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#Giuseppe Genna
yourtrashcollector · 2 years
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Giriamo la notte divorati dal fuoco, consumati dalla vita e dall’ansia di non essere più noi giriamo e giriamo, per la città concentrica giriamo e facciamo questo: guardiamo.
Siamo attoniti.
Giuseppe Genna, Reality. Cosa è successo
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downtobaker · 14 days
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Giuseppe Genna, la narrativa indaga il true crime
da redazione “Yara. Il true crime” su il manifesto Il 26 novembre 2010, a Brembate di Sopra, poco lontano da Bergamo, una ragazzina esce di casa per andare al campo sportivo. Non farà mai ritorno. Di lei non si sa più nulla per tre mesi esatti: il 26 febbraio 2011 viene ritrovata in un campo, priva di vita. Dal giorno successivo alla scomparsa ha inizio un’indagine senza precedenti per i metodi…
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rideretremando · 10 months
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Quello che scrive Gilda Policastro, nonostante l'autostima altissima, è sempre oro.
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helenadurazzo · 1 year
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My Characters As Soldier Poet King!
Soldier
Cyrus Hearst
Zacharias Hearst
Joseph Hearst
Giuseppe Durazzo
Jacob Durazzo
Genna Raleigh
Leonardo Durazzo II
Lorenzo Durazzo
Gregorio Durazzo
Dominic Durazzo
Poet
Marie McKay
Gladys Hearst
Julius Hearst
Aaron McKay
Zsuzsi Schröder
Artemisia Durazzo
Thomas Hearst
Camila Lazzarini
Aurelia Osborn
Gilda Elysian
Daniel Watson
Elijah Hearst
Alessandro Durazzo
Donella Durazzo
Olivia Hearst
Helena Durazzo
Serafina Durazzo
Luciana Durazzo
Louis Watson
Sandy Durazzo
Cereus Durazzo
Remy Durazzo
King
Phineas Hearst
Atticus Hearst
Nicolas Hearst
Leonardo Durazzo I
Cynthia Hearst
Vincent Durazzo-Rath
Zara Durazzo-Rath
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alemicheli76 · 11 months
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"Yara. Il true crime" di Giuseppe Genna, Bompiani. A cura di Alessandra Micheli
Di delitti che hanno inciso nel profondo la nostra “Bell’Italia” ce ne sono a iosa. Delitti mai risolti, delitti cosi atroci da lasciare incubi dietro di se. Orrori capitati dietro le mura, apparentemente sicure di case e famiglie. Pensiamo alla povera Meredith. O alla povera Simonetta Cesaroni. O ancora, indietro nel tempo alla terrificante scomparsa di Emanuela Orlandi. Ecco noi abbiamo…
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giovanna-dark · 4 years
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La mia vita lavorativa, e quindi la mia vita in toto, ruota attorno all’assegnazione di uno spezzone orario di 5 fottute misere ore di Teoria della Comunicazione, sono arrivata a questa età di quasi Cristo per insegnare o meglio per pregare di insegnare una materia del cazzo e tutto perchè ho scelto la magistrale sbagliata. Rabbia rassegnazione rabbia paura di non riuscire a fare nulla e marcire qui con un bicchiere in mano e un tumblr del cazzo; ho finito Reality di Genna, ma è più bello all’inizio, poi si ripete. La morte, il trionfo della morte. Il trionfo della comunicazione della morte. Materia assente, banco vuoto. Lavagna come lapide su cui incidere con le unghie: comunicare non si può. 
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raucci · 5 years
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L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro e una nazione fondata sullo stupro.
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liviaserpieri · 6 years
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ilquadernodelgiallo · 4 years
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Si può spendere ogni propria forza soltanto per vedere cosa accade alla fine del regno, ansiosi di osservare abbattersi su di noi la sanzione definitiva. La sciatteria si pratica, gesto finale, come barbarie normale e quotidiana. Chissà dopo cosa viene, cosa preme dietro ogni muro pronto al crollo. Non piange lui, non piange lei. Le lacrime si situano a uno strato precedente nella geologia del dolore e nella sedimentazione umana. Si è oltre le lacrime, come immergendosi in apnea si raggiungono certe profondità e la pressione quasi fora i timpani, tutto non è soltanto muto ma anche inaudito, sospeso per troppa densità. Ci si è spinti troppo avanti o si è stati scagliati al di là della soglia di sopportazione? Chiunque sa che cosa ha da fare: è questa una consolazione offerta da qualunque rito. “La chiamiamo: depressione neonatale. Bisogna comprendere. Il mondo è troppo. Vengono alla luce, sono abbagliati, l'insopportabile dolore della coppia di polmoni che schiocca, trovarsi di colpo a reggere questo corpo innaturale, che pesa, questa spugna di tessuto adiposo e di avorio e di legno e di plasma, questa aberrazione che non ci appartiene se non per qualche decennio. Si abbattono. Non reggono. Non ce la fanno. Non mostrano felicità o, se la mostrano, non avendo memoria, quando se ne scordano, fanno trionfare lo sconforto per questa melma di carne e sangue che è il mondo. Chi sono questi giganti idioti che da vicino sorridono e barriscono suoni incomprensibili? Cosa è questo tessuto ruvido che sfrega contro le mie pareti? Questa gomma con cui mi tormento l'osculo da cui emetto gorgoglii? Arti che non controllo, nervi che scattano contro la mia volontà, ombre spaventose, luci improvvise, ripetute perdite di conoscenza e repentini risvegli dolorosi, in una zona centrale addominale io avverto fitte lancinanti… È il troppo di mondo. Si dissociano dal corpo. Quando la dissociazione è radicale, l'anima esce dal corpo. Io sono laico, ma ammetto: la morte dei neonati è la prova più potente che l'anima esiste - non un dio, dico proprio l'anima… Voi non dovete sentirvi in colpa per l'infelicità che avete fatto provare procreando, addirittura tentanto in ogni modo, nel vostro caso, visti gli sforzi per la fecondazione…” ___________________ …nato con la nascita delle tv private, ideatore dei programmi negli anni Ottanta per emittenti provinciali, stie di allevamento industriale per comici che un decennio successivo avrebbero pronunciato il verbo, nella immensa bolla vuota della mente vacua italiana e italiana perché soltanto in Italia poteva accadere, dove le rovine si ammassano a creare la sensazione di una bellezza trasandata e ignorata in quanto definitivamente posseduta e non ricevuta in eredità da tramandare. “Tu devi divertirti. Non esiste altro. Siamo divertiti e felici di essere barbari: la abbiamo costruita pezzo per pezzo, con fatica, a una velocità prodigiosa, questa barbarie, questa civiltà. È bella. È artificiale e naturale al tempo stesso. Senti la pelle di questo divano? È morbida. è come essere avvinti a un corpo.” Mi sto inabissando. La voce dello Zio è trasognata ma consapevole. Esistono sogni lucidi, infatti. “Bisogna essere precisi, sistematici, spietati nel preparare le condizioni del nostro piacere. La rigidità però non può capire. La cultura è una gran cosa, ne so qualcosa, ma irrigidisce. Dico proprio i muscoli della schiena, gli psoas, sono contratti, state seduti, cercate di chiacchierare in modi sempre più diversi, sempre più nuovi. Il di più è una crepa che abbiamo immesso nel tutto tondo di una civiltà. La crepa è un vizio vecchio: da lì entra la luce”. Sospira: “Non vivere è terrificante”. Non morire è terrificante? La tv qui e come sempre prima ha fatto a pezzi la storia, la ha incollata da brandelli, salti di contesto, montaggi inquieti che risultarono inquietanti un tempo, barbagli audio, salti di sintassi, balbettii ora indistinti. La cospirazione alla luce del sole fu la sua unica verità, ne fu la monomandataria, disseminata eppure una strategia unica, leviatana. Questo era una volta ma ora siamo oltre gli schermi, la storia è andata così. Siamo oltre la televisione, ma la gente si attarda, presa al laccio dalla malizia. ..."la gente", sono più che un migliaio, accalcati su due tribune circensi, urlano, scatenano l'istinto grossolano e violento che per un decennio di terrorismo e timore comunista hanno trattenuto. È venuto il momento di alleggerire, di alleggerirsi. Qui, ora, nell'atmosfera fausta di un sogno collettivo che deve ancora nascere e prosperare e figliare le sue legioni di ultracorpi. La finzione del wrestling, o meglio ancora del catch, è lo spettacolo più sincero che si sia allestito in Occidente. La smaccata dichiarazione che la maschera esiste, che qualcosa è truccato, che il costume è tale e può anche invadere la realtà: ecco alcuni effetti poetici di una rappresentazione carnevalesca della storia umana. I morti risorgeranno incorruttibili. Noi saremo mutati. Infine la curiosità divenne, come sempre, intorpidimento. "Dimmi parole eleganti, belle. Te le pago, sai?" Nessuna morte ha immagine ed è per questo che le parole esistono. Se la morte ha immagine, non esistono le parole. Prova, tu, descrivi il cadavere del povero ragazzo ucciso nell'ospedale carcerario romano! La tua oscenità sarà grande, il tuo omaggio misero: maledizione su di te! Maledizione sulle immagini! Maledizione su ogni linguaggio e testo! ___________________ La mia vita svuotata di senso, tutto perduto, rendeva irrapresentabile qualunque realtà, anche immaginaria. Si trattava oramai di descrivere e di spegnersi. Un decennio, un ventennio addietro, qui, la vita era altra cosa. Si teneva in equilibrio il senso della futilità di impegnarsi e quello della necessità di lottare. La convinzione che il fallimento fosse inevitabile e nondimeno l'intenzione di riuscire - e, più ancora, la contraddizione fra la mano morta del passato e i nobili propositi del futuro. Riuscire nell'intento in mezzo ai mali comuni - domestici, professionali, personali - consentiva al futuro padre di proseguire nella traiettoria di dardo scagliato dal nulla al nulla con una forza tale che soltanto la gravità lo avrebbe riportato infine a terra. Una nuova incombenza rappresentava al più una gradita prospettiva per il giorno dopo. Era una vita molle e indegna, condotta a scapito del pianeta e del futuro della specie: insensibilmente. Chiunque riteneva reale il momento presente. E poi, dieci anni dopo, tutto a un tratto si sono resi conto di essere crollati prima del tempo.
Giuseppe Genna, Fine impero
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mabohstarbuck · 7 years
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È con coscienze ormai ridotte a un nucleo essenziale e irriducibile che lo stato delle cose deve fare i conti. Ci hanno talmente schiacciati, che non c'è più spazio per premere ulteriormente. Ci hanno deprivato di tutto, tranne che dei sogni di grandezza, che alimentano un fuoco difficile a estinguersi. Le nostre rabbie rimangono ciò che sono, nel senso più letterale del termine: rifiuti. Continuiamo a rinfacciare a chiunque la nostra sfrontata libertà. Continuiamo a conferire da noi il significato alle nostre armi, come ogni uomo libero."
Giuseppe Genna, Assalto a un tempo devastato e vile 3.0
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Giuseppe Genna - Assalto a un tempo devastato e vile.
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yourtrashcollector · 7 years
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Chiedo scritture che strappino lembi dell’invisibile, dell’inesistente, in qualunque modo, con rabbia o con distacco, con freddezza o con frugalità, con carnalità accesa o con astratto furore. Tutto, davvero tutto, purché si avveri il miracolo dell’indentramento e del trascendimento di questa complessità. Un empito che mi faccia trasalire e che non inventi mondi alternativi, bensì mondi profondi, capaci di farmi comprendere il mondo. Che l’universalità sia percepita nella cosa stessa del racconto, delle volute a cui uno stile necessario implichi la mia presenza. L’antico gioco delle forme e dei nomi divelto, nel momento in cui vi si aderisce con qualunque dispositivo, con lo strappo dell’anima, dell’animale. Vento sulle più alte cime. Fuoco dalle radici delle mangrovie più sorprendenti. Immobilità e gelo nella furia che rendiconta l’amore, la morte, l’esserci: il ghiaccio brucia. Questo chiedo alle scritture, pochissime mi danno questo che chiedo. Attendo ormai pochi libri, pochissimi nomi: padri, madri, fratelli e sorelle nell’inebetimento davanti all’eccelso, allo sprofondamento. So che questa non è una poetica: è un misurare gli esiti, è percezione mia di ciò che fu detto: letteratura. Non smetto di domandare, a prescindere dalle risposte. Datemi complessità, nutrite la mia fame, ammazzate i vitelli, ammazzate me.
Giuseppe Genna, Cosa chiedo alla letteratura
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downtobaker · 2 months
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Apocalisse autogrill: della noce di prosciutto al pepe
di Giuseppe Genna Apocalisse autogrill: della noce di prosciutto al pepe
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rideretremando · 1 year
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Uno dei miti che non lo sono, nel senso che non sono nessun mito e inoltre sono pura falsità, che progressivamente, da quando avevo vent'anni, è stato propalato e molto accolto da ciò che si diceva e approssimativamente si continua a dire "società", è quello dell'autostima. Con il suo complementare, che è il falso mito del trauma. La psicologizzazione, in assenza di psicologia, ha creato sempre più veloci generazioni, sottoposte e incapaci di non sottoporsi all'idea dell'autostima e, quindi, della risposta a una performance pervicace e diffusa. Dall'altra parte ha imperato l'idea della difficoltà come trauma, la quale è venuta giù dalla psicologia, anche del profondo, come strumentazione perfetta per il discorso culturale e politico e sociale, prima che si vedesse lampantemente che non esiste alcun discorso perché non è attivo più il dispositivo stesso del discorso, cosicché la psicologia non sarebbe stata più psicologia e la psiche sarebbe emersa come qualcosa che non è precisamente psiche. Ciò consiste in un ecosistema in cui, a partire dai giovani, ma direi lo stesso per qualsiasi abitante di zone "sviluppate" (bah...) del pianeta, la cosa stessa è cambiata: accorgersi di cosa accade ora e qui era un imperativo comprensibile e continua a esserlo, ma non è più semplicemente questione della percezione, perché l'"ora" non è più "ora" e il qui è ovunque. Tutto prevedibile e previsto. Ieri parlavo in un plesso liceale di Milano a centinaia e centinaia di studenti. Ho chiesto quanti avessero un sogno per la vita: hanno alzato la mano in tre. Ho domandato quanto sentissero lo stress da performance e l'angoscia: praticamente tutte e tutti. In questo, la risorsa linguistica non è più né risorsa né linguistica e ovviamente lo stesso dicasi per la risorsa relazionale. Però l'ecosistema, lo si chiami digitale per via di metonimia, ha un suo funzionamento, porta l'acqua, è l'acqua e nell'acqua si sta. Il dolore, come l'amore, come l'ora e il qui, è a ricollocazione ma esiste: finanche esiste il dolore. L'amore, al momento, mi pare che esista di meno, tanto più quello di sé, perché il dolore può essere relazionale o meno, mentre l'amore è relazionale e basta. Una brevissima fenomenologia molto banale, questa mia. In assenza di discorso, non mi sentirei di farne un discorso. Appare. E' così.
Giuseppe Genna
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topaudiobooksit · 2 years
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Hitler - Giuseppe Genna https://ift.tt/QNJX9wY
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orridetti · 6 years
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Fisiognomica della sempiterna italianità della politica nostrana
La Metafisica italiana
Anni fa, il 16 febbraio 2014 alle 11.45, fenomenologizzai Enzo Moavero Milanesi, ministro per gli affari europei nel governo di Mario Monti e poi anche in quello presieduto da Enrico Letta. Stabilivo una perennità del fenotipo spirituale Moavero in Italia. Infatti attualmente Enzo Moavero Milanesi è uno dei candidati alla Farnesina per conto del governo Lega-M5S. Non si uscirà mai dall’incubo italiano, che è un sogno sfinente, una fine che non finisce mai di finire. Ripropongo quella fenomenologia, a vantaggio di chi quell’incubo vuole continuare a secernerlo.
Dal governo Monti a quello Letta a quello Renzi esiste una costante metastorica, antropologica, finzionale e misteriosa, incarnata dal raggrumarsi di una corporeità fatta di neon e geologia, che è propria del volto appartenente al continuativo ministro Enzo Moavero. Egli è gradito all’Europa, sempiternamente. Un esame di precisa quanto allegorica fisiognomonica impone al paziente lettore un sentimento del mondo, una vertigine universale, che è la via italiana a una forma di mistica particolare, qualificata, priva di ritorno, la quale si dice: politica. Si tratta infatti di un sembiante che riassume in sé le caratteristiche somatiche ed emblematiche di tutti i governi italiani, cattolici tecnici riformisti, dalla fondazione della Repubblica a oggi, che conserva memoria della caduta dell’impero romano, di Bisanzio e Persepoli, di San Tommaso e Don Bosco, di Commodo e di Cavour. E’ la forza inerziale che deprime, abbassa, erode: ne furono vittime Cesare e Masaniello, Tutankhamon e Cristo, Romano Prodi e Benito Mussolini, Luigi Tenco e Guido Morselli, Annibale e Cola di Rienzo, Ernesto Che Guevara e Celestino V. Le immagini pubbliche di Enzo Moavero appaiono icone di un silente smottamento privo di origine e di fine, stilema dell’italian way of life and death. E’ la versione nostrana di un “True blood” lento e privo di plasma, la terza via nazionale a una luccicanza stanchissima e letale che nemmeno Stephen King era in grado di prevedere e affrontare, la persistenza dell’atomo teosofico che fa da filo bianco tra Clelio Darida, Paolo Emilio Taviani, Guido Carli, Lamberto Dini e Enzo Moavero stesso. E’ in quella tramatura sottilissima, la quale sconfigge il divenire, che risiede la cifra della modernità italiana. Uno sguardo e tutto è chiaro: ecco la fisionomia del gelido gorgoglìo primordiale, di un big bang strenuamente privo di moto e temperatura; ecco lo sguardo che esprime la vittoria della polvere cosmica o casalinga sulla vita vivente; ecco il rictus del limbo di cui parla “Il libro italiano dei morti”, di cui non esiste copia e che sovrasta per orrore nitido e immobilità faraonica gli omologhi tibetano ed egizio; ecco l’eco sinistra di un’assenza assoluta di polarità o di mutazione. Questa non è una fotografia: è una metopa. C’è qualcosa che surclassa i muti emblemi assiri o micenei in questa cofana sempiministeriale con riporto vaporoso, nemmeno brizzolata, ma cinerea ben oltre la gamma che va da infrarosso a ultravioletto, e che fa evaporare all’istante il ricordo dei crini biancastri di tutti i mandarini della storia repubblicana, da Parri a De Gasperi a Moro a Goria a Scalfaro, ma anche di tutte le pieghe tinte o laccate o brillantinate, da Andreotti ad Altissimo a Berlusconi. Voi siete qui: in quella smorfia che sta tra il rigor tolemaico e il sulfureo sorriso appena accennato di una deità amorfa e cieca nel pieno gorgo della creazione. Nel taglio artico di quello sguardo utracorporeo noi viviamo, respiriamo, ci muoviamo. Non moriremo mai: è la promessa formulata da quell’incarnato pallido, da quel derma cereo, cianotico o epatico a seconda dell’illuminazione e del filtro di un eterno photoshop della percezione. Il naso modello Armani, la facies hippocratica dell’Essere secondo l’italianità, una certa inquietudine della materia che sintetizza l’adolescenza e la vecchiezza in un’unica ambigua fisionomia, la fronte spaziosa che adombra il voluttuoso pensamento e la meditazione sulla gravità delle cose, il lineamento della perennità in forma di decadenza indefinita e priva di un termine o di un confine: ecco il nostro hic et nunc, la proposta che abbiamo avanzato e avanziamo al mondo, il lato oscuro della forza meridiana con cui governiamo le cose sotto il cielo e trapassiamo i parametri della durata vaticana e cinese. Da galassie distantissime osservano la superficie del pianeta azzurro, la scansionano e incappano in questo geroglifico che non appartiene né alla carne né al minerale, bensì al regno dello spirito, indifferentemente santo o laico o credente, l’abbacinante volto della Maya italica, il silenzioso buddhismo mediterraneo di cui siamo da sempre e per sempre pontefici, ineffati, indecrittabili, sfuggenti, al di là del male e del bene, al di là dell’umano troppo umano, al di là del celestiale e del divino, la forma irrevocabile di una stasi che parla con il silenzio e agisce immota, stella fissa che non irradia luce, cecità che tutto vede e non controlla, caos tumido nella calcinata paralisi del tutto, mistero orfico che seppellisce l’orante con miriadi di formule e tautologie, infarto del linguaggio, teurgia del ristagno e della ritenzione, horror vacui che interroga e non risponderà mai. E’ questa la metafisica italiana.
Giuseppe Genna
https://giugenna.com/2018/05/26/february-16-2014-at-1145am/
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