ne pourrons probablement pas nous permettre d’attendre plus longtemps.
.
.
Déjà debout ?
C’est plutôt moi qui devrais te faire la remarque ! ]
L’a-antidote. Phaéris est parti avec l’antidote.
« Il avait déjà compris avant nous ce qu’il se tramait. Mais cela demeure logique compte-tenu de leurs interactions passées. »
Combien de temps avant qu’il n’atteigne votre Cité ?
Un jour… Peut-être deux-
C’est beaucoup trop long. Et les Zaaps ? Vous n’en avez pas à disposition ?
Messire Qilby… ? L’antidote que vous étiez en train de concevoir, n’avez-vous pas dit que sa confection en était presque achevée ?
« Il…
- Oui, on dirait bien, Ad’. »
En théorie, oui. Mais il restait encore à réaliser les tests de contrôle : cette formule n’est pas la même que celle que j’avais pu développer à l’époque ! Tout était à refaire. Il pourrait y avoir un délai d’action à prendre en compte, voire même des effets secondaires ! Je ne suis même pas certain que… !
[ Même pas certain qu’il soit efficace… ]
Messire Qilby. Vous n’êtes pas responsable pour ce qui est arrivé aujourd’hui.
[ C’est moi qui étais responsable de… ]
« Ne serait-ce pas… Sir Phaéris ?
- Ooooh ! Il est vraiment adorable comme ça !
- Oui, mais… C’est une vision du passé, n’est-ce pas ? »
Et je suis certain que Sire Phaéris nous reviendra… Sain et sauf.
Je vais vous laisser… Messieurs.
Vous souhaitiez me voir… les garçons ?
Si les Éliatropes sont faits d’énergie, et que le collier la bloque, même de manière incomplète… N’y-a-t-il pas un risque que… ?
Ouais, et donc…  avec Yugo, étant donné que l’on n’a pas grand-chose de prévu pour aujourd’hui, on voulait te poser quelques questions concernant la langue draconique.
« Ah oui, c’est vrai que plus tard, on était allé lui rendre visite. Pour… tuer le temps. »
Tss… Bon tous les deux, on peut reprendre… ?
Les désirs de Sa Majesté sont des ordres.
Pah ! Touché !
« En tous cas, vous aviez l’air de bien vous amuser. Faudra qu’vous m’invitiez la prochaine fois ! »
Tu… Tu leur en veux ?
Le prix à payer aurait été trop élevé. Vous… Vous devez comprendre de quoi je veux parler, non ?
« Hum, Maître Joris, cette conversation me semble plutôt… privée.
- Nous arrivons bientôt à la fin, Vôtre Majesté. »
Dites doc’, vous allez finir par la poser cette fiole ?
Hum ? Pas tant que la décoction n’aura pas pris des tons orangés, non…
-oc’ ? Vous ê- là ? Doc’ ! Par les Douze, mais qu’est-ce qui vous a- ?
Pha-é-ris - il - Pha-éris est… Phaéris est mort…
« Alors c’était ça, ce qui vous arrivait ce matin, Doc’.
- L-les Éliatropes peuvent… vivre la mort des autres ?
- Comment ça se fait que nous on n’a rien ressenti ?!
- Effrayant… »
Bien, je vous remercie d’être venu aussi vite. Comme vous le savez très certainement, des nouvelles de Bonta nous s-
« Et voilà qui conclue notre histoire. »
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               Il pouvait à nouveau respirer. Il avait réussi. Ses premières tentatives pour modifier l’incessant flot de souvenirs avaient été grossières, perçues directement par leurs spectateurs. Toutefois, dès qu’il eut compris qu’il valait mieux les réarranger, quitte à déformer l’histoire originale, ce plutôt que les censurer, alors la projection avait pu se dérouler sans accrocs… Pour lui comme pour les intérêts qu’il se devait de protéger. Finalement, cela ne changeait pas de ce qu’il avait déjà eu à faire par le passé : ne pas dire la vérité, mais ne pas mentir non plus. Il avait masqué les entrevues avec l’archère par des sessions d’étude, celles avec Ayssla par des heures passées dans son laboratoire. Le scientifique espérait seulement que ses efforts seraient récompensés. Étrangement, il avait du mal à s’en convaincre.
« Bon, après ce visionnage… instructif, je pense que nous pouvons, sans trop nous tromper, rejeter les accusations initialement prononcées à l’encontre de notre hôte. » Le ton du Roi se voulait aussi diplomatique que ferme. « N’est-ce pas ?
- En effet. » Appuya l’émissaire de Bonta. « Je n’y vois pas d’inconvénients. Il paraît désormais très peu probable que Messire Qilby ait volontairement cherché à nous nuire. »
          Il aurait aimé leur rétorquer que le soupçonner en premier lieu avait été une aberration, qu’il aurait eu trop à perdre dans ce pari, que si la fin pouvait parfois justifier les moyens, il n’en était pas à sacrifier ses cartes par pur plaisir sadique… Mais après les évènements qui avaient suivi son premier retour, il se voyait bien en peine de jeter la pierre aux Douziens. Déesse, les rôles auraient-il été inversés, nul doute aurait-il réagi de la même manière.
Peut-être même aurai-je été pire qu’eux…
Très certainement.
« On… peut peut-être lui retirer l’appareil, non ? Maintenant que c’est fini. »
          La voix de son cadet lui fit presque chaud au cœur. Elle semblait si énergique en comparaison aux échos qu’il avait été forcé d’écouter ces trente dernières minutes ! La source conservait les faits, mais n’avait que faire des sens : rares étaient les souvenirs qu’il était encore capable de ranimer à leur plein potentiel. Il manquait toujours cette odeur de printemps, cette voix aux notes cristallines, cette caresse d’un vêtement fraichement repassé… Une pièce de théâtre où les acteurs se voyaient progressivement changés en mannequins dénués de toute expression. De toute vie.
« C’est vrai qu’on doit pas y voir grand-chose avec ce machin sur le nez ! » Déclara une autre, à n’en point douter son ami mineur à son accent tranché. « Bougez pas, Doc’, j’me charge de- ! »
          Très honnêtement, cette histoire aurait dû s’arrêter ici. On le libérait de cette machine du diable, le disculpait de cette affaire, voire, avec un peu de chance, lui présentait des excuses… Repas, tasse de thé, nuit blanche.
« Eh bien moi, je ne suis pas d’accord !
- Pinpin ? Qu’est-ce que- ?
- Éva n’est pas allée qu’une fois le voir et pourtant, on n’a vu qu’une seule visite ! Et on ne sait toujours pas ce que Phaéris et lui ont vu chez elle : il y a quelque chose qui cloche là-dedans et je vais faire la lumière sur toute cette affaire ! 
- Non, Messire Tristepin ! Il ne faut pas- ! »
          Tout ce qu’il sentit, ce fut la chaine partir, accompagnée de quelques mèches de cheveux sauvagement empoignées dans le mouvement… à la différence que les maillons ne furent pas soigneusement comptés. Le défilement métallique résonna comme une avalanche à ses oreilles, ne s’arrêtant qu’avec les cris d’alarme et les grognements des personnes à ses côtés, visiblement aux prises avec le guerrier Iop qui continuait de réclamer de savoir « pourquoi ».
          Et ô comme il allait être servi…
          Car là-bas, dans les entrailles de ces méninges retorses, il allait trouver toutes les réponses qu’il n’aurait jamais imaginé révéler… Et plus encore celles qu’il n’aurait jamais désiré voir.
.
.
.
Celles que tu aurais préféré garder pour toi seul, pas vrai… ?
~ Fin du chapitre 9
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mucillo · 13 days
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Otis Spann - Good Morning Mr. Blues
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I neri tirarono fuori dalle zolle dei campi di cotone intrisi di lacrime un miracolo: il blues
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solovedreidue · 9 months
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La voglia porca di Porco e Porcella
In campagna anche le parole hanno un colore più fangoso.
In campagna non ci sono i maiali, in campagna ci sono i porci.
I porci e le porcelle, sono quelli che se ne vanno in riva al fiume con il chiaro intento di infilarsi le mani sotto, di scodellare fuori le minchie dal cotone e di sbatacchiarle tra le cosce pronte.
Così, contro una roverella o meglio ancora dentro alle fronde del salice vicino al ponte. Nemmeno hanno la decenza di nascondersi troppo, perchè tanto sono solo loro e la loro foia.
Frugano, pastrugnano, impastano, dentro, strizzano i tessuti spugnosi, si riempiono di liquido, colano, ingoiano, mordono, baciano, lingue, succhiano, ancora, dentro, dita, dentro, sesso, porco, porcella, sì.
Se lo tengono addosso mentre tornano, vogliono un'alcova, sbirciano le altre coppie, spalle nude, baci, palpano anche loro, ne vogliono, si mischiano con lo sguardo, si cercano, a volte si vogliono nella fantasia, le usano, anche dopo, rivangano nella memoria sessuale.
Si ferma lui, si fa reggere il cazzo mentre piscia, rendendo sessuali anche le deiezioni, lei regge, sente l'urina passare vibrando nel sesso, vorrebbe tappargli il buco, farglielo gonfiare, infilarselo così, pieno, svuotarlo anche di quello.
Se ne vanno allegri ed eccitati, a consumare la voglia porca.
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fuoridalcloro · 3 months
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Sempre questa sensazione di inquietudine. Di attesa d’altro. Oggi sono le farfalle e domani sarà la tristezza inspiegabile, la noia o l’ansia sfrenata di rassettare questa o quella stanza, di cucire, andare qua e là a fare commissioni, e intanto cerco di tappare l’Universo con un dito, creare la mia felicità con ingredienti da ricetta di cucina, succhiandomi le dita di tanto in tanto, che mai potrò essere sazia, che sono un barile senza fondo, sapendo che “non mi adeguerò mai”, ma cercando assurdamente di adeguarmi mentre il mio corpo e la mia mente si aprono, si dilatano come pori infiniti in cui si annida una donna che avrebbe voluto essere uccello, mare, stella, ventre profondo che dà alla luce Universi splendenti, stelle nove… e continuo a far scoppiare Palomitas nel cervello, bianchi bioccoli di cotone, raffiche di poesie che mi colpiscono tutto il giorno e mi fanno desiderare di gonfiarmi come un pallone per contenere il Mondo, la Natura, per assorbire tutto e stare ovunque, vivendo mille e una vita differente… Ma devo ricordarmi che sono qui e che continuerò ad anelare, ad afferrare frammenti di chiarore, a cucirmi un vestito di sole, di luna, il vestito verde color del tempo con il quale ho sognato di vivere un giorno su Venere. -Gioconda Belli-
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swedesinstockholm · 1 month
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12 août
ça fait deux fois que des filles bruyantes qui parlent français passent devant moi avec leur pédalo et ça me donne envie de faire du pédalo avec quelqu'un et d'être légère moi aussi. y a pas de pédalo à une place. je crois que j'ai moins de mal à être légère quand je suis avec quelqu'un que quand je suis seule. quand je suis seule je pèse plus lourd. mais j'ai la flemme de faire des efforts pour être sociale. f. m'a dit qu'elle irait à la mer en octobre quand jo/johanna aurait des vacances, tout le monde a deux prénoms dans son entourage selon son genre du jour, j'ai dit c'est qui jo? un nouveau membre de votre polycule? (oui). je sais pas comment elle fait. l'autre jour avec n. on parlait de mon genre, je sais plus pourquoi. je lui disais que je me sentais pas particulièrement féminine et que j'aimais pas les formes de mon corps, que j'aimerais avoir un corps plus neutre. elle m'a demandé si j'aimerais utiliser les pronoms non-binaires et j'ai dit ohlala non i don't mind being a girl! c'est juste une histoire de corps. mais c'est jamais juste une histoire de corps. j'ai jamais aimé mes seins par exemple. quand ils ont commencé à pousser j'en voulais pas et je refusais catégoriquement de porter un soutien-gorge. je sais pas si c'était par refus d'avoir des seins ou par refus de grandir mais c'était un refus. maman me disait lara tu dois en mettre sinon t'auras la poitrine qui tombe, mais je préférais mettre des tshirts serrés en me disant que ça ferait le job de soutien, et maintenant j'ai la poitrine qui tombe et je l'aime pas. même si samedi soir j'ai fait un photo shoot nue devant ma webcam et je me suis excitée toute seule.
quand j'avais parlé de mon soupçon d'abus sexuel à maman elle m'avait dit que j'avais toujours eu une relation de dégoût avec mon corps. que j'avais toujours refusé de mettre des tampons par exemple. je sais pas à quel point tout ça est lié. à supposer qu'il se soit vraiment passé quelque chose. ça me fait penser à une scène de la série split où une des filles pleure pendant le sexe et puis elle raconte à son amante qu'elle est devenue lesbienne après avoir été violée par un homme. je me demande combien d'histoires de préférence sexuelle et d'identification de genre sont liées à des histoires d'abus sexuel.
hier matin je suis retournée au vide-grenier au maybachufer parce que c'est pas loin et parce que je rêve de trouver une robe en vichy rose pâle. j'en avais une quand j'étais petite. en fait mon identité de genre n'est ni féminine ni masculine, je veux juste mettre les mêmes habits et avoir le même corps que quand j'étais petite. un corps non marqué fémininement. un corps libre. libre de me promener nue. libre de bouger. non encombré par toute la gêne et le dégoût qui s'y sont nichés à l'adolescence. quand j'étais petite je pouvais danser où je voulais et le grand figement n'existait pas. je parlais à qui je voulais je chantais partout le monde était à moi. je m'en rappelle pas, mais j'imagine. c'est ce que maman me raconte. c'est ce que je vois sur les photos. n. m'a dit qu'elle se rappelait que quand elle était petite il lui tardait de grandir parce qu'elle se sentait pas libre, justement, en tant qu'enfant. et peut être que je me sentais pas du tout libre en réalité moi non plus, j'en sais rien. mais je sais que j'avais pas particulièrement envie de grandir. vers la fin de l'enfance en tout cas. enfin non, même ça c'est faussé parce que pour écrire mon texte sur l'été 2004 y a quelques mois j'ai relu le journal de mes treize ans et je disais que j'avais envie d'avoir seize ans et de rencontrer un joli garçon dans le tram et de lui donner mon numéro. donc j'en sais rien. tout ce que je sais c'est que hier au marché j'avais envie d'acheter une robe rouge laura ashley que j'aurais pu porter à six ans et un minishort en coton jaune avec des étoiles mauves clairement des années 90 et aussi des grands tshirts et des grandes chemises d'homme.
dans un documentaire d'alejandro jodorowsky dans lequel il faisait vivre à des gens une seconde naissance, il disait que les gens avec des traumas restaient parfois bloqués à l'âge mental qu'ils avaient à l'époque où le trauma s'est produit. ça m'avait paru évident. je suis une enfant de sept ans. dans ma relation avec maman, dans ma relation avec la maison, dans ma relation avec mon corps, dans mon refus de vivre ma propre vie, jusqu'à mon style vestimentaire putain.
finalement j'ai acheté qu'une chemise en vichy bleu ciel à trois euros que j'ai regretté d'avoir acheté cinq minutes plus tard en me rendant compte qu'elle était 40% polyester. après j'ai fait du pain, une lessive, je me suis rasé les jambes après plus d'un mois de jambes poilues et j'ai affronté le ménage de la salle de bain. ça va, j'en suis pas morte. maman m'a appelée pour me raconter sa journée et me parler de la météo mais jamais elle me demande ce que je fais moi ou comment je me sens. elle m'appelle juste pour me raconter ses virées au centre de recyclage et à la piscine et pour me dire le temps qu'il a fait le temps qu'il fait là et le temps qu'il fera demain. je vois ces vacances à la mer comme une bouée de sauvetage à la fin de mon été, le rêve à atteindre au bout de l'enfer, mais ma détresse berlinoise m'a un peu fait oublier que maman était toujours maman. je suis même pas en détresse en plus. je suis en apprentissage. aujourd'hui j'ai fait des progrès: j'ai pensé à prendre un snack dans mon sac, j'ai pas trop marché (j'ai pas bougé du parc), j'ai fait des longues pauses pour écrire tranquille, et j'ai trouvé des wc pour faire pipi! prochaine étape: penser à prendre une serviette pour m'allonger dans l'herbe.
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donaruz · 6 months
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BILLIE HOLIDAY: LA REGINA DI UN REAME DI STRACCI
Ne**a? Non si vede?
Cantante? Ascoltami e vedrai
Puttana? Sì, ho fatto anche quello
E bevo anche come quattro uomini
Non mi fai paura, ho suonato in posti peggiori di questo
In bar di cow boys nel sud dove mi sputavano addosso
In una città dove il giorno stesso avevano linciato un nero
A New Orleans dove un diavolo alla moda
Ogni sera mi regalava fiori di droga
E a Chicago mi innamorai di un trombettista sifilitico
E all’uscita del night mi hanno spaccato la bocca
Sotto la pioggia da una stazione all’altra
Lady sings the blues
Ne**a? Sì, ma ci sono abituata
Cantante? Canto come una gabbia di uccelli
Note gravi e alte, e tutto il repertorio
Posso svolazzare come quelle belle cantanti dei film
E poi posso piantarti una ballata nel cuore
Vuoi strange fruit? Vuoi midnight train?
Posso cantartela anche da ubriaca
O con un coltello nella schiena
O piena di whisky e altro, perché sono una santa
E il mio altare è nel fumo di questo palco
Dove Lady sings the blues
Ne**a? Ne**a e bellissima, amico
Cantante? Non so fare altro
Puttana? Beh sì ho fatto anche quello
E bevo come quattro uomini
Non toccarmi o ti graffio quella bella bianca faccia
Posate il bicchiere, aprite quel poco che avete di cuore
State zitti e ascoltate io canto
Come se fosse l’ultima volta
Fate silenzio, bastardi e inchinatevi
Lady sings the blues
E quando tornerete a casa dite
Ho sentito cantare un angelo
Con le ali di marmo e raso
Puzzava di whisky era ne**a puttana e malata
Dite il mio nome a tutti, non mi dimenticate
Sono la regina di un reame di stracci
Sono la voce del sole sui campi di cotone
Sono la voce nera piena di luce
Sono la lady che canta il blues
Ah, dimenticavo... e mi chiamo Billie
Billie Holiday
[Stefano Benni]
Atlantide
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literally-just-there · 2 months
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Hi Gate! ♡ I have. A question. What's Seeker and your f/os' favorite classic paintings? Or statues etc! 👀🎨🖼
OOOOOHOOHOHOHO KUROH YOU ASKED FOR THIS *cracks knuckles*
(Putting this under a cut... Not doing just classic... No I did not do every f/o or I would still be here in a week. I just did paintings because that's what I'm more knowledgeable about)
🖌 • For Seeker :
She looks a lot at the eyes and facial expressions, and loves a good romantic scene like the pre-raphaelites do. We got "La Belle Dame Sans Merci" by Frank Dicksee, and "The Shadow" by Edmund Blair Leighton for example.
Strangely enough, she is also captivated by paintings that can be considered haunting, I'm thinking of John Martin's works that depict biblical, historical and other legendary apocalypses. She does not enjoy them per say, but she is captivated, especially since she is not religious but is herself a legendary being. I'm thinking of "The Destruction of Sodom and Gomorrah" and the triptych of "The Last Judgement".
She also likes "Christ in the House of His Parents" by Millais because it humanizes what is usually seen as only divine and otherworldly, and she relates to this paradox of being some kind of human god (I suggest reading the critics on the painting at the time).
🖌 • For the Informant :
Keywords are emotion and interactions. He loves when the painting displays interactions and especially love, whatever the kind. I have quite miscellaneous painting ideas for him ;
Leonardo Da Vinci's "The Virgin and Child with Saint Anne", Karl Gussow's "Old Man's Treasure", but also the more tragic "Tristan and Isolde" paintings by Rogelio de Egusquiza, "Romeo and Juliet" by Millais, or "The Meeting on the Turret Stairs" by Frederic William Burton.
🖌 • For Helen :
She loves paintings with soft vibes and that depict nature. I'm thinking of Rosa Bonheur as I type this. I love the cows she paints. Also pretty paintings like those of Sophie Gengembre Anderson, "The Turtle Dove", "It's Touch and Go to Laugh or No", "Little Helper", "Her Favourite Pets" or "A Fairy Is Made Of Most Beautiful Things" which is one of my favourites too.
🖌 • For Smallcat :
He does look like someone who would like grandiose official portraits. However he is more of a landscape type of guy. He paints some himself actually !! For me Monet is the absolute best, I'm of course thinking about his Nymphéas. And Pissarro !! Pissarro's landscapes !! Can we talk about "Le Grand noyer dans le pré, Éragny" ??!! Pretty !?!?!
🖌 • For Delacroix :
That arse head on the other hand LOVES a good lavish official portrait. It does make sense because he is a noble but also : the more gold, more jewels, more expensive fabric, more symbols of power displayed, the more he is eating this up like his eye dinner. I am thinking of Louis XIV by Hyacinthe Rigaud or Napoléon Ist by François Gérard, the good old coronation portraits.
🖌 • For Anna :
Most of all she wants to have something to say about the art piece. It has to make her THINK. So she prefers paintings that have intense facial expressions, and / or that tell a story that makes you THINK. I'm thinking of paintings about societal struggles, like "Burning the Brushwood" by Eero Järnefelt, or paintings that are sticking their chin at institutions, like Frank Cadogan Cowper's "Lucretia Borgia Reigns in the Vatican in the Absence of Pope Alexander VI" including more tragic ones like "The Martyr of Solway" by Millais.
But she is also a romantic at heart and appreciates paintings that display romantic interactions. There are the ones I mentioned for Seeker but I would add "God Speed" by Edmund Blair Leighton.
🖌 • For Wei :
MARINES. Anything that has to do with the sea. One name, Monet, again, yes, BUT !! The paintings he did when he was in Belle-Ile-en-mer !! The Port Coton ones !! He did so many !! And Turner !! Depicting the immensity of the sea !!
He would also love Chinese paintings, since this is what he grew up with. I am sadly not knowledgeable about this yet so I can't really go into details.
🖌 • For Hoggarth :
History is the key word, he prefers paintings that interpret historical events, that imagine the people's emotions at the time, especially when it is grave events. I'm thinking of "The Last Day of Pompeii" by Karl Bryullov or "Faithful Unto Death" by Edward John Poynter. Also "The Execution of Lady Jane Grey" by Paul Delaroche or "A Huguenot" by Millais.
Also, paintings that represent people feeling small before the higher powers they believe in, like "The Two Crowns" by Dicksee, or being powerless before them, like "The Ballad of Lenore" by Horace Vernet.
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les-portes-du-sud · 3 months
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L'été, il faut vivre à la campagne, porter des robes en coton, des chapeaux de paille et des épaules brûlées. Nagez dans la rivière, mangez de l'aneth directement du jardin, collectionnez les taches de rousseur sur votre visage et l'herbier dans les livres,
et ne t'inquiète de rien, de rien
et rêver.
Et rêver
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