#Francesco Fausto Nitti
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“ Notte senza luna, quella del 27 luglio 1929. Notte finalmente arrivata, sognata, preparata. Il motoscafo si avvicina a luci spente al punto convenuto. In febbrile attesa sugli scogli, tre uomini con i fagotti di vestiti sotto braccio scrutano le tenebre mentre a un centinaio di metri, nella piazzetta sul mare, siedono a un tavolino del caffè il capo della colonia, un maresciallo, l’ex pretore. C’è uno spazio utile di pochi minuti prima che la ronda si accorga che in tre non hanno fatto rientro a casa. Nitti è il primo a scivolare in acqua al segnale convenuto, Lussu e Rosselli tornano indietro convinti che l’appuntamento sia saltato per l’ennesima volta. Paolo Fabbri, prezioso collaboratore, corre verso il paese per riacchiapparli. Riattraversano insieme l’abitato in maniera fortunosa (nel cortile di una delle loro case è in corso una lite per dei polli, in piazza si mangiano granite al bar), Lussu è travestito da vecchio pescatore ma Rosselli rischia di farsi riconoscere. Di nuovo sugli scogli, al buio, poi giù in mare, a tentoni. Rosselli: «Bum bum: nella calda notte di luglio si odono rumori sordi, come di martellate provenienti dal fondo marino. Un’ombra nera si profila, là a ottanta metri verso il porto». «Il mare era calmissimo. Ad un tratto, appena percettibile, il palpito di un motore», racconterà Lussu. Salgono a bordo con una scala di corda, aiutati da Nitti e Dolci, mentre il motoscafo scivola, pericolosamente alla deriva, verso il molo. L’equipaggio è al completo, zuppo ma trionfante. Oxilia dà gas. A terra li sentono tutti, compreso Ferruccio Parri che dall’inizio ha scelto di rimanere con la famiglia, compreso Fabbri che ha il compito di distrarre e trattenere le guardie. È un attimo, i motori rombano, un balzo e via. Nessun allarme a terra, gli sbirri pensano si tratti di un mezzo dei loro. E comunque sarebbero imprendibili: corrono come pazzi nella notte verso la Tunisia, verso la libertà. Al buio, sulle onde. Non è facile, oggi, immaginare quanto si dovesse conoscere, in quel periodo, delle cose che accadevano. Nell’Italia fascista no stampa libera, no comunicazioni non autorizzate. Redazioni dei giornali tutte sotto controllo a partire dai direttori, tutti fascisti; censura e autocensura; milioni di occhi e orecchie pronti a delazioni e un popolo intero disposto a volenteroso controllo sugli altri. La notizia della fuga, agli italiani, viene data solo il 10 agosto. Gli evasi che, passando dalla Tunisia, sbarcano a Marsiglia e poi partono per Parigi in treno trovano ad attenderli Salvemini, che ha organizzato per loro una specie di tournée tra direttori di giornali internazionali e salotti della cultura (Lussu lo chiama scherzosamente il loro «impresario»). Hanno capito che è importantissimo raccontare, spiegare all’estero di cosa si parla quando si parla di fascismo. Sentirlo dalla viva voce di chi è riuscito a beffare il regime è fondamentale, è un controcanto necessario, e i tre sono degli ottimi oratori, asciutti, ironici, appassionati. Rilasciano interviste che escono a Londra, Parigi, negli Stati Uniti, in Argentina, Svezia, Svizzera, e incrinano fortemente l’immagine internazionale del regime, contrastano la propaganda serrata e potente di Mussolini. “
Silvia Ballestra, La Sibilla. Vita di Joyce Lussu, Laterza (collana I Robinson / Letture), 2022¹; pp. 41-42.
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Lipari, autore ignoto, luglio 1929
Nella foto da sinistra a destra, Francesco Fausto Nitti, Carlo Rosselli, Emilio Lussu sul motoscafo Dream V in fuga dal confino.
Intorno alle 21.30 del 27 luglio 1929 un motoscafo si avvicinò alla costa di Lipari. Confusa per un mezzo di sorveglianza, la barca venne ignorata. A bordo c'erano il capitano Italo Oxilia, Paul Vonin ai motori e di vedetta Gioacchino Dolci, ex confinato proprio a Lipari. Nitti, Rosselli e Lussu riuscirono a eludere la sorveglianza e a nuoto raggiunsero il motoscafo riuscendo a fuggire fino in Tunisia.
"Una settimana dopo la fuga, a Parigi, Gaetano Salvemini accoglie i tre evasi dal confino: sono gli stessi uomini che, pochi giorni dopo, fondarono “Giustizia e Libertà”." (Dal sito ANPI).
La notizia dell'incredibile fuga fu data solo dopo più di un mese.
“Nella notte dal 27 al 28 luglio sono evasi da Lipari i confinati ex deputato Emilio Lussu, prof. Carlo Rosselli e Francesco Fausto Nitti”.
Dal “Popolo d’Italia” dell’8 settembre 1929.
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Fonte primaria: https://laletteraturaenoi.it/2020/01/03/fuga-da-lipari-lincredibile-evasione-di-lussu-nitti-e-rosselli-quel-sabato-27-luglio-1929-2/
Fonte secondaria: https://www.giornaledilipari.it/prima_pagina/eolie-storia-27-luglio-1929-la-grande-evasione/
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A settant’anni dalle lotte dell’Arneo, una riflessione sulla riforma agraria nel Salento (1950-1960) (prima parte)
di Salvatore Coppola
Nel 70° anniversario dell’approvazione delle prime leggi organiche di riforma agraria del secondo dopoguerra (di cui la più importante è la cosiddetta legge stralcio dell’ottobre 1950) è possibile tracciare un bilancio sul movimento di lotta che, sviluppatosi soprattutto sul latifondo dell’Arneo (ricadente per la sua maggiore estensione in agro di Nardò) ha consentito ai lavoratori agricoli della provincia di Lecce di inserirsi nel più generale movimento di occupazione delle terre che ha visto protagonisti i braccianti e i contadini poveri di molte regioni meridionali.
Il problema della conquista della terra da parte dei lavoratori agricoli del Mezzogiorno ha interessato la politica italiana fin dai primi anni successivi all’Unità. Importanti e significative lotte agrarie si sono sviluppate nel biennio 1919/1920, quando la promessa di concedere le terre, fatta nel corso della guerra, aveva alimentato la speranza dei lavoratori agricoli di poter conseguire, attraverso il possesso di un pezzo di terra, un riscatto sociale ed economico atteso da decenni. Dopo i primi timidi tentativi fatti dal governo presieduto da Francesco Saverio Nitti di venire incontro alle attese dei contadini con l’emanazione dei decreti Visocchi e Falcioni (dal nome dei due ministri dell’agricoltura) che prevedevano la concessione di terreni demaniali a favore delle cooperative degli ex combattenti, la reazione degli agrari (sostenuti dallo squadrismo fascista) e l’avvento del fascismo al potere avevano posto fine ad ogni movimento di lotta e di rivendicazione. Nel secondo dopoguerra si ripropose in tutta la sua drammaticità il problema della terra e della riforma fondiaria, che, a distanza di quasi cento anni dall’Unità d’Italia, è stata in parte conseguita con l’emanazione delle leggi del 1950. Come si sia giunti all’emanazione delle leggi di riforma agraria e quali conseguenze abbiano avuto le stesse per l’economia del Salento, quali sono state le condizioni storiche e politiche che ne hanno favorito l’emanazione e qual è stato il ruolo delle forze sindacali e dei partiti politici che hanno promosso le lotte per la terra nel Salento, sono stati temi dibattuti nel corso di un convegno di studi (che si è tenuto nei giorni 12-13 e 14 gennaio 2001 a Nardò, Copertino, Leverano e Campi Salentina), promosso dalla Società di Storia Patria per la Puglia (sezioni di Maglie e Lecce), dal collettivo di cultura Ibrahim Masiq di Lecce, dal GAL Terra d’Arneo e dall’Insegnamento di storia delle dottrine politiche della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Lecce[1].
Il movimento di occupazione delle terre nel secondo dopoguerra si è sviluppato in provincia di Lecce in due fasi, la prima delle quali, tra il 1944 e il 1949, aveva come obiettivo la concessione delle terre incolte sulla base di quanto previsto dalle leggi agrarie promosse dai governi di coalizione antifascista (il decreto luogotenenziale n. 279 del 19/10/1944 voluto soprattutto dal ministro dell’Agricoltura Fausto Gullo e quelli successivi emanati dal ministro Antonio Segni nel 1947). Nella seconda fase (1949/1951) il movimento di lotta ha avuto come obiettivo principale quello della riforma agraria generale. Le leggi agrarie del periodo 1944/1947 avevano un carattere per certi aspetti innovativo rispetto alla tradizione storica italiana; nel contesto politico dell’unità antifascista, mentre si decideva di rinviare al varo della Costituzione la soluzione dei problemi strutturali e della riforma agraria generale, assunsero una certa importanza i provvedimenti adottati (la legge sulla concessione, per quattro o nove anni, delle terre incolte, quella sulla proroga dei contratti agrari e sulla parziale modifica degli stessi, con la previsione di una ripartizione dei prodotti più favorevole ai lavoratori, la legge sui benefici a favore delle cooperative per la conduzione dei terreni, le disposizioni sui decreti riguardanti l’imponibile di manodopera, ecc.). Ma già dai primi mesi del 1945, la CGIL (che tenne il suo primo congresso delle regioni dell’Italia liberata nel mese di febbraio), e successivamente la Confederterra (l’organizzazione dei lavoratori agricoli) avevano indicato nella riforma agraria generale lo strumento capace di garantire una prospettiva di sviluppo alle grandi masse dei lavoratori che, fin dal 1944, avevano dato vita al movimento di occupazione delle terre[2].
Due delle categorie agricole più importanti della provincia di Lecce (dove avevano minore estensione rispetto ad altre aree del Mezzogiorno i rapporti di mezzadria e colonia) erano quelle dei braccianti e dei coltivatori diretti, anche se erano abbastanza diffuse le figure sociali cosiddette miste (salariati, piccoli proprietari e fittavoli). La Confederterra salentina tra il 1947 e il 1949 riuscì ad organizzare migliaia di braccianti, tabacchine, coloni e mezzadri ma, sui circa 70.000 coltivatori diretti, gli iscritti non superarono mai le poche centinaia. È per questo che, all’interno dell’organizzazione, prevalevano le tematiche bracciantili su quelle specifiche delle altre categorie. In una relazione sull’attività della CGIL in Puglia (scritta dal dirigente nazionale Gustavo Nannetti nel 1949) venivano evidenziate le difficoltà (presenti soprattutto all’interno della Confederterra) dovute ad uno stato di conflittualità tra le diverse organizzazioni di categoria agricole (braccianti, mezzadri e coloni, coltivatori diretti). Nella primavera del 1949 (in coincidenza con il dibattito parlamentare per l’approvazione della nuova legge sul collocamento) si registrò in tutto il Salento una ripresa della mobilitazione sindacale per sostenere le rivendicazioni dei braccianti (diritto all’indennità di disoccupazione, stipula del contratto provinciale di categoria, garanzie per l’iscrizione negli elenchi anagrafici, concessione delle terre incolte, ecc.). Nei primi giorni di novembre del 1949, nel corso del congresso nazionale della Federbraccianti, il segretario Luciano Romagnoli indicò al movimento sindacale l’obiettivo della concessione delle terre incolte che sancisse, sul piano legislativo, il principio della fissazione di un limite alla proprietà privata. Nei giorni successivi la mobilitazione dei lavoratori raggiunse punte molto elevate; nelle province di Bari e di Foggia, ma anche nel Salento, alla lotta per la costituzione delle commissioni di collocamento e per l’applicazione dei decreti sull’imponibile di mano d’opera, si accompagnò quella per la concessione delle terre incolte. Era quello il periodo in cui masse di braccianti calabresi e siciliani occupavano i latifondi, e proprio sull’onda delle notizie che giungevano soprattutto dalla Calabria, nel Salento ci fu una ripresa su vasta scala dell’occupazione delle terre. Parliamo di ripresa perché già tra il 1944 e il 1945 si erano avuti i primi fenomeni di occupazione di terre incolte che avevano portato alla concessione, nel 1946, di poco più di duecento ettari a cooperative di contadini di Veglie, Carmiano e Martano (anche se, dopo appena un anno, le cooperative erano state in pratica costrette ad abbandonare quelle terre in quanto era risultata pressoché nulla, in mancanza di una seria politica di sostegno creditizio e di altre misure organiche, la possibilità di conseguire da quelle terre un reddito sufficiente)[3].
Note
[1] La presente relazione è una riedizione aggiornata di quella presentata al convegno di studi del gennaio 2001 (L’occupazione delle terre nell’Arneo e la politica agraria del PCI salentino, pp. 109-145), i cui atti sono stati pubblicati in M. Proto (a cura di), Agricoltura, Mezzogiorno, Europa, ed. Lacaita, Manduria 2001. Sulla vicenda dell’occupazione delle terre dell’Arneo, S. Coppola, Quegli uomini coperti di stracci. La lotta dei braccianti salentini per la redenzione dell’Arneo, Grafiche Giorgiani, Castiglione 1997; R. Morelli, Cristiani e Sindacato dalla fase unitaria alla CISL nel Salento. 1943-1955, Capone, Cavallino 1992, pp. 112-120; G. Giannoccolo, L’occupazione delle terre nel Salento nel quadro di due linee di politica agraria, in M. Proto, Agricoltura, Mezzogiorno, Europa, cit, pp. 147-161; M. Spedicato, L’utopia sconfitta. Dai contadini senza terra alla terra senza contadini, ivi, pp. 179-189. Sulle proposte di politica agraria delle organizzazioni sindacali, F. De Felice, Il movimento bracciantile in Puglia nel secondo dopoguerra (contenuto negli atti del convegno organizzato dall’Istituto Gramsci Campagne e movimento contadino nel Mezzogiorno d’Italia dal dopoguerra ad oggi, De Donato, Bari 1979).
[2] Sulle proposte di politica agraria delle organizzazioni sindacali: R. Stefanelli: Lotte agrarie e modello di sviluppo 1947-1967, De Donato, Bari 1975, pp.23-25; R. Zangheri: Movimento contadino e storia d’Italia, in Studi Storici n. 4/1976, p. 19.
[3] La relazione di Nannetti è contenuta nell’Archivio nazionale della Federbraccianti (oggi Flai-Cgil).
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Le colloque Walter Lippmann : aux origines du « néo-libéralisme », par Serge Audier (XI), La nébuleuse hétérogène du Colloque Lippmann
Le colloque Walter Lippmann : aux origines du « néo-libéralisme », préface de Serge Audier – Penser le « néo-libéralisme », éditions Le bord de l’eau, 2012. Madeleine Théodore nous propose un résumé en plusieurs parties de cette réflexion essentielle. Ouvert aux commentaires.
Plutôt que de rabattre tous les penseurs sur une histoire longue qui mènerait tout droit à Thatcher ou Reagan, ou vers l’Europe néo-libérale, il est préférable de lire les textes attentivement et prendre sérieusement en compte le contexte historique et discursif. Louis Rougier devait inciter à aller dans ce sens, disant que le déclencheur de l’organisation du Colloque était sa propre réaction hostile au Front populaire. Le Colloque rassemblait une liste hétéroclite de libéraux hantés par le communisme et le fascisme. Si Rougier et la librairie de Médicis étaient hostiles au Front populaire, ce n’était pas le cas de tous les participants au Colloque, loin de là.
Rougier était obsédé par le totalitarisme soviétique et son plan quinquennal ainsi que par la poussée électorale du Parti communiste en France et son alliance avec les partis démocratiques. Il évoque la nécessité de mener une bataille doctrinale et il suggère que la Maison Rivière, éditrice de Proudhon et de Sorel, pourrait convenir à cet effet.
Au niveau du libéralisme antifasciste italien, Rougier invite cinq Italiens : le grand défi, c’est en effet, avec le communisme, le fascisme.
La doctrine corporatiste du fascisme s’appuie sur un anti-libéralisme déclaré, surtout chez les grands philosophes comme Ugo Spirito. Les invités de Rougier sont des libéraux déclarés, et non des socialistes.
Francesco Fausto Nitti était le seul grand homme d’État invité au Colloque. Il n’était pas un intégriste du marché ni un anti-keynésien et il est resté plus proche de celui-ci que de von Mises ou von Hayek. Ce libéral fréquentait de longue date le grand leader socialiste belge Émile Vandervelde et était convaincu que les échecs historiques du capitalisme et la misère populaire avaient été les foyers de la réaction anti-démocratique. D’autres Italiens étaient plus libéraux, comme l’économiste Umberto Ricci, ou encore Constantino Bresciani-Turroni et Luigi Einaudi qui sera président de la république italienne de 1948 à 1955. Bresciani-Turroni a construit sa pensée économique notamment en méditant l’exemple catastrophique de l’inflation allemande. Il souligne la différence entre l’école des optimistes qui fit de la science économique un système d’ultra-libéralisme, stipulant que « quand on observe un défaut d’harmonie dans le monde, il ne peut que correspondre à un défaut de liberté » et la nouvelle façon de concevoir le libéralisme, soutenant une ample législation sociale comprenant, entre autres, l’ensemble du sytème de « protection de la classe ouvrière » – assurance obligatoire contre les infortunes, les maladies, le chômage.
Deux autres invités prestigieux au colloque Limmpann, dont les noms étaient souvent associés, ne sont pas venus : José Ortega y Gasset, et Johan Huizinga. Dans son livre « Incertitudes – Essai de diagnostic du mal dont souffre notre temps », préfacé par Gabriel Marcel, Huizinga établit une critique culturelle de la crise de l’Europe. Son livre publié par les éditions Einaudi, foyer de résistance à Mussolini, contient des développements importants sur les ravages de la doctrine vitaliste nietzschéenne de la « volonté de puissance, sur le primat de l’être sur la connaissance, sur les divinités suprêmes que seraient la mécanisation et l’organisation ». Son propos croisait en partie celui de Ortega y Gasset, dont la conviction centrale est que « la liberté et le pluralisme sont deux choses réciproques et constituent toutes deux l’essence de l’Europe ». En outre, il avait fait traduire en espagnol la « Théorie générale… », ainsi que d’autres textes de Keynes. Il n’était pas lui non plus un apôtre du libre marché.
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