#Eugenio La Rocca
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Mostre / Agrippa Postumo ai Musei Capitolini: tre ritratti raccontano la storia dell’erede ripudiato di Augusto
Mostre / Agrippa Postumo ai Musei Capitolini: tre ritratti raccontano la storia dell’erede ripudiato di Augusto
Redazione Nella Sala degli Arazzi dei Musei Capitolini di Roma viene presentato al pubblico per la prima volta il ritratto di Agrippa Postumo della Fondazione Sorgente Group che dialoga idealmente con altri due ritratti di Agrippa: uno proveniente dalle Gallerie degli Uffizi di Firenze ed un altro dalle Collezioni Capitoline. Aperta al pubblico dal 29 novembre 2024 al 27 aprile 2025, la mostra…
#Agrippa Iulius Caesar#Agrippa Postumo#archeologia#Augusto#età romana#Eugenio La Rocca#Laura Buccino#mostre#Musei Capitolini#ritratti#Roma#Valentina Nicolucci
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oggi, 7 ottobre, a firenze: "gruppo 70. una guerriglia verbo-visiva" @ frittelli arte contemporanea
A sessant’anni dalla nascita del Gruppo 70, Frittelli arte contemporanea (via Val di Marina 15, Firenze) inaugura, OGGI, 7 ottobre 2023, nell’ambito della Florence Art Week, la mostra “Gruppo 70. Una guerriglia verbo-visiva”, a cura di Raffaella Perna, che mette in luce l’attualità di uno dei movimenti più radicali della scena artistica italiana degli anni Sessanta. L’esposizione propone uno…

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#Antonio Bueno#art#arte#collage#Eugenio Miccini#filmati#Florence Art Week#fotografie#Frittelli Arte Contemporanea#Giuseppe Chiari#Gruppo 70#Ketty La Rocca#Lamberto Pignotti#libri d&039;artista#Lucia Marcucci#Luciano Ori#materiali d&039;archivio#materiali verbovisivi#poesia visiva#Raffaella Perna#Unesco#vispo
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Finissage della mostra “Eugenio Tibaldi ET2020/24” alla Fondazione La Rocca a Pescara Si svolgerà sabato 12 ottobre 2024 alle... #eugeniotibaldi #finissage #fondazionelarocca #francescaguerisoli #ivanbargna #lorenzomorandi #mostra #pescara https://agrpress.it/finissage-della-mostra-eugenio-tibaldi-et2020-24-alla-fondazione-la-rocca-a-pescara/?feed_id=6925&_unique_id=66eef3c3bc83e
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Il Conservatorio San Niccolò, da lunedì 16 Settembre 2019 alle 18 al 30 Giugno 2020, ospiterà Nel segno di Leonardo, opere dalla Collezione Carlo Palli, a cura di Laura Monaldi e con il patrocinio del Comune di Prato.
I corridoi delle scuole medie e del liceo del Conservatorio San Niccolò ospiteranno Nel segno di Leonardo, opere italiane e internazionali provenienti dalla Collezione Carlo Palli che omaggiano Leonardo Da Vinci a 500 anni dalla sua morte. La mostra raccoglie ed evidenzia non solo il mito di Da Vinci, ma l’eredità culturale a cui continuiamo a guardare: le opere sono di Pistoletto, Yoko Ono, Cy Twombly, Elisa Zadi, Emilio Isgrò e moltissimi altri in un collegamento fra arte contemporanea e rinascimentale per avvicinare i giovani all’arte, partendo proprio dalle mura di una scuola.
Ecco gli artisti in mostra Paolo Albani, Anna Banana, Vittore Baroni, Stefano Benedetti, Mirella Bentivoglio, Carlo Bertocci, Julien Blaine, Alighiero Boetti, Antonio Bueno, Carlo Cantini, Luciano Caruso, Ugo Carrega, Cinzio Cavallarin, Guglielmo Achille Cavellini, Claudio Cerretelli, Giuseppe Chiari, Henri Chopin, Riccardo Cocchi, Fabio De Poli, Gianni Dorigo, Luc Fierens, Giovanni Fontana, Franco Fossi, Fabrizio Garghetti, John Giorno, Andrea Granchi, I Santini Del Prete, Emilio Isgrò, Alison Knowles, Jiří Kolář, Ketty La Rocca, Roberto Malquori, Eugenio Miccini, Miradario, Charlotte Moorman, Giorgio Olivieri, Yoko Ono, Luciano Ori, Orlan, Nam June Paik, Virginia Panichi, Ben Patterson, Mario Persico, Lamberto Pignotti, Michelangelo Pistoletto, Sandro Poli, Giampiero Poggiali Berlinghieri, Philip Ridley, Gianni Ruffi, Sarenco, Serge III, Stelarc, Toxic, Karel Trinkewitz, Cy Twombly, Emmett Williams, Elisa Zadi Lorella Zappalorti.
https://www.pratosfera.com/2019/09/11/nel-segno-di-leonardo-al-conservatorio-san-niccolo/?fbclid=IwAR37XFPPVhDv23EK7b38D7r3MtMMdDQCVCAwQ6g9hU64H6LJo94NncV8yuU
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“Appassionato dal carattere sibillino di ogni cosa”: non potete non leggere Giorgos Seferis, l’Odisseo del Novecento
Con levantina malizia – per altro sostanzialmente sconosciuta a un poeta della luminosità – Giorgos Seferis chiude il discorso di accettazione sul palco del Nobel per la letteratura così: “grato alla ‘bontà di Svezia’ che mi ha permesso, infine, di sentirmi come un ‘nessuno’ – intendete questa parola nel senso che Ulisse la usò per rispondere al Ciclope, Polifemo: ‘nessuno’ – un nessuno, giunto da quella corrente misteriosa che è la Grecia”. Nell’asserzione, appunto, c’è l’astuzia e la verità: tutti siamo dei ‘nessuno’ all’ombra di nomi altisonanti. In più, era il 1963, Seferis aggiungeva una stilettata: la lingua greca, che ha dato all’Occidente le fondamenta ora è un mistero.
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Giorgios Seferis fu il primo Nobel per la letteratura greco, seguito, quarant’anni fa, da Odysseas Elytis. Al drappello avrebbe dovuto unirsi Ghiannis Ritsos, per alcuni tra i sommi poeti di sempre. Grecia terra di poeti: lo testimonia il ‘Meridiano’ Mondadori del 2010, Poeti greci del Novecento, allestito da Nicola Crocetti e da Filippomaria Pontani – figlio del grande grecista Filippo Maria. Nell’introduzione al volume complessivo dedicato a Seferis per la collana de ‘i Nobel’ – prima Club degli Editori, poi Utet – nel 1971, Vittorio Sereni parla della prima volta che ha letto il poeta greco. “Nel 1949, quando si lavorava con un gruppo di amici a ‘La Rassegna d’Italia’ allora diretta da Sergio Solmi, ci arrivò un plico da Giuseppe Ungaretti. Conteneva le prime cinque poesie di Seferis tradotte in Italia ad opera di quello stesso Filippo Maria Pontani che già ci aveva fatto conoscere la poesia di Kavafis. Le poesie apparvero nel numero di luglio-agosto della ‘Rassegna’ e dettero inizio alla fortuna del poeta in Italia”. Fortuna oggi decisamente defunta. Le Poesie di Seferis nella traduzione di Pontani, infatti, vengono pubblicate da Mondadori nel 1963 e continuamente ristampate fino agli Ottanta, quando escono dall’orbita della fama. Per fortuna, piuttosto, che c’è Nicola Crocetti: nel 2017 traduce Le poesie di Seferis per la propria casa editrice.
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Oggi i poeti modesti si leggono tra loro, si commentano, sanno cosa ha scritto Pico Pallino e ne citano con aspro gusto qualche verso udito nella città di X al festival Y. Non leggono i grandi. Chi legge oggi Seferis? Il grande poeta de Il “Tordo” e del Re d’Asíne, poesie che sono nel carnet di chiunque scriva, di chiunque sia davvero uomo, insieme a quelle di Iosif Brodskij – a cui lo apparenta l’esilio – e di Yves Bonnefoy, di W.H. Auden e di Kavafis, di Thomas S. Eliot e di Eugenio Montale e di Osip Mandel’stam, per dire. Sentite:
Tutto il mattino scrutammo d’intorno la rocca, cominciando dal lato dell’ombra, dove il mare verde senza barbagli, petto di pavone ucciso, ci accolse come il tempo senza vuoti…
Dalla parte del sole un lungo litorale spalancato, e la luce forbiva diamanti alle muraglie. Non v’era creatura viva, fuggiaschi i palombacci e il re d’Asíne, che cerchiamo da due anni, sconosciuto e scordato da tutti, anche da Omero una parola sola nell’Iliade, e mal certa gettata qua come la funebre maschera d’oro. La toccasti, ricordi il suo rimbombo? Vuoto nella luce, un doglio secco nel suolo scavato; eguale era il rimbombo del mare ai nostri remi. Il re d’Asíne, un vuoto sotto la maschera, sempre Con noi, sempre con noi dovunque, dietro un nome… I suoi figli statue, battiti d’ali le sue brame e il vento nelle more dei suoi pensieri, e le sue navi attraccate in un porto sparito. Sotto la maschera un vuoto.
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La grandezza stordisce perché Seferis porta l’arcaico nell’oggi, istoriando la luce, dando tempo alla fermezza. Si potrebbe fare una conferenza su quella similitudine – che è ‘modernista’ ed è del sempre. Il mare che è come un “petto di pavone ucciso” e che “ci accolse come il tempo senza vuoti”.
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Henry Miller va in Grecia per conoscerne il poeta, quell’Odisseo risorto nel Novecento. Nel Colosso di Marussi, pubblicato nel 1941, lo descrive così: “languido, soave, vitale, capace di sorprendenti atti di forza e d’agilità… vi viene incontro con tutto il suo essere, avvolgendovelo intorno al braccio con calore e con tenerezza… appassionato dal carattere sibillino di ogni cosa”. Una squillante vitalità tesa ai sibili del creato.
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Mi appassiona questa denuncia di poetica. “Non è la mia opera che m’interessa al di sopra di tutto: è l’opera, senza alcun possessivo: è questa che deve vivere, ove pure in essa si brucino i nostri contributi individuali. Ho la più chiara coscienza che non viviamo in tempi in cui il poeta possa credere che l’attende la fama, bensì in tempi di oblio. Ma questo non m’induce a essere meno devoto al mio credo: lo sono di più”. Una miniera di luce nell’oblio. Certi che non esiste un ‘proprio’ nella poesia – semmai, l’appropriato, l’appropriarsi di un’era, di cui si è la torcia, quello che fiamma – e brucia, spegnendosi.
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Nel 1949 Filippo Maria Pontani, il primo e fedele traduttore, ne scrive così. “Ha rotto definitivamente gli schemi di una tradizione esausta. La sua rivoluzione può assegnargli il posto che spetta nella lirica italiana all’Ungaretti, mentre più d’un aspetto dell’ispirazione e della forma, e l’amore per T.S. Eliot, fanno talora pensare al Montale. Il mondo del S., pieno di accoramento per la sua terra (echi profondi della tragedia microasiatica), percorso dall’alito del mare, dalla memoria attonita e commossa delle reliquie, dei simboli, dei miti di mondi sepolti, dall’amaro disincantamento della vita quotidiana, è un mondo di cupo e tragico pessimismo, che trova in una poesia via via più libera da compromessi di ‘canto’, austera insieme e tremante, grave e pura, schiva e padroneggiata e tuttavia suggestivamente evocativa, la sola, e la più alta, catarsi”.
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L’esilio è l’emblema della vita di Seferis. Prima lo subisce, tragicamente. Nativo di Smirne, nel 1922, di fronte all’avanzata violenta dei turchi di Kemal deve ritirarsi con la famiglia ad Atene. Così racconta i fatti Vittorio Sereni: “In una situazione di per sé confusa, complicata dall’oscuro intralcio di interessi delle potenze dell’Intesa, i fatti si svolsero sotto gli occhi dei rappresentanti di queste, sia diplomatici sia militari. Truppe turche entrarono a Smirne il 9 settembre del 1922 e il 13 il fuoco avvampò… massacri e sevizie si svolsero anche alla luce del giorno e i turchi sparavano su quanti cercavano scampo verso il mare per un imbarco disperato su qualunque mezzo natante. Tra i 75.000 e 100.000 fu calcolato il numero delle vittime, molte delle quali giacevano sulla pubblica via”. Seferis studia giurisprudenza a Parigi, con il padre. In quel disastroso 1922 Thomas S. Eliot pubblica La terra desolata, così importante per Seferis. Avviato alla carriera diplomatica, il greco incontra il poeta prediletto nel 1951, quando è in Inghilterra al servizio del ministero degli esteri. In UK, poi, sarà ambasciatore dal 1957 al 1961. Tre anni prima di Seferis, nel 1960, un altro poeta alto diplomatico fu insignito del Nobel, Saint-John Perse, seguace di un altro poeta diplomatico, Paul Claudel. I poeti, celebri o pezzenti, sono sempre in viaggio, in mondi ‘altri’.
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Poeta disincantato, teso alla vita, Seferis è un diarista eccellente. La ‘lettera’, in lui, non predomina sul frugare il giorno: il corpo si fa verbo, semmai, la parola intenzione che tende le dita. “Un qualunque villaggio mi darebbe mille volte più umanità della giungla ateniese. Bisogno intenso – ieri e oggi – di lasciare tutte queste idiozie: non per avere il tempo di fare letteratura, ma per maturare e morire da uomo”. E poi: “Nel pomeriggio ho spaccato legna fino all’imbrunire. Sono tornato a casa sudato, con le mani piene di resina. Bagno; e poi mi sono seduto al mio tavolo. Ho finito la poesia. Titolo: Il “Tordo”. Non so se è buona. So che è finita. Adesso deve asciugarsi”. Spaccare la legna come scrivere poesia; il sudore e l’asciugatura della poesia, essudata.
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Bisognerebbe ripubblicare il diario in cui Seferis racconta dei suoi incontri con Thomas S. Eliot lungo un decennio, dal 1951 (“da Stephen Spender, ricevimento in onore di Auden… ho conosciuto Eliot. Sennonché le cose erano organizzate in tal modo che ha parlato tutta la sera con mia moglie. Erano sistemati alla stessa tavola”) al 1962, con quella chiusa, “Mentre lo salutavo, mi ha chiesto come ci facciamo il segno della croce noi ortodossi”.
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Il dettaglio dell’appartamento di Thomas S. Eliot a Kensington (è il 10 dicembre 1960) dice del carattere del poeta. “Nessun lusso all’interno; arredamento piuttosto impersonale, a una prima occhiata. Fuoco acceso nel caminetto del salotto. Al muro uno schizzo di Pound, fatto da Wyndham Lewis, un piccolo paesaggio di John Ruskin e un acquerello di Edward Lear. C’era anche un busto del poeta, di J. Epstein, che non m’ha entusiasmato”. Il poeta che si autocanonizza – con busto in casa – parla per accenni, vescovili. “Abbiamo parlato di Pound. Ha detto bene dei Canti pisani. ‘Era sempre in movimento’, ha continuato, ‘tutto il tempo di Londra ha portato camicie Schiller, sempre trasandato. Più tardi ho saputo – ha sorriso – che se le faceva su misura’”. Cattedratico, cardinalizio, mai una parola di troppo, Eliot è il poeta cittadino che del sodale dice per accennare alle camicie, allo stato trasandato. Dall’altra, il poeta della vitalità, solare, che spacca la legna ed è abbagliato dal nitore formale della poesia eliotiana. Che incontro buffo: l’uomo e il verbo, l’omerico e il labirintico, la luce e l’ombra.
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Seferis ha tradotto il Cantico dei Cantici e l’Apocalisse; ha scritto un saggio sulle ambigue prossimità tra Eliot e Kavafis. Ha detto: “Quanto più l’artista è ‘pari a se stesso’ tanto più pienamente trasfonde il suo tempo nell’opera”. L’impegno di un poeta con la propria epoca è diventare uomo, individuo scalpellato dal verbo, autonomo, mai in resa. (d.b.)
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Argonauti
E un’anima se si vuole conoscere in un’anima rimiri: lo straniero, il nemico, lo vedemmo allo specchio.
Erano bravi ragazzi i compagni, non gridavano né di stanchezza né di sete né di gelo, erano come gli alberi e le onde che ricevono vento e pioggia ricevono notte e sole senza mutare in mezzo a mutamenti. Erano bravi ragazzi, interi giorni sudavano sul remo, gli occhi bassi, respirando in cadenza e il sangue imporporava una docile pelle. Cantarono una volta, gli occhi bassi, quando doppiammo l’isola scabra dei fichi d’India a ponente, di là da quel Capo dei cani uggiolanti. Se si vuole conoscere – dicevano – miri in un’anima – dicevano – e battevano i remi l’oro del mare nel crepuscolo. Passammo capi molti molte isole il mare che mette ad altro mare, gabbiani, foche. Ululati di donne sventurate piangevano i figli perduti, altre come frenetiche cercavano Alessandro Magno, glorie colate a picco in fondo all’Asia. Attraccammo a rive colme d’aromi notturni e gorgheggi d’uccelli, e un’acqua che lasciava nelle mani la memoria di gran felicità. Non finivano, i viaggi. Si fecero le anime loro una cosa sola con remi e scalmi con la grave figura della prora, col solco del timone, con l’acqua che frangeva gli specchiati sembianti. I compagni finirono, a turno, con gli occhi bassi. I loro remi additano il posto dove dormono, sul lido.
Non li ricorda più nessuno. È giusto.
Giorgos Seferis
Da “Leggenda”, 1935; traduzione italiana di Filippo Maria Pontani
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L’Olio delle Colline: i vincitori della XV edizione

Sono stati premiati i finalisti del XV Concorso provinciale “L’Olio delle Colline”, organizzato dal CAPOL e ospitato dal Comune di Bassiano sabato 8 febbraio. 313 i campioni di olio partecipanti. Questi i vincitori delle varie sezioni in gara. ¾ Premio Speciale “L’Olio delle Colline” 2020. 1° Classificato Az. Agr. Di Russo Cosmo (Gaeta) “Categoria Azienda” ¾ Fruttato “INTENSO”. 1° Classificato Az. Agr. Di Russo Cosmo (Gaeta) - 2° Classificato La Tenuta dei Ricordi Bio (Lenola). Gran Menzione: Az. Agr. Iannotta Lucia Bio (Sonnino) - Misiti Adria Bio (Sonnino) - Az. Agr. Madeccia di De Cupis Ilenia (Sonnino) ¾ Fruttato “MEDIO”. 1° Classificato Az. Agr. Cetrone Alfredo (Sonnino) - 2° Classificato Az. Agr. Ialongo Sara Bio (Itri). Gran Menzione: Az. Agr. Paola Orsini Bio (Priverno) - Az. Agr. Colle del Polverino Bio (Priverno) ¾ Fruttato “LEGGERO”. 1° Classificato Mulino700 (Cori) - 2° Classificato Az. Agr. Palombo Giuseppe (Sermoneta). Gran Menzione: Az. Agr. De Gregoris Gregorio (Sonnino) - Az. Agr. Pelliccia Teresa (Itri) “Categoria Olivicoltore” ¾ Fruttato “INTENSO”. 1° Classificato Di Biase Alfonso (Itri) - 2° Classificato Altobelli Serafino (Sonnino) ¾ Fruttato “MEDIO”. 1° Classificato Iannotta Thomas (Sonnino) - 2° Classificato Bronco Erasmo (Gaeta). Gran Menzione: Bersani Marco (Sonnino) - Treglia Virgilio (Minturno) ¾ Fruttato “LEGGERO”. 1° Classificato Salvucci Maria Cristina (Sonnino) - 2° Classificato De Angelis Franco (Gaeta). Gran Menzione: Guglietta Marco (Lenola) - Antetomaso Benedetto (Gaeta) ¾ Premio “Olio DOP Colline Pontine”. 1° Classificato Az. Agr. Iannotta Lucia Bio (Sonnino) - 2° Classificato Az. Agr. Cetrone Alfredo (Sonnino). Gran Menzione: Az. Agr. Paola Orsini Bio (Priverno) - Az. Agr. De Gregoris Gregorio (Sonnino) - Impero Biol Srl (Sonnino) - Az. Agr. Casino Re (Sonnino) ¾ Menzione Speciale Comprensorio dei “Lepini, Ausoni e Aurunci” L E P I N I: 1° Classificato Az. Colle del Polverino Bio (Priverno) A U S O N I: 1° Classificato Guglietta Marco (Lenola) A U R U N C I: 1° Classificato Treglia Virgilio (Minturno) ¾ Menzione Speciale “Olio Biologico”. 1° Classificato Az. Agr. Paola Orsini Bio (Priverno). Gran Menzione: Misiti Adria Bio (Sonnino) ¾ Menzione Speciale “Giovane Olivicoltore”. 1° Classificato Az. Agr. Madeccia di De Cupis Ilenia (Sonnino) ¾ Menzione Speciale “Migliore Confezione ed Etichetta”. 1° Classificato Az. Agr. Rossi Srl (Cisterna di Latina) - 2° Classificato Az. Tombolillo Antonio (Sermoneta). Gran Menzioni: Az. Agr. L. Cavaterra (Sonnino) - Az. Itraly di Branchetti Luca Maria (Sonnino) - Impero Biol Srl (Sonnino) ¾ V° Concorso “L’Oliva Itrana” Premio Oliva da mensa “Gaeta DOP”. 1° Classificato Az. Agr. Del Ferraro Marco (Rocca Massima) - 2° Classificato Ernesto Bruschini Srl (Rocca Massima). Gran Menzione: Cioeta Mario e C Snc (Rocca Massima) - Soc. Coop. UNAGRI (Itri) ¾ Premio Oliva da mensa “Itrana Bianca”. 1° Classificato La Rocca Srl (Rocca Massima) - 2° Classificato Cioeta Mario e C Snc (Rocca Massima). Gran Menzione: Ernesto Bruschini Srl (Rocca Massima) - Az. Agr. Casino Re (Sonnino) ¾ Paesaggi dell’Extravergine dei Lepini, Ausoni e Aurunci L E P I N I: Bianconi Loreta (Sermoneta) - Gnessi Alessandro (Bassiano) - Notargiovanni Isabella (Prossedi) A U S O N I: Az. Agr. Madeccia (Sonnino) - Az. Mancini Giuliano (Fondi) - Az. Sandro Mattei (Lenola) A U R U N C I: Az. Saladino Valeria (Santi Cosma e Damiano) - Di Crocco Rita (Itri) - Forte Antonio (Formia) Al convegno/premiazione della mattina, moderato da Simone Di Giulio (giornalista) sono intervenuti: Luigi Centauri (Presidente e Capo Panel CAPOL); Domenico Guidi (Sindaco Bassiano); Barbara Alfei (Capo Panel ASSAM); Claudio Di Giovannantonio (ARSIAL); Giuseppe Persi (Comandante Gruppo Carabinieri Forestali Latina); Carlo Medici (Presidente Provincia Latina); Domenico Spagnoli (CCIA Latina); Carlo Hausmann (Direttore Generale Agro Camera); Onorato Nardacci (XIII Comunità montana); Flavio Berilli (Direttore ICQRF-MIPAAF); Giovanni Maselli (ADA Lazio Sud - Regione Lazio); Eugenio Lendaro (Università Sapienza Roma - Polo pontino); Alessandro Rossi (LILT Sezione Latina). Nell’intermezzo musicale si è esibito il “Trio Mozart”. A seguire l’invito all’assaggio degli oli classificati e degustazione dei prodotti tipici pontini a cura degli studenti del corso Alberghiero “San Benedetto” di Latina. Nel pomeriggio si sono svolti altri due concorsi. Concorso Premio “Assaggiatore per un giorno”: 1° Classificato Emanuele Giuseppe (Anguillara Sabazia – RM). Concorso “Assaggiatori a confronto”: 1° Classificato Tiziana Marrone (Latina). La manifestazione, organizzata dall’Associazione Capol - Centro Assaggiatori Produzione Olivicole Latina – è stata patrocinata da: Regione Lazio, ARSIAL, Provincia di Latina, Comune di Bassiano, Camera di Commercio di Latina, UNAPROL Consorzio Olivicolo Italiano, XIII Comunità Montana dei Monti Lepini Ausoni, Compagnia dei Lepini, Consorzi per lo Sviluppo Industriale “Roma-Latina”, Slow Food Latina, LILT - Sezione di Latina, Proloco Bassiano. FONTE: CAPOL L’Olio delle Colline, 300 campioni in gara Read the full article
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Offagna è uno tra i Borghi più Belli d’Italia, che sorge sulla sommità di una collina a ridosso della Riviera del Conero, in provincia di Ancona. Il borgo dall’atmosfera medievale è disposto attorno alla sua antica Rocca, la struttura difensiva principale, che ancora oggi osserva quieta lo scorrere della vita del paese e le meravigliose campagne che la circondano. Non ci sono molti riferimenti storici a Offagna paese nel periodo romano e preromano, e le prime tracce del borgo si hanno nel Medioevo quando l’arcivescovo di Ravenna cita tra i possedimenti nella zona il Castellum Offanie. Da sempre legata al vicino comune di Osimo e contesa tra quest’ultimo e la città di Ancona, nel 1445 viene concessa in via definitiva all’attuale capoluogo marchigiano per volere del papa Eugenio IV: divenendo uno dei venti castelli della città in difesa dei confini del fiume Aspio, Offagna acquisisce il suo volto di baluardo difensivo. La storia successiva del borgo si caratterizza per momenti di prestigio e momenti di declino, e del suo passato glorioso e ricco di storia Offagna conserva numerose tracce, oggi tutte da scoprire. Cosa vedere a Offagna Il centro storico di Offagna ha dimensioni contenute ma è il classico paesaggio da gustare senza fretta, soffermandosi su ogni particolare. La meravigliosa Rocca di Offagna è certamente l’architettura che più colpisce il visitatore, splendido esempio di architettura militare di un periodo storico a cavallo tra Medioevo e Rinascimento. Eretta nel 1454-1455 dagli anconetani con scopi difensivi, la Rocca poggia sulla sua rupe in tufo ed è una struttura dalla forma quadrangolare con al centro un mastio alto quaranta metri e composto da cinque piani. Sulla sommità del castello una terrazza panoramica domina la campagna, dall’Adriatico agli Appennini umbro-marchigiani, mentre attorno alla rocca scorre un perimetro di mura fortificate con merlature ghibelline, intervallate da torri difensive: il torrione semicircolare che delimitava la cinta muraria a nord est è ancora oggi visibile. La vista dal Belvedere che si estende attorno alla Rocca è davvero degna di nota e spazia fino al Monte Conero mentre all’interno della Rocca sono presenti oggi il Museo delle Armi, Il Museo della Liberazione di Ancona ed il Museo Paolucci, ricca collezione faunistica del professor Luigi Paolucci, studioso anconetano vissuto tra l’800 ed il ‘900. Oltre a questo capolavoro militare, ad arricchire il centro di Offagna numerose opere dell’illustre architetto ed ingegnere idraulico Andrea Vinci (1743 – 1817). Vinci collaborò con altre personalità di rilievo come Carlo Murena e Luigi Vanvitelli, con il quale realizzò la Reggia Di Caserta, ed approdò poi ad Offagna per realizzare tra le altre opere il Monastero di S. Maria della Visitazione, del 1767, e la Chiesa del Santissimo Sacramento, del 1787, entrambi gioielli di razionalità, purezza formale ed austerità. La Chiesa parrocchiale di San Tommaso è invece l’edificio religioso principale di Offagna ma ad attirare l’attenzione di chi visita il piccolo centro è generalmente la Chiesa di Santa Lucia, citata per la prima volta nel 1372: custode di dipinti seicenteschi, la chiesa ha beneficiato delle opere di ristrutturazione di Andrea Vinci ed è inoltre divenuta celebre per il ritrovamento nella sua sacrestia delle reliquie di un martire. Sono invece due i principali palazzi che meritano una visita ad Offagna. Il primo è Villa Montegallo, situata poco fuori dal centro su di un colle con vista sul mare, dal corpo seicentesco voluto da Antonio Maria Gallo, ma oggetto di rimaneggiamenti sempre del Vinci. Fu residenza aristocratica e si trova immersa in un favoloso complesso di giardini terrazzati. Villa Malacari risale anch’essa al XVII secolo e fu residenza di campagna della famiglia Malacari di Grigiano. Al suo interno si trovano numerose testimonianze della sua funzione agricola come la cantina, le stalle, la falegnameria, il frantoio ed i magazzini di grano. È oggi sede di un’azienda vitivinicola ed i suoi giardini sono davvero ammirevoli. La collocazione di Offagna nell’incantevole contesto delle valli marchigiane la rende una destinazione sognante e fuori dal tempo, perfetta per un soggiorno di relax e fiera rappresentante della bellezza senza tempo del paesaggio italiano. Le Feste Medievali di Offagna L’ultima settimana di luglio, la provincia di Ancona viene ammantata da un’atmosfera d’altri tempi in occasione delle Feste Medievali. Anche il borgo di Offagna è coinvolto in queste rivisitazioni ed ogni vicolo e piazza fa un tuffo indietro nei secoli recuperando il suo spirito antico. Tra mangiafuoco, cantastorie e rappresentazioni di arti e mestieri del Medioevo, Offagna assume uno charme davvero imperdibile. L’evento principale della manifestazione è la Contesa della Crescia, una sfida fra i cavalieri dei quattro rioni, Torrione, Sacramento, Croce e San Bernardino con tanto di investitura finale dei migliori duellanti. A maggio invece il borgo si tinge di mille colori in occasione del festival Offagna in Fiore, un evento dedicato al mondo della floricoltura che colora la perla del Conero con centinaia di specie vivaistiche e di un clima tutto primaverile. Cosa mangiare a Offagna È vietato lasciare Offagna senza provare i suoi prodotti tipici, tra i quali spicca senza dubbio la crescia: trattasi di una piadina sottile fatta di farina, olio di oliva, strutto e lardo, e cotta alla brace o alla griglia. La si può condire con erbe di campo o lonza ed è così importante per gli abitanti del luogo tanto che esiste addirittura un’Accademia della Crescia, associazione culturale volta a difendere la pietanza tradizionale. Tra gli altri prodotti enogastronomici da non perdere ad Offagna ci sono i suoi prodotti a base di carne, come la porchetta, cucinata con aglio, sale, pepe, finocchio e rosmarino ed il ciauscolo, un particolare tipo di salame, prodotto solo tra Ancona, Macerata e Ascoli Piceno che ha ottenuto il riconoscimento di Indicazione geografica protetta (IGP). Tra le leccornie marchigiane che tentano il palato ci sono anche la pizza con i grasselli, lo stocco all’anconitana, il brodetto, specialità di pesce del Conero, ed i sciughetti, un dolce marchigiano autunnale fatto con il mosto d’uva. Da leccarsi i baffi. https://ift.tt/2u6lTaa Alla scoperta di Offagna, tra Rocca e Feste Medievali Offagna è uno tra i Borghi più Belli d’Italia, che sorge sulla sommità di una collina a ridosso della Riviera del Conero, in provincia di Ancona. Il borgo dall’atmosfera medievale è disposto attorno alla sua antica Rocca, la struttura difensiva principale, che ancora oggi osserva quieta lo scorrere della vita del paese e le meravigliose campagne che la circondano. Non ci sono molti riferimenti storici a Offagna paese nel periodo romano e preromano, e le prime tracce del borgo si hanno nel Medioevo quando l’arcivescovo di Ravenna cita tra i possedimenti nella zona il Castellum Offanie. Da sempre legata al vicino comune di Osimo e contesa tra quest’ultimo e la città di Ancona, nel 1445 viene concessa in via definitiva all’attuale capoluogo marchigiano per volere del papa Eugenio IV: divenendo uno dei venti castelli della città in difesa dei confini del fiume Aspio, Offagna acquisisce il suo volto di baluardo difensivo. La storia successiva del borgo si caratterizza per momenti di prestigio e momenti di declino, e del suo passato glorioso e ricco di storia Offagna conserva numerose tracce, oggi tutte da scoprire. Cosa vedere a Offagna Il centro storico di Offagna ha dimensioni contenute ma è il classico paesaggio da gustare senza fretta, soffermandosi su ogni particolare. La meravigliosa Rocca di Offagna è certamente l’architettura che più colpisce il visitatore, splendido esempio di architettura militare di un periodo storico a cavallo tra Medioevo e Rinascimento. Eretta nel 1454-1455 dagli anconetani con scopi difensivi, la Rocca poggia sulla sua rupe in tufo ed è una struttura dalla forma quadrangolare con al centro un mastio alto quaranta metri e composto da cinque piani. Sulla sommità del castello una terrazza panoramica domina la campagna, dall’Adriatico agli Appennini umbro-marchigiani, mentre attorno alla rocca scorre un perimetro di mura fortificate con merlature ghibelline, intervallate da torri difensive: il torrione semicircolare che delimitava la cinta muraria a nord est è ancora oggi visibile. La vista dal Belvedere che si estende attorno alla Rocca è davvero degna di nota e spazia fino al Monte Conero mentre all’interno della Rocca sono presenti oggi il Museo delle Armi, Il Museo della Liberazione di Ancona ed il Museo Paolucci, ricca collezione faunistica del professor Luigi Paolucci, studioso anconetano vissuto tra l’800 ed il ‘900. Oltre a questo capolavoro militare, ad arricchire il centro di Offagna numerose opere dell’illustre architetto ed ingegnere idraulico Andrea Vinci (1743 – 1817). Vinci collaborò con altre personalità di rilievo come Carlo Murena e Luigi Vanvitelli, con il quale realizzò la Reggia Di Caserta, ed approdò poi ad Offagna per realizzare tra le altre opere il Monastero di S. Maria della Visitazione, del 1767, e la Chiesa del Santissimo Sacramento, del 1787, entrambi gioielli di razionalità, purezza formale ed austerità. La Chiesa parrocchiale di San Tommaso è invece l’edificio religioso principale di Offagna ma ad attirare l’attenzione di chi visita il piccolo centro è generalmente la Chiesa di Santa Lucia, citata per la prima volta nel 1372: custode di dipinti seicenteschi, la chiesa ha beneficiato delle opere di ristrutturazione di Andrea Vinci ed è inoltre divenuta celebre per il ritrovamento nella sua sacrestia delle reliquie di un martire. Sono invece due i principali palazzi che meritano una visita ad Offagna. Il primo è Villa Montegallo, situata poco fuori dal centro su di un colle con vista sul mare, dal corpo seicentesco voluto da Antonio Maria Gallo, ma oggetto di rimaneggiamenti sempre del Vinci. Fu residenza aristocratica e si trova immersa in un favoloso complesso di giardini terrazzati. Villa Malacari risale anch’essa al XVII secolo e fu residenza di campagna della famiglia Malacari di Grigiano. Al suo interno si trovano numerose testimonianze della sua funzione agricola come la cantina, le stalle, la falegnameria, il frantoio ed i magazzini di grano. È oggi sede di un’azienda vitivinicola ed i suoi giardini sono davvero ammirevoli. La collocazione di Offagna nell’incantevole contesto delle valli marchigiane la rende una destinazione sognante e fuori dal tempo, perfetta per un soggiorno di relax e fiera rappresentante della bellezza senza tempo del paesaggio italiano. Le Feste Medievali di Offagna L’ultima settimana di luglio, la provincia di Ancona viene ammantata da un’atmosfera d’altri tempi in occasione delle Feste Medievali. Anche il borgo di Offagna è coinvolto in queste rivisitazioni ed ogni vicolo e piazza fa un tuffo indietro nei secoli recuperando il suo spirito antico. Tra mangiafuoco, cantastorie e rappresentazioni di arti e mestieri del Medioevo, Offagna assume uno charme davvero imperdibile. L’evento principale della manifestazione è la Contesa della Crescia, una sfida fra i cavalieri dei quattro rioni, Torrione, Sacramento, Croce e San Bernardino con tanto di investitura finale dei migliori duellanti. A maggio invece il borgo si tinge di mille colori in occasione del festival Offagna in Fiore, un evento dedicato al mondo della floricoltura che colora la perla del Conero con centinaia di specie vivaistiche e di un clima tutto primaverile. Cosa mangiare a Offagna È vietato lasciare Offagna senza provare i suoi prodotti tipici, tra i quali spicca senza dubbio la crescia: trattasi di una piadina sottile fatta di farina, olio di oliva, strutto e lardo, e cotta alla brace o alla griglia. La si può condire con erbe di campo o lonza ed è così importante per gli abitanti del luogo tanto che esiste addirittura un’Accademia della Crescia, associazione culturale volta a difendere la pietanza tradizionale. Tra gli altri prodotti enogastronomici da non perdere ad Offagna ci sono i suoi prodotti a base di carne, come la porchetta, cucinata con aglio, sale, pepe, finocchio e rosmarino ed il ciauscolo, un particolare tipo di salame, prodotto solo tra Ancona, Macerata e Ascoli Piceno che ha ottenuto il riconoscimento di Indicazione geografica protetta (IGP). Tra le leccornie marchigiane che tentano il palato ci sono anche la pizza con i grasselli, lo stocco all’anconitana, il brodetto, specialità di pesce del Conero, ed i sciughetti, un dolce marchigiano autunnale fatto con il mosto d’uva. Da leccarsi i baffi. Offagna è un borgo marchigiano ricco di bellezze e prodotti tipici da provare. Oltre alla famosa Rocca da non perdere sono le Feste Medievali.
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Attraversato il passo del Brennero, Goethe sostò sul Garda che gli apparve “eine herrliche Naturwirkung” (un magnifico spettacolo naturale). A Torbole il 12 settembre 1786 appuntò: “Oggi ho lavorato all’Ifigenia. Al cospetto del lago, l’opera ha fatto un buon passo innanzi”
Il 3 settembre 1786 Johann Wolfgang Goethe, assunta la falsa identità di Jean Philippe Moller, pittore, partì per l’Italia. Aveva trentasette anni, essendo nato a Francoforte sul Meno il 28 agosto 1749, “al suono delle campane di mezzogiorno”, come annotò nell’autobiografia. Era figlio del maturo avvocato Johann Kaspar, consigliere imperiale, e della giovanissima E1isabeth Textor, primogenita del borgomastro, che aveva latinizzato il cognome germanico Weber. Dal 1775 Goethe, pure addottorato a Wetzlar in giurisprudenza, viveva alla corte di Weimar in qualità di consigliere ed amico del duca Carl August, reggitore del piccolo stato da quell’anno. Assai noto per avere scritto opere celebrate quali “Götz von Berichingen” e, soprattutto, “I dolori del giovane Werther”, il futuro cantore di “Faust” decise di attingere nuova ispirazione nella terra “wo die Zitronen blühn” (dove fioriscono i limoni). Seguiva l’esempio di insigni letterati ed artisti germanici, calati all’assolato meridione dell’antichità classica. Tra essi, a mero titolo d’esempio, si rammentano Dürer, von Sandrart, Schönfeld e Winckelmann, il quale iniziò a conteggiarsi l’età dal giorno del suo ingresso in Italia, da lui considerata – con molta benevolenza, giacché vi fu assassinato per rapina – “il paese dell’umanità”. Dei numerosi epigoni pare opportuno menzionare almeno von Platen, Burckhardt, Gregorovius, Böck1in, Feuerbach e von Hofmannsthal.
L’aliscafo dedicato a Johann Wolfang Goethe,
il ritratto di Johann Wolfang Goethe, che compare sulla copertina del libro edito dalla Comunità del Garda nel 1986 in occasione del centenario del “Viaggio in Italia” dello scrittore
Attraversato il passo del Brennero, Goethe sostò sul Garda che gli apparve “eine herrliche Naturwirkung” (un magnifico spettacolo naturale). A Torbole appuntò il 12 settembre: “Oggi ho lavorato all’Ifigenia. Al cospetto del lago, l’opera ha fatto un buon passo innanzi”. Il giorno successivo, uscito in barca con due rematori, fu costretto dal fremito marino dei flutti – evocato da Virgilio nella seconda Georgica – a riparare nel porto di Malcesine. Qui, avendo deciso di disegnare il castello, venne ritenuto dal sospettoso podestà veneziano una probabile spia dell’imperatore Giuseppe II. Preoccupato ed incapace di comprendere la parlata locale, il poeta riuscì comunque a spiegare di essere cittadino di una repubblica e nativo di Francoforte. A quelle parole una graziosa giovinetta suggerì di andare a chiamare un tale Gregorio, che aveva lungamente vissuto sulle rive del Meno. Subito giunse alla rocca un uomo sulla cinquantina, una faccia bruna veramente italiana, come se ne vedono tante”. Egli parlò a lungo con il visitatore e disse quindi al podestà: “Sono convinto che questo signore è una brava persona e un artista assai colto, che viaggia per istruzione. Lasciatelo andare in santa pace perché possa dir bene di noi ai suoi concittadini e li incoraggi a fare una visita a Malcesine, la cui bella posizione merita bene di essere ammirata dai forestieri”. Il sospettato confortò quelle parole con opportuni elogi ai luoghi, agli abitanti ed alle autorità costituite. L’interrogatorio ebbe fine e mastro Gregorio volle condurre in una sua vigna l’ospite, generosamente offrendogli l’uva più matura ed i frutti migliori. “Verso mezzanotte – scrisse il poeta nel suo diario – mi allontanai dalla riva che aveva minacciato di diventare per me il paese dei Lestrigoni”. La menzione dei giganti antropofaghi ai quali scampò Ulisse svela la preoccupazione indotta dall’avventura. Di questo e di altri episodi riportati nei “Tagebücher” riferisce un libro, edito nel 1986 dalla Comunità del Garda, ove è parzialmente riportata la traduzione del rivano Eugenio Zaniboni. In Italia Goethe rimase fino alla primavera del 1788, soggiornando a Roma e giungendo alla lontana Sicilia. Due secoli dopo la sua breve e feconda parusia sulle rive benacensi, gli venne dedicato un aliscafo.
Si intese così onorare un genio universale e, nel medesimo tempo, compiacere i suoi compatrioti, dai quali è costituita la schiera più folta e fedele dei turisti transalpini sul maggiore lago italiano. Peraltro, onde alleviare i sospetti d’un calcolo mercantile, occorre considerare che nel 1822 il vate tradusse per primo in lingua tedesca l’ode “Il 5 maggio”, notoriamente ispirata dalla scomparsa, avvenuta l’anno precedente, di Napoleone Bonaparte. Nel 1827, inoltre, Goethe vergò la prefazione e promosse la stampa in italiano delle “Opere poetiche” di Manzoni presso un editore di Jena. Inviandogli una copia della tragedia dedicata al longobardo Adelchi, il grande milanese vi riportò le parole di “Egmont”: “Tu non mi sei straniero”. Ed aggiunse:”Fu il tuo nome che mi brillava incontro nella mia prima giovinezza, come una stella del cielo. Quante volte ti ho ascoltato, interrogato”. Chiudo questa breve nota riportando, nella versione di Roberto Fertonani per Mondadori, alcuni versi di “Mignon”: “Conosci la terra dei limoni in fiore,/ dove le arance d’oro splendono tra le foglie scure,/ dal cielo azzurro spira un mite vento,/ quieto sta il mirto e l’alloro è eccelso,/ la conosci forse?…”
L’avventura gardesana di Goethe Attraversato il passo del Brennero, Goethe sostò sul Garda che gli apparve “eine herrliche Naturwirkung” (un magnifico spettacolo naturale).
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PESARO – Forte del successo del primo fine settimana torna, sabato 30 novembre e domenica 1° dicembre, “Il Natale che non ti aspetti” l’evento diffuso più originale d’Italia coordinato dal Comitato Pro Loco di Pesaro e Urbino e promosso in collaborazione con Regione Marche e Provincia di Pesaro e Urbino. Il programma del secondo weekend di manifestazione stupirà il pubblico con le proposte di Candelara, Fano, Frontone, Gradara, Mombaroccio e Pesaro.
Si parte con Candele a Candelara (anche il 7, 8, 14 e 15 dicembre) e le sue amate fiammelle di cera collocate nell’intero borgo. Da non perdere l’incontro con il pastore Antonio “Toma” e i suoi animali ammaestrati, i laboratori per bambini, il Villaggio e l’Officina di Babbo (e Mamma) Natale, gli spettacoli degli artisti di strada, gli artigiani che lavorano la cera con metodo medievale, la gastronomia della tradizione e gli spegnimenti programmati dell’energia elettrica alle 17.30 e 18.30. Prevista navetta gratuita da Pesaro.
Quella di sabato sarà poi la giornata d’apertura de “Il Natale Più” di Fano che darà il via ai suoi eventi, sabato 30 novembre. Inaugureranno al pubblico: il Presepe di Sabbia in piazza Amiani (ore 16.30), realizzato da alcuni dei più importanti artisti del genere (10-12.30 –15.30-20 feriali – festivi e prefestivi anche dalle 21 alle 23); la pista di pattinaggio in piazza Avveduti (ore 17) ; la “Via dei ciliegi e dei bambini” (via Garibaldi, ore 18) dedicata ai più piccoli.
Domenica 1 dicembre, ore 18, in programma la cerimonia inaugurale con uno scenografico spettacolo di luci, musica e magia che anticiperà l’accensione del grande albero di piazza XX Settembre. Previste, per tutto il periodo natalizio, le visite al presepe permanente di San Marco, allestito nelle cantine settecentesche di Palazzo Fabbri. A disposizione dei visitatori il trenino-navetta che effettuerà corse dai parcheggi principali della città (1€ adulti, gratis i bambini).
Gradara attenderà i visitatori per accompagnarli dentro “Il Castello di Natale” (fino al 6 gennaio). Sabato 30 novembre, dalle 10, aperti i mercatini dedicati all’artigianato made in Italy, previsti assaggi di prodotti gastronomici tipici e laboratori artigianali per adulti e bambini. Durante l’intero fine settimana si susseguiranno gli itinerari guidati all’interno della Rocca. Per i piccini sarà anche l’occasione per lasciare la propria letterina all’Ufficio Postale di Babbo Natale. Domenica, dalle 15, in programma lo spettacolo interattivo “Il Robot di ghiaccio – The Robot Light Show” (ore 16 e 17.30).
Nel weekend tornerà anche la magia de È Natale a Mombaroccio (anche il 7 e 8 dicembre) con le sue 37 casette in legno allestite lungo le viuzze del borgo a comporre il mercatino con l’artigianato artistico. I visitatori potranno visitare il Chiostro dei Sapori, con le sue tipicità enogastronomiche, la nuova Pasticceria di Babbo Natale (ore 14.30 e 18.30 laboratori per bambini) alle prese con la creazione di un inedito dolce.
A far da cornice, la nevicata artificiale che scenderà, tre volte al giorno (ore 16.30, 17.30, 19.00) nella piazza principale. Da non perdere le suggestioni regalate dal Paesaggio Invernale, l’incontro con Babbo Natale nella sua Casa, l’appuntamento “rock” con il concerto dei The Perticars (sabato, ore 20.30 nel Giardino del Monte). Ogni giorno, ore 17, la sfilata del presepe vivente fino alla capanna della Natività. Navetta gratuita da Pesaro.
La V edizione di “Natale in Centro – Pesaro nel Cuore” proseguirà sabato alle 17, in piazza del Popolo, con l’esibizione di super-jump e zumba a cura di Center Stage. Alle 21 il Teatro Piccola Ribalta (349.8509796) ospiterà lo spettacolo “Winter Time – Il Trionfo del Tempo”. Il centro sarà animato, domenica 1° dicembre, dalle 17, dallo spettacolo itinerante “Il Principe Alì e il suo corteo” e dalle coinvolgenti ronde di pizzica salentina.
Nello stesso orario, la Biblioteca San Giovanni accoglierà i bimbi dai 5 anni per la lettura musicale “Come andò che Eugenio Difatti divenne musicista”. Aperti fino al 6 gennaio, i mercatini allestiti in piazza del Popolo e, dalle 10 alle 23, la pista di pattinaggio “Christmas on Ice”.
Da non perdere, domenica 1 dicembre, Nel Castello di Babbo Natale di Frontone. L’unico mercatino che si svolge al coperto ai piedi dell’Appennino, ambientato nel borgo medievale di pietra calcarea, regalerà (anche domenica 8 e 15 dicembre) una suggestione unica.
Per i più piccoli il consiglio è quello di visitare la Casa di Babbo Natale e di partecipare ai Giochi di strada per le vie del borgo (dalle 11 alle 19), ai laboratori artistici (dalle 11 alle 19) dedicati alla decorazione su ceramica (al coperto). Prevista, alle 15 e alle 19, l’animazione musicale de “La Cantina del Zì Socrate” e lo spettacolo delle sculture di ghiaccio (dalle 16 alle 17).
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Sesta edizione di "Liriche e note…
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Sesta edizione di "Liriche e note…
La prima serata è in programma il 9 agosto alle Terme Caronte, il secondo appuntamento è previsto per il 10 agosto nella chiesa di San Benedetto
Presentata questa mattina nella sala convegni delle Terme Caronte la sesta edizione di “Liriche, note e sotto le stelle di San Lorenzo”, evento ideato e promosso dall’associazione culturale San Nicola presieduta da Pino Morabito.
Il primo appuntamento della manifestazione, giunta al suo sesto anno di vita, è in programma per la sera del 9 agosto nel parco delle Terme Caronte; il secondo appuntamento è previsto per la sera del 10 agosto nella nuova chiesa di San Benedetto, futura concattedrale.
In quell’occasione la Filarmonica di Chiusi diretta dal M° Roberto Fabietti animerà la messa e poi si esibirà in un concerto di musica classica e brani sacri. L’ensemble toscano sarà ospite anche della prima serata a Caronte durante la quale presenterà diversi brani del suo vasto repertorio.
Emilio Cataldi, presidente di Terme Caronte, si è detto ben lieto di ospitare ancora una volta la manifestazione che già l’anno scorso ha avuto luogo nel parco termale e che è ormai un appuntamento fisso per l’estate lametina.
Morabito ha ribadito l’impegno dell’associazione che “punta a valorizzare le bellezze e le potenzialità di Lamezia: le sue eccellenze, la sua antica storia e le sue radicate tradizioni, unitamente ai luoghi che, proprio come le terme di Caronte, sono imprescindibili fattori identitari per una comunità”.
Don Domenico Cicione Strangis, rettore del complesso interparrocchiale di San Benedetto ha salutato con gran favore la presenza della Filarmonica “nella chiesa che è stata concepita come luogo dell’unità della città.
Non solo un luogo di culto, dunque, ma emblema di condivisione e unione delle tante anime della comunità”. La serata del 9 agosto proporrà dei momenti teatrali tratti dalle opere di Salvatore De Biase, scrittore e poeta, che ha rimarcato l’importanza della cultura come valore da cui ripartire per il riscatto di Lamezia.
“Il futuro ci appartiene – ha asserito De Biase – C’è una Lamezia positiva che dobbiamo riscoprire e che, noi dell’associazione, cerchiamo di far emergere con ogni nostra iniziativa”.
Alla conferenza stampa hanno partecipato l’avvocato Paolo Mascaro, il dott. Sebastiano Barbanti e il dott. Amedeo Proto che da diverso tempo ormai seguono e sostengono l’attività del sodalizio e che la sera del 9 agosto riceveranno l’attestato di soci onorari.
“Per me è un onore far parte di questa associazione” ha commentato Proto. Barbanti dal canto suo ha esaltato il lavoro svolto dall’associazionismo “che è materia di cui è fatta la società civile. Ben vengano queste iniziative – ha dichiarato Barbanti – Lamezia ha davvero enormi potenzialità ed è da questo substrato culturale che bisogna ripartire per far rinascere questa città”.
Anche Mascaro ha concordato sul fatto che l’associazionismo fa un gran lavoro sul territorio e spesso sopperisce alle mancanze delle istituzioni. “Dobbiamo superare gli steccati – ha esortato Mascaro – dobbiamo unire le forze per difendere il territorio e le sue positive peculiarità”.
Durante la sera del 9 agosto saranno consegnati i premi “La rosa nel bicchiere” creati appositamente dall’orafo lametino Eugenio Rocca. I riconoscimenti andranno alla manager Daniela Rambaldi, allo stilista Anton Giulio Grande ed al cantante lirico Leonardo Caimi.
Pino Mete, componente del gruppo teatro dell’associazione, declamerà i versi di Franco Costabile, a cui il premio ‘La rosa nel bicchiere’ si ispira; Antonio De Biase e Angela Isabella, altri due componenti del gruppo teatrale del sodalizio, porteranno in scena l’opera in vernacolo “A liti” di Salvatore De Biase. Quest’ultimo presenterà anche il libro “Danti è adiratu, Manzoni è arrabbiatu e lla curpa è dda mia?”.
Tra gli altri ospiti anche le soprano Rosa Cappelli e Ketty Sanò che saranno accompagnate al pianoforte dal M° Francesco Sinopoli.
Sul palco delle terme anche la giovane promessa della musica leggera Raffaele Renda, il cantante lametino che ha conquistato il pubblico di Sanremo Young.
Nel corso della serata saranno ricordate due figure illustri: Elisa Dattilo Cervadoro, sindaco di Jacurso nei primi anni Cinquanta, e Giovanni Maria Cataldi imprenditore illuminato, esponente dell’omonima famiglia che da sempre gestisce le terme Caronte.
Il sodalizio di Morabito, sempre durante la serata, consegnerà una targa all’associazione Lucky Friends per l’attività sportiva e sociale svolta in questi anni: un esempio concreto di inclusione per tanti ‘ragazzi speciali’ che altrimenti sarebbero rimasti ai margini della società.
Associazione culturale San Nicola
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firenze, 7 ottobre: "gruppo 70. una guerriglia verbo-visiva" @ frittelli arte contemporanea
A sessant’anni dalla nascita del Gruppo 70, Frittelli arte contemporanea (via Val di Marina 15, Firenze) inaugura, sabato 7 ottobre 2023, nell’ambito della Florence Art Week, la mostra “Gruppo 70. Una guerriglia verbo-visiva”, a cura di Raffaella Perna, che mette in luce l’attualità di uno dei movimenti più radicali della scena artistica italiana degli anni Sessanta. L’esposizione propone uno…

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Offagna
piccolo borgo medievale
a pochi chilometri dal mare anconetano
Il castello di Offagna e il borgo antico
Piano piano arrivano le belle giornate, il sole comincia a riscaldare l’aria e come le lucertole che escono dalle tane, ci mettiamo in moto con la voglia di esplorare i dintorni e passare delle giornate all’aperto, visitando città d’arte e nuovi luoghi.
Offagna, in provincia di Ancona, è una delle mete possibili per una scampagnata all’aria aperta, a pochi chilometri dal capoluogo di Ancona, più o meno 15, la sua Rocca, che capeggia il borgo, è parte dei venti Castelli di Ancona e considerato uno dei più belli.
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Offagna, il castello e il Borgo medievale
Offagna, come tanti borghi del territorio marchigiano, nel corso dell’Alto Medioevo, non presenta castelli isolati concepiti ad uso strategico-militari, la maggior parte delle volte vengono edificati a consolidare e proteggere gli insediamenti.
Così anche il “Castellum Ofanie“, di forma semplice e dimensioni modeste, nasce vicino a questo centro economico-rurale, la Massa Afraniana.
Il classico borgo fortificato marchigiano si compone di tre livelli, la parte più alta sormontata dal castello, dalla rocca, sotto di esso troviamo il borgo antico circondato da mura perimetrali, a volte solo alcuni resti, altre perfettamente intatte e ben delineate e intorno alle mura, sulla parte esterna tutta la città moderna o comunque recente, quella operativa e lavorativa.
Offagna, non si disgiunge da queste strutture, il suo Castello nasce intorno all’anno 1000 e il sito scelto per erigere la rocca è il Monte Sentino, ad una altezza di 300 mt. sul livello del mare, è uno dei punti più elevati per la vigilanza del territorio, nel quadrilatero Osimo, Camerano, Gallignano, Polverigi, la costruzione avvenne su preesistenti strutture, in epoca antica, la pratica del riuso di vecchi materiali era assai diffusa.
Il nome di “Ofania” ha diverse interpretazioni, la più ricorrente lo fa discendere per alterazione lessicale dalla “Massa Afraniana”, una grande proprietà terriera costituita in epoca romana, a favore della “gens Afrania”, gli Afrani erano un’illustre famiglia che aveva possedimenti nel territorio offagnese.
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il castello di Offagna
Passato l’anno mille, la produzione agricola nel territorio di Massa Afraniana, aumenta e così anche la popolazione, si sente la necessità di aumentare tutto quello che è l’apparato difensivo, il castello da modesto nelle sue forme e dimensioni, viene ampliato.
Si costruiscono i torrioni, completano le mura, nasce il corpo di guardia, inoltre si aggiunge il ponte levatoio, l’aspetto è quello di un edificio quadrangolare, con mastio imponente e poggia su una rupe tufacea che ne aumenta il potere difensivo.
La sua posizione non presentava la necessità della presenza di un fossato, gli ingressi si trovavano a notevole altezza rispetto al terreno, per cui, una volta ritirati i due ponti levatoi, la rocca rimaneva perfettamente isolata.
La solida cinta muraria è spessa, completa di camminamento di ronda principale e secondari, che consentivano rapido accesso alle cannoniere.
Al suo interno si trova la Torre del Pozzo, dove al piano terra c’era un pozzo profondo circa 30 metri che assicurava l’approvvigionamento d’acqua, gli altri due piani, come i camminamenti e tutte le altre strutture interne erano in legno.
La Torre di guardia, tramite i due ponti levatoi di cui era fornita: uno piccolo per le persone e uno grande per i carri e i cavalli, consentiva l’accesso alla parte interna della Rocca.
Il Castello di Offagna
Il mastio, la torre di massimo avvistamento, è suddiviso in cinque piani, al primo piano si trova una cella che comunica con il piano superiore tramite due botole poste sul soffitto, mentre il castellano risiedeva al terzo piano.
Oggi la Rocca di Offagna è sede del Museo della Rocca, ospita mostre temporanee e una interessante raccolta di armi antiche, dalla preistoria fino all’epoca moderna, al suo interno è presente una interessante esposizione di rare armi del Far West americano e recentemente è allestita una sala dedicata alle artiglierie.
Quello che era il borgo antico di Offagna, oltre al Castello, era difeso da una cinta muraria fortificata intervallata da torri, serviva da primo baluardo ed era destinato ad accogliere gli abitanti del territorio, con il loro bestiame in caso di pericolo, oggi rimane a testimonianza un torrione, di forma semicircolare, che terminava a nord-est la cinta muraria.
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La storia del Comune di Offagna
Dal passaggio di insediamento difensivo “Castrum Offaine” a Comune, fino alla fine del 1400, Offagna non vede battaglie importanti e invasioni, che possano cambiare la storia del territorio, se non le lotte territoriali per il possesso del castello, di importanza per la vigilanza sullo stesso territorio, da parte degli Anconetani contro gli Osimani.
Una volta divenuto “Comune”, inizia a godere di uno stato di libertà, anche se “vigilata“, ma i momenti di quieto vivere ancora sono lontani, infuria la lotta tra guelfi e ghibellini, devastazioni e saccheggi portano al degrado e la rovina del castello, anche i Malatesta, poi gli Sforza, tentano di impadronirsi del territorio marchigiano, ma senza successo, così, inevitabilmente riprendono le ostilità locali tra Ancona e Osimo che si contendono Offagna.
Alla fine, il pontefice Eugenio IV concede ad Ancona la giurisdizione sul territorio offagnese, a fronte di un debito nei confronti della chiesa con il comune di Ancona per un prestito di 7000 fiorini, con un semplice foglio di carta, cedeva Offagna ad Ancona.
Dopo qualche decennio di reggenza anconetana, nel 1477, anno della famosa “battaglia del porco“, Offagna torna nelle mani di Osimo, ma a questo punto, la fortezza perde d’importanza, le guerre paesane si esauriscono e subentrano altri nemici, peste, carestie, banditismo e terremoti, da documenti della metà del 1600, risulta che tutte le armi erano state asportate e la Rocca veniva ormai utilizzata come magazzino.
Chiesa del SS. Sacramento di Offagna
interno della Chiesa del SS. Sacramento
L’antico borgo non è molto grande ma si possono visitare gioielli architettonici di tutto riguardo, la Chiesa del SS. Sacramento, a pianta circolare, costruita dall’architetto Andrea Vici in puro stile neoclassico, il Monastero di Santa Zita, che si presenta come una struttura fortificata, la Chiesa di Santa Lucia, che conserva al suo interno un crocifisso ligneo del ‘500 e dipinti del seicento, la Chiesa di San Tommaso, dove al suo interno, si può ammirare una pala d’altare dedicata a San Bernardino, patrono del paese.
Offagna la gemma medievale in provincia di Ancona Offagna piccolo borgo medievale a pochi chilometri dal mare anconetano Piano piano arrivano le belle giornate, il sole comincia a riscaldare l’aria e come le lucertole che escono dalle tane, ci mettiamo in moto con la voglia di esplorare i dintorni e passare delle giornate all’aperto, visitando città d’arte e nuovi luoghi.
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L’Olio delle Colline: i vincitori della XIII edizione

Anche quest’anno il Centro Assaggiatori Produzioni Olivicole Latina ha reso omaggio alle eccellenze olivicole e olearie della Provincia di Latina, tra i 298 partecipanti al XIII Concorso provinciale “L’Olio delle Colline”, organizzato dal CAPOL, in collaborazione con l’ASPOL, e il patrocinio di Regione Lazio, Provincia di Latina, Comune di Latina e Camera di Commercio di Latina. La cerimonia di premiazione si è svolta sabato 10 Febbraio, a Latina Scalo. In mattinata, al Consorzio Area Sviluppo Industriale Roma-Latina, si è tenuto anche il convegno incentrato sull’attualità del settore, con particolare riguardo al tema dell’importanza dell’innovazione tecnologica nei processi produttivi dell’intera filiera, compatibilmente col rispetto dei requisiti agro-ambientali, al fine di tutelare, conservare e valorizzare l’assetto idrogeologico e paesaggistico del territorio.
Questi i vincitori delle varie sezioni in gara.
Premio Speciale “L’Olio delle Colline” 2018: Tulin Giovanna, Cori.
Categoria Azienda. Fruttato “INTENSO”: 1^ Villa Pontina di Pontecorvi Lucio, Sonnino; 2^ Az. Agr. Di Russo Cosmo, Gaeta; 3^ Az. Agr. I Lori di Sturno Lina, Cori. Gran Menzione: Santina delle Fate, Sonnino; Casino Re di Coletta Filomena, Sonnino. Fruttato “MEDIO”: 1^ Masseria Raino di Ialongo Sara, Itri; 2^ Az. Agr. Tomei Claudio, Maenza; 3^ Az. Agr. Misiti Adria, Sonnino. Gran Menzione: Az. Agr. Oleum Summum di Faiola Lorenzo, Sonnino; Cappelletti Clementina, Norma. Fruttato “LEGGERO”: 1^ Rossi Francesca, Roccagorga; 2^ Abbazia di Valvisciolo, Sermoneta; 3^ Az. Agr. Rossi Srl, Cisterna di Latina.
Categoria Olivicoltore. Fruttato “INTENSO”: 1^ Altobelli Bernina, Sonnino; 2^ Calvani Giuseppina, Sermoneta; 3° Noce Fortunato, Sermoneta. Gran Menzione: Di Girolamo Luca, Sonnino; Mancini Giuliano, Itri. Fruttato “MEDIO”: 1° Agnessi Loriano, Prossedi; 2° Tomei Violante, Maenza; 3° Altobelli Serafino, Sonnino. Gran Menzione: Ceraso Rosa, Cori; Agnoni Giuseppina, Cori. Fruttato “LEGGERO”: 1° Tulin Giovanna, Cori; 2° Caschera Marcella, Sezze; 3° Tomei Pietro, Maenza. Gran Menzione: Spinosa Benedetto, Gaeta; Antetomaso Benedetto Antonio, Gaeta; Galuppi Arcangelo, Priverno.
Premio “Olio DOP Colline Pontine”: 1^ Az. Agr. Cosmo Di Russo, Gaeta; 2^ Villa Pontina di Pontecorvi Lucio, Sonnino. Gran Menzione: Az. Agr. Tenuta dei Ricordi, Lenola; Tomei Claudio, Maenza; Casino Re di Coletta Filomena, Sonnino; Az. Agr. De Gregoris Gregorio, Sonnino.
Menzione Speciale “Olio Biologico”: 1^ Villa Pontina, Sonnino; 2^ Misiti Adria, Sonnino.
Menzione Speciale “Migliore Confezione ed Etichetta”: 1^ Santina delle Fate Soc. Coop., Sonnino; 2^ Az. Agr. Di Russo Cosmo, Gaeta.
Premio Oliva da mensa “Gaeta DOP”: 1^ Az. Agr. Del Ferraro Marco, Cori; 2^ Az. Agr. Priori, Rocca Massima; 3^ Az. Agr. Di Russo Cosmo, Gaeta. Gran Menzione: UNAGRI Unione Agricoltori Itrani Soc. Coop., Itri; Az. Agr. Casino Re di Coletta Filomena, Sonnino.
Premio Oliva da mensa “Itrana Bianca”: 1^ Oscar Soc. Coop. Agr., Rocca Massima; 2^ Az. Agr. Di Russo Cosmo, Gaeta; 3^ UNAGRI Unione Agricoltori Itrani Soc. Coop., Itri. Gran Menzione: Az. Agr. Casino Re di Coletta Filomena, Sonnino; Villa Wanda di Pennacchia Gregorio, Itri.
Paesaggi dell’Extravergine. Lepini: Ricci Barbara, Cori; Milani Fedora, Sermoneta; Eredi Bove di Diolinda, Aldo e Adele, Maenza. Ausoni: De Gregoris Gregorio, Sonnino; Cipolla Luigi, Terracina; Az. Agr. Di Fonzo Anna, Fondi. Aurunci: Masseria Raino di Ialongo Sara, Itri; Grossi Rita, Campodimele; De Vito Giovanna, Minturno.
Il pomeriggio, nell’ambito del Salone dell’OliOlive e dei Sapori della provincia di Latina, oltre alle degustazioni guidate ed informate direttamente dai banchi degli agricoltori locali, a cura del CAPOL e con l’ausilio degli studenti del corso alberghiero dell’I.I.S. “San Benedetto” di Latina, si sono svolti altri tre concorsi dedicati, rispettivamente, ai consumatori, ai produttori e agli assaggiatori professionisti, conclusi in serata con la consegna dei riconoscimenti.
Assaggiatore per un giorno: 1^ Sperotto Sara; 2^ Fusco Rosalia. EVO: Olio Extra Vergine Pontino: 1^ Santina delle Fate, Sonnino; 2° Di Russo Cosmo, Gaeta. Assaggiatori a confronto: 1° Parisella Rocco; 2^ Miscio Tiziana.
Sono intervenuti: Luigi Centauri (Presidente CAPOL e Capo Panel), Carlo Scarchilli (Presidente Consorzio ASI RM-LT), Damiano Coletta (Sindaco Comune Latina), Giulio Scatolini (Capo Panel C.O.I.), Flavio Berilli (Direttore ICQRF – MIPAAF), Claudio Vitti (Dirigente Area Decentrata Agricoltura Latina - Direzione Regionale), Eugenio Lendaro (Professore DSBMC Polo Pontino - Sapienza Roma), Alessandro Rossi (Presidente LILT Latina), Giovanni Bernasconi (Presidente Provincia Latina), Felice Costanti (Assessore Attività Produttive Comune Latina), Domenico Spagnoli (Commissario CCIAA Latina), David Granieri (Presidente UNAPROL). Carlo Hausmann (Assessore Agricoltura Regione Lazio) ha inviato un videomessaggio. Piero Manciocchi (Designer) ha presentato il progetto della nuova Sala Panel del CAPOL da realizzarsi presso il Centro Servizi ASI. Ha moderato Roberto Campagna (Giornalista).
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Ecco perché non scrivo più stroncature. Il trio Terranova-Raimo-Ciabatti mi ha fatto cacciare da “Linkiesta”? Storia di un vile pretesto (e di un Paese culturalmente allo sbando)
Qualche lettore affezionato mi fa: non fai più le stroncature, ti sei inchinato ai ‘poteri forti’. No, gli rispondo. Semplicemente, le stroncature non me le fanno più fare, sono stato stroncato. Mi hanno cacciato, licenziato. Colpa di. Nadia Terranova, Veronica Raimo, Teresa Ciabatti. Cioè di un pretesto. Piuttosto vile. Alquanto esemplare.
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Chi semina vento raccoglie tempesta, dicono i maligni, gli avidi d’ignavia. In realtà, chi semina il vero raccoglie invidia.
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Premessa. La stroncatura è un genere nobile, connesso alle origini del giornalismo culturale. Non lo pratica più nessuno. Perché? Perché in Italia puoi essere (anzi, devi essere) politicamente scorretto, ma non puoi fare il culturalmente anarchico. Insomma: sfottere il politico va bene, ma non toccate libri, scrittori, i potentati dell’editoria, la cristalleria della cultura. Come mai? Relazioni. L’Italia, di facciata, è un popolo di santi, poeti, navigatori; in realtà, è un paese di mafiosi, di leccaculo e di pavidi.
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La stroncatura, per essere tale, deve rispondere a due criteri. Primo: leggere minutamente il libro stroncato, e citarlo con dovizia. Secondo: si stronca soltanto uno più grande di te. La legge di Davide vs. Golia. Non è ammesso fare il forte con i deboli. Scrivere stroncature chiede avventatezza e cinica leggerezza: devi sfracellarti contro uno più potente.
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Ho scritto stroncature per una vita giornalistica. Prima su “il Domenicale”, poi su “Libero”, infine su “Linkiesta”. Un’era fa, per Francesco Borgonovo, tenevo anche una rubrica radiofonica di stroncature: si chiamava “L’animale della critica”. L’ultima stroncatura autentica – che appartiene alla rubrica “Il bastone e la carota” – l’ho firmata il 21 settembre 2019, su “Linkiesta”. Ne sono orgoglioso, è il primo esperimento di stroncatura in versi. La prima, per la stessa testata, è uscita il 31 marzo 2017. Ora non ne firmerò più. Ho stroncato di tutto, con coscienza critica. Scrittori ‘da classifica’ (da Valeria Parrella a Chiara Gamberale, da Marco Missiroli a Luca Ricci, da Paolo di Paolo a Stefano Benni…), ministri (Dario Franceschini), giornalisti bolliti (Aldo Cazzullo), cantanti-scrittori (Francesco Guccini), guru della cultura (Corrado Augias) e della scrittura (Antonio Moresco) e del giornalismo (Eugenio Scalfari), scienziati (Carlo Rovelli), neo-teologi (Vito Mancuso), santoni (Enzo Bianchi), parolieri (Alessandro Di Battista). Ho stroncato Papa Francesco, Andrea Camilleri, Adriano Sofri. Selvaggia Lucarelli e Paolo Sorrentino. Beppe Severgnini, Alberto Angela, il Cardinale Ravasi. A volte ho ricevuto lettere dagli avvocati dei permalosi stroncati. Spesso, privatamente, via mail, ho accusato messaggi più o meno minatori, viziosi, sibillini, diabolici: caro Brullo, un talento come lei, perché si spreca in simili esercizi giornalistici?
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L’unica cosa che raccogli scrivendo stroncature è livore altrui e un buon carico di nemici. Ti fanno il vuoto. Se scrivi una stroncatura – ne ho le prove – se la legano al cuore per anni. Ti tagliano fuori da tutto, i valvassini e i vassalli del potere culturale. Ma ho sempre creduto che alcune cose, impagabili, andassero fatte. Diciamo che ho shakerato un po’ l’annoiato, asfittico, grigio mondo culturale italiano. Ora, finalmente, scrittori ed editori dormiranno sonni tranquilli.
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“Linkiesta”, come si sa, ha cambiato direttore. Prima c’era Francesco Cancellato. Ora c’è Christian Rocca. Il nuovo direttore non ama le stroncature e mi fa avvisare, tramite il caporedattore, che non le scriverò più. Professionalmente, ha ragione. Non puoi lasciare un carico di granate in mano a uno sconosciuto: costui farà scoppiare soltanto casini, rovinandoti il fragile sistema di relazioni che ti sei costruito in lustri di onorato servizio. D’altronde, dopo due anni e mezzo di stroncature, una a settimana, una pausa va pur bene, passare i fine settimana a leggere cretinate a pagamento (per vigore morale compro sempre i libri che scelgo di stroncare) non è un piacere. Sia lode a Bruno Giurato, con cui ho ideato la rubrica di stroncature, e a Francesco Cancellato, il direttore che ha avuto il coraggio di pubblicarle.
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Due cose mi danno fastidio. Primo. Prima ti mandano da solo a fare la guerra, in prima linea (stroncali tu, tanto noi la pensiamo come te…). Poi ti sparano alla schiena. Secondo. Tra uomini che esercitano l’intelligenza (i giornalisti) pretendo chiarezza. Non dico il coraggio di parlarti guardandoti nelle palle degli occhi, ma almeno i coglioni di scriverti una mail. Gentile dott. Brullo, la sua professionalità non rientra nei progetti di rinnovamento del giornale… Invece, niente.
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I fatti. Cambia il direttore a “Linkiesta”. Il caporedattore mi avvisa, stop alle stroncature, se ti va, vada per una rubrica di recensioni. Va bene, dico. M’invento la rubrica “I sommersi e i salvati”. Alterno un libro buono di oggi a un libro riscoperto di ieri. La rubrica dura due puntate, alla terza mi defenestrano. Con un pretesto. Che cosa ho scritto? Un articolo su Maria Grazia Ciani, straordinaria classicista, che per Marsilio ha tradotto Iliade e Odissea e ha pubblicato, quest’anno, il romanzo La morte di Penelope. Parlo, tra l’altro, della meravigliosa traduzione di Lucrezio a firma di Milo De Angelis. Il pezzo mi pare fin troppo colto. Lo mando. Il caporedattore mi fa i complimenti. Ringrazio. Il giorno dopo il caporedattore mi telefona. Il direttore non vuole che collabori più. Come mai?, dico, un poco stralunato. Perché, esercitando l’attività critica (cioè, il cervello), ho scritto, in calce alla recensione, questa frase: “Il romanzo, in forma teatrale – voci che si rincorrono, nel destino a labirinto, Penelope e Antinoo, Telemaco, Argo, lo Straniero – ha una tensione che convince, radicale e quotidiana insieme. Eppure, sulle copertine dei giornali non è finita Maria Grazia Ciani – che per altro, velata di pudore, rifiuterebbe ogni forma di fama – ma scrittrici meno capaci di lei, dal profilo televisivo, Nadia Terranova, Veronica Raimo, Teresa Ciabatti… perché?”.
*
Come è possibile che una frase simile, placida fino al pallore, mi costi il posto (e quel poco di denaro, per me, per altro, tantissimo, visto che sono un poveraccio)? È un vile pretesto. Pretendo, con due mail formali, una risposta riguardo all’accaduto dal direttore. La risposta non è egualmente formale. Il giorno stesso, vedo su “Linkiesta” un articolo di Nadia Terranova sul conferimento del Nobel per la letteratura. Arguisco che il trio Terranova-Raimo-Ciabatti sia all’origine del mio licenziamento. Per altro, il riferimento alle tre scrittrici “sulle copertine dei giornali” si lega a un articolo del 21 agosto 2019 commissionatomi proprio da “Linkiesta”: ciò che prima era degno di plauso (e di soldi) ora è causa di scandalo. Il resto, ripeto, è un giudizio critico: chiunque ha testa capirà che Terranova-Raimo-Ciabatti, singolarmente o prese tutte insieme, sono “meno capaci” di Maria Grazia Ciani, un genio (sono “meno capace” pure io rispetto a MGC), e che hanno certamente un “profilo televisivo”: è un insulto? Semmai, è leggera ironia, piuma di pavone. D’altronde, la pratica giornalistica insegna che se in un articolo piuttosto neutro fiammano alcune frasi ritenute dalla testata “pericolose”, il caporedattore o il direttore contattano il collaboratore per capire se quelle frasi si possono smussare, cancellare etc. Di solito, si trova un punto d’accordo. In questo caso, visto che la vicenda mi pare una viziata minchiata, sarei stato d’accordo ad andarmene. Al direttore ho scritto: “Mi sembra dunque che lei abbia atteso un mero pretesto per ‘farmi fuori’: da buon direttore poteva parlare apertamente, subito, senza alcun problema, senza vergogna né viltà, senza celarsi in un qualche velo di timore”.
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Chi ha voglia di divertirsi trova l’elenco delle mie stroncature firmate per “Linkiesta” qui.
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Proprio per la sua banale meschinità, la vicenda andava narrata. Paradosso: al festival “Libropolis”, domenica prossima, mi hanno invitato a parlare dell’arte della stroncatura (se ci siete: domenica 20 ottobre, a Pietrasanta, ore 11,45). Dirò l’unica cosa che va detta: la stroncatura misura la limpidezza culturale di un paese, la sua altezza.
Davide Brullo
*In copertina: Davide Brullo dopo aver ricevuto la notizia che non scriverà più stroncature per “Linkiesta” (photo Alessandro Carli)
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Il ristorante Battipalo, ex biglietteria per i battelli è sospeso tra le acque del Lago Maggiore dalla parte piemontese.
“Battipalo” prende nome da una delle invenzioni di Leonardo Da Vinci: inventò l’attrezzo per piantare dei pali in agricoltura, successivamente adattato anche per i pali del lago predisposti sulle chiatte.
A 45 minuti da Milano: quasi invisibile dalla strada provinciale, è stato totalmente ristrutturato per diventare un vero ristorante gourmet di 40 coperti,
Una location tra le più belle e romantiche del lago Maggiore a pochi chilometri dalla Rocca di Arona, da Stresa, dalle isole Borromee e da S. Caterina del Sasso, un antico eremo scavato nella roccia.
La sua storia
Simona Benetti e Gabriele Boggio, compagni di scuola alle elementari e una grande passione per la cucina, per lei e per il buon vino lui, aprono il Battipalo nel 2009. Lei timida, ama esprimersi attraverso i suoi piatti; lui uomo di sala fatto e finito, ha fatto dell’accoglienza la sua arte e, della ricerca di vini e champagne di nicchia, la sua forza.
Simona ha lavorato presso il ristorante stellato Damini&Affini di Arzignano (VI), da Enrico Bartolini e da Ovo in Val d’Aosta sotto la guida dello chef Stefano Zonca.
La sua cucina
Ingredienti del territorio: pesci di lago stagionali (agoni, anguille, lucioperca, persico e lavarello) valorizzati in modo meno scontato e classico; i formaggi di Ossola e Valsesia; le erbe spontanee raccolte da Simona stessa (nei suoi piatti troviamo spesso tarassaco, dente di leone, piantaggine), la verdura invece, è raccolta quasi interamente nell’orto di casa; il pane del maestro culinario Eugenio Pol; pasta esclusivamente fatta in casa con farine di grani antichi e lievito madre per i lievitati; carne esclusivamente piemontese da un allevatore selezionato e lumache di allevamento bio.
I piatti must del Battipalo sono: la tartare di fassona; la tempura di pesce di acqua dolce da intingere in una salsa che richiama il ketchup con wasabi e zenzero; le lumache fritte nella farina di grano saraceno con l’humus di sottobosco che viene rappresentato dal sedano rapa, il soncino, topinambur e rapanello con aglio nero fermentato; le linguine di farro e orzo con lavarello sotto sale croccante; i tortellini di farina di riso ripieni di crema ai piselli con brodo di prosciutto, menta e gamberi rossi (gluten free); per dolce impareggiabile lo zabaione.
La Carta dei Vini
Oltre 40 etichette di soli piccoli produttori biodinamici di champagne di ottima qualità e prezzo, bottiglie dalla Borgogna, sempre di piccoli e ricercati produttori, motivo per cui gli appassionati fanno chilometri per degustarli.
Battipalo viale Vittorio Veneto 2 28040 Lesa (NO) - Italy Tel +39 0322 76069 Cell +39 366 3901901 http://www.battipalolesa.it/ SOCIAL FB Orari: Aperti a pranzo e cena mercoledì e dal venerdì alla domenica Aperti a pranzo martedì e giovedì Chiusi tutto lunedì, martedì e giovedì a cena
Battipalo un ristorante gourmet Il ristorante Battipalo, ex biglietteria per i battelli è sospeso tra le acque del Lago Maggiore
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13 GEN 2020 09:18
AGENZIA P-ANSA - ''MIO PADRE AVEVA TRASCORSO L’INFANZIA NELLA MISERIA: PENULTIMO DI SEI ORFANI, FIGLI DI UN BRACCIANTE A GIORNATA. MORTO DI COLPO MENTRE ZAPPAVA IL CAMPO DI UN ALTRO. MIA NONNA NON AVEVA VOLUTO AFFIDARE I BAMBINI ALLA CARITÀ PUBBLICA. E LI AVEVA TIRATI SU DA SOLA, CON LA FEROCIA DI UNA LEONESSA. PER FARLI MANGIARE, ANDAVA A RUBARE. IL SUO MOTTO ERA…'' - LE REGOLE DI PANSA: REDAZIONI RIDOTTE AL MINIMO; GIORNALISTI PRONTI A TUTTO; RAPIDITÀ; UNICO GIUDICE IL DIRETTORE, DITTATORE ASSOLUTO; SE SI FA BENE, SI SIA PREMIATI E SE SI FA MALE…''
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LA BIOGRAFIA
Biografia di Giampaolo Pansa a cura di Giorgio Dell'Arti per www.cinquantamila.it
Casale Monferrato (Alessandria) 1 ottobre 1935. Giornalista. «La mia patria morale è da sempre la Resistenza ma non accetto la retorica falsa secondo la quale di qui c’erano tutti i buoni e di là i cattivi. La sinistra che afferma ancora questa grande bugia reca danno solo a se stessa».
• «Mio padre aveva trascorso l’infanzia nella miseria: penultimo di sei ragazzini orfani, figli di un bracciante a giornata. Morto di colpo mentre zappava il campo di un altro: Giovanni Pansa, classe 1863, di Pezzana, provincia di Vercelli. Mia nonna, Caterina Zaffiro, classe 1869, anche lei vercellese di Caresana, non aveva voluto affidare i bambini alla carità pubblica. E li aveva tirati su da sola, con la ferocia di una leonessa. Per farli mangiare, andava a rubare. Il suo motto diceva: la roba dei campi è di Dio e dei santi, dunque pure di una disgraziata come me».
• «Papà e mamma erano arrivati soltanto alla quarta elementare lui e alla quinta lei. Per poi andare subito al lavoro: come guardiano delle mucche e come piccinina in una pellicceria».
• Laureato in Scienze politiche con una tesi su La guerra partigiana tra Genova e il Po (trasformata poi in un libro, Laterza 1967), vinse il premio Einaudi (500.000 lire) e fu chiamato alla Stampa, dove entrò l’1 gennaio 1961, praticante alla redazione Province.
• La sera del 22 novembre 1963, dovendosi fare il giornale sull’attentato a Kennedy, il direttore Giulio De Benedetti piombò nella redazione Esteri: «Questa cronaca non va bene, non va bene assolutamente. Riscriverla per la seconda edizione». Subito dopo: «Anzi, no. Voi degli Esteri siete troppo stanchi». Il direttore si girò, e alle sue spalle c’era la redazione Province. «Lei e lei. Rifatela voi due, questa cronaca».
I due erano Giuseppe Mayda e Pansa: «Seguite voi due questo fatto anche nei prossimi giorni, fino a che il nostro inviato non sia giunto sul posto». Tirarono avanti fino al quarto giorno, quando arrivò a tutti e due una lettera del segretario di redazione Fausto Frittitta che diceva: «Il direttore mi incarica di comunicarLe la sua soddisfazione per il servizio da Lei svolto sull’assassinio del presidente Kennedy». Seguiva l’annuncio di un aumento di stipendio.
• Pansa dice di aver imparato in questi primi anni le cinque regole che sono alla base di un giornale ben fatto: redazioni ridotte al minimo indispensabile; giornalisti pronti a far tutto; rapidità; unico giudice il direttore, dittatore assoluto; se si fa bene, si sia premiati e se si fa male si sia puniti.
• Al Giorno dal 1964, al direttore Italo Pietra che gli chiedeva se preferisse fare l’inviato in Vietnam o a Voghera rispose: «A Voghera». Pietra: «Risposta esatta. Se avessi detto Vietnam non ti avrei preso». Nel 1968 tornò alla Stampa (direttore Ronchey).
• Dal 1972 redattore capo al Messaggero, si trovò male anche per l’ostilità della redazione, nel 1973 andò al Corriere della Sera come inviato: colpo più clamoroso l’intervista a Enrico Berlinguer del 1976 in cui alla domanda se non temesse di fare la fine di Dubcek (il segretario del Partito comunista cecoslovacco che nel 1968 aveva tentato di liberalizzare il suo paese ed era stato spazzato via dai carri armati sovietici) ebbe per risposta: «No, perché sono da questa parte dell’Occidente e, con la protezione della Nato, mi sento più sicuro».
• Nel 1977, dopo le dimissioni del direttore Ottone, lasciò il Corriere per Repubblica.
• A Repubblica (è questo il periodo in cui lo si vede ai congressi dei partiti col binocolo perché non vuole farsi sfuggire nessun tic degli oratori) cominciò presto a fare il vicedirettore con Gianni Rocca e contribuì allo straordinario successo (in copie e peso politico) del giornale. Alla fine degli anni Ottanta inaugurò su Panorama (direttore Claudio Rinaldi) la rubrica “Bestiario”, poi portata all’Espresso di cui diventò condirettore. Incarico che ha lasciato il 30 settembre 2008 per passare al Riformista, fino al 2010, quando passa a Libero dove porta il suo “Bestiario”.
• Ha scritto molti libri, tra cui: L’esercito di Salò (Istituto della Resistenza e poi Oscar Mondadori, 1970), Comprati e venduti (Bompiani 1977), Ottobre addio (Mondadori 1982), Carte false (Rizzoli 1986), Intervista sul mio partito (a Luciano Lama, Laterza 1987), Lo sfascio (Sperling 1987), Questi anni alla Fiat (intervista con Cesare Romiti, Rizzoli 1988), Il Malloppo (Rizzoli 1989) ecc. Dopo che Rizzoli rinunciò alla pubblicazione de L’intrigo, giudicato troppo contrario a Berlusconi (in quel momento oltre tutto Berlusconi distribuiva con la Rizzoli Sorrisi e Canzoni), passò a Sperling & Kupfer, per poi tornare a Rizzoli nel 2008.
• Gli ultimi libri hanno ripreso il vecchio tema della Resistenza, visto però dalla parte dei perdenti. La grande bugia (Sperling & Kupfler, 2006), I tre inverni della paura (2008), I vinti non dimenticano (2010), La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti (2012), Bella ciao - Controstoria della Resistenza – (2014). Grandissime vendite e grandissime polemiche. Su Il sangue dei vinti (Rizzoli, 2003): «Vergognoso, non revisionista ma falsario» (Aldo Aniasi), «Una vergognosa operazione opportunista» (Giorgio Bocca), «Libro vergognoso di un voltagabbana» (Liberazione), «Una cinica operazione editoriale» (Sandro Curzi).
Ernesto Galli Della Loggia: «Che cosa gli rimproverava la sinistra più conservatrice e aggressiva, quella, come lui la chiama, degli “uomini di marmo”? Semplicemente di aver rotto il tabù delle migliaia di fascisti (o presunti tali, o addirittura, in più di un caso, di antifascisti perfino) brutalmente fatti fuori dai partigiani all’indomani del 25 aprile». Giorgio Bocca dopo aver letto La grande bugia: «Io sono d’accordo coi francesi, robe simili vanno proibite per legge».
• «Molti leader di sinistra sono persone mediocri, arroganti, boriose. Afflitte soprattutto da un vizio: l’ignoranza. Una malattia diffusa che li fa essere infastiditi da tutto ciò che non rientra nei loro poveri schemi culturali. Quando uscì il mio Sangue dei vinti i tipi sinistri non erano in grado di smentire i fatti che raccontavo: ma divennero furibondi perché incrinavo un tabù, quello della Resistenza, che li aveva aiutati a campare per tanti anni. Coprendo la verità con il mantello della retorica interessata e di bugie senza vergogna».
• «Dopo una vita trascorsa nel giornalismo schierato, de sinistra, Pansa ha maturato negli ultimi anni, specie per come sono stati accolti i suoi libri sulla guerra civile tra partigiani rossi e repubblichini dai Torquemada ex e post del pensiero unico, un giustificato disamore per la sinistra, forse antropologicamente superiore a ogni altra tribù nazionale ma con un QI politico e un respiro culturale, sia detto senza offesa, di poco superiore a quelli del paramecio, organismo unicellulare e magari, non mi stupirei, anche un po’ trinariciuto». (Diego Gabutti) [Iog, 17/4/2012].
• Da ultimo anche un paio di libri fortemente critici verso i giornalisti: Carta straccia. Il potere inutile dei giornalisti italiani (Rizzoli 2011) La Repubblica di Barbapapà (Rizzoli 2013, «Barbapapà è il soprannome che la redazione di Repubblica diede ad Eugenio Scalfari»).
• «Sono un umorale, un ingenuo, a volte m’incavolo, spesso sbaglio. Ma non ho mai scritto una riga per calcolo o fatto polemiche per opportunismo».
• «Ha il giornalismo nel sangue, anzi in Italia ne è uno dei capiscuola e officia i riti di questo mestiere con un suo scrupolo particolare. Alle 8,30 del mattino ha già letto dieci quotidiani, si devono a lui metafore entrate nel linguaggio comune come la definizione di “Balena bianca” per la Dc» (Maurizio Caprara).
• «Le cattiverie di Pansa sono leali, mai subdole, e non cancellano un’indulgenza di fondo verso gli attori della commedia umana. Il “Bestiario” cerca di applicare a modo suo il principio costituzionale del giusto processo» (Claudio Rinaldi).
• Antiberlusconiano («con giudizio», dice lui). «In passato ho creduto in Prodi. Ora ho perso anche l’ultima illusione». Nel maggio 2007 annunciò che non sarebbe più andato a votare. Frequenti bastonate alla sinistra estrema, tra i suoi bersagli preferiti Bertinotti, ribattezzato “Il parolaio rosso”.
• Juventino.
• Fuma.
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