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La storia della moneta era questa. Un anno prima (quando io non ero ancora arrivato al museo) il quotidiano della Repubblica aveva pubblicato in quarta pagina un lungo articolo: “Il Kazachstàn è stato una colonia romana?” Il punto interrogativo era pura civetteria. L'autore dell'articolo, che era il professor Stoljàrov dell'Istituto per la cultura nazionale, non aveva nessun dubbio: diceva di sì, e basta. Ma quante cose diceva! Affermava che dall'Aral al Tien-scian il Kazachstàn aveva fatto parte della provincia romana d'Asia, «residuo dell'impero d'Alessandro il Macedone ». Governava la provincia il proconsole romano Sanabar, il quale per primo aveva introdotto nella colonia il latino in luogo «del greco prima imperante». Tutto questo doveva essere successo nel terzo decennio del I secolo d. C. Alla periferia occidentale d'Alma-Atà, «ove ora si stendono orti e frutteti», si trovava a quel tempo il centro della provincia, con gli uffici amministrativi e il palazzo del governatore. Le montagnole che orlavano la Via Dàčnaja non erano colli, ma «tombe di personaggi imperiali». (Quali - quali?) Infine, il professore così terminava l'elenco delle sue scoperte : «Riteniamo assodato che 2500 anni fa nel Kazachstàn si usasse una scrittura cuneiforme, di tipo più complesso di quella assiro-babilonese e persiana». Tutte queste cose erano state rivelate al professore da una moneta romana dissepolta in un orto.
Jurij O. Dombrovskij, Il conservatore del museo, Rizzoli, 1965; pp. 50-51.
[Prima pubblicazione col titolo Хранитель древностей sulla rivista moscovita Novyi mir, nn. 7-8 del 1964]
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==АКТУАЛЬНО ! ПОДНИМАЕМ ДОСЬЕ==
Александр Домбровский. Досье и компромат. Биография "серого кардинала" винницкого клана при Порошенко, самого богатого человека Винницы, экс-главы комитета по вопросам ТЭК
#АлександрДомбровский #ТЭК #Винница #досье #биография #компромат #новости #Украина #Ukraine #SkeletInfo
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Jurij Dombrovskij (1909-1978) continua la sua epopea narrativa ambientata ad Alma-Ata, nel Kazachstan, iniziata ne 'Il Conservatore del Museo' e che prosegue qui in 'La Facoltà di Cose Iutili', scritto fra il 1965 e il 1975. Protagonista è sempre il catalogatore del museo Zybin, che però a differenza del romanzo precedente non narra più in prima persona. Ritroviamo di nuovo i peculiari personaggi come l'archeologo Kornilov, il direttore del museo di Alma-Ata, l'assistente Klara, il capo Potapov e il "nonno" falegname, nel terribile anno 1937. Rispetto all'opera precedente si nota una certa libertà nello stile e soprattutto nei contenuti, non più soggetti alla censura sovietica poiché il romanzo fu pubblicato a Parigi nel 1978. Se la denuncia sociale del periodo del terrore staliniano nel primo romanzo era soltanto un'ombra che aleggiava, qui la minaccia si concretizza terribilmente, avendo effetto sui personaggi protagonisti e su chi gli sta intorno. L'opera è frutto della esperienze maturate durante la vita dallo stesso Dombrovskij, che ne passò la gran parte nei gulag o al confino.... #libridisecondamano #ravenna #bookstagram #booklovers #bookstore #instabook #igersravenna #instaravenna #ig_books #jurijdombrovskij (presso Libreria Scattisparsi) https://www.instagram.com/p/B5wql1AIb7R/?igshid=fh06xsv9938d
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X Il decreto sul terrore rosso del 5 settembre 1918. Il custode dei cortili dei caseggiati. Il futuro staliniano (tempo verbale). I geologi di Nikonov. Maria Popova che parla con Lenin pochi secondi prima dello sparo. Il pestaggio di Jurij Dombrovskij, nell’atrio della Casa Centrale degli Scrittori. Il libro della buona e sana cucina, di Mikojan. Il film proibito di Aleksandr Medvedkin. L’abrogazione delle tessere annonarie. La bandiera nera degli anarchici di Machno. La corda sul collo del maresciallo Achromeev. Brodskij processato per parassitismo. Lev Rubinstein che recita le schede della biblioteca. “Il regno dei cafoni”, la dittatura del proletariato ai suoi inizi, secondo Gor'kij. Il XIV Congresso, quello dell’industrializzazione. Il carattere nazionale della rivoluzione bolscevica, secondo Ustrjalov. L’Esposizione agricola panrussa del 1939. Molotov e Žemčužina a braccetto per strada. I mosaici sotterranei della stazione Majakovskaja. I dodici anni in cui gli ebrei abbandonano l’Unione Sovietica. Il blin, simbolo del sole, delle belle giornate, dei buoni raccolti, dei matrimoni felici e dei bambini in buona salute. L’appartamento ribattezzato spazio abitativo. La legge sulla riduzione delle pene del 1960. Quando il direttore dell’ufficio cultura, agitazione e propaganda era Aleksandr Jakovlev. Gli scioperi della fame. La mascolinizzazione del corpo femminile. L’accordo di Dybenko con i cosacchi. Il fumo delle fabbriche come “respiro della Russia sovietica”. Il poeta russo.
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dodici maggio
Giovanni Frangi, Ninfee, 2015
Mai non ritorno al mio bel sole amato seguendo i piè, ch’altrove andar non sanno: ché non sia del piacer maggior l’affanno, e da presso più acerbo il ben bramato.
Quegli occhi, i quai per adorar son nato, com’essi, ohimè, per sol mio strazio e danno, pur d’un guardo mercede al cor non danno, sempre in atto ver me nemico, irato.
E se lontan dal loro…
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#Ágnes Heller#Barrington Moore#Celio Magno#Claribel Alegría#Dante Gabriel Rossetti#Edward Lear#Frank Stella#Gary Peacock#Giovanni Frangi#Giovanni Testori#Hubert Crackanthorpe#Joseph Beuys#Jules Massenet#Jurij Osipovič Dombrovskij#Manuel Alegre#Marco Denevi#Mario Sironi#Massimo Bontempelli#Stephen Vizinczey
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Домбровский: Кризис -
Домбровский: Кризис - возможность для государства начать с себя http://vybor-naroda.org/lentanovostey/163748-dombrovskij-krizis-vozmozhnost-dlja-gosudarstva-nachat-s-sebja.html
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Silencio y Remoción
Exposición Removed (foto del autor)
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Exposición Removed (foto del autor)
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LA HABANA, Cuba.- Pasa totalmente inadvertida la exposición REMOVED, del artista Abel Herrero en la galería de la Biblioteca Nacional de Cuba. Tal vez la más significativa de los últimos tiempos en la Isla.
Aún tratándose de un artista ya afirmado internacionalmente y de una sede prestigiosa, ninguna nota se ha visto a propósito de la exposición, ningún servicio informativo ni comunicación en los medios públicos. Herrero parece ser un artista reservado pero el mutismo que rodea el evento se explica por el tema del mismo.
Con una serie de sugestivos macrorretratos donde predomina la potente sobriedad pictórica y rigor temático el artista presenta 13 rostros de intelectuales rusos (Osip Mandel’stam, Nikolai Klyuev, Marina Cvetaeva, Nikolaj Gumilëv, Boris Pil’niak, Issac Babel’, Evgenij Zamjatin, Daniil Charms, Andrej Platonov, Jurij Dombrovskij, Alexander Voronskij, Pavel Florenskij y Vsevold Mejerhold) que por sus ideas y palabras pagaron un precio altísimo. Todos asesinados, humillados, reducidos al silencio y borrados de la historia en lo que se reconoce universalmente como una de las páginas más tristes de la humanidad y de la destrucción por parte del poder político del pensamiento crítico e intelectual. Un período brutal de la humanidad del cual en Cuba se sigue minimizando la importancia. Digo de la humanidad porque la grandeza de las mentes aquí citadas trasciende las fronteras de lo que es hoy Rusia para convertirse en figuras de valor universal.
Herrero apunta el dedo explícitamente a esta vergonzosa tragedia que se mantuvo silenciada durante décadas en aquella que fuera la patria política y el modelo social cubano por 40 años, la URSS.
El artista en su reflexión no concede ambiguedades y centra toda la atención en revelar nombres y caras. El respeto hacia los retratados emerge súbito con la praxis pictórica, que privada de especulación técnica y retórica plástica nos pone ante la cruda verdad con la delicadeza que el tema merece. El equilibrio con el contexto expositivo funciona y la tensión pretendida por el artista es obtenida claramente. El espacio de la galería queda congelado ante la potencia de los retratos y el clima en su interior se vuelve tenso y reflexivo. El espectador queda suspendido en una inquietud cómplice entre el aspecto formal, el contenido y el contenedor. Esto es posible gracias al nivel alcanzado por Herrero con su trabajo, crecido lentamente en Italia codeándose con las mayores figuras del panorama artístico contemporáneo y con importantes personalidades de la cultura del viejo continente.
Como es lógico, el tema no puede ser del agrado de la administración cultural y política cubana porque los ecos de este desastre traen al tema la represión operada desde inicios de la revolución y al actual recrudecimiento interno hacia las voces críticas. Por otro lado, difícil reconocer que el modelo político, cultural y social abrazado por Cuba durante décadas, contenía en su proyecto el exterminio programático de todo el sustrato pensante de la naciente sociedad soviética. ” …A los intelectuales incómodos les esperaba un calvario infinito y a sus obras el profundo silencio en las catacumbas de los archivos secretos. Fusilamientos programados, desapariciones en gulags, prisiones de trabajo forzado en condiciones inhumanas, humillación sistemática, persecución, deportaciones, acoso, destrucción psicológica y moral, procesos sumarios y ejecuciones en silencio. Este fue el sistema de relación soviético con la poesía, con la intelectualidad de su tiempo. Este el precio que pagaron estos seres por ser libres pensadores y defender la propia individualidad intelectual…” (A. Herrero)
La exposición ha pasado inadvertida al gran público por lógicas razones, pero las señales sutiles de su impacto son evidentes y la intelectualidad cubana la ha advertido y apreciado en baja voz. Algunos detalles históricos nos dicen que no se trata solo de una exposición de pintura sino de un proyecto complejo y crítico. El artista logró insertar los retratos en un contexto especial para el proyecto. Tengamos presente que la exposición se encuentra en el corazón de la retórica revolucionaria, la Plaza de la Revolución. El artista presenta grandes retratos de poetas asesinados en el escenario de los grandes retratos de la retórica castrista. Pero también la galería se encuentra exactamente frente al pequeño teatro de la Biblioteca, escenario del famoso discurso de Castro del 1961 en el que se decreta la línea férrea y la intransigencia hacia cualquier forma de crítica o cuestionamientos de las posiciones revolucionarias. De ahí en lo adelante inicia el calvario y el tormento para las voces incómodas de la sociedad cubana y el yugo de la censura sobre las letras, las editoriales y las artes.
Acompaña la exposición un catálogo editado en Italia (Silvana editoriale) que contiene textos de importantes críticos, entre ellos un ensayo de Demetrio Paparoni, historiador y curador de eventos y monografías de los mayores artistas del panorama contemporáneo. Paparoni recientemente publicó el volumen Il Bello il brutto e il cattivo, un exhaustivo análisis sobre cómo el poder político influenció las vanguardias artísticas del siglo pasado.
Pero no solo Silencio. La exposición de Herrero sobre la masacre de la intelectualidad durante el comunismo será desmontada anticipadamente y el espacio de la galería será ocupado por una mediocre exposición de fotografías de Alex Castro, retratos de su padre. Esto parece un chiste, un episodio orwelliano, o el simple salto al pasado, al período comunista de mayor intensidad cuando una acción eversiva se cancelaba con otra celebrativa.
Silencio y Remoción
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Avevamo cinque operai, due vecchi e tre giovani. E bisogna dargliene atto, lavoravano come diavoli. Li avevamo conquistati coi nostri racconti sui tesori. Quando parlavamo loro della Venere di Milo, del sarcofago d'oro del Tutankamen, dei tesori della bella Elena, s'illuminavano, uscivano in esclamazioni agitando le teste e s'inebriavano. Una volta raccontai che circa cinquecento anni prima, a Roma, lungo la via Appia, disseppellirono una bellissima fanciulla. Era nella cassa, ma sembrava viva. Aveva le guance colorite, una pelle delicata e sottile, lunghe ciglia, un seno alto e giovane. Aveva gli ornamenti da fidanzata. L'avevano trasportata in Vaticano ed esposta al pubblico. Ed era cominciato il pellegrinaggio. La gente veniva da luoghi lontani e cresceva continuamente. Circolavano voci strane. I fidanzati cominciarono ad abbandonare le fidanzate e ad andare ad appuntamenti segreti con la fanciulla del sarcofago. Allora il Papa diede ordine di seppellirla di nuovo e la storia finì. Così era morta una seconda volta la fanciulla bellissima che era rimasta sotto terra millecinquecento anni.
Jurij O. Dombrovskij, Il conservatore del museo, Rizzoli, 1965; p. 241.
[Prima pubblicazione come Хранитель древностей sulla rivista moscovita Novyi mir, nn. 7-8 del 1964]
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Gli mostrai dei fiori. In una scatoletta di compensato con il coperchio di vetro, uguale a quelle in cui si vendevano le prugne secche, su un'ovatta ormai grigia giacevano dei petali arrotolati. Ce n'erano di gialli, di bianchi, di color crema e di quasi neri. Ciascuno era grande come un'unghia. Erano decrepiti, rugosi, leggerissimi e molto, molto antichi. In essi si sentiva ancora il grande dolore dell'appassimento, della morte violenta del fiore. La scatoletta era ermeticamente chiusa e giaceva in una cassa di quercia. L'avevo trovata nel solaio fra crani di lupo e d'orso. «Che cos'è?» chiese il direttore senza capire. Non gli risposi e gli diedi la scatoletta. Lui prese con cura, quasi timidamente, quel minuscolo sarcofago di vetro, da cui pendevano enormi suggelli neri, che parevano di piombo, e, postoselo sul palmo della mano, cominciò a osservarlo. «Quanti anni ha?» domandò piano. Gli risposi che ne aveva almeno tremila. «Come? Tremila?» esclamò spaventato. «Ma che cos'è?» Gli dissi che era un'acacia bianca. In un tempo lontano ne era stato strappato un ramo intero per posarlo sul petto del cadavere del faraone Amenothep II. Sulla sua fronte, già vuota come un vaso, stava una corona di fiori bianchi e azzurri di loto, e sul petto questa acacia. Nel 1899 l'archeologo francese Loret aveva trovato nella Valle dei Re, vicino a Tebe, il corpo di quel faraone, secco, giallo e sonante come un pezzo di legno, e gli aveva tolto dal petto i fiori e un amuleto, che poi aveva donato a mademoiselle Olga Kolzòva nel giorno del suo onomastico, il 5 dicembre. Lo diceva una scrittura in francese, tracciata con inchiostro di china sul rovescio della scatola. «E l'amuleto dov'è?» chiese il direttore. «Non c'è. Ci sono soltanto questi fiori. Tremila anni fa qualcuno li mise sul petto di un uomo forte e impetuoso, di un esperto guerriero, il cui arco non poteva essere teso da nessun altro, come lui si vantava persino nel suo epitaffio, e per tremila anni sono rimasti lì.»
Jurij O. Dombrovskij, Il conservatore del museo, Rizzoli, 1965; pp. 64-65.
[Prima pubblicazione come Хранитель древностей sulla rivista moscovita Novyi mir, nn. 7-8 del 1964]
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Vidi per la prima volta questa città straordinaria, tanto diversa da ogni città del mondo, nel 1933 e ricordo come ne rimasi colpito. Ero partito da Mosca nella stagione del disgelo, con un tempo nuvoloso e caldo. Piovigginava continuamente e i boccioli teneri e scuri cominciavano appena a gonfiarsi sugli alberi dei giardini, lungo i viali bagnati e nelle bottiglie sui davanzali. Alla partenza gli amici mi avevano accompagnato con rossi ramoscelli di salice, i cui buffi fiori gialli e bianchi somigliavano a batuffoli di pelo. Non era fiorito nient'altro. Qui, invece, mi ritrovai di colpo in piena estate meridionale. Tutto era in fiore, perfino ciò che per natura non dovrebbe: gli steccati andati in rovina (l'erba ci cresceva proprio sopra), i muri delle case, i tetti, le pozzanghere ricoperte di gialle erbe palustri, i marciapiedi e le strade.
Jurij O. Dombrovskij, Il conservatore del museo, Rizzoli, 1965; p. 11.
[Prima pubblicazione come Хранитель древностей sulla rivista moscovita Novyi mir, nn. 7-8 del 1964]
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Me ne stavo a guardare i monti, i pioppi, le bianche acacie sotto di essi, senza sapere dove andare pensando che non avrei mai trovato la strada. Intanto il sole si era levato, e anche se dietro tutte quelle serrature, imposte, bandelle e inferriate la gente dormiva ancora, la città si era già svegliata. Da un'ora i galli si chiamavano animatamente. Tutti i cortili della città vociavano, uno più gaio dell'altro. Un giardino di ciliegi cinguettava e gorgheggiava animatamente. Grilli rosa e azzurri si levavano in volo con un secco strepitio elettrico. In qualche posto oltre le case gracidavano le rane. Seppi poi che nella città c'erano tanti animali quanti uomini. Di sera nel parco cittadino si ode il lamento dei gufi; i pipistrelli volteggiano lungo le vie non appena imbrunisce; nel centro i rigogoli gridano e cantano alle fermate degli autobus. Nei sobborghi (che qui, alla vecchia maniera, vengono chiamati "stanica") i fagiani si vanno a posare sui tetti di assicelle, dove se ne stanno bellissimi, rossi e gialli, guardandosi intorno inquieti come se fossero volati via dalle loro colline erbose senza sapere loro nemmeno perché. In autunno le caprette selvatiche vengono a figliare nei frutteti periferici. In breve -come mi disse uno zoologo- in nessun posto del mondo la natura selvaggia si spinge così vicino a una grande città come Alma-Atà.
Jurij O. Dombrovskij, Il conservatore del museo, Rizzoli, 1965; p. 14.
[Prima pubblicazione come Хранитель древностей sulla rivista moscovita Novyi mir, nn. 7-8 del 1964]
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«Gente interessante, questi scienziati» disse il caposquadra. «Chi riuscirà a capirli, camperà mille anni...». Si sporse attraverso la tavola e riempì il mio bicchiere. «Tutti gli uomini, caro padrone, sono interessanti» disse Michaìl Stepànovič e toccò il mio bicchiere con il suo, per brindare. «A questo mondo, caro Ivan Semënovič, di uomini non interessanti non ce n'è. Alla salute»
Jurij O. Dombrovskij, Il conservatore del museo, Rizzoli, 1965; pp. 143-44.
[Prima pubblicazione come Хранитель древностей sulla rivista moscovita Novyi mir, nn. 7-8 del 1964]
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Ebbero luogo rapidi processi a porte chiuse e noi ci si riuniva dopo il lavoro per chiedere le condanne alla fucilazione. Il direttore teneva certi discorsi appassionati, veritieri e convincenti. Ma neanche lui sapeva dire come stessero davvero le cose. Come quasi tutti, anch'io credevo in molte cose, perfino in quei processi, ma sempre più spesso cominciò a farmi visita un pensierino maligno e pusillanime: «E se... Potrebbero...»
Jurij O. Dombrovskij, Il conservatore del museo, Rizzoli, 1965; p. 214.
[Prima pubblicazione come Хранитель древностей sulla rivista moscovita Novyi mir, nn. 7-8 del 1964]
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Александр Домбровский – главный комсомолец страны и известный скандальный экс-губернатор Винницы. Он был первым заместителем председателя комитета по вопросам ТЭК, ядерной политики и ядерной безопасности, а также - главный соратник Петра Порошенко. На Домбровского регулярно «выливаю» тонны компроматов, массово критикуют на общегосударственном уровне, но он непоколебим в своем статусе.
Эта история о том, как власть имущий за 5 лет губернаторского стажа сколотил состояние, оцениваемое в $180 млн. Как губернатор грабил свою же область, а теперь перешел на всю Украину.
#Александр_Домбровский #Петр_Порошенко #Винница #досье #биография #компромат #новости #Украина #Ukraine #Skelet_Info
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Jurij Dombrovskij (1909-1978) continua la sua epopea narrativa ambientata ad Alma-Ata, nel Kazachstan, iniziata ne 'Il Conservatore del Museo' e che prosegue qui in 'La Facoltà di Cose Iutili', scritto fra il 1965 e il 1975. Protagonista è sempre il catalogatore del museo Zybin, che però a differenza del romanzo precedente non narra più in prima persona. Ritroviamo di nuovo i peculiari personaggi come l'archeologo Kornilov, il direttore del museo di Alma-Ata, l'assistente Klara, il capo Potapov e il "nonno" falegname, nel terribile anno 1937. Rispetto all'opera precedente si nota una certa libertà nello stile e soprattutto nei contenuti, non più soggetti alla censura sovietica poiché il romanzo fu pubblicato a Parigi nel 1978. Se la denuncia sociale del periodo del terrore staliniano nel primo romanzo era soltanto un'ombra che aleggiava, qui la minaccia si concretizza terribilmente, avendo effetto sui personaggi protagonisti e su chi gli sta intorno. L'opera è frutto della esperienze maturate durante la vita dallo stesso Dombrovskij, che ne passò la gran parte nei gulag o al confino. ... #libridisecondamano #ravenna #einaudi#booklovers #bookstore #instabook #igersravenna #instaravenna #ig_books #libriusati #juridombrovskij (presso Libreria Scattisparsi) https://www.instagram.com/p/Bq_nwl4npS5/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=ja13njobprra
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Sospirò e prese in mano una piastrina. E, in quel momento, io vidi qualcosa di molto strano. Le lunghe dita di Kornìlov acquistarono come un'improvvisa e insolita delicatezza, una sorta di sensibilità e fiuto. Effettivamente sentiva con tutta la pelle, con tutte le papille della punta delle dita. Come se avesse fatto la radiografia a quella piastrina e avesse messo in luce quello che era stato cancellato dal tempo, o che era andato perduto sotto i colpi del martello, quello che pareva scomparso per sempre. Le sue dita scivolavano e tastavano le tracce invisibili dei rilievi del disegno; la piastrina cominciò a parlare con la sua forma, col suo peso con la forbitura della sua superficie e con la sua composizione chimica. Il suo viso era sempre immobile e accigliato e vi apparve soltanto una vaga espressione concentrata, simile a una lieve meditazione. Io non potevo liberarmi dell'impressione (e ripensandoci in seguito, questa impressione si andò rafforzando sempre più), che Kornìlov sentisse un'invisibile radiazione, il suono, la temperatura, che emanava quella piccola piastrina.
Jurij O. Dombrovskij, Il conservatore del museo, Rizzoli, 1965; pp. 220-21.
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