#Gli Stili Nella Forma e nel Colore
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carmenvicinanza · 7 months ago
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Hannah Höch
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Hannah Höch è stata l’artista che ha dato voce e immagine alla critica sociale e femminista durante la Repubblica di Weimar.
Pioniera del fotomontaggio e della tecnica del collage, ha sperimentato stili e correnti artistiche diverse.
I suoi fotomontaggi, a differenza di quelli dei surrealisti, che mantenevano un aspetto reale, grazie alla continuità di scala o di colore, erano estremamente frammentari, per lo più di proporzioni e colori diversi, e minavano costantemente la percezione iniziale di chi li guardava, rappresentarono l’estetica della liberazione, della rivoluzione, della protesta.
Ha fatto parte del gruppo Dada di Berlino, sebbene spesso sia stata lasciata in secondo piano dalla critica e dalla ricostruzione storica del movimento.
La sua vasta produzione artistica si è dipanata dalla Prima Guerra Mondiale fino agli anni Settanta del Novecento.
Attraverso l’utilizzo di diverse tecniche, ha attraversato una varietà di temi, come il militarismo, l’industrializzazione e la tecnologia, le relazioni di genere, l’etnografia, decostruendo le immagini e gli stereotipi femminili ed esplorando le contraddittorie rappresentazioni della donna nuova diffuse nei mass media.
Hannah Hoch è il nome d’arte di Anna Therese Johanne Höch, nata il primo novembre 1889 a Gotha, in Germania. Cresciuta in una famiglia della media borghesia, l’amore per l’arte le era stato trasmesso dalla madre, pittrice per diletto. Dopo aver abbandonato gli studi per accudire la sorella minore e aver lavorato per un anno nell’ufficio di assicurazioni del padre, nel 1912, si è trasferita a Berlino per frequentare la scuola di arti applicate di Charlottenburg, dove ha studiato lavorazione del vetro e design artistico del libro, con una pausa forzata durante la guerra, quando si è impegnata con la Croce Rossa
Nel 1915 ha cominciato una relazione con l’artista Raoul Hausmann che l’aveva introdotta nell’ambiente culturale berlinese. Una storia d’amore  turbolenta e conflittuale durata sette anni mentre l’uomo aveva moglie e figli. A lui, nel 1920, aveva dedicato “una breve storia caustica” intitolata Der Maler (Il pittore), in cui prendeva di mira il sessismo alla base del radicalismo dada e l’atteggiamento del compagno, da lei ritenuto ipocrita nei confronti dell’emancipazione femminile.
Mentre era iniziato il suo coinvolgimento col gruppo Dada, lavorava presso l’editore di riviste illustrate Ullstein come designer di modelli per tessuti ricamati e in pizzo, pubblicati in libri o riviste femminili di moda, utilizzando spesso come base ritagli di giornali. Le tecniche apprese da questa esperienza saranno utilizzate in diverse opere satiriche e politiche successive.
Agli inizi della sua carriera ha utilizzato la pittura, senza mai disdegnare la sperimentazione con vari materiali. Dal 1918 cominciarono a circolare i suoi primi fotomontaggi, la forma di espressione che l’ha resa famosa e che ha maggiormente connotato la sua carriera artistica. 
L’inizio della sua partecipazione pubblica agli eventi dada è databile nel 1919, quando ha partecipato alla prima mostra collettiva nello studio del mercante d’arte ed editore Israel Ber Neumann, in cui ha esposto alcuni acquerelli astratti e nella serata di chiusura, ha suonato con coperchi di pentole un’antisinfonia composta da Golyscheff.
Dagli anni Venti, si è dedicata ai fotomontaggi che combinavano immagini di pubblicazioni popolari, tecniche di collage, pittura e fotografia. Un tripudio di immagini sovrapposte così diverse che, spesso, apparivano caotiche e impossibili da analizzare. Un’estetica perfetta per un’artista interessata al rumore senza senso della vita moderna.
Ha presentato nove opere alla prima Fiera Internazionale Dada del 1920.
Sebbene il movimento avesse un profilo anarchico e anti-conformista, era composto principalmente da uomini, e la figura di una donna costituiva un’eccezione al suo interno. Per questo motivo, ha proclamato a gran voce la propria emancipazione dalla figura maschile.
Mettendo in discussione l’idea di bellezza femminile, ha fatto emergere temi legati al genere e al ruolo della donna nella società, ponendo al centro del suo lavoro la costruzione dell’identità. I suoi montaggi offrono visioni caleidoscopiche della cultura tedesca tra le due guerre, da una prospettiva femminista e spiccatamente queer.
Ha evidenziato un mondo frammentato, sconvolto da guerre e crisi economiche.
La sua prima mostra personale si è tenuta nel 1929 a l’Aia, dove si era trasferita per stare vicino alla sua compagna, la scrittrice olandese Til Brugman.
Quando i nazisti salirono al potere all’inizio degli anni trenta, al contrario di molti colleghi, decise di non lasciare il paese, nonostante fosse invisa per la sua libertà sessuale e la provocazione delle sue opere. Il governo considerava il suo lavoro “degenerato” e il suo nome comparve fra gli artisti del Novembergruppe dichiarati “bolscevichi culturali”.
Quando venne cancellata la sua mostra, prevista a Dessau nel maggio 1932, perché i nazisti imposero la chiusura della sede Bauhaus in cui doveva svolgersi, decise di di trasferirsi fuori Berlino, come disse, per “sprofondare nell’oblio” viaggiando spesso col marito Heinz Kurt Matthies, sposato nel 1938 che l’aveva lasciata, qualche anno dopo, per mettersi con una sua amica.
Nella sua produzione dal 1933 al 1945 si affermarono i temi della natura e del paesaggio, mentre diventarono sempre meno presenti le figure umane, disegnate come sagome, maschere teatrali o apparizioni; l’intento era principalmente quello di poter trovare degli acquirenti e di evitare censure politiche, tuttavia, questa nuova prospettiva le aveva aperto la via verso nuove forme di sperimentazione, anche nei fotomontaggi.
Nel 1946 ha preso parte a un’esposizione sostenuta dagli artisti surrealisti a Berlino e promosso la mostra Fotomontaggio da Dada a oggi. Due anni dopo ha partecipato a una mostra al MoMA di New York. In questo periodo  ha collaborato alla rivista antifascista di letteratura, arte e satira Ulenspiegel, dove pubblicava acquerelli e diversi fotomontaggi, fra cui Stivali delle sette leghe, del 1934.
Nel 1949, a Berlino, si è tenuta la sua prima personale del dopoguerra, dal titolo Hannah Höch und Dada, ma ha continuato a esporre, principalmente all’estero.
Dopo il lancio dello Sputnik, la prima capsula spaziale in orbita intorno alla terra, è iniziato il suo interesse per l’esplorazione spaziale, di cui ha scritto ampiamente nei suoi diari e, dieci anni dopo, ha realizzato un collage dedicato allo sbarco sulla luna, Dedicato agli uomini che conquistarono la luna, 1969, nel quale era assente la critica alla tecnologia che aveva caratterizzato la sua produzione degli anni venti.
Nel 1964, in onore del suo settantacinquesimo compleanno, si è svolta, alla Galerie Nierendorf di Berlino, un’ampia retrospettiva, seguita negli anni settanta da altre importanti mostre realizzate a Parigi, Berlino e New York.
Le sue opere sono state esposte anche alla famosa mostra Women Artists: 1550-1950 realizzata nel 1977 al Museo d’arte di Los Angeles.
Ha lasciato la terra il 31 maggio 1978 a Berlino all’età di 88 anni.
Hannah Höch ha messo l’accento sul complicato rapporto tra arte e politica, la sua ferrea volontà l’ha portata a emergere in un contesto che escludeva le donne e le loro voci, è una figura che merita di essere ricordata.
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eyesondance · 2 months ago
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CORPO A CORPO – LOUNGE – TERMINAL BEACH | Gender Bender parla ai corpi e alle persone
Ho passato un weekend a Bologna all’insegna di Gender Bender. File fuori dai teatri, abbracci calorosi, ciocche colorate e camicie stravaganti. A Bologna festival come questo parlano ai corpi e alla gente, muovono le masse, fanno incontrare grandi e piccoli in luoghi nei quali non si sarebbero mai incrociati altrimenti. 
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Come nei sotterranei di Palazzo Bentivoglio che ospitavano, sopra un cubo specchiato e umido, la performer Claudia Caldarano nella nuda semplicità del suo corpo, pesante, scivoloso, bagnato, tutto goccioline. Si vedeva tutto di lei. Dritta su quel parallelepipedo lucido si lasciava circondare dal pubblico che, seduto a terra o appoggiato alle pareti, tentava di stare con lei ancora un po’. Tra uno stiramento e un piegamento, una posizione yogica, un tentativo di disequilibrio, uno scivolamento e un tonfo, il suo corpo cambiava forma e schema, visibilmente affaticato ma non per questo rassegnato. Nel voltarsi, si poteva notare una macchiolina rossa in fondo alla schiena. Anche l’addome era rosso, segno di un passato sfregamento. Peli e pelle. Muscoli attorcigliati e poi tesi. Un’anatomia da sezionare con gli occhi.
Un sottile velo d’acqua ricopriva tutte le superfici. Anche Claudia era bagnata, le cadevano goccioline dai capelli. In un momento concitato, per un braccio agitato una ha schizzato sulla mia guancia. Ho sentito il bagnato e mi sono immaginata di essere al suo posto, completamente nuda, completamente bagnata. Fradicia, avvolta in una condizione umida. Umidi i suoni, quasi stridori, a volte urla. Umida l’aria. La pesantezza e la resistenza di un corpo per raccontare la condizione umana in relazione allo spazio e allo sguardo di chi lo attraversa. Anche il mio.
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L’Ateliersì ha accolto invece Margarida Alfeirão e Mariana Benengue in un duo dalla forte carica sensuale. LOUNGE è stata carica erotica tesa al limite, accenno e mai volgarità, nel piccolo e morbido, nell’attesa più che nell’atto in sé. Le due performer, spesso al centro di un cono di luce, ora blu, ora giallo, ora viola, si muovevano sinuose, guidate dai fianchi che a piccoli cenni trascinavano il resto del corpo in micro onde. La musica spingeva ma i corpi resistevano. Indugiavano. Ancora.
Il gioco alludeva a una sessualità profondamente femminea, orgasmica, lenta, morbida, che sapeva di acqua e di moti ondulatori. Una sessualità da leccarsi le dita, da scambiarsi la saliva, da afferrare, da tirare i capelli. Il confine tra dare e avere, tra pubblico e privato si faceva sottile mentre i pieni e i vuoti, le luci e le ombre ribaltavano di continuo i punti di vista e di forza fino a sottrarre alla vista del pubblico le scene più saporite.
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E domenica sera, nella nebbia dell’autunno che scivola verso l’inverno, ci siamo ritrovati tutti, ma proprio tutti all’Arena del Sole per TERMINAL BEACH. Un potpourri di scene prese dai mondi più diversi, abilmente cucite insieme dal coreografo Moritz Ostruschnjak, andava dall’America dei cowboys, ai supereroi della Justice League, attraversando sfilate trionfali sulle note del Nabucco e sfrecciate a tutta velocità sui rollerblades col rischio di scontri fatali. 
Sul palcoscenico sgombro da quinte e fondali, periodi, generi, stili e tecniche differenti si susseguivano in andirivieni di passati e presenti fino a sventolare l’ultima bandiera, quella di una rivoluzione senza tempo, di tutte le generazioni, del per sempre e del mai.
Credits
CORPO A CORPO Ideazione e performance: Claudia Caldarano Consulenza artistica: Pietro Gaglianò Produzione: Mo-wan teatro Con il sostegno di: Nina
LOUNGE Concept: Marga Alfeirão Performance: Mariana Benengue, Marga Alfeirão Choreografia e Ricerca: Myriam Lucas, Cajsa Godée, Mariana Benengue Music Editing & Mixing: Shaka Lion, Hinna Jafri Scenografia: Yoav Admoni Costumi: Nani Bazar Styling: Marga Alfeirão und Mariana Benenge Light Design: Thais Nepomuceno Dramaturgie: Jette Büchsenschütz, Mateusz Szymanówka Supporto nella distribuzione: neon lobster / Giulia Messia & Katharina Wallisch Prodotto da Marga Alfeirão, in Co-Produzione con SOPHIENSÆLE
TERMINAL BEACH Coreografia: Moritz Ostruschnjak Collaboratrice coreografica: Daniela Bendini Danza: Guido Badalamenti, David Cahier, Daniel Conant, Robero Provenzano, Miyuki Shimizu, Magdalena Agata Wójcik Progettazione luci: Michael Peischl Dramaturg: Armin Kerber Costumi: Daniela Bendini, Moritz Ostruschnjak Mixaggio e montaggio musicale: Jonas Friedlich Direzione della produzione: Susanne Ogan Direzione: Alexandra Schmidt In tournée: Pascal Jung PR: Simone Lutz
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enkeynetwork · 4 months ago
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lamilanomagazine · 10 months ago
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Dietro le quinte del tatuaggio: processi creativi e tecniche
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Dietro le quinte del tatuaggio: processi creativi e tecniche Per molti, un tatuaggio è più di un semplice disegno sulla pelle: è un'opera d'arte, un messaggio personale inciso nell'essenza stessa del loro essere. Ma cosa si cela dietro la creazione di queste opere permanenti? Esploriamo i processi e le tecniche che rendono ogni tatuaggio unico nel suo genere. Il Tatuaggio come Forma d'Arte Il tatuaggio non è mai stato così popolare come in questi anni, con maestri tatuatori che elevano questa pratica antica a nuove vette di espressione artistica. Ogni artista porta nel suo studio un bagaglio di tecniche affinate e stili personali, trasformando ogni singolo tatuaggio in un pezzo unico e irripetibile. Ma quale è il processo dietro alla creazione di un design perfetto che rispecchia la visione del cliente e l'abilità del tatuatore? Nel nostro viaggio dietro le quinte, toccheremo i punti chiave che definiscono l'arte del tatuaggio moderno: dalla consulenza iniziale con il cliente, alle fasi di bozzettazione e revisione del design, fino alle tecniche di inchiostro e alle cure post-tatuaggio per assicurare che ogni dettaglio risplenda sulla pelle per gli anni a venire. Scopriremo le innovazioni tecnologiche che stanno cambiando il volto dell'industria e come gli artisti si adattano per mantenere vivi i più alti standard di qualità e sicurezza. La Consultazione: Il Primo Passo verso l'Arte Permanente Il viaggio di ogni tatuaggio inizia con un dialogo: una consultazione tra l'artista e il cliente che getta le fondamenta per l'opera futura. In questa fase, si discutono idee, significati e posizionamenti, costruendo una fiducia reciproca fondamentale per il processo creativo. Ma come si svolge esattamente una buona consultazione? Gli artisti di punta come quelli tattoo milano pongono al cliente domande mirate, disegnando fuori i suoi desideri e le sue aspettative. Ascoltano e suggeriscono, equilibrando la visione personale con quello che è fattibile sulla tela della pelle. Un buon tatuatore sa che ogni dettaglio conta: dalla storia personale del cliente, alle sue preferenze stilistiche, fino alle dimensioni del tatuaggio stesso. Bozzetti e Revisioni: La Nascita di un Capolavoro Dopo la consultazione, l'artista si dedica alla creazione di bozzetti preliminari. Questo processo può richiedere ore o giorni, a seconda della complessità del disegno. La magia si svela mentre il tatuatore trasforma le idee discusse in immagini concrete, pronte per essere perfezionate. Ma il bozzetto non è mai definitivo al primo tentativo; spesso segue un iter di revisioni che coinvolgono attivamente il cliente. Chiaro esempio è l'adattamento di un disegno intricato per aderire alle curve del corpo, un gioco di adattamento tra immaginazione e realtà fisica. È qui che l'artista mette in gioco la sua esperienza, garantendo che il design sia non solo esteticamente piacevole, ma anche praticabile come tatuaggio duraturo. Ma come si assicura che il tatuaggio mantenga la sua bellezza nel tempo? Non è forse una sfida che ogni artista deve affrontare, considerando le variabili della pelle umana? La risposta sta nell'esperienza e nella conoscenza delle tecniche di inchiostro, ma anche nell'importanza delle cure post-tatuaggio, argomenti che esploreremo nei prossimi capitoli di questo affascinante viaggio dietro le quinte del tatuaggio. Il Viaggio Artistico del Tatuaggio Nel profondo mondo del tatuaggio, abbiamo scoperto che ogni linea, ombra e colore nasce da un sofisticato processo creativo. I maestri tatuatori, come quelli che possiamo trovare nel rinomato studio di tattoo Milano Ligeraink, hanno elevato questa antica pratica a un livello di espressione artistica senza precedenti. La consultazione iniziale tra artista e cliente è il fondamento su cui nasce l'opera, un dialogo vitale che fornisce la base per un risultato che esprime la personalità e le passioni di chi lo indosserà per sempre. Ogni capolavoro sulla pelle inizia con un bozzetto, che attraverso un processo iterativo di revisioni si trasforma in una composizione finale pronta a essere impressa. La collaborazione stretta tra il tatuatore e il cliente è cruciale per assicurare che il design non solo sia in linea con le aspettative, ma che sia ottimizzato per la forma e il movimento del corpo. Nonostante le sfide che comporta lavorare con una tela vivente e in perpetuo cambiamento come la pelle umana, gli artisti del tatuaggio si affidano a tecniche di inchiostro avanzate e cura post-tatuaggio per garantire che ogni opera mantenga la sua bellezza nel tempo. La scelta di uno studio professionale assicura che, oltre alla creatività, vengano rispettati gli standard più elevati di qualità e sicurezza. Riflessioni Finali Attraverso questo viaggio dietro le quinte, abbiamo avuto l'opportunità di apprezzare il tatuaggio non come una semplice modificazione corporea, ma come una vera e propria forma d'arte. Ogni tatuaggio racconta una storia, ogni linea rappresenta un sentimento, e ogni colore riflette un'anima. Se anche tu sei alla ricerca di un modo per esprimere il tuo sé più autentico sulla tela della tua pelle, non esitare a rivolgerti a professionisti, dove la tua visione può diventare un'arte permanente. Ricorda: un tatuaggio è più di un disegno, è un viaggio che rimarrà con te per una vita.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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wildesignblog · 11 months ago
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Maniglie con Pelle: Un'Eleganza Senza Tempo nel Design delle Porte
Le maniglie rappresentano spesso gli elementi trascurati ma essenziali nell'ambito dell'arredamento. In particolare, le maniglie ricoperte da pelle aggiungono un tocco di raffinatezza e lusso al design delle porte, contribuendo a creare un ambiente elegante e senza tempo.
La scelta di maniglie con pelle non è solo esteticamente gradevole ma offre anche una sensazione tattile di alta qualità. La pelle è un materiale che migliora nel tempo, acquisendo patina e carattere, conferendo alle maniglie un'aura di eleganza senza sforzo. Quando si tratta di design d'interni, ogni dettaglio conta, e le maniglie in pelle sono un elemento distintivo che può trasformare l'aspetto generale delle porte.
Il design delle maniglie in pelle può variare notevolmente, offrendo opzioni per adattarsi a diversi stili d'arredamento. Dalle linee pulite e minimaliste a dettagli più elaborati, le maniglie in pelle possono essere scelte per complementare il design generale della casa. L'attenzione ai dettagli è fondamentale, e l'uso di maniglie in pelle aggiunge un tocco di lusso che non passa inosservato.
Lavaggio e Restauro dei Tappeti: Preservare l'Arte sotto i Piedi
I tappeti sono opere d'arte sotto i piedi, ma nel corso del tempo possono subire danni a causa dell'usura e dell'accumulo di sporco. Il lavaggio e il restauro regolari sono essenziali per preservare la bellezza e la durata di questi tappeti unici.
Il lavaggio dei tappeti richiede una cura delicata e attenzione ai dettagli. L'utilizzo di prodotti specifici per la pelle e tecniche di pulizia professionale può rimuovere lo sporco senza danneggiare il materiale. Questo processo non solo migliora l'aspetto estetico del tappeto ma contribuisce anche a mantenere la sua integrità strutturale.
Il restauro dei tappeti va oltre la pulizia e coinvolge la riparazione di eventuali danni. Tagli, strappi o graffi possono essere riparati da artigiani specializzati nel restauro di tappeti. Il risultato è un tappeto in pelle che sembra nuovo, preservando il suo valore artistico e la sua funzionalità nel contesto dell'arredamento.
Armonia di Design: Integrare Maniglie in Pelle e Tappeti Restaurati
Il design d'interni è un'arte che coinvolge la creazione di armonia tra gli elementi presenti in uno spazio. Integrare maniglie in pelle e tappeti restaurati richiede una visione olistica del design, dove ogni componente contribuisce a un'esperienza coesa.
Le maniglie in pelle, con la loro eleganza intrinseca, possono diventare punti focali delle porte. Scegliere maniglie che si coordinano con il colore e lo stile del tappeto crea una connessione visiva tra gli elementi dell'arredamento. L'armonia di design si riflette nella coesione tra la sensazione tattile delle maniglie e la trama artistica dei tappeti.
Il lavaggio e il restauro dei tappeti sono parte integrante di questo processo armonioso. Un tappeto restaurato con cura e collocato strategicamente nell'ambiente contribuisce a un design d'interni equilibrato. La pelle delle maniglie, sottoposta a cure adeguate, si integra perfettamente in questo panorama, creando un ambiente in cui ogni elemento è all'altezza del suo massimo potenziale.
Conclusioni: L'Arte del Design con Maniglie in Pelle e Tappeti Restaurati
In conclusione, le maniglie in pelle e i tappeti restaurati sono elementi distintivi che possono trasformare il design d'interni da ordinario a straordinario. La loro eleganza senza tempo e la sensazione di lusso che trasmettono possono elevare notevolmente l'aspetto generale della casa.
Investire nella cura e nella scelta accurata di maniglie in pelle e nel restauro di tappeti è un impegno per un design d'interni che va oltre l'estetica superficiale. È un'opportunità per creare un ambiente che riflette la cura per i dettagli e un apprezzamento per l'arte in ogni forma. Con maniglie in pelle e tappeti restaurati, il design della tua casa può diventare un'opera d'arte in continua evoluzione.
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cinquecolonnemagazine · 1 year ago
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La Moda degli Anni '50: Eleganza e Raffinatezza
Gli anni '50 rappresentano un'epoca d'oro nella storia della moda, caratterizzata da uno stile distintivo e una raffinatezza senza tempo. Questo decennio è stato segnato da un mondo in rapida trasformazione dopo la Seconda Guerra Mondiale, con la rinascita economica e la diffusione di una cultura popolare che ha avuto un impatto significativo sulla moda. Dagli iconici abiti da cocktail alle gonne ampie e ai completi sartoriali impeccabili, gli anni '50 hanno prodotto alcune delle creazioni più memorabili nel mondo della moda. Le Donne: Abiti a Sirena e Gonne a Ruota Gli anni '50 hanno visto emergere un'ampia varietà di stili per le donne. Uno dei look più iconici dell'epoca era l'abito a sirena, caratterizzato da una linea attillata che si allargava gradualmente dal ginocchio in giù. Questi abiti enfatizzavano le curve femminili e conferivano un'aura di sensualità e sofisticazione alle donne che li indossavano. Celebrità come Marilyn Monroe e Grace Kelly hanno contribuito a rendere popolare questo stile, che è ancora considerato un classico dell'alta moda. Le gonne a ruota, invece, sono diventate un simbolo degli anni '50. Queste gonne, spesso realizzate con tessuti leggeri e colorati, erano caratterizzate da una vita stretta e si espandevano verso il basso, creando un effetto a forma di campana. Le gonne a ruota erano indossate con grazia e femminilità, e molte donne le abbinavano a canottiere o magliette corte per un look casual ma elegante. Audrey Hepburn è una delle icone di stile più note degli anni '50, celebre per i suoi abiti a ruota e il suo stile senza tempo. Gli Uomini: Completini Sartoriali e Rock 'n' Roll Anche gli uomini negli anni '50 seguivano uno stile raffinato. I completini sartoriali erano di rigore, con giacche sagomate e pantaloni eleganti. Questi completi erano spesso accompagnati da cravatte e camicie ben stirate, creando un aspetto pulito e sofisticato. Icone dello stile maschile come James Dean e Cary Grant hanno contribuito a definire questo look sartoriale, che è rimasto un punto di riferimento per l'abbigliamento formale fino ai giorni nostri. La moda maschile degli anni '50 è stata anche influenzata dalla crescente popolarità della musica rock 'n' roll. Giovani ribelli come Elvis Presley hanno introdotto uno stile più casual e informale, caratterizzato da jeans aderenti, giacche di pelle e camicie a scacchi. Questo look ribelle è diventato un'icona culturale e ha contribuito a plasmare l'abbigliamento giovanile negli anni a venire. Accessori e Dettagli Gli accessori hanno svolto un ruolo importante negli anni '50. Le donne spesso indossavano cappelli con ampi fiocchi, guanti eleganti e scarpe con tacco alto. Le borse erano piccole e raffinate, spesso abbinando il colore dell'abito. Gli uomini, d'altra parte, prestavano molta attenzione ai dettagli. Le cravatte erano una parte essenziale dell'abbigliamento maschile, e le scarpe erano spesso lucide e ben curate. Gli occhiali da sole erano un accessorio alla moda, con montature audaci e forme insolite che riflettevano lo spirito innovatore dell'epoca. Foto di copertina: https://pixabay.com/it/illustrations/retr-casalinga-famiglia-cucinando-1321078/ Read the full article
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L'arte del Trecce dei Capelli: Storia, Stili e Tendenze
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Il trecce dei capelli è un'arte antica che ha attraversato secoli di cambiamenti culturali e di moda. Questa pratica, che consiste nel intrecciare i capelli in intricati disegni, è stata una parte significativa delle tradizioni di bellezza in molte culture di tutto il mondo. In questo articolo, esploreremo la storia delle trecce dei capelli, i diversi stili e le tendenze moderne che continuano a rendere questa pratica così affascinante.
Storia delle Trecce dei Capelli
Le trecce dei capelli risalgono a tempi antichi, con evidenze di questa pratica che risalgono all'antico Egitto e all'antica Grecia. In queste culture, le trecce venivano spesso usate per esprimere lo status sociale, l'etnia e la religione. Ad esempio, gli antichi egizi creavano complesse trecce intrecciate con perline e gioielli per esprimere la loro ricchezza e posizione nella società.
Le trecce sono state anche un elemento chiave nelle culture africane, dove hanno rappresentato una forma d'arte e un mezzo per trasmettere la storia e la cultura di una persona. Queste trecce elaborate spesso includevano simboli culturali e messaggi.
Stili e Tecniche delle Trecce dei Capelli
Nel corso della storia, sono emersi numerosi stili di trecce dei capelli in tutto il mondo. Alcuni dei più iconici includono:
Trecce africane: Questi stili spaziano da trecce a scatola, a trecce senegalesi e trecce di corda. Sono noti per la loro complessità e la bellezza intrinseca.
Trecce francesi: Le trecce francesi, o "french braid," sono trecce che iniziano dalla fronte e si intrecciano man mano che si muovono verso la nuca.
Trecce olandesi: Le trecce olandesi sono simili alle francesi ma si intrecciano sotto, invece che sopra, i capelli.
Trecce a corona: Questo stile coinvolge l'intrecciare i capelli intorno alla testa per creare una sorta di "corona" di trecce.
Trecce a lisca di pesce: Queste trecce, conosciute anche come "fishbone braids," sono caratterizzate da sezioni di capelli sottili intrecciate per creare un effetto a forma di lisca di pesce.
Tendenze Moderne delle Trecce dei Capelli
Oggi, le trecce dei capelli sono più popolari che mai. Sono diventate una forma d'arte e un'espressione di stile personale. Le tendenze moderne includono:
Trecce colorate: Molte persone scelgono di tingere le trecce con colori vivaci o pastello per un look audace e alla moda.
Trecce a catena: Questo stile coinvolge l'intreccio di piccole trecce in una catena continua, creando un effetto unico.
Trecce decorate: L'uso di perline, nastri, e altri accessori per decorare le trecce è diventato molto popolare, aggiungendo un tocco di glamour e originalità.
Trecce con estensioni: Molte persone scelgono di utilizzare estensioni dei capelli per creare trecce più lunghe e più spesse.
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uwmspeccoll · 3 years ago
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Decorative Sunday Fashion:   The Menagerie of the Middle Ages
The Middle Ages are often viewed as the Dark Ages for want of enlightenment and with the Black Death bookending its perilous time. Yet a closer look shows the most novice scholar that the one-thousand-year period from the 5th century to the 15th century is rich with new kingdoms and hybrid cultures.
The Eastern Mediterranean hosted the Roman Empire in its Byzantine lore, while the conquest of the Umayyad Caliphate marched into Northern Africa and Spain, and Western Europe saw the Vikings land on their shores. Civilizations were blended, skilled trades were shared, and manuscripts such as the Divine Comedy abounded.
The Late Middle Ages saw the quick rise and fall of Joan of Arc whose premonitions from the archangel Michael sent her to King Charles VII of France where she became a confidante, military strategist, and gravely feared by the oppressed English rulers. Burned at the stake for heresy and supernatural powers, it was largely a political move to eradicate her power as royal soothsayer.
The ecclesiastical court that judged Joan of Arc may well have been fashioned with mitres just as Roman Catholic leadership was in her modern-era beatification. Original papal tiaras had three tiers representing the authority of sacred orders; silk and linen versions are adorned today and the opulent gold jewels have been shunned and given as symbols to the poor people of the world.
Just as the papal headgear evolved to suit changing sensibilities of society, so too did robewear. The houppelande was worn by both regal men and women of the Middle Ages, and today it is best seen in black on the shoulders of our Supreme Court.  The robes were collared in a variety of forms, standing up, V-neck, or perhaps in most recent memory, in the bejeweled style of the dissent collar.
My first fashion plate is titled "Joan of Arc Dress," armor and flames in style.  The remaining designs are similarly inspired; perhaps you can trace the muse through each iteration.
Here is a listing of sources from the UWM Special Collections which I have augmented with digital color and outline to emphasize particular details of my inspiration:
1, 10). photogravures by Lynd Ward in a tale of the Middle Ages, The Cloister and the Hearth, published by the Limited Editions Club in 1932.
2). My interpretation and contemporary design of the JOAN OF ARC Dress based on the illustration of Christian dress in the Middle Ages in Adolf Rosenberg's Geschichte des Kostums published by E. Weyhe in 1923.
3). My interpretation and contemporary design of the MITRE Dress based on common dress worn by Hebrew and Christian ecclesiastics, illustrated by Belle Northrup in A Short Description of Historic Fashion published by the Teachers College of Columbia University in 1925.
4, 6). My interpretation and contemporary design of the HOUPPELANDE Dress based on garments of the Middle Age illustrated by Paul Louis de Giafferri in The History of French Masculine Costume published by Foreign Publications in 1927.
5) Byzantine costume plate in the United States Work Projects Administration Museum Extension Project publication, Costumes of the World, 100 Hand Colored Plates from Ancient Egypt to the Gay Nineties, 1940.
7) "Indiano" motifs through the Middle Ages, plate XXXVIII in Gli Stili Nella Forma e nel Colore, Rassegna dell' arte antica e Moderna di Tutti i Paesi, published by Crudo & Co. in 1925.
8) Christian tapestry, plate 57 in Alexander Speltz’s The Coloured Ornament of All Historical Styles, Part I: Antiquity.  Leipzig, GE: Baumgärtner, 1915.
9) German expressionist oil painting by Melanie Kent Steinhardt which evokes a common perception of life in the Middle Ages, in The Life and Art of Melanie Kent Steinhardt, published by Rabbit Hill Press in 2002.
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—Christine Westrich, MFA Graduate Student in Intermedia Arts
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ilarywilson · 5 years ago
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(5 maggio 2076)
Non sembra passarsela bene quella costruzione, a dire il vero, e forse per decidere di mettervi piede occorre un atto di fede più che di fiducia, eppure sporgendosi un poco in avanti oltre il corpo della ex Grifonodoro è un °Alohomora° non verbale che dovrebbe consentire di aprire la porta per dar luce - si fa per dire - ad un ambiente non tanto grande cui, se non altro, la Serpeverde ha provveduto a dare maggiore visibilità con una serie di globi di luce. «Di questo magari parleremo poi» Cicerone in versione veloce, a quanto pare, nel cercare di indirizzarsi  verso quella che a tutti gli effetti appare come una botola, posta nel retro dell`edificio. «Praticamente...» esordirebbe solo da ultimo, adocchiando il pozzo nero appena appena rischiarato verso cui le chiederebbe infine di scendere ,attraverso una scala a chiocciola stretta e contorta. «Potrei aver trovato casa. E lavoro» pulisce cantine, che avete capito?
«Ti servirà un architetto» retorico e divertito, visto lo stato di quella che lei chiama già "casa". «E un`arredatrice di interni» ammiccandole pericolosamente nel far riferimento a se stessa.
«Perspicace, Wilson. Anche se non vuol dire che avrai pergamena bianca. E potrai pensare solo al piano di sotto» ovvero quello in cui si trovano «che sarà casa mia. Niente colori confetto, pastello, cose vive che piacciono a voi» generico. «Ricorda che sono una Serpeverde che ha vissuto splendidamente nei sotterranei... e conosce un Convercoloris» soprattutto.
(31 maggio 2076)
Durante la giornata del 31, la Wilson ha probabilmente tolto le tende definitivamente dal Pozzo di San Patrizio; il faccino giulivo di chi abbia terminato un duro lavoro di cui è piuttosto soddisfatta. L'andirivieni di misteriosi scatoloni formato tascabile non sarà passato inosservato  da quando il negozio ha inaugurato; per quanto la Wilson si sia impegnata a cercare di fare la misteriosa (...) muovendosi di soppiatto e abbia sinceramente sperato che Anne non sbirciasse di sotto prima del tempo. Un origami a forma di arcobaleno è stato posizionato sul bordo del pozzo che permette la discesa al seminterrato aka Neo Casa Burton. Dispiegandolo, la Somma troverà solo poche parole vergate dalla calligrafia tondeggiante della Wilson, in inchiostro multicolor.
Ora puoi scendere. W.
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Il seminterrato che le è stato commissionato è finalmente un posto abitabile e degno d'essere chiamato "casa" o "tana", che è forse la parola d'ordine cui s'è ispirata Miss Wilson nello scegliere arredi e colori. L'ambiente è stato mantenuto unico (Ilary odia le porte e le uniche cose a chiudersi saranno forse solo le finestre e la porta del bagno): dunque una volta scese le scale ci si trova davanti a un ampio open space le cui diverse stanze sono segnalate unicamente dai colori e dagli stili differenti delle pareti. 
Un verde scuro pieno e liscio caratterizza i muri del salotto, righe verticali verde scuro e panna avvolgono le pareti della cucina, mentre la pietra è per la camera da letto (perlomeno per la parete dietro al letto, le le restanti due sono tinte di un antracite che richiama il colore della pietra).
Il pavimento è un parquet di noce scuro, ma con un tocco di bacchetta si trasformerà in una pietra che ricorda quella dei corridoi di Hogwarts, a prova di artigli. E' insomma un pavimento reversibile, double face, reso accogliente e confortevole da tappeti morbidosi che urlano "camminami scalza sopra". Non letteralmente, tranquille. 
In prossimità dei divani in scamosciato verde bottiglia, il tavolino in vetro ospita un piantina arcobaleno ancora chiusa nella sua boccia (ops, una cosa viva): i caratteristici fiori bianchi simili alle gerbere attendono d'essere sfiorati e legati per sempre alla loro proprietaria, della cui aura assumeranno le sfumature.
Le lunghe finestre (forse più aguzze di come erano in origine) affacciano ad altezza della strada ma non per questo sono meno in grado di far entrare la giusta quantità di luce che illumin la zona (a) giorno. Tirando le tende (velate e impalpabili, d'un verde decorato da foglioline argentate) si scopre però come quelle siano incantate per oscurarsi interamente; tagliando fuori la luce e creando un buio totale che risulterà rischiarato solo dai baluginii acquatici che si proiettano magicamente sulla loro superficie, creando bagliori verdognoli e azzurrini che illudono di trovarsi sott'acqua o -diciamo- sotto il livello del lago. Le tende risultano dunque fiocamente retroilluminate e i giochi che la luce sembra riversare su di loro dopo aver attraversato uno specchio d'acqua si proiettano anche -ballerini- sul resto delle pareti circostanti.  
"Nessuno guarda mai i soffitti" ha sempre protestato Miss Wilson, perciò non sappiamo quando Anne se ne accorgerà, ma sul soffitto proprio sopra il letto a due piazze si apre un oblò incantato. Oltre lo spesso vetro che compone questo insolito lucernaio, sembrano proprio agitarsi le acque inquiete del Lago Nero. Riflessi e baluginii verdognoli anche qui, laddove l'oblò resta fiocamente retroilluminato come lo potrebbe essere di notte il fondo di un lago tanto profondo. A tratti transitano bolle, alghe ondeggianti e persino tentacoli lilla che non sembrano proprio quelli della piovra gigante. Nel silenzio totale si può quasi sentire lo sciabordio ovattato e rilassante del movimento delle acque e, aguzzando la vista, un post-it giallo canarino tira un pugno in un occhio all'atmosfera da Sala Comune Slytherin che Illy s'è tanto impegnata a ricreare anche coi candelabri argentati decorati da stilosissime ragnatele (simili a fili di luce) che stanno appesi ai soffitti e poggiati (in versione mignon) su qualche mobile. 
La calligrafia tondeggiante della Wilson è ancora una volta riconoscibile e spicca in inchiostro nero sul giallo fluorescente del magi-post it; brillante anche nel buio.
Possiamo disincantare tutto se non ti piace. Non ti arrabbiare, potrei aver fatto entrare Duffany per aprirti un oblò sul lago nero. Ma ne è valsa la pena, no? Saluta Lillà.  Sleep safe.
Illy
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fotopadova · 4 years ago
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Viaggio nella fotografia italiana del novecento: dalle associazioni agli anni sessanta
Viaggio nella fotografia italiana del novecento: dalle associazioni agli anni sessanta
di Silvia Berselli da https://www.collezionedatiffany.com/ 
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Lotto 482 - MARIO GIACOMELLI, Gabbiani,1980 ca. Stampa fotografica vintage alla gelatina sali d'argento. Timbro dell'autore al verso. cm 30,5 x 40,5 Valutazione € 800 - 1.200. Venduto € 2.125. Courtesy: Il Ponte Casa d'Aste.
L’anno 1947 segnò un momento importante per la fotografia italiana del Novecento. In quell’anno due autori con stili molto differenti, ma con la stessa forte personalità, posero le basi per una nuova e divergente stagione fotografica.
Giuseppe Cavalli (1904-1961) pubblicò in quell’anno il suo manifesto ideologico nella pagine della rivista “Ferrania”. Promotore del gruppo “La Bussola” e caposcuola di una visione formalista della fotografia vicina all’estetica idealista di Benedetto Croce, era mosso dal desiderio di “allontanare la fotografia, che avesse pretese di arte, dal binario morto della cronaca documentaria”.
Il Gruppo era composto da Mario Finazzi, Federico Vender, Ferruccio Leiss e Luigi Veronesi che prediligevano fotografie astratte, nature morte o paesaggi dalle atmosfere surreali. Lo scontro fu inevitabile con tutti quei fotografi che vedevano nell’impegno sociale e nella documentazione della realtà la vera natura della fotografia, come gli aderenti al Gruppo Friulano per una Nuova Fotografia.
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Lotto 26 – PAOLO MONTI, Chimigramma, 1961. Stampa fotografica vintage con interventi chimici. Pezzo unico. Firma dell’autore e data al verso. Opera in cornice. cm 28 x 23 (cm 63 x 58). Valuttazione € 1.400-1.500. Venduto € 1.625. Courtesy: Il Ponte Casa d’Aste
A Venezia Paolo Monti (1908-1982) fondò il Circolo Fotografico “La Gondola”, nell’ottica di «sviluppare l’autonomia della fotografia, accentuandone i limiti, esprimendosi liberamente senza lasciarsi intimidire dalle regole troppo numerose decretate da chi non sa sopportare il rischio di una completa libertà di espressione».
Alla Gondola aderirono negli anni Fulvio Roiter, Gianni Berengo Gardin e Gino Bolognini. Monti, che aveva una visione più ampia della fotografia, riteneva controproducente il fatto di schierarsi con i formalisti o con i documentaristi; volontà apparsa chiara fina dalla scelta del termine circolo rispetto a gruppo per identificare La Gondola.
Inoltre, egli conosceva i grandi maestri americani come Minor White o Aaron Siskind dai quali aveva attinto una personale perizia tecnica nella stampa dell’immagine. 
I gemelli Emanuele e Giuseppe Cavalli
   Giuseppe Cavalli, uomo colto ed accentratore, ritiratosi in un piccolo comune come Senigallia, fu una figura centrale nella fotografia italiana. Il suo stile, personale ed inedito nel panorama internazionale lo portò a lavorare su immagini dai toni delicatissimi o dai bianchi accecanti, nelle quali trovano posto leggere sfumature di grigio, mentre il nero era quasi bandito.
In antitesi al lavoro dei grandi maestri internazionali che consideravano questo il tono attorno al quale costruire l’immagine in un periodo storico in cui il concetto di “colore” era ancora lontano.
La figura di Giuseppe è stata in parte studiata e i suoi lavori sono presenti in importanti collezioni museali, mentre ancora molto poco si conosce del fratello gemello Emanuele Cavalli (1904-1981) pittore vicino alla Scuola romana e figura centrale nella crescita artistica di Giuseppe.
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Lotto 195 – EMANUELE CAVALLI, Stampa fotografica vintage alla gelatina sali d’argento, Firenze 1950-51. Timbro Eredi Cavalli al verso. cm 17 x 23. Bibliografia/Literature Valeriana Rizzuti, “Emanuele Cavalli fotografo”, Quaderni di AFT, Prato, 2008, pag. 54. Venduto € 3.750. Courtesy: Il Ponte Casa d’Aste
Le fotografie di Emanuele, decisamente più graffianti, presentano una carica grottesca e ironica estranea ai lavori più formali del fratello. La rivalità che lega i due e la complessità degli scatti di questi autori, a volte attribuiti all’uno a volte all’altro, restano un’affascinante pagina della fotografia italiana ancora tutta da studiare.
“La Bussola” era un piccolo feudo di pochi eletti su cui regnava incontrastato Giuseppe Cavalli che nel 1953, auspicando un ricambio generazionale,  decise di creare l’Associazione Fotografica Misa.
Tra i nuovi soci c’erano giovani fotografi come Mario Giacomelli, Piergiorgio Branzi e Alfredo Camisa che, insieme a Pietro Donzelli, rinnovarono la fotografia alla fine degli anni Cinquanta con stile e raffinatezza ponendo fine alla disputa tra forma e contenuto che aveva contrapposto tanti autori del dopoguerra.
Mario Giacomelli il poeta
   Mario Giacomelli (1925-2000) è un ‘gigante’ della fotografia italiana e non solo. Nato in provincia, di umili origini e con una modesta educazione, ha saputo rivoluzionare dal basso il modo di fare fotografia. Legato alla terra, al mondo rurale e ai suoi abitanti, il suo sguardo è molto lontano da quello dei neorealisti. Egli piega, plasma e modella il mezzo fotografico per dare voce al suo sentire.
Il mondo per Giacomelli non è da documentare, la sua è un’operazione di stravolgimento, nulla è meno verosimile di un suo scatto. La realtà diventa il tassello – aggiunto, sovrapposto o annerito – che gli permette di dar forma al suo mondo interiore fatto di sogni e incubi, di luci e ombre “ogni immagine è il ritratto mio, come se avessi fotografato me stesso”.
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Lotto 101 – MARIO GIACOMELLI, Paesaggio,  1980 ca. Stampa fotografica vintage alla gelatina sali d’argento. Valutazione € 2.000 – 2.500. Venduto € 3.500. Courtesy: Il Ponte Casa d’Aste
La fotografia diventa un materiale malleabile nelle mani di Giacomelli, da incidere in camera oscura. I paesaggi marchigiani si trasformano in un’inchiostrata calligrafia fatta di segni; gli anziani dell’ospizio diventano fantasmi evanescenti, fragili e poetici; i pretini sono dervisci danzanti senza tempo.
«Prima di ogni scatto c’è uno scambio silenzioso tra oggetto e anima, c’è un accordo perché la realtà non esca come da una fotocopiatrice, ma venga bloccata in un tempo senza tempo per sviluppare all’infinito la poesia dello sguardo che è per me forma e segno dell’inconscio».
Gli anni Sessanta e la decostruzione del mezzo fotografico
   L’intero paese, il mondo dell’arte in particolare, ebbe in Italia tra gli anni Sessanta e Settanta una spinta innovativa straordinaria. Oggi, infatti, artisti italiani di allora sono tra i più ammirati nei musei di tutto il mondo e i loro nomi risultano ai primi posti nelle classifiche di vendita.
Autori come Ugo Mulas, Paolo Gioli, Franco Vaccari, Mario Cresci restano ai più sconosciuti tanto che le loro opere si possono acquistare con poche centinaia di euro. Come si è già verificato in altri contesti, sono i migliori studiosi stranieri a ricordarci il valore artistico dei nostri autori.
Quentin Bajac, già direttore del dipartimento di Fotografia del MOMA, sottolinea come i fotografi italiani abbiano un primato: «La grande decostruzione del mezzo fotografico attuata negli anni Sessanta e di cui il contesto italiano è stato in Europa l’attore principale con i lavori di Pistoletto, Paolini, Jodice, Mulas, Di Sarro o Gioli. In nessun’altra scena artistica europea è stata condotta – con la stessa costanza, e nello stesso periodo – un’azione simile di indagine del mezzo fotografico».
Le riflessioni sui linguaggi, che serpeggiavano nel mondo dell’arte concettuale, trovarono risposta nei lavori fotografici con forme e contenuti innovativi.
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Lotto n° 455 – UGO MULAS, Alberto Burri, 1960 ca. Stampa fotografica vintage alla gelatina sali d’argento. Timbro dell’autore al verso. Opera accompagnata dall’autentica dell’archivio Ugo Mulas. Opera in cornice cm 32 x 42 (cm 26 x 37). Venduto € 3.500. Courtesy: Casa d’Aste Il Ponte
Ugo Mulas (1928-1973), già noto per il memorabile reportage sugli artisti di New York, pubblica poco prima della sua giovane dipartita le Verifiche “nel 1970 ho cominciato a fare delle foto che hanno per tema la fotografia stessa, una specie di analisi dell’operazione fotografica per individuarne gli elementi costitutivi e il loro valore in sé”.
Lotto n° 123 – FRANCO VACCARI, 700 Km di esposizione Modena Graz, 1972. Opera composta da venti stampe vintage a colori procedimento cromogeno applicate su cartone con testi manoscritti ad inchiostro. Testo, firma dell’autore, data e 46/60 al recto. Opera in cornice. cm 99 x 69 (cm 103 x 73). Venduto € 5.625. Courtesy: Il Ponte Casa d’Aste
Franco Vaccari (1936) utilizza il mezzo fotografico in relazione alle sue riflessioni connesse allo spazio e al tempo, organizzando delle performance che chiamerà Esposizioni in tempo reale. Nel 1972 partecipa alla Biennale di Venezia e scrive: “ho esposto una cabina Photomatic (una di quelle che si trovano nelle grandi città per realizzare le fototessere) ed una scritta in quattro lingue che incitava il visitatore a lasciare una traccia fotografica del proprio passaggio. Io mi sono limitato ad innescare il processo facendo la prima photostrip, il giorno dell’inaugurazione; poi non sono più intervenuto. Alla fine dell’esposizione le strip accumulate erano oltre 6000”.
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Lotto n° 130 – PAOLO GIOLI, Film finish – ritmo figura, 1979. Stampa fotografica vintage alla gelatina sali d’argento. Firma dell’autore, titolo e data la verso. cm 24 x 17,5 Bibliografia/Literature Roberta Valtorta, “Paolo Gioli”, Art&, Udine, 1996, pag.19 (variante). Venduto € 1.875 Courtesy: Il Ponte Casa d’Aste
Paolo Gioli (1942) si dedica allo studio dell’immagine e della visione nel cinema e nella fotografia, affascinato dai principi dell’ottica. Azzera il fare fotografia ripartendo dalle origini, il foro stenoeco ma anche la spiracolografia: un omaggio a Leonardo dove l’immagine è ottenuta utilizzando il pugno della mano come macchina fotografica. Gioli esplora le diverse tecniche fotografiche manipolando e ricostruendo le immagini come nelle polaroid trasferite in omaggio ai proto-fotografi.
Mario Cresci (1942) usa la fotografia ad ampio raggio mischiando generi e linguaggi: installazioni, grafica, urbanistica e antropologia. Nel 1968 crea uno striscione antimilitarista, composto da immagini note e “trouvè” che srotola dalla finestra di un palazzo romano; nel 1969 crea un’installazione di mille scatole trasparenti con all’interno uno spezzone di pellicola con riproduzione di oggetti di consumo. L’interesse sociale di Cresci lo spinge a Tricarico e Matera dove lavora utilizzando in chiave concettuale gli studi di antropologia.
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Lotto n° 146 – MICHELE ZAZA, Mimesi, 1975. Opera composta da dodici stampe fotografiche vintage alla gelatina sali d’argento. Firma dell’autore sul cartoncino di montaggio delle singole fotografie. Opera in cornice. Opera accompagnata da autentica. (cm 18 x24 cad.). Venduto € 15.000. Courtesy: Il Ponte Casa d’Aste
Il Sud, la terra, le origini sono temi che si ritrovano in questa nuova lettura delle relazioni famigliari nei lavori di Michele Zaza (1948). Il padre, la madre e il pane sono gli elementi di una “primordialità” ricorrente che si misura con l’espressione del corpo e del tempo. Essere stato un artista-fotografo e non un artista-artista ha certamente penalizzato il lavoro di Zaza malgrado avesse, come altri colleghi, esposto a New York da Leo Castelli e partecipato alla Biennale di Venezia.
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Silvia Berselli
Laureata in Storia dell’Arte, si occupa da molti anni di conservazione, restauro e valorizzazione della fotografia. La sua formazione è avvenuta presso l’International Museum of Photography di Rochester New York e l’Atelier de Restauration des Photographies del Comune di Parigi. Accanto alla docenza universitaria presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e l’Università di Udine ha diretto i dipartimenti di Fotografia per le case d’aste Bloomsbury, Minerva e Bolaffi: attualmente ricopre questo incarico per la Casa d’Aste Il Ponte. E’ perito per il settore fotografico di Axa Assicurazioni, ha collaborato con numerose istituzioni del Ministero dei Beni Culturali.
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Capitolo 55 - Il vino, i puzzle e i suonatori di cucchiai (Prima Parte)
Nel capitolo precedente: Eddie e Angie si svegliano a casa di lei. E’ la terza volta di fila che dormono assieme ma, sebbene Eddie la stuzzichi in continuazione, non hanno ancora fatto l’amore. Angie comincia a farsi paranoie anche su questo ed è convinta ci sia qualcosa che non va. Eddie, Stone e Mike si recano da Roxy la mattina stessa, proprio durante il turno di Angie. Lui le fa delle battutine, le lancia dei messaggi d’amore subliminali attraverso le canzoni del juke box, poi la segue nel retro e la bacia; lei pensa lo faccia apposta per far sì che i loro amici li scoprano. I due discutono brevemente, ma poi si riappacificano subito. Meg rivela ad Angie il suo nuovo progetto: diventare una tatuatrice. Capisce inoltre che Angie ha qualche preoccupazione e fa in modo di far sputare il rospo all’amica, che le confessa i suoi dubbi circa l’attrazione fisica di Eddie nei suoi confronti. Meg cerca di farla ragionare e le suggerisce di organizzare un’altra serata con Eddie, stavolta particolarmente romantica.
***
“Ian, puoi venire qui un secondo?” chiamo il mio collega mentre sfoglio il blocco da disegno che la mia coinquilina mi ha appena passato in cassa assieme agli acquisti. “Che c'è?” lo sento rispondere in lontananza. “Ho bisogno di te” “Non puoi fare da sola? Quel tizio che ha fatto cadere il ragù alla bolognese ha combinato un casino!” “Pff se quello è ragù alla bolognese io sono Julia Roberts!” il commento mi scappa proprio nel momento in cui Hannigan, probabilmente attratto dal trambusto, ritorna dal magazzino. “ANGIE?” mi guarda in cagnesco e io vorrei sotterrarmi. “Ehm nel senso che è una salsa prodotta nella nostra amata America! Sano cibo americano, gustoso e nutriente… che trae ispirazione da una ricetta italiana per… per…” cerco di recuperare rivolgendomi al mio pubblico costituito da Meg, che mi guarda come se stesse per scoppiare a ridere, il mio capo e due clienti perplessi, un ragazzo e una signora sulla cinquantina. “Per darne una nuova interpretazione?�� suggerisce il ragazzo dal reparto snack. “ESATTO! Una nuova interpretazione. Diversa dall'originale” “Ma altrettanto valida” aggiunge il boss. “Validissima!” esclamo a denti stretti. “E’ mezza italiana.” spiega Meg parlando ai clienti “Deve rompere il cazzo su tutto, ma il sugo è buono” Il ragazzo ridacchia e la signora scuote la testa e si dirige verso i surgelati. “Avrei gradito evitassi l'uso della parola cazzo, ma hai riassunto perfettamente il mio pensiero” il volto di Hannigan si rasserena e io forse ho ancora un posto di lavoro. “Comunque è tutta colpa di Ian” preciso non appena vedo apparire il mio collega alle spalle del capo. “E io che c'entro?” “Ti ho chiamato e non sei venuto” “Beh adesso sono qua, che c'è?” “Adesso c'è lui, non ho più bisogno” “Mi spiegate che cazzo succede? Non ci sto capendo un cazzo” sbotta il capo nel mezzo del nostro battibecco. “Pensavo che la parola cazzo non si potesse dire” Meg interviene alzando la mano come se fosse a scuola. “Ai clienti no, ai dipendenti sì” “Meg deve comprare del vino” indico la mia coinquilina e la bottiglia che ha piazzato sul bancone. “E allora? Stacchi alle 13, hai ancora dieci minuti” Ian mi rivolge uno sguardo da pesce lesso e in questo momento gli infilerei due dita negli occhi. “Non è per l'orario, è che io non posso venderglielo…” “Ah già! Beh, ci pensi tu?” domanda al nostro principale. “Sì, certo Ian! Ci penso io, sono già qui! D'altronde perché far lavorare i miei dipendenti stipendiati quando posso fare tutto da me, no?” “Uhm… allora vado a buttare un altro po’ di segatura su quella macchia” Ian si allontana e Meg stavolta non si trattiene e scoppia a ridere senza ritegno. “Ahah non ce la fa! Comunque fa ridere che non puoi vendermi il vino, considerato che poi te lo berrai tu alla faccia mia” commenta Meg mentre Hannigan batte lo scontrino della sua spesa: bottiglia di rosso, pane in cassetta, salmone, formaggio, burro e snack vari. “Certo che anche tu, non ce la fai proprio, eh?” mi nascondo la faccia tra le mani. “Potresti evitare di dirmelo, almeno…” borbotta il capo scuotendo la testa. “Che? Dire cosa? Non ho parlato! Oops, stavo per dimenticarmi il dolce, aspetta un secondo!” Meg capisce di aver fatto una stronzata e fa la gnorri, allontanandosi verso il reparto dolci. “Comunque scherzava eheh” ribadisco sperando non noti che sto sudando. “Ovviamente”
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“Sono fighissimi!” “Grazie Meg per aver fatto la spesa per me e averla portata su per quattro piani… hai detto questo, vero?” la mia amica sistema tutto in frigo mentre io continuo a sfogliare il suo album di schizzi. “Precisamente” “Comunque non devi dire che ti piacciono solo per farmi contenta, voglio un parere sincero” “Sono sincera! Devo dire che preferisco quelli in bianco e nero” “Vero? Non mi sento ancora sicura col colore. Cioè, non è che non sappia fare disegni a colori, solo che nel momento in cui faccio qualcosa e lo coloro e penso che dovrebbe andare sulla pelle di qualcuno, finisce che mi sembrano tutte delle cagate, ne ho fatti pochissimi colorati” “La serie dei fiori è perfetta, anche quella degli animali” è davvero brava a disegnare, l'ho sempre sostenuto. “Sono solo scarabocchi per cominciare, per provare un po’ di temi e stili diversi” “Non sono scarabocchi… e questo?” mi soffermo su un disegno fatto su un foglio volante, piegato e inserito in mezzo al blocco, che mi cade a terra mentre giro le pagine. “Quale?” Meg si volta distrattamente per poi sbattere lo sportello del frigo e correre a prendermi il foglietto dalle mani non appena vede di che si tratta “Oh questo? Questo non è niente, questo… l'ho fatto l'altra sera al salone nei tempi morti, è una schifezza” E’ una pagina composta interamente da tessere di un puzzle, tutte diverse per forma e sfumatura, che però non compongono nessun disegno. Sono tutte vuote e riempiono il foglio completamente, tranne che per un piccolo spazio, una tessera mancante. Al posto della tessera, nello strato sottostante, s'intravede ciò che sembra carne viva e tessuto muscolare, che è anche l'unica parte colorata del disegno. “E’ semplice, ma di effetto. Quello potrebbe essere davvero un tatuaggio” “Dici?” “Sì! Sembra anche molto realistico. E inquietante, ma in senso positivo! Mi piace” “Oh beh, grazie” “Che significa?” “Che ti ringrazio del complimento?” “Ahaha no, che significa il tatuaggio?” “Ah” “C'è sempre un significato dietro, no? Quale sarebbe il significato di un tatuaggio così?” “Beh ma… ma questo non è un tatuaggio è solo un esercizio di stile, non c'è un ragionamento dietro” “No?” “No! Ok, presumo che potrebbe rappresentare, boh, un pezzo mancante nella vita di una persona? Voglio dire, tutti abbiamo un vuoto dentro, no? Nessuno si sente completo al 100%, c'è sempre una tessera del puzzle che non troviamo o che abbiamo perso per strada. E può essere tante cose: una persona, una passione, uno scopo nella vita. Tu che dici?” “Che sarebbe un tatuaggio di coppia perfetto” “Di coppia? Ahahah non ti facevo così sentimentale!” “Non necessariamente coppia di fidanzati. Anche solo tra due veri amici. O fratelli. Pensaci, uno si tatua il puzzle incompleto e l'altro si tatua il pezzo mancante, che si incastra perfettamente” “E’ un'idea. Dovrebbe rappresentare un legame forte. Tra fratelli… o anche tra un genitore e un figlio” “Sì beh, anche” non è detto che sia sempre forte. “Una madre… una madre potrebbe farsi questo, con uno o più pezzi mancanti a seconda di quanti figli ha. E i figli saranno le tessere mancanti” e se invece i pezzi perduti fossero i genitori? “E poi tu gli tatuerai quelle belle braccine pacioccone da neonati” “Ahahahah scema, lo possono fare da grandi. OPPURE… le tessere mancanti si possono fare nello stesso tatuaggio, un po’ più in là” Meg prende il blocco dalle mani e comincia a fare uno schizzo mentre mi parla, presa da un improvvisa ispirazione. “Ci puoi mettere anche il nome. O le iniziali” “Di chi?” “Del bambino. Nel pezzo del puzzle” “Certo, a sapere il nome” “In che senso? Ahaha come fai a non sapere il nome?” Meg mi guarda stranita, poi sorride: “Nel senso, se solo mi venisse in mente un nome per fare una prova” “Prova con Angie” le dico ridendo sotto i baffi. “Uno a caso” “A casissimo” “E’ inutile che ci provi, tanto non me lo faccio un tatuaggio di coppia con te, scordatelo” scuote la testa mentre inizia a tratteggiare una A in corsivo all'interno del disegno. “FIGURATI! Ho paura dei buchi alle orecchie, secondo te adesso mi faccio un tatuaggio, sei pazza?!” “O te lo vuoi fare con Eddie?” “Dai, muoviti, c'è dello shopping che ci aspetta” “Ahah questo entusiasmo da parte tua mi sorprende, l'astinenza fa brutti scherzi” “MEG!”
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“E secondo te una sottoveste da puttanella la troviamo al negozio dell'usato?” Meg non modera il tono della voce quando mi fermo davanti all'entrata di Rummage Hall. “Shhhhhh! Non devo comprare una sottoveste da puttanella, che cavolo dici?” “Come no? Siamo uscite espressamente per questo” “Avevi detto che dovevo mettere qualcosa di carino, senza esagerare. Non voglio esagerare, se no Eddie capisce…” “Scusami, lo scopo del tutto non è proprio quello? Far sì che capisca?” “Beh sì” “E allora, puttanella sia!” Meg entra nel negozio e io la seguo a ruota. “Shhhhhhhhhhhhhhh” “Comunque qui non troveremo un cazzo” la mia amica si dirige a lunghe falcate nel reparto abbigliamento. “Dove mi volevi portare, da Nancy Meyer? Non ho i soldi per quella roba” “No, ma Fantasy Unlimited è qui a due passi” “MA QUELLO- ehm… quello è un sexy shop” alzo la voce anch'io senza rendermene conto, per poi zittirmi da sola. “Appunto, devi essere sexy stasera, no? E comunque hanno cose molto carine, ci ho preso un sacco di roba, che per la cronaca uso anche per andare a ballare. Beh, ormai solo per quello” commenta facendo spallucce mentre esamina una vestaglietta in simil-raso, per poi rimetterla a posto. “A te bastano due triangoli di stoffa per essere vestita e stare bene, Meg, per me è leggermente diverso” “Ci vogliono solo dei triangoli un po’ più grandi, che problema c'è?” “Il problema è che non esistono triangoli abbastanza grandi per me” “Ma figurati!” “E poi non so se a Eddie piacerebbe, insomma, non so i suoi gusti” magari questo tipo di artifici di seduzione non gli piacciono, magari preferisce uno stile più semplice, un approccio più naturale. Perché cazzo non sono naturalmente figa? “E’ un ragazzo, è etero, quali vuoi che siano i suoi gusti? Più carne vede più è contento” è la risposta alquanto semplicistica di Meg. “La mia carne?” “Sì, perché?” “Ce n'è fin troppa nel mio caso, forse sarebbe più sensato nasconderla” chi voglio prendere in giro? Non basta mettersi una cosa addosso per trasformarsi in una ragazza attraente. Bisogna anche essere in grado di portarla e sentirsi a proprio agio in quei panni. Io non mi sento a mio agio nemmeno adesso che ho il cappotto. Non sono mai a mio agio, tranne a volte, con Eddie. Perché rovinare tutto? Mi faccio trovare così, col cappotto. O con la vestaglia di pelo, tanto ormai è abituato ai miei look di merda, niente di nuovo sotto il sole. “Angie, che cazzo dici?? Vuole vedere la tua carne perché gli piaci, pensavo che questo punto fosse ormai chiarito” “Gli piaccio, nell'insieme” “No, fanculo l'insieme, fanculo il cervello e le altre cazzate” “Cazzate?” “Angie, gli piaci fisicamente, gli fai sangue, ti vuole” “Mi vuole così tanto che devo vestirmi da puttanella per farmi notare?” “Il punto non è farti notare, è qui che non hai capito un cazzo. Ti ha già notata, praticamente state insieme! Il punto è solo fargli capire che sei pronta e disponibile al passo successivo. E stimolarlo un pochino, scaldare un po’ l'ambiente” “Se lo dici tu” scaldare l'ambiente eh? “Angie, cazzo, mi farai venire un esaurimento!” Meg si stringe la radice del naso tra le dita e temo che stia davvero per sbottare. “Non urlare! C'è gente” protesto guardandomi attorno imbarazzata e sperando che nessuno stia sentendo la nostra conversazione. “Scusa una cosa, quando siete insieme non noti niente in lui?” “In che senso?” “Quando vi baciate o vi abbracciate… quando pomiciate, insomma” “Beh, sembra preso… sì, sembra molto coinvolto e mi guarda sempre in maniera molto-” “Ok ok, gli occhi dell'amore, ma a parte quello, non senti niente?” “Che devo sentire?” “Dico, dormite pure assieme” “Puoi essere più chiara” “Non hai mai sentito… bussare?” “Bussare?” “Mini-Eddie non si alza per dirti ciao?” “Mini… MEG MA CHE CAZZO??” “Gli viene duro? L'avrai notato, no?” “MA SEI IMPAZZITA?!” “Shhh non urlare, c'è gente” Meg sghignazza e io la prenderei a testate. “Tu sei da ricovero” la prendo per la manica della giacca e faccio per trascinarla fuori dal negozio con me, ma lei mi spinge nel reparto libri. “Mamma mia come sei bacchettona” “Non sono bacchettona, sono solo… discreta!” “Ok, discretamente, non hai mai sentito se gli viene duro o no?” “A parte il fatto che non vuol dire niente” “Oh certo, adesso a Eddie vengono erezioni random, dopotutto è in piena età puberale!” “Tu scherzi, ma guarda che è vero. L'erezione non è necessariamente legata solo all'eccitazione sessuale. Sai che si possono avere erezioni anche in punto di morte in determinate condizioni?” “Oh davvero? E quante volte è morto Eddie di recente?” ribatte sorniona. “Comunque, a parte questo… non sono affari tuoi” mi giro dall'altra parte, facendo l'offesa, e guardando verso il reparto abbigliamento, dove eravamo fino a cinque minuti fa, avvisto una cosa che non avevo notato prima. “Tanto lo so già!” mi urla dietro Meg mentre mi allontano verso l'oggetto del mio interesse, prima di raggiungermi alle spalle sbuffando “Dai non ti arrabbiare, ti chiedo scusa. Volevo solo provare la mia tesi! E stuzzicarti un po'” “Che ne dici di questa?” mi volto mostrando alla mia amica il capo che ho appena tirato giù dallo stand. “Dico che… considerato che si tratta di Eddie, neanche da Fantasy Unlimited troveremmo una cosa migliore per stimolare la sua fantasia. Aggiudicata!”
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Sono a metà strada tra il primo e il secondo piano quando mi rendo conto di aver preso le scale anziché l'ascensore. Mi fermo un attimo, con un piede su un gradino e l'altro su quello più in alto, contemplando quanto sono scemo e cercando di risalire al momento in cui ho inserito il pilota automatico e concludo di aver perso un po’ la lucidità nel momento in cui ho parcheggiato sotto casa di Angie. Il portone era aperto? Credo di sì, perché non ricordo di aver suonato e me lo ricorderei se avessi sentito la sua voce, anche attraverso quel merdoso citofono gracchiante. A quanto pare, passare più tempo assieme non ha cambiato l'effetto che l'idea di vederla ha su di me. Spero non cambi mai. Scuoto la testa e riprendo a salire le scale, due per volta, per arrivare prima. Non ho propriamente corso, ma quando arrivo al quarto piano mi sento accaldato. Faccio un bel respiro, mi sistemo meglio lo zaino in spalla e mi avvio lungo il corridoio verso l'appartamento di Angie. La prima cosa strana che noto è un suono: il suono di un sassofono, che diventa sempre più forte man mano che vado avanti. La seconda stranezza mi si presenta non appena giro l'angolo e vedo che la porta di casa di Angie ha qualcosa che non va. Avvicinandomi mi accorgo che la lampada del corridoio proietta un sottile fascio di luce sulle piastrelle del pavimento all'interno dell'abitazione ed è lì che capisco che la porta è semi-aperta. Da quel che so, Angie si chiude a chiave a doppia mandata anche quando va in bagno ed è sola in casa, non lascerebbe mai la porta d'ingresso aperta. Mi avvicino lentamente e nel frattempo apro lo zaino e ci infilo la mano dentro per trovare un oggetto contundente da usare come eventuale arma di difesa. Mi scoccerebbe sprecare del buon vino fracassando la bottiglia sulla testa di un fantomatico ladro, ma dubito che la videocassetta di Harold e Maude sortirebbe lo stesso effetto. Afferro la bottiglia per il collo mentre spingo la porta ed entro con circospezione nell'appartamento, notando subito due cose. Prima di tutto vedo che c'è qualcosa a terra, all'inizio mi sembrano pezzi di un oggetto colorato andato in frantumi, ma quando mi chino per capire meglio di cosa si tratta, prendo in mano alcuni di questi frammenti e scopro che non sono altro che fiori, abbandonati sul pavimento. Continuo facendo a tastoni a terra in cerca di acqua o di pezzi di vetro di un vaso caduto e rotto, ma non trovo nulla. Pensandoci, almeno fino a ieri, qui non c'era nessun vaso di fiori. Quasi allo stesso tempo, realizzo che dei fiori qui ci sono solo i petali e che sembrano formare una scia verso il soggiorno. In quel momento realizzo che riesco a seguire il percorso dei petali blu e rossi sul pavimento perché l'ingresso non è rischiarato solo dalla luce del corridoio, ma anche da alcune candele accese posizionate sul mobiletto del telefono e sulla scarpiera. Oh. Mi alzo di scatto sentendomi deficiente per aver scambiato un allestimento romantico per la scena di un crimine, chiudo la porta e seguo la via indicata dai fiori, dirigendomi verso il soggiorno e immaginando le diverse scene che potrei trovarmi di fronte e che hanno tutte la stessa adorabile protagonista. In realtà è proprio lei che manca quando mi affaccio nella stanza, tutto ciò che trovo sono altre candele, il tavolino apparecchiato e imbandito con ogni ben di dio e poco più in là, tra i due divani, un cesto con una composizione di fiori rossi e blu come i petali trovati a terra all'ingresso. Your love is king canta Sade in sottofondo, che così sottofondo non è visto che il volume è abbastanza sostenuto, e io resto qui impalato col vino ancora in mano in attesa che Angie appaia magicamente, magari con un piccolo agguato alle mie spalle, coprendomi gli occhi con le mani, o in qualsiasi altra maniera abbia escogitato, ma questo non accade. D'un tratto mi sembra di sentire un rumore, anzi, una successione quasi regolare di rumori. Mi avvicino allo stereo di Angie e abbasso il volume e la serie di tonfi sordi si fa più chiara. Forse un allestimento romantico non esclude una scena del crimine… che cazzo sta succedendo? “Angie?” la chiamo e non ottengo risposta. I rumori vengono dalla cucina ed è lì che vado, spedito ma con cautela. Inizialmente apro la porta piano piano, ma la spalanco quando vedo Angie alla finestra, sporgersi fuori, praticamente appollaiata sul davanzale. “Angie!” la chiamo di nuovo, ma non mi sente. Allora appoggio la bottiglia di vino sul tavolo e la raggiungo, scuotendola per una spalla “Angie che-” “AAH! Oh cazzo, ATTENTI LA’ SOTTO!!” Angie sobbalza e inizia a gridare fuori dalla finestra, dopodiché sento un rumore tagliente come di qualcosa andato in pezzi ed è a questo punto che mi sporgo anch'io a vedere che succede. Succede che c'è un piccolo gruppetto di persone sul marciapiede qua fuori, disposte in una sorta di cerchio attorno a una macchia rossa che si allarga, e un tipo inveisce e fa il dito nella nostra direzione. “Angie… che hai combinato? Che significa?” le chiedo mentre entrambi ricacciamo la testa dentro l'appartamento. “Ho appena perso una bottiglia di vino rosso e uno stivale” Angie sospira e mi risponde come se si trattasse di una cosa normalissima, finalmente voltandosi verso di me. E finalmente mi concentro un attimo e realizzo cos'ho di fronte: Angie vestita soltanto di una maglietta nera degli Who che viva Dio le lascia quasi interamente scoperte le gambe, gli occhi truccati con la matita o quel che è, con quelle codine ai lati che vanno all'insù e che fanno sembrare il suo sguardo ancora più da gattina, un rossetto lucido sulle labbra, profumo di vaniglia addosso. Il ladro deve avermi fatto fuori e questo è il paradiso. “Beh, al vino posso rimediare perché l'ho portato anch'io…” indietreggio verso il tavolo senza staccarle gli occhi di dosso, indicando il punto in cui dovrei aver piazzato la bottiglia “e posso scendere un attimo e recuperarti la scarpa. Perciò vedi? A tutto c'è rimedio eheh, tranquilla” che cazzo rido? Credo di essere simpatico? E perché sto sudando? “Mi scoccia farti scendere, sei appena arrivato” replica con un broncio irresistibile dei suoi, staccandosi dalla finestra e dal mio sguardo, rivolgendo gli occhi a terra. “Figurati, no problem! Vado e torno.” faccio per uscire dalla cucina, poi ritorno sui miei passi “Anzi no, non posso” “Oh ok… perché? Cioè, non fa niente Eddie, non… non ti preoccupare” inizia a balbettare e io rido sotto i baffi, cercando però di rimanere serio. “Dimenticavo che devo fare una cosa prima” “Che cosa?” mi chiede perplessa prima che io mi avvicini per prenderle il viso tra le mani e baciarla. “Questo. Torno subito, ok?” le sussurro subito dopo. “Va bene” sorride e io la bacio ancora. “E al mio ritorno sappi che ho una serie di domande da farti su tutto questo” “Va bene” il suo sorriso si allarga ancora di più e io la bacio di nuovo. “Te lo dico prima così non ti colgo impreparata” “Va bene…” ripete e io sto per baciarla un'altra volta, ma lei mi trattiene premendo le mani sul mio petto “Adesso vai però” “Ah è così?” faccio per baciarla ancora e lei mi spinge via con più forza. “Muoviti” “Vado, vado. Come siamo autoritarie…” mi stacco da lei ed esco dalla cucina, per poi riapparire un secondo dopo sulla porta, giusto per un attimo “Mi piace”
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Ci metto un po’ a scovare gli anfibi, anzi, l'anfibio marrone di Angie perché era rotolato giù dal marciapiede sotto una macchina. Quando lo trovo guardo istintivamente in alto, come se mi aspettassi di vederla ancora lì, affacciata alla finestra, coi suoi capelli colorati svolazzanti e visibili nella brezza notturna. Invece non c'è e io torno subito dentro e l'intero tragitto, stavolta in ascensore, lo passo cercando di immaginare il nesso tra vino e stivale e la dinamica che ha portato entrambi giù dalla finestra. Avanzo verso l'appartamento e Sade canta ancora forte e chiaro. “Grazie Eddie. Vuoi?” giro l'angolo e Angie è sulla porta con una scodella di patatine in mano, che mi porge appena le distanze si accorciano. Voglio te le direi, ma mi limito a prendere il recipiente e affondarci la mano per prenderne un po’. “Di nulla” le do la scarpa e la vedo allontanarsi velocemente verso la sua stanza, allontanarsi velocemente sulle sue gambe nude… EDDIE STAI SUDANDO, RIPRENDITI! “Perché resti lì? Dai entra” Angie ritorna e io sono ancora sulla porta a trangugiare patatine. “Ti aspettavo” alzo le spalle e seguo di nuovo i petali di fiori e i suoi passi fino al soggiorno. “Allora?” mi chiede quando siamo di fronte al divano e io metto giu la ciotola di patatine sul tavolino pensando che stessimo per sederci. Invece resta ritta in piedi e mi guarda sorridendo, con la punta del suo canino che si affaccia e preme sul suo labbro inferiore per un secondo come al solito. “Allora?” ripeto avvicinandomi fino ad avere il viso a pochi centimetri dal suo, ma senza abbracciarla né baciarla, come se ci fosse un gioco, una sfida in atto tra noi due, una sfida che perderò sicuramente. “La serie di domande…” abbassa lo sguardo e, tendendo i lembi della maglietta all'ingiù, si siede di scatto e sono convinto stia arrossendo anche se non mi guarda. “Ok… Sade?” le chiedo indicando il giradischi e sedendomi accanto a lei, mentre mi tolgo la giacca e la appoggio sull'altro divano di fronte. “Ahahah di tutto questo la cosa più strana ti sembra il disco di Sade?” “No, però è la prima cosa che mi è venuta in mente adesso” “Non ti piace? E’… è un bel disco” si gira verso di me e si muove impercettibilmente accorciando la distanza tra noi sul divano. “Lei è molto brava, solo non pensavo ti piacesse. Posso passare alla seconda domanda?” “Certo” “Che cazzo ci facevi affacciata alla finestra con una bottiglia e uno stivale?” il sorriso di Angie si allarga di nuovo. “Cercavo di aprire il vino” fa spallucce come se fosse la spiegazione più ovvia. “A scarpate?” “Ahahah più o meno. Me l'ha insegnato mio padre” “Sento che sta per arrivare un aneddoto memorabile, sono tutto orecchi” Angie mi racconta di quella volta in cui è andata in campeggio sul lago Payette coi suoi genitori, un'idea di suo padre per festeggiare il suo compleanno e quello della moglie, che a quanto pare sono vicini. La prima sera Ray ha tirato fuori una bottiglia di vino portata per l'occasione, ma si è accorto di aver dimenticato il cavatappi. Si è accanito sul tappo con un coltello, senza riuscire ad aprire la bottiglia, e Janis voleva rimandare il brindisi alla sera successiva, dopo aver comprato un cavatappi in un negozietto lì vicino, ma non c'era verso di convincere Ray. Così il padre di Angie, come se niente fosse, si è tolto lo scarpone davanti a loro, ci ha infilato dentro la bottiglia e, senza dire nulla, con la camminata sbilenca ha raggiunto il pino giallo più vicino, e ha iniziato a sbattere la bottiglia, protetta dalla scarpa, sul tronco. “Sai, la pressione all'interno della bottiglia spinge fuori il tappo, finché non riesci a toglierlo con le mani. Io e mia madre eravamo piegate in due dalle risate” durante il racconto Angie accavalla le gambe e si muove sul divano, cosa che fa sollevare un po’ alla volta la sua maglietta. Io lo noto e mi sento anche un po’ un coglione per questo. “Però ha funzionato” “E quella è stata la prima volta in cui ho assaggiato il vino: avevo 11 anni. Era buono, nonostante fosse stato shakerato per un quarto d'ora” “Allora niente cavatappi a casa tua?” “Già… cioè, in teoria ce l'avevamo, ma non lo trovo più. Secondo me l'ha fatto sparire qualcuno alla mia festa di compleanno oppure l'abbiamo prestato a Matt e Chris. Di certo non mi sembrava il caso di andare a chiederglielo, sai com'è…” sì, so com'è, non hai chiesto a loro perché avrebbero fatto domande a cui non hai intenzione di rispondere, almeno per ora. “E hai deciso di usare il metodo Pacifico” “E non avendo alberi a disposizione, l'unica alternativa era sbattere la bottiglia al muro. Ma non volevo rischiare di sporcare…” “Eheh così hai pensato bene di farlo fuori dalla finestra?” io adoro questa ragazza. “Già e stava funzionando finché qualcuno mi ha spaventata e mi ha fatto cadere tutto. E ho combinato un casino” mi lancia una finta occhiataccia e si fa più in là sul divano. “Hai ragione, è tutta colpa mia.” mi sposto in modo da sedermi più vicino “Ma saprò farmi perdonare” ok, più che vicino, praticamente incollato. “E come?” mi guarda divertita, sbattendo le ciglia praticamente sulle mie. “Aprendo l'altra bottiglia” mi alzo di scatto e la lascio lì, forse un po’ delusa? Vado in cucina, prendo la bottiglia e apro la finestra. “Col metodo Pacifico?” domanda lei, apparsa sulla porta. “Nah, col metodo Vedder” mi affaccio alla finestra, tolgo la copertura del tappo, tiro fuori l'accendino e inizio a scaldare l'estremità del collo della bottiglia con la fiamma. “Ma non è pericoloso?” sento una mano che mi circonda il fianco e per un pelo la bottiglia di rosso non fa la fine di quella di Angie. “Ma va, l'ho fatto un sacco di volte” rispondo ruotando la bottiglia. “Ehi, si sta stappando!” Angie esclama alle mie spalle mentre il tappo comincia a muoversi verso l'alto. A quel punto inclino leggermente la bottiglia onde evitare che il sughero esploda come un proiettile dentro l'appartamento o nella finestra di qualcun altro, finché il tappo finalmente non salta e finisce giù in strada, dove apparentemente non colpisce nessuno. Anche il vino è salvo. “Visto! L'aria calda si espande nella bottiglia e spinge il tappo.” richiudo la finestra e mostro trionfante la bottiglia stappata ad Angie, che solleva un sopracciglio perplessa “Che c'è? Anch'io ne so di scienza, sai?” “Quindi sai anche che potevi far scoppiare tutto e farti male?” alza gli occhi al cielo e mi sta ancora abbracciando. “Nah, basta sapere come si fa e stare attenti. Allora, sono perdonato?” le chiedo sollevando la bottiglia verso di lei. “Certo!” sorride e mi guarda in silenzio per un attimo e io mi aspetto un bacio, invece mi lascia andare e fa per uscire dalla cucina, poi si volta di nuovo “Vieni? Andiamo ad assaggiare il tuo vino bollito”
Il vino non è affatto bollito e non è male, io e Angie siamo al secondo bicchiere e, mentre mi sto ingozzando di patatine e sandwich, mi rendo conto di avere caldo. Non posso essere così accaldato per due bicchieri di vino, né tanto meno per la mezza nudità di Angie, anche se… E’ a questo punto realizzo che la mia freddolosa ragazza è vestita di una sola maglietta e non sento i suoi denti battere per il gelo, quindi ci deve essere qualcosa sotto. “La mia serie di domande non è finita comunque…” butto lì mentre Angie si è messa comoda sul divano, appoggiata sul bracciolo e semi-distesa. “Spara” “Fa un cazzo di caldo qui o sbaglio?” le chiedo togliendomi la camicia di flanella e lei comincia a ridere in maniera strana e scomposta e, mentre ride e cerca di tirarsi su per mettersi a sedere, i suoi piedi si avvicinano, mi toccano le gambe e fanno per spingermi un po’ più in là per fare leva. Ma io non mi muovo di un millimetro. “Ahahah non sbagli, oggi come vedi è proprio una serata perfetta: un disastro dopo l'altro” “Perché, che è successo?” lancio la camicia là dove sta la giacca. “Non so, deve… devono essersi rotti i riscaldamenti, il che non è di certo una novità. Ma… stavolta boh, si saranno rotti al contrario, è da oggi pomeriggio che vanno a tutto spiano senza mai staccarsi” “Vuoi che dia un'occhiata ai caloriferi?” “Ma non serve, non è solo qui, tutto il palazzo sta bruciando in pratica” “Se vuoi vado giù a vedere la caldaia…” “NO!”  Angie praticamente mi dà un calcio, poi si ricompone “Ehm, no, tranquillo. E poi scusa è l'amministratore che deve chiamare dei tecnici, è pagato apposta! Che ci pensi lui” “Ok” “Poi metti che non risolvi il problema e magari danno la colpa a te che ci hai messo mano…” “Va bene” “E per lo meno non si gela” “Beh, sì, sempre meglio che gelare, però non è il massimo” “Lo so. Ed ecco spiegato… ehm, il motivo della mia… mise” continua Angie tirando di nuovo in giù l'orlo della maglietta per coprirsi le cosce. “Allora non lo definirei affatto un disastro” le sorrido e l'accarezzo col dorso della mano dalla caviglia al ginocchio. Lei mi guarda fisso negli occhi e per un attimo mi illudo che stia per saltarmi addosso e baciarmi, ma vengo smentito anche stavolta. “Allora? Che film guardiamo per primo? Il mio o il tuo?” “Decidi tu” ora come ora mi ero pure scordato dei film, del caldo, del vino, di dove stiamo e forse pure in che anno siamo. “No, dai, dimmi tu” la mia mano fa ancora su e giù. “Per me è uguale, Angie” “Anche per me” “Sei la padrona di casa, fai tu” “E tu sei il mio ospite, quindi sta a te” e ti pareva, come sempre: sta a me. “Uhm… e va bene! Allora, guardiamo prima il tuo” “Ok! La cassetta è lì sotto il televisore, la metti su tu? Io vado a prendere dell'acqua” in un nanosecondo Angie sgattaiola via in cucina e io mi ritrovo solo. Vado a spegnere lo stereo, poi davanti alla tv e, mentre mi metto a carponi per prendere la vhs di Quei bravi ragazzi, faccio un pensiero, anzi due, uno peggio (o meglio?) dell'altro. Il primo è che avrei preferito andare a prendere io l'acqua, per poi tornare qui e vedere Angie chinata al mio posto ad armeggiare col videoregistratore e che sarebbe stato un bel vedere. Il secondo pensiero è che la tv stava molto meglio di là in camera di Angie e che sarebbe stato molto più interessante guardarla insieme a lei dal suo letto. “L'hai trovata?” la domanda di Angie mi scuote, fisicamente, nel senso che faccio una specie di scatto, come se fossi stato colto in flagrante a fare qualcosa di illecito. “Sì sì” schiaccio Play, mi alzo e cerco di raggiungere il divano prima di lei. Ci riesco e mi siedo proprio nel mezzo. Così non potrà starmi lontana. Sorrido tra me e me, compiaciuto per la mia astuzia. “Se vuoi metterti comodo, stenditi pure. Io mi metto di là. Eheh volendo, abbiamo un divano a testa” ma Angie sarà consapevole del suo immenso potere? Quello di farmi cadere le palle con le sue uscite? “Veramente… non voglio” “Sicuro?” ma, non so, secondo te? “Sicurissimo, non voglio un divano tutto per me, lo voglio dividere con te” tendo le braccia e la prendo per la vita, tirandola verso di me, finché non la riporto sul divano. E l'abbraccio e la bacio e l'accarezzo, spingendola verso il bracciolo dalla sua parte. E a un certo punto la sento muovere una mano sotto di me e credo di sapere cosa sta per fare. E mi sento tutto d'un tratto euforico. Invece riesce a sorprendermi ancora, perché percepisco chiaramente il gesto con cui afferra il bordo della maglietta e lo tira giù, per l'ennesima volta. Mi viene da sorridere pensando alle mie stupide illusioni a luci rosse, anche se da una parte mi dispiace che Angie non si senta ancora a suo agio con me. Non c'è fretta, davvero, solo vorrei capire qual è il problema. Mi stacco da lei con un ultimo bacino e così le permetto di rimettersi a sedere. “Ok. Mandiamo avanti veloce tutte le pubblicità e gli avvisi. Dov'è il telecomando? Oh eccolo lì!” Angie, che prima stava quasi per abbandonarmi da solo su questo divano e che fino a un minuto fa faceva un po’ la ritrosa di fronte alle mie avances, praticamente mi sale sopra per scavalcarmi e allungarsi a prendere il telecomando sull'altro bracciolo del divano e poi fa la stessa cosa per tornare al suo posto. E non ho la minima intenzione di lamentarmi, anzi.
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Siamo quasi alla fine del mio film e la situazione è la seguente: il vino è finito da non mi ricordo quando, del cibo resta solo qualche salatino e due tortine al cioccolato, sono in maglietta e boxer perché fa veramente caldo, anche se abbiamo aperto la finestra del salotto; Angie sta fumando una sigaretta, sdraiata sul divano con le gambe sopra le mie e io le sto accarezzando da ore, cosa che contribuisce a fare alzare ulteriormente la temperatura, e io mi sento anche un pochino in colpa perché Harold è appena corso in ospedale con Maude e so già cosa sta per succedere, e il finale mi spezza il cuore ogni volta, e invece ora sono qui a bearmi di quanto sia liscia e morbida la pelle di Angie sotto le mie dita. “E’ triste. Ma anche bello, allo stesso tempo” commenta lei sui titoli di coda. “Già, davvero non l'avevi mai visto?” “Giuro. E ora capisco perché ti piace” “Eheh è vero, Cat Stevens ci ha messo del suo” commento pensando che si riferisca alla colonna sonora. “Mmm sì, ma non volevo dire quello. Intendevo che… beh, questo film è come te” scrolla la sigaretta nel posacenere appoggiato a terra e fa un altro tiro. Ed è stupenda. Non perché fuma, però… lo so che è una cosa sgradevole da dire, e poi fa anche male, è una pessima pessima abitudine, ma ci sono dei momenti, momenti particolari in cui, magari fomentato da un'eccessiva temperatura ambientale e una conseguente nudità, trovo qualcosa di estremamente sexy in una donna mentre fuma. “Assurdo?” “Assurdo, eccentrico, riflessivo, dolce e amaro…” Angie conta gli aggettivi sulla punta delle dita, lentamente, e non posso dire che non ci abbia preso. Quindi l'ha capito che c'è anche l'amaro, il buio. Forse è per quello che ancora non si fida completamente di me. “Eccentrico eh?” un ghigno diabolico mi spunta sulla faccia. “Beh…” “Disse colei che cercò di aprire una bottiglia con una scarpa alla finestra” “Ok questa diventerà un'altro di quei tormentoni per cui mi prenderai per il culo a vita?” “Sì… dopotutto non posso più prenderti in giro per le tue uscite con Meg a scopo rimorchio” “Ah no? E perché?” si mette a sedere e per un attimo temo di perdere il contatto con le sue gambe, ma le tiene sempre sulle mie. “Perché non le fai più” la prendo per la vita e la abbraccio, mentre lei mi mette le mani sulle spalle. “Sicuro?” “Non ne hai più bisogno” “Posso appendere le mie efficacissime tecniche di conquista al chiodo allora?” “Certo, ormai hai rimorchiato me” “Come ho fatto poi, non si sa…” “Con le tue efficaci tecniche di conquista” “Che consistono in? Non fare assolutamente niente?” come se avesse avesse avuto bisogno di fare qualcosa per farmi cadere ai suoi piedi. Mi stendo giù sul divano e me la tiro dietro. “Essere te stessa e non fare assolutamente niente, il metodo migliore” “Se lo dici tu…” borbotta lei, mentre cerca di tirarsi su, ma io la tengo stretta e glielo impedisco. A questo punto, anche per non scivolare dal divano, è costretta a mettersi più o meno a cavalcioni sopra di me. “Con me ha funzionato, non vedi?” l'acchiappo mentre cerca di nuovo di divincolarsi, la stringo ancora più forte e le infilo una mano sotto la maglietta per accarezzarle la schiena. “Eddie! Dai, fammi tirare su…” “Perché?” “Perché così ti faccio male…” “Ma figurati!” “E’ vero” “Non mi puoi schiacchiare, lo sento che hai tutto il peso sulle ginocchia e sulle braccia” “Perché voglio risparmiarti l'asfissia da schiacciamento” “Ma piantala!” decido di usare le maniere forti e dalla schiena scivolo verso l'ascella per farle il solletico, ma lei cede molto prima che io ci arrivi. Appunto mentale: Angie soffre un sacco il solletico “Oh, così va meglio!” “Ahahah smettila!” “Molto meglio” ripeto quando ci ritroviamo praticamente naso a naso e allora smetto di torturarla, chiudo gli occhi e respiro in silenzio insieme a lei per credo cinque minuti, aspettando qualcosa… che non arriva. Angie sposta le mani dai miei capelli, dove erano affondate per sbaglio, e, aggrappandosi ai cuscini, si solleva e si stacca da me. “Spengo la tv” Angie si allunga sul tavolino dove ho lasciato il telecomando per prenderlo e spegnere l'apparecchio, poi si risiede, ai miei piedi. Faccio un respiro profondo e mi tiro su a sedere anch'io. “Sarà meglio che vada” faccio per alzarmi, ma Angie con un gesto repentino mi tira per un braccio e mi rimette a sedere con decisione. “DOVE VAI?” “A casa, così ti lascio dormire” le do un buffetto sulla guancia e provo di nuovo ad alzarmi in piedi, ma Angie me lo impedisce di nuovo. “Ma io non voglio dormire! Cioè… voglio dire, che puoi dormire con me, insomma, puoi fermarti qui a dormire” “Anche stasera?” “Sì! Perché? Non vuoi?” Angie tormenta ancora l'orlo della sua maglietta e se tira un altro po’ la trasformerà in un saio. “Certo che voglio. Pensavo che magari poteva essere un problema” “Per quale motivo?” “Non so, per Meg?” “Meg non c'è, dorme fuori” “Ma domattina tornerà, no? Se mi vede qui anche domattina? Cosa penserà?” io lo dico per lei, mica per me. Se mi vede e fa due più due io sono solo contento. “Niente, cosa deve pensare? E comunque gliel'ho già detto” “Gliel'hai detto?” le chiedo io improvvisamente interessato e carico di speranza. Che abbia rivelato finalmente a qualcuno che stiamo assieme? “Sì, le ho detto che saresti venuto stasera. E che magari ti saresti fermato a dormire” speranza infranta in dieci secondi netti. Forse. “E lei?” “E lei niente, ha detto Va bene” Angie alza le spalle e prende le ultime due tortine rimaste sul tavolino, addentandone una e porgendomi l'altra. “Va bene? Va bene e basta?” prendo il dolce e gli do un morso. “Sì, cosa doveva dire?” “Niente. Ma… allora Meg lo sa” “Certo che lo sa, te l'ho appena detto! Perché d'un tratto ti fai tutti questi problemi?” “No, intendo dire che lo sa… di noi…” un secondo morso e la tortina non c'è più. “NO! Io… io non le ho detto niente” “Angie… è la quarta volta che dormiamo insieme in una settimana, non credo sia necessario che tu glielo dica. Se non è scema, l'avrà capito da sola” “Sa che dormo da te e tu da me, non è che sa… cosa… ehm… cosa facciamo” Angie finisce il suo dolcetto e si versa mezzo bicchiere d'acqua per mandarlo giù meglio. “Credo lo possa intuire” anzi, sono sicuro che l'intuito di Meg andrà ben oltre quello che accade davvero tra me e Angie nella realtà. “Meg non ha peli sulla lingua: se avesse dei sospetti, me ne avrebbe già parlato apertamente” “Fallo tu” “Cosa?” “Parlagliene apertamente, dille di noi” “CHE? PERCHE’?” ma perché la terrorizza così tanto? “Perché è una tua amica e da qualche parte dovrai pure cominciare, no?” “Di che cazzo stai parlando?” “Senti, ne abbiamo già discusso, vuoi tenere la cosa segreta? E va bene, ci sto. Però potresti fare una cosa graduale, senza grandi annunci collettivi, cominciare a dirlo a qualcuno. E perché non dalla tua migliore amica?” “Non lo so, forse perché è totalmente incapace di tenere un segreto?” Angie mi guarda come se fossi scemo e alza gli occhi al cielo. “Beh appunto, ancora meglio, no? Lo diciamo solo a Meg e poi ci pensa lei a far girare la voce, così ci risparmiamo gli annunci” provo ad abbracciarla e mi becco una sberla sul petto. “Vaffanculo, Eddie” “Andiamo a letto?” “Mmm… ok”
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diariomisto · 5 years ago
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Dizionario dei (dis)gusti
Agrumi
Frutti a me particolarmente graditi, specie perché trovo il loro succo estremamente dissetante. Il Limone poi merita una voce a parte.
Asparagi
Non li sopporto, specie se lessi. Con il loro gusto acquosamente insignificante ed il loro retrogusto decisamente troppo amarotico. Li mangio solo se spalmati con abbondante salsa ottenuta mischiando uova sode e senape.
Baci
Mi piacciono tutti, tranne i celeberrimi cioccolatini. Li trovo eccessivamente pastosi in bocca.
Ballo
Frequentare un corso di ballo è uno dei miei sogni per poter sperimentare la complicità con il proprio partner di pista. 
Carnevale
Un periodo dell'anno che, con il passare del tempo, apprezzo sempre meno perché ho sviluppato un'avversione piuttosto acuta per i travestimenti. Tuttavia, non posso dimenticare le due occasioni in cui mi sono vestita rispettivamente da cuoca, (io che entro in cucina solo per degustare i piatti preparati da altri) e da cowgirl (io che, la prima volta che sono salita su un cavallo per affrontare alcune sedute di ippoterapia, ho esclamato spaventata: 'ma il cavallo si muove!'.).
Ciliegie
Continuano ad essere tra i miei frutti preferiti nonostante all'età di 6 anni io ne abbia mangiata mezza terrina e tale imprudenza mi sia costata un'indigestione piuttosto dolorosa. Compleanno
Si tratta di una ricorrenza a cui tengo molto perché mi consente di ricordarmi (e di essere ricordata da) tutti coloro che hanno lasciato qualche traccia nella mia vita. A quanti sostengono poi che l'avvento di Facebook abbia snaturato i ricordi del compleanno, rispondo che il social si limita a farci memoria di una data. Rimane invece sempre a noi la decisione sul se e come fare gli auguri a quella persona.
Diario
Si tratta di uno dei generi letterari a cui mi ispiro più spesso, perché consente di mantenere la dimensione quotidiana della scrittura. Mentre quand'ero adolescente, me avevo uno segreto, con l'avvento dei social network, mi piace rendere pubblici i miei diari, perché ciò mi offre l'occasione di misurarmi con la responsabilità di ciò che decido di mettere a disposizione di tutti e, soprattutto, di come lo scrivo.
Dolci
Potendo scegliere tra dolce e salato, opto per il secondo. Anche se, quando mi capita l'occasione, mi concedo un dolce con la crema: una coccola per il palato.
Empatia
Una delle doti che preferisco in una persona, perché consente una speciale sintonia che apre al confronto sincero anche partendo da posizioni molto distanti.
Enigmistica
Trovo i giochi enigmistici piuttosto noiosi e ripetitivi. Infatti mi ricordo che, quando mi cimentavo a farne qualcuno, non lo finivo mai e anzi saltavo da uno all'altro: chiaro segno di noia, appunto.
Filosofia
Oltre ad essere la Facoltà che ho scelto è anche uno stile di vita che mi impone di mantenere il pensiero sempre attivo.
Formaggio
Forse in assoluto il cibo che preferisco in tutte le sue forme. A questo alimento è anche legato un dolcissimo ricordo d'infanzia. Quando stavo a scuola fino alle 16.45, mia madre portava con sé dei piccoli pezzi di formaggio che mi gustavo lungo il tragitto da scuola a casa, non prima però di averli scovati nella borsa di mamma, in una sorta di caccia al tesoro.
Fotografie
Non mi piace scattarle per due motivi: mi vengono male anche in quest'epoca in cui si usa lo smartphone, e poi preferisco vivere le emozioni dal vivo, piuttosto che immortalarle. Adoro invece ricevere le foto dei miei Amici per sentirmi partecipe dei loro momenti speciali, anche quando non posso essere lì con loro.
Gatti
Trattasi di animali domestici che non mi sono mai piaciuti particolarmente perché, quand'ero bambina, una zia di mio padre, me li metteva sulle ginocchia e loro, percependo la mia tensione, estraevano le unghie per difendersi.
Giallo
Colore che da sempre associo alla gioia e alla positività del sole. Mi ricordo che, quand'ero piccola, avevo una tutina gialla che mi piaceva particolarmente perché sul davanti, era disegnato un cappello di paglia, ovvero quell'oggetto che ci permette di godere solo degli aspetti positivi del sole.
Goccia cinese
Definisco così l'esasperante atteggiamento di chi, persevera in comportamenti scorretti nei confronti dell'Altro, anche dopo che questi ha manifestato apertamente il suo disagio a riguardo. Una doverosa precisazione: la goccia cinese è una forma di tortura (quindi una forma di violenza su cui non mi permetterei mai di scherzare). Nella mia voce del Dizionario intendo questa espressione in maniera ironica; infatti dalla Goccia cinese si può sempre trovare il modo di scappare. Pena diventare colpevoli di Lamentele.
Gossip
Non ho alcun problema nel dire che, nelle Riviste, le pagine di gossip, non mancano mai di suscitare in me una certa curiosità (specie se riguardano i Reali). Ho scoperto che occuparsi di Gossip è un modo per essere curiosi del Mondo che ci circonda.
Influencer
Termine che imperversa in questi ultimi anni. Sta ad indicare la persona che riesce ad avere gusti e stili di vita talmente particolari da trascinare molte altre persone nella stessa direzione. Ma, se ci pensiamo un attimo, non può certo sfuggirci il favore che questa radice di Influenza, una situazione che condiziona la nostra quotidianità a volte anche in modo piuttosto pesante.
Italiano
La nostra lingua, quella che ho amato sin da piccola a casa ma anche e soprattutto, a scuola, grazie alle ottime insegnanti che ho sempre avuto e che mi hanno fatto scoprire (anche) la passione per la scrittura.
Lamentele
Sacrosante in alcuni casi (chi dice di non lamentarsi mai, secondo me, mente in maniera spudorata). In altre circostanze esse risultano piuttosto fastidiose. Accade quando si pone al lamentante questa domanda: 'Cosa stai facendo o hai provato a fare per modificare la situazione in cui ti trovi?' E la candida risposta è: 'Nulla'.
Libri
Ho scritto molto (qualcuno potrebbe dire fin troppo), su questo tema; eppure, non me la sono proprio sentita di escludere tale parola da questo piccolo Dizionario. Questa volta però ho deciso di raccontare un un aneddoto che credo pochi conoscano. A parte quelle scolastiche, la mia prima lettura che ho affrontato da sola sono state Le avventure di Calimero. Ricordo che, mentre leggevo, chiedevo a mamma, papà e sorella il significato di ogni parola. Non sto scherzando: una volta ho chiesto persino il significato della parola il. Dopodiché le ho realizzato che, se fossi andata avanti di quel passo, non sarei mai arrivata alla fine del libro.
Limone 
Sin da piccola ho adorato il suo gusto aspro della sua polpa mescolato a quello lievemente salino della buccia. E sarà stata proprio questa mescolanza di sapori a farmi rifiutare, quella mattina a colazione, le fette di limone spolverate di zucchero perché giudicate troppo acide. Ancora oggi, nelle sere d'estate eccessivamente calde, ho l'abitudine di bere un bicchiere d'acqua fresca con il succo di mezzo limone e alcune fettine in superficie che, una volta finita l'acqua, costituiscono la gioia del mio palato. Posso permettermi di fare tutto questo in sicurezza, perché abbiamo numerose piante di limoni (non trattati, ovviamente).
Mare
Un po' come per i libri, anche sul mare ho scritto molto. Ciò di cui non ho ancora parlato è il fatto che, mentre quand'ero piccola, le vacanze al mare mi erano state prescritte dal medico e quindi sono state 'imposte' alla mia famiglia, ora ci vado solo se riesco a trovare qualcun altro con cui condividere questa esperienza. E devo dire che, in questi ultimi due anni, l'ho sempre trovato.
Menta
Ora mangio volentieri la frittata con la menta Brooklyn perché è una varietà dal sapore delicato, ma conservo un ricordo d'infanzia tutt'altro che piacevole. Un giorno, una mia vicina di casa mi offrì una caramella alla menta glaciale perché - mi disse - a mio nipote non piacciono. All'epoca, io avevo quattro anni, il nipote della generosa signora ne aveva dodici!
Montagna
La montagna, al contrario del mare, non mi è mai piaciuta. L'ho sempre considerata un luogo opprimente e deprimente; forse perché, non potendoci camminare, non ho mai trovato nulla d'interessante da fare. L'unico periodo della mia vita durante il quale mi sono divertita pur essendo in montagna appunto, sono stati gli anni dei campiscuola con l'oratorio. Perché, in fondo, le montagne facevano solo da cornice alle varie attività che spesso non aveva nulla a che vedere con essa. Un'ultima nota in punta di penna: la prima e ultima volta che ho provato a scrivere una poesia di elogio ai monti, l'ho regalata alla persona che me l'aveva chiesta, ma per me non ne ho tenuta alcuna copia, magari per rileggerla nel corso del tempo, come mi è capitato spesso con altre poesie.
Nave
Mezzo di trasporto che prediligo per i miei viaggi perché non mi costringe a fare i conti con le troppe barriere architettoniche che infestano la Terraferma.
Noci
Uno dei due frutti che proprio non sopporto (l'altro è la Zucca). Esse sono però anche protagoniste di un siparietto divertente tra me e mamma. Nel nostro dialetto le noci si chiamano Coccole e quando le chiedo di farmi le coccole, ridendo mi dice: 'Ma se le noci non ti piacciono!'.
Ordine
Mantenerlo, per esempio nella mia stanza, mi dà un senso di (ritrovata) tranquillità. Al contrario, mal sopporto l'idea di impartirli. Preferisco la condivisione, anche quando si tratta di chiedere aiuto per superare i limiti imposti dal mio corpo.
Orologio
Strumento che suscita su di me un certo fascino a causa delle sue insite contraddizioni. I suoi complicati ingranaggi, infatti, scandiscono in modo freddamente preciso, un tempo che percepisco in modo del tutto personale; passando cioè dall'ansia dell'attesa del ritorno (o dell'arrivo) di una persona cara, alla segreta speranza che se ne vada tutto in frantumi, lasciandomi il tempo di stare con te.
Pantaloni
Indumento che, specie da bambina, non sopportavo. Lo consideravo decisamente poco femminile, preferendo le meno pratiche gonne. Ricordo un giorno di Pasqua in cui, a dispetto dell'aria fredda ed umida, mi ero intestardita a voler mettere il completo di giacca e gonna, che la mamma mi aveva confezionato con tanto amore e cura. Salvo poi chiedere, più volte nel corso della Messa, quanto mancasse alla fine, per poter tornare finalmente a casa ed infilare un paio di pantaloni (che restavano sempre poco femminili, ma pur sempre più caldi.
Penne
Conoscendo la mia passione per la scrittura, molte persone a me molto care, in passato mi hanno regalato delle Penne anche molto particolari. Le conservo tutte con affetto ma, alla fine uso sempre quelle usa e getta a causa della propensione a calcare, che rovina immancabilmente le punte, nonché della mia distrazione che me ne fa perdere più di qualcuna.
Pesce
Da bambina lo odiavo, spaventata com'ero dall'idea d'ingoiare uno spino. Ora lo adoro in tutte le salse (con o senza spine). L'anno scorso è capitato che, per un periodo che mi è sembrato interminabile, per un piccolo disturbo di salute, non ho potuto mangiare pesce fritto. Dire che ne ho sofferto, sarebbe certamente esagerato, ma di sicuro mi ha leggermente infastidito. Quando il tutto è rientrato, la prima cosa che ho fatto è stata concedermi un buon fritto misto!
Quadri
L'arte figurativa non è mai stata nelle mie corde, forse perché non l'ho mai studiata in modo serio e sistematico. Tuttavia, c'è un quadro che non ha mai mancato di suscitare emozioni: si tra de Il Bacio di Gustav Klimt, di cui ho comprato una riproduzione durante il mio viaggio a Vienna.
Quiz
Mi sono divertita a crearne alcuni per te che volevi allenarsi per partecipare ad un quiz televisivo. Io stessa, anni fa, avevo mandato la mia candidatura a Chi vuol essere Milionario e spesso, già a quei tempi, pensavo che mi sarebbe piaciuto scrivere le domande. 
Riviste
Rappresentano le mie letture leggere che alterano a quelle decisamente più impegnative dei romanzi. I rotocalchi sono anche uno spunto per scoprire nuovi stili di scrittura da sperimentare.
Roma
Città particolarmente ambigua di cui ricordo, da un lato, il viaggio con i miei più cari Amici, nel 2007 e dall'altro il mio ritorno nella Capitale nel 2013. Entrambi furono viaggi piuttosto faticosi ma, mentre nel primo, ho avuto la possibilità di superare gli ostacoli attraverso l'ironia, nella seconda occasione, ci sono state solo molte difficoltà, senza spazio per l'ironia, che non sarebbe stata apprezzata dagli altri viaggiatori.
Scrittura
Così come è capitato per il Mare ed i Libri, ho scritto talmente tanto che, forse, pensereste che questa voce non sia nemmeno necessaria. Ed invece perché non ho raccontato spesso che, fino agli anni universitari, odiavo la scrittura al computer con tutte le mie forze; poi, un giorno, mio malgrado, ho dovuto persino crearmi una casella mail. Così, seppur per gradi e molto lentamente, ho cominciato ad accostarmi alla scrittura al computer. E proprio ora, mentre scrivo, mi viene in mente che il passaggio dalla scrittura a mano a quella al computer, può essere paragonata al momento in cui ho scoperto che in casa c'era una macchina da scrivere. Ricordo che sui suoi tasti, ho trascorso interi pomeriggi. 
Sedie
Le ho odiate sin da piccola, specie quelle senza braccioli che mettevano alla prova (e per la verità lo mettono alla prova tutt'ora) il mio precario senso dell'equilibrio. C'è stato un tempo poi, in cui non sopportavo la mia sedia a rotelle, ambiguo simbolo di prigione (per tutto ciò che, a causa sua, non posso fare) e libertà (di muovermi nonostante non possa camminare automamente).
Temporale
Ne ho una paura folle. Quella sera, sulla strada per Trieste, eravamo stati sorpresi da un violento acquazzone. Arrivati davanti alla palazzina in cui alloggiavo, un boato fortissimo. Un bagliore. Un grido. Poi più nulla. Se non la drammatica consapevolezza che la mamma fosse morta. Naturalmente non era vero; ma la paura dei fulmini, da quel giorno, fu qualcosa di estremamente reale, che ancora mi porto addosso.
Trieste
La città dove ho frequentato l'Università e in cui, soprattutto, ho lasciato un pezzetto di cuore; la città ricca di storia, romanticismo e di mare, dove avrei voluto vivere per continuare a studiare. 
Università
Già, lo studio. Ne avrei fatto volentieri una delle mie ragioni di vita perché mi ha sempre offerto la possibilità di mettermi in gioco, senza mai sentire il peso del mio handicap.
Urlo
Mi riferisco allo squillo del telefono che, se suona mentre sto dormendo, nella mia mente si trasforma in un annuncio di eventi drammatici. Tanto che, specie quando sono sola in casa, preferisco tenerlo a portata di mano, per non dover correre a rispondere con il respiro reso affannoso dalla paura.
Vivacità
Mi piace circondarmi di persone vivaci che mi permettono di prendermi una pausa da me stessa. Ne avverto la necessità soprattutto quando attraverso momenti leggermente cupi, quelli in cui mi ripiego ostinatamente su me stessa. 
Venezia
Città da sempre problematica ed altamente inospitale, persino nell'unico mezzo a disposizione per raggiungerla: il treno. Ricordo il giorno in cui, durante l'ultimo anno di Liceo, c'era il giro di visite agli Atenei (compreso quello in Laguna, ovviamente). Per l'occasione era stato prenotato un treno provvisto di pedana; peccato che si trattasse di una pedana fantasma. La soluzione? Caricarmi sul vagone riservato al trasporto delle biciclette. Tanto, in fatto di ruote le battevo 4 a 2!
Zia
In realtà ne ho molte, specie da parte paterna. Tuttavia, la zia a cui sono maggiormente legata è la mia madrina di Cresima. Ha chiesto di poter avere questo ruolo, proprio per essermi vicina anche e soprattutto nei momenti più difficili della mia vita. In particolare quelli in cui mia mamma è stata male ed io sono stata travolta dal folle terrore di perderla. Nell'abbraccio di mia zia ho potuto dare sfogo a tutte le mie lacrime riuscendo al tempo stesso, a pensare con relativa serenità anche a come sarà la mia esistenza oltre la mia famiglia.
Zucca
Il suo sapore eccessivamente dolciastro non mi è mai piaciuto. L'unica volta in cui sono riuscita a mangiare i tortelli di zucca trovandoli speciali, è stata appunto a casa di mia zia. Ricordo che li aveva conditi con del gorgonzola fuso, che conferiva loro un gusto piacevolmente piccante. Li ricordo con particolare affetto, nonostante fossi a pranzo dagli zii perché mamma stava male.
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nelmondodelgiardinaggio · 5 years ago
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E’ passato ormai quasi un anno da quando mi è arrivata l’enciclopedia Rhs uscita a marzo 2018, di cui oggi vi parlerò, ormai è uscita anche quella del 2019 (come ogni anno verso aprile/maggio) ma di quella ne parlerò tra qualche tempo, visto che manca poco e non vedo l’ora di sfogliarla, poiché ogni anno le ordino sempre a settembre (ovvero quando mi scade l’abbonamento alla rivista Gardenia).
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Con il numero 409 di maggio 2018, a me che sono abbonata (come ho già spiegato nell’articolo: Le enciclopedie RHS di Gardenia) è arrivata la cedola dove viene sempre illustrata l’enciclopedia con breve descrizione, e con possibilità di ordinare quella dell’anno corrente, e magari anche altre più datate.
  E dopo aver compilato e pagato in posta verso metà settembre, il 19.10.18 è arrivata la tanto attesa (come tutti gli anni) enciclopedia, nella sua confezione di cartone, questa volta cartone bianco, finora è sempre stato marrone.. color cartone
  Enciclopedia impacchettata
Enciclopedia impacchettata
COSA PIANTARE E DOVE
Enciclopedia con più di 3000 piante volume 1 e 2
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E’ un enciclopedia utilissima anche questa. Come per ogni enciclopedia mostro l’utilissimo sommario, per dare un’idea degli argomenti trattati.
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Nel Volume I c’è l’introduzione dove si parla: dei tipi di piante (annuale, biennale, perenne, acquatica ecc..), del terreno e la posizione (classiche nozioni base per capire se è argilloso o sabbioso, come migliorarlo, scoprirne il ph, e conoscere poi l’esposizione del proprio giardino, con immagini esplicative), ed infine della progettazione e messa a dimora (spiegazione degli stili di giardino e scelta delle piante, oltre a consigli di impianto per i diversi tipi di pianta, e qualcosa sulla semina).
C’è poi un’introduzione alla Posizione delle piante con alcuni consigli sulla scelta delle piante, e qualche idea di combinazione per sole e ombra.
Dopo di che è diviso in due importanti sezioni ovvero: Giardini al sole e Giardini all’ombra
Ognuno dei due tratta paragrafi che riguardano i tipi di piante per ogni tipologia di giardino: ad esempio per terreni argillosi, per terreni sabbiosi, oppure per laghetti o bordo dei laghetti, e via dicendo (ma tutto ciò lo potete osservare appunto nell’immagine del sommario).
Tra l’altro ogni tanto si trovano anche delle pagine che mettono in primo piano certi tipi di piante, descrivendole.
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Ogni pianta illustrata nei diversi paragrafi, ha una piccolissima descrizione, con spiegazione di crescita in altezza e in larghezza, e poi i simboli che indicano le necessità: ad esempio quanto è rustica, che tipo di terreno è necessario, se è tossica.
In ognuno dei due volumi c’è la pagina dei simboli utilizzati.
Volume I
Volume II
Nel Volume II invece c’è un’Introduzione alle Piante per effetti speciali, e quindi come scegliere le piante per effetti speciali, consigli di combinazioni per diversi stili di giardini, combinazioni di colori, tessiture e profumi, oppure combinazioni per effetti stagionali o combinazioni per zone con problemi.
E osservando nel Sommario ci sono 5 sezioni importanti che compongono questo secondo Volume: Piante per vari stili di giardino, piante per interesse stagionale, piante per colore e profumo, piante per forma e tessitura, e piante per giardini con problemi, ognuna di queste a sua volta tratta diversi raggruppamenti di piante.
Anche qui ogni pianta ha la sua breve descrizione, con dimensioni e simboli per corretta coltivazione, solo che in questo caso viene indicata anche l’esposizione, se al sole o all’ombra.
Alla fine dell’enciclopedia si trova un ricco indice, per trovare piante o argomento di proprio interesse, e i ringraziamenti.
COSA NE PENSO?
Questa enciclopedia la trovo molto utile specialmente per chi ha comprato casa e ha un nuovo giardino da organizzare e piantumare oppure per chi decide di sistemare il suo, grazie alla suddivisione in base all’esposizione, il che torna utilissimo per non cercare le caratteristiche pianta per pianta, ma per poter sfogliare e scegliere direttamente; è utile se si decide di creare un laghetto, per decidere che tipo di piante inserirne all’interno, come ai bordi; ma è utile a qualsiasi persona abbia un giardino o un balcone e decida semplicemente di voler inserire una nuova pianta in un dato luogo del giardino; è utile specialmente in ogni zona, che sia da Nord a Sud, campagna o città. Per creare effetti desiderati, ad esempio l’autunno colorato dalle foglie di piante particolari, oppure ricco di colori con le bacche. Ma ancora più interessante la parte dedicata a giardini con problemi, ovvero quei giardini dove magari risulterebbe difficile coltivare certe tipologie di piante per via di infestazioni ad esempio da parte di lumache, e trovare un compromesso fra i due esseri viventi, senza usare metodi cruenti (cui io sono contraria!) o addirittura favorevoli a persone che hanno allergie!
Insomma, un’altra bella ed utile enciclopedia per tutti i giardinieri.
Vedremo cosa riserverà la prossima enciclopedia di cui anticipo già che si tratterà di altri due volumi, che tratteranno uno il giardino e le rampicanti e uno l’orto. Ma il resto sarà per il prossimo articolo sulle enciclopedie di Gardenia.
  Buon fine settimana, e mi raccomando: disseminate gli articoli del mio blog sui social, guardate i video sul canale YouTube e iscrivetevi, se ancora non lo siete.
Enciclopedia 2018: Cosa Piantare e Dove - RHS #gardening #plants #flowers #garden #gardeningbook #Gardenia #CairoEditore E' passato ormai quasi un anno da quando mi è arrivata l'enciclopedia Rhs uscita a marzo 2018, di cui oggi vi parlerò, ormai è uscita anche quella del 2019 (come ogni anno verso aprile/maggio) ma di quella ne parlerò tra qualche tempo, visto che manca poco e non vedo l'ora di sfogliarla, poiché ogni anno le ordino sempre a settembre (ovvero quando mi scade l'abbonamento alla rivista Gardenia).
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enkeynetwork · 2 years ago
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uwmspeccoll · 3 years ago
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Fashion Friday:  The Fringe Binge
Today, I continue my UWM Special Collections exploration of fashion through the ages with Assyrian costume. You may recall from last week’s post that I am conducting an independent study in Special Collections this semester on the history of costume and fashion to help inform my own practice. 
The ornamentation of this ninth-century BCE culture is dramatic with complex layering, repeating patterns, and textile borders, e.g., dual beltings, rosettes, and lots of tassels. Sensibilities include shawls and slings, scaling armor, and animal fur, all invoking a fringe motif.
A significant source of Assyrian wearables are from one particular excavation site known as Sam'al or Zincirli in southern Turkey, its rulers changing over its 2,500 yearlong existence as a trading hub and crossroads of multicultural peoples. The buried fortress and the kingdom itself ended in the Neo-Assyrian period of the late seventh century BCE.
Among the prizes of this modern-day dig are two depictions of the lion:  a formidable threat often shown in defeat in the King's hunt, and the lion as a hybrid deity—the lamassu— protecting the venerated empire.  
My first fashion plate is inspired by an ancient fragment with rosette and fringe detail on both figures’ shawls and tunics, while the man's tarbush also has rosette and tassel. Can you spot the decorative muses in the additional plates?
Here is a listing of sources for my designs and featured plates:
1) Assyrian warriors from Geschichte des Kostums, published in New York by E. Weyhe, circa 1905.
2-3) My interpretation and contemporary design of the FIN and FRINGE DRESS inspired by "Caldeo-Assiro" plates VI and VII from volume one of Gli Stili Nella Forma e nel Colore, Rassegna dell’ Arte Antica e Moderna di Tutti i Paesi published in Torino by C. Crudo & Co. in 1925.
4) My interpretation and contemporary design of the FROCK DRESS inspired by a detail from plate III, “Ancient Mede, Assyrian and Persian Costume”, in A Short Description of Historic Fashion published in New York by the Columbia University Teachers College Bureau of Publications in 1925.
5-6) Figures and tunic design from Ancient Egyptian, Assyrian, and Persian Costumes and Decorations published in England by A. & C. Black in 1920, available online in the UWM Libraries Collection.  Recumbent king from Geschichte des Kostums, published in New York by E. Weyhe, circa 1905.
7-9) Plates from volume one of Gli Stili Nella Forma e nel Colore, Rassegna dell’ Arte Antica e Moderna di Tutti i Paesi published in Torino by C. Crudo & Co. in 1925.
10) “Assyrian” plate from Costumes of the World, 100 Hand Colored Plates from Ancient Egypt to the Gay Nineties, published by the Works Progress Administration, Pittsburgh, Pennsylvania unit, ca. 1940. 
The Zincirli archeological site also offers proof of the Assyrian sensitivity to diversity; artifacts have heterogenous designs and inscriptions with dynamic beliefs in the afterlife, a mélange border culture.  Assyrian commerce stretched from eastern Europe to northern India, with modern day Armenia, Israel, Syria, and Iraq in between.  In the ninth century BCE, it was this fringe Assyrian empire that dominated the land.
View my post on Egyptian fashion design from last week.
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View other posts from A Short Description of Historic Fashion.
View more posts from Costumes of the World.
View more posts from Gli Stili.
View more Fashion Friday posts.
—Christine Westrich, MFA Graduate Student in Intermedia Arts
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