#Gianluca Nebbia
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"Do fairies have a tail?" #ERetici2024
Nel weekend appena trascorso siamo state alla Corte Ospitale di Rubiera con i e le Custodi delle Residenze che per la prima volta hanno incontrato le artiste selezionate dal bando ERetici 2024. Do fairies have a tail? è il titolo del progetto della danzatrice e coreografa Violetta Cottini coadiuvata dalle performer Alessandra e Roberta Indolfi. Agnese Aquilani, Annarita Di Bitonto, Carlotta Simonetti, Elena Garbara, Francesco Tardio, Gianluca Bertozzi, Giulia Veneziano, Lavinia Di Genova, Silvia Consigli, Simone Costi sono i e le dieci Custodi delle Residenze che entreranno nel processo di ricerca e creazione di Violetta, Roberta e Alessandra per Do fairies have a tail?
Accolti dalla direttrice Giulia Guerra abbiamo attraversato i differenti spazi della Corte per poi prenderci un momento con Silvia Ferrari, che con me cura questo progetto dedicato ai giovani spettatori e spettratrici, per ritrovarci dopo il primo incontro online. Per entrare nel processo di cura e ascolto necessario a definire lo sguardo dei e delle Custodi delle Residenze abbiamo trascorso questo primo momento facendoci attraversare dai racconti per parole, immagini e suoni che gli spettatori e le spettatrici delle precedenti edizioni del progetto hanno dedicato proprio ai nuovi.
ALGHE, PAURA, SGUARDO, NOTTE, CONFUSIONE, TENTATIVI, APERTURA, GESTAZIONE, FALLIMENTO, ABITARE, CURA, RISONANZA, ORIZZONTALITA'...
Sono queste alcune delle parole che ci portiamo dal passato al futuro per intraprendere questo nuovo viaggio nel processo di ricerca di Violetta Cottini e Alessandra e Roberta Indolfi.
Subito dopo siamo entrati in punta di piedi in sala, accolti dalle artiste che ci hanno aperto le porte del loro posto segreto: un museo di chincaglierie che hanno trovato esplorando i luoghi della Corte Ospitale nella prima residenza del progetto, i libri che stanno nutrendo le loro riflessioni, gli oggetti che stanno costruendo per definire l'immaginario di questo misterioso altrove che mescola confini riconoscibili: i giochi infantili e i riti primordiali si confondono così come le ombre e le luci, la notte e il giorno, la natura incontaminata e la desertificazione "post-umana".
E poi i pensieri e le domande che si stanno aprendo durante la composizione di questo habitat che sa di antico e futuro, dove non esistono gerarchie, distinzioni binarie, prospettive riconoscibili. Un bosco di resti, di oggetti senza storia, di terra che non è terra e aria che non aria, nebbia pesante e colori pastello, rumore di acqua che scorre, pulviscoli di polvere fluorescenti.
Che peso ha un corpo qui? Ci credi ancora?
Poi, nella tarda mattinata di domenica, entriamo in questo altrove guidati dalla voce di Violetta. Lo spazio cambia forma. Dal tappeto di danza nero che si fa terroso iniziano a comparire esseri misteriosi. A uno a uno lo popolano: le ossa e gli occhi si sciolgono, le mani non sono più mani, e i piedi non sorreggono più i corpi.
Come sentono e vedono? Come si muovono? Si alzano?
Sono minuscoli e giganteschi allo stesso tempo. Ricomposti dopo una lunga scomposizione emergono lentamente da sottoterra e tentano invano di prendere il volo.
Rientriamo, ognuno nel suo spazio del quotidiano, e in attesa di rivederci prima online a luglio poi di nuovo insieme a Rubiera portiamo con noi delle domande che si sono aperte in questi giorni condivisi insieme.
Cos'è l’altrove?
Quanto di ognuno e ognuna di noi risiede nell’altra?
Come incrociate gli sguardi?
Quali saranno i prossimi punto di caduta?
Come ritroveremo questo germoglio al ritorno?
È possibile ritrovare la magia dell’infanzia?
Come faccio a volare?
Cosa può dire il mio corpo?
C’è un limite al tentativo?
#residenza creativa#performing arts#custodi 2024#eretici2024#violetta cottini#danzacontemporanea#corte ospitale#residenze 2024
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Sarnano, conclusa la Sarnano-Sassotetto: Peroni e Faggioli i vincitori che si aggiudicano il Trofeo Scarfiotti
Sarnano, conclusa la Sarnano-Sassotetto: Peroni e Faggioli i vincitori che si aggiudicano il Trofeo Scarfiotti. Le difficoltà meteo che hanno caratterizzato il sabato di prove ufficiali hanno finito per condizionare anche la giornata di gara del Trofeo Lodovico Scarfiotti, seconda prova del Campionato Italiano Montagna moderne e seconda del Campionato Italiano Auto Storiche. In tarda mattinata, visto l’irrisolto problema nebbia nella parte alta del tracciato, la Direzione gara si è trovata costretta a decidere di accorciare il percorso per permettere di poter almeno disputare la manifestazione, utilizzandone circa metà fino alla zona dell’ex-funivia all’altezza della postazione 26 dopo 4150 metri. Il via alle auto storiche, che hanno aperto la giornata, è stato posticipato dalle ore 9:00 alle 12:30, con la rivoluzione di tutte le fasi dell’evento. Anche su questo percorso più breve non ha smentito i favori del pronostico il fiorentino Stefano Peroni che ha portato a cinque i successi assoluti consecutivi, con la fedele monoposto Martini Mk32-Bmw. Sul podio anche il torinese Mario Massaglia (Osella Pa9/90) e papà Giuliano Peroni su Osella Pa8/9, rispettivamente vincitori del 4° e del 3° Raggruppamento. Nel 1° ha vinto l’altro fiorentino Tiberio Nocentini (Chevron B19) e nel 2° il modenese Giuliano Palmieri (De Tomaso Pantera). Ottime le prestazioni dei marchigiani Alessandro Rinolfi (Mini Cooper S) e Mario Straffi (Fiat 128) secondi nel 1° e 2° Raggruppamento, di Alessandro Pieroni (Fiat Giannini 650NP), Marco Gentili (Fiat X1/9) e Roberto Pierucci (Bellasi F3) terzi rispettivamente nel 2°, 3° e 5°. A seguire la gara moderne ha espresso il suo verdetto assoluto a favore di Simone Faggioli (Norma M20FC), il sesto sigillo a Sarnano del grande campione toscano che si è imposto anche in questa gara “corta” con i distacchi ridotti al minimo, solo 2”5 tra i primi cinque all’arrivo. Il finale è stato entusiasmante, con il susseguirsi dei miglioramenti dei crono che hanno decretato l’ordine Faggioli, Degasperi, Di Fulvio, Fazzino e Lombardi. Per Faggioli un secondo successo stagionale nel CIVM 2023 dov’è a caccia del 16° titolo tricolore, colto con la sua Norma per soli 36 centesimi sul trentino Diego Degasperi su Osella. “Ci eravamo preparati per una gara diversa - ha detto Faggioli - ma siamo stati fortunati ad avere le Pirelli soft che sono risultate utilissime per questa versione inedita.” Nelle posizioni che contano bellissimo l’exploit del romano Marco Jacoangeli (Bmw Z4) che ha battuto Lucio Peruggini (Ferrari 488) tra le GT, bene il ligure Gianluca Ticci (Fiat X1/9) tra le E2SH, del calabrese Rosario Iaquinta (Osella Pa21S) tra i prototipi CN, il salernitano Alessandro Tortora (Peugeot 106) tra le E1, i fasanesi Francesco Savoia (Peugeot 308) e Giovanni Angelini (Mini Cooper) tra le TCR e le Racing Start. I successi di categoria si completano con Giuseppe Loré (gruppo A), Mario Murgia (gruppo N) e Andrea Currenti (bicilindriche Assominicar). La giornata di grande interesse sportivo è stata penalizzata dal maltempo con i ritardi bypassati dalle efficaci decisioni della Direzione Gara. L’evento anche quest’anno ha potuto usufruire della diretta Acisport in tv e sui social, che ha raggiunto gli appassionati di tutta Italia. La 12^ edizione del Memorial Giovanni Battistelli, riservato ai piloti marchigiani è andata questa volta al pesarese Alessandro Rinolfi, per la sua continuità di presenze alla manifestazione, protagonista tra le storiche con la sua Mini Cooper. Classifica assoluta 32° Trofeo Scarfiotti auto moderne: 1° Faggioli (Norma-Zytek) in 1’47”76; 2° Degasperi (Osella Fa30) 1’48”12; 3° Di Fulvio (Osella Pa30) 1’49”23; 4° Fazzino (Osella Pa2000 Turbo) 1’49”67; 5° Lombardi (Osella Pa21C Turbo) 1’49”76. Classifica assoluta 15° Trofeo Storico Scarfiotti: 1° Peroni S. (Martini Mk32-Bmw) in 2’01”11; 2° Massaglia (Osella Pa9/90) 2’08”89; 3° Peroni G. (Osella Pa8/9) 2’12”75; 4° Gallusi (Porsche 911SC) 2’21”10; 5° Lavieri (Martini Mk32-Bmw) 2’22”43. sarnanosassotetto [email protected] ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Team BBR Offroad/Tecno B – 2022 CI MX PRO Prestige, RND #06, Malpensa: Press Release
Nell’ultimo round del Campionato Italiano MX PRO Prestige MX1-MX2, ancora un podioper il Team BBR Offroad/Tecno B. Nebbia centra il terzo posto di giornata della classe 300 2T e si conferma terzo in classifica generale.Fine settimana sfortunato invece per Arbini, fermato da un problema tecnico. Weekend da gruppo B per Bagnarelli.
#2022 Campionato Italiano Pro Prestige#24MX#300 2T#Andrea Bartolini#Borilli#Cardano al Campo#ciglione della malpensa#comunicato stampa#Faenza#Federazione Motociclistica Italiana#Federmoto#Fermo#FMI#fxaction#Gabriele Arbini#Gianluca Nebbia#Lombardia#maggiora#Malpensa#Marco Bagnarelli#Marco Butti#Moto Club MV Gallarate#motocross#Motocross Article#Motocross News#motocrossaddiction.com#mx1#MX1 Fast#mx2#Pietramurata
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L'UOMO SULLA STRADA di GIANLUCA MANGIASCIUTTI
L'UOMO SULLA STRADA di GIANLUCA MANGIASCIUTTI, arriverà al cinema il 7 dicembre distribuito da Eagle Pictures
L’uomo sulla strada arriverà al cinema il 7 dicembre distribuito da Eagle Pictures, dopo essere stato presentato con successo in anteprima nella sezione Panorama Italia di Alice nella Città, sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma. A vestire i panni dei protagonisti, Lorenzo Richelmy (Il talento del Calabrone, La ragazza nella nebbia, Marco Polo), che ha ottenuto una Menzione…
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#ASTRID CASALI#Aurora Giovinazzo#Cinema#EAGLE PICTURES#GIANLUCA MANGIASCIUTTI#L&039;UOMO SULLA STRADA#LORENZO RICHELMY#Youtube
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Oggi.
Restami accanto.
C’è troppa matematica in giro, troppa bellezza patinata, troppa logica che non riesco a comprendere né a sopportare.
Essere semplici non vuol dire essere stupidi, essere sinceri non vuol dire essere fragili, ma i corvi beccano forte sui desideri comuni e più che sfamarsi, rubano briciole.
Restami accanto, che c’è bisogno di grande umiltà collettiva, c’è da guardarsi indietro e verificare ciò che abbiamo perso di vista, sembra tutto avvolto in una nebbia strana e densa, sembra polvere posata sul sole, sembra che invece di ragionare si pensi troppo a raggirare.
Nessuno ha la bacchetta magica, nemmeno i grandi maghi, ma probabilmente la magia del provare a capirsi è ancora un’ottima opportunità; perché se tu mi resti vicino, in questo mondo che si allontana, probabilmente mi sentirò meglio, sentirò ancora la dolce sfumatura di un buon sentimento, sentirò l’odore della vita nella storia avvolgente delle tue braccia, sentirò che se tutto sembra perduto, almeno noi
possiamo sederci in un deserto e reagire alle aridità, alla sete, alle noncuranze, allo scetticismo che spesso ci rende dubbiosi verso il futuro;
che non mi va di navigare verso il pianeta Marte, verso promesse di furbi avanguardisti, non mi va di trasformare ciò che sono per quello che vogliono loro, per quello che sono loro.
Oggi restami accanto e insegnami a riconoscermi, magari andiamo a fare un giro nei nostri giri tracciando nuove circonferenze, facciamo come il sasso quando entra nell’acqua:
prima allarghiamo onde,
poi con calma penseremo al fondale e
a come risalirlo.
Oggi restami su quello che resta, su ciò che con fiducia resiste,
tu mia ecumene,
che
fortunatamente e ostinatamente
insiste.
(Gianluca Nadalini)
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Ti vorrei raccontare di quella tristezza che mi sogghigna nell’anima,
non saprei come descriverla, è qualcosa che assomiglia alla nebbia; non si può toccare ma si vede, lascia sul cuore e nei pensieri consistenza e umidità.
Provo a mandarla via, provo a soffiarla fuori dall’anima, provo a costruire un vento efficace, qualcosa di forte e deciso;
ma nulla, rimane lì a passeggiare indisturbata sulla lingua del mondo, rimane silenziosa e astuta nei miei occhi senza raccontarmi il perché,
senza sapore.
Vorrei raccontarti di quella sensazione di non servire a niente, di quando le case rimangono vuote, di quei fermo immagine che non fanno vedere nulla;
sempre le stesse cose, le stesse parole di sempre, sempre il cane a mordersi la coda, senza riuscire ad addentrarsi in qualche buona opportunità, senza riuscire neanche ad ascoltare il calore di un abbraccio.
Ti vorrei raccontare della notte identica al giorno, della prepotenza dei secondi che battono sulla testa, di quella voce sottile che, insistente,
continua a blaterare di buio
nel petto e nella gola.
Vorrei raccontarti di quanto sia difficile mostrare i denti a tutto questo, di quanto sia difficile calpestare le aiuole del proprio essere, di quanto sia maledetta questa nebbia che arriva all’improvviso e bagna ogni momento, ogni movimento: lei si prende tutto senza chiedere, senza farti domande né promesse.
Ti vorrei raccontare di quella tristezza che a volte confonde l’anima, di quel sogno che rimane un po’ indietro, di quanto sia difficile toccare la realtà cercando di perdonarla ogni volta.
(Gianluca Nadalini)
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Al Millennium si respira sudore in sospensione e nebbia artificiale. Le ragazzine in canottiera scherzano con il dj, noi affondiamo nel ventre molle della zona bar.
Gianluca Morozzi
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Un giorno i giovani avranno cent'anni ...
Sono sicuro che le vitamine faranno la loro parte.
Avere, essere.
L'io sarà di tutti, ignoto, esposto alla tratta dei sentimenti sopra fotografie perfette che chiameremo occhi.
Scatti calcolati come cose prestabilite.
Mani morbide, braccia pesanti, pensieri svuotati dal cervello.
Pubblicità iniettate con supposte virtuali.
Bagni sempre puliti.
Strade senza ricordi.
Raccolte differenziate tutte uguali.
Un giorno ci saranno programmi appositamente studiati per sconfiggere ogni cuore anatomico rovinato.
Un "bacio di labbra" da visitare soltanto al Louvre.
Ci saranno i sentimenti appesi all'entrata di ogni negozio virtuale.
Compra, acquista, dai valore al tuo dispendio di energia elettrica, sorridi, sorridi, sorridi ... "Cura medica avvenuta con successo".
Ci saranno lacrime da "discutere" su "file" di storia, un intero paragrafo sulle rughe e sul tempo, ci sarà qualche razza estinta ma distinta da cancellare con un "Esc" ... "Tesine" sulla terra come se la pioggia fosse ancora a profumare dentro la terra, dentro le nuvole, dentro la nebbia delle nostre comunità. Colonie. Un passo indietro e cento in avanti.
"Un giorno i giovani avranno cent'anni"
Così mi ha detto l'uomo che passa
Con il carretto degli alberi, è alto due metri e parla ogni dieci secondi. Mi ha regalato segreti e una scatola di cose da evitare, ha detto anche che ci vorrà più paura che coraggio per morire, di godermi ogni dolore adesso ... Perché poi saranno tutte rose e fiori, ma senza giardini.
(Gianluca Nadalini)🖋
(Poesie nell'angolo)
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Alessandro Bencini firma la colonna sonora del film “L’uomo sulla strada”
Il compositore milanese firma la colonna sonora dell’opera prima di Gianluca Mangiasciutti da novembre nelle sale
Alessandro Bencini, compositore e cantante milanese, scrive la colonna sonora del film "L'uomo sulla strada", opera prima di Gianluca Mangiasciutti, prodotto da Eagle Pictures, che uscirà nelle sale cinematografiche a novembre.
Dichiara Alessandro Bencini: “L'uomo sulla strada è stata un’opportunità per sperimentare nuove sonorità musicali. La trama del film ed i protagonisti, sono stati di forte ispirazione, mi hanno permesso di scrivere una tipologia di musica spesso inedita per il cinema italiano. Con il regista Gianluca Mangiasciutti, abbiamo concordato che il sound dovesse avere una propria identità ed un respiro internazionale, caratterizzato da sintetizzatori, accompagnati da orchestra d’archi e strumenti acustici. Una commistione tra l’aleatorietà dei suoni sintetici e percussivi di stampo nordeuropeo ed una scrittura tematica portata principalmente dal violoncello di Luca Pincini e l'oboe di Giulia Baruffaldi. Ho cercato con la mia musica, di servire al meglio una storia intrigante, raccontata da un cast di grande talento. Se siamo riusciti a produrre un suono nuovo è stato merito di tutta la squadra di musicisti e tecnici, coordinati da Fernando Alba (Maqueta Records) che ha curato tutta la produzione e Danilo Pao il mixaggio.”
La colonna sonora è stata scritta e orchestrata da Alessandro Bencini, registrata dall’orchestra “I MUSICI DI PARMA” diretta da Emanuele Bossi con Eunice Cangianiello primo violìno e la partecipazione di Max Baldassarre alla batteria, Seby Burgio al pianoforte, Nicolò Pagàni al basso, Fernando Pantini alla chitarra elettrica. Sarà pubblicata prossimamente in vinile e sulle piattaforme digitali.
I protagonisti di questa intensa storia sono Lorenzo Richelmy (Il talento del Calabrone, La ragazza nella nebbia, Marco Polo), uno dei volti del cinema italiano più famosi anche all’estero, e Aurora Giovinazzo (Anni da cane, Freaks Out) astro nascente del panorama cinematografico nazionale, affiancati dalla protagonista di America Latina Astrid Casali (Il vegetale, DOC - Nelle tue mani).
Realizzato con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte e il patrocinio della Città di Torino, il film è prodotto da Roberto Proia per Eagle Pictures, che lo distribuirà al cinema a partire dal novembre 2022.
www.alessandro-bencini.com
www.facebook.com/alessandrobencinimusic
www.novacinemapress.com
Isabel Zolli Promotion Agency
Sede Operativa: via Simone De Saint Bon 47 – Roma
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Benvenuti a Milano
[Ritornello: Bassi Maestro] Benvenuti a Milano Capitale indiscussa del rap italiano Il posto in cui vengono perché sanno chi siamo Dove quando sbagli non ti danno una mano Benvenuti a Milano Dove chi chiede scusa non finisce lontano Dove c'è merda di cui non parla Saviano Dovunque c'è una festa "Pronti raga? Dai, andiamo" [Strofa 1: Lazza] Chiedono "Zzala, che flow c'hai?" Un flow d'oro, Klondike Fai silenzio, sì, quando rimo Tu un cagnolino, Yorkshire Muovo i fili se ho in mano il micro Incontri del quarto tipo La tua tipa è già al quarto tipo Tu chiudilo un quarto, tipo Faccio fuego con Bassi Sono il solito pazzo Cambia poco con gli anni Succhiaci ancora il cazzo Ghettuso, Gattuso Su 'sta maglia frà ci cucio l'8 Parli come fossi Provenzano Ma dal vivo sei un cucciolotto Me ne lavo le mani, nuovo Ponzio Pilato Sai il rap? Sono dello staff Mollo uno stronzo in privato Ehi ehi, stai buono, non ho ancora cominciato Questo suono è C4, colpito e affondato Fai il mio nome da un po', cosa cazzo continui? Tanti chiamano hip hop musica per bambini Il mondo è pieno di bitches, quindi cosa te la tiri? Quello che c'hai tra le gambe L'hanno visto tutti, Laura Pausini [Strofa 2: Lanz Khan] Naqshbandi, solo nella folla Una bolla, tu Bugs Bunny Fottiti che fotto i tuoi soci da rap funny Buttati di sotto, ti shotto bro, Ted Bundy LK, fuori gli AK, Milano è un Golgota Fumo coi califfi, tu suchi Calippi a Sodoma Fuori al Bangla bevo la quarta in meditazione sufi Aspiro la scighera, è la city che suona come I Gufi Divinazione Umbanda Vedo il piombo che si fa divina azione Uganda Bombe nella mutanda Bello di notte in zona, mi dona il frac Presidente della merda: McDonald Trump Molla i guantoni zio, non boxi con Dio Il credo è come l'oppio, sono tossico anch'io Quale reggaeton, flusso esoterico alla René Guénon Rimo, poi ti cago sul cuscino bro, come Rimbaud [Strofa 3: Bassi Maestro] Sulla traccia con Lanz Khan, sale l'ansia Tieni in alto la guardia, ho le rime Ras Kass Più mangi merda più ne hai frà, la vita è aspra Vai via di testa come il pazzo che ha sclerato in Francia Il cielo è il limite, per questo disegniamo cupole È il motivo per cui spesso ho i testi sulle nuvole Lettere ancora più cubiche, santi numi man Metto a fuoco moltitudine, ma quali crudité Dini ha le parole come Scarabeo Ma non è un fottuto gioco, sono in gara e creo Stimolazioni come un cazzo di massaggio thai Quando eri in viaggio hai preso il cazzo, frate' ce la fai? Scrivo for the fuck of it Qui a Milano Dick Dastardly Veterano a capo di una click di bastardi Che ti fanno fare figura meschine Metti in stop la lingua e bevi stop scheming Sopra K-Sluggah porto la tribù È una vergogna questo 16, l'hai scritto tu? Frate', suoni elementare fuori dalle casse E salutami mia figlia quando torni in classe [Ritornello: Bassi Maestro] Benvenuti a Milano Capitale indiscussa del rap italiano Il posto in cui vengono perché sanno chi siamo Dove quando sbagli non ti danno una mano Benvenuti a Milano Dove chi chiede scusa non finisce lontano Dove c'è merda di cui non parla Saviano Dovunque c'è una festa "Pronti raga? Dai, andiamo" [Strofa 4: Pepito Rella] Ho visto sempre Milano dalla periferia Costretto a guardare i palazzi Quando devo sorseggiare la mia sangria Son Don Simon, cinque passi e sono dentro Apro le porte di 'sto inferno usando le chiavi di casa mia Tavoli imbanditi, ma seduti ai tavoli banditi Sopra i tavoli giullari fanno ridere Ancora meno di Geppi Cucciari Rimo seguendo spartiti circolari E se mi cerchi in circonvalla cerchi circolari Imbucato a feste come imbuco lettere Bucato gomme come imburro tessere, non sai chi essere Con il tuo buco hai dato il suo benessere Nel portafoglio tu c'hai soldi mentre io c'ho fototessere 'Fanculo te e Gianluca Vacchi, non vengo ai tuoi yacht party Chardonnay e Chianti, con la mia X sono su Hot Party Da Zona 1 a Zona 9 già mi fanno gli applausi dai parchi E parlano coi pacchi se parlano i fatti Con tutta questa nebbia non ci vede la pula (La pula, la pula) Ma se ci becca Nino 'sto pallone lo buca (Lo buca, lo buca) [Strofa 5: Axos] Agente, questa è Milano, come la viviamo? Cantiamo alla Madunina, poi smadonniamo Ho gli occhi di mia nonna affissi sul rosario Sembra Colombina frà, parla con un santo colombiano Break'n Boss, picchio il dolore qui dove cova Bassi Qui le ossa fanno il rumore del piscio sopra i sassi Birra bionda, fammi cantare prima che Scilla morda Loro han messo gli alberi in zona, mi faccio amica l'ombra È la vergogna degli infami, mi disse un saggio Sedeva fuori scuola sopra un Piaggio Manco un pianto quando nonno è morto, forme di coraggio La freddezza di 'sto mondo ha preso forme di contagio Manco il tempo di guardarmi in faccia E già stavo cambiando forma Tendo alla vitaccia perché so che tutto quanto torna Ed io nel mio ostracismo ti ho mandato via Romanticismo e Bavaria, sputo sulla bara mia e brah
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Per l’iniziativa #libriitineranti organizzata da @alessandra_sfogliale e @emily_portolibresco l’altro ieri ho ricevuto questo romanzo di @stefanovisona 🅳🅾🆅🅴 🅸🅾 🅼🅰🅸 Se volete partecipare ai prossimi viaggi mandate un messaggio alle organizzatrici... Vi lascio la trama: 𝕋𝕣𝕒𝕞𝕒 Gianluca ha otto anni, catechismo è finito e nessuno lo è venuto a riprendere. Si avvia verso casa da solo, affrontando la nebbia e un percorso che lo inquieta. Gianluca ha alle spalle una situazione complicata, i genitori separati in guerra per il suo affido, un fratellastro che lo chiama "piccolo sgorbio inutile" e un tribunale che deve pronunciarsi sul suo destino. Gianluca non arriva a casa, di lui si perde ogni traccia in quel pomeriggio di febbraio. Scatta l’Allarme Scomparsa Minore e la vicenda acquista risonanza nazionale, le ricerche setacciano il paese e la campagna circostante, ma senza esito. Il padre di Gianluca nel frattempo è irreperibile e gli inquirenti indirizzano i sospetti verso di lui, ipotizzando che abbia un ruolo nella scomparsa. Sono trascorsi tre anni da "quella storia", la drammatica vicenda di NON TI SVEGLIARE, e molte cose sono cambiate nella vita dell’avvocato Rubens Gatto. Ora lavora da solo e il suo cliente-tipo ha solo bisogno di un penalista che trovi la giusta scappatoia legale, che lavori sulla forma e non sulla sostanza. Perché la sostanza è sempre quella: il suo cliente-tipo è sempre colpevole, anche se si professa innocente. E così si dichiara anche il padre di Gianluca quando si consegna al PM. Ma dov’è stato in quei giorni di fuga? Perché implora Rubens di far luce sulla scomparsa del figlio? Perché ha ingaggiato un investigatore privato? E proprio quel Celestino Maculan con cui Rubens ha risolto quella storia, tre anni prima? In parallelo, una voce inizia a narrare in prima persona una vicenda che parte da lontano, dall’estate del '76... ➡️➡️➡️ CONTINUA SUL BLOG ⬅️⬅️⬅️ #libro #leggere #ioleggo #collaborazioni #ebook #autoriemergenti #kobo #recensioni #lettura #libri #momfit4 #mamwithyou5 #bookstagrammer #gdl #mamimiele #samyecaty #dreamsofmum #bookcrossing #bookstagramitalia #instabombagroup 📚📚📚 (presso Vicenza, Italy) https://www.instagram.com/p/Bt-p1UTFxXS/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=1ha25ze3ceuwx
#libriitineranti#libro#leggere#ioleggo#collaborazioni#ebook#autoriemergenti#kobo#recensioni#lettura#libri#momfit4#mamwithyou5#bookstagrammer#gdl#mamimiele#samyecaty#dreamsofmum#bookcrossing#bookstagramitalia#instabombagroup
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RESTANZA Al via a Bovalino l’International Music fest
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/restanza-al-via-a-bovalino-linternational-music-fest/
RESTANZA Al via a Bovalino l’International Music fest
RESTANZA Al via a Bovalino l’International Music fest
RESTANZA Al via a Bovalino l’International Music fest Lente Locale
RESTANZA
(International music fest)
Bovalino, Ottobre 2019 /Maggio 2020
“Mi sono trovato, quasi per caso, come capita nella magica imprevedibilità della scrittura, ad adoperare, a inventare almeno in una nuova accezione, la parola “restanza”. L’ho fatto in continuità e per assonanza con termini come erranza e lontananza. Perché restanza denota non un pigro e inconsapevole stare fermi, un attendere muti e rassegnati. Indica, al contrario, un movimento, una tensione, un’attenzione. Richiede pienezza di essere, persuasione, scelta, passione. Un sentirsi in viaggio camminando, una ricerca continua del proprio luogo, sempre in atteggiamento di attesa: sempre pronti allo spaesamento, disponibili al cambiamento e alla condivisione dei luoghi che ci sono affidati. Un avvertirsi in esilio e straniero nel luogo in cui si vive e che diventa il sito dove compiere, con gli altri, con i rimasti, con chi torna, con chi arriva piccole utopie quotidiane di cambiamento.
Restare è legato all’esperienza dolorosa e autentica dell’essere sempre fuori luogo, proprio nel posto in cui si è nati e si abita o a cui se sente di appartenere. Non esiste, forse, spaesamento, sradicamento più radicale di chi vive esiliato in patria e combatte una lotta quotidiana, fatta di piccoli gesti per salvaguardare e proteggere i luoghi che potrebbero essere loro sottratti non da chi arriva da fuori, ma da chi vi abita dentro come un’anima morta.
Il villaggio e la comunità da raggiungere non stanno indietro nel tempo, ma vanno raggiunti qui e ora, costruiti giorno per giorno.”
Vito Teti
È “restanza”, il nuovo termine coniato dal Prof. Vito Teti, ciò che custodisce il senso di una rassegna musicale infrasettimanale, invernale, in luoghi storici nascosti dentro paesi spopolati.
Una sfida folle per non spaesarsi nel silenzio e nella nebbia dei propri luoghi, per accogliersi e incontrarsi, per ascoltarsi e presentarsi ad esperienze musicali altre.
LA RASSEGNA
Mi chiamo Ruggero Brizzi, sono bovalinese ma vivo nella provincia cosentina. Da ormai dieci anni mi occupo di organizzazione di eventi sia nel mio locale “Caffè Roma 52”, sia per privati o enti pubblici. Sempre da volontario, mi muovo e vado avanti grazie ai continui sorpassi interiori tra le mie due passioni: un giorno amo di più la Calabria, un giorno amo di più la musica. Da qualche mese collaboro con “Rocketta”, agenzia musicale catanese capitanata da Paolo Mei, la cui filosofia è orientata a spingere verso il sud Italia artisti da tutto il mondo a prezzi contenuti, attraverso una serie di date continuative che permettano alle band di girare lo stivale e agli organizzatori di non avere grossissimi costi rispetto all’evento. Attraverso la creazione di una rete di associazioni locali, amici, enti pubblici, privati e artisti ho pensato di offrire quanto segue. Da sempre l’infra-settimanalità autunnale invernale locridea è una stagione di disarmante solitudine e cupezza, di disattivazione sociale e indolenza persistente. Un oblio dell’anima. Così, partendo da questa facile attenta valutazione ho voluto sfidare il “grande inverno”.
Dalla fortunata collaborazione con “Rocketta”, con la rete di contatti e collaborazioni create, con i miei amici e il nostro amore per Bovalino, con l’individuazione di un luogo meraviglioso nel cuore della storia bovalinese, con la voglia di creare qualcosa di internazionale che possa fare da scambio di esperienza con gli artisti locali nascerà da Ottobre a Maggio una rassegna di circa 8/10 concerti di artisti internazionali che spazieranno nel genere (jazz, elettronica, rock, country, fado, blues, pop, folk) e che porteranno la loro visione e la loro proposta cosmopolita in modo fruibile a tutti con una piccola offerta di 4-7 euro a concerto (necessarie per pagare artista, vitto, alloggio).
Inoltre ogni concerto avrà un’apertura “glocale”. Un mini concertino di un artista calabrese aprirà i set di ogni concerto di un artista straniero, nell’ottica di scambio culturale e di nuova esperienza musicale per entrambi.
Il calendario con date e artisti partecipanti sarà pronto entro fine settembre e sarà presentato alla stampa ad inizio ottobre.
I LUOGHI
7 Date nei mesi di Ottobre, Novembre, Dicembre, Marzo, Aprile, Maggio
Castello Normanno (1100) di Bovalino Superiore
Una data nel mese di Febbraio Caffè Letterario “Mario La Cava”
Una data nel mese di Gennaio
ELETTROACUSTICA “Store&Service”
(Sala concerti, store strumenti musicali, sala di registrazione, service)
I PARTNER
Amministrazione Comunale di Bovalino Marina
Pro Loco Bovalino
ELETTROACUSTICA “Store&Service”
Caffè Letterario “Mario La Cava” – Teatro “Gruppo Spontaneo”
Vivitavilla – Intrafora
Rocketta
Il programma
/HANDLOGIC
mercoledì 9 ottobre
TOWN OF SAINTS (Olanda/Finlandia)
mercoledì 27 novembre
MICHAEL LANE (Germania) * caffè letterario 10 dicembre
BONNIE LI
Giovedi 23 gennaio
*elettroacusticastore
FROLLEIN SMILLA (Germania)
mercoledì 26 febbraio
COFFEE OR NOT (Belgio)
giovedì 12 marzo
THE CHANCES (Canada)
Aprile
RANDOM RECIPE (Germania)
Maggio
Artisti calabresi che prenderanno parte a Restanza:
Mad Jack
Fabio Macagnino
Ciccio Loccisano
Gabriele Trimboli
Paolo Sofia
Mario Muscolo
Manuela Cricelli
Gruppo Spontaneo
Mimmo Cavallaro
Bruno Ferretti
Rita Ferraro
RESTANZA Al via a Bovalino l’International Music fest Lente Locale
RESTANZA Al via a Bovalino l’International Music fest Lente Locale
RESTANZA (International music fest) Bovalino, Ottobre 2019 /Maggio 2020 “Mi sono trovato, quasi per caso, come capita nella magica imprevedibilità della scrittura, ad adoperare, a inventare almeno in una nuova accezione, la parola “restanza”. L’ho fatto in continuità e per assonanza con termini come erranza e lontananza. Perché restanza denota non un pigro e inconsapevole […]
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Gianluca Albanese
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Team BBR Offroad – 2022 CI MX Junior – FINALE #02, Esanatoglia: Press Release
Il Campionato Italiano MX Junior fa tappa presso il ‘Gina Libani Repetti’ di Esanatoglia per la seconda FINALE in calendario. Sul tracciato marchigiano, buona prestazione per Regis nella 85 Junior, ancora una volta nella ‘top 20’. Nella 85 Senior, una condizione fisica non al ‘top’ penalizza Cogoli, soprattutto in gara 2.
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“L’ultimo volo”. La tragedia del dirigibile Italia, gli errori di Nobile, la fine di Amundsen. Un racconto di Gianluca Barbera
Gianluca Barbera è l’infaticabile avventuriero della letteratura italiana contemporanea. Con energia ferina, ha risvegliato un genere – quello del racconto di imprese straordinarie – in cui siamo stati eccellenti (si pensi a Salgari ma anche a Vittorio G. Rossi). Mentre il suo “Magellano” (Castelvecchi, 2018) continua a mietere successi (lo spettacolo teatrale desunto dal romanzo, con Cochi Ponzoni protagonista, ha esordito il 22 maggio a Milano e ha fatto battere mani e cuori), è in uscita il secondo romanzo ‘magellanico’, dedicato a “Marco Polo”. Il libro sarà pubblico il 30 maggio, nel frattempo Barbera ha scritto, a sgranchire l’istinto, un racconto in cui narra l’impresa mutata in tragedia di Umberto Nobile. Era il 1928. A tentare di salvare l’amico-nemico, come si sa, si mise Roald Amundsen, la star delle esplorazioni polari – e lì morì. La letteratura, come sempre, arriva dove la cronaca arretra.
***
Dopo aver diretto le operazioni di carico della enorme croce di quercia benedetta dal papa, il comandante Nobile consegnò il megafono di ottone al fratello, si abbracciarono e finalmente salì il gradino che immetteva alla gondola, subito accolto dalle grida di benvenuto dell’equipaggio: “Viva l’Italia! Viva Nobile!”.
Sorrise imbarazzato, prese in braccio la sua cagnetta Titina, l’accarezzò come per farle coraggio, poi si affacciò dal portellone e fece segno al personale di terra di mollare gli ormeggi. Il primo motorista accese il motore di poppa. Un attimo dopo anche i due motori centrali presero a rombare. Quando l’ultima fune di traino fu liberata, il dirigibile, che fino a quel momento era rimasto sospeso a pochi metri dal suolo innevato, iniziò a sollevarsi.
Da terra una piccola folla – per lo più composta da cronisti, cineoperatori, tecnici e minatori – osservava immobile la sagoma a forma di sigaro del dirigibile Italia allontanarsi nella nebbia che stazionava sopra la Baia del Re.
Quando scomparve alla vista qualcuno si fece il segno della croce e poi tutti tornarono alle proprie occupazioni.
Erano le cinque del mattino di mercoledì 23 maggio 1928 e il sole era già sorto da parecchio sopra l’accampamento minerario di Ny-Ålesund, presso la Baia del Re, alle isole Svalbard, che da poco appartenevano alla Norvegia.
*
Il 30 maggio prossimo uscirà per Castelvecchi l’ultimo romanzo di Gianluca Barbera, “Marco Polo”
La sera prima, nella sua elegante casa di Svartskog, a pochi chilometri da Oslo, Roald Amundsen, il più grande esploratore polare di tutti i tempi, aveva avuto in casa ospiti. Si erano riuniti per festeggiare due nuovi eroi dell’aria, Hubert Wilkins e Carl Eielson, reduci dalla transvolata di venti ore del mare artico, da Point Barrow, in Alaska, alle isole Svalbard, a bordo di un prototipo Lockheed Vega.
Amundsen era una leggenda vivente, autore di imprese che avevano infiammato l’immaginario collettivo da un capo all’altro del mondo. Aveva giocato un ruolo decisivo nella scoperta del passaggio a nordovest e in quella del passaggio a nordest. Era stato il primo a conquistare il Polo Sud, e appena due anni prima il Polo Nord, sorvolato il 12 maggio del 1926 insieme al comandante Umberto Nobile, a bordo del Norge, un dirigibile semirigido di fabbricazione italiana progettato e pilotato dallo stesso Nobile. Ma ormai, sulla soglia dei cinquantasei anni, molti si aspettavano da lui che si ritirasse in buon ordine e che, come tutte le vecchie glorie, accettasse di passare il testimone alle nuove star del cielo. Proprio ciò che stava avvenendo quella sera.
Dalla prima trasvolata atlantica di Charles Lindbergh a bordo dello Spirit of Saint Louis, datata 1912, era esplosa la passione per le trasvolate, e tutti i migliori piloti del mondo si lanciavano in imprese sempre più scriteriate, nel tentativo di superarsi l’un l’altro, dando vita a una competizione nei cieli dalla quale sarebbe fiorita una mitologia fatta di velocità, resistenza e temerarietà.
Durante la cena fu inevitabile che il discorso scivolasse sulla spedizione del dirigibile Italia. Se l’impresa di Nobile fosse andata a buon fine Amundsen sarebbe stato costretto a inghiottire il boccone brindando al successo di un uomo che detestava. Dopo la conquista del Polo Nord, Nobile e Amundsen non avevano fatto che insultarsi sui giornali e perfino in un paio di occasioni pubbliche, davanti a una folla sconcertata.
Entrambi rivendicavano i meriti della conquista del Polo Nord.
Amundsen, per primo, non era stato tenero con Nobile parlando di lui alla stampa come di una specie di autista, niente di più; e definendolo un esploratore privo di esperienza e dell’umiltà necessaria per acquisirla. Nobile, dal canto suo, aveva replicato rimarcando il ruolo marginale avuto da Amundsen durante il sorvolo del Polo Nord, dal momento che se ne era rimasto tutto il tempo seduto in fondo alla gondola come un semplice passeggero, imbarcato per di più a viaggio iniziato e occupato unicamente a brontolare in una lingua incomprensibile, con una faccia perennemente imbronciata. “Io ho progettato il dirigibile, preparato la spedizione, tracciato la rotta” continuava a ripetere Nobile. “Fosse andata male, la colpa sarebbe stato mia non di Amundsen. A lui spettava il compito più semplice, è stato lui stesso ad ammetterlo, prima che montassero le polemiche: doveva semplicemente restarsene affacciato al finestrino per scoprire tracce di un possibile continente artico. Nient’altro. Se lo avesse trovato, se avesse avvistato delle montagne, delle terre, delle isole, qualsiasi cosa, allora sarebbe giunto per lui il momento di entrare in azione: sarebbe sceso sul pack per intraprendere una esplorazione di quelle nuove terre. Lui era un esploratore, si muoveva in slitta con i cani, questa era la sua professione… Invece non trovammo nulla. Solo uno sterminato mare ghiacciato, questo fu il guaio. Il fatto che abbia dovuto restarsene con le mani in mano per tutto il tempo”.
Ma la lite peggiore tra i due era scoppiata dopo il disastroso atterraggio in Alaska, in una baia ghiacciata, che aveva seriamente danneggiato il dirigibile, di proprietà norvegese. Amundsen aveva sostenuto che l’atterraggio non era finito in tragedia solo grazie all’intervento energico del comandante in seconda, il pilota Hjalmar Riiser-Larsen, suo amico personale, che si era imposto, anche in virtù della sua prestanza fisica, per correggere le manovre improvvide di Nobile. Naturalmente quest’ultimo aveva sostenuto l’esatto contrario: ossia che era stato solo grazie alla sua padronanza del dirigibile se si era evitato il disastro in condizioni di tempo così proibitive. Chi avesse ragione non sarebbe mai stato possibile appurarlo.
A tutto questo si aggiungeva il fatto che, mentre al suo arrivo in Alaska a bordo di una slitta trainata da cani, prima a Teller e poi a Nome, Amundsen non aveva ricevuto le accoglienze principesche che si attendeva, al contrario Nobile, al momento del suo sbarco a Seattle a bordo del piroscafo Vittoria, era stato accolto come un eroe.
Questo Amundsen non glielo aveva perdonato, non perdendo occasione per accusarlo di aver saputo montare una campagna stampa tutta a suo favore, grazie anche al supporto del suo governo. E così lui e Nobile avevano trascorso gli anni successivi a litigare: Amundsen attaccandolo dalle pagine del New York Times e Nobile rispondendogli da quelle del National Geographic. Non solo. Il ciclo di incontri del duo Amundsen-Ellsworth (il miliardario americano che aveva contribuito a finanziare la spedizione del Norge) non aveva ricevuto negli Stati Uniti un’accoglienza particolarmente calorosa; mentre Nobile, ovunque si recasse, veniva festeggiato come una star del cinema. E una volta rientrato in Italia era stato promosso dal duce in persona a generale dell’Aeronautica Militare.
“Caro Roald” aveva scherzato quella sera uno degli ospiti, “tu stai pregando perché non ce la faccia, ammettilo”.
Amundsen aveva fissato l’amico con rimprovero, ma non se l’era sentita di rispondergli.
Dopo un po’, però, visto che quello insisteva tanto, era sbottato: “Parli così perché non sei mai stato al polo, con il culo al freddo e tonnellate di ghiaccio che ti assediano da ogni parte, come se fossi stato rinchiuso in una cella frigorifera! Perché, se ti ci fossi trovato, in quelle condizioni, non ti sogneresti di fare una simile affermazione: nessuno che abbia patito gli stenti di un viaggio polare potrà mai augurare il peggio a chi affronta i ghiacci!”.
E per quella sera il discorso era stato chiuso.
*
Mentre il dirigibile Italia raggiungeva la quota prestabilita, al di sopra delle nubi, al timone c’era un ufficiale biondo con due baffetti all’ingiù e occhi chiari e sereni. Elegante e inappuntabile come sempre, Adalberto Mariano era il timoniere più esperto a bordo. Anche gli altri timonieri erano ai loro posti. Nobile, in piedi davanti al quadro di comando, impartiva ordini sulla rotta con voce pacata. I tre potenti motori Maybach rombavano facendo vibrare la gondola, una rudimentale struttura in metallo e legno che poteva contenere una dozzina di persone al massimo. Al centro della gondola Pontremoli, rampante fisico dell’Università di Milano, era già al lavoro sulle sue apparecchiature, intento a misurare il magnetismo atmosferico. Poco più in là, František Běhounek, ricercatore dell’Università di Praga, lavorava alla mappatura della carica elettrica dell’atmosfera. Alle loro spalle, vicino a un oblò, Finn Malmgren, climatologo svedese dell’Università di Uppsala, era occupato in complesse rilevazioni meteo, utili a guidare il dirigibile tenendolo al riparo dalle perturbazioni.
In uno stanzino in fondo alla gondola aveva trovato posto il radiotelegrafista, Giuseppe Biagi, impegnato a tenere i contatti con la nave appoggio Città di Milano, ancorata nella rada del villaggio minerario di Ny-Ålesund, da giorni assediato da giornalisti e curiosi provenienti da tutto il mondo, venuti ad assistere all’impresa. All’esterno della gondola i motoristi si muovevano tra tubi, funi metalliche, montanti, corde e scalette lungo la base dell’involucro, e tutt’attorno, per raggiungere le cabine motore, agganciate alla chiglia, e i vari punti del pallone nei quali si fossero rese necessarie riparazioni in volo. I grossi timoni erano sistemati dentro la gondola. Il timone di quota era al centro dell’abitacolo, mentre quello di direzione era sistemato sul lato anteriore.
Il dirigibile, nelle prime ore, aveva sorvolato la costa puntando verso nord; poi, all’altezza di Amsterdamøya, una piccola isola disabitata delle Svalbard nordoccidentali, aveva sterzato verso la Groenlandia, anche per sottrarsi a un tambureggiante vento da nordest. Banchi di nebbia venivano loro incontro a folate.
Nobile si era sistemato in fondo, tra mappe e appunti di viaggio. Sotto di loro scorrevano immense distese di ghiaccio: la banchisa polare artica. Giunti a 84° di latitudine egli registrò sul diario di bordo: “Da questo momento è cessata ogni traccia di vita. Fin qui, di tanto in tanto, era possibile scorgere orsi polari, avvistare qualche uccello in volo; e nei tratti di mare sgombri dal ghiaccio vedere guizzare dei pesci. Poi, più niente”.
All’altezza del 20° meridiano l’Italia virò di nuovo puntando verso nord. Fino a quel momento la velocità di crociera si era aggirata intorno ai 60 chilometri orari. Ma dopo il viraggio un forte vento di poppa li stava sospingendo fino a 140.
L’acqua nei termos si era ghiacciata. Nessuno aveva chiuso occhio nelle ultime venti ore, da che erano partiti. Tutti erano in attesa di raggiungere la meta, a 90° N, lo zero geografico assoluto. A mezzanotte e dodici minuti scattò un applauso. Il polo era esattamente sotto di loro, stando al sestante e alle altre strumentazioni. Si abbracciarono, stapparono due bottiglie di champagne. Come concordato, Biagi inviò un telegramma al duce, uno al papa e un terzo al re. Nobile spedì un saluto alla moglie. Si intonò l’inno nazionale. Il comandante aprì il portello, si sporse e lasciò precipitare di sotto la bandiera italiana annodata alla croce benedetta. Da un grammofono partirono le note di Giovinezza e de La campana di San Giusto.
Nobile guardò giù. Il programma prevedeva che tre di loro venissero calati sul ghiaccio tramite uno speciale ascensore di sua progettazione. Nessuno conosceva la profondità del mare sotto il polo. Una volta sulla banchisa l’avrebbero misurata attraverso un ecometro Graz, capace di calcolare il tempo di ritorno di un impulso sonoro inviato negli abissi. Che successo sarebbe stato per l’Italia fascista!
Eppure il comandante Nobile non era fascista. Anzi, aveva molti nemici tra le più alte gerarchie; primo fra tutti il potente sottosegretario di Stato per la Regia Aeronautica Italo Balbo, che detestava i dirigibili e per nessuna ragione al mondo avrebbe messo piede su uno di essi.
Mentre contemplava quelle distese di ghiaccio senza fine, all’improvviso si era alzato un forte vento. Consultatosi coi suoi ufficiali Nobile aveva deciso di annullare la discesa sul pack. Peccato!
Era già il momento di fare ritorno. Alla Baia del Re tutti erano già stati informati e festeggiavano. L’arrivo alla base del dirigibile era previsto per il giorno dopo. Ma quando si trattò di stabilire la rotta sorsero i primi contrasti. Alcuni propendevano per la via scelta dal Norge due anni prima, ossia per la rotta che conduceva in l’Alaska: era certo la più distante, ma perlomeno era già stata testata. Ma proprio per quello Nobile ne aveva conservato un pessimo ricordo. L’atterraggio vicino a Teller, sul mare ghiacciato, in mezzo a una tormenta di neve, era stato un incubo. Avevano rischiato di schiantarsi. Non voleva ripetere quell’esperienza. Per questo si lasciò convincere da Malmgren a fare ritorno per la via appena percorsa, volando controvento fino a Ny-Ålesund. Lo svedese si disse sicuro, in base alle rilevazioni ricevute durante tutto il giorno dalla Baia del Re, che avrebbero incontrato condizioni atmosferiche migliori di quelle cui sarebbero andati incontro se avessero volato verso l’Alaska.
Alle 2:20 pertanto il dirigibile raggiunse quota mille metri e si mise alle spalle il Polo Nord procedendo lungo il 24° meridiano.
Tutti a bordo del dirigibile avevano bisogno di dormire e si stabilirono dei turni. Lo spazio era così angusto che a volte per muoversi era necessario scavalcare quelli che dormivano nei sacchi a pelo.
Verso la sei del mattino il dirigibile fu circondato da una fitta coltre di nebbia. Soffiava un forte vento contrario.
Malmgren assicurò che presto le condizioni sarebbero migliorate. Ma non andò così. Il tempo continuò a peggiorare. Il dirigibile era scosso da violente turbolenze. Tutt’attorno al pallone si era formata una crosta di ghiaccio. Si viaggiava a velocità ridotta anche perché Nobile, per risparmiare carburante, aveva dato ordine di procedere solo con due motori. Eppure oramai le Svalbard erano in vista. La meta sembrava a portata di mano.
A un certo punto il timone di quota si bloccò. L’aeronave si inclinò. La prua, rivolta all’ingiù, puntava verso la distesa di giaccio sotto di loro. Nobile ordinò di spegnere i motori per ritardare l’eventuale impatto. A poco a poco il dirigibile riprese quota e tutti poterono rifiatare.
Ma poco dopo si ritrovarono daccapo, con la prua inclinata di otto gradi verso il basso. Erano in volo da due giorni, molti di loro senza mai riposare: le coste delle Svalbard erano vicine, si potevano scorgere a occhio nudo. Mancava poco. Nobile ordinò di portare al massimo tutti i motori in un ultimo sforzo per risalire la corrente e riguadagnare una posizione che li ponesse al riparo dai pericoli, al di sopra delle nubi. Fuori nevicava a più non posso e soffiava un vento immane. Dopo qualche minuto si trovarono avvolti da una nebbia così fitta da impedire la vista.
“Siamo pesanti!” gridò dal suo abitacolo Natale Cecioni, primo motorista.
Si tentò di sbarazzarsi di duecento chili di catena-zavorra ma nemmeno quello bastò. Nobile ordinò nuovamente di spegnere i motori. In caso di impatto perlomeno si sarebbe evitato il rischio che il dirigibile andasse a fuoco. Ormai dalle finestre della gondola si vedeva il pack a pochi metri, in tutti i suoi terrificanti dettagli.
Biagi lanciò subito un SOS alla Città di Milano. Erano le 10:27 di venerdì 25 maggio.
*
Proprio quel giorno, poche ore dopo, Amundsen si trovava in un ristorante di Oslo in compagnia di amici e di giornalisti. Erano stati serviti i caffè. Uno degli ospiti, Frøis Frøisland, direttore dell’Aftenposten, ricevette una telefonata. Al suo ritorno aveva una faccia buia. Si chinò e sussurrò all’orecchio di Amundsen poche parole.
Il vecchio esploratore si alzò e disse: “Signori, il dirigibile Italia è scomparso. Il console italiano ha chiesto al governo norvegese un aiuto per le ricerche”.
Nella sala calò il silenzio. Poco dopo il telefono tornò a squillare: era il ministro della Difesa che chiedeva di parlare con Amundsen; il quale, tornato al tavolo, pronunciò queste poche parole: “Sono stato convocato al ministero per organizzare i soccorsi. Perdonate, ma vi devo lasciare”.
E con passo solenne, accompagnato dagli sguardi dei presenti, lasciò la sala. Si sentiva come sollevato da terra, pieno di euforia in petto. Avevano di nuovo bisogno di lui. E per di più era chiamato a salvare il suo rivale. Quale rivincita!
*
Nobile e altri otto superstiti si trovarono distesi tra i rottami della gondola sparsi da ogni parte. Al primo impatto ne erano stati sbalzati fuori attraverso lo squarcio che si era prodotto sul lato destro.
Dopo essersi riavuto Nobile aveva alzato gli occhi e aveva visto il pallone aerostatico allontanarsi senza più controllo, trascinato dal vento in direzione nordest, verso l’area più desolata del mare artico. Ritto sulla passerella di metallo che conduceva alla cabina del motore di sinistra, il capo motorista Ettore Arduino lo fissava con occhi pieni di disperazione tenendosi a una fune. Altri cinque uomini erano con lui sul pallone e sarebbero stati portati via, chissà dove.
Nobile e gli altri sopravvissuti si trovarono di colpo in mezzo a una tormenta, su una banchisa deserta, tra giganteschi ammassi di neve ghiacciata, canali e pozze di ghiaccio sciolto, a non meno di dodici gradi sotto zero. Il comandante aveva una gamba e un polso fratturati, una spalla slogata e un paio di costole rotte. A Cecioni non era andata meglio: entrambe le gambe fratturate sotto il ginocchio.
Nobile sentì abbaiare e alzò lo sguardo. Vide corrergli incontro Titina, che prese a leccarlo. Il fox terrier era illeso, senza una sola ferita. Gli altri si stavano avvicinando alla spicciolata. Sembravano sconvolti ma in buone condizioni, a parte qualche ammaccatura. Vincenzo Pomella, uno dei motoristi, invece fu ritrovato con il cranio fracassato qualche minuto dopo. Aveva sbattuto violentemente contro un lastrone di ghiaccio appuntito. Il suo corpo giaceva accanto ai pezzi della cabina motore di destra.
Se i più sembravano calmi, benché afflitti, Malmgren era in preda alla disperazione e minacciava di gettarsi in acqua e annegarsi.
“È tutta colpa mia” gridava strappandosi i capelli.
Nobile, nonostante il dolore che avvertiva in tutto il corpo, provò a consolarlo.
“Io sono il capo della spedizione” disse. “La responsabilità è tutta mia”.
Un attimo dopo, sul lontano orizzonte videro alzarsi una colonna di fumo nero.
“Potrei scommetterci. Quello è il pallone che è precipitato sul ghiaccio e ha preso fuoco” fu il suo commento.
Alcuni annuirono. Altri chiusero gli occhi e pregarono.
La maggior parte delle attrezzature e delle scorte era stipata nella chiglia lignea posta sotto il pallone perciò se ne era andata con lui. Ma qualcosa si era salvato. L’attrezzatura e le provviste allocate nella gondola per l’esperimento previsto sul pack erano state scaraventate qua e là. Bastava mettersi a cercare. Le prime ore furono dunque spese in questa attività. Tra i rottami furono recuperati, tra le altre cose, un cannocchiale, un revolver, alcune bussole, un sestante e scatole di cibo contenenti pemmican, tavolette di latte e di cioccolato, burro e zollette di zucchero. E poco dopo una coperta, un borsone, un sacco a pelo, una tenda e altra strumentazione utile per la sopravvivenza. E anche qualche capo di abbigliamento pesante. Ma soprattutto un trasmettitore e un ricevitore a onde corte, con tanto di accumulatore di energia. E un’antenna quasi intatta e forse in grado di ricevere, se opportunamente accomodata. Oltre ad alcuni recipienti per cuocere i cibi. Mentre un grosso bidone della benzina, una volta vuotato e ripulito, sarebbe servito da marmitta per cuocere i cibi.
Alcune ore dopo furono rinvenute, a un centinaio di metri di distanza, tre taniche piene di carburante e diverse scatole di fiammiferi. La legna di cui avrebbero avuto bisogno la ricavarono dai numerosi frammenti delle eliche andate in pezzi, che si misero a raccogliere con pazienza. Ovviamente i viveri sarebbero stati razionati. Stimata la quantità di cibo disponibile, Nobile stabilì che a ciascuno ne sarebbero spettati non più di trecento grammi al giorno.
Poi si dedicarono al montaggio della tenda. Siccome il suo colore chiaro la rendeva poco visibile decisero di tingerla di rosso con l’anilina usata per le rilevazioni altimetriche.
Subito dopo lavorarono all’impianto radio, per rimetterlo in funzione. Biagi indossò le cuffie e lo mise alla prova, lanciando continui SOS, purtroppo invano. Fare in fretta era essenziale.
Dopo qualche giorno il cadavere di Pomella prese a puzzare così tanto che rischiava di attirare gli orsi, perciò furono costretti a legargli tutt’attorno dei pesi e a calarlo in acqua.
*
Nell’ufficio del ministro c’era anche Riiser-Larsen, pilota in seconda durante la spedizione del Norge e suo amico personale.
Amundsen ci mise poco a comprendere che sarebbe stato Riiser-Larsen, ora alto ufficiale della Marina, a dirigere la missione di soccorso. Riiser-Larsen aveva già predisposto un piano che consisteva nell’inviare nella Baia del Re la nave polare Hobby con a bordo un Hansa-Brandenburg F36 in funzione di ricognitore. A pilotare l’idrovolante sarebbero stati Riiser-Larsen stesso e il primo tenente Finn Lϋtzov-Holm, uno dei migliori piloti di cui la Marina norvegese disponesse.
Secondo Riiser-Larsen, che parlando fumava placidamente una grossa pipa, il dirigibile Italia doveva essere disperso da qualche parte sul mare ghiacciato a nord delle isole Svalbard.
Amundsen approvò il piano ma si domandò che cosa ci stesse a fare lì. Non vedeva nessun ruolo per lui, se non quello di semplice consulente da terra. Troppo poco per uno come lui.
*
Si può resistere senza mangiare per settimane ma senza bere non più di quattro o cinque giorni. Perciò procurarsi acqua potabile divenne la preoccupazione principale dei sopravvissuti. Erano circondati da neve e ghiaccio ma era tutta acqua salata. Bevendola la sete sarebbe aumentata. Inoltre, alla lunga avrebbe finito per farli ammalare e per provocare allucinazioni. Malmgren spiegò loro che avrebbero potuto ricavare acqua potabile sciogliendo la neve raccolta dalla sommità dei cumuli ghiacciati, perché era la più dolce. Dovevano scegliere tra i blocchi di ghiaccio più duri e grigiastri, nascosti sotto strati e strati di neve. Lì il sale era stato sicuramente drenato. Perciò tutti si misero a individuare i blocchi giusti e a scioglierli dentro barattoli opportunamente preparati.
Zappi, l’unico a possedere nozioni di primo soccorso, si prese cura degli infermi steccando gli arti fratturati e medicando le ferite. Da un pezzo di stoffa lacerata Nobile ricavò un sostegno da portare al collo per il braccio lussato di Malmgren.
Dormire in nove in una tenda concepita per quattro persone non era facile. Si stava così stretti da calpestarsi. Biagi trascorreva le ore del giorno al ricetrasmettitore. Ben presto, non appena la nebbia si diradò, Mariano e Zappi riuscirono a calcolare dalla posizione del sole le loro esatte coordinate. Scoprirono così di trovarsi molto più a est di quanto avessero immaginato. Esattamente a 81° 14’ N 25° 25’ E.
Ben presto si resero conto di non essere precipitati sulla terraferma ma su una enorme lastra di ghiaccio alla deriva, che viaggiava alla velocità di una quindicina di chilometri al giorno. Le coordinate cambiavano difatti ogni giorno. Scoprirono però di trovarsi abbastanza vicini alla terraferma. In lontananza si scorgevano le montagne e i ghiacciai del Nordaustlandet, l’isola più orientale delle Svalbard. Forse camminando sul mare ghiacciato per alcune giornate avrebbero potuto mettersi in salvo.
La notte del 28 maggio ricevettero la visita di un orso bianco di enormi dimensioni. Rovistava tra rottami e rifiuti. Sulle prime non sembrò badare a loro ma poi si fece minaccioso. Malmgren prese la Colt e lo centrò con tre colpi. L’orso cadde a terra e non si rialzò. Venne scuoiato e quella sera banchettarono con la sua carne bollita a dovere.
*
Amundsen se ne restò per giorni chiuso nella costosa camera al Victoria Hotel di Oslo in attesa di essere nuovamente contattato dal ministero o da Riiser-Larsen. Ma nessuna chiamata giunse. Era furioso. Lo avevano messo da parte, come un inutile orpello. Non avevano più bisogno di lui. Si sentiva vecchio, stanco e svuotato.
Non poteva sapere che nel frattempo le cose erano cambiate e che gli italiani, attraverso il cavalier Senni, capo delegazione, avevano fatto sapere che avrebbero accettato l’aiuto norvegese a patto che la missione di soccorso non fosse diretta da Amundsen. Mussolini era stato categorico. In passato Amundsen aveva parlato male dell’Italia e del regime e lo stesso duce aveva avuto con lui un incontro di cui conservava un ricordo spiacevole. Inoltre il governo italiano pretendeva che a coordinare le ricerche fosse la nave appoggio Città di Milano, comandata dal capitano di fregata Giuseppe Romagna Manoja, che già si trovava ancorata nella Baia del Re. A questa si sarebbe affiancata ben presto la nave da caccia Braganza, con a bordo una squadra di alpini comandata dal capitano Gennaro Sora.
Stanco di attendere, una settimana dopo Amundsen scagliò a terra il suo cappello e prese una decisione nel suo stile. Indisse una conferenza stampa e annunciò al mondo che sarebbe partito lui stesso alla ricerca dei dispersi.
“Sarò io a trovare Nobile per primo” assicurò, con gli occhi che brillavano.
Subito dopo mentì spudoratamente sostenendo che sarebbe stato in grado di partire entro una settimana. In realtà aveva a malapena il denaro per pagare la stanza d’albergo. Figurarsi se era in condizioni di attrezzare una spedizione artica. Ma un’idea ce l’aveva. Qualche giorno prima, dagli Stati Uniti, il suo vecchio amico Lincoln Ellsworth aveva dichiarato alla stampa che se c’era una persona al mondo in grado di ritrovare Nobile quella era Amundsen. Sembrava un invito. Perciò fu a lui che si rivolse.
Sulle prime Ellsworth si disse pronto a finanziare la missione. Ma poi si tirò indietro. Aveva altro per la testa.
Amundsen allora riuscì a convincere Leif Dietrichson, uno dei più abili piloti dell’aviazione norvegese, a partecipare alla spedizione di soccorso. Si trattava solo di trovare un mezzo e di attrezzarlo. Per questo lo spedì il Germania in cerca di finanziatori, dove riteneva di avere ancora molti estimatori. Ma questi tornò a mani vuote.
Amundsen era sul punto di rinunciare quando dalla Francia giunse un’offerta che non si poteva rifiutare.
*
All’esterno della tenda avevano piantato, a vegliare su di loro, una immagine lignea della madonna con Gesù bambino, scampata al disastro.
Una sera Běhounek si imbatté in Zappi e Mariano che parlottavano in gran segreto. Non visto, si avvicinò e sentì che discutevano dell’idea di abbandonare il gruppo per tentare la sorte. Il loro piano era quello di raggiungere la terraferma e poi guidare i soccorsi fino alla tenda rossa.
Ben presto i due riuscirono a coinvolgere nel progetto anche Malmgren, che si presentò da Nobile in qualità di portavoce.
Il comandante lo ascoltò con calma. Non se la sentiva di opporsi. Tutti a parte lui erano sicuri che quella fosse l’unica possibilità che avevano di salvarsi.
“Di questo passo” fece presente Malmgren “verremo trascinati sempre più a est e il lastrone di ghiaccio su cui ci troviamo finirà per sciogliersi in mare aperto”.
Nobile riconobbe che era una possibilità.
“Sono giorni che proviamo a mandare segnali radio” aggiunse Mariano “ma nessuno ci sente. Forse il ricevitore non funziona. Se invece ci mettiamo in cammino avremo la possibilità di raggiungere le coste, che secondo i nostri calcoli distano poche decine di chilometri, e di condurre fin qui i soccorsi.
Dopo quelle parole Nobile acconsentì. Lui e Cecioni non erano in grado di camminare. Il timoniere Felice Trojani nemmeno: da giorni era preda di una febbre altissima. Biagi era l’unico telegrafista e doveva rimanere. Běhounek era troppo grasso e fuori forma per affrontare una simile viaggio. Il giovane tenente Alfredo Viglieri, il navigatore del gruppo, decise di rimanere per lealtà a Nobile.
Coloro che sarebbero rimasti scrissero delle lettere per i parenti e le consegnarono al terzetto che si accingeva a partire. Ormai erano tutti convinti che i tre avessero le maggiori possibilità di salvarsi. Suddivisero equamente viveri e attrezzatura. La Colt rimase con quelli della tenda. Al terzetto toccarono un coltello e un’ascia.
La mattina, dopo essersi scambiati abbracci e parole di incoraggiamento, Malmgren e i due ufficiali italiani si misero in cammino, carichi di zavorra.
Dalla tenda ci si rese conto subito che il loro viaggio sarebbe stato tutt’altro che agevole. Procedevano così lentamente che dopo due giorni erano ancora visibili sul lontano orizzonte.
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Ormai le operazioni di soccorso si erano estese in ogni direzioni. La Baia del Re sembrava divenuta il centro del mondo, affollata com’era di mezzi, giornalisti internazionali, militari e curiosi. Molte nazioni avevano spedito in quello sperduto angolo del pianeta i gioielli della propria Marina e Aeronautica. Oltre a Italia e Norvegia, altre nazioni erano scese in campo. Leggendarie navi polari, imponenti rompighiaccio, idrovolanti di ultima generazioni stavano affluendo da ogni parte verso le Svalbard in una gara a chi sarebbe arrivato per primo al traguardo. E inoltre squadre di guide esperte del territorio, cacciatori polari, alpini, esploratori. Riiser-Larsen aveva preso contatto con Svezia, Finlandia, Francia e, all’insaputa dell’Italia, coi sovietici. Il duce mai avrebbe acconsentito a ricevere aiuto dall’Unione Sovietica, la quale segretamente – almeno al principio – mise a disposizione i due rompighiaccio più grandi e potenti del mondo: il Krassin e il Malygin, che subito salparono da Leningrado.
Dall’Italia un pool di finanziatori privati, coordinati dal presidente dell’Automobile Club di Milano Artuto Mercanti, mise a disposizioni i fondi per far decollare un Savoia-Marchetti S55, pilotato dal maggiore Umberto Maddalena, e un Dornier Wal, condotto dal pluridecorato pilota Pier Luigi Penzo. E per il momento fu tutto.
Ma ben presto cominciò ad accadere una cosa strana: tutti i soccorritori finivano per cacciarsi nei guai e dovevano a loro volta essere salvati. Non pochi ci lasciarono le penne. Una scia di sangue che sconvolse l’opinione pubblica. Al punto che il conducente di slitta Rolf Tandberg, coinvolto nelle ricerche, aveva dichiarato ai giornali: “Quante altre vite andranno perse in questa missione di salvataggio?”.
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L’avanzata del terzetto procedeva tra mille difficoltà. Camminare sul ghiaccio era quanto mai arduo, tra cumuli di neve indurita, pozze di acqua salata, pendi da superare, tratti particolarmente scivolosi. E poi c’erano canali da scavalcare e talvolta da attraversare finendo spesso a mollo. A sera erano già zuppi di sudore e letteralmente fradici. E soprattutto infreddoliti. Le scarpe finnesko, di morbida pelle di renna, erano inadatte a una marcia sul pack e si sfondarono già al termine del primo giorno. Dormire all’aperto su lastre di ghiaccio dure e bagnate era quasi impossibile. Il sole di mezzanotte non dava tregua. Dopo un solo giorno Malmgren era stato colpito da cecità da neve e avanzava aggrappato a uno dei compagni. Il giorno seguente anche a Mariano toccò la stessa sorte. L’unico che pareva possedere ancora le energie per proseguire era Zappi, un uomo alto e vigoroso che non pareva conoscere la stanchezza.
Decisero di muoversi di notte e riposare di giorno, per affaticare meno gli occhi. Avendo finito le scorte d’acqua erano stati costretti a succhiare il ghiaccio salato, ben sapendo a quali conseguenze sarebbero andati incontro.
Ma la cosa peggiore era questa: ben presto si accorsero che procedevano più lentamente di quanto la lastra si allontanasse dalla terraferma. Era tutto inutile.
Il quarto giorno a Malmgren si congelarono i piedi e non fu più in grado di camminare. Oramai una nebbia ghiacciata sembrava avvolgerli in modo permanente. Lo svedese, esausto, si lasciò cadere a terra e chiese di essere abbandonato. I due italiani non volevano saperne di lasciarlo lì ma egli si mostrò irremovibile. Si fece aiutare a scavare una buca, poi si spogliò di quasi tutti i vestiti, che consegnò ai compagni, e vi si sdraiò dentro in attesa della morte, dopo aver insistito perché gli altri due si rimettessero in viaggio. Col cuore in pena Mariano e Zappi ripresero la marcia. Dopo una ventina di minuti si girarono. Scorsero Malmgren seduto nella buca che faceva loro cenno di proseguire. Fu l’ultima volta che lo videro.
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Davanti a una tale accelerazione degli eventi Amundsen si rese conto che per riuscire a raggiungere per primo Nobile avrebbe dovuto affrettare i tempi.
La Francia gli aveva messo a disposizione un idrovolante Latham 47, un apparecchio di nuova concezione ideale per gli atterraggi sull’acqua ma poco adatto per quelli sul ghiaccio a causa del fondo dello scafo arrotondato.
“Non avremo alcun bisogno di atterrare sul ghiaccio. Ci basterà un solo volo per trovare Nobile” assicurò Amundsen ai giornalisti che lo assediavano non appena metteva piede fuori di casa (dove nel frattempo era rientrato), sorridendo sotto i suoi baffoni oramai ingrigiti.
Inutile dire che in Italia la notizia della sua discesa in campo non era andata giù nelle più alte sfere. Il duce aveva indetto una riunione segreta e aveva preso contatto con il cavalier Senni, che a Oslo guidava la delegazione italiana, impartendogli precise istruzioni.
Certo, Amundsen non era uomo da conservare a lungo le amicizie né da suscitare simpatia. Però aveva un suo codice d’onore, in base al quale gli avversari andavano rispettati e soccorsi, nel bisogno.
“Quell’uomo ti ha screditato in tutti i modi. Perché vuoi salvarlo?” domandò Dietrichson una sera, un po’ su di giri per l’alcol che aveva in corpo e dunque propenso alle confidenze.
Amundsen lo fissò senza rispondere. Giocherellava con l’accendino.
“Se si accende per cinque volte di seguito saremo noi a ritrovarlo, altrimenti no” disse per tutta risposta.
Dietrichson sorrise.
Il primo tentativo andò bene. Anche il secondo e il terzo.
Amundsen guardò l’amico con un risolino. Poi fece scattare il pollice.
Anche il quarto tentativo fu coronato dal successo. Restava l’ultimo.
Amundsen posò l’accendino e disse: “No. Ho deciso che non lo voglio sapere”.
E tutti e due scoppiarono a ridere.
Quello stesso giorno, sul tardi, Amundsen ricevette una telefonata allarmata dal ministro della Difesa norvegese che, saputo della sua imminente partenza per le Svalbard, gli chiese – e quasi ordinò – di prendere contatto con Riiser-Larsen (che già si trovava nella Baia del Re) e di collaborare con lui.
Amundsen non disse né sì né no, godendosi la sua rivincita.
Certo, il Latham 47 era un’incognita, trattandosi di un prototipo, con un esiguo numero di ore di collaudo e di volo.
Ecco perché quando partì dalla stazione ferroviaria di Oslo est furono in molti a notare sul suo volto un’espressione oltremodo preoccupata. Una ragazza si avvicinò e gli porse un mazzo di fiori, abbracciandolo e baciandolo.
Giunti a Bergen una folla oceanica lo attendeva, quasi fosse un messia. Qui era ad attenderlo l’equipaggio del Latham, composto da due piloti, un motorista e un radiotelegrafista. L’apparecchio era all’ancora, giù al porto.
Il giorno dopo finalmente l’idrovolante scivolò fuori dal Puddefjord e si alzò in volo in direzione di Tromsø, sulla costa settentrionale della Norvegia. Da lì, con un volo di una decina di ore avrebbero sorvolato il tratto di mare artico che li separava dalle Svalbard e dalla Baia del Re.
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Nobile in fondo era lieto di essersi liberato degli elementi più irrequieti del gruppo ben sapendo che sul pack la salvezza spesso dipende dalla calma che si riesce a mantenere e dalla pazienza di cui si dà prova. Inoltre, ora che erano rimasti in sei, nella tenda si stava più comodi. Senza contare che disponevano di una stazione radio funzionante. Già, la radio! Proprio da quella giunse il primo dei miracoli attesi. Da giorni Biagi era riuscito a sintonizzarsi con Radio San Paolo, una emittente che trasmetteva notiziari da Roma. E fu da lì che apprese che i loro SOS erano stati captati già il 3 giugno da un giovane radioamatore russo, nella piccola cittadina di Vochma, in Siberia. Quello che però li demoralizzò fu sentire che il giovane aveva riferito alla stampa e ai soccorritori delle coordinate completamente errate.
L’8 giugno però accadde ciò non osavano più sperare. La nave appoggio Città di Milano, ancorata da settimane nel piccolo porto di Ny-Ålesund, incapace di prendere il largo a causa del ghiaccio che circondava la baia, captò finalmente forte e chiaro il loro messaggio grazie anche all’efficienza delle apparecchiature donate da Guglielmo Marconi in persona, il quale seguiva la vicenda coi suoi tecnici da Roma tenendosi informato di tutto.
E così Nobile poté trasmettere il primo lungo telegramma con il quale informava le autorità italiane della loro condizione, della posizione attuale, fornendo un dettagliato resoconto di quanto era loro accaduto. In risposta ebbe la sorpresa di ricevere un messaggio dello stesso Mussolini, che lo invitava a farsi coraggio e lo rassicurava sul fatto che sarebbero stati gli italiani a salvarli.
Per poco Nobile non scoppiò a ridere. Davvero era così importante chi sarebbe stato a salvarli? Ma ovviamente tenne quel pensiero per sé.
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Una volta giunti a Tromsø, Amundsen e Dietrichson, che nel frattempo avevano avuto notizia del ritrovamento di Nobile, furono ospitati nella villa a tre piani del farmacista Fritz Gottlieb Zapffe, vecchio amico del primo nonché corrispondente del Morgenbladet. I quattro francesi invece alloggiarono in un vicino albergo.
Da quel momento si attendeva solo il via libera dell’Istituto di geofisica, che a intervalli regolari forniva i bollettini meteorologici.
Ma quel via libera tardava a venire. Ogni ora erano annunciate perturbazioni tali da impedire il decollo.
Amundsen fece colazione, poi riposò un poco. L’amico farmacista non smetteva di fissarlo con ansia crescente: non lo aveva mai visto così preoccupato. Qualcosa lo tormentava, ne era certo. Ma non osava chiedere.
Sapeva che a Bergen, in fase di decollo, il Latham aveva riportato dei danni a un galleggiante, prontamente riparati una volta atterrati a Tromsø. Ma non poteva essere quel banale incidente a occupare i suoi pensieri.
“Che cosa porterai con te sull’idrovolante?” domandò.
“Tutto quello che ha chiesto Nobile” si limitò a rispondere Amundsen.
Egli sapeva che bisognava fare in fretta, si attendeva un’ondata di maltempo da ovest che avrebbe impedito per giorni di decollare.
Finalmente alle due ebbero il permesso di farlo.
Salutati amici e conoscenti, scesero al molo, sul lato orientale del canale, dove il Latham e i quattro francesi lì attendevano. Era già stato fatto il pieno di carburante e di olio. A bordo era stato caricato tutto l’equipaggiamento necessario.
Salendo sul Latham Amundsen incrociò un’ultima volta lo sguardo di Zapffe, che lesse nei suoi occhi un lampo sinistro.
“Strano” disse un attimo prima di accendere i motori il primo pilota “Arrivando abbiamo trovato il portellone accostato. Qualcuno di voi deve averlo lasciato aperto”.
Si scambiarono l’un l’altro occhiate interrogative.
“Non sarà entrato qualcuno” disse Dietrichson.
“C’era un custode a bordo. Ci avrebbe avvisati” rispose il secondo pilota.
“Forza” tagliò corto Amundsen. “Mettete in moto prima ci raggiunga l’ondata di bassa pressione annunciata per il pomeriggio. O, invece dei primi, saremo gli ultimi a stringere la mano a Nobile”.
La competizione tra le varie nazione per poter esibire Nobile davanti alla stampa come un trofeo era scattata. E Amundsen non era certo in prima fila. Egli si rendeva conto che la concorrenza era agguerrita e che nessuno sarebbe stato disposto a condividere con gli altri le poche informazioni di cui sarebbe entrato in possesso.
Un’ora dopo erano in volo sul mare di Barents. Ma alla Baia del Re, dove tutti li attendevano, non sarebbero mai giunti. Inghiottiti per sempre da quello sterminato mare di ghiaccio. Come se non fossero mai esistiti.
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Coi norvegesi ormai completamente dediti alle ricerche di Amundsen e del Latham, coi finlandesi che stentavano a far decollare i loro pesanti idrovolanti da Tromsø, i francesi che nemmeno si vedevano all’orizzonte e i sovietici in grave ritardo (i loro rompighiaccio avevano incontrato una resistenza furiosa alla loro avanzata), non restavano che gli svedesi a far concorrenza agli italiani. Da un paio di giorni, infatti, il maggiore Umberto Maddalena sul suo Savoia-Marchetti era giunto nella Baia del Re, prima di ogni altro, e aveva già compiuto un volo di ricognizione a nord delle Svalbard, senza peraltro ottenere risultati. Durante il secondo volo, però, per l’esattezza il 20 giugno, egli individuò i superstiti grazie al luccichio di un pezzo di stagnola usato a mo’ di specchio da Cecioni. Sorvolando l’accampamento fece con la mano un gesto di saluto, ma non fu veduto. Si abbassò a sufficienza affinché dalla tenda rossa potessero scorgerlo e, quando fu esattamente sopra di loro, il fotografo a bordo filmò con la macchina da presa i sopravvissuti che accorsi in massa non finivano più di sbracciarsi. Quelle immagini avrebbero fatto il giro del mondo mostrando a tutti le condizioni penose in cui erano stati costretti a vivere per quasi un mese, le loro facce smagrite e disfatte, le barbe lunghe, l’aspetto da naufraghi. Nobile si sentì umiliato e rientrò più in fretta che poteva nella tenda, facendosi aiutare da Viglieri.
Maddalena, roteando sopra il campo, sganciò provviste e attrezzature, ma i pacchi sostenuti da piccoli paracaduti finirono per la gran parte nelle acque dei canali di scioglimento o si fracassarono al suolo: troppa la velocità a cui volava l’idrovolante. Qualcosa però poté essere salvato: una carabina, due sacchi a pelo, cibo fresco e specialmente agrumi, stivali di cuoio e infine cartucce per eseguire segnali di fumo in modo da facilitare il loro avvistamento al prossimo volo.
La notizia del loro ritrovamento si diffuse in un lampo. Il merito spettava agli italiani, non c’era dubbio. Seppure non avesse fatto quasi nulla per ottenere quel risultato, il duce gongolava. La stampa celebrava l’impresa. Ora però servivano aerei con caratteristiche diverse per recuperarli. Aerei come quelli in dotazione alla Marina svedese. Nei voli successivi il Savoia-Marchetti fu supportato dal Dornier Wal di Penzo e da alcuni Junkers svedesi. Riuscirono a sganciare, questa volta con pieno successo, altri rifornimenti e medicinali. E perfino un paio di bottiglie di whisky, una delle quali però si fracassò.
E finalmente la sera del 23 giugno gli uomini della tenda rossa udirono un rombo sopra le loro teste. Erano un Hansa 257 e un Fokker svedesi che sorvolavano il campo. Il Fokker riuscì ad atterrare. Ne scese un uomo mingherlino in una tuta marrone da aviatore. Era il capitano Einar Lundborg. Scese con tutta la calma possibile dal velivolo e andò incontro al gruppetto che avanzava verso di lui. Fece il saluto militare e si presentò. Disse che aveva il compito di condurre con sé per primo il comandante Nobile e che subito dopo avrebbe fatto ritorno, volando anche tutta la notte se necessario, per condurre in salvo gli altri.
Nobile protestò e per tutta risposta presentò la lista da loro predisposta nella quale era riportato l’ordine con coi avrebbero dovuti essere condotti in salvo. Primo Cecioni, poi Běhouneck, quindi Trojani e infine tutti gli altri. Per ultimo il radiotelegrafista. Nobile si era messo per penultimo.
Ma il pilota svedese fu irremovibile, non avrebbe preso a bordo nessun altro a parte Nobile. Aveva ordini precisi. Anche perché una volta al sicuro questi avrebbe potuto rendersi utile coordinando i soccorsi dal Città di Milano. Nobile avrebbe potuto portare con sé il suo fox terrier, nient’altro. In quel momento sul Fokker non c’era posto che per un passeggero, ma al prossimo giro – promise lo svedese – sarebbe tornato più leggero e avrebbe potuto caricare anche due o tre passeggeri alla volta.
Il comandante si consultò con i compagni e alla fine si arrese. Questo sbaglio lo avrebbe pagato per tutta la vita. In Italia per anni nessuno gli avrebbe perdonate di essere stato il primo a mettersi in salvo abbandonando i suoi uomini. La foto che lo ritrae alla base svedese di Søre Russøya mentre accarezza e nutre amorevolmente Titina a molti parve un gesto irriguardoso verso chi era rimasto sul pack. Una macchia indelebile nella sua fin lì gloriosa carriera.
Del resto nessuno poteva immaginare che, una volta a bordo del Città di Milano, Nobile sarebbe stato privato del comando delle operazioni e che sarebbe stato trattato da Romagna Manoja quasi alla stregua di un ospite sgradito se non addirittura di un prigioniero in attesa di giudizio.
Chi potrà mai dimenticare il suo incontro con Mussolini, qualche settimana dopo. Il duce non lo aveva in simpatia, anche se ufficialmente non perdeva occasione per elogiarlo. Ma Nobile aveva il difetto di non essere un fascista e di essere detestato dal potente Italo Balbo. I due si incontrarono a palazzo Venezia, ebbero un acceso scambio di opinioni, finché Nobile non fu quasi messo alla porta.
Tempo dopo egli sarebbe stato sottoposto a un’inchiesta che gli sarebbe costata i gradi militari (restituitigli negli anni a venire, dopo una completa riabilitazione) e non solo.
Tornando a noi, quando il pilota svedese fece ritorno al campo sbagliò l’atterraggio e finì cappottato. Lundborg ne uscì illeso ma ormai anch’egli prigionieri del pack. Per molti giorni i velivoli svedesi non poterono decollare a causa del maltempo e quando poterono farlo uno di essi atterrò a un centinaio di metri dalla tenda rossa; ma solo per recuperare il loro pilota. Dopodiché gli svedesi non si fecero più vedere, abbandonando i sopravvissuti al loro destino.
A salvarli – raccontano le cronache – sarebbe stato il rompighiaccio sovietico Krassin, da giorni in avvicinamento, malgrado l’inclemenza del tempo, le continue avarie e l’assottigliarsi delle scorte di carbone. Era il 12 luglio, ed era trascorso oltre un mese e mezzo dal disastro del dirigibile Italia, quando il Krassin aveva fatto capolino tra le montagne di ghiaccio svettanti sulla banchisa polare, tra le urla festanti dei sopravvissuti. I cinque della tenda rossa trovarono ad attenderli a bordo del rompighiaccio nientemeno che Mariano e Zappi, recuperati qualche ora prima, ormai allo stremo delle forze. Il terzo del gruppo, lo svedese Malmgren, era morto assiderato e forse – come disse qualcuno – era servito da pasto agli altri due.
Gianluca Barbera
L'articolo “L’ultimo volo”. La tragedia del dirigibile Italia, gli errori di Nobile, la fine di Amundsen. Un racconto di Gianluca Barbera proviene da Pangea.
from pangea.news http://bit.ly/2K2kbfA
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MACERATA – Sarà una puntata tutta dedicata a Macerata quella di “Pasta Grannies”. La celebre rubrica dedicata alle nonne del Belpaese depositarie del saper fare la pasta a mano nei giorni scorsi è approdata a Macerata alla scoperta del piatto principe della tradizione locale, i vincisgrassi.
Ospiti della blogger britannica Vicky Bennison, ideatrice del format che spopola soprattutto nel Regno Unito e negli Usa sono state le sorelle Iginia e Letizia Carducci dell’Osteria dei Fiori, che hanno mostrato la preparazione dei princisgras (antica ricetta del cuoco Antonio Nebbia) e Bruna Trisciani e Silvana Latini della Pro Loco di Piediripa, protagoniste con i vincisgrassi, piatto meno nobile ma non meno gustoso del ricettario tipico maceratese.
La puntata che sarà disponibile dal 5 ottobre sui canali Youtube e Instagram di Pasta Grannies ha unito dunque le due anime della tradizione culinaria locale, valorizzando anche la storia della città che con i suoi monumenti e i suoi scorci ha fatto da sfondo alla “sfida” tra cuoche e ricette.
“Sempre grati a chi parla bene di Macerata e delle sue tradizioni culturali. Siamo contenti di offrire a viaggiatori e turisti la ricchezza della nostra storia. Macerata vi aspetta per mangiare insieme la buona cucina delle nostre nonne!”, sono le parole di Stefania Monteverde assessore alla cultura e al turismo del Comune di Macerata che ringrazia Letizia Carducci, Gianluca Giorgi e quanti hanno reso possibile questa bella opportunità di promozione.
Il format arriva a Macerata dopo 200 nonne, e qualche nonno, intervistati in giro per tutta Italia, proponendo un mix di intrattenimento, ispirazione e consigli pratici su un cibo universalmente adorato come la pasta, partendo proprio dalle persone che hanno passato una vita a cucinare per amore: le nonne italiane. Vicky ha notato purtroppo che questo sapere non viene più trasmesso alle giovani generazioni, così mentre tutti sono ancora d’accordo sul fatto che la nonna è la migliore cuoca del mondo questo inestimabile patrimonio rischia di andare perso per sempre.
Da qui l’idea di cercare le nonnine e filmarle mentre mettono in pratica la propria arte culinaria aiutata in questo da diversi “granny finders” di tutta Italia. Tra loro Gianluca Giorgi, giovane originario di Cingoli e oggi residente a Londra che ha reso possibile la puntata dedicata a Macerata grazie all’aiuto di Mauro Perugini.
Pasta Grannies – circa 330.000 iscritti su YouTube – è un canale in forte crescita che riscuote molte visualizzazioni soprattutto nel Regno Unito e negli Stati Uniti. Di recente la rubrica è stata rilanciata da importanti testate come Business Insider, ottenendo oltre 48milioni di visualizzazioni, NowThis Food (oltre 4 milioni di visualizzazioni), ed è stata premiata negli Usa da Youtube per la categoria “On the rise” (“In crescita”) grazie al boom di clic ottenuto nell’ultimo periodo.
Molte le testate internazionali che hanno dedicato articoli al fenomeno “Pasta Grannies” come The Times, The Guardian, Daily Mail e in agosto La Repubblica. Apparirà sulla televisione tedesca a settembre mentre Instagram ha richiesto una collaborazione a Pasta Grannies per la sua piattaforma IGTV.
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Enrico Testa: una poesia da “Cairn” (Einaudi, 2018) – Nuove Postille ai testi
Enrico Testa: una poesia da “Cairn” (Einaudi, 2018) – Nuove Postille ai testi
Enrico Testa
di Gianluca D’Andrea
Enrico Testa: una poesia da Cairn (2018)
Cairn
altrove li chiamano Steinmänner, uomini di pietra. Da queste parti invece, un po’ maldestramente, ometti. Sono le piramidali montagnole di sassi che sull’altopiano invaso dalla nebbia amichevolmente indicano la traccia: quella da seguire senza cadere nei crepacci o scivolare giù in ghiaioni ignoti e improvvisi.
In…
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