#Edicola del Santo Sepolcro
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storiearcheostorie · 10 months ago
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Archeologia / Santo Sepolcro di Gerusalemme, dalla Rotonda all'Edicola, le novità degli ultimi scavi
Archeologia / Santo Sepolcro di Gerusalemme, dalla Rotonda all'Edicola, le novità degli ultimi scavi
Nuovi aggiornamenti sullo scavo archeologico in corso nel complesso del Santo Sepolcro a Gerusalemme. A comunicare i risultati è la responsabile dello scavo, Francesca Romana Stasolla, ordinario di Archeologia Cristiana e Medievale presso l’Università di Roma Sapienza, il cui contributo integralmente pubblichiamo. Santo Sepolcro di Gerusalemme, tutte le novità dell’ultimo scavo di Francesca…
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pangeanews · 5 years ago
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“Forse, dopo tutto, sono un impostore che non ha mai scritto libri. Forse sono un falso Jean Genet”
Della deificazione del malandrino in mandarino della scrittura, m’importa nulla. Dico: l’anatomia dell’orfano, il poveretto seviziato a Mettray, il ladro, il picchiatore, il malnato, il milite della Legione Straniera, il provocatore percotente. Insomma, tutto sommato, di Sartre che imbraccia Jean Genet come manganello per ficcarlo nel didietro della letteratura imborghesita, non m’importa. Il genio di Genet, invece, va maneggiato per scuoiare la nostra presunzione narrativa, perché farsi menare da lui fa sempre bene.
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Se la letteratura russa va nel sottosuolo dell’anima umana, quella francese adora verificare le fogne. E infognarsi nell’ano. Dal Divin Marchese alla miseria elettrizzata da Hugo, dai meschini detti da Balzac alla macelleria verista di Zola, dalle tenebre fecali di Céline allo scempio morale di Gide e Johuandeau alla santificazione del corpo di Genet. Letteratura carnale, come abominio.
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Di Jean Genet amo l’opera più che il personaggio – e il personaggio, semmai, quando si ammazza, piglia il sasso della fama e se lo sbatte in faccia, fino a deformarsi. Perché questo va fatto: ostacolare se stessi, rompere l’immagine che gli altri hanno di noi, spaccare lo specchio e usare triangoli di vetro per ornare di schegge la carotide. Nato nel 1910, Genet muore nel 1986, in aprile. I brani trascritti qui sotto, tradotti, riguardano una intervista trasmessa dalla BBC il 12 novembre 1985, condotta da Nigel Williams. La trasmissione, mimando il testo agiografico di Sartre, va in onda come Saint Genet.
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“Oggi inorridisco al pensiero di contenere, avendolo divorato, il più caro, il solo amante che mi amasse. Sono il suo sepolcro. La terra è niente. Morto. Le verghe e i verzieri escono dalla mia bocca. La sua. M’imbalsamano i polmoni, così spalancati. Una regina claudia gonfia il suo silenzio. Le api sciamano dai suoi occhi, dalle sue orbite dove le pupille sono colate via, liquide, sotto le palpebre flaccide. Mangiare un adolescente fucilato sulle barricate, divorare un giovane eroe non è cosa facile. Amiamo tutti il sole. Io ho la bocca insanguinata, e le dita. Coi denti ho lacerato la carne. Di solito i cadaveri non sanguinano, il suo sì”. Un brano di Pompe funebri. Genet scrive i grandi libri, da Notre-Dame-des-Fleurs a Journal du voleur tra 1944 e 1949, il resto sono altri che parlano di lui, lui che fa Genet, questa specie di ferita aperta sul ceffo della ‘società’.
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Mangiare. I grandi libri sono cadaveri che vanno divorati. Cadaveri che ritornano canoe.
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Sia lode al Saggiatore che ripubblica, con splendida spavalderia, Genet (Miracolo della rosa è tornato in libreria l’anno scorso, a cura di Alberto Capatti e nella traduzione di Dario Gibelli). Il problema è che ci vorrebbe più Genet per tutti. Voglio dire, faccio per dire, la mia edizione di Querelle di Brest e di Pompe funebri, accorpate in unico volume, è un Oscar Mondadori del 1984. Lo trovavi anche in edicola (per altro, mirabile la copertina di Ferenc Pintér). Genet serve per vincere le nostre ritrosie estatiche, per darsi il santo tormento, per dialogare con la morte, per tagliarci la lingua e vederla balzare sul tavolo, come un rospo.
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“Mi sporsi nonostante la folla per contemplare il fanciullo diventato, grazie al miracolo d’una raffica di mitragliatrice, una cosa così delicata, un giovane morto. Il cadavere prezioso d’un adolescente avvolto nei pannolini. E quando la folla ebbe raggiunto il bordo della bara, china su di lui, vide un volto affilato, pallido, un poco verde, il volto stesso della morte, ma così banale nella sua fissità ch’io mi domando perché mai la Morte, le dive del cinema, le virtuose della scena in viaggio, le regine in esilio, i re messi al bando abbiano un corpo, un volto, delle mani. Il loro fascino proviene da qualcosa di diverso da un’attrattiva umana, e, senza deludere l’entusiasmo delle contadine che volevano scorgerla al finestrino del vagone, Sarah Bernhardt avrebbe potuto apparire sotto forma d’una scatoletta di fiammiferi svedesi”. Le Opere narrative di Genet le leggete sempre per il Saggiatore, saggiate da ottimi traduttori; io mi ostino alla versione di Giorgio Caproni, perché mi esalta il poeta che traduce Char e Genet, Céline e Proust e Cendrars, che mette le dita liriche nell’impasto torbido.
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“Le rose hanno l’irritabilità, l’asciuttezza, la nervosità magnetica di certi medium”. Che immagine superba – la superbia del sovrano verbale. Genet converte la carne in aura, l’aura in talento di fango, il fine in sfinimento. (d.b.)
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Ho rischiato l’ergastolo, non pensavo di avere lettori. Credo che il mio profilo criminale narri di quattordici condanne per furto. Il che vuol dire che ero un ladro incapace, perché sono sempre stato catturato. Ero in prigione, ero rinchiuso. Ho rischiato l’ergastolo. Pensavo che nessuno avrebbe letto il mio libro. Pensavo di non avere dei lettori – ma dei lettori c’erano, evidentemente.
La famiglia è una cellula criminale. Fuggendo dalla famiglia sono fuggito dai sentimenti che avrei potuto avere per la famiglia e al sentimento che la famiglia avrebbe potuto avere per me. Sono completamente distaccato da ogni sentimento familiare. Secondo me la famiglia è la prima cellula criminale, la più criminale di tutte.
Le guardie si eccitavano a guardare. Nel penitenziario minorile di Mettray le relazioni tra i ‘fratelli maggiori’ e i giovani come me erano di sottomissione. Penso che lo spettacolo piacesse molto alle guardie. Diciamo che i primi spettatori della mia vita sono state le guardie. Si eccitavano a guardare.
Devi pagare tutto. I francesi mi hanno rifiutato mettendomi in prigione. D’altronde non volevo che questo: essere cacciato dalla Francia, fuggire dall’atmosfera opprimente francese, conoscere un mondo diverso… Quando sono stato catturato dagli sbirri è tutto finito. Quando la mano di un poliziotto ti piglia così… Beh, devi pagare per il piacere che provi rubando, devi pagare, devi pagare per tutto.
La Francia sconfitta da Hitler! Ero elettrizzato… Odiavo così tanto la Francia – e la odio ancora – che ero completamente elettrizzato dal fatto che l’esercito francese fosse stato battuto dai tedeschi. Era sconfitto dai nazisti, da Hitler, e io ero molto felice.
Il primo libro: scritto sui sacchi di carta. Il primo libro l’ho scritto su alcuni sacchetti di carta. Ho scritto le prime cinquanta pagine circa di Nostra Signora dei Fiori. Poi il tribunale mi ha chiamato per una audizione sul mio caso. Ho lasciato i pezzi di carta sul tavolo della cella. Il caposquadra, che aveva le chiavi, entra nella cella, la ispeziona, consegna al direttore quelle pagine. Quando la sera ritorno in cella, non trovo le pagine del romanzo. Il giorno dopo fui convocato dal direttore: mi affibbiò tre giorni di reclusione totale e sei giorni di pane secco. Dopo tre giorni di clausura, ho ordinato un taccuino, era nei miei diritti. Ho ricominciato a scrivere, di nascosto.
Prendo le distanze dagli umani. Mi sono sempre sentito separato, anche ora, separato da tutto. Preferisco restare a distanza dagli esseri umani.
Il teatro è mettere in imbarazzo gli spettatori. Non sono mai stato a teatro. Ho visto alcune opere teatrali, ma non molte. Il mio comportamento nella società è obliquo, preferisco sondare il mondo da una precisa angolazione. Il mio è stato un teatro di tipo nuovo? Non lo so. Forse era un teatro che metteva in imbarazzo. Ecco. Se mette in imbarazzo si può dire che è qualcosa di nuovo.
Preferisco Lenin ai “Sessantottini”. Quelli del Sessantotto si sono rivelati degli pseudo-rivoluzionari. Io sono dalla parte dei rivoluzionari, starei con Lenin, per intenderci.
Jean Genet non esiste. Forse, dopo tutto, sono un impostore che non ha mai scritto libri. Forse sono un falso Jean Genet.
Un anormale tra le norme. Vedi, siamo dentro una norma. Io sono seduto, tu mi interroghi, altre persone registrano per la BBC. Resto un emarginato e sono nella norma. Ho paura di stare tra le norme, questa cosa di entrare nelle case inglesi non mi piace. Non sono arrabbiato con te, che raffiguri la norma, sia chiaro: sono arrabbiato con me stesso che ho accettato di stare alle norme, e questo non mi piace per niente.
Sto aspettando la morte. Genet studiato all’università? C’è un tratto di vanità… e allo stesso tempo di dispiacere. C’è questo doppio imperativo. Non mi piace… Perché vuoi trasformarmi pure tu in un mito, perché? Io posso vivere ovunque, in Marocco come in Inghilterra… Intendi sollevare il problema del tempo? Bene, ti risponderò come Sant’Agostino: “Sto aspettando la morte”.
Jean Genet
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pietroalviti · 5 years ago
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Diocesi di Frosinone pellegrinaggio diocesano Gerusalemme, in preghiera al Calvario e al sepolcro con i francescani, edicola del sepolcro (presso Basilica del Santo Sepolcro (Gerusalemme)) https://www.instagram.com/p/B0WGyvuA9LV/?igshid=160r6oqj1eau4
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storiearcheostorie · 1 year ago
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SCAVI / Pavimenti, recinzioni liturgiche e graffiti: dal Santo Sepolcro di Gerusalemme emergono le fasi paleocristiane dell'Edicola
#SCAVI / Pavimenti, recinzioni liturgiche e graffiti: dal Santo Sepolcro di #Gerusalemme emergono le fasi paleocristiane dell'Edicola
L’interno del Santo Sepolcro con l’Edicola (Wikimedia Commons CC BY-SA 4.0/ Stefanopischiutta) Nuove importanti scoperte nel Santo Sepolcro di Gerusalemme. Il 27 giugno scorso si sono conclusi i lavori di scavo nell’area immediatamente antistante l’Edicola, il piccolo edificio sorto intorno alla grotta nella quale, secondo la tradizione, fu deposto il corpo di Cristo. L’intervento è stato svolto…
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pangeanews · 6 years ago
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Gerusalemme, oggi: il silenzio è morto (insieme a Dio?), frotte di turisti si fanno i selfie sul Golgota e a Betlemme vendono gli stickers di Bansky
Posso non credere in niente, posso avere dei dubbi sul fatto che quell’uomo, Gesù, fu fatto giacere proprio in quel Santo Sepolcro prima di risorgere, ma ho fatto comunque un’ora di coda per inginocchiarmi in quella piccola edicola e finalmente iniziare a rendermi conto di dove mi trovassi. Ho appoggiato le mani sulla sua tomba ma immediatamente dopo un uomo mi ha avvisato che toccava a un altro e che me ne dovevo andare. Come risvegliata da un sogno, sono uscita, ancora non connettevo bene, ma ho sentito le mani chiamarmi. Ho rivolto i palmi verso l’alto, li ho guardati, e li ho sentiti pulsare, mentre venivo travolta da un fiume di pellegrini, invasati, turisti, o quel che è.
Qui non è regno del silenzio. Solo nella fugace intimità dell’edicola del Santo Sepolcro non sono permesse fotografie o schiamazzi, sia lode a Dio! Non c’è cappella, non c’è chiesa, dove non ci sia brusio, dove non si senta scattare una foto.
Il turismo, qui, è ormai qualcosa di aberrante. E non solo per i voli low cost che hanno permesso a tutti di viaggiare – e ben vengano, anche se un po’ di ‘educazione al turismo’ non farebbe male – ma per la mancanza di rispetto che troneggia in ogni luogo, anche il più sacro del mondo.
Mi considero una cristiana perché sono stata battezzata e cresimata, non certo una praticante, ma vedere il sudamericano, l’italiano, il filippino, il coreano, il russo ecc. che si fa il selfie davanti al Golgota, fa male al cuore. Così come fa male vedere ragazzine saltare dieci volte davanti alla Cupola della Roccia per ottenere lo scatto perfetto da mostrare su Instagram.
Cosa siamo diventati? E perché e per chi facciamo tutto questo?
Deleghiamo il nostro ricordo alla memoria di uno scatto.
In giro, nel caos generale, si vendono anche coroncine di spine di legno da appendere in casa.
Mentre camminavo per Gerusalemme, mi è venuta in mente la scena di Jesus Christ Superstar in cui Gesù entra nel Tempio, spacca tutto, e poi grida: “Get out!” (Con quell’acuto che solo Ted Neeley sa fare).
Se Gesù dovesse tornare, credo che sarebbe il primo a dare fuoco a tutto e tutti.
È proprio l’eccessivo permissivismo della Chiesa ad aver consentito tutto questo e ad averle fatto perdere appeal e sacralità?
È la morte del silenzio a preoccuparmi; è l’assoluta incapacità a stare zitti e a ritirarsi per un momento con se stessi. È il tracollo della contemplazione di fronte a ciò che ci è più vicino a farmi chiedere: ci si avvicina alla mindfulness perché semplicemente l’erba del vicino è sempre più verde?
Si può essere agnostici come me o atei e pretendere comunque il silenzio nel luogo di sepoltura di Gesù, anche solo per la sua rilevanza storica.
Ne ho trovato di più nel museo di Arte Contemporanea di Tel Aviv, di fronte a Chagall, forse oggi più sacro e importante di un San Tommaso qualunque.
È il turismo di massa il problema o i cellulari? O la perdita di qualunque valore?
Quando siamo diventati così?
Quando abbiamo smesso di ascoltare? Quando siamo diventati troppi? È in luoghi come questi che ci si rende conto dello spropositato aumento demografico. Come quando arrivi a Nuova Delhi e non ci puoi credere che tutta quella gente viva in una sola città.
Siamo maleducati, siamo indifferenti, siamo disinteressati. Viviamo attraverso l’occhio delle nostre telecamere, delle macchine fotografiche, dei nostri cellulari, e nel frattempo il mondo ci passa davanti, mentre l’ebreo piange davanti al muro del pianto, il musulmano prega a terra verso la Mecca, il cristiano tocca il Santo Sepolcro, e in India l’indù si lava nel Gange e il buddista porta in offerta il burro di Yak.
Siamo più simili di quello che crediamo.
Però mi fanno sorridere certi cristiani che d’improvviso diventano buddisti e cominciano a giocherellare con Mala e a dire mantra di cui spesso non sanno neanche il significato, quando a loro portata hanno sempre avuto il rosario e le preghiere.
Cambiare religione è un po’ come cambiare squadra di calcio? La fede non vacilla neanche davanti a un prete pedofilo, altrimenti non è fede.
Vaghi per Gerusalemme e ti viene da pensare che l’essere umano sia proprio stupido: fa la guerra anche se Dio è uno e su quello sono tutti d’accordo. Quello che non piace è quello che c’è stato in mezzo. Gesù era il Figlio di Dio e per altri solo un ciarlatano, per altri solo un profeta, e via dicendo.
Gesù e il Buddha, per esempio, non sono molto diversi. Sono stati due uomini, due messaggeri, due persone che hanno cercato di suggerirci come non finire all’inferno, l’uno per non rinascere mai più e l’altro per risorgere ab aeterno.
Il finale è un po’ diverso ma il mezzo molto simile. Gesù ricorda un po’ anche Milarepa…
(Però nei monasteri tibetani è assolutamente proibito scattare foto, girare video, e il silenzio è assoluto!)
È tutta un’unica e grande storia, una storia di fede e di speranza; una storia fondamentale per la sopravvivenza dell’uomo. Noi crediamo che le guerre in nome della religione ci distruggeranno, ma la conservazione della società si basa sull’esistenza del religioso. René Girard docet.
Ne ho già parlato su Pangea, ma vorrei aggiungere alcuni passaggi fondamentali:
“Durkheim afferma che la società è una, e la sua unità è innanzitutto religiosa. […] Durkheim ha intuìto che gli uomini sono debitori di ciò che sono, sul piano della cultura, a un principio educatore situato nel religioso. Perfino le categorie dello spazio e del tempo, afferma, provengono dal religioso. […] Il religioso consiste innanzitutto nel togliere il formidabile ostacolo che oppone la violenza alla creazione di qualsiasi società umana. […] Per completare l’intuizione di Durkheim bisogna capire che il religioso fa tutt’uno con la vittima espiatoria, quella che fonda l’unità del gruppo contro e, al tempo stesso, intorno a essa. Solo la vittima espiatoria può procurare agli uomini tale unità differenziata, là dove essa è a un tempo indispensabile e umanamente impossibile, in seno a una violenza reciproca che nessun rapporto di dominio stabile né alcuna riconciliazione vera può concludere”.
Il religioso ci ricorda chi siamo, da dove veniamo, e su quali basi abbiamo fondato le nostre comunità. Ci dà la forza di sopportare e di comprendere la necessità del primo sacrificio dell’umanità, compiuto con immensa pietà. Le sue regole ci rammentano cosa bisogna o non bisogna fare per evitare il ritorno della violenza distruttrice. E quando s’indebolisce l’adorazione terrorizzata, quando cominciano a cancellarsi le differenze, i sacrifici rituali che hanno tenuto in piedi la società perdono la loro efficacia.
“La presenza del religioso all’origine di tutte le società umane è un fatto indubitabile e fondamentale. […] Noi affermiamo che il religioso ha come oggetto il meccanismo della vittima espiatoria; la sua funzione consiste nel perpetuare o nel rinnovare gli effetti di quel meccanismo, ossia nel mantenere la violenza fuori dalla comunità”.
E oltre alla progressiva e preoccupante perdita del sacro a Gerusalemme e alla mancanza del silenzio, colpisce anche il muro, colpisce Betlemme, che per andare avanti vende gli stickers di Banksy. Colpisce la tristezza del palestinese che vede arrivare orde di turisti in bus che nel giro di una giornata scompariranno. Nessuno vuole restare a dormire a Betlemme. Si va a vedere la Chiesa della Natività, dove le persone si fanno i selfie davanti al supposto luogo dove Maria partorì, un punto ben segnato con una stella di metallo impressa nel marmo, e si torna a Jerusalem.
Qui tutto colpisce in faccia come raffiche di vento sugli scogli di Jaffa.
Qui ci si lascia ammaliare dall’affascinante canto del muezzin, anche se si è seduti dentro la chiesa del Getsemani.
Perché forse, in fondo, è giusto che a Gerusalemme non esista il silenzio, perché soprattutto qui ognuno ha bisogno di gridare il proprio diritto a esistere.
Dejanira Bada
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