#Gennaro Monti
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Napoli Est, sport sociale e rigenerazione con SCINN
Sport gratuiti, rigenerazione sociale e riqualificazione di diversi spazi. A Napoli chiude SCINN, Sport Comunità Integrazione Nuove Narrazioni, progetto promosso da una rete di associazioni, scuole e altre realtà con capofila la onlus NEA Napoli Europa Africa e sostenuto dalla Fondazione CON IL SUD. In tre anni coinvolti circa mille bambini, adolescenti e adulti in diverse discipline, laboratori, workshop e altre esperienze gratuite. SCINN: l'obiettivo del progetto L’intento di coinvolgere persone di ogni età e sollecitarle a rivivere momenti di socialità dopo i mesi più cupi della pandemia è pienamente raggiunto grazie allo sforzo della rete che vede insieme Nuova Polisportiva Ponticelli, Maestri di Strada, Arci Movie Napoli, Partenope Rugby, Aste&Nodi, UISP Napoli e TerradiConfine. SCINN ha operato per includere persone con diverse forme di disabilità attraverso i corsi di sitting volley e il football integrato e ha agevolato l’accesso all’attività fisica a numerosi giovanissimi di famiglie dei quartieri Barra, Ponticelli e San Giovanni a Teduccio che vivono situazioni di forte fragilità economica e sociale. In ottica di integrazione e nel solco del lavoro contro discriminazioni e razzismo protagonisti i giovani della comunità Rom e di famiglie straniere presenti sul territorio. «Giunge al termine l’esperienza di SCINN. In questi tre anni, grazie a Fondazione CON IL SUD, la NEA e diverse realtà del terzo settore e del mondo scolastico hanno realizzato un ricco programma sportivo completamente gratuito per bambini, giovani e adulti di Napoli Est e hanno restituito alla collettività una palestra abbandonata di Ponticelli, oggi cuore pulsante di sport sociale», evidenzia Annarita Cardarelli dell’associazione NEA Napoli Europa Africa, referente del progetto, che insiste: «L’esperienza di SCINN ha arricchito tanti, associazioni e scuole, istituzioni e cittadinanza ricordando a tutti che lo sport è un efficace veicolo di pace, legalità e inclusione specie in un territorio dove delinquenza, conflitto sociale e abbandono scolastico sono ancora, purtroppo, all’ordine del giorno». Incontri Sfide o obiettivi raggiunti sono stati raccontati nell’evento finale del percorso dal titolo “SCINN A fine do’ munno” che ha visto protagonisti gli alunni e i docenti degli istituti comprensivi Marino Santa Rosa, Russo Solimena, Toti Borsi Giurleo, Porchiano Bordiga, De Filippo, Aldo Moro e Sarria Monti. Essi sono stati coinvolti nei laboratori di educazione alimentare e sensibilizzazione al benessere psicofisico così da provare a contrastare il fenomeno dell’obesità infantile che è purtroppo in continua crescita. All’evento ha preso parte Emmanuele Marigliano, atleta della Federazione Italiana Nuoto Paralimpico, che ai Mondiali di Manchester 2023 ha ottenuto due bronzi nei 150 metri misti sm3 e nei 50 metri rana sb2 e, di recente, nei Campionati europei di Madeira 2024, ha strappato l’argento nei 50 metri rana sb2. Una storia di forte caparbietà che, attraverso lo sport, ha regalato sogni ed entusiasmo dimostrando che la disabilità non può e non deve essere un ostacolo. Testimonial anche Alessandro Velotto, nato e formatosi a Napoli Orientale, campione di pallanuoto, due volte ai Giochi Olimpici, difensore della nazionale Settebello e attuale giocatore nel Circolo di Marsiglia: l’atleta ha parlato ai tanti protagonisti di SCINN attraverso un caloroso videomessaggio. All’evento hanno preso parte gli assessori comunali Luca Fella Trapanese e Maura Striano e il presidente della VI Municipalità Sandro Fucito insieme agli assessori Gennaro Cavallaro e Antonio Di Costanzo. Sport e condivisione «Voglio rivolgere i miei più sentiti ringraziamenti alle realtà associazionistiche, agli istituti scolastici e a tutte le persone che hanno reso possibile la realizzazione del progetto SCINN restituendo alla comunità della periferia Est di Napoli uno spazio gratuito di legalità, educazione, formazione, sport e condivisione esclusivo per i nostri ragazzi», afferma Emanuela Ferrante, assessore allo sport e alle pari opportunità del Comune di Napoli, che aggiunge: «Iniziative di rilievo come queste, che dimostrano il valore sociale che il Comune di Napoli riconosce nello sport, si inseriscono, impreziosendola, nella più ampia cornice di promozione dello sport e dei suoi principi rappresentata dal prestigioso titolo di “Capitale Europea dello Sport 2026”, recentemente conseguito dalla nostra Città». «Oggi si chiude un percorso importante ma non si conclude affatto l'impegno di tutti i soggetti, istituzionali e non, che proprio grazie al progetto SCINN hanno posto le basi per una collaborazione strutturata che ha visto coinvolti in maniera attiva gli stessi attori del territorio, a partire dalle scuole e dalle famiglie che ne sono stati i protagonisti, diventando il motore del cambiamento», evidenzia Luca Fella Trapanese, assessore alle politiche sociali del Comune di Napoli, che aggiunge: «Centrale il ruolo dello sport come collante e motivatore per i giovani, che nel caso dei ragazzi con disabilità può costituire un'occasione preziosa di socializzazione e inclusione. Grazie quindi alla N:EA, con cui collaboriamo in molti progetti, a Fondazione con il SUD, a tutti coloro che hanno contribuito e continueranno a lavorare per questo quartiere così fragile ma così vivo e coraggioso». Una giornata di sport ed inclusione «Progetti come questo sono importanti per le scuole dei nostri territori soprattutto per territori particolarmente fragili perché consentono di creare delle opportunità per i bambini che normalmente non le vivono e poi di integrare all'interno del curriculum scolastico l'attività sportiva che è un momento importante per la crescita dei bambini. Ben vengano questi progetti, ben vengano le associazioni che entrano nelle scuole e ben venga la sinergia tra gli enti locali e il terzo settore», così Maura Striano, assessore all’istruzione e alle famiglie del Comune di Napoli. La giornata è proseguita con il torneo di calcio sociale presso il campetto "Ciro Colonna" che ha visto insieme le squadre della UISP Campania che sono scese in campo per giocare con i giovani dei corsi di calcio rionale e calcio integrato appena conclusi attraverso SCINN. Sono numerose le energie costruite e potenziate grazie allo sforzo corale di operatori, educatori, psicologi, volontari delle associazioni, docenti, presidi, alunni, allenatori, genitori e dei tanti che hanno fatto parte di una grande squadra che ha contribuito a far emergere bellezza e positività in un territorio molto spesso maltrattato e ancora da rivitalizzare. Foto concesse da Fondazione con il SUD Read the full article
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Five steps of Wikipedia for Saturday, 9th December 2023
Welcome, dobrodošli, ողջու՜յն (voġčuyn), välkommen 🤗 Five steps of Wikipedia from "Gennaro Giametta" to ""900", Cahiers d'Italie et d'Europe". 🪜👣
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Start page 👣🏁: Gennaro Giametta "Gennaro Giametta (Frattamaggiore, 4 August 1867 - 8 February 1938) was an Italian painter. He worked under Pasquale Pontecorvo and Arnaldo De Lisio. He eventually moved to Buenos Aires in Argentina to work for many years. He then returned to Italy and entered politics...."
Step 1️⃣ 👣: Frattamaggiore "Frattamaggiore (locally also known as Fratta) is a comune in the Metropolitan City of Naples, Campania, Italy. It is located 15 km (9.3 mi) north of Naples and 15 km (9.3 mi) southwest of Caserta. It was awarded the title of "City of art" in 2008 and named Benedictine city in 1997. It is located in..."
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Image by Umberto Basilica at Italian Wikipedia
Step 2️⃣ 👣: Anacapri "Anacapri (Italian: [anaˈkaːpri]) is a comune on the island of Capri, in the Metropolitan City of Naples, Italy. Anacapri is located higher on the island than Capri (about 150 m (490 ft) higher on average)—the Ancient Greek prefix ana- meaning "up" or "above". Administratively, it maintains a..."
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Step 3️⃣ 👣: Blue Grotto (Capri) "The Blue Grotto (Italian: Grotta Azzurra) is a sea cave on the coast of the island of Capri, southern Italy. Sunlight shining through an underwater cavity is reflected back upward through the seawater below the cavern, giving the water a blue glow that illuminates the cavern. The cave extends some..."
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Step 4️⃣ 👣: Alberto Moravia "Alberto Moravia (US: moh-RAH-vee-ə, -RAY-, Italian: [alˈbɛrto moˈraːvja]; born Alberto Pincherle Italian: [ˈpiŋkerle]; 28 November 1907 – 26 September 1990) was an Italian novelist and journalist. His novels explored matters of modern sexuality, social alienation and existentialism. Moravia is..."
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Step 5️⃣ 👣: "900", Cahiers d'Italie et d'Europe ""900", Cahiers d'Italie et d'Europe was an Italian magazine published for the first time in November 1926, directed by Massimo Bontempelli with Curzio Malaparte as co-director. Beginning as an internationalist publication, after some numbers it dramatically changed its editorial line, rallying to..."
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a cura di Andrea Lombardi e Miriam Pastorino
PROFETI INASCOLTATI DEL ‘900
Disegni di Dionisio di Francescantonio
Progetto editoriale di Andrea Lombardi
Prefazione di Vittorio Sgarbi
La rassegna “Profeti inascoltati del Novecento” collega pensatori liberi ed eretici, conservatori di valori e non di costumi, e di integrità morale che costituisce l’unica forma possibile di pensiero, a un disegnatore che ne ha eseguito il volto, le ansie e le riflessioni, e ad altri scrittori che ne hanno interpretato lo spirito.
Da Jünger a Conrad, da Pound a Borges, da Ennio Flaiano a Cristina Campo, da Bernanos ad Albert Camus. Un Olimpo siffatto, e spesso con gli stessi protagonisti, aveva illustrato, impavido, Tullio Pericoli. Oggi tocca a Dionisio di Francescantonio con il disegno e ad altri, come Stenio Solinas, con le parole. L’arte pretende quella libertà di espressione che personaggi scomodi come Louis-Ferdinand Céline, Hannah Arendt, Filippo Tommaso Marinetti, il cardinale Giuseppe Siri, hanno coraggiosamente e diversamente testimoniato, anche divisi dalle violentissime vicende storiche del Novecento. Non posso che guardare con favore, quindi, i ritratti – accompagnati dagli approfondimenti di apprezzati pensatori e amici come Pietrangelo Buttafuoco, Gianfranco de Turris, Luigi Iannone e altri – di Dionisio di Francescantonio, così vivi ed espressivi, lucenti nel buio di un’epoca senza maestri.
Dalla prefazione di Vittorio Sgarbi
Sessantasei personalità fuori dagli schemi della cultura e dell’arte illustrate dai disegni di Dionisio di Francescantonio e dagli scritti di Eraldo Affinati, Roberto Alfatti Appetiti, Gianfranco Andorno, Giorgio Ballario, Simonetta Bartolini, Davide Brullo, Piero Buscaroli, Pietrangelo Buttafuoco, Antonio Caronia, Alfredo Cattabiani, Riccardo De Benedetti, Alain de Benoist, Gianfranco de Turris, Dionisio di Francescantonio, Rachele Ferrario, Fabrizio Fratus, Luca Gallesi, Alessandro Gnocchi, Luigi Iannone, Andrea Lombardi, Gennaro Malgieri, Gian Ruggero Manzoni, Valerio Alberto Menga, Adriano Monti Buzzetti Colella, Miriam Pastorino, Guido Pautasso, Roberto Pecchioli, Alex Pietrogiacomi, Elena Pontiggia, Marco Respinti, Emanuele Ricucci, Gianni Rondolino, Alberto Rosselli, Andrea Scarabelli, Adriano Scianca, Gian Paolo Serino, Giovanni Sessa, Vittorio Sgarbi, Luca Siniscalco, Stenio Solinas, Armando Torno, Manlio Triggiani, Gianluca Veneziani e Rodolfo Vivaldi.
Brossura, 19x26, stampato su carta avoriata, 230 pagg. ill. in b/n fotografico e colori, Euro 29,00.
Un libro della collana OFF TOPIC di ITALIA Storica, Genova 2022.
ISBN 978-88-31430-22-7
https://www.amazon.it/inascoltati-Sessantasei-Francescantonio-approfondimenti-intellettuali/dp/883143022X/
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Spazio G43: iNGaBBiaTi CoN L'aRTe Mostra collettiva di Arte Contemporanea A cura di Enzo Correnti Inaugurazione 18 Aprile 2020 Spazio G43 - Via Garella,43 Prato Omaggio a Luca De Silva Dalla Collezione CORRENTI – RIPARI Grafica di _guroga ELENCO DEI PARTECIPANTI _guroga, Alessandro Giannetti, Alessandro Pucci, Alessandra Gereschi, Alfonso Caccavale, Antonella Sassanelli, Antonio Conte, Antonio De Rose, Antonio La Gamba, Associazione Culturale Art-Art Impruneta (Firenze), Articolo 31 (Titti Gaeta), Barbara Fluvi, Beatrice Capozza, Brigata Topolino, Barbara Neri, Bruno Cassaglia, Carla Colombo, Claudia Conte, BAU Contenitore di Cultura Contemporanea n° 09 (2012) e n°14 (2017), Claudia Garrocini, Claudio Romeo, Clemente Padin, Collettivo Dada Boom Viareggio (Laura Serafin, Mario Giannelli, Virginia Orrico, Giacome Verde, Alessandro Giannetti e Sara Bellandi), Dala (Dalila Lili Leonetti), Daniela Gentili, Daniela Leonetti, Daniela Mastromauro, Daniela Pisolato, Davide Cruciata, Domenico Severino, Enzo Correnti, Erica Romano, Eva Malacarne, Francesca Confessore, Francesco Alarico, Francesco Cornello, Fulgor C. Silvi, Glauco Di Sacco, Gennaro Ippolito, Horouna Sonare, I Santini Del Prete (Franco Santini e Del Prete Raimondo), Ignazio Fresu, Ilaria Pergolesi, Ina Ripari, Irene Giannetti, Ivette Berti, Ivy Junia Grace Wuethrich & Enzo Correnti, Jakob De Chirico, Laura Coniglione, Laura Balla, Laura Serafin, Lancillotto Bellini, Lars Schumacher, Lia Pecchioli, Luca De Silva, Luca Fani, Luca Serasini, Luce Fabbri, Lucia Longo, Lucia Spagnuolo, Luther Blissett, Leti Vanna, Maria Teresa Cazzaro, Mariano Bellarosa, Marta Brodowska, Mariano Lo Gerfo, Mauro Gazzara, Maurizio Follin, Mattia Crisci, Maya Lopez Muro, Meral Agàr, Mimmo Domenico Di Caterino, Monty Cantsib, Moreno Correnti, Morice Marcuse, Meral Agàr, Murat Onol, NaCosa Napoli (Valentina Guerra & Antonio Conte), Neo Reo, Nicola Bertoglio, Nina Todorovic & Enzo Correnti, Noemi Silvera, Patrizia Cerella, Progetto No Name (Sara KO Fontana & Dario Arrighi), Redazione SKEDA Metropolitana Prato 2014, Renata e Giovanni Strada, Rita Esposito, Risouke Cohen, Roberto Scala, Sabrina Danielli, Selene Correnti, Serse Luigetti, Simona Carletti, Simona Dipasquale, Simona Giglio, Skinaz (Mimicha Finazzi), Tania Passerino, Mail art Collettiva (VeitArt, Ina Ripari, Fabiola Barna, Cecilia Bossi e Mabi Col), Ubaldo Molesti, Vittore Baroni, Walter Correnti, Walter Pennacchi, Luca Granato, Laura Violeta Dima.Nella mia casa vicinissimo al Centro per l’Arte Contemporane L. Pecci a Prato, nella parte centrale dell’appartamento c’è un ingresso, dove ci sono ben 5 porte, è grande 210 cm x 180 cm, l’altezza è 260 cm. Chiuso in casa, per i noti motivi che tutti conosciamo, si può anche sopportare ma come artista sento il bisogno di fare qualcosa. Vi ricordo che da quando è iniziata questa quarantena da solo o con altri amici ho già organizzato tre eventi. Virtual Happening Boom “DADA SIEMPRE” a cura di Enzo Correnti ed Ivette Berti, in collaborazione con Officina Dada Boom e la collaborazione esterna e grafica di _guroga. In occasione dell’equinozio di Primavere ai tempi del Coronavirus Noi artisti REO-DADA abbiamo invitato gli artisti a compiere un’azione artistica, in cui il protagonista non sia il panico, ma al contrario il VIRUS sia l’ARTE. L’evento si è svolto dalle ore 09:00 alle ore 21:00 del 21 marzo 2020. https://www.facebook.com/events/686880731852745/ . Il secondo evento organizzato è stato: ENZO CORRENTI (l'uomo carta) Presenta “Noi DeL PRiMo aPRiLe (VIII edizione)” ZoNa RoSSa CoN-CoRoNa (eSSeRCi SeNZa eSSeRCi) Opere, installazioni, mail art e performance. Grafica della locandina di _guroga - Dalle ore 16:00 alle ore 20:00 - Prato, 01 Aprile 2020 MuSeo aLTeRNaTiVo DeL BiSeNZio (Pista ciclabile Gino Bartali, Riva dx , Mezzana, Prato). Dal 22 marzo 2020 inserendo foto di tutte le precedenti edizioni, le locandine dalla prima edizione risalente al 2008 e le successive edizioni e accompagnati da ironici post che spiegavano come arrivare al Museo Alternativo Bisenzio. Fino all’ANNULLAMENTO dell’evento avvenuto il 1 aprile 2020 https://www.facebook.com/events/209176410494925 e infine dal 6 /12 aprile 2020 Photo Virtual Happening MI MANCA… NON MI MANCA… A cura di Ivette Berti & Enzo Correnti - Grafica e collaborazione di _guroga Dopo giorni e giorni chiusi in casa senza potere uscire ci siamo chiesti: Cosa mi manca? Cosa non mi manca? Pubblicate le vostre foto scrivendo: MI MANCA… NON MI MANCA… https://www.facebook.com/events/585275775417404 …Cosi per continuare in questo mio impegno, per dimostrare che la reclusione non mi ha impedito di dedicare del tempo a quello che l’arte mi ha dato e mi da, ho deciso di fare una mostra di Arte Contemporanea in questo minuscolo spazio. Esponendo 260 opere di grande e piccole dimensioni di ben 111 artisti della Collezione Privata Correnti-Ripari. L’inaugurazione è prevista per giorno 18 aprile alle ore 18:00 con una breve diretta. Nei giorni successivi vi faremo visitare virtualmente l’evento, pubblicando nella pagina foto e brevi video. Enzo Correnti (l’uomo carta) #essercisenzaesserci #iononmiarresto #lartenonvainquarantena #arteresistente #agitazioneculturale #reodada #enzocorrenti #_guroga #veitart #photovirtualhappening #inaripari #spaziog43 #ingabbiaticonlarte
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Al Trianon la tradizione di Lacreme Napulitane
Al Trianon la tradizione di Lacreme Napulitane
Commozione e divertimento per lo spettacolo di Natale del Trianon Viviani: dal 20 dicembre, nel teatro del popolo, ritorna la grande sceneggiata con Lacreme napulitane, con Gloriana e Francesco Merola, per la regia di Nino D’Angelo. Biglietti a prezzi popolari, in vendita anche nelle prevendite abituali e online.
Date ed orari degli spettacoli:
giovedì 20 dicembre, ore 21
venerdì 21, ore 21
sabat…
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#Alfonso Pone#Anna Capasso#Annalisa Ciaramella#Antoine#Daniela Riccio#Daniele Chessa#Elena Cannio#Emmedue#Enzo Castaldo#Enzo Coppola#Enzo Vitale#Flora Carbone#Francesco Buongiovanni#Francesco Merola#Francesco Pio Sorrentino#Francesco Ruotolo#Francesco Saverio Colella#Gabriel Quagliozzi#Gennaro Monti#Gianluca Sacco#Gino Perna#Gloriana Merola#Graphicomania#Guido Russo#Lacreme napulitane#Libero Bovio#Luciano Quagliozzi#Marianna Mercurio#Massimo Gargiulo#Massimo Salvetti
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Dopo che sono morti, tendiamo a inondare la rete di ricordi, “coccodrilli”, citazioni e brani dei nostri cantanti e autori preferiti.
Partendo dal principio catalanesco che i buoni interpreti è meglio ascoltarli dal vivo che dal morto, sto raccogliendo sul mio spazio Tumblr alcuni dei brani più belli dei superstiti della canzone d’autore italiana.
L’unico criterio aggiuntivo al gusto personale che mi sono dato è stato quello di scegliere canzoni di cantautori viventi che abbiano già compiuto 60 anni.
Per ora ho scelto brani di
• Fausto Amodei • Angelo Branduardi • Edoardo Bennato • Alberto Camerini • Paolo Conte • Francesco De Gregori • Roberto De Simone • Eugenio Finardi • Francesco Guccini • Enzo Maolucci
Prossimamente, raccoglierò altri brani scegliendoli tra il repertorio di questi altri cantautori e cantautrici over 60 (consapevole del fatto che per alcuni di questi artisti scegliere un solo brano che mi piaccia sarà molto difficile, per altri… sarà difficile trovarne anche uno solo):
• Giampiero Alloisio • Enzo Avitabile • Claudio Baglioni • Franco Battiato • Eugenio Bennato • Gualtiero Bertelli • Sergio Caputo • Fabio Concato • Giorgio Conte • Toto Cutugno • Nino D'Angelo • Edoardo De Angelis • Nicola Di Bari • Don Backy • Franco Fanigliulo • Alberto Fortis • Ivano Fossati • Paolo Frescura • Enzo Gragnaniello • Goran Kuzminac • Lalli • Mario Lavezzi • Mimmo Locasciulli • Francesco Magni • Cristiano Malgioglio • Gianfranco Manfredi • Max Manfredi • Giovanna Marini • Andrea Mingardi • Maria Monti • Leano Morelli • Marco Ongaro • Mauro Pagani • Gino Paoli • Adriano Pappalardo • Aldo Parente • Paolo Pietrangeli • Pupo • Donatella Rettore • Vasco Rossi • Luciano Rossi • Pino Scotto • Franco Simone • Alan Sorrenti • Jenny Sorrenti • Vincenzo Spampinato • Patrizio Trampetti • Roberto Vecchioni • Antonello Venditti • Alan Wurzburger • Giorgio Zito • Teresa De Sio (suggerita da Lina Sanniti) • Nino Buonocore (suggerito da Imma Costanzo) • James Senese (suggerito da Carmine Vergara) • Mimmo Cavallo, Gerardo Carmine Gargiulo ed Amedeo Minghi (suggeriti da Angelo Picozzi) • Edoardo Vianello, Riccardo Cocciante, Ron, Renato Zero, Enrico Ruggeri (suggeriti da Rocco Del Prete) • Mario Castelnuovo, Flavio Giurato e Ricky Gianco (suggeriti da Giorgio Veturo) • Gianni Togni (suggerito da Paola Esposito) • Aldo Tagliapietra (suggerito da Gennaro Carotenuto) • Mauro Pelosi e Pino Pavone (suggeriti da Jennà Romano) • Sandro Giacobbe (suggerito da Francesca Del Prete) • Nada (suggerita da ragingbull1975) • Faust'o, Garbo, Renzo Zenobi, Gianni Nebbiosi, Alberto Radius, Roberta D'Angelo e Mario Barbaja, Luigi Grechi, Paolo Barabani, Massimo Bubola, Pino Masi, Piero Brega (suggeriti da Pasquale Di Resta. Obrigado)
Che dite, tra me e i miei amici del Faccialibro, abbiamo dimenticato qualcuno che trovate imprescindibile o almeno degno di aggiungersi al novero.
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TRIANON VIVIANI, “ADAGIO NAPOLETANO” INAUGURA LA STAGIONE DI MARISA LAURITO
Doppia inaugurazione al Trianon Viviani – teatro della Canzone napoletana per la prima stagione “in presenza” firmata dal direttore artistico Marisa Laurito.
Venerdì 15 ottobre, alle 21, ci sarà l’attesa prima teatrale assoluta dello spettacolo che apre il cartellone 2021/2022: Adagio Napoletano. Cantata d’ammore, il musical con la compagnia Stabile della Canzone napoletana scritto e diretto da Bruno Garofalo.
Nello stesso giorno sarà inaugurata la Stanza delle Meraviglie, uno spazio virtuale, unico e innovativo nel panorama italiano e internazionale, disegnato dal regista Bruno Garofalo da un’idea di Marisa Laurito, che offrirà al pubblico, con una fruizione multisensoriale, la possibilità di immergersi nella storia della Canzone napoletana grazie al progetto di digitalizzazione promosso dalla Regione Campania e attuato da Scabec, la società in house della Regione per i beni culturali.
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Adagio Napoletano, già presentato con successo di pubblico in streaming nel periodo più critico della pandemia, è la maggiore produzione del teatro della Canzone napoletana. L’allestimento prevede il ricco cast di attori, cantanti, danzatori e musicisti della compagnia Stabile della Canzone napoletana, che Marisa Laurito definisce «la spina dorsale portante del teatro».
Lo spettacolo è un viaggio nelle melodie partenopee del Novecento, un susseguirsi di quadri singoli e indipendenti che spaziano tra varie stagioni ed emozioni in uno scenario altamente evocativo delle atmosfere, dei luoghi e delle immagini che costituiscono la componente estetica della città. Una produzione significativa, insomma, che, valorizzando il maggiore bene culturale endogeno, ovvero il nostro patrimonio musicale, mira anche a contribuire al potenziamento dell’offerta turistica partenopea. Per questo motivo, lo spettacolo sarà riproposto periodicamente nel teatro storico di Forcella.
«In Adagio Napoletano – racconta l’autore, scenografo e regista Bruno Garofalo – non c’è un filo conduttore o delle sequenze temporali: gli interpreti e i personaggi in costume novecentesco rievocano alcuni riferimenti canonici delle nostre infinite “collezioni” di melodie (maggio e le rose, gli emigranti, la strada, le tammurriate, i pescatori, il mercato e il varieté), alcune immortalate nel Novecento, altre recuperate e inedite in questo contesto, ma che rappresentano sempre una sostanziale importanza per il nostro discorso che spazia dal recupero filologico allo spettacolo puro».
In scena Lello Giulivo, Susy Sebastiano, Francesco Malapena e la partecipazione di Gigio Morra. Con loro Laura Lazzari, Matteo Mauriello, Salvatore Meola, Gennaro Monti, Nadia Pepe e Fernanda Pinto.
Costumi di Mariagrazia Nicotra, arrangiamenti di Tonino Esposito, movimenti coreografici di Enzo Castaldo e immagini videoscenografiche di Claudio Garofalo. La direzione musicale è di Pino Perris, che ha anche curato le rielaborazioni delle canzoni. Disegno delle luci di Gianluca Sacco. Suono di Daniele Chessa.
La musica è eseguita dal vivo da Gaetano Campagnoli (clarinetto e sax soprano), Ciro Cascino (tastiere), Gennaro Desiderio (violino), Luigi Fiscale (batteria), Gaetano Carmine Marigliano (flauto e ottavino), Stefano Minale (tromba e flicorno), Pino Perris (pianoforte), Claudio Romano (chitarra e mandolino), Luigi Sigillo (contrabbasso) e Alessandro Tedesco (trombone).
Con la collaborazione della scuola Essenza danza, diretta da Emanuela Ritondale e Raffaele Speranza, il balletto è composto da Federica Avallone, Priscilla Avolio, Andrea Cosentino, Martina Del Piano, Alex Di Francesco, Alberto Esposito, Olimpia Graziosi e Carmine Rullo.
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Adagio Napoletano. Cantata d’ammore andrà in scena da venerdì 15 a domenica 17 ottobre e da venerdì 22 a domenica 24 ottobre, il venerdì e il sabato alle 21 e la domenica alle 18.
I biglietti sono acquistabili presso il botteghino del teatro, le prevendite autorizzate e online sul circuito AzzurroService.net. Il botteghino è aperto dal lunedì al sabato, dalle 10 alle 13:30 e dalle 16 alle 19; la domenica dalle 10 alle 13:30. Informazioni: sito istituzionale teatrotrianon.org, tel. 081 2258285.
Nel rispetto della normativa di igiene e sicurezza prescritta per l’emergenza sanitaria, i posti sono contingentati e numerati. È obbligatorio il possesso del green pass e l’uso della mascherina.
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Lo spettacolo è prodotto dal Trianon Viviani con il sostegno del Programma operativo complementare della Regione Campania (Poc 2014-2020). Le attività del teatro della Canzone napoletana si avvalgono della sponsorship tecnica di Enel e il patrocinio di Rai Campania.
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Jolanda uccisa a 8 mesi dal padre che non voleva una figlia femmina: soffocata con un cuscino
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Jolanda uccisa a 8 mesi dal padre che non voleva una figlia femmina. I giudici della Corte di Assise di Salerno hanno ricostruito la morte di Jolanda Passariello, uccisa nel giugno del 2019 a Sant’Egidio del Monte Albino. I genitori, Gennaro Passariello e Immacolata Monti, sono stati condannati all’ergastolo e a 24 anni di reclusione. Per gli inquirenti la bimba fu soffocata con un cuscino,…
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Zinzulusa: una grotta e un toponimo tra fantasia e realtà (2/2)
di Armando Polito
Tra i numerosi lavori non inclusi in Opera omnia c’è anche Descrizione della grotta della Zinzanusa, ossia dell’antico tempio della dea Minerva in Castro Minerva ne’ Salentini, s. n., Napoli, 1807 (estratto dal Giornale enciclopedico di Napoli, anno II, tomo I, gennaio 1807). La descrizione del Monticelli trovò ospitalità anche all’estero, tanto da comparire, con alcuni rimaneggiamenti dovuti molto probabilmente all’anonimo giornalista (l’articolo reca il titolo Description de la grotte Zinzanusa, ou de l’ancien temple de Minerve, près de laville de Castro, dans la Pouille e subito dopo si avverte il lettore che si tratta di un extrait d’una lettre de Naples, écrite vers la fin de mai 1809) sulla parigina Gazette nationale ou Moniteur universel del 13 settembre 1809. A conferma del detto nemo propheta in patria debbo dire, però, che il primo lancio della notizia avvenne sul Journal de Paris di lunedì 29 settembre 1806. Il lettore che ne voglia fare conoscenza diretta troverà di tutti e tre la riproduzione integrale, corredata della mia traduzione, nell’appendice documentaria alla fine del post (rispettivamente: l’articolo del 1806 al n. 1, quello del 1897 al n. 2 e quello del 1809 al n. 3). Potrà, così, condividere o meno ciò che a me è apparso evidente, cioè il contrasto tra l’accesa e forse interessata fantasia del vescovo, l’enfasi giornalistica e l’acribia dello scienziato che, al di là delle pur pertinenti osservazioni di erudizione storica, subordina il giudizio finale alla constatazione de visu della situazione da parte di persone d’indubbia e disinteressata competenza, nonché il pudore e l’umiltà con cui un mineralista di fama internazionale, qual era il Monticelli, giudica, con riserva (perché costretto a fidarsi della descrizione del vescovo), i suoi cristalli di Rocca. Mi meraviglio come un ricercatore come il brindisino non abbia sentito il bisogno di fare una capatina alla Zinzulusa e con malizia formulo il sospetto che avesse capito tutto, pur senza vederla. Quanto al mancato intervento del re, nonostante i rispettosi ma incalzanti inviti del vescovo che nell’ultima lettera rinunzia al colloquio diretto col sovrano e cerca la raccomandazione del cardinale Stefano Borgia, mi chiedo se oggi le cose siano granché cambiate …
Tornando all'”interpretazione” della grotta, il primo a liberarla dalle superfetazioni del vescovo fu Gian Battista Brocchi. In Osservazioni geologiche fatte nella Terra d’Otranto, in Biblioteca italiana o sia giornale di letteratura, scienze ed arti, tomo XVIII, anno V, aprile, maggio e giugno 1820, pp. 52-67 e poi in Giornale costituzionale del Regno delle due Sicilie di mercoledì 21 marzo 1821, il geologo di Bassano del Grappa, fra l’altro, scrive: Sotto Castro … sta la grotta Zinzolosa più celebre per le bugie che ne sono state dette, che per quello che realmente presenta. Una capricciosa descrizione ne fu pubblicata nel giornale enciclopedico di Napoli (gennaro, 1807) [vedi il documento nell’appendice della prima parte] ove per primo si sbaglia nel nome chiamandosi la grotta della Zinzanusa, quando realmente s’intitola così come ho scritto , essendo quello un epiteto derivato dal sostantivo zinzoli che nel dialetto del paese significa cenci, epiteto che fu suggerito dalle stalattiti pendenti. Monsignore del Duca, vescovo di Castro, estinto da pochi anni fa, volle un singolar modo di nobilitare questa caverna immaginando che in essa fosse il tempio di Minerva fabbricato da Idomeneo. Il buon vescovo, come fui accertato, non penetrò mai in quel sotterraneo, ma in sua vece inviò due canonici onde esplorare il luogo, i quali lo ragguagliarono delle grandi cose ivi vedute. S’immaginarono quei messaggieri di vedere tronchi di colonne, e capitelli, e cornici nelle stalattiti naturalmente formate dall’acqua, e d’altro non fu mestieri per trasformarsi quella caverna in un tempio, e nel tempio di Minerva. Conviene pur credere che sia questo un luogo fatale riguardo alle bugie, poiché oltre a queste che sono stampate, altre a me ne spacciarono gli abitanti di que’ paesi. In Otranto fui assicurato che trovasi colà gran copia di testacei impietriti, quando non ve n’ha il menomo indizio. A Minervino mi si disse che potevasi senza sussidio di fiaccole spaziare per la caverna, essendo bastevolmente rischiarata da alcuni alti spiragli, quando ivi tutto è buio e soltanto in un luogo v’ha un pertugio donde trapela un filo di luce. A Cerfignano fui ragguagliato essere essa distante tre miglie e mezzo da Castro, e che è forza di fare questo tragitto per mare, quando la lontananza non è che di mezzo miglio all’incirca, e se il mare sia turbato si può calare agevolmente da una rupe contigua, ed essendo ivi pronta una barca col traghetto di cinquanta passi più o meno si approda all’imboccatura. Questa grotta adunque è riposta in un curvo seno del mare di Castro, dove la rupe calcaria incavata a guisa di mezza cupola o di padiglione sovrasta ad un basso fondo in cui vegetano sott’acqua molte piante marine. Copiosissima è l’Ulva umbilicalis che con le sue frondi bigie accartocciate a guisa d’imbuto diguazza in quelle onde, mentre la Corallina cristata copre di un rubicondo tappeto le pareti degli scogli circostanti. Arrampicandosi per una via non difficile su per li greppi si giunge ad una prima spelonca, che può essere risguardata come il vestibolo dell’altra più interna. Molte stalattiti pendono dalla sua volta formate di calcare lamellare e spatosa, ed havvi nel piano uno sprofondamento che era in quel tempo ricolmo d’acqua. Girando intorno al margine di quel baratro, e poco più su montando trovasi una stretta apertura la quale conduce in altri reconditi penetrali che non tutti ho visitato, dove di maggior mole, ed in maggior quantità sono le stalattiti: esse potranno avere sorpreso chi vide per la prima volta simili sotterranei, ma riescono pressoché indifferenti a coloro che si sono internati in tante altre più magnifiche grotte negli Appennini, fra le quali certamente primeggia quella di Collepardo ne’ monti degli Ernici. Il sig. Monticelli che pubblicò per compiacimento un transunto della memoria del vescovo di Castro, non erasi recato sul luogo, altrimenti quell’oculato naturalista ne avrebbe somministrato una più veridica descrizione.
E Giuseppe Ceva-Grimaldi nel suo Itinerario da Napoli a Lecce e nella provincia di Terra d’Otranto nell’anno 1818, uscito, però, a Napoli nel 1821 (cioè un anno dopo le osservazioni del Brocchi) per i tipi di Porcelli a Napoli non rinunciava all’ironia e, dopo aver riportato in traduzione parte dell’articolo francese del 1806 (senza citare la testata) a p. 61 così commentava: Peccato che questa bella descrizione serva appena ad ornare uno dei moderni romanzi! E, alla fine della sua descrizione: Qui terminala grotta Zinzanusa o Zinzolusa,secondo la denominazione del paese; originata forse dagli stalattiti che a guisa di cenci, chiamati nel paese zinzoli, si vedono pendere nella seconda conca, già descritta.
Chiarita definitivamente l’origine totalmente naturale della grotta, passo ora ad un argomento che non esclude a priori, come nessun campo dello scibile umano, la fantasia, ma richiede che essa sia asservita ad un vigile spirito critico: l’etimo di Zinzulusa. È questo il toponimo attuale, ma in passato erano in uso altre varianti. Prima di intraprendere l’analisi etimologica è opportuno prenderne contezza.
Così della grotta scrisse Girolamo Marciano (1571-1628) in Descrizione, origine e successi della provincia d’Otranto, Stamperia dell’Iride, Napoli, 1855, p. 372: Giace la città di Castro sopra un’alta ed inespugnabile rupe, la quale dall’oriente ha il mare basso e profondo, dall’occidente e tramontana il castello, che soprastà ad una profonda valle, e dall’istro la stretta schiena di un colle eminente al mare, che la rendono fortissima e di sito inespugnabile. Sono intorno alla marina di essa città valli dilettevoli, e freschissime grotte, alcune asciutte, ed altre con acque marine e dolci, ricetti di varie specie di pesci; delle quali la più nobile e meravigliosa chiamano la grotta Zenzenosa. Il lettore non si lasci ingannare dalla data di pubblicazione del volume, che uscì postumo con le aggiunte di Domenico Tommaso Albanese (1638-1685).
Allo Zenzenosa del Marciano subentrano, via via, già incontrati, lo Zinzanusa nel Del Duca, nell’Alfano, nel Monticelli e nel Romanelli, Zinzolosa nel Brocchi (come in Ulderigo Botti, La Zinzolosa. Monografia geologico-archeologica, Firenze, Barbèra, Firenze, 1874 e in Cosimo De Giorgi (Note geologiche sulla provincia di Lecce, v. I, Tipografia Garibaldi, Lecce, 1876, passim), Zinzanusa o Zinzolusa nel Ceva-Grimaldi. S’incontra poi Zinzulusa o Zinzinusa in Archivio per l’antropologia e la etnologia, Stab. Tip. Lit. ed Elettro Galv. G. Pellas, Firenze, 1905, p. 163. Tuttavia Gianluigi Lazzari nel lavoro che più avanti citerò, in particolare, per quanto riguarda la variante Zinzinusa, scrive che l’attestazione più antica è nelle copie degli atti della Platea di Castro del 1665 e nel Catasto della città dell’anno 1742/1749. Faccio notare che l’attestazione del Marciano (Zenzenosa) è anteriore, sia pure di poco.
E siamo all’etimo. il Rohlfs nel Vocabolario dei dialetti salentini, Congedo, Galatina, 1976 così tratta il lemma Zinzulusa: Grotta naturale che si apre sul mare nelle vicinanze di Castro, piena di stalattiti [chiamata così per i coni pendenti: ‘stracci di una veste lacera’]; v. zìnzulu, zinzulusu.
E a zìnzulu: cencio, straccio e grappoletti d’uva di tarda maturazione [cfr. il cal. zìnzulu id., gr. mod. τσάντσαλον” (leggi tsàntsalon) id.].
Il maestro tedesco mostra di seguire l’opinione corrente che collegherebbe il nome proprio della grotta con le sue stalattiti che sembrano cenci. Questa interpretazione metaforica risale proprio (anche se lì il riferimento è all’ingresso frastagliato dalle onde del mare) al nostro vescovo (vedi a p. 389 del documento riportato nell’appendice a corredo della prima parte la parte di testo sottolineata), ripresa successivamente nella citata memoria del Brocchi.
Lavorando sulla variante Zinzinusa, Armando Perotti (1865-1924), basandosi sul fondato assunto che spesso i toponimi sono legati ad una specie vegetale particolarmente abbondante in loco, aveva ipotizzato agli inizi del secolo scorso che il toponimo Zinzinusa fosse legato al giuggiolo. Tale ipotesi è stata ripresa e sviluppata da Gianluigi Lazzari e Sotirios Bekakos in A proposito del toponimo “Zinzinusa”, la celebre grotta di Castro in Terra d’Otranto, in Thalassia Salentina, v. XXVI, suppl. (2003) (già pubblicato in parte in Note di Storia e Cultura Salentina, X-XI, Argo, Lecce, 1998/99, pagg. 117-129). Di seguito, riprodotta in formato immagine, la trafila da loro ipotizzata, partendo dal nome del giuggiolo in greco classico: ζίζυφον (leggi zìziufon).
Quando si parte da un’ipotesi di lavoro (in questo caso il collegamento toponimo-specie vegetale), è fatale che il metodo deduttivo diventi condizionante e spinga a “forzare” qualche dato pur nel nobile intento di confermarla. Ecco le mie osservazioni anche su passaggi fonetici che ritengo non proprio lineari:
a) Non capisco per quale motivo dal minuscolo (a parte l’iniziale di ζίζυφον) si sia passati al maiuscolo (sia pure non greco) di 3, 4 e, in parte 5, dove alla fine, nonché nelle conclusioni, viene ripreso il minuscolo (a parte, sempre, l’iniziale). Può darsi che il set di caratteri greci allora disponibili non consentisse di fare meglio.
b) Al n. 1 in ΖΙΖΨφΟΝ compare al quarto posto Ψ (si legge psi) che ha sostituito, senza giustificazione alcuna, la υ di ζίζυφον, per cui la lettura di ΖΙΖΨφΟΝ sarebbe zìzpsfon.
c) Al n. 2 in ZINZIFO si nota l’epentesi di N, che sarebbe giustificata solo se partendo dalla voce latina zizyphum si fosse ipotizzata una geminazione espressiva (zizzyphum) e successiva dissimilazione (zinzyphum).
d) Al n. 3 viene proposta una sostituzione di F con L senza il supporto di altri casi.
e) Al n. 4 viene attribuito a Galeno ZIZULA’. Pur tenendo presente la giustificazione da me stesso addotta alla fine del punto a), non posso fare a meno di dire che l’esatta scrittura sarebbe stata in maiuscolo ΖΙΖΟΥΛΑ e in minuscolo ζιζουλά (in entrambi i casi si legge zizulà). Se l’inghippo si riducesse a questo dettaglio formale, non avrei perso tempo, tanto più che ZIZULA’ corrisponde esattamente alla pronuncia che ho appena annotato. Il problema è che tale voce (ζιζουλά) a quanto ne so, non compare nemmeno una volta in Galeno, nel quale, invece, si legge, per indicare il giuggiolo, la voce σηρικά (leggi sericà). Ecco il brano che ci interessa, di Περὶ τῶν ἐν ταῖς τροφαῖς δυναμένων (Le proprietà negli alimenti), libro I, capitolo 32; nel testo σηρικῶν è genitivo plurale (il nominativo è σηρικά).
Περὶ τῶν καλουμένων σηρικῶν. Οὐδὲ τούτοις ἔχω τι μαρτυρῆσαι πρὸς ὑγιείας φυλακὴν ἢ νόσων ἴασιν. Ἔδεσμα γάρ ἐστι γυναικῶν τε καὶ παιδίων ἀθυρόντων, ὀλιγότροφόν τε καὶ δύσπεπτον ὑπάρχον ἅμα τῷ μηδ’ εὐστόμαχον εἶναι. Τροφὴν δὲ δῆλον ὅτι καὶ αὐτὰ δίδωσιν ὀλίγην τῷ σώματι (Su quelle che sono chiamate giuggiole. Non ho per esse da attestare alcunché per la protezione della salute o la cura di malattie. Infatti sono alimento delle donne e dei fanciulli che giocano, essendo cibo di scarso nutrimento e di difficile digestione insieme col fatto che non è gradito allo stomaco. È chiaro che anche queste danno poco nutrimento al corpo).
Ad integrazione va detto che ζιζουλά è presente in greco (non comunque, come ho detto, in Galeno) in Alessandro di Tralles (VI-VII secolo), Libri duodecim de re medica, VI, 5. Ecco la parte che ci interessa tratta dal capitolo che reca il titolo Περὶ ἐμπυημάτων (Gli ascessi): … ἀπὸ τῆς Ἀλεξανδρίας μικρὸν ϕασίολον ἢ τὸ λεγόμενον ζιζουλὰν ἢ ἔλυμον ( … da Alessandria un piccolo fagiolo o quella che è detta giuggiola o miglio). Debbo dire che solo se ἢ (o) ha valore disgiuntivo, cioè non vale come altrimenti detto, ζιζουλὰν, vale giuggiola, altrimenti sarebbe sinonimo di miglio e, come quello, simile ad un piccolo fagiolo, immagine che non evoca certo quella della giuggiola.
Infine in un epigramma di Pallada (IV-V secolo), Antologia Palatina, IX, 503, è presente la variante δίζυφον (leggi dìziufos) che sembra, rispetto a ζίζυφον , foneticamente parlando, un passo indietro, dal momento che ζ nasce dalla fusione di δ+j: Οὐκ ἀλόγως ἐν διζύφοις δύναμίν τινα θείαν/εἶναι ἔφην. Χθὲς γοῦν δίζυφον ἐν χρονίῳ/ἠπιάλῳ κάμνοντι τεταρταίῳ περιῆψα,/καὶ γέγονεν ταχέως, οἷα κρότων, ὑγιής (Non senza motivo ho detto che nelle giuggiole c’è una qualche forza divina. Ieri per esempio l’ho somministrata ad uno che era malato cronico di febbre terzana e rapidamente è divenuto sano come se fosse stato ricino).
Sempre al n. 4 la L, che in 3 aveva sostituito la F ritorna in campo, con uno strano ed opportunistico andirivieni, in ZINZINU.
E quasi a sigillare l’incertezza che, a differenza della natura della grotta, continua ad aleggiare, secondo me, sull’etimo del toponimo, chiudo con una poesia, che a tal proposito sembrerebbe profetica, del citato Perotti:
Dormi nel tuo mistero o Zinzulusa!/Noi lo tentammo questo tuo mistero/con la religione di chi sospetta/ch’oltre la realtà cominci il vero.
APPENDICE DOCUMENTARIA
1)
Dal Journal de Paris n. 272 del 29 settembre 1806
Traduzione:
Italia, Napoli, 3 settembre. Scopriamo ogni giorno nuovi tesori dell’antichità. Un magnifico tempio è stato ritrovato sul promontorio iapigio. Alla base della montagna di questo nome, che forma una punta avanzata nel mare, c’è una vasta grotta nella quale penetra il mare. Questa grotta serve d’asilo a degli alcioni e ad altri uccelli di mare. Il vescovo di Castro volle ultimamente entrarvi: prese una barca e si accorse che avanzando in questa grotta iol mare continuava ad essere navigabile. La grotta si allargava man mano che egli entrava. La curiosità del vescovo fu stimolata. Egli ritornò il giorno seguente per fare una visita più accurata. In effetti l’indomani penetrò fino al fondo e fu lì che con sua grande sorpresa coprì un magnifico tempio sostenuto da bellissime colonne del marmo più bello, dello stile più puro e dell’architettura dei bei templi della Grecia. Non ci si fermerà a questa prima scoperta.
2)
dal Giornale enciclopedico di Napoli, anno II, tomo I, gennaio 1807, pp. 341-354
3)
Dalla Gazette nationale ou Moniteur universel n. 256 del 13 settembre 1809.
Trascrizione:
MÉLANGES-ANTIQUITÉS
Description de la grotte Zinzanusa, ou de l’ancien temple de Minerva, près la ville de Castro dans la Pouille (Extrat d’un lettre de Naples, écrite vers la fin de mai 1809)
Près la petite ville de Castro, sous des rochers suspendus à pic, se trouvent plusieurs grottes où l’on descend dans de petits canots. La plus remarquable est la grotte Zinzanusa, qui a donné son nom aux autres, et dont les flancs sans cesse battus et creusés par les vagues, ressemblent de loin à des vêtemens déchirés. Ces grottes sont plateés au fond d’un petit golfe qui, s’avançant en demi-circle forme une espece de port. De ce port on n’apperçoit qu’un amas de quartiers de roc, disposés comme les marches d’un escalier; sur la plus haute de ces marches parait une voûte soutenue par un centaine de colonnes de pierre de taille. Au milieu de ces colonnes jaillit une source d’eau douce, et non loinde là se prolonge una galerie de rochers dangereux à parcourir, a cause de l’inégalité su sol et du gouffre d’eau effrayant au-dessus duquel elle s’avance. C’est au bout de forme rectangulaire, la plus belle et la plus intéressante de toutes celles que l’on a visitées jusqu’ici dans ces rochers. Quatre rangs de colonnes soutiennent et decorent ce palais de la nature; les deux premiers ne sont formés que de demi-colonnes destinées à orner les murs; les deux autres offrent des colonnes entiers s’elevant isolées ou deux à deux. Elles sont toutes dans les mêmes proportions et divisent le rectangle en trois parties; les murs sont couverts d’inscriptions dont personne n’a su encore déterminer le sens et même la langue. On y voit aussi de petites idoles et des statues, des images d’animaux, entr’autres celle du hibou, symbole de Minerve ἀθήνη, des fleurs, des fruits et des arabesques en pierre de taille et d’un dessin très pur. Dans l’une des trois divisions se trouve une large table soutenue de chaque côté par deux colonnes; le plafond est formé par la cavité elle-même à laquelle les murs sont adossés. La voûte un peu affaisée est garnie de cristaux brillans et assemblés sous les formes les plus élégantes; des stalactites du même genre tapissent les colonnes et tout l’intérieur de la grotte; a la clarté des flambeaux, j’ai cru voir tous les prestiges dont l’imagination du poöte a peuplé le palais d’Armide. Les colonnes les plus élevées ont environ 70 palmes (20 pieds) de hauteur; leur diamètre a un peu plus de 2 palmes (8 pouces). De petites ouvertures pratiquées dans la muraille et fermées avec des pierres qui se déplacent, conduisent dans des grottes moin vastes, moins intéressantes, mais curieuses à voir. Par-tout on reconnait la main de l’homme. Des restes de cendres et de charbons annoncent que ces lieux ont été autrefois habités. On y a même découvert des ossemens et des tombeaux. Dans l’une des cavités se troive un puits. Dans une autre est une colonne plus haute que celle du temple; il y en a même une qui parait n’avoir pas été dressée et qui reste encore couchée sur le sol. Les grottes que l’on a découvertes renferment l’espace d’un mille. La plus grande est celle qui vient aprés la grotte rectangulaire; elle n’a pas encore été visitée. Sa profondeur, la boue dont elle est pleine et la puanteur qui en sort ont empêché d’y descendre. Dans toutes les cavités que l’on a parcourues, on n’a vu qu’une seule petite ouverture par où le jour puisse pénétrer. Le savant prélat, Mgr. Duca, évêque de Castro, avait envoyé à l’ancien gouvernement napolitain una petite statue et des morceaux de cristal que l’on avait eu beaucoup de peine à détacher; il proposait de faire visiter soigneusement cette grotte et de faire dessiner tout ce qui méritait d’être examiné; il donnait en même tems des détails sur l’antiquité et la destination de ces grottes, mais personne n’appuya ses conseils, et l’un des monumens les plus remarquables qui nous restent des tems anciens fut oublié. Il faut sans contredict attribuer cet ouvrage aux premiers habitans du royaume de Salente ou aux Grecs qui s’y établirent sous la conduite de Iapyx ou sois celle d’Idoménée. La fable et l’histoire se réunissent pour accorder à ce temple de Minerve, l’antoquité la plus reculée, et les merveilles qu’elles en racontent, l’avaient dejà rendù célebre chez les Anciens. Diodore, dans son 4e livre, et Strabon, au 5e et 6e livre de sa Géographie, rappellent qu’Iapyx fut envoyé par son grand-pere à la recherche de son pere Dédale qui avait pris la fuite; il aborda au promontoire d’Iapyx, nommé alors Leuternia, où Hercule, secouru par Minerve, avait défait les géans Leuterniens. Du sang des géans entassés se forma une source d’une eau puante. Cette source et les osemens non ensevelis indiquerent à Iapyx le théâtre de la victoire d’Hercule, et, soit par pitié, soit que la religion fût aussi alors le moyen dont se servaient les chefs des sauvages pour civiliser leurs barbares sujets, Iapyx éleva un temple à Minerve.
Ce récit, iu ce qu’il peut avoir de vraisemblabe, sert à déterminer assez exactement l’ancienneté du temple de Zinzanusa. Iapyx vivait à-peu-près cent ans avant la guerre de Troye, et comme d’après les marbres d’Arundel trouvés à Paros, il s’est écoulé 1209 ans entre cette guerre et la naissance de J. C., ce temple existe depuis 3117 ans. Plusieurs écrivains anciens, ent’autres Denys d’Halicarnasse, Servius et Vergile, s’accordent à dire que, long tems avant la chûte de Troye, il y avait sur la côte d’Iapyx un temple de Minerve trè-riche et très fameux. Quelques-uns joutent que l’on y gardait le Palladium, ou statue de Minerve, enlevé aux Troyens par Ulysse et par Diomede; d’autres disent que Diomede, après le sac d’Ilion, consacra à Minerve les armes d’or qu’il avit reçues de Glaucus, fils de Priam. Virgile s’est servi de la cèlèbrité de ce temple et l’a encore accrue en faisant border sur ce rivage Enée parti des bords Acro-Cérauniens ou de l’Epire, qui se trouvent vis à vis. Essayons de fixer, d’après la description, la place du temple de Minerve. Enée arrive en Epire, apprend d’Hélénus quelle route il doit suivre. Hélénus lui recommande de ne pas aborder ou du moins de ne pas s’arrêter sur la côte opposée à celle de l’Epire:
Proxima quae nostri profunditur aequoris aestu
effuge; cuncta malis habitantur moenia Graiis.
Aeneid. lib. 3, v. 397
Mais fuis la mer perfide et la côte d’Epire (1);
des Grecs, nos ennemis, ce bord est infesté.
Trad. de M. Delille
Enée devait donc traverser la Mer-Adriatique; et comme les anciens navigateurs s’eloignaient peu des côtes, longer la presqu’il de Salente pour diriger ses voiles vers la Sicile. Il devait descendre de nuit et sacrifier sur le rivage de l’Italie, mais selon les rits des habitans, pour ne pas être attaqué et traité en ennemi:
Hic et Narycii posuerunt moenia Locri
et Salentinos obsedit milite campos
Lyctius Idomeneus, etc.
Là des fiers Locriens s’éleve la cité …
et de Salente enfin inondant les sillous,
Idoménée au loin répand ses bataillons.
Enée part, et tandis qu’il fait voile le long des rivages Acro-Cérauniens, la nuit arrive; il s’arrête sur la côte la plus voisine de l’Italie:
Provehimur pelago vicina Ceraunia iuxta,
unde iter Italiam.
Nous côtoyons d’abord ces sommets escarpés
que les traits de la foudre ont si souvent frappés;
de là vers l’Italie un court trajet nous mene.
A minuite Palinure se leve et donne à la flotte le signal du départ; elle fait voile vers l’Italie:
Nec dum orbem medium nox horis acta subibat,
haud segnis strato surgit Palinurus.
Mais les heures déjá dans le silence et l’ombre
au milieu de sa course ont guidé la nuit sombre;
Palinure s’éveille et consulte les mers.
A la pointe du jour, Achates découvre l’Italie, Anchise invoque la faveur des dieux, et des vents favorables les poussent au port le plus voisin du royaume de Salente: c’est là que s’etrouve le temple de Minerve:
Cum procul obscuros colles, humilemque videmus
Italiam …..
……………………..Portusque patescit
Jam propior, templumque apparet in arce Minervae.
Lorsqu’insensiblement un point noir et douteux
de loin parait, s’eleve et s’agrandit aux Yeux:
C’etait le Latium (2)
On entrevoit le port, et voisin de la nue
le temple de Pallas se découvre à la vue.
Enée décrit le port; il est creusé en cercle vers l’Orient et ceint de rochers qui l’enviromnent comme des tours: on ne voit pas le temple quand on est dans le port:
Portus ab Eoo fluctu curvatir in arcum,
objectae salsa spumant aspergine cautes:
ipse latet. Gemino demittunt brachiamuro
turristi scopuli; refugitque a littore templum.
Creusée à l’orient, son enceinte prosondé
contre les vents fougueux et les assauts de l’onde;
est ecourbée en arc où le flot mugissant
sans cesse vient briser son courroux impuissant.
A l’abri des rochers son rau calme repose;
des remparts naturels qu’à la vague il oppose
les fronts montent dans l’air comme une double tour;
leurs bras d’un double mur en ferment le contour,
et le temple que l’oeil croyait voir sur la plage,
recule à votre approche et s’en fuit du rivagé.
Qui ne reconnaît ici la description du port de Zinzanusa, tel que je l’ai donnée? Enée fait un sacrifice à Minerve; il part pour Tarente. Il voit de loin le temple de Junon Lucinia; tout cela convient partaitement à la position de Zinzanusa. J’ajouterai qu’à un mille de ces rochers se trouve encore une source d’eau soufrée, dont Aristote a fait mention. Je ne déciderai pas si le temple de Minerve, placé dans la grotte, était le seul consacré dans ces lieux à la déesse; peut être y avait-il au-déssus des rochers un édifice attenant à la forteresse. J’en ai dit assez pour montrer que la grotte de Zinzanusa merite de fixer l’attention de ceux qui observent la nature, et de ceux qui étudient l’antiquité; il serait très-interessant d’examiner si ces vastes cavités ont été reusées par les eaux ou formées par de feux souterrains.
_________________________
(1) Ce vers est une erreur; c’est la côte opposée à l’Epire qu’Helenus recommande à Enée d’éviter.
2) Cette partie de l’Italie n’était pas le Latium.
Traduzione:
Miscellanea-antichità
Descrizione della grotta Zinzanusa o dell’antico tempio di Minerva, presso la città di Castro in Puglia (estratto da una lettera da Napoli scritta verso la fine di maggio 1809)
Presso la piccola città di Castro, sotto a rocce sospese a picco, si trovano parecchie grotte in cui si scende con piccole barche. La più degna di nota è la grotta Zinzanusa, che ha dato il suo nome alle altre e i cui fianchi senza posa battuti e scavati dalle onde somigliano da lontano ad abiti strappati. Queste grotte sono poste nel fondo di un piccolo golfo che, avanzando in semicerchio, forma una specie di porto. Da questo porto non si vede che un ammasso di gruppi di rocce disposti come i gradini di una scalinata, sul più alto di questi gradini appare una volta sostenuta in alto da una centina di colonne di pietra da taglio. Al centro di queste colonne sgorga una sorgente d’acqua dolce e non lontano da lì si prolunga una galleria di rocce pericolose a percorrerle a causa del dislivello del suolo e di un pozzo d’acqua da far paura al di sopra del quale essa avanza. È a corridoio di forma rettangolare, la più bella e la più interessante di tutte quelle che si sono visitate finora tra queste rocce. Quattro gruppi di colonne sostengono e decorano questo palazzo della natura; i primi due non sono formati che da semicolonne destinato ad ornare i muri; gli altri due presentano colonne intere elevandosi isolate o a due a due. Sono tutte delle medesime proporzioni e dividono il rettangolo in tre parti; i muri sono coperti da iscrizioni dellr quali nessuno ancora ha saputo determinare il senso e neppure la lingua. Si vedono pure dei piccoli idoli e delle statue, immagini d’animali, tra le altre quella della civetta, simbolo di Minerva Atena, fiori, frutti e arabeschi in pietra da taglio e di un disegno purissimo. In uno dei tre settori si trova una larga mensa sostenuta da ciascun lato da due colonne; il soffitto è formato dalla stessa cavità alla quale i muri sono addossati. La volta un po’ abbassata è guarnita di cristalli brillanti e assemblati sitto le forme più eleganti; stalattiti del medesimo genere tappezzano le colonne e tutto l’interno della grotta; alla luce delle torce ho creduto di vedere tutti i pregi dei quali l’immaginazione del poeta ha popolato il palazzo di Armida. Le colonne più alte hanno circa 70 palmi (20 piedi) di altezza; il loro diametro ha un po’ più di 2 palmi (8 pollici). Piccole aperture praticate nella muraglia e fermate con pietre che si muovono conducono in grotte meno vaste, meno interessanti, ma curiose a vedersi. Dappertutto si riconosce la mano dell’uomo. Resti di venere e carbone dicono che questi luoghi sono stati una volta abitati. Si sono scoperti pure ossa e tombe. In una delle cavità si trova un pozzo. In un’altra vi è una colonna più alta di quella di un tempio.
Ce n’era pure una che sembra non essere stata innalzata e che resta ancora coricata al suolo. Le grotte che si sono scoperte comprendono lo spazio di un miglio. La pioù grande è quella che viene dopo la grotta rettangolare; non è stata ancora visitata. La sua profondità, il fango di cui essa è piena e la puzza che se sorge hanno impedito di discendervi. In tutte le cavità che si sono percorse non si è vista che una sola piccola apertura attraverso la quale la luce possa entrare. Il saggio prelato monsignor Duca, vescovo di Castro, aveva inviato all’antico governo napoletano una piccola statua e dei pezzi di cristallo che si sera con molta fatica riusciti a staccare; egli proponeva di far visitare accuratamente questa grotta e di far disegnare tutto ciò che meritava di essere esaminato; dava allo stesso tempo dettagli sull’antichità e la destinazione di queste grotte, ma nessuno ha dato retta ai suoi consigli e uno dei monumenti più rimarchevoli che ci restano dei tempi antichi è stato dimenticato. Bisogna senza smentita attribuire quest’opera ai primi abitanti del regno di Salento o ai Greci che vi si stabilirono sotto la guida di Iapige o sotto quella d’Idomeneo. Il mito e la storia si uniscono per accordare a questo tempio di Minerva l’antichità più spinta e le meraviglie che esse ci raccontano l’avevano già resa celebre presso gli antichi. Diodoro nel suo 4° libro e Strabone nel 5° e 6° della sua Geografia ricordano che Iapige fu inviato da suo nonno alla ricerca di suo padre Dedalo che si era dato alla fuga; egli sbarcò sul promontorio di Iapige allora chiamato Leuternia, dove Ercole, soccorso da Minerva, aveva sconfitto i giganti Leuterni. Dal sangue dei giganti ammassato si formò una sorgente di un’acqua puzzolente. Questa sorgente e le ossa insepolte indicarono a Iapige il teatro della vittoria di Ercole e, sia per pietà, sia che la religione anche allora fu il mezzo del quale si servivano i capi dei saggi per civilizzare i loro barbari sudditi, Iapige elevò un tempio a Minerva. Questo racconto o ciò che esso può avere di verosimile serve a determinare assai esattamente l’antichità del tempio di Zinzanusa. Iapige viveva circa cento anni prima della guerra di Troia e, siccome come in base ai marmi di Arundel trovati a Paros sono passati 1209 anni tra questa guerra e la nascita di Gesù Cristo, questo tempio esiste da 3117 anni. Parecchi scrittori antichi , tra gli altri Dionigi di Alicarnasso, Servio e Virgilio sono d’accordo nel dire che parecchio tempo prima della caduta di Troia c’era sulla costa di Iapige un tempio di Minerva ricchissimo e famosissimo. Alcuni aggiungono che vi si custodiva il Palladio o statua di Minerva sottratto ai Troiani da Ulisse e da Diomede; altro dicono che Diomede, dopo il sacco di Troia, consacrò a Minerva le armi d’oro che aveva ricevuto da Glauco, figlio di Priamo. Virgilio si è servito della celebrità di questo tempio e l’ha ancora accresciuta facendo sbarcare su questa costa Enea partito dalle sponde Acroceraunie o dall’Epiro, che si trovano di fronte. Proviamo a fissare, dopo la descrizione, la posizione del tempio di Minerva. Enea arriva in Epiro, apprende da Eleno quale rotta debba seguire. Eleno gli raccomanda di non accostarsi o almeno di non fermarsi sulla costa opposta a quella dell’Epiro:
Evita i luoghi vicinissimi che sono bagnati dall’onda del nostro mare; tutte le città sono abitate dai cattivi Greci. Eneide libro 3, v. 397
Ma fuggi il mare perfido e la costa dell’Epiro (1);
questa costa è infestata dai Greci, nostri nemici.
Traduzione di M. Delille
Enea doveva dunque attraversare il mare Adriatico e, siccome gli antichi navigatori si allontanavano poco dalle coste, costeggiare presso il Salento per dirigere le sue vele verso la Sicilia. Egli doveva sbarcare di notte e sacrificare sulla riva d’Italia, ma secondo i riti degli abitanti per non essere attaccato e trattato da nemico:
Qui pure i Naricii locresi hanno posto le mura e il licio Idomene occupa con la milizia i campi salentini, etc.
Là s’innalza la città dei fieri locresi … e infine invadendo i campi di Salento Idomeneo spande lontano le sue schiere.
Enea parte e mentre fa vela lontano dalle sponde acroceraunie arriva la notte; si arresta sulla costa più vicina dell’Italia:
Ci spingiamo per mare lungo i vicini Cerauni, donde la rotta per l’Italia.
Costeggiamo lungo questi scogli a precipizio che i colpi dell’onda hanno così spesso flagellato; da lì una corta rotta ci porta verso l’Italia.
A mezzanotte Palinuro si leva e dà alla flotta il segnale della partenza; essa fa vela verso l’Italia:
Non ancora la notte spintasi con le ore era entrata nella metà del corso, si leva dal letto il non pigro Palinuro.
Ma le ore già nel silenzio e l’ombra hanno guidato la nera notte a metà della sua corsa; Palinuro si sveglia e osserva il mare.
Allo spuntare del giorno Acate scorge l’Italia, Anchise invoca il favore degli dei e i venti favorevoli li spingono al porto al porto più vicino del regno di Salento; è là che si trova il tempio di Minerva:
Quando lontano vediamo oscuri colli e la bassa Italia … e si apre un porto sempre più vicino e in cima appare il tempio di Minerva.
Quando poco a poco un punto nero e dubbio appariva da lontano, si eleva e s’ingrandisce agli occhi: era il Lazio (2). Si intravvede il porto e vicino al nudo il tempio di Pallade si scopre alla vista.
Enea descrive il porto; esso è scavato in cerchio verso oriente e cinto di rocce che lo circondano come giri: non si vede il tempio quando si è nel porto:
Il porto dal mare orientale s’incurva ad arco,
le rocce battute dall’onda salata spumeggiano:
esso si nasconde. Allungano le braccia con un doppio muro
scogli a forma di torre e il tempio si allontana dal lido.
Scavato ad oriente, il suo circuito inondato
contro i venti furiosi e gli assalti delle onde;
è curvato ad arco dove il flutto che muggisce
senza posa viene a frantumare la sua ira impotente.
Al riparo delle rocce la sua acqua calma riposa;
delle barriere naturali che esso oppone all’onda
sollevano la fronte nell’aria come un doppio cerchio;
le loro braccia con un doppio muro fermano il profilo
e il tempio chel’occhio credeva di vedere sulla spiaggia
indietreggia al vostro avvicinamento e se ne fugge dalla costa.
Chi non riconoscerebbe qui la descrizione del porto di Zinzanusa, tal quale io ho dato? Enea fa un sacrificio a Minerva, poi parte per Taranto. Vede da lontano il tempio di Giunone Lucinia.Tutto questo conviene dettagliatamente alla posizione di Zinzanusa. Aggiungerei che ad un miglio da queste rocce si trova ancora una sorgente d’acqua solforosa, della quale ha fatto menzione Aristotele. Io non arriverei alla conclusione se il tempio di Minerva posto nella grotta era il solo consacrato in questi luoghi alla dea; forse c’eta al di sopra delle rocce un edificio attinente alla fortezza. Ho detto abbastanza per mostrare che la grotta di Zinzanusa merita di fissare l’attenzione di coloro che osservano la natura e di coloro che studiano l’antichità; sarebbe interessantissimo esaminare se queste vaste cavità sono state create dalle acque o formate da fuochi sotterranei.
(1) Questo verso è un errore; è la costa opposta all’Epiro che Elena raccomanda ad Eleno di evitare.
(2) Questa parte dell’Italia non era il Lazio.
PER LA PRIMA PARTE: https://www.fondazioneterradotranto.it/2020/02/22/zinzulusa-una-grotta-e-un-toponimo-tra-fantasia-e-realta-1-2/
#Armando Polito#Gian Battista Brocchi#Giuseppe Ceva-Grimaldi#grotta Zinzulusa#Zinzanusa#Ambiente#Paesi di Terra d’Otranto#Spigolature Salentine
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Morte dignitosa?
Così, giusto per non dimenticare... Elenco Delle vittime di Totò Riina : il tenente dei carabinieri Mario Malausa, i marescialli Silvio Corrao e Calogero Vaccaro, gli appuntati Eugenio Altomare e Mario Farbelli, il maresciallo dell'esercito Pasquale Nuccio, il soldato Giorgio Ciacci, Carmelo Battaglia sindacalista, Giuseppe Piani appuntato dei carabinieri, Boris Giuliano, Mauro De Mauro, il procuratore capo di Palermo Pietro Scaglione, Antonino Lo Russo autista di Pietro Scaglione, Giovanni Spampinato, giornalista de "L'Ora" e de "L'Unità", Gaetano Cappiello, agente di pubblica sicurezza, Giuseppe Russo tenente colonnello dei carabinieri,l'insegnante Filippo Costa, Ugo Triolo, Vice-pretore onorario di Prizzi, Peppino Impastato, Antonio Esposito Ferraioli, cuoco, Salvatore Castelbuono,Vigile Urbano, Carmelo Di Giorgio, operaio, Filadelfio Aparo, vice Brigadiere, Mario Francese, giornalista, Carmine Pecorelli, giornalista; Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo; Calogero Di Bona, maresciallo; Cesare Terranova, magistrato; Lenin Mancuso, maresciallo; i carabinieri Giovanni Bellissima, Salvatore Bologna e Domenico Marrara, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Piersanti Mattarella,Emanuele Basile, capitano dei Carabinieri; Gaetano Costa, procuratore capo di Palermo, Giuseppe Inzerillo, figlio diciassettenne del boss Salvatore Inzerillo mutilato e ucciso, Vito Jevolella, maresciallo dei carabinieri di Palermo; Sebastiano Bosio, medico, docente universitario; Alfredo Agosta, maresciallo dei carabinieri; Pio La Torre, segretario del PCI siciliano; Rosario Di Salvo, autista e uomo di fiducia di Pio La Torre; Gennaro Musella, imprenditore; Salvatore Raiti, Silvano Franzolin, Luigi Di Barca e Giuseppe Di Lavore, carabinieri; Antonino Burrafato, Vice Brigadiere di Polizia, Paolo Giaccone, medico legale;Emanuela Setti Carraro, moglie di Carlo Alberto Dalla Chiesa, e Domenico Russo, agente di polizia; Benedetto Buscetta e Antonio Buscetta figli del pentito Tommaso Buscetta; Calogero Zucchetto, agente di polizia; Giuseppe Genova e Orazio D'Amico, cognato e nipote di Buscetta; Vincenzo Buscetta, fratello del pentito Tommaso; Giangiacomo Ciaccio Montalto, magistrato di punta di Trapani; Mario D'Aleo, capitano dei carabinieri; Pietro Morici, carabiniere; Giuseppe Bommarito, carabiniere; Rocco Chinnici, capo dell'ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, Mario Trapassi, maresciallo dei carabinieri; Salvatore Bartolotta, carabiniere; Stefano Li Sacchi, portinaio di casa Chinnici; Pippo Fava; Salvatore Zangara, analista; Giuseppe Fava, giornalista;Mario Coniglio, macellaio, Pietro Busetta, imprenditore e maestro decoratore, vittima innocente; Roberto Parisi, imprenditore e presidente del Palermo calcio, assieme al suo autista Giuseppe Mangano; Piero Patti, imprenditore. Rimane ferita anche la figlia Gaia di nove anni; Giuseppe Spada, imprenditore; Barbara Rizzo in Asta, signora morta nell'attentato con autobomba contro il sostituto procuratore Carlo Palermo, salvatosi miracolosamente; morti anche Giuseppe e Salvatore Asta, i due figli gemelli di 6 anni della donna; Giuseppe Montana, funzionario della squadra mobile; Ninni Cassarà e il suo collega Roberto Antiochia, agente di polizia; Graziella Campagna, diciassettenne che aveva riconosciuto due latitanti; Claudio Domino, bambino di 11 anni che stava passeggiando davanti al negozio dei suoi genitori; Giuseppe Insalaco, ex sindaco di Palermo; Natale Mondo,agente di polizia scampato all'attentato in cui persero la vita Ninni Cassarà e Roberto Antiochia; Alberto Giacomelli, ex magistrato in pensione; Antonino Saetta, giudice ucciso con il figlio Stefano Saetta; Mauro Rostagno, leader della comunità Saman per il recupero dei tossicodipendenti e giornalista; Giuseppe Montalbano, medico; Pietro Polara, commerciante di macchine agricole; Antonino Agostino, agente di polizia, e la moglie Ida Castelluccio, incinta di due mesi; Vincenzo Miceli, geometra e imprenditore di Monreale, ucciso per non aver voluto pagare il pizzo; Giovanni Trecroci; Emanuele Piazza, agente di polizia strangolato e sciolto nell'acido; Giuseppe Miano, mafioso pentito; Nicola Gioitta, gioielliere; Gaetano Genova, vigile del fuoco sequestrato e ucciso perché ritenuto un confidente della polizia; Giovanni Bonsignore, funzionario della Regione Siciliana; Rosario Livatino, giudice; Giovanni Salamone, geometra, imprenditore edile e consigliere comunale;Nicolò Di Marco, geometra;Sergio Compagnini, imprenditore; Antonino Scopelliti (9 agosto 1991), giudice; Libero Grassi (29 agosto 1991), imprenditore attivo nella lotta contro le tangenti alle cosche e il racket; Serafino Ogliastro (12 ottobre 1991), ex agente della polizia di Stato;Giuliano Guazzelli (4 aprile 1992), maresciallo dei carabinieri; Paolo Borsellino (21 aprile 1992), imprenditore ed omonimo del giudice Paolo Borsellino; Giovanni Falcone, magistrato; Francesca Morvillo, magistrato, moglie di Giovanni Falcone; Antonio Montinaro, agente di polizia facente parte della scorta di Giovanni Falcone; Rocco Dicillo, agente di polizia facente parte della scorta di Giovanni Falcone; Vito Schifani, agente di polizia facente parte della scorta di Giovanni Falcone;Vincenzo Napolitano (23 maggio 1992), uomo politico democristiano; Paolo Borsellino, magistrato; Emanuela Loi, agente di polizia facente parte della scorta di Paolo Borsellino; Walter Cosina, agente di polizia facente parte della scorta di Paolo Borsellino; Vincenzo Li Muli, agente di polizia facente parte della scorta di Paolo Borsellino; Claudio Traina, agente di polizia facente parte della scorta di Paolo Borsellino; Agostino Catalano, agente di polizia facente parte della scorta di Paolo Borsellino; Rita Atria (27 luglio 1992), figlia di un mafioso, muore suicida dopo la morte di Paolo Borsellino, con il quale aveva iniziato a collaborare; Giovanni Lizzio (27 luglio 1992), ispettore della squadra mobile; Paolo Ficalora (28 settembre 1992), proprietario di un villaggio turistico;Gaetano Giordano (10 dicembre 1992), commerciante;Giuseppe Borsellino (17 dicembre 1992), imprenditore, padre dell'imprenditore Paolo Borsellino ucciso otto mesi prima;Beppe Alfano (8 gennaio 1993), giornalista; Caterina Nencioni, bambina di 50 giorni; Nadia Nencioni, bambina di 9 anni; Angela Fiume, custode dell'Accademia dei Georgofili, 36 anni; Fabrizio Nencioni, 39 anni; Dario Capolicchio, studente di architettura, 22 anni; Carlo La Catena, Sergio Pasotto, Stefano Picerno (vigili del fuoco); Alessandro Ferrari (agente di polizia municipale); Moussafir Driss (extracomunitario); Pino Puglisi (15 settembre 1993), sacerdote, impegnato nel recupero dei giovani reclutati da Cosa Nostra; Cosimo Fabio Mazzola (5 aprile 1994), ucciso perché ex fidanzato della moglie del mafioso Giuseppe Monticciolo;Liliana Caruso (10 luglio 1994), moglie di Riccardo Messina, pentito; Agata Zucchero (10 luglio 1994), suocera di Riccardo Messina, pentito;Calogero Panepinto (19 settembre 1994), fratello di Ignazio Panepinto, assassinato il 30 maggio dello stesso anno; Pietro Sanua (Corsico, 4 Febbraio 1995);Domenico Buscetta (6 marzo 1995), nipote del pentito Tommaso Buscetta;Pierantonio Sandri (3 settembre 1995), giovane di Niscemi, sequestrato e ucciso perché testimone di atti intimidatori, il corpo occultato è stato recuperato 14 anni dopo, in seguito alle rivelazioni di un pentito; Paolo De Montis (21 settembre 1995), Finanziere Mare;Serafino Famà (9 novembre 1995), avvocato penalista catanese, ucciso a pochi passi dal suo studio perché era un esempio di onestà intellettuale e professionale;Giuseppe Montalto (23 dicembre 1995), agente di custodia dell'Ucciardone;Giuseppe Di Matteo (11 gennaio 1996), figlio del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo, ucciso e disciolto in una vasca di acido nitrico;Luigi Ilardo (10 maggio 1996), cugino del boss Giuseppe Madonia, ucciso poco prima di divenire un collaboratore di giustizia;Santa Puglisi (27 agosto 1996), giovane vedova ventiduenne di un affiliato a un clan mafioso, picchiata e uccisa nel cimitero di Catania insieme al nipote Salvatore Botta di 14 anni; Antonio Barbera (7 settembre 1996), giovane di Biancavilla (CT), massacrato a diciotto anni con una decina di colpi di pistola in testa; Antonino Polifroni (30 settembre 1996), imprenditore di Varapodio (RC), assassinato perché non aveva ceduto ai ricatti e alle estorsioni mafiose; Giuseppe La Franca (4 gennaio 1997), avvocato, assassinato perché non voleva cedere le sue terre ai fratelli Vitale; Gaspare Stellino (12 settembre 1997), commerciante, morto suicida per non deporre contro i suoi estorsori; Giuseppe Lo Nigro, imprenditore edile;Domenico Geraci (8 ottobre 1998), sindacalista;Stefano Pompeo (22 aprile 1999), ragazzo ucciso per errore al posto di un potente boss locale;Filippo Basile (5 luglio 1999), funzionario della Regione Siciliana; Sultano Salvatore Antonio (21 luglio 1999), ragazzo ucciso per sbaglio;Vincenzo Vaccaro Notte (3 novembre 1999), imprenditore assassinato perché non accettava i condizionamenti mafiosi.
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“Guerre”, primo romanzo tratto dalle carte fortunosamente recuperate di Louis-Ferdinand Céline, è già in testa alle classifiche d’Oltralpe. E lo scrittore francese più geniale, controverso e “maledetto” del Novecento torna a far discutere; due miei piccoli interventi céliniani su “TG2 Mizar” di RAI2 del 28/5/2022 qui:
https://www.youtube.com/watch?v=cz3LJfdeRXk&t=219s
Grazie a Gennaro Sangiuliano e Adriano Monti Buzzetti Colella!
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24 novembre: senza agenti non ci sono incidenti Qualcuno dirà che è stata saggezza: ferme ai crocicchi dei palazzi del potere, dove s’è messa a morte la giustizia sociale, le forze dell’ordine non si sono viste.
#Affari Italiani#Capo dello Stato#De Gennaro#Digos#diritti#Montezemolo#Monti bis#Palazzo d&039;Inverno#Parlamento#piazza Tamir#polizia#scuola
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NAPOLI – I sogno è al centro della XIX edizione di Brividi d’Estate: un uomo muore solo quando smette di sognare. con questa lungimirante riflessione, il “sogno” è declinato in tutte le sue possibili sfumature.
La rassegna Brividi d’Estate 2019 da sabato 29 giugno alle 21 tornerà ad animare, con le sue storie l’affascinante cornice del Real Orto Botanico di Napoli, per continuare a regalare brividi e grandi emozioni, in piena estate.
Nata da un’idea di Annamaria Russo, la rassegna, fra le più longeve della città, è sostenuta dalla sensibilità e la preziosa collaborazione dell’Università Federico II di Napoli, che gestisce il parco, e con il patrocinio del Comune di Napoli.
Per circa quaranta giorni, fino a domenica 4 agosto, Il Pozzo e il Pendolo Teatro di Napoli si “sposta” nel parco più bello della città per una rassegna per “trasformarlo” nel più magico dei palcoscenici immersi nel verde, con un viaggio nelle storie che abbiamo amato di più. Una scorribanda nei libri che ci hanno regalato sorrisi e lacrime, un doveroso omaggio a quegli autori che, giunti all’ultima pagina, non puoi fare a meno di ringraziare.
Divenuta per i napoletani un classico e atteso appuntamento estivo, la rassegna proporràquattordici spettacoli tra cui cinque novità assolute, ma non mancheranno Le cene con delitto, le classiche serate targate Il Pozzo e il Pendolo.
«Il sogno – ha spiegaro Annamaria Russo – è stato l’unico “re” al quale ci siamo sempre umilmente inchinati. E a questo re, abbiamo deciso di dedicare la XIX edizione di Brividi d’Estate, attraverso quindici storie, quindici spettacoli, quindici colori per provare a disegnare il volto mutevole dei sogni. Il sogno visionario di Josè Aracadio Buendìa, il sogno delirante di Masaniello, quello struggente di un innamorato, quello straziante di una madre, quello devastante di un’amicizia, quello folle di un assassino. In questi diciannove anni, abbiamo edificato, tra gli alberi secolari di quel parco, un monumento alle favole cui nessuno crede più. Abbiamo provato a trasformare questa folle avventura in un atto di fede all’incoscienza. E tutte le volte che ci hanno “accusato” di lesa maestà alla sacralità del teatro, ci siamo dichiarati colpevoli. E felici di esserlo.»
A inaugurare la programmazione di Brividi d’Estate 2019, sabato 29 giugno (in replica fino a lunedì 1 luglio), sarà, a grande richiesta di pubblico, Vipera di Maurizio de Giovanni, con Rosaria De Cicco, Marianita Carfora, Nico Ciliberti, Sonia De Rosa, Paolo Rivera, Salvatore Catanese, Alfredo Mundo, Gennaro Monti, Marco Palumbo, Zack Aldermann, adattamento e regia di Annamaria Russo.
Sinossi. È la primavera del 1932, Pasqua è alle porte e in una delle stanze del Paradiso, il bordello più famoso di Napoli, viene trovata morta Maria Rosaria Cennamo, in arte Vipera.
E’ la prostituta che fa sognare tutti gli uomini della città, ma che solo pochi possono avere. Ancora una volta Luigi Alfredo Ricciardi sarà costretto a muoversi tra i gironi infernali dell’animo umano per dare un volto e un nome all’assassino del Paradiso.
Giovedì 4 luglio andrà in scena la prima novità di questa edizione, Stanotte ho saputo che c’eri con Rosalba Di Girolamo, liberamente tratto da “Lettera a un bambino mai nato” di Oriana Fallaci.
Sinossi. È la storia di una madre capace di difendere il suo bambino da tutto e tutti, ma forse non da se stessa. E’ sul terreno scivoloso del dubbio in cui forse ogni donna è destinata ad inciampare, che tocca inoltrarsi avventurandosi nelle pagine di questo testo che ha segnato un’epoca e continua a graffiare la coscienza.
La programmazione proseguirà, venerdì 5 luglio con Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcìa Màrquez, con Paolo Cresta e i Ringe Ringe Raja, adattamento e regia: Annamaria Russo e Ciro Sabatino.
Sinossi. I libri amati sono la valigia di suggestioni, di emozioni, che ci portiamo dietro, per un giorno o per una vita. I libri amati hanno il sapore di una stagione dell’esistenza, che, talvolta, restituiscono inalterata l’ingenuità stupita di un passato prossimo o remoto. I libri amati sono i brividi, le risate, le lacrime, e Cent’anni di solitudine è uno di questi.
Sabato 6 luglio la rassegna proseguirà con il primo appuntamento de La cena con delitto, il Murder Party nello scenario del Real Orto Botanico di Napoli, per giungere a domenica 7 luglio per la rappresentazione di L’amico ritrovato di Fred Uhlman, con Paolo Cresta.
Sinossi. È la storia di un’amicizia, grande come può esserlo solo a 16 anni. Assoluta, esclusiva, devastante, più violenta e coinvolgente dell’amore e tanto più capace di spezzare il cuore. Hans e Konradin, due ragazzi sedicenni, frequentano la stessa scuola esclusiva. L’uno è figlio di un medico ebreo, l’altro è di ricca famiglia aristocratica. Tra loro nasce un’amicizia del cuore, un’intesa perfetta e magica. Un anno dopo, il loro legame è spezzato. Questo accade in Germania, nel 1933.
Lunedì 8 luglio, Nico Ciliberti, Francesco Desiato e Giacinto Piracci saranno gli interpreti di Tu Mio di Erri De Luca, per la regia di Annamaria Russo.
Sinossi. È una storia d’amore straniante, sullo sfondo dell’isola d’Ischia. Il mare, la musica, le voci dei pescatori e quelle più lontane di una guerra finita da poco: l’affresco di un’epoca e un’età difficili. E’ una corsa a perdifiato verso la fine di un amore senza fine. E’ dolore stretto dentro i pugni di una vita che non lascia alternative. E’ la voglia di riscrivere una storia con l’incoscienza della giovinezza. E’ il desiderio disperato di riscattare la morte con l’amore.
Giovedì 11 luglio, Rosaria De Cicco sarà protagonista de L’ultima eclissi di Stephen King, per la regia di Annamaria Russo. Dolores Claiborne, in una notte uguale ad altre mille, seduta alla scrivania di una stazione di polizia, ripercorre la sua vita, tutta d’un fiato. Ha di fronte un commissario di polizia, un agente, una stenografa e la prospettiva di un giudizio sommario.
Sinossi. È una storia che fa aggrovigliare le viscere, strappa sorrisi inaspettati e lacrime inopportune. Una storia che reclama voce, carne, materia, che sembra scritta apposta per il teatro.
Il secondo weekend di programmazione avrà inizio, venerdì 12 luglio, con il secondo appuntamento di La Cena con Delitto, per proseguire sabato 13 luglio (in replica domenica 14) con la seconda novità della rassegna, Una pura formalità di Pascal Quignard, interpretata da Marco Palumbo e Peppe Romano, per la regia di Annamaria Russo, non solo un thriller, ma un viaggio profondo nell’essere umano.
Sinossi. Il lento e doloroso cammino alla ricerca della verità si chiude con un epilogo che stravolge tutti i presupposti iniziali. La formalità è finita e tutti i ruoli appaiono finalmente chiari, manca solo un nome da assegnare, e non è quello dell’assassino.
Lunedì 15 luglio sarà la volta di Luiz torna a casa di Maurizio de Giovanni, che vedrà in scena Paolo Cresta.
Sinossi. È una storia d’amore e di morte, di passione e di addii. E’ la storia di una vita nella quale, quando le parole non bastano a colmare le distanze, scendono in campo i sogni. Perché i sogni condivisi possono sconfiggere ogni male, perfino mettere in scacco la morte.
Giovedì 18 luglio, Andar per fantasmi, con Marco Palumbo, Marianita Carfora, Peppe Romano e Andrea De Rosa, per una serata indimenticabile, nella suggestiva cornice del Real Orto Botanico di Napoli.
Sinossi. Le vicende dei fantasmi innamorati che popolano la nostra magica città, le note struggenti della tradizione partenopea dal ‘600 all’800
La rassegna teatrale proseguirà, venerdì 19 luglio, con il terzo appuntamento di La cena con delitto, cui farà seguito, sabato 20 luglio (in replica fino a lunedì 22) il debutto in prima assoluta di A te, Masaniello drammaturgia e regia di Annamaria Russo, con Nico Ciliberti, Marianita Carfora, Salvatore Catanese, Cristiano Di Maio, Alfredo Mundo, Rita Ingegno, Diego Guglielmelli, Massimo Corvino.
Sinossi. Aveva ventisette anni Masaniello, faceva il pescatore e vendeva il pesce al mercato. In dieci giorni riuscì a regalare un sogno ai napoletani. Un sogno bello da far paura, tanta di quella paura che i suoi concittadini decisero di distruggere il sogno e quel folle che aveva permesso loro di sognarlo.
Ancora una novità in scena, giovedì 25 e venerdì 26 luglio, con Rosalba De Girolamo in L’amante di Marguerite Duras,
Sinossi. Una storia “d’amore” ambientata nell’Indocina degli anni 30 tra una ragazzina “bianca” poco più che quindicenne, e un ricco uomo cinese che ha il doppio della sua età. Una storia d’amore, nella quale proprio l’amore sembra il grande assente. Eppure quel sentimento mai detto, esplode con una forza deflagrante, tanto da segnare per sempre le vite dei protagonisti. La regia è firmata da Annamaria Russo.
L’ultima novità programmata in questa edizione, sabato 27 luglio (repliche fino a lunedì 29) vedrà Paolo Cresta protagonista di Uno nessuno e centomila di Luigi Pirandello.
Sinossi. Da uno specchio, superficie ambigua e inquietante, emerge un giorno per Vitangelo Moscarda, un volto di sé finora ignorato: un naso in pendenza verso destra.
Quest’avvenimento provoca in lui una profonda crisi. E infine, la consapevolezza agghiacciante che la sua immagine negli occhi degli altri è lontana anni luce da quella che egli ha di se stesso. Di qui una presa d’atto ancora più inquietante: egli non è uno, come aveva creduto sino a quel momento, ma ‘centomila’, nel riflesso delle prospettive degli altri, e quindi nessuno.
Giovedì 1 agosto la scena sarà per L’ultima notte del Principe di Sansevero di Annamaria Russo e Ciro Sabatino, con Marco Palumbo e Andrea De Rosa.
Sinossi. È la notte del 22 marzo 1771, la notte in cui il più grande studioso, filosofo e alchimista di Napoli morrà. E’ la notte delle rivelazioni, dei segreti.
L’ultimo weekend di Brividi d’Estate 2019 inizierà, venerdì 2 agosto, con il quarto appuntamento de La Cena con Delitto, cui seguirà, sabato 3 agosto (in replica domenica 4), Il giorno dei morti di Maurizio de Giovanni, con Paolo Cresta e Ramona Tripodi, per la regia di Annamaria Russo.
Sinossi. Napoli, autunno 1931, il commissario Luigi Alfredo Ricciardi avvia un’indagine non autorizzata sulla morte, apparentemente accidentale, di un orfano.
Un’indagine che parte da un ricordo e procede a dispetto di ogni ragionevole ragione, e che rischia di far precipitare il commissario Ricciardi in un abisso di follia.
Tutti gli spettacoli di Brividi d’estate avranno inizio alle ore 21.00, ingresso euro 16
Le cene con delitto avranno un costo di euro 30, inizio ore 21.00
Informazioni ai numeri 0815422088, mob 3473607913
Prenotazioni sul sito www.ilpozzoeilpendolo.it
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Brividi d’estate e il Sogno NAPOLI – I sogno è al centro della XIX edizione di Brividi d’Estate: un uomo muore solo quando smette di sognare.
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MACERATA – Una festa fatta di momenti, luoghi, voci e significato. E’ il 25 aprile a Macerata e provincia nel 74° anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Incontri ed eventi sono previsti a Macerata, Pollenza e Caldarola. Il 25 aprile alle 9.30 nel capoluogo ci sarà la deposizione della corona al monumento alla Resistenza in via Cioci, con il saluto del sindaco Romano Carancini e del presidente dell’ANPI provinciale Lorenzo Marconi.
Subito dopo ci sarà la cerimonia a carattere provinciale, ogni anno itinerante nel territorio, che sarà ospitata a Pollenza. Alle 10 il raduno delle autorità e associazioni combattenti e d’arma a Porta Vittoria, all’ingresso del paese. Il corteo raggiungerà piazza della Libertà dove alle 11 ci sarà la cerimonia ufficiale con la deposizione della corona e il saluto del sindaco di Pollenza Luigi Monti e gli interventi dei presidenti del Comitato provinciale ANPI e della sezione ANPI di Pollenza.
Alle ore 21,15 sempre del 25 aprile, in piazza Mazzini a Macerata Dj set con Always Loving Jah & Rasta Skull e alle 23,30 il concerto di Folkabbestia.
Domenica 28 aprile appuntamento con la 15^ Marcia della Memoria Caldarola-Montalto, da sempre occasione per gli antifascisti, in particolare giovani non solo della nostra provincia, di ritrovarsi con le Istituzioni del territorio per condividere il ricordo dell’eccidio e con essola Resistenza. Il ritrovo è al parcheggio della zona industriale di Caldarola da cui, alle 10, partirà la marcia fino a Villa Montalto di Cessapalombo.
Lunedi’ 29 aprile, alle ore 17 al Polo Pantaleoni dell’Unimc in via della Pescheria Vecchia a Macerata, presentazione del libro “Tante braccia per il Reich – Il reclutamento di manodopera nell’Italia occupata 1943-1945 per l’economia di guerra della Germania nazionalsocialista” di Annalisa Cegna, Edito da Mursia.
Intervengono Brunello Mantelli professore di Storia dei conflitti internazionali all’Università della Calabria e curatore del libro, l’autrice Annalisa Cegna direttrice dell’Istituto storico di Macerata/Università di Napoli l’Orientale e lo storico Gennaro Carotenuto, professore e ricercatore dell’Unimc.
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“Siamo tutti colpevoli di qualcosa. Il Paradiso non esiste. Esiste solo l’Inferno”: il Grand Tour di Horace Walpole e di Thomas Gray. Un racconto di Gianluca Barbera
Ormai, francamente, che importa del Premio Strega, come sempre lo scrittore trascende il can can della premiopoli nostrana, è già altrove, alfiere dell’altro, del nuovo. Il romanzo d’avventura – e avventato – di Gianluca Barbera è stato uno dei più incredibili successi della stagione letteraria in corso. Pubblicato da Castelvecchi – non un colosso, come dire – “Magellano” ha solcato con successo i mari del consenso pubblico (ha venduto assai, portandosi a casa, tra l’altro, il Premio Città di Como, il Città di Fabriano, il Premio Scrittori con gusto e conquistando la finale al Premio Costa Smeralda) e di critica (al di là dell’immane rassegna stampa, il libro è stato portato sul ciglio dello Strega da Arnaldo Colasanti, che ne ha scritto così: “Magellano di Gianluca Barbera è una vera sorpresa nel panorama della letteratura italiana contemporanea. Nelle forme apparenti del romanzo storico, è di fatto un libro incessante di avventure e di scoperte, con un gusto libero per il romanzesco e una intensità narrativa che, a tratti, ha dello strabiliante”), anche oltre i confini nazionali (è tradotto in Portogallo e in Brasile). Ora, a un anno di distanza da “Magellano”, Barbera si orienta verso il prossimo romanzo, “Marco Polo”, edito da Castelvecchi, in maggio. L’ho letto in anteprima: Barbera s’insinua nel meraviglioso con agio raro, con malizie narrative da incantatore. Il romanzo è riassunto entro i confini di questa frase, epigrafica: “Sono giunto a dubitare perfino di me, della mia identità; e parecchie notti ho sognato di non essere me stesso, Marco, di averlo incontrato su una pista carovaniera e di essergli stato accanto così a lungo da finire per credermi lui, dopo la sua morte per mano dei predoni. E di prenderne il posto, per tenerlo in vita, e con lui la sua storia, che mai potrà essere dimenticata. Ma chi può dire cosa è vero e cosa è falso. Io meno di tutti; perché ciò che importa è la storia: e quella deve durare in eterno”. Come antipasto al romanzo, pubblico un racconto inedito che esemplifica l’arte narrativa di Barbera. “Grand Tour” (questo il titolo originale) narra il viaggio in Italia di Horace Walpole, lo scrittore de “Il castello di Otranto”, e di Thomas Gray, il poeta dell’“Elegia scritta in un cimitero campestre”. Il viaggio dei due illustri è il pretesto per una serie di avventure emblematiche – strabiliante la gita a Roma, micidiale lo sketch con il ‘Senesino’, cioè Francesco Bernardi, notissimo castrato che ha lavorato a lungo con Händel. Insomma, Barbera si è inventato un nuovo genere, che guarda alla freschezza di Robert Louis Stevenson e alle arguzie di Jorge Luis Borges; fluidità narrativa, cioè, ben assecondata dall’arguzia. Una scrittura per il nuovo tempo. Si sente, leggendo, che Barbera si diverte – per questo, ci divertiamo anche noi.
***
“L’era della velocità e del confort ha scoperto con sempre crescente interesse la seduzione dei viaggi narrati, il fantasioso diletto del viaggiatore sedentario, confinato nella propria gremita solitudine”. Quando viaggiare era un’arte, Attilio Brilli
“Senti un po’ cosa scrive il caro Adam. Sembrano parole tagliate su misura per noi”.
“Il caro vecchio Adam? Ancora scrive?”.
“Eccome. E senti con che maestria lo fa: Contrariamente a quanto si pensa, i giovani che si recano all’estero per compiere la loro educazione al ritorno sono più vanitosi, dissoluti e inetti di quanto sarebbero stati se fossero rimasti a casa”.
“Oh oh” ghignò Thomas.
“Ma non è tutto” continuò Horace. “Senti che affondo: I turisti inglesi a Parigi offrono uno spettacolo indecoroso. Bevono fino a notte fonda, poi tornano a casa barcollando, a meno che non finiscano per inciampare in qualche bordello lungo la strada. E così il resoconto del loro viaggio si riduce all’elenco delle bottiglie scolate e a quello delle avventure da postribolo”.
“Sembra proprio che parli di noi” fece Thomas.
“Quel che gli rode” osservò Horace “deve essere il fatto che un giovane durante il suo apprendistato in Europa rischia di acquisire quella scaltrezza che gli consentirà una volta tornato in patria di tenere testa proprio ai vecchi satiri del suo stampo”.
“Pare che quando fu il suo turno, a Siena, abbia insidiato più di una giovinetta. Circola un gustoso aneddoto che lo ritrae mentre a Firenze seduce una cameriera venuta a recargli in camera una tazza di cioccolata; per di più incinta!”.
“Chi non può più dare il cattivo esempio si consola dispensando cattivi consigli. O qualcosa del genere”. Emise un paio di starnuti.
“Salute”.
“La verità” proseguì Horace “è che Adam ce l’ha con questa moda un po’ fanatica, dobbiamo riconoscerlo, di viaggiare su e giù per il vecchio continente. Oggigiorno si può dire che non vi sia inglese di buona famiglia e di qualche ambizione che non voglia godere dei piaceri offerti da un viaggio in Italia. La guida del Sandy consiglia di attraversare lo Stivale, fino in Sicilia, possibilmente senza mai ripetere lo stesso percorso, godendo di ogni possibile scorcio pittoresco, senza trascurare il più piccolo dei tesori nascosti. E tuttavia disponendo ogni cosa in modo da trovarsi a Venezia nei giorni del carnevale, a Roma per la Settimana Santa, a Napoli per la processione di San Gennaro e a Bologna per i festeggiamenti in onore del Santissimo Sacramento, considerando che Firenze e Siena sono godibili in ogni periodo dell’anno. Che te ne pare?”.
“Ti dirò, non vedo l’ora di scendere da questa portantina. Ho le ossa rotte e il mal di mare. Piano, ragazzo! Così mi fai precipitare di sotto!”.
Il sentiero correva tra terrificanti strapiombi. In lontananza distese di boschi di pino a perdita d’occhio e qua e là giganteschi ammassi di roccia che lasciavano intravedere crepacci dalle cui profondità saliva il gorgogliare di ruscelli. I dieci portantini, scuri di pelle e nodosi, si muovevano agili sul sentiero sconnesso, simili a capre selvatiche, senza spiccicare parola, dandosi ogni tanto il cambio. A Horace e Thomas a tratti sembrava di volare.
“Credi che ci imbatteremo in qualche orso?” fece Thomas, che lo seguiva a poca distanza nella portantina rinforzata, tale da reggere il suo peso.
“Me lo auguro. Renderebbe il viaggio più vivace”.
“Stando alla mappa” lo interruppe Thomas, “tra poco raggiungeremo il valico. Dall’altra parte, se non vi sarà foschia, potremo scorgere il primo lembo di suolo italico; si dovrebbe anche poter distinguere il villaggio di Susa”.
*
In anteprima, mostriamo la copertina del nuovo romanzo di Gianluca Barbera, “Marco Polo”, che sarà edito da Castelvecchi in maggio
Avevano lasciato Lione diretti a Torino otto giorni prima, dei quali quattro solo per guadagnare il versante savoiardo del Moncenisio. Il viaggio era stato abbastanza deprimente, tra locande affollate, facchini, osti, vetturini, questuanti e file ininterrotte di muli che andavano su e giù scampanellando e sollevando un polverone frammisto a escrementi. Dalla Svizzera, come scriveva la guida, si poteva giungere in Italia solo attraverso i passi del Sempione e del San Gottardo, che conducevano a Milano passando per il Lago Maggiore. Oppure attraverso quello del San Bernardo. Provenendo dalla Francia invece, come nel loro caso, era d’obbligo passare per il tortuoso valico del Moncenisio.
Lasciata Lanslebourg, sul versante francese, e giunti ai piedi dell’imponente massa del Moncenisio, avevano dovuto scendere dalla carrozza per consentire che venisse smontata e caricata sui muli. Da lì in poi erano stati trasportati su portantine di fortuna, ricavate legando un sedile di vimini su due robuste barre di legno, sballottati come sacchi tra pendii scoscesi a tratti lastricati di ghiaccio e fiumi da guadare. La carovana, composta da nove muli carichi dei bagagli dei due gentiluomini, procedeva ordinata lungo pestifere mulattiere o sentieri appena segnati, attraverso passi alpini di orrida magnificenza.
Giunti nei pressi di un bosco di conifere si concessero una sosta. Horace scese dalla portantina e liberò il suo spaniel in modo che potesse sgambettare un poco e fare i bisogni. Thomas sedette su una roccia e aprì il suo album da disegno per eseguire qualche schizzo del paesaggio. Dopo essersi acceso un sigaro Horace prese a conversare col postiglione, mentre questi rifocillava i muli con avena e pane raffermo. All’improvviso dal folto del bosco sbucò un lupo che con mossa fulminea azzannò alla gola il povero Toby e prima che potessero impedirglielo sparì tra le rocce trascinandolo con sé.
Horace non poteva credere ai propri occhi. Tuttavia Thomas pareva il più sconvolto dei due. Lasciati cadere a terra album e matita, scattò in piedi.
“Dio mio!” si lasciò sfuggire, in tono lacrimevole, lanciando occhiate nervose qua e là. “Che possiamo fare?”.
“Ben poco, temo” rispose Horace, facendosi il segno della croce e volgendo lo sguardo al postiglione. Non era credente, ma quel gesto gli era sorto spontaneo.
Il postiglione, un uomo che pareva intagliato nel legno di cirmolo, scosse il capo a conferma del fatto che nulla potesse essere fatto per salvare il cane. Non restava che rassegnarsi.
Consumarono un frugale pasto, in rispettoso silenzio, senza alzare lo sguardo dalle gavette.
“Viene da rimpiangere di non aver preso la via che da Nizza porta a Genova” disse Thomas mandando giù l’ultimo boccone. “Pare che il tratto iniziale sia ripido e tortuoso e attraversi monti da incubo. Poi però la strada corre lungo il litorale e, stando alla guida, si aprono scorci di incredibile bellezza, tra i borghi di San Remo, Ventimiglia e Bordighera”.
“Così dicono” rispose Horace, lo sguardo perso nel vuoto.
“Oppure avremmo potuto optare per la via di mare, a bordo di una feluca” continuò Thomas.
“Già. E invece, per voler dar retta al Sandy, abbiamo scelto questa maledetta via” sbottò Horace.
“Chissà che non sia d’ispirazione per il tuo romanzo” azzardò Thomas.
Siccome l’altro non si decideva a rispondere, insistette: “A che punto sei?”.
“A buon punto”.
“Hai già scelto il titolo?”.
“Mhm… Il castello di Otranto” bofonchiò qualche istante dopo Horace, continuando a masticare e sempre fissando davanti a sé.
“Di che parla, se posso chiedere?”.
“Una complicata storia di spettri” disse laconico Horace. Non si sbottonava mai riguardo ai suoi scritti. Era sempre così pieno di riserbo, addirittura di mistero. A maggior ragione in quel frangente.
“Recitami qualche verso della tua elegia” aggiunse un attimo dopo. “Mi farà un gran bene”.
“D’accordo” fece Thomas deponendo gavetta e posate sulla tovaglia stesa sul prato e cavando dalla bisaccia un fascio di fogli; trovato quello giusto cominciò a leggere con la voce incerta che gli spuntava ogni volta che leggeva un suo componimento:
“Sotto gli olmi frondosi, all’ombra dei tassi – là dove troneggia la zolla come su sparse rovine – dormono gli avi del villaggio, nei loro loculi li avvolge l’eterno riposo. Mai più li sveglieranno nel letto mattini luminosi e pieni di promesse, odoranti d’incenso e di aria pura, non gli infiniti garriti delle rondini sotto i tetti di paglia, né il canto del gallo, e nemmeno l’eco di un corno. Mai più nel focolare arderà per loro un grosso ceppo; nessun bambino correrà ad avvisare che il babbo è sulla via del ritorno, o sulle sue ginocchia andrà a sedersi per il sospirato bacio…”.
Si udì un ululato; poi un secondo, un terzo.
“Meglio rimettersi in viaggio” disse il postiglione nel suo stentato inglese.
*
Gianluca Barbera insieme a João Neto, direttore del Museu da Farmàcia di Lisbona, dove lo scrittore ha recentemente presentato “Magellano”
Giunti sul versante italiano ed espletate le formalità doganali iniziarono la discesa. Fortunatamente passaporti, visti d’ingresso e bollettini sanitari erano in regola. Non appena il sentiero lo consentì fu rimontata la carrozza e quando il viaggio poté riprendere i due gentiluomini tirarono un sospiro di sollievo. Lungo un tratto in salita però i muli si misero di traverso e malgrado le sferzate non vollero saperne di avanzare. Trovandosi sull’orlo di un precipizio Horace e Thomas scesero dalla carrozza, giusto in tempo per non finire di sotto. I muli difatti rincularono di colpo e carrozza e animali rovinarono giù per la scarpata. Per fortuna dopo una decina di metri la corsa delle due bestie si interruppe contro una barriera di arbusti. Un po’ smarrite, si rialzarono e come se nulla fosse presero a pascolare. Le condizioni della carrozza invece, che aveva continuato a rotolare fino a sbattere contro un grosso masso, erano pessime: un paio di ruote fracassate oltre all’assale spezzato.
Pochi minuti dopo, mentre il postiglione cercava di riparare il riparabile scoppiò un temporale. Calavano le prime ombre della sera. Trovarono riparo in una grotta. Horace e Thomas si tolsero galosce e waterproof grondanti e trassero dal nécessaire l’occorrente per preparare un tè alla vaniglia. Il postiglione accese un fuoco attorno al quale tutti presero posto allungando le mani verso la fiamma. Non appena le condizioni del tempo lo permisero, caricarono i muli a più non posso e proseguirono a piedi. Ben presto si fece buio pesto. Il postiglione si apriva la strada con una torcia. A un tratto si udì una voce: “Altolà!”.
Horace mise mano alla pistola e alzò il cane.
“Chi siete?” disse la voce in inglese.
“Gentiluomini diretti a Susa” fece Horace. “E voi?”.
“Anche noi” disse la voce. “I nostri cavalli sono fuggiti piantandoci in asso”.
“Fatevi avanti e lasciatevi riconoscere”.
Il postiglione nel frattempo era avanzato di qualche passo con la torcia, illuminando il volto di due individui dall’aria distinta e un poco spaventata.
“Permettete che ci presentiamo” disse uno di loro. “Io sono Dominique Vivant Denon, modesto studioso d’arte, e questi è monsieur Louis Ducros, valente pittore”.
Ci fu uno scambio di convenevoli e galanterie.
“Se poteste aiutarci a recuperare le cartelle coi nostri disegni” disse Ducros “ve ne saremmo grati. Anche se temo che il temporale li abbia assai malridotti, se non del tutto guastati. Stiamo raccogliendo materiale per un libro destinato a viaggiatori curiosi e ad appassionati di bellezze artistiche e rarità archeologiche”.
“A quest’ora?” domandò Thomas.
“Siamo stati sorpresi dal temporale, proprio come voi, immagino”.
I quattro gentiluomini si scambiarono una quantità di sorrisi.
“Se volete possiamo guidarvi fino al paese, non è lontano. Appena un paio di miglia. Conosciamo la strada e visto che avete la torcia sarà un gioco da ragazzi”.
“Dove alloggiate?”.
“Alla Locanda del Grifone”.
“Anche noi” fece Horace. “Ci concederete l’onore di avervi ospiti a cena?”.
I due francesi si scambiarono un’occhiata.
“Con piacere” disse Denon.
*
Più tardi si ritrovarono, asciutti e ripuliti, nella sala comune per condividere una cena a base di cacciagione, pollame, cavolfiori lessati e pane nero; il tutto annaffiato da vino rosso tanto abbondante quanto scadente.
Il fuoco divampava nel caminetto, mentre il girarrosto continuava a cigolare, lo spiedo carico di carni sfrigolanti. Alle pareti era appeso di tutto: da piatti di terracotta e di stagno a finimenti per i cavalli; mentre dal soffitto a travi pendevano prosciutti, pezzi di lardo, pentole, ceste di vimini, gabbiette per uccelli. Un tanfo di cavolfiore saturava l’aria. Agli altri tavoli sedevano turisti di varie nazionalità, oltre ad avvocati di passaggio, commercianti e uomini di fatica.
“Immagino viaggiate muniti di lettere di presentazione” disse Denon vuotando il bicchiere con uno schiocco delle labbra.
“Ne abbiamo quante ne volete” rispose Horace. “Da qui all’Islanda, nel caso ci venisse la fregola”.
“Molto bene. Mi raccomando” proseguì Denon in vena di consigli, “non mancate di dare una lauta mancia allo stalliere o ne vedrete delle belle. Circola voce che lo scrittore Tobias Smollet, vostro connazionale, mentre si trovava a Buonconvento, località non lontana da Siena, proprio dove all’imperatore Arrigo VII fu servita un’ostia avvelenata, rifiutò di dare la mancia lo stalliere; e questi, per vendicarsi, la mattina seguente attaccò alle tirelle della carrozza due cavalli giovani e focosi, i quali alla prima curva a gomito li trascinarono, carrozza e bagagli, giù per un dirupo”.
“E un’altra cosa” intervenne Ducros. “Fate attenzioni alle maestranze. Qui sembrano tutti in combutta tra loro per defraudare i viaggiatori stranieri”.
“Noi siamo persone di manica larga, vero Thomas” disse Horace dando di gomito all’amico. “Se si vuole viaggiare senza preoccupazioni bisogna saper allentare il cordone della borsa, all’occorrenza. O si viaggerà male, esponendosi per di più al disprezzo dei villici e perfino a quello degli altri turisti. Nella peggiore delle ipotesi poi si andrà incontro a guai seri. Dico bene?”.
“Perfettamente d’accordo” fece Denon. “È senz’altro il modo migliore di viaggiare nel continente, se si vuole essere rispettati e avere accesso nei luoghi più esclusivi. Suppongo disponiate di avvisi di pagamento e lettere di credito presentabili nelle banche dei vari Stati della penisola. Da questi parti vi è un tale caos di monete da perderci la testa: ducati, zecchini, fiorini, paoli, testoni, scudi, pistole…”.
“Naturalmente” si affrettò a rispondere Thomas.
“Che accordi avete col vostro postiglione, se posso chiedere?” domandò Ducros portando il bicchiere alle labbra.
“Che accordi abbiamo? Su, diglielo” fece Horace rivolto all’amico.
“Abbiamo concordato venti sterline a testa” disse quello, “più una mancia se ci riterremo soddisfatti: in cambio godremo di due pasti al giorno, una stanza riscaldata e un comodo letto. Questo fino a Roma”.
“Niente male” fece Denon. “Vi accorgerete che da queste parti i pedaggi doganali sono una vera calamità: ogni città o contrada impone il suo, a vario titolo. I doganieri poi sono tutti corrotti. Pensate che a Foligno un vecchio doganiere si mise a perquisire la carrozza con zelo, pronto a opporre chissà quale intoppo burocratico; questo finché non gli allungammo una moneta. Siccome era tenuto d’occhio da un superiore sulle prime fece finta di non vederla; posò però con una scusa il cappello rovesciato sul sedile e di soppiatto mi sussurrò: Nel cappello, prego”.
Risero di gusto.
“Badate in ogni caso di non presentarvi nelle locande a tarda ora” s’intromise Ducros “o rischierete di non trovare più nulla di commestibile. Questa locanda è un’eccezione, vi assicuro. Senza contare che spesso queste stamberghe sono così affollate che sembra di stare a Parigi. In una sala come questa potete vedere riuniti principi tedeschi, gentiluomini inglesi, esuli polacchi, dame napoletane, vecchie cortigiane provenienti dai più disparati angoli del continente in cerca di brividi; e poi plebaglia, magnaccia, briganti e soldataglia in preda all’ebbrezza alcolica”.
“Fate attenzione soprattutto ai vetturini” fece Denon quasi sobbalzando. “L’ultimo che abbiamo ingaggiato aveva il gusto della velocità. Pensate che scendendo da Radicofani, amena località nelle crete senesi, la strada si fece a un tratto così erta e lui sferzava a tal punto i cavalli, già infoiati di loro, che sembrava di volare. A ogni tornante era come se, a causa della velocità, la carrozza fosse sul punto di spiccare il volo. Altre volte, dopo una curva a gomito, si aveva la sensazione di precipitare nell’abisso. Senza contare che i finestrini non serravano bene, perciò entravano nella carrozza spifferi gelidi da tramortirci. A un certo punto, dal fatto che viaggiavamo sul lato sbagliato della strada, ci accorgemmo che il cocchiere si era addormentato e la carrozza correva senza guida. Che sarebbe accaduto se avessimo incontrato una carrozza proveniente dalla direzione opposta, magari subito dopo una curva? Per fortuna tutto filò liscio!”.
“Per non parlare di ciò che abbiamo visto passando per Pozzuoli” intervenne l’altro. “All’ingresso di un bosco scorgemmo decine di teste mozzate appese a dei pali sui lati della strada. E una infinità di membra umane bruciacchiate e penzolanti dai rami degli alberi. Così per mezzo miglio. Il postiglione ci spiegò che si trattava di briganti giustiziati dalle guardie regie”.
“Non bisogna dimenticare” tenne a mettere in chiaro Denon “che un viaggio in Italia, come ha osservato acutamente Herr Bruen, dopotutto è da paragonarsi al corso della vita umana, coi suoi alti e bassi, le sue gioie e le sue atrocità. La pianura padana e la valle dell’Arno incarnano l’età giovanile. Roma rappresenta l’età matura. A Napoli si confà la tarda età. E infine i templi di Paestum, dove le fatiche del viaggiatore giungono al termine, sono lì a simboleggiare l’eterno riposo. È a Paestum che le guide suggeriscono di concludere il viaggio in Italia. Di là in poi… sunt leones!”.
*
La conversazione proseguì su quei toni ancora per parecchio. Poi le due coppie presero congedo l’una dall’altra. Ogni stanza era munita di bacinella con brocca di terracotta, un asciugamano, uno specchio, un bacile per i piedi e una stufa di maiolica. La finestra affacciava sui monti, a quell’ora invisibili. I letti si componevano di due spessi materassi uno sull’altro. Lenzuola e federe apparivano sorprendentemente pulite: niente cimici, pidocchi o scarafaggi. Tuttavia Horace e Thomas, come d’abitudine, lasciarono cadere sul guanciale alcune gocce di essenza di lavanda e versarono nella caraffa un po’ di acido vitriolico per disinfettare l’acqua. Se qualcuno avesse dato una sbirciata al contenuto delle loro valigie non avrebbe creduto ai propri occhi; pareva si fossero portati dietro un pezzo di casa propria: da capi di vestiario adatti a ogni stagione a una piccola ma ben fornita dispensa, da una biblioteca da viaggio alla quale non mancava nulla di ciò che ogni gentiluomo inglese avrebbe ritenuto necessario per affrontare un simile viaggio a una farmacia portatile. Perfino un vaso da notte e una zanzariera.
Il sonno, favorito dall’infuso ai fiori di arancio sorbito un attimo prima di coricarsi, li avvinse ben presto. Seguendo i consigli della guida, si addormentarono senza togliersi pantaloni e panciotto; e con un pugnale sotto il cuscino.
L’indomani il loro umore era eccellente: a svegliarli era stato il canto degli uccelli. La colazione fu sostanziosa e passabile, e il viaggio poté riprendere sotto i migliori auspici.
Lasciatisi alle spalle il Moncenisio attraversarono la pianura piemontese, visitarono Torino, che a dispetto dei suoi viali trovarono piatta e monotona al pari del contegno dei suoi abitanti. Ebbero modo di visitare il palazzo Reale, traboccante di specchi e dorature, e la Reggia di Venaria, residenza di campagna della famiglia regnante. Qualche giorno dopo furono a Milano, che per chi cala dal Nord, come ebbe a dire un grande letterato di cui ci sfugge il nome, appare come “l’ultima delle capitali prosaiche piuttosto che la prima di quelle poetiche”. Il Duomo fece loro l’impressione di opera informe nonché di sfacciato omaggio a culti pagani. Non poterono tuttavia non apprezzare la comodità delle vie cittadine e il fascino dei cortili interni dei palazzi. Una puntatina a Genova li convinse che gli edifici più recenti e meglio esposti, con le loro facciate inondate di luce, valevano ben più dei marmi di cui erano rivestiti i palazzi più antichi. L’aspetto pittoresco del porto non li lasciò indifferenti. Trascurata Bologna e attraversati gli Appennini giunsero nella città del Giglio, che stando alla guida era da considerarsi “la più dolce città che esista sulla terra”, “l’Italia dell’Italia”. A tal punto ne furono conquistati che decisero di prolungare il soggiorno per tutta l’estate, trascorrendo intere giornate agli Uffizi, nel Giardino di Boboli o nelle pittoresche osterie sul Lungarno, sforzandosi di imparare qualche parola di toscano. Furono ricevuti al consolato dal celebre Horace Mann, che mostrò loro la sua impareggiabile collezione d’arte e di antichità. Dopo il torpore di Pisa fecero esperienza fugace della operosità di Lucca e della mollezza delle sue stazioni termali, nonché della parlata di Siena, “il più soave e perfetto tra gli idiomi italici”.
*
Giunti nei pressi di Radicofani, bussarono alla porta dell’unica locanda nel raggio di molte miglia, la quale si rivelò sprovvista di tutto.
“Che colpa ne ho!” fece l’oste allargando le braccia, con la cantata tipica del luogo. “Proprio questa mattina è passato di qui il Principe di Sassonia e ci ha ripuliti di ogni bene. Per la sua carrozza e per quelle del seguito ha preteso che gli mettessimo a disposizione tutti i cavalli di posta; e non è tutto: ha pensato bene di mandare avanti il suo corriere per riservare anche quelli delle stazioni successive, non trascurando di impegnare le stanze delle migliori locande lungo il tragitto”.
“Ma almeno posto per dormire ne ha?” domandò Horace.
“Nemmeno quello. Il Principe ha occupato tutte le stanze e ha dato fondo alle nostre scorte di cibo”.
“Una bella impudenza. E ora che facciamo?”.
L’oste allargò di nuovo le braccia. “Se vi adattate, posso sistemarvi nelle stalle”.
“E che ci darà da mangiare: la biada per i cavalli?”.
Proprio in quel momento entrò nel cortile una carrozza, da cui scese un ciccione avvolto in una rossa mantella a ruota, il capo sormontato da un turbante bianco che faceva l’impressione di un gigantesco giglio.
“Quello è il Senesino” fece l’oste sottovoce. “Immagino ne abbiate sentito parlare”.
Come potevano non conoscerlo? Si trattava del più celebre castrato d’Europa, noto in tutte le corti per la voce sublime.
Salutato l’oste e preteso di sapere che cosa affliggesse i due, li invitò senza tanti preamboli a pernottare da lui.
“Non accetto rifiuti” precisò. “Possiedo una modesta tenuta da queste parti. Sono passato di qui per approvvigionarmi di vino: una bella fortuna per voi, aver trovato un salvatore a quest’ora della notte!”. E affibbiò una pacca sulla spalla a Thomas, che traballò.
L’immensa mole di Senesino faceva a pugni con la vocetta da donna che lo aveva reso celebre.
Fattili accomodare in carrozza, dopo aver atteso che venissero caricate sull’imperiale un paio di botti di vino da prezzo, Senesino diede ordine al cocchiere di partire, anzi di “volare”. Era un tipo fin troppo allegro e cordiale per i gusti dei due gentiluomini, e decisamente chiassoso. Giunti alla sua “modesta” tenuta, che in realtà aveva la solennità e l’imponenza di un castello turrito di costruzione duecentesca, offrì loro una lauta cena e li intrattenne con aneddoti gustosi.
“Siete stati fortunati a incontrarmi” tornò a ripetere. “Non è consigliabile dormire in certe locande, da queste parti. Il nuovo proprietario è senz’altro un brav’uomo, ma l’ostessa che lo ha preceduto non lo era affatto. Pare fosse una specie di fattucchiera e che, in combutta col prete della vicina parrocchia, avesse l’abitudine di gettare gli ospiti in un pozzo dopo averli spogliati dei loro averi. Bisogna guardarsi dall’ostentare ricchezze, quando si viaggia. O si rischia di finire in un fosso con il collo spezzato. Comunque, checché se ne dica, l’Italia resta, come ebbe a osservare un grand’uomo di cui non mi sovviene il nome, il Paese che ha reso civile il mondo insegnando cosa significhi essere Uomo. Spero ne conveniate” concluse, riempiendo di nuovo le coppe.
I due inglesi aggrottarono le sopracciglia scambiandosi un’occhiata carica di significato. Un significato che però non poteva essere colto dal Senesino, tutto preso da se stesso come sempre gli capitava.
“Siete qui per curare la malinconia, se posso chiedere?” fece addentando una coscia di tacchino. “O semplicemente per fare esperienza?”.
“L’uno e l’altro” rispose Horace.
“E altre cose ancora” intervenne Thomas, allusivo.
“Capisco” fece Senesino, nascondendo un risolino con la mano.
“Viaggiare ritempra la mente” aggiunse Horace tutto serio.
“Non c’è dubbio” confermò il celebre castrato. “Spiace però notare come molti inglesi abbiano una pessima opinione degli italiani. Se proprio devono rivolgere loro un complimento, non si spingono mai oltre il considerarli delle creature pittoresche e passionali”.
“Non è il nostro caso, vero Horace” fece Thomas quasi spaventato.
“Naturalmente. Sarebbe sciocco viaggiare su quei presupposti. Ogni uomo avveduto è mosso dal desiderio di osservare abitudini e costumi diversi dai propri, non dalla smania di metterli in ridicolo” sentenziò Horace, non senza un pizzico di malizia.
“Eppure si sente spesso dire che nessun inglese si soffermerebbe a visitare un luogo il cui nome non sia sulla bocca di tutti: è così?”.
“Mi pare una esagerazione” fece Thomas.
“Da Roma passerete, immagino. Ne torno ora. Mi sono esibito davanti al Papa. Il Santo Padre era estasiato. Mi è stato assicurato che le sue gote si sono rigate di lacrime”.
“Come si potrebbe non vedere Roma” fece Horace in tono quasi scandalizzato.
La Città Eterna rappresentava in effetti il momento culminante del loro viaggio. Eppure niente li aveva preparati a ciò che li attendeva.
Ben presto la conversazione languì, le brocche di vino si svuotarono e il castrato, dopo aver intonato un paio di arie di Monteverdi, li fece accompagnare dal domestico nelle stanze preparate per loro.
*
Alle prime luci dell’alba furono svegliati da un trambusto. La servitù correva avanti e indietro lungo i corridoi in preda all’agitazione. Abbigliatisi come si conviene e senza fretta lasciarono le loro stanze giusto in tempo per esser informati che il padrone di casa nella notte era defunto a causa di un attacco di cuore. Dopo aver contemplato brevemente l’immane corpo del cantante lirico disteso sul grande letto a baldacchino, circondato da uno stuolo di dottori e domestici, scegliendo le parole più opportune trovarono il modo per lasciare quella casa al più presto e riprendere il viaggio lungo la Francigena, puntando verso Bolsena, cui rivolsero uno sguardo distratto, e Viterbo.
Sebbene i due non fossero facili all’emotività né avvezzi alla libera espressione dei sentimenti, la commozione che li toccò alla vista della Città Eterna non ebbe eguali e li lasciò pressoché tramortiti.
In verità finché non giunsero a Ponte Milvio non si resero conto che si stavano avvicinando a una grande città. Appena varcata Porta Flaminia però il quadro mutò: un viavai di carrozze e una folla eterogenea di persone a passeggio si materializzò davanti ai loro occhi. Il pittoresco albergo nel quale trovarono alloggio, su indicazione del corriere cui si erano affidati, era situato in un vicolo ombroso di Trastevere. Ma oltre quel vicolo un mondo intero si spalancava da ogni parte, rigurgitante di vita. Non si aspettavano tanto brio né tanta solarità; si erano sempre immaginati Roma come un museo a cielo aperto, pieno di vie ed edifici deserti e silenziosi.
Le prime settimane furono dedicate a visitare basiliche, ville, collezioni d’arte, siti archeologici. Poi però si lasciarono risucchiare dall’anima segreta della città. Percorrevano le vie cittadine in estasi aspettandosi da un momento all’altro di veder apparire da un portone o da dietro l’angolo re, imperatori, papi, discendenti dei Cesari. Sotto la luce lunare il Colosseo pareva risuonare delle grida dei gladiatori, dei ruggiti delle bestie feroci e dell’incitamento della folla. Si fecero ritrarre davanti all’arco di Tito. La Cappella Sistina finì per ubriacarli. Da ogni parte, verso il cielo, s’innalzavano cupole, torri, colonne, obelischi. Era, quello in cui si trovavano, un mondo incantato, popolato di spettri che camminavano accanto a persone reali, ignorandosi reciprocamente. Come tra spettrale e reale era il suono delle campane che rintoccavano a tutte le ore, dalle centinaia di chiese dell’Urbe.
“Mentre si trovava nei Paesi Bassi” raccontò Horace durante una delle loro passeggiate, “a un mio amico capitò più volte di addormentarsi all’interno di una cattedrale. Un giorno il suo accompagnatore, un giovane pittore amante di Rubens, gli picchiò sulla spalla facendolo sobbalzare: ‘Amico mio’ disse, ‘piuttosto che viaggiare per le Fiandre in cerca di luoghi in cui addormentarvi, fareste meglio a imbarcarvi all’istante e sonnecchiare fino all’arrivo in Italia’. All’epoca non compresi appieno il senso di quelle parole. Ora sì”.
*
Una sera, al cospetto della basilica di San Pietro, ebbero una visione, entrambi e simultaneamente, proprio come se vivessero un’esperienza comune.
Davanti a loro, dietro il colonnato del Bernini, videro aprirsi una botola che conduceva nel sottosuolo. Pareva l’ingresso di un forno per cuocere il pane. Per nulla spaventati, si avvicinarono. Da quell’apertura si dipartiva un cunicolo molto stretto e buio.
“Entriamo?” domandò Horace.
“Come potremmo non farlo” rispose l’amico, “dal momento che questo varco si è spalancato proprio per noi”.
Scesero lungo una scala di ferro fissata alla parete di tufo fino a una sorta di vestibolo circolare del diametro di quattro o cinque metri. Di fronte a loro si aprivano due gallerie. Guidati dall’istinto imboccarono quella di destra. Chinando il capo procedettero ingobbiti, trovandosi ben presto a muovere i piedi su uno strato di melma e di immondizia, le narici trafitte da un odore pestilenziale e un fitto squittire di ratti.
Nei loro petti cominciò ad ardere un fuoco violento, tale da scuoterli. L’aria cominciò a mancare, i polmoni faticavano a pompare. Poco dopo però sbucarono in una vasta radura illuminata da un corteo di stelle e dalla luna più vasta che avessero mai visto. E lì, in quel vasto anfiteatro naturale, cinto da un bosco di faggi e betulle, si dibattevano le anime dei dannati, puniti con pene variabili a seconda della colpa. Un angelo dalle ali di luce comparve e si avvicinò sfiorando i loro volti.
“Quelli laggiù” disse “sono puniti con la perdita di Dio”.
Horace e Thomas si voltarono e videro un gruppo di uomini nudi e stesi a terra, con la faccia conficcata nella melma, scossi da convulsioni.
Horace fu sul punto di formulare una domanda ma, incrociando lo sguardo dell’angelo, si trattenne.
“Seguitemi” disse la creatura alata, e si mosse per un sentiero che attraversava la radura spaccandola a metà. “Questi altri sono azzannati da continui rimorsi di coscienza” fece indicando una massa di dannati dai corpi ricoperti di ferite e pustole. “Mentre quelli là sotto” continuò puntando il dito in direzione di una voragine nel terreno “sono tormentati dalla consapevolezza che la loro sorte non potrà mai mutare… Quelli invece che vedete appesi a testa in giù ai rami degli olivastri soffrono a causa di un fuoco perenne che consuma la loro anima: un fuoco puramente spirituale, beninteso, acceso dall’ira di Dio. Tra poco incontreremo le anime di coloro che vivono nell’oscurità, afflitti da un soffocante fetore. Sappiate però che tutte le anime dei dannati, benché sia buio, sono in grado di vedersi fra loro ed è come se sperimentassero anche il male che tocca agli altri, oltre che il proprio”.
Tacque, grattandosi sotto l’ala destra. Poi riprese: “Verso il fondo della radura incontreremo altre pene tremende, tra cui quella consistente nella compagnia continua di Satana, e quella della disperazione dovuta all’odio di Dio”.
Anche Thomas fu sul punto di dire qualcosa, ma l’angelo fece segno di pazientare.
“Vi sarete accorti che, oltre alla pena spirituale, ogni anima patisce una pena corporale”.
“Ci hai parlato delle pene” disse a quel punto Horace, con una certa impazienza nella voce. “Ma non ci hai detto nulla delle colpe”.
Al che l’angelo lo guardò sorridendo, pieno di una comprensione infinita: “Siamo tutti colpevoli di qualcosa. Nessuno scamperà dall’inferno. Il paradiso non esiste. Solo l’inferno esiste. E questo non per volontà di Satana, ma del Signore Dio Nostro. Così egli ha stabilito. Nessuno sa perché”.
A quel punto Horace e Thomas furono colti da un violento capogiro che li stese a terra privi di sensi. Al risveglio naturalmente l’inferno era svanito e per loro fu facile credere di aver sperimentato un’allucinazione condivisa; forse per via dell’assenzio di cui quella sera avevano fatto uso smodato.
*
Si concessero comunque di respirare a pieni polmoni quell’atmosfera rarefatta per altri quattro mesi, abbandonandosi a eccessi in taverne, fumerie e lupanari, incapaci di rimettersi in viaggio e lasciarsi alle spalle quell’altrove. Ma poi qualcosa di prosaico venne a infrangere quel sogno a occhi aperti: le loro risorse finanziarie cominciarono a esaurirsi; divenne pertanto necessario occuparsi dei preparativi per la partenza. Così, una incerta mattina di marzo si rimisero in viaggio, col cuore dolente, senza fretta. Superate le paludi Pontine, e passando frettolosamente, come ciechi, per Velletri, Cisterna, Terracina, Capua, Aversa, tra boschi di olivi, cespugli di mirto, ficaie, filari di olmi invasi da tralci di vite e ordinate distese di campi coltivati, si concessero due settimane di cura disintossicante. Napoli, che per numero di abitanti a quell’epoca superava Londra e Parigi, sembrò loro una terra di mezzo tra l’inferno e il paradiso, un luogo bacchico dove dissolutezza, superstizione, malizia, allegrezza e passione la facevano da padroni in una imprevedibile mescolanza. La dolcezza della baia, la vivacità della parlata, la caoticità dei mercati, la vitalità notturna delle vie cittadine, percorse a ogni ora da carrozze dirette a qualche ballo o festa, la dolcezza dei sorbetti, la piacevolezza delle sale da caffè: tutto ciò li volse in un perenne stato di sbigottimento. Vagarono ebbri per le campagne circostanti, visitarono il lago d’Averno, la solfatara, la grotta di Caronte e quella della Sibilla, Ercolano, Pompei; compirono una breve escursione sulle pendici del Vesuvio. Paestum, invece, li immalinconì. Oltre non osarono spingersi, temendo la mancanza di strade o le pessime condizioni delle poche esistenti, nonché lasciandosi scoraggiare dalle esagerazioni sulla ferocia dei briganti che infestavano il Meridione.
Risalendo dunque la penisola, giunsero in pochi giorni in Umbria, dove si lasciarono contagiare dal fascino di Perugia, Spoleto, Assisi, Narni, Papigno. Si trattennero a contemplare la cascata delle Marmore, presso Terni, e le fonti del Clitumno, lungo la Flaminia. Guadagnata di nuovo Foligno e, imboccato il passo di Colfiorito, discesero verso Tolentino e Macerata, fino al santuario di Loreto, che non fece loro alcuna impressione particolare. Percorsero il litorale adriatico fino ad Ancona e s’inoltrarono nei territori delle Romagne, fino a Rimini, senza trascurare una puntatina a Ravenna. Sostarono due giorni a Bologna per ammirare le opere di quella rinomata scuola pittorica. Ferrara apparve loro come una donna velata, triste e solitaria, rimasta vedova in giovane età. Venezia, col suo passato splendore di cui ancora recava tracce spettrali, li riempì di ebbrezza e di disgusto al tempo stesso: i suoi eccessi, piazza San Marco, il Rialto, la sua laguna e i grandi palazzi incantati, affacciati sui canali: ogni cosa risuonava di note dolci ma un poco stonate. Come ebbe a scrivere un grande viaggiatore, Venezia somigliava a “un fantasma sulle sabbia del mare, immobile e spoglia di tutto tranne che della propria grazia; quasi un sogno a occhi aperti non ancora svaporato del tutto”.
Osservando la città specchiarsi sulle acque della laguna Thomas si domandò quale fosse la città e quale l’ombra, ricordandosi di aver letto qualcosa di simile su un libro di memorie coperto da uno strato di polvere. Alcuni giorni dopo fu la volta di Padova: se le sue vie e la sua università evocarono loro immagini di decrepitezza, la cappella affrescata da Giotto li mandò in visibilio. Verona e Vicenza li ristorarono da ogni affanno grazie alla maestosità dell’anfiteatro romano e alla grazia delle architetture palladiane. E poi di nuovo sulla strada per Milano e Torino, fino al Moncenisio e ai valichi alpini, pronti a lasciarsi alle spalle quella straniante terra ritenuta “culla di civiltà e di oblio”, diretti in un turbinio di emozioni a Lione e alla fertile terra di Francia. Dove però non giunsero mai. Una immensa valanga discesa dal ghiacciaio sovrastante li colse mentre percorrevano l’impestato sentiero del Muraglione, tra dirupi e boscaglie infinite. I loro corpi non furono mai ritrovati. Il manoscritto del Castello di Otranto e quello dell’Elegia scritta in un cimitero di campagna, miracolosamente sì. Per di più in ottimo stato. Forse un modo per ricordarci che l’arte ci sopravvive?
Le fonti, chissà come, ci ricordano che questo fu l’ultimo scambio di battute pronunciato, senza scomporsi, dai due un attimo prima di finire sepolti vivi.
“È la fine, caro Horace”.
“È appena l’inizio, vorrai dire”.
“Come sempre, hai ragione tu”.
Due perfetti gentlemen.
Eppure un’altra versione della storia assicura che i due non perirono affatto lungo il cammino tra le Alpi; ma che al contrario, poco dopo il loro arrivo a Roma, si separarono tra gli insulti a causa di un violento alterco occorso per di più in un lupanare; e, quel che è peggio, per una squallida vicenda di denaro. A voi prestar fede alla versione che preferite. Quanto a me, tengo per buona la prima.
Gianluca Barbera
L'articolo “Siamo tutti colpevoli di qualcosa. Il Paradiso non esiste. Esiste solo l’Inferno”: il Grand Tour di Horace Walpole e di Thomas Gray. Un racconto di Gianluca Barbera proviene da Pangea.
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Dopo il terzo anno dalla sua inaugurazione, il centro eventi Il Maggiore di Verbania per il 2018 – 19, proporrà una stagione ricca di appuntamenti che vanno dalla prosa alla danza, dai musical alla lirica, fino alla commedia, con artisti come Giuseppe Fiorello, Simona Marchini, Paolo Calabresi, il Classic Russian Ballet, Claudio Insegno, Elio (delle Storie Tese), Gabriele Cirilli, Giampiero Ingrassia, EgriBiancoDanza, Michele Mirabella, l’orchestra cinese NINGBO Symphony Orchestra, l’Opera di Budapest, Roberto Ciufoli, Gianluca Gobbi, Alessio Boni, Enrico Bertolino.
Una novità di quest’anno saranno i progetti dedicati alle formazioni dei giovani, con produzioni che li vedranno coinvolti direttamente sul palcoscenico, oltre alla collaborazione con alcune realtà produttive importanti come il Teatro Nuovo di Milano, per la stagione Musical, e con la Compagnia degli Ipocriti/Melina Balsamo di Napoli, che per la prima volta al Teatro Maggiore terrà un debutto nazionale con lo spettacolo di Jasmine Reza Bella Figura, con Anna Foglietta, Anna Ferzetti, Simona Marchini, Paolo Calabresi, David Sebastiano e la regia di Roberto Andò, che debutterà il 16 ottobre.
Il 6 novembre ci sarà Penso che un sogno così, con Giuseppe Fiorello nel ruolo di Domenico Modugno, regia di Giampiero Solari, poi il 6 dicembre uno dei classici pirandelliani, Il berretto a sonagli con Sebastiano Lo Monaco e Marina Biondi.
Il 23 gennaio 2019 arriverà Alessio Boni in Don Chisciotte, tratto dal romanzo di Miguel de Cervantes, con la regia di Alessio Coni, Roberto Adorai e Marcello Prayer e il 15 febbraio 2019 il Don Giovanni di Molière, produzione del Teatro Stabile di Torino e la regia di Valerio Binasco, direttore artistico dello Stabile.
Per il 2018 – 19 il calendario della Prosa terminerà il 21 marzo 2019 con Regalo di Natale, tratto dal film di Pupi Avati, con Gigio Alberti, Gennaro Di Biase, Filippo Dini, Giovanni Esposito, Valerio Santoro, regia di Marcello Cotugno.
Una novità importante sono i quattro musical prodotti dal Teatro Nuovo di Milano, che partiranno il 23 ottobre con La febbre del sabato sera, con la regia di Claudio Insegno, seguirà il 28 novembre Spamalot, tratto da Monty Python e il sacro Graal, con nel ruolo di Re Artù, Elio Belisari, lo storico front-man delle Storie Tese.
Gabriele Cirilli, il 17 febbraio 2019, sarà Gomez, il capofamiglia della Famiglia Addams, mentre per il 12 marzo 2019 arriverà Hairspray grasso è bello, con Giampiero Ingrassia.
Per la danza la Compagnia EgrBiancoDanza proporrà un ricco calendario di spettacoli, con un programma d’incontri e conferenze tematiche dedicati al pubblico e spettacoli per le scuole.
In occasione dell’anno Rossiniano, la stagione del Maggiore verrà inaugurata il 5 ottobre con Tourdedanse a la Rossini, un mix di danza neoclassica e moderna dedicato al grande compositore, con l’Orchestra dal vivo Camerata Ducale.
Il 23 febbraio 2019 ci sarà Prometeo oltre il fuoco, dove quattro affermati coreografi di fama internazionale, con vari stili coreografici, racconteranno il mito di Prometeo paladino dell’umanità e il 30 marzo 2019 è previsto Apparizioni di Raphael Bianco, sul tema dell’apparizione e della percezione della realtà in tutte le sue forme.
Per concludere, il 25 maggio 2019, ci sarà il Sogno di una notte di mezz’estate, una performance itinerante nel Teatro il Maggiore, dove spazi e anfratti saranno la scenografia di una versione danzata del capolavoro Shakespeariano, in cui canto, prosa, danza e musica dal vivo s’intrecciano.
Per la danza classica, giovedì 17 gennaio 2019 ci sarà Lo schiaccianoci di Ciaikosvsky, con il Classic Russian Ballet.
Inoltre c’è un nuovo progetto per il Maggiore, Invito alla lirica, dove Michele Mirabella, grande esperto di musica e regista di opera, racconterà quattro opere significative del tempo in cui sono state create, musicate e cantate, con quattro cantanti lirici e accompagnato al pianoforte dal maestro Enzo Sartori.
Il 15 dicembre ci sarà Il barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini, il 26 gennaio 2019 Elisir d’amore di Gaetano Donizetti, il 2 marzo 2019 La Traviata di Giuseppe Verdi, il 6 aprile 2019 Madama Butterfly di Giacomo Puccini.
Per la formazione, il balletto La bella addormentata, tratto dall’omonimo balletto di Ciaikosvsky debutterà il 25 novembre al Teatro dal Verme di Milano con i giovani allievi delle scuole di danza del territorio, diretti da Raphael Bianco e accompagnati dall’orchestra dei Giovani Pomeriggi Musicali di Milano, per poi essere replicato al Maggiore il 2 dicembre.
Il 12 maggio 2019 è previsto il progetto AIDA, con un centinaio di bambini delle scuole del territorio, che dopo un lavoro di preparazione musicale nel corso dell’anno scolastico e una decina di giorni di prove di regia, saranno il coro, i danzatori e le comparse della versione ridotta dell’opera, con la regia di Manu Lalli e l’Orchestra Talenti Musicali della Fondazione CRT.
Il 15 marzo 2019 ci sarà Le Nozze di Figaro di Wolfgang Amadeus Mozart, con l’Opera di Budapest e la regia di Mate Szabo, uno dei più noti rappresentanti della nuova generazione dell’Opera ungherese, direttore Sillo Istvan e l’orchestra delle Kodaly Philarmonic Orchestra.
Per il 17 aprile 2019 il Maggiore proporrà il Requiem di Mozart K626 in RE minore, con il Coro schola cantorum San Gregorio Magno di Trecate e l’Orchestra Filarmonica Italiana, direttore Mauro Trombetta.
Inoltre, per festeggiare l’arrivo del nuovo anno, il 31 dicembre verrà rappresentato A Christmas Carol con Roberto Ciufoli, che sarà replicato il 1 gennaio 2019.
Per il teatro comico il 6 febbraio 2019 ci sarà Enrico Bertolino in Instant Theatre 2018, dove narrazione, attualità, umorismo, storia, costume, comicità, politica e satira si trovano sulle assi di un palcoscenico.
Il 15 maggio 2019 a Verbania tornano I Legnanesi con 70 anni di risate in dialetto, con Antonio Provasio, Enrico Dalceri, Luigi Campisi. Teresa, Mabilia e il Giovanni che festeggeranno i 70 anni dalla nascita della compagnia.
Il 24 marzo 2019 il teatro proporrà Potted Potter, scritto da Daniel Clarkson e Jefferson Turner, regia di Richar Hurst, dove i libri di Harry Potter saranno, in 70 minuti, condensati sul palco.
A luglio 2019, ci sarà a Il Maggiore di Verbania un evento internazionale, un concerto con l’orchestra cinese NINGBO Symphony Orchestra, con direttore il Professor Yu Feng, Presidente del Conservatorio Centrale di Musica.
Prelazione abbonati: dal 2 al 20 luglio
Abbonamenti in vendita presso Centro Eventi “Il Maggiore” dal lunedi al venerdì dalle 12 alle 17.30.
Nuovi abbonati: sabato 21 luglio presso Centro Eventi Il Maggiore dalle 15 alle 19, da lunedì 23 luglio online e presso URP di Pallanza (piazza Garibaldi 15) dal lunedi al venerdì dalle 9 alle 12.30.
Abbonamento Libero 2+1+1+1: in vendita dal 9 settembre presso l’URP di Pallanza, in piazza Garibaldi 15, dal lunedi al venerdì dalle 9 alle 12.30.
Biglietti in vendita on line e dal 27 agosto 2018 presso lo IAT di Pallanza, in via Ruga 44, dal lunedì al sabato dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 15 alle 17 agli uffici URP di Pallanza e Intra dal lunedì al venerdì.
www.ilmaggioreverbania.it
La grande stagione 2018 – 19 di Il Maggiore di Verbania Dopo il terzo anno dalla sua inaugurazione, il centro eventi Il Maggiore di Verbania per il…
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