#Giacomo de Franchis
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erfigh · 2 years ago
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𝔽𝕠𝕟𝕥𝕒𝕟𝕒 𝕕𝕖𝕚 ℚ𝕦𝕒𝕥𝕥𝕣𝕠 𝔽𝕚𝕦𝕞𝕚 𝗣𝗶𝗮𝘇𝘇𝗮 𝗡𝗮𝘃𝗼𝗻𝗮, Roma ₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪ La Fuente de los Cuatro Ríos (Fontana dei Quattro Fiumi), o simplemente Fuente de los Ríos, es una fuente artística de Roma situada en el centro de la Piazza Navona, frente a la iglesia de Sant'Agnese in Agone, diseñada por el escultor y arquitecto Gian Lorenzo Bernini. y construido por un grupo de escultores, incluidos Giovan Maria Franchi, Giacomo Antonio Fancelli, Claude Poussin, Antonio Raggi y Francesco Baratta, entre 1648 y 1651. Obra de arquitectura y escultura barroca, la fuente retrata los cuatro ríos principales de la Tierra, uno por cada continente conocido en la época: el Danubio, el Ganges, el Nilo y el Río de la Plata y está presidida por el obelisco Agonale, procedente del circo de Maxentius en la Appia Antica. ₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪ #fontanadeiquattrofiumi #fontanadeifiumi #piazzanavona #roma #rome #romacaputmundi #romacapitale #romabestfoto #romasuperscatti #volgoroma #clickfor_roma #igersroma #igersrome #igroma #piazzanavonaroma #cartoline_italiane #cartolinedallitalia #romacartoline #clickfor_italia #scatto_italiano #romaurbeaeterna #chusayinka #bernini #gianlorenzobernini #SantAgneseinAgone #fontanediroma #arte #art #visitrome #obelisco (en Piazza Navona) https://www.instagram.com/p/CmlXrG4Mhkr/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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ofleafstructure · 5 years ago
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Luigi Tozzi (ph. Giacomo de Franchis)
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gregor-samsung · 2 years ago
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“ «In questo momento sono molto severi, in fatto di aborti». «Lo so» disse Matteo «ogni tanto se ne ricordano. Mettono in prigione qualche poveretto senza protezioni, ma i grandi specialisti non sono mai seccati.» «Vuoi dire che questo è ingiusto» disse Giacomo. «Sono proprio del tuo parere. Ma non ne disapprovo del tutto i risultati. Per forza di cose i tuoi poveretti sono degli erboristi o delle creatrici di angeli che rovinano le donne con sudici strumenti; le retate operano una selezione, è già qualcosa.» «Insomma» disse Matteo, che ormai non ne poteva più «sono venuto qui per chiederti quattromila franchi.» «E...» disse Giacomo «sei ben sicuro che l'aborto sia conforme ai tuoi principii?» «Perché no?» «Non so, sei tu che lo devi sapere. Sei pacifista perché rispetti la vita umana e poi vuoi distruggere un'esistenza.» «Sono assolutamente deciso» disse Matteo. «E poi, ti sbagli, perché io sono, forse, pacifista, ma non rispetto la vita umana.» «Ah! credevo...» disse Giacomo. Osservava Matteo con divertita serenità. «Eccoti dunque nella pelle di un infanticida! Ti sta veramente male, mio povero Teo.» «Teme che mi prendano», pensò Matteo: «non mi darà neanche un soldo.» Avrebbe dovuto potergli dire: se paghi non corri alcun rischio, perché mi rivolgerei ad un uomo esperto che non si trova sugli elenchi della polizia. Se rifiuti, sarò costretto a mandare Marcella da una erborista, nel qual caso non garantisco nulla, dato che la polizia le conosce tutte e può pescarle da un giorno all'altro. Ma argomenti come questi erano troppo diretti per far presa su Giacomo; Matteo disse soltanto: «Un aborto non è un infanticidio». Giacomo prese una sigaretta e l'accese: «Sì» disse con indifferenza. «Ne convengo: un aborto non è un infanticidio, ma un assassinio "metafisico"». Aggiunse serio: «Mio povero Matteo, non ho da fare obiezioni contro l'assassinio metafisico, così come non ne faccio contro i delitti perfetti. Ma che "tu", tu commetta un assassinio metafisico... tu, proprio tu...» E fece schioccare la lingua con aria di rimprovero: «No, decisamente no, sarebbe una nota falsa». “
Jean-Paul Sartre, L'età della ragione, traduzione di Orio Vergani, Milano, Bompiani, 1963⁸; pp. 143-144.
[ Edizione originale: L'âge de raison, Gallimard, 1945 ]
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tarditardi · 4 years ago
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Pequod Acoustics partner di Recall: moments w/ Pergola, il 10 marzo '21 a Palazzo Pucci - Firenze, a partire dalle ore 19
Il 10 marzo 2021 dalle 19 il brand fiorentino Pequod Acoustics diffonderà il suono di una performance davvero particolare in diretta Facebook. E':  Recall: Moments, w/ Pergola @ Palazzo Pucci, Firenze.
Il link per seguire lo streaming è questo: https://www.facebook.com/events/766748610943377/
Dopo aver diffuso la musica della star mondiale del mixer Benny Benassi in tante tappe del suo evento itinerante Panorama (dall'Arena di Verona, da Venezia, dalle Dolomiti, etc - 1.300.000 visualizzazioni solo per l'episodio girato a Venezia: https://youtu.be/wLYaT1YcHas, Pequod Acoustics questa volta 'gioca in casa'  e contribuisce con le sue casse acustiche hi-pro in qualche modo a mostrare, ancora una volta, l'eccellenza di una città unica al mondo come Firenze e la splendida Cupola del Brunelleschi.
Recall 'moments' è una nuova idea di evento digitale, che nasce per registrare performance site specific, i cui protagonisti siano artisti emergenti (in questo caso Pergola, originario di Avellino), in location evocative (in questo caso Palazzo Pucci, nel cuore di Firenze).
Nel 2019, Pergola ha pubblicato un suo re-arrangement della iconica 'Rockin' in the free world ' del leggendario Neil Young. Nel 2020 sulla label Borders Of Light ha pubblicato 'Dixit', brano proposto da Adriatique durante la più recente edizione del Tomorrowland, il festival di musica elettronica da ballo forse più importante al mondo.
Tra gli altri partner dell'evento, insieme a Pequod Acoustics, anche Nital, Engrave LTD, Duel Club, WOO!
photography: Maria Camilla Ferracini aerial shots: Tommaso Bruno and Giacomo de Franchis video editing: Giacomo Gallo thanks to Famiglia Pucci
www.pequodacoustics.com
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allmadamevrath-blog · 6 years ago
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Giovanna d'Arco. Il maggio delle fate
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Giovanna d’Arco
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San Michele Arcangelo
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Santa Caterina d'Alessandria
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Santa Margherita d'Antiochia
Il maggio delle fate
Jeanne che tutti nel suo paese chiamavano e avrebbero continuato a chiamare Jeanette, era nata verso il 1412 - si dice convenzionalmente il giorno dell'Epifnia di quell'anno: ma la cronologia è incerta - nel villaggio di Domrémy dipendente dalla castellanìa di Voucouleurs (una decina di chilometri più a nord) nella balìa di Chaumont. Si era nel ducato di Bar, sulla riva sinistra della Mosa: in un territorio grande quanto un fazzoletto circondato da terre borgognone ma fedele al delfino, quel giovane e incerto principe Carlo di Valois.
Un'area di frontiera la chiameremmo noi. E la parola per quanto non ancora troppo diffusa (si preferiva renderne il concetto ricorrendo all'antico termine <<marca>>, d'origine carolingia), esisteva già. La si era adottata in Francia durante il primo quarto del Trecento, ma era d'origine iberica e richiamava l'idea della line lungo la quale si affrontano due mondi e due civiltà diverse in Spagna, appunto, la cristiana e la musulmana. Il territorio compreso tra la Lorena e i Vosgi odierni era stato a lungo diviso e conteso: in pien IX secolo, esso faceva parte integrante della <<Lotaringia>>, quindi della parte orientale delle due regioni nelle qualisi era scisso il dominio di Carlo magno.  Ma il regno dei <<franchi occidentali>>, che era poi diventato la Francia capetingia, aveva pian piano spostato verso est, ampliandoli, i suoi confini: e nel 1301 un trattato fra l'imperatore romano - germanico Alberto I d'Asburgo e il re di Francia Filippo IV il Bello, aveva fissato il corso della Mosa come linea di confine tra il regno dii Francia e il ducato di Lorena, terra d'Impero. Come sempre si faceva con le aree di frontiera, i sovrani francesi avevano in un primo tempo ridotto al minimo la pressione fiscale e garantito ogni sorta di privilegi alle comunità entrate da poco stabilmente nella loro compagine: ma al tempo stesso ne avevano seminato il territorio di fortezze e di guarnigioni di frontiera.
Il villaggio di Domrémy era solcato da un ruscello a nord del quale esso dipendeva direttamente dal dominio regio, a sud di signori di Buorlémont-Joinville, vassalli del Barrois, feudo diretto dalla corona tenuto prima dal cardinale di Bar e quindi da suo nipote Renato d'Angiò, genero ed erede di Carlo II duca di Lorena. Quelli di Domrémy, stavano dalla parte del delfino; ma la gente del vicino paese di Maxey, era <<borgognona>> e quelli dall'altra parte della Mosa, fideles del duca di Lorena, approfittavano di tutte le occasioni per sbocconcellare un pò di quelle terre contese. Neufchàteau a una decina di chilomentri da Domrémy, apparteneva al re: il quale però l'aveva concessa in feudo al duca di Lorena, nonostante questi fosse - ma la pratica era corrente - vassallo dell'imperatore. Il fulcro lealista della regione era la fortezza di Vaucouleurs, fedele al delfino e circondata dai suoi nemici. Nonostante la guerra che la devastava, tutta l'area era importante e potenzialmente prospera: là s'incrociavano la via mercantile che collegava Lione a Treviri con quella che univa Basilea alle città rese ricche e famose fin dai tre secoli prima grazie alle <<fiere di Champagne>>.
Oggi non si hanno dubbi sul fatto che il toponimo della località di Domremy-la-Pucelle nei Vosgi, piacevole tappa sulla strada fra Parigi e Basilea, vada scritto senza l'accento acuto sulla <<e>>: ma la consuetudine ha i suoi diritti. Esso dipende da Dominus Remigius, ed è attestato almeno all'XI secolo; ma è forse più antico, dal momento che la tradizione di dare in Francia ai luoghi nomi di santi qualificati dall'epiteto Dominus avviata verso la fine del VI secolo, venne abbandonata verso il X, allorché prevalse quello di Sanctus.
Domrémy era quindi un insediamento dedicato a san Remigio, l'evangelizzatore dei franchi che secondo la tradizione avrebbe consacrato Clodoveo re cristiano della sua gente ingendolo in Reims, col crisma contenuto in un'ampolla mracolosamente recaata dalla colomba dello Spirito Santo. In realtà a Reims, nel Natale del 496, Clodoveo era stato non consacrato re, bensì battezzato. Nel capoluogo della Champagne si era cominciato a consacrare i re dal 5 ottobre dell'816, quando vi fu unto e incoronato Ludovico il Pio figlio di Carlomagno.
Giovanna, una dei cinque figli dei bons laboureurs - contadini, ma piuttosto piccolissimi proprietari - Jacques, il cui cognome si è tardivamente fissato nella forma <<d'Arc>> e Isabelle Romée era una ragazza come tante altre, che si distingueva d'altronde per il suo vivo senso religioso e per l'ingenua ma profonda devozione. Aveva tre fratelli maggiori - Jeacques, Pierre e Jean - e una sorella, Catherine, che sarebbe morta forse di parto nel 1428. La devozione dei genitori e probabilmente il loro imoegno nel pellegrinaggiol sembrano confermati da questi quattro nomi, che rimandano ai principali grandi santuari meta dei pellegrinaggi del tempo: Santiago de Compostela, legato al culto delle reliquie di San Giacomo, Roma, Gerusalemme, il Monte Sinai.
Forse più nota per i pellegrinaggi fatti da lei stessa o dai membri della sua famiglia era la madre Isabelle detta Romée. Un cognome, questo, o piutosto un soprannome? <<Romei>>, erano in effetti chiamati i pellegrini che volgevano i loro passi verso Roma, alla volta dell'apostolo Pietro e della reliquia che custodiva l'effigie di Cristo, <<la Veronica>>. Jeacques non era comunque, s'è detto, proprio un povero contadino, come invece una leggenda romantica ha cercato di far credere. Doveva essere piuttosto agiato ed era circondato da rispetto, nel 1623 era stato decano di Domrémy talvolta aveva rappresentato il suo villaggio presso i signori del luogo.
La ragazza accudiva alle faccende domestiche, sapeva filare e cucire (si sarebbe vantata di saperlo fare molto bene) e nei giorni di festa frequentava la chiesa. La conooscevano come una brava e tranquilla bambina: per quanto qualche testimonianza raccolta nei due processi del 1431 e del 1456 - dai quali ci poviene quasi tutto quel che sappiamo di lei - riferisca di una sua speciale propensione per le cose della fede, d'una sua qualche inclinazione un pò più ingenuamente devota rispetto alle coetanee, a una sua più intensa partecipazione ai sacramenti; conosceva comunque le principali preghiere, insegnatele dalla madre. Può darsi che in qualche modo fosse in contatto con gurppi affini ai <<begardi>>, o almeno così dissero di lei durante il processo di riabilitazione: che fosse una <<beghina>> era il parere registrato nel 1429 dal mercante veneziano Antonio Morosini, che nel suo <<giornale>> raccoglieva le notizie che provenivano da Bruges.
Quel tempo e quelle terre erano piene comunnque di mistici e di <<devoti>> che vivevano il rapporto con Cristo e con la fede di un modo nuovo, intima, che rifuggiva dalla mediazione delle istituzioni ecclesiastiche e si traduceva in un'infinità di pratiche rituali private spesso numerose e ossessive ma anche - talvolta - in una vita di comunità laiche all'interno delle quali la tensione spirituale si esternava in termini quotidiani. Può darsi che anche i predicatori appartenenti agli Ordini mendicanti francescano e domenicano, che senza dubbio passavano spesso per le strade molto battute tra la Mosa e il Reno, abbiano influito su Giovanna. Ma per quel che si sa, la sua vita devota - probabilmente un pò più intensa di quella dei suoi coetanei - s'inquadrava comunque bene nei consueti usi parrocchiali. Il centro attorno al quale essa ruotava era la messa domenicale, grande momento di compartecipazione e di scambio durante il quale, a partire dal IV Concilio Lateranense del 1215, era invalsa la consuetudine di comunicarsi: ma la pratica della comunione frequente non era incoraggiata dalla Chiesa, che temeva un'eccessiva familiarità con i sacramenti e suggeriva piuttosto l'adorazione dell'ostia consacrata.
Anche i pellegrinaggi facevano probabilmente parte dell'esperienza della giovane figlia di Jacques e d'Isabelle: non quelli più importanti, verso le grandi mète lontane, bensì - secondo una tendenza che nel XV secolo si andava diffondendo in tutta la Cristianità occidentale - quelli diretti a sedi vicine che erano sovente piccole cappelle o modesti oratori. Così Notre-Dame di Beaumont, non lontano da Domrémy. Non siamo insomma dinanzi a una consuetudine ecclesiale e devozionale debole e incolta: le comunità rurali del tempo erano animate da un sentimento religioso concreto, profondo, incentrato su un robusto senso del sacro che si esprimeva nel culto della regalità del Cristo, della Vergine, della realtà e del sacramento. L'immagine del Cristo Re, la memoria del vescovo evangelizzatore san Remigio, lo stesso clima della frontiera fra due monarchie dal forte contenuto sociale - la romano-germanica, e la francese, entrambe devote alla memoria di <<san>> Carlomagno - facevano sì che la gente di Domrémy e dintorni restasse ben ferma nella fedeltà a colui che riteneva il suo re; e gli adulti deò villaggio senza dubbio erano fieri - lo dessero o meno a vedere - dei loro ragazzi, che tornavano spesso a casa laceri e insanguinati per aver affrontato a sassate e a bastonate nella battaliolae (così frequenti nel medioevo) i ragazzi dei villaggi vicini, fedeli al duca di Borgogna e partigiani pertanto di Enrico VI, re di Francia e d'Inghilterra.
Giovanna era immersa nella cultura tradizionale della sua comunità familiare e insediativa: una cultura fatta di proverbi, di espressioni consuete, di conoscenze tecniche e materiali, di credenze e di leggende. Talvolta, specie durante le feste e in primavera, si univa alle compagne e alle coetanee ai piedi d'un grande albero, forse un faggio, che la tradizione folklorica collegava alle fate e attorno al quale si danzava e si contava; il primo giorno di maggio - il mese dell'inizio del tens clar e dell'amore; il mese caro alle cavalcate e alla poesia cortese, ma sacro anche alla Vergine Maria - si appendevano ghirlande di fiori ai suoi rami. Era un omaggio ad antiche dimenticate divinità (delle quali comunque senza dubbio non si conservava se non una memoria vaga e fiabesca) o alla Madonna? Si trattava comunque della Calenda maja alla quale ai primi del Duecento il provenzale Rambaldo di Vaqueiras aveva dedicato una canzone bellissima; era il Calendimaggio celebrato un pò dappertutto nell'Europa del tempo.
A Domrémy, presso <<l'albero delle fate>> c'era una fonte celebre per le sue proprietà taumaturiche; gli ammaliati di <<febbre>> venivano a berne l'acqua. E non lontano dall'abitato sorgeva un bosco, evidentemente di querci (detto, appunto, <<Bois Chenu>>: che potrebbe anche significare però <<bosco vecchio>>), che forse manteneva in qualche modo il ricordo della sacralità attribuita alle querci nelle tradizioni celtica e germanica. Nei racconti di fate, l'albero, la fontana e il bosco sono abitualmente collegati fra loro: e sono protagonisti d'una vicenda i cui tratti abbastanza semplici si ripetono, con qualche variante, in molte tradizini sparse nel continente eurasiatico. La fata appare sotto l'albero e presso la fontana, talvolta travestita da vecchia; di solito dona a un brav'uomo povero e meritevole un'inattesa fortuna, oppure predice un avvenire felice a un'onesta e brava ragazza.
Era un'adolescente più o meno tredicenne - un'età tuttavia in cui, nel Quattrocento, non si era più troppo bambine - la Giovanna che, nell'estate del 1425, cominciò a udire (proprio, sembra, nel <<Bois Chenu>>) delle <<voci>>, da lei prontamente attribuite all'arcangelo Michele e alle sante Margherita d'Antiochia e Caterina d'Alessandria. Che proprio a metà 1425 fosse l'arcangelo Michele a rivelarsi e a parlare della liberazione della Francia degli inglesi, non è cosa priva di signifcato. L'arcangelo guerriero era ormai il vero e proprio protettore della Francia, da quando il suo collega san Giorgio aveva scelto con tanta decisione la parte inglese (o gli inglesi avevano scelto lui: il che era in fondo lo stesso). Dal 1418, nella Francia settentrionale sottomessa tutta o quasi al re di Francia e d'Inghilterra, l'isoletta fortificata di Saint-Michel-au-Péril-de-la-Mer, tra Normandia e Bretagna; resisteva indomita mantenednosi fedele al delfino.
Mont-Saint-Michel, luogo arcano di leggende folkloristiche legate forse alle tradizioni celtiche precristiane e visitato da un'apparizione dell'arcangelo che ai primi dell'VIII secolo si era rivelato a sant'Auberto vescovo di Avranches, era divenuto caro alla corona di Francia fin da quando, nel 1204, re Filippo II Augusto se n'era impadronito strappandolo agli inglesi. Luigi IX il Santo vi era giunto pellegrino  nel 1256, Filippo IV nel 1307, l'infelice Carlo VI nel 1393. Erano stati i sovrani di Francia a finanziare la splendida costruzione gotica che ancor oggi incorona lo scoglio: il santuario detto a buona ragione <<la Merveille>>, costituito da re piani sovrapposti simbolo dei tre ordini nei quali si scandiva la società cristiana, quelli che pregavano, quelli che combattevano e quelli che con il loro lavoro assicuravano la vita e la prosperità di tutti. I tre <<stati>> simbolizzati - si dicceva in Francia - dai tre ptali del regale fiordaliso, Il povero Carlo VI nutriva per l'arcangelo una vera devozione: aveva dato il suo nome alla figlia che gli era nata nel 1395 e anche a una delle porte di Parigi. Il culto di Michele era poi divenuto quasi esclusivo nel <<re di Bourges>>, quando i parigini l'avevano abbandonato e si poteva pensare quindi che anche il loro patrono, sa Dionigi, gli avesse voltato le spalle.
Mont-Saint-Michel, dunque, resisteva. Ed era il simbolo d'una Francia che non s'arrendeva, che non si piegava alla logica del trattato di Troyes e al ritorno al di qua della Manica del potere dei re che governavano dall'altra parte del mare. Nel maggio del 1425 gli inglesi, spazientiti, avevano scatenato contro l'ostinata piazzaforte un'offensiva combianta per terra e per mare. Del resto, Mont-Saint-Michel non era propriamente un'sola: una sottile lingua di terraferma la collegava al continente, ma per molti giorni all'anno essa era sommmersa dall'alta marea. Sfruttando queste speciali caratteristiche del terreno, i difensori avevano tenuto duro nonostante l'assedio fosse ccndotto da uno dei più abili e temibili capi miltiari del tempo, William de la Pole conte di Suffolk.
La notizia della resistenza della piazzaforte consacrata all'arcangelo si sparse rapidamente in tutta la Francia. Era ricordato che la valle della Mosa era all'incrocio fra itinerario di viaggio e di commercio intensamente frequentati: la strada tra Lione e Treviri, quindi fra corso del Rodano e corso del Reno, v'incrociava - come si è detto - qualla che da Basilea (e quindi dalla pianura padana) conduceva all'area delle <<fiere di Champagne>>, almeno dal XII secolo uno dei centri nevralgici del commercio europeo.  Di merrcanti in grado di recare in Barrois e in Lorena notizie della Bretagna e della Normandia ce n'erano parecchi. A meno che la storia della valorosa difesa dei francesi sotto l'egida dell'arcangelo non fosse stata recata a Domrémy da qualche devoto pellegrino. Nei dintorni del villaggio c'era difatti il santuario di Saint-Michel, una delle tappe dell'itinerario del pellegrinaggio michelita che da Mont-Saint-Michel attraverso la Val di Susa dominata dalla Sagra di San Michele giungeva fino all'altro haut lieu della devozione all'arcangelo, Monte Sant'Angelo, sul promontorio del Gargano in Puglia.
Giovanna conosceva bene il santuario michelita sito non lungi dalla sua dimora; e non si esagera in ipotesi supponendo che le gesta dei difensori di Mont-Saint-Michel fossero giunte anche alle sue orecchie. Inoltre, i tredici anni sono quelli della pubertà: quelli in cuui le bambine - al contatto con la paura e la sorpresa delle prime perdite sanguigne - sentono, anche se ancora non capiscono, di star diventando ormai donne. E' un momento magico e delicato, bellissimo e terribile: oggi sappiamo che le tempeste ormonali in quelle poche settimane scatenate nei giovanissimi corpi possono produrre turbe quasi sempre solo passeggere, ma non sempre di entità lieve. Non è mancato chi ha posto quei turbamenti in rapporto con le <<voci>>. Fu appunto a tredici anni, secondo la tradizione consacrata dai Vangeli apocrifi, che Maria ricevette la venuta dell'arcangelo Gabriele. Molti sono i contatti fra Maria e Giovanna. Anche nella vita della ragazza del Barrois c'è un arcangelo: ma non quello dell'Annunzio. Giovanna incontra il principe celeste della Guerra, della Morte e della Giustizia.
Ma c'erano altri aspetti inquietanti, nelle <<voci>>. La primaa volta che le sentì fu nell'estate del 1425, nel giardino di casa: era mezzogiorno, un momento arcano e terribile della giornata, l'ora dei <<demoni meridiani>>. Giovanna era a digiuno, una condizione che senza dubbio favorrisce li stati emotivi, se non alterati, della coscienza. La voce, che era buona perché veniva da destra, dalla parte della chiesa vicina, ed era accompagnata da una forte e chiara luminosità, era appunto quella - Giovanna se ne sarebbe sempre detta sicura - dell'arcangelo Michele. Le parlarono più tardi Margherita d'Antiochia e Caterina d'Alessandria. Lasciamo ad altri le facili ipotesi che tali <<allucinazioni>> dipendessero da una disposizione psico-fisica o dalle tempeste ormonali collegate con la pubertà. L'attribuziione delle <<voci>> non a in sé niente d'eccezionale: di Michele s'è già detto: Margherita e Caterina erano due tra le sante più venerate in quell'epoca, e non solo nella Francia orientale.
Le <<vooci>> che parlavano a Giovanna insistevano sulla necessità di adempiere la volontà di Dio, che imponeva la liberazione del suolo di Francia dall'invasore. La ragazza - che talora giungeva anche a vedere gli arcani interlocutori - ascoltava con timore e con commozione: conosceva già la guerra con le sue crudeltà aveva avuto esperienza nel suo stesso paese delle violenze e delle razzie perpetrate dalle bande di mercenari a caccia di bottino. Nel luglio del 1425 alcuni avventurieri borgognoni avevano razziato il bestiame della regione. Nel 1428 gli anglo-borgognoni si erano impadroniti di tutte le piazze della Mosa fedeli al delfino e nel luglio avevano assediato a Vaoucouleurs mentre la gente di Dommrémy era stata costretta a rifugiarsi poco lontano, a Neufchateau, i terra lorenese. Pare che soltanto lì la ragazzina fosse in qualche modo constretta a un più impegntivo lavoro, non più domestico ma pastorale: forse si trattò di badare a un modesto gregge.
Le <<voci>> andavano facendosi più insistenti e perentorie: pretendevano che la povera fanciulla si facesse profeta di Dio al pari di quelli del Vecchio Testamento: le ordinavano di recarsi <<in Francia>> - vale a dire nelle terre controllate dal delfino - e le ripetevano che essa aveva ricevuto dal Signore la missione di liberare la città d'Orléans dall'assedio nel quale gli inglesi la stringevano fin dall'ottobre del 1428. Orléans, chiave del medio corso della Loira, sorgeva a nord del grande fiume, sulla sua riva destra: era pertanto una sentinella avanzata del <<re di Bourges>> un territorio denominato dal re di Francia e d'Inghilterra. Essa stava a guardia del ponte di pietra che univa le due sponde. La gente di Domrémy dovette cominciare presto ad accorgersi della ragazzina che forse non parlava, ma delle <<voci>> della quale chiacchieravano fin troppo parenti, amici e vicini.
La Francia e l'Europa  del tempo erano assediate dalle <<profetesse>>: alcune - come Caterina da Siena e Brigida di Svezia - grandi sante, oltre al limite dell'eresia. Le sante si collegano sovente ai movimenti mendicanti: già, fra Due e Trecento, Margherita da Cortona , Angela da Foligno, Chiara da Montefalco e Dauphine de Sabron apparivano in un modo o nell'altro connesse con lo spiritismo francescano e con Ubertino da Casale; Catarina da Siena era ina <<mantellata>>, una terziaria domenicaana. Non era affatto raro che queste donne che pregavano e che profetavano pretendessero di trattare con i pontefici e con i potenti della terra. Una giovane di Parma, Orsolina Venerii, non aveva esitato, durante il periodo del cosiddetto <<grande scisma d'Occidente>>, a rivolgersi al papa residente in Avignone, Clemente VII domandandogli di rinunziare al suo ufficio in favore del suo collega e concorrente romano in modo da consentire il ritorno della Chiesa all'unità. Nel territorio di Albi - la regione della Linguadoca ai primi del Duecento famosa per la folta presenza degli eretici - la vedova Constance de Rebastens, che si definiva <<sposa del Cristo>>, narrava il contenuto delle rivelazioni da lui ricevute al suo confessore, che le trascriveva diligentemente  in occitano e in latino. La sua vocazione le era apparsa chiara a partire dal 1384, quando aveva cominciato una serie di colloqui con na voce rivelatasi quella del Signore. La missione di Constance si presentava come dotata d'una precisa valenza politica e patriottica: essa era decismente schierata a favore del papa romano contro quello avignonese e, quanto alle faccende occitane, si opponeva a Giovanni II duca d'Armagnac che sosteneva gli inglesi parteggiando invece per Gaston Phoebus conte di Foix e partigiano di Carlo VI, cui attribuiva il compito di por fine allo scisma e guidava una nuova crociata. Constance incappò nel tribunale dell'Inquisizione: le si parlò di pubblicare le sue rivelazioni e la s'imprigionò. Pochi anni più tardi, nel 1396, Jeanne-Marie de Maillé - vedova di un signore della regione della Loira chhe viveva come reclusa presso un convento francescano di Tours - prese a profetare il futuro avvento d'un papa che avrebbe vestito il rude saio del poverello d'Assisi e non mancò di chiedere e ottenere udiena a re Carlo VI né di giungere un paoi d'anni dopo fino a Parigi, dove rimproverò la regina Isabella di Baviera per la vita disordinata per il lusso sfrenato, mentre il popolo soffriva la fame. Alla regina Isabella si rivolse anche, con un messaggio per il papa d'Avignone che veniva invitato una volta di più ai disinteressi, la <<reclusa>> Marie Robine detta anche <<Maria la Guascona>>, essa stessa oggetto di rivelazioni raccolte in un libro. Marie era giunta nel 1389 ad Avignone da uno sperduto villaggio della regione dell'Auch, ai piedi dei Pirenei; dopo una miracolosa guarigione ottenuta grazie a un pellegrinaggio, visse d'elemosine presso la cinta del cimitero di Saint-Michel dell'antica capitale pontificia. <<La Guascona>> sosteneva di ricevere le visioni, il contenuto delle quali era riservato al papa e al re Carlo VI; ma, nel 1398, scrisse anche Isabella di Baviera e fu da questa ricevuta. Marie era latrice di perentori messaggi divisi: il re doveva cambiare vita, lavorare alla composizione dello scisma papale, moralizzare la sua corte: altrimenti i sudditi si sarebbero ribellati, fiumi di sangue sarebbro stati versati, Parigi sarebbe stata distrutta.
Queste <<profetesse>> ebbero sorti differenti Jeanne-Marie de Maillé fu infatti canonizzata, ma un'altra visionaria, Catherine Sauve, sarebbe stata bruciata a Neufchateau nel 1417; da parte loro altre ispirate, come Catherine de la Rochelle e santa Colette de Corbie, avrebbero più tardi incontrato entrambe la ragazza di Domrémy.
Di Giovanna e delle sue visioni fu dinque costretto a occuparsi alla fine dello stesso capitano della piazza di Vaucouleurs, Robert de Baudricourt, che da pocco aveva a malapena respinto una parte offensiva borgognona e non aveva troppa voglia d'affrontare altri grattacapi. La ragazzina aveva già cercato di farsi ricevere una prima volta da lui nel maggio del 1428, quando si era recata a Vaoucouleurs col pretesto di venir a soggiornare qualche giorno presso uno zio che colà abitava. In quell'occasione, che fornì forse l'avvio alle chiacchiere del paese su Giovanna (che forse circolavano però già da tempo), il capitano si rifiutò di riceverla e di dar peso alle vociferazioni e alle polemiche: consigliò al familiare che accompagnava quella strana ragazzina dall'abito  scarlatto di riportarla indietro senza tante storie, curando con quattro schiaffi la malattia che la faceva parlar troppo di Dio e di liberazione... Ma in seguito, nel gennaio del 1429, Robert accettò di star a sentire la figlia di Jacques d'Arc, un uomo che egli conosceva e stimava.
Il rude cappitano di Vaoucouleurs, anche se non si lasciò convincere, rimase per lo meno turbato dall'incontro e dal colloquio con l'ostinata ragazza che non faceva mai più mistero del compito assegnatole dal cielo: forse decise di sbarazzarsi d'una responsabilità che poteva diventar gravosa, forse pensò che non spettasse comunque a lui una decisione definitiva. Si affrettò a spedire a Nancy, ai suoi due signori feudali, quell'adolescente che parlava un pò troppo di <<voci>> e di visioni.
Il principe angioino si trovò indietro dinanzi alla pospettiva d'occuparsi di quella faccenda di <<voci>> e di profezie: ma il capitano di Vaoucouleurs, frattanto, aveva forse avvertito il delfino e su sua autorizzazione deciso d'inviargli la giovane, che il parroco di Vaoucouleurs aveva provveduto di esorcizzare e che alcuni nobili dei dintorni d'aiutare e d'accompagnare. Dopo averle assegnato una piccola scorta, Robert lasciò che la ragazza indossasse abiti maschili più adatti al viaggio e partisse su un cavallo donatole dai suoi compaesani. Sapeva già cavalcare, quella sedicenne figlia di piccolissimi proprietari? Comunque imparò presto. Gli abiti maschili e l'addio ai congiunti e al fidanzato che la famiglia le aveva scelto furono il segno della rinunzia a una vita familiare e sessuale ordinaria, a un destino sereno di moglie e di madre. Seguiva un modello? Nella storia di santa Marrgherita c'è qualcosa di simile: la storia d'una donna che indossa abiti da uomo per poter vivere insieme con gente dell'altro sesso.
Jacques d'Arc aveva sognato una volta che Giovanna abbandonava la casa paterna per seguire una torma di soldati. Era tutt'altro che strano, in quegli anni di violenza e di miseria, un tale destino: erano molte le piccole sciagurate che si davano a seguire una compagnia d'armati, spinte dal bisogno o perdute dietro a un miraggio d'amore e di gloria divenute ormai schiave della loro abiezione. Un sogno come quello di Jacques poteva aver un significato solo, e molto chiaro: ed egli soleva ripetere che, piuttostodi accettare una cosa del genere, avrebbe annagato la figlia con le sue stesse mani o avrebbe obbligsto uno dei fratelli a farlo in vece sua. In un certo senso, ora, le sue paure prendevano corpo: eppure l'incubo si avverva in modo ambiguo, che faceva  pensare in qualche modo lasciava ben sperare. Giovanna se ne andava di casa, sì, e in abiti da maschio, e accompagnata da gente d'arme: tutto sembrava onorevole, eppure una certa anbiguità aleggiava sugli eventi, sui colloqui col castellano di Vaucouleurs, sul viaggio di quella ragazzina che non avrebbe neppur dovuto saper stare in sella. Chi l'avrebbe difesa dagli imprevisti d'un viaggio invernale tra una scorta della quale non si sapeva quanto si potesse fidare e i rischi delle intemperie, delle belve della foresta, di fuorilegge, dei soldati, in un tempo di guerra civile endemica nel quale era così difficile distinguere tra un bandito e un uomo d'arme? E chi avrebbe tutelato lei e la sua famiglia dalle malelingue dei compaesani? Jacques non era un uomo qualunque, a Domrémy, aveva rivestito cariche di rappresentanza nella comunità, era un personaggio in vista.
La piccola comitiva doveva percorrere quasi seicento chilometri, più della metà dei quali in territorio borgognone, per giungere al castello di Chinon, sulla sinistra della Loira, poche miglia a sud-est della confluenza  del grande fiume con la Vienne: là in quel monento, risiedeva Carlo di Valois. Il <<uo dolce delfino>>, lo chiamava Giovanna.
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spartanssports · 3 years ago
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Fiorentina vs. Inter Milan
Live Streaming 21-September-2021
Link Streaming ada di bawah.Live Streaming link is below. Dua tim terbaik dalam pertandingan Serie A di Stadio Artemio Franchi pada hari Selasa, saat juara Inter Milan mengunjungi Fiorentina. Sementara Nerazzurri menghancurkan Bologna 6-1 di akhir pekan, tuan rumah tengah pekan mereka membukukan kemenangan ketiga berturut-turut, yang mengangkat mereka ke lima besar klasemen awal musim.
Pratinjau pertandingan
Bahkan jika kampanye Liga Champions mereka dimulai dengan kekalahan minggu lalu - saat mereka dikalahkan di kandang oleh Real Madrid - pada hari Sabtu, Inter mengalahkan lawan domestik terbaru mereka dengan tiga gol di setiap babak di San Siro yang penuh kegembiraan. Lautaro Martinez mencetak gol hanya pada menit keenam dan rekan serangnya Edin Dzeko mengakhiri pertandingan dengan dua gol di babak kedua untuk mengirim Bologna kembali ke Emilia-Romagna dengan ekor di antara kaki mereka.Kemenangan komprehensif seperti itu seharusnya bisa menghilangkan rasa frustrasi yang dirasakan saat kalah dari Real dan ditahan imbang 2-2 oleh Sampdoria akhir pekan lalu. Awal sempurna mereka untuk musim ini mungkin telah berakhir, tetapi pasukan Simone Inzaghi masih menetapkan standar di puncak Serie A, dengan pemain baru Joaquin Correa, Hakan Calhanoglu dan Dzeko semuanya membuat dampak sejauh ini. Ditambah lagi dengan kepercayaan diri, Inter kini melakukan perjalanan ke Florence, di mana mereka bertemu tim yang mereka kalahkan tidak kurang dari tiga kali musim lalu: kandang dan tandang di liga. Saponara - yang menghabiskan sebagian besar musim lalu dengan status pinjaman di Spezia, di bawah manajemen Italiano - juga dengan baik mengatur gol Giacomo Bonaventura di Marassi, dan kemunculannya kembali adalah simbol dari kepercayaan baru di bawah pelatih kepala mereka yang giat.Namun, tugas terberat mereka sejauh ini menunggu pada Selasa malam, saat mereka menyambut pemegang Scudetto yang tangguh ke Franchi.
Berita Tim
Bos Inter Simone Inzaghi kemungkinan akan membuat beberapa perubahan pada susunan pemain yang mengalahkan Bologna - terutama dengan derby Lombardy versus Atalanta untuk persiapan akhir pekan depan. Oleh karena itu, Hakan Calhanoglu dapat dimasukkan kembali ke dalam tim, dengan Matias Vecino kemungkinan besar menjadi pemain pengganti, sementara Ivan Perisic akan bersaing dengan Federico Dimarco untuk mendapatkan tempat di sebelah kiri 3-5-2 yang biasa digunakan Inzaghi. Edin Dzeko diperkirakan akan memimpin lini depan setelah sebelumnya diistirahatkan terakhir kali, meskipun ia masuk sebelum turun minum ketika Joaquin Correa terpaksa ditarik keluar karena cedera. Sementara itu, telah banyak terlibat dalam pendekatan menyerang Fiorentina pada akhir pekan, Alvaro Odriozola diatur untuk melanjutkan sebagai bek kanan untuk tim tuan rumah dengan absennya Lorenzo Venuti yang cedera, yang mengalami cedera bahu pekan lalu. Gaetano Castrovilli ditarik di pertengahan babak pertama di Genoa, jadi Sofyan Amrabat dan pemain pinjaman Lucas Torreira bersiap untuk masuk ke starting XI jika diperlukan - dengan Alfred Duncan opsi lain tersedia untuk Italiano.
Kemungkinan susunan pemain Fiorentina:
Dragowski; Odriozola, Milenkovic, Martinez Quarta, Biraghi; Bonaventura, Torreira, Amrabat; Sottil, Vlahovic, Gonzales
Kemungkinan susunan pemain Inter Milan:
Handanovic; Skriniar, De Vrij, Bastoni; Dumfries, Barella, Brozovic, Calhanoglu, Perisic; Martinez, Dzeko
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gregor-samsung · 5 years ago
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«In questo momento sono molto severi, in fatto di aborti». «Lo so» disse Matteo «ogni tanto se ne ricordano. Mettono in prigione qualche poveretto senza protezioni, ma i grandi specialisti non sono mai seccati.» «Vuoi dire che questo è ingiusto» disse Giacomo. «Sono proprio del tuo parere. Ma non ne disapprovo del tutto i risultati. Per forza di cose i tuoi poveretti sono degli erboristi o delle creatrici di angeli che rovinano le donne con sudici strumenti; le retate operano una selezione, è già qualcosa.» «Insomma» disse Matteo, che ormai non ne poteva più «sono venuto qui per chiederti quattromila franchi.» «E...» disse Giacomo «sei ben sicuro che l'aborto sia conforme ai tuoi principii?» «Perché no?» «Non so, sei tu che lo devi sapere. Sei pacifista perché rispetti la vita umana e poi vuoi distruggere un'esistenza.» «Sono assolutamente deciso» disse Matteo. «E poi, ti sbagli, perché io sono, forse, pacifista, ma non rispetto la vita umana.» «Ah! credevo...» disse Giacomo. Osservava Matteo con divertita serenità. «Eccoti dunque nella pelle di un infanticida! Ti sta veramente male, mio povero Teo.» «Teme che mi prendano», pensò Matteo: «non mi darà neanche un soldo.» Avrebbe dovuto potergli dire: se paghi non corri alcun rischio, perché mi rivolgerei ad un uomo esperto che non si trova sugli elenchi della polizia. Se rifiuti, sarò costretto a mandare Marcella da una erborista, nel qual caso non garantisco nulla, dato che la polizia le conosce tutte e può pescarle da un giorno all'altro. Ma argomenti come questi erano troppo diretti per far presa su Giacomo; Matteo disse soltanto: «Un aborto non è un infanticidio». Giacomo prese una sigaretta e l'accese: «Sì» disse con indifferenza. «Ne convengo: un aborto non è un infanticidio, ma un assassinio "metafisico"». Aggiunse serio: «Mio povero Matteo, non ho da fare obiezioni contro l'assassinio metafisico, così come non ne faccio contro i delitti perfetti. Ma che "tu", tu commetta un assassinio metafisico... tu, proprio tu...» E fece schioccare la lingua con aria di rimprovero: «No, decisamente no, sarebbe una nota falsa».
Jean-Paul Sartre, L'età della ragione, traduzione di Orio Vergani, Milano, Bompiani, 1963⁸; pp. 143-44.
[ Edizione originale: L'âge de raison, Gallimard, 1945 ]
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nncosta · 4 years ago
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Assistência de Pedro Pereira insuficiente para travar mais um desaire do Crotone
Assistência de Pedro Pereira insuficiente para travar mais um desaire do Crotone
A Fiorentina venceu este sábado, no Artemio Franchi, o Crotone por 2-1, em jogo da 19.ª jornada da Serie A italiana. Os golos do conjunto viola foram marcados por Giacomo Bonaventura, aos 20 minutos, e Duhan Valhovic, aos 32, a passe do veterano Franck Ribéry. O lateral-direito português Pedro Pereira, jogador formado e emprestado pelo Benfica, foi titular nos visitantes, que continuam a ocupar…
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simofree · 4 years ago
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Ballo e danza
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                             Danza d’Apollo con le Muse
La danza ha origini antichissime: ancora prima di sviluppare pienamente il linguaggio, l’uomo si muoveva al suono di strumenti rudimentali o del canto, per celebrare avvenimenti quali il successo nella caccia o addirittura il sorgere del sole o la caduta della pioggia. Presso i popoli antichi la danza era presente in tutte le cerimonie di carattere sociale e religioso ... dal Rinascimento la danza ha deviato verso un percorso più artistico e meno sacro. Il balletto così come lo conosciamo, si andava delineando già nel XV secolo....
 I primi spettacoli danzanti e le scuole di danza in Europa nel '500.
 Il termine "balletto" (o ballitto) fa la sua comparsa a gli inizi del XVI secolo, in sostituzione del più generico "danza". In questo periodo vanno in scena i primi spettacoli danzanti, la cui struttura si sviluppa attorno ad un filo conduttore, ovvero il tema amoroso. Un balletto si dedicava generalmente a una dama di corte e veniva messo in scena a palazzo. Sempre nel '500 il ballo inizia a diffondersi in tutta Europa. 
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In Francia i primi balletti vengono introdotti nel 1588 da Thoinot Arbeau. 
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Egli mette in scena un corteo danzante che si chiama "Bal des ardents".
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 Nel '500 nascono le prime scuole di ballo. La prima grande accademia per ballerini nasce in Italia per iniziativa di Pompeo Diobono. 
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Da qui e dalle altre scuole italiane partiranno numerosi ballerini talentuosi. Verso la fine del '500, con la codificazione di tutte le arti, si parla di una scuola italiana, di cui fanno parte i maestri teorici della danza. Essi si occupano di definire tecnica, etica ed estetica dei danzatori.
Ma già il '400 vede l'inserimento del balletto tra le forme artistiche principali. In quel periodo ci furono molti cambiamenti grazie ai quali si assistette ad una rivoluzione delle corti nobiliari: il ruolo di protagonista passa dal capo politico e militare all'artista. Molti nobili cercano di accaparrarselo offrendo somme di denaro sempre più alte.Ecco  i maestri di danza che insegnavano a far apprendere le figure, le posizioni e i passi secondo un sistema di regole. Infine, prendeva forma il primo balletto. ... nel 1581  a Parigi venne rappresentato nel salone del palazzo del Duca di Borgogna il Ballet Comique de la Reine ovvero Circe del coreografo italiano Balthasar di Belgioioso. 
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Lo spettacolo – un insieme di recitazione, canto e danza – è considerato il primo balletto in assoluto e venne rappresentato a Parigi presso l’Hotel de Bourbon nel Louvre il 15 ottobre 1581, in occasione del matrimonio tra il Duca de Joyeuse e Mademoiselle de Vaudemont (Marguerite de Lorraine). I versi furono scritti da La Chesnay, la musica da Lambert de Beaulieu 
 le scene disegnate da Jaques Patin
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 e il responsabile dell’intero allestimento fu Balthasar de Beaujoyeux (Baltazarini di Belgioioso). Durava dalle dieci di sera alle tre e mezza del mattino ed era costituito da quadri che narravano la leggenda di Circe. Il corpo di ballo era composto da dodici Naiadi interpretate da membri dell’aristocrazia mentre Giove, Pallade, Atena, Pan e Mercurio erano i protagonisti accompagnati dalle Driadi, dalle quattro Virtù e da otto Satiri. La coreografia, rigorosamente geometrica, era costituita per lo più da cerchi, spirali, triangoli e quadrati. Lo spettacolo, che ebbe un successo strepitoso e si avvaleva di un grande numero di effetti speciali oltre ad un enorme carro trionfale, costò più di tre milioni e mezzo di franchi d’oro. 
La danza divenne allora molto popolare nei palazzi dei nobili e poiché la passione dei nobili che si dedicavano alla danza non poteva più soddisfare una perfetta riuscita dei balletti, fu fondata nel 1681 per volontà di Luigi XIV l’Academie royale de danse con lo scopo di stabilire delle regole per il perfezionamento di quest’arte. A dirigere quell’Accademia fu chiamato Pierre Beauchamp che inventò le cinque posizioni basilari del balletto accademico. 
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...è necessario interessarsi anche delle sue origini, dove essa è nata, quando, come e perché.... nella Francia del 1600, presso la corte del giovanissimo Luigi XIV, anche noto con il nome di Re Sole. Fu così soprannominato per la sua interpretazione del sole, appunto, ne Le ballet royal de la nuit alla giovane età di 15 anni. Si narra che il balletto iniziasse al tramonto e durasse 13 ore, così che il giovane re danzò tutta la notte ininterrottamente.....uno dei più rappresentativi “ballet de cour”. trae origine e nome dalle attività danzanti che venivano organizzate, in occasione di importanti ricorrenze, da re e nobili.
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in quattro parti, iniziava al tramonto e durava tredici ore. Presentava figure mitologiche appartenenti al mondo della notte.Luigi XIV, non ancora quindicenne, vi interpretava diversi ruoli che culminavano nella sua apparizione nel ruolo dell’astro che illumina e feconda la terra: il sole, da cui nacque il soprannome “Re Sole”. 
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L’imponente scenografia con le sue fantastiche macchine teatrali e i costumi di un esotismo stupefacente furono create da Giacomo Torelli, 
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prestigioso artista della grande stagione barocca.
L’autore del testo fu Isaac de Benserade 
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mentre Pierre Beauchamps 
– che diventò poi Maestro di Ballo di Luigi XIV e in seguito sovrintendente dei balletti del re – danzò accanto al sovrano. Parte delle musiche e delle coreografie furono create da Jean-Baptiste Lully (il cui vero nome era Gian Battista Lulli). 
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La passione per la danza condusse Re Sole a fondare l’Académie royale de danse nel 1661, attuale Opera di Parigi.
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 Grazie a tale accademia si cominciò a coniare la tecnica della danza classica così come la conosciamo oggi. Possiamo quindi attribuire a Re Sole la nascita di della danza classica, seppur all’ epoca presentasse delle differenze rispetto alla disciplina odierna. Ad esempio, al tempo non venivano utilizzavate le mezze punte bensì delle scarpe con tacchetto. Queste, unite a pomposi ed ingombranti vestiti limitavano notevolmente i movimenti....  formare i ballerini per le esibizioni. L'attività della scuola fu così attiva e positiva, che nel '700 i ballerini francesi iniziarono ad esibirsi in teatri pubblici.
Durante il Romanticismo, a cavallo tra '700 e '800, il Teatro dell' Opéra di Parigi era un esempio pratico del successo che aveva riscosso il balletto all’epoca .Qui nacque il balletto romantico per eccellenza, la Sylphide. La realizzazione di questo balletto si deve a Maria Taglioni, con coreografie del padre, Filippo. In queste splendide opere andava in scena l'amore impossibile tra un uomo ed uno spirito, ambientato nella suggestiva atmosfera scozzese. Il successo fu incredibile e in molti vollero assistere agli spettacoli.
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Con l'inizio del XX secolo la tradizione russa, legata al balletto, si diffonde in tutta Europa. Nel 1909 un impresario, Sergei Diaghilev, intuì le potenzialità commerciali del balletto. Egli divenne fondatore di una compagnia itinerante di danzatori, la quale doveva girare di Paese in Paese per mettere in scena le proprie opere.
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Con la morte di Diaghilev, nel 1929, i danzatori e i coreografi che ne avevano fatto parte, tra cui la splendida e famosissima Anna Pavlova, si divisero. Alcuni membri della compagnia fondarono altri gruppi e girarono il mondo.
Famosa la performance de il cigno 
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sergiopietracaprina · 5 years ago
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*IL PUGNO CHIUSO DI DIO, Livorno 1496, la difesa del villaggio-compl.ver...Film "Il pugno chiuso di Dio, Livorno 1496, la difesa del villaggio" versione integrale di 198' 2° tempo (il 1° tempo è stato pubblicato il 16 aprile u.s. chi non lo avesse visti questo il link di riferimento https://www.youtube.com/watch?v=5FI62RlzjZM&t=3009sNota dell'autore-In questo particolare momento di emergenza desidero, sperando di fare cosa gradita a chi volesse vederlo, pubblicare uno dei miei film amatoriali prodotto in maniera indipendente. Ovviamente, inutile precisarlo, la qualità non è quella dei film prodotti con decine se non centinaia di milioni di euro ma l'intento è di raccontare una storia e di far partecipare tutti coloro che vollero cimentarsi nell'interpretazione cinematografica o in altra maniera, bravi e meno bravi e che ringrazio affettuosamente. Il budget di produzione è limitatissimo e non esiste alcuna aspettativa di una possibile sia pur minima distribuzione, se non attraverso i social. La sceneggiatura è stata sviluppata con una storia di circa 200 pagine di pura fantasia ma basata su un aneddoto storico sul villano di Livorno. Questo personaggio che sia veramente esistito o sia solo pura leggenda a me piace credere che sia veramente esistito. I riferimenti storici sono comunque certi e studiati. La sinossi racconta che...circa 500 anime livornesi, fra uomini, donne, ragazzi difesero nel 1496 il proprio villaggio contro una armata di 7000 soldati guidati da Massimiliano D'asburgo.IL PUGNO CHIUSO DI DIO,Livorno 1496, la difesa del villaggio-versione completa 198'-1°tempo. Scritto, diretto, prodotto in maniera indipndente da Sergio Pietra Caprina-Musiche di Mario Cafarelli Interpreti protagonistii:Emanuele Bernardeschi, Marco Buti, Laura Persico, Edoardo Ripoli Interpreti coprotagonisti: Duccio Arrighi, Tonia Biondillo, Annalisa Cacici, Greta Casabona, Antonio Cristiano, Daniele Dini, Margherita Franchi, Maurizio Ieri, Matteo Matteo Severus Marchi, Grazia Montuori, Michela Miky Pietra Caprina, Francesco Sassara, Roberto Scarinzi, Enrico Spagnuolo, Ruoli: Mario Botteghi, Stefano Casini, Antonio De Zio, Stefano Giolli, Adriano Pierulivo, Daniele Stiaffini, Lorenzo Taccini,Ylenia Variale Piccoli ruoli: Lorenzo Balducci, Lorenzo Comparini, Luca Di Fraia, Fabio Favilli, Manuela Geppi, Smeraldo Giuliani, Antonina Messina, Renzo Rossi, Paolo Freschi, Eugenio Eugenio Kruspe Lucarelli, Giorgio Notari, Francesco Poggiali, Franco Priami, Rudina Rexhovic , Matteo Trematerra, Mardena Xhahaj Figurazioni speciali: Lorella Alderani,Claudia Claudia Bartorelli, Francesca Battini , Giuliana Bizzi ,Anna Maria Castellani, Ornella Cavagnaro , Delia Cecchi, Francesca Citti ,Giuseppina Di Mauro, Gabriella Farris, Mariangela Ghelli , Helen Imafidon, Luciano Lenzi , Samanta Neri , Giuseppina Pina Panico Dini , Azzurra Romano, Figurazioni di 1° piano: Tiziano Biancani , Chiara Casini, Clarissa Chiara Comparini, Silvia Frassinetti , Maria Giovanni Giordano, Ornella Marmeggii , Giacomo Nannetti , Margherita Nannettti ,keisi Pellumbi ,Aurora Rossi ,Maria Elena Sapuppo, Lilia Simiris ,Aurora Stagnaro COPYRIGHT della "sergiopietracaprinacinemaindipendente" (nota: alcune immaggini sono state tratte da altri filmati di dominio pubblico a seguito mancata possibilità di finanziamento per la realizzazione troppo onerosa delle stesse con effetti speciali ) by Sergio Pietra Caprina Categoria Intrattenimento(nota: alcune immagini sono state tratte da altri filmati di dominio pubblico a seguito mancata possibilità di finanziamento per la realizzazione troppo onerosa delle stesse con effetti speciali )...un ultima cosa ...ce la faremo ITALIA!!  #cinema #film  #actor #acters @sergiopietracaprina
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freedomtripitaly · 5 years ago
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Sarnano è un piccolo borgo ai piedi dei monti Sibillini, caratterizzato da uno splendido centro storico con un notevole patrimonio artistico. Inserito nel circuito dei Borghi più belli d’Italia, è l’espressione di un territorio ricco di cultura dove si possono fare esperienze di vario genere. Terra semplice e dai paesaggi incantevoli, offre la possibilità di dedicarsi a varie attività: dal trekking al cicloturismo, dalle terme allo sci fino al turismo enogastronomico. Senza contare che il Cammino Francescano della Marca attira anche i turisti religiosi. Le origini del borgo di Sarnano Sebbene sia stato fondato circa 750 anni fa, il borgo di Sarnano nelle Marche è il risultato del transito di popolazioni diverse. Molto probabilmente in questo luogo già vissero gli Umbri e i Piceni, oltre al fatto che un’iscrizione su un cippo trovata nel territorio tra la zona centuriata e quella non centuriata, testimonierebbe che ai tempi di Augusto l’impero romano si estendeva fin qui. Riguardo all’origine del nome ci sarebbero poi diverse ipotesi a causa del fatto che da un punto di vista semantico è certamente un nome molto antico. L’ipotesi più accreditata sarebbe proprio quella che farebbe riferimento all’origine latina. In tal caso, il nome deriverebbe da Sarnus, toponimo riferito al nome del proprietario del terreno. Dopo la fine dell’Impero Romano, le invasioni dei barbari interessò anche queste zone e la vita feudale fu caratterizzata dalla dominazione dei Franchi. La famiglia dei Mainardi, prima, quindi i signori di Brunforte, per decenni assoggettarono la popolazione, finché nel 1282 venne costituito il Comune di Sarnano. Sarnano: cosa vedere Sarnano di Macerata è un borgo sorprendente per la varietà di elementi artistici e luoghi di interesse culturale, ma non solo. Qui l’offerta enogastronomica è di alto livello, oltre al fatto che le bellissime montagne circostanti sono la meta perfetta per chi cerca relax e vacanze immerse nella natura. Il centro storico, perfettamente conservato e molto ben curato in ogni particolare, ha un impianto di tipo medievale e mura ancora riconoscibili. Porta Brunforte, dal nome dei signori che dominarono il borgo, segna l’inizio del centro storico a cui è possibile accedere solo a piedi. Le vie del borgo conducono alla piazza Perfetti, dove si può godere di una splendida vista panoramica delle montagne circostanti. Da lì, salendo lungo le ripide coste, si raggiunge Piazza Alta, dove si trova la Cattedrale di Santa Maria. La chiesa di Santa Maria è stata edificata nel periodo della dominazione dei Brunforte, nell’XI secolo, e ha uno stile tipicamente romanico. Ha una sola navata sopra la quale si erge la torre campanaria, mentre ai lati dell’altare si snodano due scale piuttosto strette che conducono alla cripta. Oltre agli affreschi e ai dipinti di particolare pregio, è degno di nota anche il portale d’ingresso sormontato da un arco a sesto acuto e impreziosito da cornici e sculture che rappresentano varie figure sacre. Per chi è appassionato di arte e pittura, senza dubbio varrà la pena una visita alla Pinacoteca, dove sono conservate parecchie opere provenienti dalla Cattedrale, tra cui la Deposizione di Simone De Magistris e La Madonna adorante il Bambino di Vittore Crivelli. Gli itinerari nella natura Gli itinerari nel verde sono uno dei punti di forza di Sarnano nelle Marche, grazie alla sua vicinanza con i monti Sibillini e alla presenza di un bellissimo altopiano. I Piani di Ragnolo sono la meta ideale per gli amanti dei fiori. Qui, in primavera inoltrata e verso i primi di giugno si può assistere alla fioritura delle orchidee. Le orchidee dei Sibillini sono una specie protetta, capace di creare paesaggi meravigliosi grazie alla sfumature di colori che riempiono i vasti prati dell’altopiano. Il Cammino Francescano della Marca è un percorso ideale per chi ama camminare immerso della natura e, allo stesso tempo, meta del turismo religioso. Questo itinerario, che attraversa parte del centro Italia ha una tappa importante proprio a Sarnano: secondo la leggenda fu proprio San Francesco a disegnare lo stemma del comune, il quale rappresenta il Serafino apparso al santo al momento in cui ricevette le stigmate. Sarnano terme: la tradizione che lega questo luogo alle acque è molto antica, tanto che già nel XVI secolo la fonte di San Giacomo era conosciuta per il suo potere benefico. Tuttavia, per alcuni secoli l’abitudine di utilizzare queste acque a fini termali fu abbandonato. Solo nei primi del XIX secolo venne fondata la Stazione Termale, con tanto di riconoscimento ministeriale in seguito a una serie di analisi chimiche condotte dall’Università di Camerino. Ancora oggi le Terme di San Giacomo di Sarnano ospitano nella loro spa turisti provenienti da ogni dove offrendo piacevoli percorsi di benessere, mentre le cure termali e fisioterapiche sono rivolte a chi ne abbia necessità per motivi di salute. https://ift.tt/3bkpYY5 Alla scoperta del borgo di Sarnano, nelle Marche Sarnano è un piccolo borgo ai piedi dei monti Sibillini, caratterizzato da uno splendido centro storico con un notevole patrimonio artistico. Inserito nel circuito dei Borghi più belli d’Italia, è l’espressione di un territorio ricco di cultura dove si possono fare esperienze di vario genere. Terra semplice e dai paesaggi incantevoli, offre la possibilità di dedicarsi a varie attività: dal trekking al cicloturismo, dalle terme allo sci fino al turismo enogastronomico. Senza contare che il Cammino Francescano della Marca attira anche i turisti religiosi. Le origini del borgo di Sarnano Sebbene sia stato fondato circa 750 anni fa, il borgo di Sarnano nelle Marche è il risultato del transito di popolazioni diverse. Molto probabilmente in questo luogo già vissero gli Umbri e i Piceni, oltre al fatto che un’iscrizione su un cippo trovata nel territorio tra la zona centuriata e quella non centuriata, testimonierebbe che ai tempi di Augusto l’impero romano si estendeva fin qui. Riguardo all’origine del nome ci sarebbero poi diverse ipotesi a causa del fatto che da un punto di vista semantico è certamente un nome molto antico. L’ipotesi più accreditata sarebbe proprio quella che farebbe riferimento all’origine latina. In tal caso, il nome deriverebbe da Sarnus, toponimo riferito al nome del proprietario del terreno. Dopo la fine dell’Impero Romano, le invasioni dei barbari interessò anche queste zone e la vita feudale fu caratterizzata dalla dominazione dei Franchi. La famiglia dei Mainardi, prima, quindi i signori di Brunforte, per decenni assoggettarono la popolazione, finché nel 1282 venne costituito il Comune di Sarnano. Sarnano: cosa vedere Sarnano di Macerata è un borgo sorprendente per la varietà di elementi artistici e luoghi di interesse culturale, ma non solo. Qui l’offerta enogastronomica è di alto livello, oltre al fatto che le bellissime montagne circostanti sono la meta perfetta per chi cerca relax e vacanze immerse nella natura. Il centro storico, perfettamente conservato e molto ben curato in ogni particolare, ha un impianto di tipo medievale e mura ancora riconoscibili. Porta Brunforte, dal nome dei signori che dominarono il borgo, segna l’inizio del centro storico a cui è possibile accedere solo a piedi. Le vie del borgo conducono alla piazza Perfetti, dove si può godere di una splendida vista panoramica delle montagne circostanti. Da lì, salendo lungo le ripide coste, si raggiunge Piazza Alta, dove si trova la Cattedrale di Santa Maria. La chiesa di Santa Maria è stata edificata nel periodo della dominazione dei Brunforte, nell’XI secolo, e ha uno stile tipicamente romanico. Ha una sola navata sopra la quale si erge la torre campanaria, mentre ai lati dell’altare si snodano due scale piuttosto strette che conducono alla cripta. Oltre agli affreschi e ai dipinti di particolare pregio, è degno di nota anche il portale d’ingresso sormontato da un arco a sesto acuto e impreziosito da cornici e sculture che rappresentano varie figure sacre. Per chi è appassionato di arte e pittura, senza dubbio varrà la pena una visita alla Pinacoteca, dove sono conservate parecchie opere provenienti dalla Cattedrale, tra cui la Deposizione di Simone De Magistris e La Madonna adorante il Bambino di Vittore Crivelli. Gli itinerari nella natura Gli itinerari nel verde sono uno dei punti di forza di Sarnano nelle Marche, grazie alla sua vicinanza con i monti Sibillini e alla presenza di un bellissimo altopiano. I Piani di Ragnolo sono la meta ideale per gli amanti dei fiori. Qui, in primavera inoltrata e verso i primi di giugno si può assistere alla fioritura delle orchidee. Le orchidee dei Sibillini sono una specie protetta, capace di creare paesaggi meravigliosi grazie alla sfumature di colori che riempiono i vasti prati dell’altopiano. Il Cammino Francescano della Marca è un percorso ideale per chi ama camminare immerso della natura e, allo stesso tempo, meta del turismo religioso. Questo itinerario, che attraversa parte del centro Italia ha una tappa importante proprio a Sarnano: secondo la leggenda fu proprio San Francesco a disegnare lo stemma del comune, il quale rappresenta il Serafino apparso al santo al momento in cui ricevette le stigmate. Sarnano terme: la tradizione che lega questo luogo alle acque è molto antica, tanto che già nel XVI secolo la fonte di San Giacomo era conosciuta per il suo potere benefico. Tuttavia, per alcuni secoli l’abitudine di utilizzare queste acque a fini termali fu abbandonato. Solo nei primi del XIX secolo venne fondata la Stazione Termale, con tanto di riconoscimento ministeriale in seguito a una serie di analisi chimiche condotte dall’Università di Camerino. Ancora oggi le Terme di San Giacomo di Sarnano ospitano nella loro spa turisti provenienti da ogni dove offrendo piacevoli percorsi di benessere, mentre le cure termali e fisioterapiche sono rivolte a chi ne abbia necessità per motivi di salute. Sarnano, nelle Marche, è un borgo tutto da scoprire, ricco di luoghi storici e circondato da una natura incontaminata, dove sorgono anche le Terme.
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williamlitt · 5 years ago
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Chroniques italiennes
Chapitre 1
Installé dans mon siège, je ressens d’un coup la collision des pneumatiques de l’appareil volant avec le béton terrestre. Petites secousses, freinage, stabilisation. L’équipage irlandais est d’humeur à l’humour : nous sommes gratifiés d’un petit air de trompette victorieux. Exclamations et applaudissements à bord, on est content. Notamment car, pour le moment, on va tous continuer à vivre. Mais aussi, pour ma part en tous les cas, d’autres motifs.
Ça y est.
Je franchis triomphalement le sas. La nuit est déjà presque totalement tombée, mais l’air est encore chaud, lourd et humide. Le ciel garde encore quelques tâches rouges de l’extinction solaire. Je m’arrête, du haut de l’escalator, et jette un regard ému à mes alentours. La voilà, la terre neuve. Territoires à conquérir, quêtes à mener, et moult aventures encore... C’est ce que je peux soudainement percevoir avec davantage d’acuité, en scrutant l’horizon.
Nous procédons tous, en cortège, vers un gigantesque édifice d’accueil. Chacun choisit alors de s’engager dans l’une des multiples allées possibles. Je talonne le brave Giacomo.  Il me conseille et m’enseigne quelques pratiques locales, tout en me guidant vers le centre de transport routier. Là-bas, il ne nous faudra que peu de temps pour embarquer une nouvelle fois. En cours d’acheminement, j’observe à travers la vitre ce qui sera dorénavant mon environnement citadin. C’est une étrange sensation. Appréhension, doutes, curiosité, enthousiasme. Vais-je l’aimer ? M’aimera-t-elle ? Ici débute notre histoire.
Giacomo me sert chaleureusement la main tout en me souhaitant le meilleur, il a été transporté jusqu’où il souhaitait. Je lui réponds d’un clin d’œil : peut être nos chemins se recroiseront-ils un jour, qui sait ? Disparu dans la nuit, mon voisin de rangée dans les airs et mon premier ami local sur terre. Je me laisse alors transporter, avec maintenant comme seul compagnon mon fidèle sac de voyage. Ce dernier étant de piètre conseil pour m’indiquer où je ferais bien de descendre, je décide d’aviser selon l’inspiration. Et puis de toute manière, je ne sais pas du tout où je souhaite (ou ferais bien d’) aller...
L’inspiration n’a pas tardé tant que ça. Une grande avenue, des lumières, de l’agitation humaine ; et soudain me voilà à pieds. Des véhicules petits et grands défilent en son centre. Elle est rectiligne, jalonnée sur ses bords et toute son impériale longueur d’imposantes et hautes colonnes de pierre beige, supportant le poids des bâtiments massifs faisant de chaque côté office de voûte aux interminables allées piétonnes. Le tout dans un style architectural susceptible de nous évoquer une civilisation plus ancienne et majestueuse, même sans être expert.
Dans toute ma perdition spatio-spirituo-temporelle, je reste figé là. De marbre, une colonne supplémentaire sur l’avenue. Mais autour de moi, le monde ne s’arrête pas pour autant de tourner. Les hommes, les femmes, les animaux et les machines continuent indéfectiblement à se déplacer. Je ne ressens aucune cohésion entre moi et le reste. Je suis étranger. Comme fatalement « extérieur ». Là ou pas là, je me le demande. La déviation de trajectoire pré-collision des « intérieurs » face à moi me donne alors une réponse à mon mystère. Peut-être que je suis bien pris en compte dans les mouvements de ce monde, que je fais bien parti du décor, que j’existe ? Cool.
Entrer en contact avec les locaux, voire même en communication me semble alors, pour une prochaine étape, une bonne idée. Mais j’ai faim et il me faut en conséquence me nourrir. Ca tombe bien car c’est conciliable. Je me mets donc à ratisser de long en large la grande avenue à la recherche d’un lieu répondant à mes aspirations : j’exige à la fois du bon gastronomiquement, riche nutrionnellement et raisonnable financièrement.
Tout en cheminant gaiement, j’observe les gens. J’aime leur allure. Ils sont pour la plupart élégants, fiers et sûrs d’eux-mêmes. Je les écoute parler et ils ont des intonations des plus expressives ; ils m’ont l’air de rire aussi facilement que de se mettre en colère. Quand ils discutent, on dirait qu’ils chantent à tour de rôle, voire en même temps, en canon. Je suis spectateur ambulant d’une fascinante comédie musicale universelle. J’ai envie d’y participer moi aussi. Et c’est alors que solennellement, je me jure, la main sur le dictionnaire, de dédier passionnément mon quotidien à venir à l’étude de ce subtil solfège.
J’aperçois soudain ce petit restaurant de nourriture-rapide, dont la spécialité est une recette locale : une fine et moelleuse pâte à pain recouverte de sauce tomate et de fromage dans sa configuration la plus basique. S’y ajoutent ensuite une multitude d’autres ingrédients selon les envies : de toutes les couleurs et pour tous les goûts. Le tout, cuit au four. J’entre, j’observe méticuleusement. Je convoite toutes les recettes proposées. Mais j’opte mentalement pour  la plus basique, privilégiant l’élément financier aux éléments gastronomiques et nutritionnels. La confrontation verbale était inévitable, ce n’était qu’une question de secondes. Le grand bonhomme chauve, de derrière son comptoir, semble bafouiller dans ma direction de brèves paroles d’intonation interrogative. Il me regarde, et même sans comprendre véritablement son propos à mon égard, je devine, en individu aguerri dans l’art des relations humaines que je suis, qu’il veut savoir quelle pizza je veux.
Verbalement désemparé, je me vois contraint de lui indiquer la source de mes convoitises par la gestuelle tout en émettant quelques sons insignifiants. Le voilà qui acquiesce d’un sourire: victoire, je peux être compris. Tandis que le grand bonhomme prépare ma commande, j’attends. Son collègue entreprend de communiquer avec moi. J’entends, je considère, je cherche dans mes modestes gammes la signification des différents mots employés. Le rapport d’analyse est formel : il me demande d’où je viens. Très fier de ma compréhension, je réponds: Francia.
Il est tard me dit l’heure, affichée sur mon téléphone mobile. J’ai bien mangé, et je me retrouve à présent assis sur le sol de pierre de la Piazza maggiore, à suivre la projection sur écran gigantesque d’un documentaire sur l’œuvre et la vie de quelqu’illustre homme d’église italien. Il m’est inconnu, je ne comprends quasiment rien même s’il y a des sous-titres ; mais je reste pourtant attentif. Car c’est l’occasion d’acquérir du vocabulaire, et puis c’est aussi utile d’apprendre l’accentuation des mots. Mais par-dessus tout, si je reste là, c’est que je n’ai rien à faire d’autre de spécial.
L’événement nocturne paraît avoir du succès en tout cas. Quelques centaines de personnes se sont amassées ici. Il y a ceux qui ont pu avoir une des quelques centaines de chaises disposées spécialement ; et il y a les autres, comme moi, par terre. Parmi tout ce monde, je me demande lesquels sont réellement venus par dévotion ecclésiastique assister à cette messe 2.0. Suis-je le seul à m’être échoué ici-bas, attiré par l’afflux social ? J’ai probablement encore pas mal à apprendre sur les pratiques locales. Voilà des chaises qui se libèrent. Je passe à l���abordage sur l’une d’elle. Mais après quelques minutes de dévote attention, je me vois bien gêné par le bruit et l’odeur de quelques matelots alcoolisés s’étant installés juste derrière moi. Le moment est venu de lever l’ancre. Pour aller où ? Mystère.
« Quelle histoire » pensé-je, assis sur des marches au pied d’un historique bâtiment et regardant la fontaine centrale de la Piazza del Nettuno. Mon heure m’indique que nous sommes presque le lendemain. La place est encore remplie de gens, plus jeunes que ceux de la Piazza Maggiore. Etait-ce une si bonne idée de renoncer à dormir à l’hôtel cette nuit ? Mon esprit est confus. Je fixe la fontaine tandis que les questionnements logico-métaphysico-philosophiques fusent dans ma tête. Il fait plus sombre ici, mais j’aperçois tout de même distinctement les formes des grandes statues qui la constituent. Elles semblent en mouvement.
Tout à coup une voix féminine me tire de mes rêveries. Provenant sans doute du petit groupe s’étant aussi installé sur les marches, pas loin de moi. Me voilà donc apostrophé, on requiert mon attention. Subitement troublé dans mes profondes réflexions, je ne ressens à cet instant guère envie de socialiser avec mon prochain. Je feins alors de ne pas remarquer. La voix se fait insistante, elle m’est adressée, je me rends compte que mon maladroit subterfuge est vain. Je tourne la tête à ma droite et j’articule que je ne parle pas sa langue, dans sa langue. Je comprends tout de même que c’est une cigarette qui m’est demandée. La gestuelle jointe à la parole m’est ici sans équivoque. Je fais signe que je suis non-fumeur avec un faux air de regret de ne pouvoir satisfaire cette courtoise requête. Mais on ne me laisse pourtant pas en paix. Trahi par ma réponse à l’accent incertain et mon fidèle sac de voyage posé à ma gauche, une autre demoiselle me questionne sur mes origines. Je la considère, elle est charmante.
De taille moyenne, ravissante silhouette, cheveux noirs ondulés, fines lunettes, jolie visage. A cette vue, je change d’état d’esprit. Je lui réponds, elle me sourit, se rapproche, et nous engageons la conversation. Elle s’appelle Chiara [Kiara]. Elle est sicilienne. Elle est venue travailler ici car, dans la conjoncture actuelle, il n’y a pas beaucoup de perspectives sur son île. Elle aimerait apprendre le français. Je lui laisse entendre avec malice que je pourrais bien lui en enseigner quelques rudiments. Elle a un regard pétillant, un visage émotif. Elle ne comprend pas toujours ce que je dis et quand je vais trop vite, elle me reprend doucement « piano, piano »… Mais j’aime la confondre ; elle reste parfois sans voix, je lui souris en la regardant dans les yeux. Ca la rend un peu confuse, mais elle redouble d’intérêt et me pose toujours davantage de questions. Y a-t-il quelque chose dans l’air ce soir, comme… de bonnes vibrations ?
Peut-être que j’aurais bien fait de prendre un hôtel, en fait. Me voilà condamné à errer toute la nuit dans les rues, avec mon fidèle sac de voyage. Heureusement que j’ai comme autre compagnon ce bouquin acheté en vitesse à la gare et dont on m’avait passionnément fait les éloges de l’auteur. Pas terrible finalement, mais distrayant. Et je ne demande que ça, de la distraction. Toute la nuit, à défaut de sommeil. Peut-être Chiara m’aurait-elle offert l’hospitalité si je lui avais demandé ? Trop tard. Je l’ai laissée sans avoir échangé de coordonnées, lui donnant rendez-vous deux mois plus tard, même heure, même endroit. Y serai-je ? Etrange procédé de ma part. Je l’appréciais pourtant. Peut-être était-ce à cause de sa copine insistante, qui était également en état d’ébriété avancé. Et plutôt gênante. Mais sans doute aussi pour d’autres obscures raisons, relatives à ma troublante arrivée dans ces nouvelles contrées, cette dimension parallèle. C’était bizarre. Suis-je bizarre ? Sûrement ; mais c’est tant mieux.
La Piazza Maggiore n’a jamais été aussi dépeuplée depuis que je l’ai rencontrée. Les centaines de chaises parfaitement alignées demeurent à présent inoccupées. Même le vieil obèse dégingandé des premiers rangs a fini par se réveiller pour partir ; en traînant des pieds, comme un zombie. Et il y a encore et toujours ce mec douteux, chauve et basané, qui a marché toute la nuit les écouteurs dans les oreilles, sans relâche. Les équipes d’entretien municipales sont déjà affairées à leur tâche ; un agent passe par là, de temps à autre. Enfin, trois individus sans domicile fixe se reposent dans ce géant dortoir improvisé. Je suis l’un d’entre eux. J’avais bien fait une petite ronde dans les parages pour tenter de dénicher un bon repère, mais les meilleurs bancs et recoins n’étaient plus disponibles. Je péchais par manque d’expérience.
Mes deux compères d’infortune, eux, dorment depuis longtemps. Moi, je me l’interdis, les yeux grands ouverts, assis en plein centre des légions de chaises. Le mec douteux commence sérieusement à me faire flipper en plus. Il passe et repasse souvent pas loin de ma rangée. Il est essoufflé, mais il continue ; il n’a pas l’air d’avoir le choix. Il est condamné. Dans mon bouquin j’arrive à une scène où une jeune femme se fait agresser et violer dans le métro par un groupe d’individus dont la description physico-comportementale m’évoque sans détour ce rôdeur de la nuit. Serait-il capable d’être violent ? Je ne préfère pas savoir ; je vais faire une nouvelle petite promenade.
Chapitre 2
Le soleil est en pleine forme ce matin. Il brille de tous ses rayons et chauffe le béton et la pierre. La ville se réveille, les gens fourmillent et vaquent à toutes leurs occupations; tandis que moi je stagne dans toute ma torpeur somnolente, déboussolé. J’imagine, je rêve, je vois un bon lit accueillant. Il m’appelle avec bienveillance, me regarde avec moelleux, me fait signe de le rejoindre. Il m’encourage à sombrer en lui. Il me dit qu’il n’y tient plus, il veut me prendre dans ses draps. Oh, mais comme c’est réciproque. .
Sans boussole certes, mais dorénavant muni d’une carte du territoire. Je l’étale, sourcils froncés, sur une grande table de l’auberge ; l’heure est à la stratégie. Je calcule, j’anticipe mes futurs mouvements tout en prenant en compte les obstacles et éventuelles embûches. Je prévois vivres et équipement. Si je souhaite mener à bien cette quête capitale, rien ne doit être laissé au hasard. Sur le papier, mon plan de bataille est infaillible. Sur le terrain, c’est moins évident. .
Le soleil frappe fort, je traîne des pieds. Ma bouteille d’eau pétillante, jadis fraîche, est bouillante et presque vide. Je suis tout transpirant de haut en bas. Cette étape de ma quête a été décevante. J’en reviens : un logis lointain, moche, pas propre ; habité uniquement par des hommes travailleurs pas très aimables. Mais peu importe, j’ai bien prospecté. Demain m’attendent deux appointements très prometteurs, et le surlendemain de même. C’est la fin d’après-midi maintenant. Enfin, le guerrier va pouvoir se laver. Enfin le guerrier va pouvoir se reposer. Longue et paisible nuit de sommeil en perspective, quel bonheur. Que demander de plus ?
Une bière. Elle est bien fraîche, blonde et mousseuse. Je la savoure, installé dans une grande terrasse bondée. C’est la nuit, elle est douce, animée et illuminée. Dans la zone universitaire où les bâtiments sont anciens, le samedi soir, ça pullule de jeunes enthousiastes. Il en débarque de partout, par cargaisons. Festivités estivales. Nous plaisantons avec Tim, Javier, Martijn et Gbirk. Le deuxième propose aux trois et quatrième de leur échanger de jolies brunes espagnoles contre un équivalent de blondes néerlandaises. Cette perspective de transaction enchante les deux parties ; ils y voient symétriquement l’assouvissement d’un même désir d’exotisme. Pour ma part, tout ce que je vois aux alentours, ce ne sont que des locales toutes plus belles les unes que les autres. L’anglais acquiesce à mon constat. Sur ce point, on était tous d’accord en fait.
A la trappe, la fatigue. La formidable dynamique de groupe créée avec mes compagnons d’auberge en a eu raison. Nous voilà maintenant dans un parc, au sommet d’une colline. Le disc-jockey fait péter les enceintes ; et sur un son de Minimal, tout l’attroupement dont nous faisons partie se meut de manière désynchronisée. Ca saute, ça gesticule, ça fait des contorsions. On lève les bras, on tape dans nos mains, on acclame, on est content. Cette ville est géniale.
Encore une nouvelle journée radieuse. Et c’est en compagnie de Javier, que la quête se poursuit. Toujours sous ce même puissant soleil, nous cheminons à l’ombre des grands édifices universitaires de pierre beige, bouteilles d’eau réchauffée à la main. Mon collègue épluche les affiches de location, placardées sur tous les murs des environs. Moi, j’en ai déjà eu mon compte. Il y a cette charmante demoiselle qui paraît suivre une quête semblable à la notre. Je me rapproche. Elle est au téléphone, de taille moyenne, silhouette fine, cheveux attachés châtains clairs, peau clair, yeux bleus et jolie visage.
Je fais mine de m’intéresser moi aussi aux affiches. Mais d’une oreille innocente, je reconnais un accent qui m’est très familier. Elle me le confirme en personne, nous avons bien quelques caractéristiques communes. Nous nous informons alors poliment des motifs de nos venues respectives ici-bas. Elle me parle d’elle, je lui parle de moi. Elle me confie ses doutes, ses craintes et ses envies. Et je suis à l’écoute,  et fais des plaisanteries. Le moment vient où nos chemins doivent cependant se séparer. On a finalement longuement prospecté ensemble de par les rues. Je lui dis à bientôt, et au plaisir de la revoir. Elle me sourit et est toute aussi courtoise. Je ne puis guère lui donner mes coordonnées téléphoniques, mais je lui réponds en lui proposant de prendre celles de Javier. Elle acquiesce. Un dernier sourire ; et Clara disparaît.
Me voilà songeur, allongé sur le bord de la fontaine de la place de la gare, alors que la nuit tombe. La prochaine embarcation pour mon auberge se fait attendre. J’établis le bilan du résultat des courses : il est très positif. J’opterai pour l’une des deux, c’est sûr. Avec l’une comme l’autre, je sais que je pourrai pleinement m’épanouir. Aucun regret, dans les deux cas de figure. Mais il faut tout de même trancher ; je ne pourrai pas bien longtemps tenir le grand écart entre les deux. Comment résoudre ce dilemme ?
La première a peut-être plus de piquant. On peut s’imaginer un quotidien plus animé avec elle. Une sollicitation constante, des surprises, de l’imprévu. Du conflictuel, des étincelles. Tandis que la seconde semble plus douce. Quand je la retrouve, c’est pour plus de paix après l’excitation de la journée. Une promesse de réconfort, et de sérénité quand besoin est, d’une précieuse relaxation. Enfin voilà : il fallait que je choisisse entre l’une des deux chambres que j’avais visitées cette fin d’après-midi dominicale. La grosse colocation de jeunes étudiants dans le centre ville ou l’agréable appartement en rez-de-jardin à seulement 5 minutes du centre. Dilemme, réel dilemme.
L’heure est arrivée. Je me lève nonchalamment du bord de la fontaine. Je m’étire et je baille. Enfile mes claquettes, range ma carte dans ma poche arrière ; et mon petit dictionnaire à la main, je me mets à marcher doucement en direction du point de départ de mon embarcation. Je dépasse les bancs des vieux qui restent là immobiles, pour mieux ralentir à la vue du petit bonhomme rouge, roi du passage piéton. Je me fige. Après quelques instants, c’est au tour de son ennemi juré, le petit bonhomme vert, de régner. Il me fait signe de circuler. J’engage le pas. En traversant, je feuillète avec concentration. Chaque occasion est bonne pour étoffer mon vocabulaire, pensé-je. Arrivé sur le trottoir d’en face, je fais encore quelques pas vers la droite pour rejoindre le point. L’embarcation ne va plus guère tarder à présent. Je choisis alors une belle colonne bien solide pour appuyer mon épaule. Et ce, tout en poursuivant tranquillement mon étude.
Et c’est là qu’elle a surgi de nulle part. Une créature de fantaisies. Légère, elle passe devant moi avec élégance pour s’arrêter trois pas plus loin. Des habits blancs estivaux, elle a de longs cheveux lisses auburn aux reflets de cuivre. Le teint bronzé. De taille supérieure à la moyenne, sa silhouette finement athlétique m’est fatale. Tout en elle est attraction. Elle ne m’a pas aperçu de derrière ma colonne, mais j’observe son délicat visage quand elle porte son regard au loin, comme dans l’attente de quelque chose… Ce soir restera gravé comme celui où j’ai posé les yeux sur la plus divine de toutes, pensé-je en cet instant ; entre admiration et perplexité. Fort heureusement, j’ai encore la lucidité de percevoir que c’est mon embarcation qui débarque.
Mais, comment est-ce possible ? Elle s’apprête elle aussi à monter, parmi tous ces autres mortels qui s’entassent devant la porte ? Je suis dubitatif. Je sors de l’ombre, je m’avance ; et j’ose même tourner la tête pour mieux la voir. Je suis alors comme frappé par un coup de tonnerre qui me parcourt tout le corps ; à l’instant précis où les yeux dans les yeux, nos regards se croisent. C’est insoutenable, je faillis le premier. Elle monte sans tergiverser, et s’assoit à proximité de la porte, sur une place libre du côté droit de l’embarcation. A mon tour. Une pensée défaitiste me suggère que je pourrais la gêner en m’asseyant trop près d’elle, ce pourrait être ressenti comme un envahissement. Mais fi !! Je choisis avec audace une place parallèle à la sienne sur le côté gauche. Au moins pour pouvoir la regarder du coin de l’œil en me tournant subtilement ; le temps d’un court voyage.
Afflux de pensées contradictoires dans mon cerveau qui tourne à plein régime ; alors que la route est déjà entamée. Une approche, un stratagème, un artifice, n’importe quoi Cerveau, allez ! Me lâche pas maintenant ! Pendant ce temps elle, est là ; à un mètre et demi, fraîche et paisible. Bon, je n’ai pas l’éternité non plus. Je dois me mettre all-in. Je saisis avec un courage aveugle mon petit dictionnaire et je commence à feuilleter frénétiquement. Je cherche l’équivalent de ‘très’, je déchire consciencieusement les contours du mot en question. Puis je fais de même avec ‘jolie’. Il n’y a pas un instant à perdre dans le raffinement poétique du message.
Et voilà. Je suis en train de lui tendre le bras avec ces deux minuscules morceaux de papier entre pouce, majeur et index. Elle tourne la tête, m’observe, et reste stupéfaite. Elle ne saisit pas mon présent, merde. Quel ridicule je fais, bras tendu, immobile. Elle me regarde avec interrogation, comme dans l’attente que j’explique le motif de mon étrange initiative. Mais aucun mot ne me vient, confusion cérébrale totale. «Hum, euh » je reste un court instant presque sans voix, mais j’en garde tout de même assez pour émettre quelques sons étouffés, et incompréhensibles. Bravo.
Gênée, elle saisit tout de même mes petits papiers. Mais continue à me regarder en attendant une communication plus claire de ma part. Moment décisif. Et quand il paraît n’y avoir plus aucun espoir, m’est enfin envoyé l’éclair de génie tant attendu: « READ !» m’exclamé-je, au terme d’une intense bataille intra-cérébrale. Elle comprend. Elle lit. Et elle comprend à nouveau. Elle lève les yeux, son visage s’illumine, elle sourit. Elle est splendide. Je n’en reviens pas. Elle me regarde, puis, confuse, se détourne. Je regagne un brin de confiance. Je sens qu’elle est disposée à communiquer à présent. Mais elle n’en prend évidemment pas pour autant l’initiative. Un petit moment de silence. Je fais un sourire en coin en feignant la sérénité. Le petit moment dure. Mais enfin ! La voie est libre boulay ! M’insulté-je avec virulence dans mon for intérieur.
A l’attaque. Ma première question déclenche chez elle une attention toute particulière. Je suis flatté, je prends davantage confiance. Deuxième question : ça y est, je suis lancé. Trop éloigné pour dialoguer, elle se lève carrément de son siège pour venir s’appuyer sur la vitre, juste devant moi. Au comble de ma confiance, je maîtrise totalement mon cerveau. Je soigne chaque mot, chaque intonation, chaque pause. Je la regarde droit dans les yeux avec  une subtile intensité ; et elle aussi. Son prénom est Rosanna. Elle a vingt deux ans et travaille dans une entreprise d’informatique. Elle revient d’une visite de fin de semaine chez son père. Elle avait dû prendre le train car il habite dans une autre ville.
Elle veut aussi savoir qui je suis, ce que je fais. Maintenant plus à mon aise, j’essaie même de plaisanter finement. Elle sourit, elle rit même, doucement, avec un peu de timidité. Elle regarde brièvement dehors, et me prévient aussitôt qu’elle s’apprête à descendre. Plus le temps de lui demander son numéro (de toute manière ce procédé manque cruellement de subtilité, pensé-je). Elle allait donc partir et nous resterions sans avoir échangé des moyens sûrs de communiquer à nouveau.
Et… c’est ce qui se produit. La porte qui s’ouvre, la porte qui se referme. Et en un instant la voilà disparue dans la nuit. Tandis que moi, je reste là. Perplexe, enfoncé dans mon siège. Suis-je décidément si irrécupérable que j’en ai l’air ? Cette fois, peut-être que non. J’avais réussi à savoir quelle était son nom complet. Ce qui me serait sûrement très utile dans mes futures recherches. Oui. Cette fois je suis bien décidé. Je veux vraiment la retrouver un jour, elle.
Chapitre 3
Impossible de dormir. Définitivement. Je suis fatigué, épuisé même, mais non. Où es-tu sommeil ? Je te cherche depuis des jours et des nuits, et tu te refuses toujours ? Je ne suis pas le seul à trouver la tâche difficile dans la chambre, apparemment. On se regarde avec incrédulité Javier et moi. Comment cet anglais peut-il être doté d’une faculté de ronflement aussi extravagante, aussi tonitruante ? C’est comme un vieil aspirateur qu’on s’amuse à éteindre et rallumer sans relâche, à un diabolique intervalle régulier. Se boucher les oreilles, enfouir sa tête, prier à chaque fois pour que ce souffle-ci soit son dernier. Peine perdue. Il faut agir. A deux, on pourrait aisément l’étouffer dans son gros oreiller ; ça nous vient à l’esprit. Mais non, ce n’est pas moralement acceptable.
Aller rejoindre la chambre de Martijn et Brugkrik ? On ignore où elle est. Alors on finit par se décider à descendre implorer nos hôtes d’accueil pour que soient incessamment prises les mesures adéquates. On sent une sincère compassion dans leurs yeux. Ils écoutent, et oh, qu’est-ce qu’ils nous comprennent. C’est dire qu’on donne tout pour se rendre pathétiques. En caleçons, crispés au comptoir, nos expressions affligées de désespoir. L’hôte supérieur hiérarchique dit qu’il va voir. On reste donc là immobiles, le regard suppliant, suspendus à l’annonce du verdict. Il tergiverse, feuillète ses documents d’un air contrarié. C’est ok, finit-il par déclarer, à notre inespéré soulagement. Une nouvelle chambre peut exceptionnellement nous être attribuée ; pour ce qui reste de la nuit. Dodo salvateur, demain ne sera pas une partie de plaisir.
Le départ est imminent. Martijn et Tbirkt me donnent les derniers conseils essentiels pour que le long périple qui m’attend soit un succès. Ils me récitent religieusement les piliers fondamentaux de la pratique du ‘hitch-hiking’. On ne plaisante pas avec ça, sentancent-ils solennellement. Ce sont des habitués, ils ont fait toute l’Italie de cette manière ; et s’apprêtent également à repartir de plus belle aujourd’hui. Pour eux, c’est comme ça qu’on passe les meilleurs moments en voyageant. C’est une école de la vie. On rencontre des gens, on fait face à l’imprévue. On n’est jamais sûr d’arriver à trouver quelqu’un pour nous transporter, d’arriver à bon port le soir venu. On découvre ses limites ; pour mieux les repousser ensuite !
Et puis c’est économique, chose non-négligeable. La plupart du temps, on ne nous demande même pas une contribution pour l’essence. Ce n’est  pas facile, ça non. Mais dans l’adversité, ce que l’on vit, ça, ça n’a pas de prix. Je suis séduit. J’enfile mon fidèle sac de voyage, leur fais un théâtral dernier signe d’adieu ; et c’est parti pour ma prochaine lointaine destination. Combien de jours cela va-t-il bien pouvoir me prendre ? Y arriverais-je sain et sauf ?
Chapitre 4
Et me voilà qui chemine, les deux pouces soutenant les anses de mon lourd gros sac, sifflotant maladroitement. Direction une station d’essence dans le sud de la ville ; c’est le meilleur plan pour interpeller des conducteurs potentiellement enclins à coopérer, m’ont-ils conseillé. Je considère la grande aventure qui m’attend. J’ai trois jours pour y arriver. J’espère que ça suffira. « L’école de la vie » pensé-je. Ca, c’est épique! De l’imprévu, des nouvelles rencontres ; j’aime ça. Mais aussi de longues heures d’attente sous ce soleil de plomb. La soif, la faim, la mort ? On n’est jamais à l’abri. C’est un risque à prendre. En descendant à l’embarcadère, je m’aperçois que sur mon passage se trouve la gare ferroviaire.
Tiens ! Et si j’allais y faire un tout petit tour, histoire d’évaluer gentiment combien j’économise en choisissant la voie des braves ? Juste par curiosité, bien sûr. J’arrive devant le distributeur automatique de billets. Je tape innocemment mon itinéraire. Et la surprise : Wow ! C’est pas cher, en fait. Je reste planté là, perplexe. Je considère : le pour, le contre.  Je constate: mon sac est plutôt lourd. Et puis pour aller d’un endroit à un autre, un siège de train, c’est franchement confortable..
Il a finalement fallu bien peu de temps pour que je me retrouve là, sur le quai 6, sac au sol, billets compostés à la main. Je tourne la tête, observe sereinement les parages. Oh ! Mais qui vois-je donc, sur mon quai, adossés au distributeur de boissons ? Je lève la main et les salue joyeusement. Ils me saluent également, et me regarde avancer vers eux ; ils ont un air mi-content, mi-gêné : Martijn et ???irk. Ils m’expliquent dépités qu’ils ont été forcés de renoncer à leurs plans pour cause de force majeure : les derniers jours avaient été un peu fatigants. J’approuve et adopte la même valable excuse pour mon cas. Mais bon. On se regarde ; et allez, inutile de nier l’ironie. On se marre tous de bon cœur.
Chapitre 5
Je vois les paysages défiler ; la tête appuyée sur la vitre, dans état de semi-conscience. Une très verte végétation recouvre abondamment les reliefs aléatoires de la terre claire. De ci, de là, d’anciennes petites habitations de pierre. Un homme chinois au visage rieur se précipite sur la place qui vient de se libérer juste en face de moi. Il me montre du doigt sa place précédente et rigole de toute sa dentition jaunie, dans un style bien chinois. Il y faisait trop chaud, je le comprends. Le radieux soleil irradie tout ici. Dans le wagon, tout le monde se sert de son billet comme d’un éventail.
Arrivé à bon port, ça tape encore plus fort. Au sortir de la gare, le soleil est au zénith. Je comprends maintenant ce que ressent un œuf qui cuit dans une poêle. La civilisation s’est ici édifiée au gré des reliefs ; en choisissant comme épicentre le plateau le plus haut des paysages environnants. Les fortifications de pierre partent de la périphérie pour ensuite remonter en spirale vers le sommet où se trouve le cœur citadin. Je vais tout en haut, je suis tout en bas.
Il y a des alternatives forfaitaires sur roues, mais non, ce serait trop facile ; je choisis la marche. Les rayons solaires cuisent le sol ; je dois mettre ma carte en opposition, tel un bouclier, afin d’éviter de fondre sur place. Je limite au minimum mon exposition, en adoptant un style de déplacement furtif, de zone d’ombre en zone ombragée, et vice-versa. J’avance, résolu, sans toutefois prendre rapidement de l’altitude. La route tourne longuement autour du pot, un peu sadique. Je souffle, j’ai les lèvres sèches, plus d’eau. La gravité se fait oppressante, et mon gros sac n’aide pas. Je comprends maintenant ce que devait ressentir le géant Atlas, condamné pour l’éternité à transporter la terre sur ses épaules. Je ne cherchais pas à rendre le périple si héroïque à vrai dire, je pensais juste que ça serait un brin moins long.
Pour aller toujours plus loin ce n’est pas complexe ; il suffit d’avancer, faire un pas devant l’autre, et ainsi de suite. Pour aller toujours plus près, c’est plus subtile ; il faut de surcroît aller dans la bonne direction. Je sentais intimement ne plus être loin à présent, en voyant derrière moi cet altier panorama, plongeant dans la verte vallée. La vieille ville est bâtie haute, en pierres blanches, et des gros pavés difformes et obscures tapissent les petites ruelles. Je sillonne ; des escaliers, partout. Des montées, des descentes, à n’en plus finir. Je cherche maison. Pouvoir vous aider moi ? J’ai adresse, vous connaître ? Non ? Pas merci alors, bande d’inutiles.
Elle était juste là, en fait. Juste à côté de la petite flèche rouge (B), sur ce petit chemin blanc aux contours noirs. Depuis la perspective virtuelle, c’était pourtant évident. Dans le réel, c’est un appartement au deuxième étage d’un immeuble plutôt moderne, planté en haut d’une longue montée escarpée. On y a une belle vue sur les fortifications surélevées de la vieille ville d’un côté, et sur les gros blocs de la partie scientifique de l’Université de l’autre. Je suis paisiblement assis sur les marches, pensif, quand Marco rapplique sur son deux roues motorisé. Salutations sérieuses avec ce quinquagénaire énergique, de stature moyenne, petites lunettes noires et barbichette. Les affaires n’attendent pas, la visite est expéditive : séjour, cuisine, salle de bain, chambre. Voilà. On retourne dans le couloir, le moment de l’officieuse remise des clés est arrivé. Il me fixe : « Werlr iz ze moni? », presque menaçant, la main tendue vers moi.
Ah, mince ; je pensais que ça se faisait après prestation ce genre de transaction. Non, apparemment j’ai tout faux. « Tomorlrow, I come back. And I want ze moni ». C’est là que j’aurais pu m’inspirer d’Al Pacino ; froncer les sourcils, faire la moue avec la bouche,  essayer de l’amadouer en disant que j’étais de la famille, que j’étais un homme de parole, et puis j’aurais craché par terre solennellement. Mais je me contente d’acquiescer poliment. Pour une raison technique très simple : je ne sais pas comment dire tout ça. Et puis mon faux accent sicilien n’est pas crédible, je me serais moi-même trahi..
A l’aise, chez Marco ; me dis-je le lendemain matin, en caleçon sur le balcon ensoleillé, bol de Choco Leafs au lait à la main. Bien accommodé, bien situé, la vue tout à fait pittoresque. Spacieux en plus. Et puis je profite de tout ça, tout seul. Il y a pourtant bien une autre chambre de verrouillée, et quelques étagères placardées de l’affichette « Luigi » : alors où peut-il bien être celui-là, à l’heure qu’il est? C’est la question que j’avais eu le temps de poser à Marco, avant son départ précipité. Mais il avait été plutôt évasif à ce sujet. Quelqu’un d’autre résidait donc ici avant moi, dans un passé peut être pas si lointain. Avait-il un jour tenté d’entourlouper son propriétaire ? Manqué de respect ? Trahi la famille ? Si l’éventuel règlement de compte avait eu lieu dans l’appartement, cela avait été propre en tout cas. Je n’ai repéré pour le moment aucune trace ou indice notable. Une sombre histoire, qui sait ? Le mystère plane. Je vais donc me brosser les dents, dans la perspective de m’habiller et de sortir visiter un peu les parages.
Je suis tout frais en passant le seuil de la porte. Plutôt morte cette ville l’après-midi, m’aperçois-je. Ou du moins, au repos. C’est que sur ce grill géant, les locaux savent à quoi s’en tenir. Seuls nous, inconscients touristes, venons gentiment nous faire rôtir. On se perd d’abord dans la multitude de petites ruelles médiévales qui, descendent, montent, redescendent, remontent ; juste pour mieux dé-redescendre et re-démonter ensuite.  On cuit à petit feu, je suis déjà saignant. Arrivé sur le plus haut plateau, les piazzas aux fontaines sont si belles et les monuments si majestueux, que se serait bien dommage de ne pas poursuivre de plus belle. Cité fondée par les Etrusques au troisième siècle avant notre ère, puis conquise par Rome approximativement deux siècles plus tard, on a ici une richesse architecturale tout à fait charmante.
Tout est construit très haut ; de fastes palais, chastes églises et vastes édifices. Globalement, c’est pas mal baroque. Avec de petites touches inspirées de la Renaissance de ci de là. Je m’arrête sur le bord d’une géante terrasse boisée au pied d’un autre illustre palais. Je suis cuit à point, maintenant. C’est une plateforme surélevée, d’où l’on a une vue plongeante imprenable sur une large face de la ville. C’est impérial. La ville est immense en fait, bien plus que je ne le pensais. En cet instant je comprends la fierté qu’a du ressentir Augustus Octavius juste après la conquête. « Veni, vedi, vici. » Peut-être se tenait-il à la même place que moi, quelques deux millénaires auparavant ?
Chapitre 6
C’est ce matin que débutent les choses sérieuses. Sourcils froncés, me passant les doigts dans la barbe du menton, je planche sur ma fiche. On nous examine, moi et mes cent cinquante neuf collègues européens. Tous rangés en rangées dans la somptueuse grande salle du palais universitaire. Le postulat est que nous formons un ensemble d’individus hétérogène. L’idée fondamentale de l’opération en cours est donc d’établir un ordonnancement au sein de nos effectifs. Et ce, selon des critères jugés pertinents par les autorités enseignantes responsables. On cherche d’abord à stimuler les facultés cognitives de chaque sujet via la formulation de séries de problématiques : en premier lieu sur support-papier, puis par la voie orale. Ainsi, on évalue le degré d’aptitude à la résolution desdites problématiques par lesdits sujets, selon leurs réactions, en temps réel.
Ensuite, sur la base du traitement et de la synthèse des informations recueillies, on pourra obtenir une classification de chacun, par degré d’aptitude, en deux sous-ensembles homogènes. In fine, on cherche à distinguer les capables des incapables. Je comprends bien les mécanismes de l’opération, j’ai été confronté maintes fois à ce type de situation ; je sais donc comment m’y prendre en théorie. Mais là, j’ai bô tourner et retourner les pages, je me sens plutôt destiné à la catégorie des incapables.
Après l’effort cérébral, la satisfaction intestinale. Un grand buffet est levé. Je me place vite et stratégiquement pour subtiliser les meilleurs sandwichs et pâtisseries. J’en prends le maximum autorisé ; ça me fait au moins un repas d’économisé, et ce n’est pas mauvais non plus. Pendant ce temps-là, le grand processus de socialisation massive s’est enclenché, et rien ne semble à même de l’arrêter. Tous les collègues ici présents communiquent, établissent les premiers contacts. Les mêmes questions préliminaires fusent et se répètent de toutes parts. Tant et si bien, que l’envie d’intégrer moi aussi le processus vient à me manquer.
Je ne suis pas dans un état de désespoir tel, que l’idée de rester un moment sans quiconque à qui confier tous mes premiers sentiments et émotions m’est insupportable. Non, je préfère me diriger, serein, vers le comptoir des boissons, où je convoite un troisième verre de jus multivitaminé. Bon, d’accord, d’accord. Je ne vais tout de même pas faire l’antipathique. Cet allemand à qui j’offre la courtoisie vers la bouteille de Coca-Cola, et qui me la retourne avec tant de grâce, et bien il est plutôt sympa en fait. Socialisons donc. .
Très rares sont les vrais antipathiques qui l’assument, ce soir, dans le bar. Tout le monde s’efforce d’être agréable, se montre intéressé par ce qui se dit. On se livre nos impressions, on partage nos points de vue, on plaisante, c’est la bonne humeur générale. Je communique allégrement avec moult allemands, polonais et portugais. Le disc-jockey met le volume si fort que je me vois obligé de converser avec Magdalena, blonde polonaise un brin stéréotypée, par la technique du bouche-à-oreille. Elle est très gentille. Je suis à une table où l’Europe de l’Est est fort bien représentée. Le barman offre la tournée de shooters, on trinque tous ensemble : « Nazdrovia ! ». .
Avec mon ami allemand Julian, initié, on débat sur la qualité du mixage effectué.  DJ Gino (j’invente pour le coup, mais il a vraiment le style pour s’intituler ainsi) vient de lâcher le gros hit latino réchauffé, qu’on nous ressert inlassablement à toutes les sauces depuis des années. Je confie mes incertitudes à Julian, il m’émet ses réserves. Mais Magdalena et toutes ses copines, elles au moins, ne se prennent pas autant la tête. Elles se déhanchent sans retenue, fofolles, sur la piste de danse. Ca a l’air d’être leur chanson préférée, comme la précédente, et probablement la suivante. Elles sont contentes. Et peut-être que moi aussi, en fin de compte, je le suis.
Nouvelle matinée ensoleillée. Et mince, je me suis trompé de salle. Ca commence bien. Je pensais me trouver dans le grand amphithéâtre de l’Université où était prévue la publication officielle des résultats ; mais en fait pas du tout. Je suis au théâtre. J’assiste à la représentation d’une nouvelle pièce d’un  illustre dramaturge local. Des comédiens défilent un à un sur l’avant scène. Ils s’expriment avec force et passion, leur discours est rythmé d’intonations émouvantes et de pauses percutantes ; ils donnent vie à l’espace avec de grands gestes dramatiques. On passe du rire aux larmes avec une facilité déconcertante, les spectateurs sont conquis.
La trame du scénario est pourtant simple : des enseignants se présentent, et énumère la liste d’étudiants qui intégreront leur classe. La fiction est très bien ficelée, on fait même participer l’audience. Dès le premier acte, je suis directement interpellé : on me remet une fiche et quelques documents, très réalistes je dois dire, comprenant diverses informations ; comme par exemple les horaires de classes d’un des groupes du niveau le plus élevé. Mon voisin Julian, allemand et donc très pragmatique, met en doute le caractère réaliste de la pièce. Il estime que par un souci d’efficacité et de rentabilité temporelle, dans la vie normale, des enseignants ne s’attarderaient pas à énumérer longuement les noms de leurs quelques cent soixante étudiants. Ils afficheraient juste les affectations sur un grand tableau, et basta.
Mais peu importe le réalisme, pensé-je. On passe un plutôt bon moment. Les comédiens redoublent de créativité pour rendre ce scénario plutôt banal en une comédie très drôle et pleine de suspense. Chaque « enseignant » y va de son style, avec sa propre originalité. Et que dire, entre autres, du personnage de Marta, jeune enseignante de même pas trente ans. Grande, belle et élégante, cheveux noirs lisses attachés et peau légèrement foncée. Enthousiaste, pleine d’énergie, on croirait réellement qu’elle est née sur scène : elle est expressive dans sa voix et ses gestes, pétillante.
Son sourire est naturel. A chaque nom qu’elle prononce, elle improvise une petite attention, une plaisanterie parfois. Ca lui prend plus de temps qu’à ses collègues ; mais elle s’en fiche un peu, et nous aussi à vrai dire. Elle rayonne d’intelligence et de grâce. L’audience toute entière est sous le charme. Lorsque la représentation vient à s’achever, je sors de la salle, avec mes documents en souvenir. Et le cœur joyeux, je constate : je commence, déjà, à vraiment aimer l’Italie.
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fincsimissimi · 7 years ago
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Róma kútjai, avagy Azért az azúr víz az úr
Róma kútjai, avagy Azért az azúr víz az úr
Tudtam, hogy el fog érkezni ez a pillanat is, bár bevallom őszintén, korábbra vártam. Ennek a posztnak a tavaly júniusi képeit már régebben összegyűjtöttem az egyik mappámba, néha rájuk néztem, de aztán továbblapoztam mindig. Arra gondoltam, hogy majd egy november végi vagy január közepi, a fűtött szobában töltött napon, amikor majd a legnagyobb lesz a távolság a külső körülmények és a képek…
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salentipico-blog · 7 years ago
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Da oggi, giovedì 26 e fino a domenica 29 ottobre, circa 200 relatori tra giornalisti, imprenditori, attivisti, blogger, ricercatori, musicisti, docenti universitari, scrittori, amministratori pubblici, scienziati, artisti, registi, hacker, maker, esperti, giuristi, economisti, architetti, paesaggisti, linguisti, social media manager, designer, innovatori racconteranno le proprie storie durante la quinta edizione del festival “Conversazioni sul futuro”, diretta da Gabriella Morelli. 
Oltre 90 appuntamenti disseminati in 20 location (teatri, centri culturali, librerie, luoghi pubblici, parchi e scuole) su economia, impresa, diritti, inclusione sociale, migrazione, attivismo digitale, lavoro, satira, comunicazione, politica estera, scienza, arte, giornalismo, rigenerazione urbana, editoria, food, education, cambiamenti climatici, sostenibilità, odio on line, bullismo, bibliopatologia, moda e molto altro.
Il Festival accoglierà, inoltre, il Climathon, organizzato da Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici e Comune di Lecce, Omofobi del mio stivale, una manifestazione contro l’omofobia e per i diritti civili, Cinema sul Futuro, in collaborazione con Cineclub Universitario, Fondazione Apulia Film Commission e Corso di Laurea DAMS dell’Università del Salento, una serie di incontri dedicati al mondo dell’impresa al Sellalab, l’Officina dei bambini e delle bambine a cura diBoboto, un’intera sezione riservata all’Enogastronomia del futuro, una presentazione della Maker Faire di Roma, un omaggio a Pino Daniele e un dj set di Max Casacci.
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Giovedì 26 ottobre alle 17,30, dopo una breve introduzione, il Festival prenderà il via al Teatro Paisiello con “La verità vi prego sui migranti: il muro sul mediterraneo” con Marco Bertotto (Medici senza frontiere), Marta Serafini (Corriere della Sera), Marina Petrillo (Open Migration), Chris Richmond Nzi (Mygrants), Giacomo Zandonini (Giornalista FreeLance) e Antonio Iovane (Radio Capital). Di fronte a un’Europa inerte, il governo italiano firma un patto con la Guardia costiera libica e il numero di migranti sbarcati in Italia crolla. Ma a quale prezzo? E quali sono le altre rotte battute dai migranti per raggiungere il Continente? A seguire, l’incredibile storia del ballerino siriano palestinese Ahmad Joudeh. La sua voglia di danzare e il suo sogno di diventare un professionista sono stati più forti di tutto, soprattutto delle minacce dei terroristi dell’Isis. Dietro la nuca ha un tatuaggio con la scritta “Dance or die”. Dal 2016, vive, studia e lavora al Dutch National Ballet di Amsterdam. Nel 2017 è riuscito a coronare il suo sogno: incontrare Roberto Bolle e ballare con lui. Dalle 20.30 un incontro ideato e moderato dalla giornalista de Il Fatto Quotidiano Wanda Marra. Si discuterà delle Nuove frontiere del giornalismo. In questi anni si è passati rapidamente dalla carta ai blog, dagli opinionisti agli influencer, dai sondaggi ai sentiment, dall’ironia alle bufale. La prima serata si concluderà dalle 22 con Lirio Abbate e il suo spettacolo su “Carminati e il Caveau dei misteri d’Italia”. In mattinata nel parco della TraxRoad si terrà invece il workshop “Co-progettare soluzioni per lo spazio pubblico e la comunità: una nuova biblioteca sociale all’aperto“ a cura di Paolo Venturi (direttore AICCON), Francesca Battistoni e Guglielmo Apolloni (Social seed) con Antonella Agnoli (assessore alla Cultura del Comune di Lecce).
Grazie alla preziosa collaborazione con Amnesty International Italia e in particolare con Riccardo Noury e Tina Marinari, il festival accoglierà le testimonianze di Paola Deffendi e Claudio Regeni (genitori di Giulio, il ricercatore italiano ucciso a Il Cairo nel gennaio 2016 che saranno a Lecce dopo il collegamento dello scorso anno), Lucia e Rino Rocchelli (sorella e padre del fotografo Andy morto nel 2014 a Sloviansk in Ucraina), Ahmed Said (medico e attivista egiziano), Claudio Guarnieri(hacker, ricercatore di sicurezza informatica, artista, ed attivista per i diritti digitali).
Nei quattro giorni a Lecce ci saranno anche Ilaria Cucchi, il trapiantologo Daniele Antonio  Pinna, il presidente dell’Associazione Nazionale Magristrati Eugenio Albamonte, il designer Riccardo Falcinelli, l’art director Francesco Franchi, l’architetto Marco Rainò, l’attore e regista Daniele Gattano, l’attore e scrittore Fabio Canino, gli scrittori Enrico Remmert, Christian Raimo, Leonardo Colombati e Flavia Piccinni, il bibliopatologo Guido Vitiello, i giornalisti Giuseppe Giulietti, Lirio Abbate, Carlo Bonini, Marco Damilano, Antonio Sofi, Fabio Chiusi, Giampaolo Colletti, Giuliano Foschini, Tiziana Prezzo, Wanda Marra, Francesca Magni, Paul Rose, gli autori Stefano Andreoli (Spinoza) e Adelmo Monachese (Lercio), i registi Alessio Cremonini, Davide Barletti e Alessandro Valenti, il monaco di Plum Village Phap Ban, l’ingegnere elettronico e direttore tecnico di Macnil – Gruppo Zucchetti Mariarita Costanza, l’avvocato Alessandra Ballerini, il produttore discografico Claudio Poggi, il cantante Daniele Sanzone, l’esperto di resilienza e di politiche di adattamento ai cambiamenti climatici Piero Pelizzaro, lo street artist NemO’s, il medico e saggista Silvia Bencivelli, il direttore IIT – CNR e Registro.it Domenico Laforenza, il blogger Hamilton Santià, il vice presidente Italia StartUp Antonio Perdichizzi, il giurista e scrittore Giovanni Ziccardi, il sociologo Giovanni Boccia Artieri, i linguisti Massimo Arcangeli e Vera Gheno, la presidente Associazione italiana malattia di Alzheimer Patrizia Spadin, l’ideatore e direttore scientifico di Rural Hack Alex Giordano, il cuoco contadino Peppe Zullo, il food performer Nick Difino e il gastrofilosofo Donpasta solo per fare qualche nome. Preziosa la collaborazione con docenti e ricercatori dell’Università del Salento e con giornalisti e opinionisti di molte testate e blog pugliesi che modereranno e parteciperanno agli incontri.
«Il Festival è il frutto di un anno di studio, appunti, letture, contatti, suggestioni, scoperte. Dentro ci sono le varie anime del nostro gruppo di lavoro che è composto da molti professionisti, tanti amici sparsi in tutta Italia, ma soprattutto da una squadra di ragazzi e ragazze senza i quali non potremmo organizzare nulla», sottolinea Gabriella Morelli. Nelle prime quattro edizioni, Conversazioni sul futuro (sino al 2014 con il nome di Xoff) ha coinvolto oltre 500 relatori e ha ospitato (sino al 2016) anche la conferenza TedxLecce, che quest’anno, invece, non si terrà. La rassegna si trasforma dunque in Festival, cresce, si amplia e si sviluppa, proponendo sempre più appuntamenti e coinvolgendo sempre più luoghi e scuole della città. «Dopo le cinque edizioni di TedxLecce abbiamo pensato a un nuovo inizio. Quest’anno abbiamo deciso di continuare solo con “Conversazioni sul Futuro”, pensando e costruendo non più una rassegna “collaterale” ma un vero e proprio Festival» prosegue l’organizzatrice. «Negli oltre novanta incontri proveremo a interrogarci su quei temi che riguardano da vicino tutto quello che per noi è racchiuso nella parola futuro. Sono molto orgogliosa di poter ospitare, grazie alla preziosa collaborazione con Amnesty International e con l’avvocato Alessandra Ballerini, le famiglie di Giulio Regeni ed Andy Rocchelli. Le altre storie incredibili sono quelle del medico e attivista egiziano Ahmed Said e del danzatore siriano palestinese Ahmad Joudeh che ha sfidato anche l’Isis pur di ballare. Siamo molto grati al trapiantologo Daniele Antonio Pinna che ha accettato il nostro invito prima di lasciare l’Italia per andare a lavorare all’estero. E poi sono sorpresa dal grande affetto dei relatori che hanno accettato di partecipare al nostro festival proponendo temi, incontri, invitando altri ospiti e costruendo percorsi insieme a noi». Molto proficua la collaborazione con l’Università del Salento (che ospiterà anche i genitori di Giulio Regeni per un incontro con docenti, ricercatori, dottorandi e studenti) e con il Comune di Lecce. «Il Festival quest’anno sarà sempre più nella città, per la città, sulla città, con la città. Discuteremo di biblioteche, partecipazione e resilienza, impatto economico della cultura sul territorio, diritti di cittadinanza, erosione delle coste, agricoltura sostenibile e molto altro. Parteciperanno esperti, cittadini, giornalisti e amministratori pubblici. Proveremo a ragionare anche di soluzioni concrete», conclude Gabriella Morelli.
«Questo festival per me è un motivo di orgoglio, perché dà vita a una qualificata riflessione pubblica nella nostra città», ha sottolineato il sindaco di Lecce Carlo Salvemini durante la conferenza stampa di presentazione. «Inoltre si tratta di un festival organizzato senza chiedere un euro al Comune, che ha messo a disposizione solo alcuni luoghi dover poter svolgere alcune delle iniziative che coinvolgeranno anche spazi privati, scuole e aule universitarie. Un approccio diverso dal solito che traccia una linea verso un nuovo modo di organizzare le cose a Lecce, ponendosi l’obiettivo principale di dare qualcosa alla città in cui si vive e lavora. è molto interessante la mescolanza di temi, linguaggi, toni. Sono felice perché vedo lo sforzo enorme che gli organizzatori e volontari ci mettono. Un vero e proprio cantiere di energie. Un lavoro che credo abbia già fertilizzato il terreno in città e che sicuramente darà altri buoni frutti nei prossimi anni».
Conversazioni sul futuro è organizzato dall’Associazione Diffondere Idee di Valore con la direzione di Gabriella Morelli, in collaborazione con PazLab, Coolclub, Virulentia Film, Officine Cantelmo, ShotAlive, Boboto, Fablab Lecce, Sellalab, Zemove e Amnesty International – Italia  con il patrocinio di Comune di Lecce e Università del Salento e con il sostegno di Banca Popolare Pugliese e Meltin’Pot. Partner Libreria Liberrima, All’Ombra del Barocco, Vestas Hotels & Resorts, Palazzo Rollo, Spinelli Caffè, Maker Faire Roma, Registro. it, Cineclub Universitario, Apulia Film Commission, Cmcc, Rural Hack, Fondo Verri, Officine Culturali Ergot, Dajs, Città del Gusto – Lecce, Slow Food Lecce, FotoScuola Lecce, UpsideMedia, NonInLinea. Un ringraziamento ai produttori di vino Cantele, Candido, Claudio Quarta Vignaiolo, Hiso Telaray – Libera Terra di Puglia, Cantine San Donaci ai birrifici Old476, Malatesta, B94, ai ristoranti La Succursale, Tabisca, La Scarpetta, Il Bacaro, all’Hotel Santa Chiara e ai b&b Fanfulla, Casa dei Mercanti, White Suite, Le due musce, Le campanelle di Isabella, Volevo, Giardino delle Margherite, Palazzo Belli
GLI APPUNTAMENTI SONO TUTTI A INGRESSO LIBERO E GRATUITO MA SOPRATTUTTO INIZIERANNO PUNTUALI. Info e contatti www.conversazionisulfuturo.it
  Al via a Lecce il Festival Conversazioni sul Futuro Da oggi, giovedì 26 e fino a domenica 29 ottobre, circa 200 relatori tra giornalisti, imprenditori, attivisti, blogger, ricercatori, musicisti, docenti universitari, scrittori, amministratori pubblici, scienziati, artisti, registi, hacker, maker, esperti, giuristi, economisti, architetti, paesaggisti, linguisti, social media manager, designer, innovatori racconteranno le proprie storie durante la quinta edizione del festival “Conversazioni sul futuro”, diretta da Gabriella Morelli. 
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pangeanews · 5 years ago
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Arthur Rimbaud, anima disperata, abbraccia la folle avventuriera Isabelle Eberhardt in Africa… Discorso su “Il tempo degli assassini” di Henry Miller
In questo tempo che tutti chiamano “sospeso”, dove non c’è tempo per la primavera né per le lacrime né per i defunti, spesso si fanno cose che di solito si rimandano, dicendo “un giorno o l’altro lo faccio”. Ecco, all’inizio di questa terribile pandemia quel giorno è arrivato, ma non credevo che sistemare la libreria di casa fosse una così lunga operazione. Dovevo essere in Africa per le mie solite missioni in un ospedale della Tanzania, e invece dal 9 marzo sono recluso in casa come altri 3 miliardi di persone nel mondo. Devo dire che sono “volati” i giorni e le settimane: da quasi due mesi sono alle prese con la libreria e non ho ancora finito. Infatti a ogni piè sospinto faccio una sosta, perché scorgo libri che avevo scordato anche di aver letto e con grande piacere mi soffermo su qualche volume in particolare, come “Il tempo degli assassini”, saggio su Arthur Rimbaud che ho riletto ora molto volentieri (del resto qualcuno ha detto che la Letteratura e i Classici vanno sempre riletti), scritto da Henry Miller per il centenario della nascita del poeta (1854) e pubblicato in Italia nel 1966 da Sugarco a cura di Giacomo Debenedetti, tra i maggiori interpreti della letteratura italiana del XX secolo. “Voici le temps des Assassins” (Ecco il tempo degli Assassini) è il rintocco che chiude Mattinata d’ebbrezza nelle Illuminazioni di Rimbaud, e da lì proviene il titolo, con una polivalenza di significati, della quale Rimbaud è solo in parte responsabile.
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A pagina 64 mi sono imbattuto in una cancellazione fatta da me a matita nel 1976, dieci anni dopo la pubblicazione, con delle notule da cui è scaturito il presente scritto, nel punto in cui si dice che Rimbaud fu una delle anime più disperate che abbiano mai percorso la terra. È vero che cedette per logoramento, ma non prima di aver battuto ogni via sbagliata… Ecco, avevo cancellato il termine sbagliata scrivendo a fianco “non è vero”. Non so che cosa intendessi allora con questa negazione così perentoria, certo è che la frase veniva lasciata monca ma non privata del senso più forte e cioè “non prima di aver battuto ogni via”. Tutto mi fa credere che Rimbaud avesse percorso ogni strada pur di arrivare al fondo delle cose e andando ben oltre il concetto di “via possibile”. L’accezione “sbagliata” significava per me forse attribuire a quelle vie il senso di non legittimamente percorribili e quindi non idonee all’esperienza del bene, ma c’era comunque qualcosa, come una musica lontana, distante una voce, quasi un tocco impercettibile che chiamava oltre la parola, oltre la realtà, almeno quella di pura percezione. E fin lì mi sono spinto attraverso i testi e l’esperienza della vita, imboccando a volte anche la parola “sbagliata” o l’esperienza illegittima. E ho capito che si può essere fuorilegge, ma non necessariamente diventare banditi, così come nel caso di Rimbaud il “veggente”, che divenne termine di paragone anche nell’esperienza successiva a quella letteraria, cioè a quella africana a me molto cara.
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Una lezione di vita e di poesia che sonda le diverse anime del sentire, sperimenta, scende negli abissi della letteratura e dell’esistenza: sia nel Le bateau ivre sia nelle Illuminazioni se ne ha ampia conferma. Una natura che in qualche modo mi era famigliare nel tempo della gioventù ma che rimane per sempre o forse lo è per tutti i giovani che identificano la loro ribellione, il loro disagio, la propria urgenza creativa nella parola poetica, scoprendo poi che nella vita “vera” si rimpiange molto quel tempo indimenticabile. Come per Miller, che non si è mai fatto mancare nulla in fatto di “stranezze”, Rimbaud è sempre stato anche per me una presenza adescante che si aggirava per casa coi suoi libri, ma io non l’avevo mai degnato d’uno sguardo, se non quello per la mirabolante scia luminosa delle numerose vite che aveva lasciato nelle menti di noi “poeti” in erba. Già pensavamo alla scrittura come a una colpa piuttosto che a un merito e anch’io ero convinto allora di essere indesiderato, di non servire per nulla alla società e al mondo. Avevo una fretta di esistere intrusiva e a volte insopportabile. Allora presi la laurea in Medicina, andai a bottega in varie parti del mondo e finii in Africa, tornando in Italia vivo e risanato. Esattamente dieci anni dopo aver letto quel libro che per primo mi aveva parlato di Rimbaud in Africa (si legga Carlo Zaghi, Guida editori 1993). Da lì il mio grande interesse per il suo daimon, che mi ha sempre seguito nei vagabondaggi ormai più che trentennali in Africa.  E in Etiopia, a Shashamane, sepolto in una cella francescana a fare il medico missionario, ho letto un libro su Isabelle Eberhardt, e dai suoi testi ritrovati e salvati da un capitano francese dal fango della sua casa è emersa una storia davvero incredibile. Vi chiederete che cosa c’entra questo con il saggio Il tempo degli assassini di Henry Miller (potete trovarlo anche nelle raffinatissime edizioni SE). Aspettate e vedrete.
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Isabelle è stata un’esploratrice e scrittrice svizzera di origini russe, figlia di una nobildonna di San Pietroburgo vedova di un alto ufficiale dello zar, Pavel Karlovitch de Moerder, e di padre ignoto. Una vita davvero romanzesca quella di Isabelle Eberhardt, sul crinale tra XIX e XX secolo. Una vita breve, eppure gremita di audaci esperienze: la parabola di una giovane donna nata a Ginevra, madre certa, padre incerto, scrittrice e giornalista irrequieta, innamorata del Maghreb e della cultura islamica, che attraversa il Nord Africa travestita da cavaliere arabo (con lo pseudonimo di Mahmoud Saadi) per potersi addentrare in territori inaccessibili, interdetti a visitatrici europee. S’innamora dell’ufficiale arabo Slimène Ehnni e con lui si unisce a una confraternita sufi, vivendo in povertà. Nomade tra i nomadi, Isabelle fa del deserto la sua casa. Espulsa dal Paese, ripara a Marsiglia, sposa Slimène e come cittadina francese ritorna in Algeria. Si stabilisce ai margini del deserto e, pur essendo sposata, non smette di indossare abiti maschili e di condurre tormentati vagabondaggi tra i nomadi; beve alcool con i legionari, fuma hashish e va a letto con chi le piace. A venticinque anni soffre di malaria, forse anche di sifilide, ma resta una donna fiera, lucida e dall’intensa vita spirituale. Amica di sceicchi e di sapienti sufi, ma anche di ufficiali dell’esercito coloniale francese, sospettata di spionaggio da una parte e dall’altra, Isabelle abbraccia la fede musulmana e vive emozionanti avventure tra esplorazioni, immersioni nelle comunità locali, scontri con i ribelli, infuocate vicende amorose. Fino a una morte assurda, a soli ventisette anni, nel 1904, vittima di un’improvvisa inondazione in Algeria, ad Aïn-Sefra: annegata per l’esondazione di un piccolo el oued, incredibilmente in pieno deserto del Sahara. Sotto la melma del fiume il capitano francese, di cui dicevo sopra, salvò i suoi scritti.
Qualche fantasista della biografia, una svizzera francese molto vicina alle Ardenne, ha indicato la madre della Eberhardt come l’ultimo amore di Rimbaud, la madre, che, amica del poeta francese, pare l’abbia spedita in Africa a cercare un’altra vita e a fare esperienza. E magari a cercare il suo vero padre, Arthur… Ma in quel concetto di “esperienza” che mi è molto caro, le lettere di Rimbaud che vennero da lontano, cioè dall’Abissinia di allora e indirizzate alla propria madre e alla sorella, trovavano quel senso profondo dal fatto di frequentare ogni via. In alcune note biografiche che si somigliano sia in Rimbaud che in Miller, e a questo punto anche nella Eberhardt, rinvengo la stessa fame di avventura e insaziabile curiosità nei desideri senza limiti, con lo stesso coraggio, la stessa tenacia e una sorta di autoflagellazione che portò il poeta “maledetto” a non scrivere più nulla e a rifugiarsi nell’ascetismo e, paradossalmente, nell’esperienza della vita. In situazioni a volte tragiche e pericolose come quelle del contrabbando di schiavi e della vendita d’armi. Con Miller una differenza: mentre per il poeta francese la letteratura venne prima della vita e dell’esperienza, per Miller fu esattamente il contrario, cioè prima visse e fece esperienza della vita, poi si dedicò alla letteratura. Infatti pubblicò il suo primo libro all’età di quarantatré anni, mentre Rimbaud a venti aveva già scritto tutto, eccetto quanto contenuto nel famoso baule nero venduto chissà dove nella folle corsa attraverso le piste polverose d’Africa, per raggiungere l’ospedale di Parigi. Purtroppo non abbiamo nessun documento del linguaggio delirante a cui si abbandonava sul letto dell’ospedale.
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C’è un’altra possibilità per vivere la letteratura: scriverla mentre la si vive. Rimbaud questo non lo fa. Forse nelle carte irrimediabilmente perdute si poteva trovare qualcosa della sua esperienza africana, della quale non restano che testimonianze rare o sbiadite fotografie pagate oggi a peso d’oro. Ah, se Rimbaud lo sapesse! Oggi non avrebbe più la pena di quei 40.000 franchi che doveva accumulare per vivere felice, viaggiando per le sue tormentate vie della Terra. Ma questo è solo pia illusione, perché i franchi diventeranno 50.000 e così via. E allora che cos’è che a un tipo simile rende tanto difficile accettare il mondo così com’è? Certo, se avesse saputo che una copia autografa di Saison en Enfer sarebbe stata battuta all’asta per più di un milione di euro dei giorni nostri…ma così è.
Per quanto nel saggio Miller definisca il poeta il “suicida vivente” e per quanto sia stata studiata in lungo e in largo, la vita di Arthur Rimbaud rimane un mistero esattamente come il suo genio. Immolarsi in un’esistenza piena di insidie e tormenti al punto da rendere irriconoscibile, lui, opera splendida del creato, che fanciullezza sublime, miracolosa pubertà… spirito beffardo e motteggiatore impassibile, come ebbe a definirlo Paul Verlaine, sono gli eponimi di un genio di rara sapienza. Infatti la sua attività creatrice si può liquidare in pochi anni, cioè tra il 1869 e il 1873, quando un anonimo editore di Bruxelles dell’Alliance typographique (M. J. Poot et Compagnie) in Rue aux Choux pubblicò l’opera poi marchiata come di poeta maudit, maledetto, cioè Una stagione all’inferno, del cui lancio l’autore se ne infischiò bellamente, perché aveva altro da fare.
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Una scrittura poetica potente e ironica, dono alto e supremo alla storia della poesia universale, magnifica testimonianza dell’Intelligenza, prova fiera e francese… affermazione incontestabile di questo immortale regno dello Spirito, dell’Anima e del cuore umano: la Grazia e la Forza… sempre secondo le affermazioni di Paul Verlaine. La mia giornata è fatta. Lascio l’Europa. L’aria marina brucerà i miei polmoni, i climi perduti mi conceranno. Così scriveva quasi come un commiato sulla sua Saison en enfer, dove l’uomo Rimbaud smette i panni del poeta, per indossare quelli dell’uomo “libero”, dell’avventuriero in Africa, del mercante di schiavi e di fucili, dell’uomo che ha scelto di vivere non soggetto alle pastoie legittime della burocrazia francese, libero da tutto, ma non da se stesso. E uno si salva se abdica a questo, ma è illusoria libertà, perché la libertà è una prerogativa per l’io rinnegato, senza costrizioni. E questa non è libertà, perché uno che vive una vita così come lui l’ha vissuta non può esaurire tutte le aspettative richieste, scrive Henry Miller, scrittore inquieto e anche lui “maledetto” e geniale. È una speciale condizione che procura il diritto di sollevare obiezioni, di tirarsi in disparte se necessario, perché non tiene conto delle differenze degli altri ma solo delle proprie. Non lo aiuterà questo né la sua poesia gli farà trovare un legame stabile e una comunione con tutto il genere umano. Si rimane separati per sempre, isolati per sempre. La madre austera e severa, il padre fuggitivo e inesistente avranno un ruolo centrale nella sofferenza di tutta la vita di Arthur Rimbaud, non solo perché i genitori, e l’epoca del resto, pretendevano che egli soffrisse, ma egli soffrirà perché è tutto lo spirito dell’uomo a trovarsi in difficoltà, e soffrirà come può patire un seme destinato a cadere su un terreno sterile. Era nato seme e rimase seme per sempre.
Il corpo che cede nell’ultimo atto di vita, allorché non è che un moncone immobile, come lo chiama, non è cosa di cui sbarazzarsi con un ghigno scettico.
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Rimbaud era l’incarnazione del ribelle. Occorrevano tutte le varietà di degradazione e di umiliazione conosciute, serviva ogni tipo di strappo per spezzare la volontà caparbia ch’era la pervietà delle sue misteriose sorgenti. Egli fu perverso, è vero, intrattabile, ferreo e duro fino all’ultimissimo momento, quando non c’era più speranza, ma il maledetto si fa prima veggente e poi credente. E si racconta che il prete che somministrò a Rimbaud l’estrema unzione pare abbia detto a Isabella, la sorella: “Vostro fratello ha la fede, figliola mia, anzi io non ho mai visto una fede così grande”. Ed Henry Miller aggiunge che ci si trovava davanti a una fede delle anime più disperate che abbiano mai avuto sete di vita. E se mi permettete un’azione di rimando, vi dirò che ho visto molte analogie con la vita di Cristo e il suo Calvario. E nessuna diversità fra Isabelle Eberhardt e Rimbaud, soprattutto se confrontiamo le loro esperienze tra Harar e l’Ogaden, dove forse, ci piace pensarlo, i due si erano incontrati e magari abbracciati da qualche parte in quelle pietrose solitudini del deserto. E solo per misurare non tanto una parentela di sangue, ma un anelito straordinario, questo sì, nella ricerca della libertà più assoluta. Se riflettete un attimo, vi accorgerete che le due vite (ma anche quella di Miller) per forma e contenuto coincidono con la rivoluzione che fecero nel loro contesto sociale.
Rimbaud fu il nome e la sfera del sovvertimento non solo del linguaggio poetico ma di un nuovo pensiero di etica e costume svincolato dai cliché morali dell’epoca. Esattamente come nel caso dell’inquieta scrittrice russa, anche se con finalità ovviamente diverse ma non contrarie. Arthur Rimbaud era ricco di spirito e anche i suoi avversari, angeli del “male”, lo reclamano, quando si accorgono che la sua poesia è una quanto mai dotta rivelazione divina. Ma attenzione! Bisogna considerare l’affermazione non con il piglio ecclesiastico o teologico, bensì con quell’afflato che innalza il pensiero contro le pastoie fabbricate dall’uomo su misticismo e religione, che lo solleva sopra le leggi, i codici, le convenzioni, le superstizioni umane, elevando un canto supremo e degno dell’universo che è quello della Parola, la stessa che l’Onnipotente usò per trasformare in carne il verbo. Fu custode del sangue più segreto, asciugò le lacrime agli angeli del bene e del male, consegnando alla storia un tesoro che nessun poeta ebbe mai a donarci negli ultimi secoli, perché i segni e i simboli adoperati sono una delle prove più certe che il linguaggio è un mezzo per mettersi in rapporto con l’ineffabile e l’imperscrutabile. E non appena i simboli diventano comunicabili a tutti i livelli perdono la loro portata ed efficacia.
Ha ragione Miller quando sostiene che chiedere al poeta che parli il linguaggio dell’uomo della strada è come pretendere che un profeta chiarisca le sue predizioni.
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Pensate per esempio quanto “veggenti” furono le sue parole, quando Rimbaud si scaraventò contro l’amico Delahaye che sosteneva l’indubitabile superiorità dei conquistatori germanici: “Idioti! Dietro le stridule trombe e i melensi tamburi torneranno al loro paese a mangiar salsicce… Gli toccherà di trangugiare tutte le porcate della gloria. Vedo già la amministrazione di ferro e di pazzia che incasermerà la società tedesca…”. Pensate con quale precisione annunciò prima l’armamento dei tedeschi e poi l’avvento del nazismo e la sua sconfitta. Tenebre e luce sono il suo credo, al punto da essere conteso, con pari diritto, da ambo le parti. Questa è la sua gloria, ripeto…Quello che si mise sotto i piedi fu il mondo della morte vivente, il falso mondo della cultura e della civiltà. Spogliò lo spirito di tutti i vani ornamenti che sostengono l’uomo moderno.  Il faut être absolument moderne! La battaglia spirituale è violenta quanto la battaglia degli uomini, ma la visione della giustizia è il piacere esclusivo di Dio. Dice Miller aggiungendo, è implicito che la nostra è una falsa modernità, la nostra è una battaglia non aspra o eroica come quella che combatterono i santi perché loro erano gagliardi e gli eremiti artisti, oramai fuori moda, purtroppo. Solo un uomo che sapeva valutare la disciplina, quella che si sforza di elevare la vita all’altezza dell’arte, poteva esaltare in tal modo i santi.
E non c’è modernità più di questa vera profezia, se la riferiamo a oggi, dove il tutto celebra la propria omologazione senza più mistero e dove le cassandre si sono rese verità esiziali contro le quali il potere, in mano ai soliti idioti, si fa luogo e misura della distruzione di clima e ambiente. E dove la poesia è ancora relegata al suo “rigor mortis”, ma non ha ancora esalato il suo ultimo respiro. Solo un virus, il COVID19, che senza eserciti e più piccolo migliaia di volte di un millimetro ha paralizzato il mondo antropocentrico, ci ha fatto profondamente riflettere su quali sono le “vie” e quali le “vie sbagliate”. E Rimbaud, quasi a confermare il suo genio, si rivela veggente assoluto, l’Absolument è il nostro respiro. I poeti, come fratelli, uniscano il loro, per intonare un grido alto nell’universo e nella storia, la nostra, prima che diventi la bara di tutte le creature. Absolument moderne, assolutamente moderno, importante che sia con la poesia, quella vera. Ecco quello che lui, come me, ha trovato in Africa, e da quelle parti, su quelle strade polverose, alita il suo spirito.
Dino Azzalin
(febbraio 1976-aprile 2020)
*In copertina: Arthur Rimbaud ad Harar, nel 1883
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emanueletrementozzi · 5 years ago
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Manita Sangiustese, trionfo rossoblu all’esordio civitanovese
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Manita Sangiustese, trionfo rossoblu all’esordio civitanovese
Di Emanuele Trementozzi
L’esordio è storico e da prima pagina per la Sangiustese a Civitanova. Al Polisportivo, infatti, nella prima casalinga ufficiale di campionato, la banda di mister Senigagliesi stravince contro l’Avezzano, mettendo a segno cinque reti e permettendosi anche il lutto di sbagliare un calcio di rigore. Il sole civitanovese illumina la strada del club rossoblu che, dopo i notori fatti estivi, fa il suo esordio al Polisportivo e porta a casa i tre punti con slancio e determinazione.
Dopo appena 55 secondi Pezzotti, in assoluto il migliore in campo, raccoglie un lancio dalle retrovie e, in area, aggancia al volo e conclude di sinistro mancando di poco la porta. Al 15esimo ci prova dalla lunga distanza Scognamiglio, Fanti risponde in volo. E’ monologo Sangiustese: al 21esimo Palladini si libera con un tunnel dell’avversario e calcia da fuori area, ancora Fanti si distende in corner. Pezzotti, cinuqe minuti più tardi, scarica per Perfetti che non trova la porta. L’Avezzano sembra capitolare da un momento all’altro ma, al 29esimo, la sorpresa: pallone respinto male dalla difesa rossoblu, Franchi rincorre la sfera sull’esterno e viene atterrato da Chiodini: calcio di rigore. Dal dischetto Gaeta non sbaglia e porta avanti gli abruzzesi. Ma l’illusione dura appena due minuti: Mingiano calcia da lontano, il portiere ospite devia in angolo. Dalla bandierina, Pezzotti, trova il gol olimpico e riporta la gara in parità. Passano appena 120 secondi e la Sangiustese raddoppia: Pezzotti mette al centro dal fondo, tocco di mano del difensore e penalty locale: Mingiano angola, Franchi devia leggermente ma la palla si spegne in fondo al sacco. Quindi, al 41esimo, la banda trova il tris: Pezzotti rientra da destra e calcia a giro sul secondo palo, Franchi tocca ma non respinge, Mingiano non arriva al tap-in ma Niane, appostato in area, calcia a porta vuota e insacca. La Sangiustese non si ferma e al 45esimo sfora il poker con Mingiano che, sul secondo palo, arriva all’ultimo su un cross di Niane e mette sul fondo. Si va così al riposo sul tre a uno. Al rientro in campo la musica non cambia: Pezzotti si invola in area dalla sinistra, diagonale che sfiora il palo. Al minuto 59 ancora penalty per la Sangiustese: grande aggancio di Boschetto sulla destra, ingresso in area e cross deviato di braccio dal difensore. Stavolta, però, dal dischetto Mingiano si fa ipnotizzare da Franchi e si resta sul tre a uno. Ma al 21esimo il poker è servito: Pezzotti taglia tutto il campo e serve Boschetto che, dal fondo, mette in mezzo per Niane che arriva a rimorchio e deposita in rete la quarta marcatura rossoblu. C’è ancora tempo, però, al 35esimo per assistere alla manita: Palladini serve in profondità Mingiano che, dalla sinistra, trova il diagonale vincente per il 5 a 1 finale.
SANGIUSTESE – AVEZZANO 5-1
SANGIUSTESE (4-2-3-1): Chiodini, Zannini (41’ st Ercoli), Orazzo (29’ st Basconi), Perfetti, Mengoni, Scognamiglio, Pezzotti, Palladini, Mingiano (36’ st Patrizi), Niane (45’ st Doci), Boschetti (32’ st Manari). A disposizione: Raccio, Guzzini, Romano, Soprano. Allenatore: Stefano Senigagliesi. AVEZZANO (4-3-3):Fanti, Ranalli, Siragusa, Traditi, Brunetti, Di Gianfelice, Franchi, De Angelis (12’ st De Costanzo), Gaeta, Quatrana (19’ st Sicari), Di Giacomo (16’ st Di Renzo). A disposizione: Alonso, Kras, Puglielli, Pili, Selle. Allenatore: Antonio Mecomonaco. ARBITRO:Sig. Marco Di Loreto della sezione di Terni. ASSISTENTI:Sig.ri Marco Di Bartolomeo della sezione di Campobasso e Paolo Cozzuto della sezione di Formia. RETI:30’ pt Gaeta (rig), 33’ pt Pezzotti, 36’ pt (rig) e 35’ st Mingiano , 42’ pt e 22’ st Niane. NOTE:corner 8-5; ammoniti Fanti e Brunetti; spettatori 300 circa con rappresentanza ospite; recupero 1’+4’.
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