#Diocesi di Verona
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retelabuso · 5 months ago
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Violenza sessuale, droga e minacce: il prete veronese patteggia la pena
Nei guai un sacerdote della diocesi di Verona che abitava a Desenzano Ha patteggiato 1 anno e 8 mesi (pena sospesa) e risarcito la transessuale che l’aveva denunciato per violenza sessuale (erano palpeggiamenti, diceva lui), il parroco che, al tempo dei fatti contestati era residente a Desenzano (Brescia) ed era finito nel registro degli indagati per detenzione di stupefacenti ai fini di…
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storiearcheostorie · 2 years ago
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CONVEGNI / Un monastero vallombrosano alle porte di Verona: la Santissima Trinità in Monte Oliveto
#CONVEGNI / Un monastero vallombrosano alle porte di Verona: la Santissima Trinità in Monte Oliveto Studiosi a confronto il 24 e 25 marzo sul monastero veronese fondato all'inizio del XII secolo dai monaci vallombrosani. @UniVerona | @Uni_Firenze
Il 2023 sarà un anno considerevole per la valorizzazione del monastero della Santissima Trinità in Monte Oliveto a Verona che, grazie alla volontà del nuovo parroco don Tullio Sembenini e alla proficua collaborazione con l’Università di Firenze (Dipartimento SAGAS), sarà protagonista di un importante convegno scientifico – il titolo è “Un monastero vallombrosano alle porte di Verona: la…
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out-o-matic · 1 year ago
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Le notizie di oggi!
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notiziariofinanziario · 1 year ago
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Il gruppo Calzedonia diventa Oniverse
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Cambio di nome per il gruppo Calzedonia. Calzedonia è una realtà da oltre 3 miliardi di euro di fatturato – realizzato per il 60% all’estero - fondata nel 1986 da Sandro Veronesi: diventa ufficialmente “Oniverse”. Realtà internazionale, diversificata dal “fashion al lusso, passando per la nautica e il food&wine”, con il cambio di nome – dettaglia una nota – fa un passaggio fondamentale per sviluppare ulteriormente le potenzialita? del Gruppo. L’azienda veronese ad oggi comprende i marchi Calzedonia, Intimissimi, Intimissimi Uomo, Tezenis, Falconeri, Signorvino, Atelier Eme?, Antonio Marras e, dopo l’acquisizione di Cantiere del Pardo, Grand Soleil, Pardo e Van Dutch. A cosa si deve il nuovo nome? E’ la stessa azienda a indicare il senso: “Oniverse, personalizzazione della parola inglese «Universe», ovvero tutto lo spazio, il tempo e i suoi contenuti. Rappresenta l’universo del Gruppo, composto dai suoi brand, le persone, i valori. Oniverse e? anche l’anagramma del cognome Veronesi, da cui tutto e? partito e che ancora guida lungo il percorso intrapreso, accompagnato oggi anche dai suoi figli”. Lo stesso Veronesi che pochi giorni fa ha dato il sostegno a un progetto che sta a cuore alla diocesi di Verona, ovvero riqualificare l'ex seminario di San Massimo, alla periferia della città. Una iniziativa – che è diventata un concorso di idee – che Veronesi porta avanti attraverso la sua Fondazione, intitolata a San Zeno, patrono della città. Tornando al nuovo nome del gruppo, al cambiamento hanno partecipato anche i dipendenti, attraverso “un contest interno alla ricerca di idee creative per il nuovo naming, a conferma dell’importanza che ricoprono i collaboratori nell’evoluzione e nello sviluppo aziendale”. Lo stesso Veronesi, presidente di Oniverse, ha dichiarato: “Il Gruppo ha saputo crescere costantemente. Oggi siamo una realta? con una grande storia, un universo in continua evoluzione, con diversi marchi tutti caratterizzati da una propria identita?. Per questo la scelta di un nome che fosse indipendente e autonomo, ma che potesse rappresentarne l’essenza di tutti. Vogliamo infatti che ogni marchio abbia la sua autonomia, pur restando parte di un Gruppo. Oniverse indica proprio appartenenza, ma anche liberta?. Un insieme eterogeneo, composto da realta? differenti tra loro, ma parte dello stesso progetto”. Read the full article
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amicidomenicani · 2 years ago
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sacerdote (1414-1496) Figlio di Falco, della nobile e potente famiglia dei Maggi (Madii), quindicenne, Salvatico Maggi entrò nell’Ordine nel convento della sua Brescia col nome di Fra Sebastiano. La dedizione allo studio della Sacra Dottrina gli valse il titolo di maestro in sacra teologia. Si dice che abbia studiato a Padova e che si sia distinto come predicatore a Padova, Verona, Brescia, Piacenza, Bologna. Ma si rese ancora più noto e benemerito nella direzione di molti conventi per i suoi sforzi di tener vivo lo spirito di osservanza che era stato promosso da santa Caterina da Siena e dal beato Raimondo da Capua e che, nel 1391, aveva dato origine, a Venezia, alla Congregazione lombarda. Durante il priorato del convento di San Domenico di Brescia (1450 54), quando la città fu flagellata dalla peste, ebbe modo di mostrare tutta la sua carità. In seguito fu priore a Mantova, a Milano, a Cremona, a Vicenza e a Bologna (alcuni aggiungono anche a Trino, a Bergamo, a Crema, a Lodi, ecc.). Leandro Alberti, che probabilmente ebbe modo di conoscerlo a Bologna nel 1495, lo ricorda « vir quadam dulci bonitate, lenitate, et comitate ornatus, rectus, iustus, et sanctus... obiit plenus bonis operibus ». Fu anche due volte Vicario Generale della Congregazione di Lombardia. Durante la visita canonica nel convento di Santa Maria di Castello a Genova, cadde ammalato e spirò alla fine di agosto o ai primi di settembre 1496. Le sue spoglie sono venerate in quella chiesa. La fama di santità e la testimonianza di miracoli portarono all'istruzione del processo, iniziato nel 1753, il 15 aprile 1760 Clemente XIII ne confermò il culto e stabilì la commemorazione in questo giorno. La sua festa si celebra il 16 dicembre mentre nella diocesi di Brescia è ricordato il 7 novembre.
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telodogratis · 3 years ago
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Verona, ecco la lettera del vescovo Zenti: "Chi vota pensi a famiglia e dica no a gender"
Verona, ecco la lettera del vescovo Zenti: “Chi vota pensi a famiglia e dica no a gender”
Read More(Adnkronos) – Spetta “ai fedeli di individuare quali sensibilità e attenzioni sono riservate alla famiglia voluta da Dio e non alterata dall’ideologia del gender, al tema dell’aborto e dell’eutanasia”. È quanto si legge in un passaggio della lettera inviata dal vescovo di Verona, monsignor Giuseppe Zenti ai ‘confratelli’ della diocesi, al centro ora del dibattito politico nella città…
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edicoladelcarmine · 4 years ago
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DIPINTI DEL TERRITORIO DEDICATI ALLA MADONNA DEL CARMINE
In occasione della vicina ricorrenza del Santo Patrono di Castelleone di Suasa (San Pietro da Verona) desidero segnalare un dipinto, con datazione seconda metà del secolo XVII, di Autore sconosciuto ma di ambito umbro, raffigurante la Madonna del Carmelo, custodito presso la Diocesi di Orvieto (TR). La tela a olio, raffigura la Madonna con Bambino tra angeli e due figure di Santi, con un mantello bianco dai bordi rossi che le copre anche il capo sul quale è posta una corona. Tiene con la mano destra uno scapolare. Nella parte inferiore, separati da una coltre di nubi, sono raffigurati due Santi. A sinistra San Pietro da Verona con veste bianca e mantello nero, la palma nella mano destra e un libro nella sinistra. Il Santo è raffigurato con la testa colpita dal pugnale a ricordo del martirio. Mentre sulla destra, è raffigurato San Leonardo, il quale indossa una dalmatica da diacono di colore rosso. Ai suoi piedi è posto un ceppo, suo attributo iconografico (per la sua particolare protezione degli imprigionati o carcerati ingiustamente). Per saperne di più: https://edicoladelcarmine.suasa.it/DipintiUmbria.htmlPer aggiungere informazioni: [email protected]
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retelabuso · 2 years ago
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Trans nuda si lancia dalla finestra del prete: l'estate folle del parroco tra sesso, droga e alcol
DESENZANO – Una trans che vola dalla finestra del sacerdote della Diocesi di Verona si aggiunge agli episodi che coinvolgono il prete del Basso Garda, già denunciato per vicende legate a droga, sesso e minacce. Dalla sua abitazione di Desenzano, infatti, la scorsa notte una trans, dopo essersi spogliata, ha iniziato a minacciare di gettarsi dalla finestra. All’arrivo dei pompieri si è gettata sul…
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tradizioni-barcellona · 4 years ago
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LUNEDÌ 19 APRILE 2021 - SANT'EMMA DI SASSONIA Emma di Gurk (Pilštanj, circa 980 – Gurk, 27 giugno 1045) è stata una nobildonna fondatrice di case religiose nel Ducato di Carinzia. Sepolta nella Cattedrale di Gurk nel 1174, beatificata nel 1287 e canonizzata nel 1938, è venerata come santa dalla Chiesa cattolica e come patrona della regione austriaca della Carinzia. Emma (in tedesco Hemma) era nata contessa di Zeltschach da una nobile famiglia chiamata Peilenstein nell'attuale Pilštanj, in Slovenia, legata all'imperatore Enrico II per aver seguito alla corte imperiale di Bamberga l'imperatrice Cunegonda. Sposata con il conte Wilhelm di Friesach e del Sanngau, da cui ebbe due figli: Hartwig e Wilhelm, successivamente assassinati insieme al padre da Adalberone di Eppenstein, duca di Carinzia e margravio di Verona. Emma divenne ricca attraverso l'eredità dopo la morte del marito e dei figli. La contessa Emma usò la sua grande ricchezza a vantaggio dei poveri e veniva già venerata come santa durante la sua vita. Fondò inoltre dieci chiese in Carinzia, tra le quali il doppio monastero benedettino di Gurk nel 1043, dove si ritirò negli ultimi anni della sua vita. Dopo la sua morte, l'Abbazia di Gurk fu sciolta dall'arcivescovo di Salisburgo, Gebhard, che invece ne utilizzò i fondi per istituire le diocesi di Gurk nel 1072. L'Abbazia di Admont, un'altra fondazione benedettina in Austria, è stata fondata nel 1074 dallo stesso Gebhard, e deve la sua esistenza alla ricchezza di Emma. Da: Il Santo del Giorno #Tradizioni_Barcellona_Pozzo_di_Gotto_Sicilia #Sicilia_Terra_di_Tradizioni Rubrica #Santo_del_Giorno (presso Tradizioni Barcellona Pozzo di Gotto - Sicilia) https://www.instagram.com/p/CN1wj4-nKoX/?igshid=lg3sanqudo3w
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sorsodivino · 4 years ago
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#LuganaLover
Bello tornare sui banchi, tanto più su quelli di “Lugana Armonie senza tempo”, un’ interessante Masterclass sul Lugana Doc. La prima post lockdown a cui ho partecipato lo scorso venerdì 18 settembre negli ampi spazi di Superstudio+ qui a Milano. Non vi nascondo che subito dopo aver dato la mia adesione, una certa titubanza ha fatto vacillare più volte la volontà di parteciparvi ma alla fine è prevalsa la razionalità e sono andata. Dopotutto bisogna pur ripartire e l’ho fatto tra calici di un bianco tra i migliori d’Italia che sta vivendo un momento indubbiamente positivo. Una Masterclass organizzata dal Consorzio Tutela Lugana Doc e condotta da Sissi Baratella, enologa, giornalista e wine educator da urlo!
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photo credit Paolo Finezio
Il Lugana Doc si ottiene con una particolare varietà di trebbiano, localmente detta turbiana. Sono più di 2000 gli ettari vitati che beneficiano di un microclima straordinario nel vero senso della parola. Quantitativamente parlando un buon 90% è appannaggio bresciano ma è nel comune veneto di Peschiera del Garda che s’imbottiglia il 60% dell’intera produzione della Doc.
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Possiamo affermare che il Lugana Doc è il bianco lombardo-veneto per eccellenza visto che viene prodotto tra le province di Brescia e Verona grazie a cinque comuni adagiati lungo le sponde del suggestivo Lago di Garda. Per parte bresciana contiamo Pozzolengo, Lonato, Sirmione e Desenzano mentre per parte veneta citiamo Peschiera del Garda e la sottozona di San Benedetto di Lugana considerata il “cru” della denominazione. Una curiosità: è vero che stiamo parlando di comuni racchiusi in due regioni diverse ma spiritualmente sono un’anima sola, accomunati dalla Diocesi di Verona: il Vescovo veronese ha infatti giurisdizione anche nelle parrocchie bresciane dei quattro comuni sopra citati. Mi viene da dire stesso Lago e stesso Vescovo ma non altrettanto stesso suolo. La meraviglia sta anche in questo: terreno argilloso coriaceo nella fascia più pianeggiante, argilloso sabbioso nella zona più collinare mentre troviamo ambientazioni moreniche verso Lonato con buona presenza di elementi ghiaiosi. Va da sé che queste sfaccettature di suolo conferiscono al vino peculiarità diverse di volta in volta.
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5 sono le tipologie previste dal disciplinare: Lugana base, Lugana superiore con affinamento di almeno un anno dalla vendemmia, Lugana riserva con invecchiamento o affinamento di almeno 24 mesi di cui 6 in bottiglia, Lugana vendemmia tardiva ottenuto con surmaturazione delle uve raccolte tra fine ottobre e novembre, senza ulteriori appassimenti in fruttaio  e Lugana spumante consentito in entrambi i modi: charmat (presa di spuma in autoclave) e metodo classico (riferimentazione in bottiglia).  
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4 delle 5 versioni erano presenti tra le 12 etichette di Lugana degustato. Etichette che hanno reso l’idea di come il Lugana sia versatile, immediato e longevo con un ventaglio di annate che andava dalla 2019 alle 2001. Sì, non è un errore di battitura: il Lugana Doc Superiore 2001 di Ca’ Lojera ha spiazzato non poco per unicità e carattere. Generalmente nel Lugana è inebriante scovare sentori agrumati, balsamici e minerali tessuti da trame di equilibrata freschezza e sapidità che si protraggono nella considerevole persistenza gustativa e nel tempo.
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Annate più o meno calde, più o meno fruttuose ma il tratto distintivo del Lugana è la sua intrinseca piacevolezza. E’ o non è uno dei bianchi più apprezzati dalla gente di mezzo mondo? Sorseggiatelo e capirete perché.
Buon Lugana a tutti!
M.Cristina 
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annalisalanci · 5 years ago
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Inquisizione in Italia. Introduzione
L'Inquisizione in Italia Introduzione
Criteri e prospettive per una nuova storia dell'Inquisizione
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Galileo Galilei
Il 13 febbraio 1278, una domenica, nell'arena di Verona ci fu uno spettacolo impressionante: le fiamme dei roghi divorarono un numero imponente di eretici, forse 200, il più alto in assoluto di tutta la storia italiana per un'unica esecuzione. Erano catari. Erano stati presi qualche mesi prima a Sirmione sul lago di Garda, dal vescovo, il domenicano ed ex inquisitore fra Timidio, dai signori Pinamonte Bonacolsi e Alberto della Scala e dall'inquisitore fra Filippo Bonacolsi con lo scopo di debellare la consistente comunità ereticale che preoccupava le autorità ecclesiastiche e quelle secolari. Si conoscono le autorità che li presero, l'inquisitore che eseguì le condanne a morte, ma dei catari non è rimasto nemmeno un nome, né una riga di verbale, neppure la certezza che fossero stati regolarmente processati. Di indubbio sono rimasti soltanto una data, un famoso luogo di spettacolo e un grande rogo. Il 10 agosto 1553 fu ucciso con il fuoco, a Ginevra, l'antitrinitario Michele Serveto, medico e umanista di origine spagnola, scopritore della circolazione polmonare del sangue. Ricercato da qualche anno dall'Inquisizione rimana, si era recato nella città di Calvino per trovare un rifugio, ma le sue idee contro la Trinità che circolavano in Europa in un volume stampato nel 1531, De Trinitatis erroribus, e in uno uscito all'inizio del 1553, Christianismi restitutio, lo avevano reso famoso e temibile tra i protestanti. Il rogo, accese la fiamma di un dibattito che avrebbe fatto superare in Europa l'idea dell'intolleranza in nome di Dio. Un altro eretico, Sebastiano Castellione, pubblicò subito dopo un libro che come titolo aveva una domanda: De haereticis an sint persequendi. Le idee e i dubbi che vi esprimeva, dopo secoli sono diventati le nostre convenzioni: lo stato non deve sopprimere nessuno per le sue idee religiose, Dio non chiede la morte dell'eretico, ma ne riserva a sé il giudizio alla fine del mondo. Il 22 giugno 1633 nella sala delle udienze del palazzo del Sant'Ufficio i cardinali inquisitori condannavano all'abiura e al carcere perpetuo come sospetto di eresia Galieo Galilei, perché aveva sostenuto con argomenti "scientifici" nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, la rotazione della terra attorno al sole, secondo la teoria copernicana, già dichiarata contraria alla Sacra Scrittura nel 1616. Galileo morì in domicilio coatto nella casa di campagna di Arcetri l'8 gennaio 1642. Galileo non aveva torto, anche se non aveva fornito vere prove, e perché la Bibbia non è un testo scientifico ma un libro che parla di Dio. Questi tre casi-simbolo, suscitano la nostra emozione, ma fanno anche misura e i grandi cambiamenti storici che ci separano da questo passato. I processi e e sentenze capitali per questioni di fede non furono opera solo di cattolici, ma anche dai protestanti e, nel caso delle donne e degli uomini accusati di stregoneria diabolica, furono soprattutto i tribunali secolari degli stati protestanti del Centro Europa, piuttosto che le Inquisizioni cattoliche, a emettere tali condanne. Il controllo delle opinioni religiose nella storia europea mostra come la società cristiana sia stata per molti secoli intollerante con le minoranze etnico-religiose e crudele con i dissidenti e i più deboli. Si comportavano in questo modo le autorità ecclesiastiche, quelle statali e perfino la gente comune, con rare eccezioni. I giudici ecclesiastici talvolta assolvevano i dissidenti, spesso li riconciliavano e li reinserivano nella comunità con pene di vario genere, ma sempre in nome del Vangelo. Tutte le sentenze dell'Inquisizione, erano emesse in nome di Gesù Cristo, secondo il formulario usuale, che all'inizio diceva: <<In Christi nomine amen...>> e riprendeva per maggior chiarezza prima del dispositivo finale: <<Christi nomine repetito, pro tribunali sedentes et solum Deum prae oculis habentes>> (Ripetuto il nome di Cristo, sedendo ufficialmente in tribunale e avendo soltanto Dio davanti agli occhi...). La predicazione del messaggio evangelico fu sempre accompagnata dalla difesa della sua purezza, fin dai tempi della chiesa primitiva. Lo stesso san Paolo la sostenne con parole infuocate: <<Orbene se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che noi abbiamo predicato, sia anatema!>>, ma testimoniò la sua fede con la vita. La preservazione delle verità cristiane contro ogni deviazione sin è molto trasformata nei secoli: scomuniche ed esili nell'età preistorica e nell'alto medioevo; controllo giudiziario delle credenze, costrizione con la forza e condanne a morte nel basso medioevo e nell'età moderna. Nei secoli dopo il Mille furono prima i vescovi ad agire nelle proprie diocesi e quindi gli inquisitori in sedi sparse; in epoca moderna furon creati tra i più efficienti organismi centralizzati in Spagna, Portogallo e Italia. Dall'Ottocento in poi agì unicamente la Congregazione del Sant'Ufficio, oggi la fede cattolica è sostenuta e controllata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. 
Una doppia leggenda, nera e bianca
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Il rogo di Giordano Bruno
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San Pietro d'Arbues
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San Pietro Martire
Le leggende dell'Inquisizione hanno investito la storia europea e poi intercontinentale per un tempo molto lungo. Queste vicende complesse, hanno sempre provocato una scelta a favore o contro l'Inquisizione, creando una biforcazione nella stessa tradizione storiografica: nell'età moderna, alla leggenda nera, accusatrice, si contrappone una leggenda bianca, giustificatrice, entrambe basate su fatti e documenti, ma orientate a priori da una scelta di campo. Due libri possono essere presi a simbolo di questa bivalenza: quello di un inquisitore e quello di un teologo protestante. L'inquisitore spagnolo Luis de Pàramo nel libro De origine et progressu officii Sanctae Inquisitionis, stampato a Madrid nel 1598, fu il primo a tratteggiare una storia dell'istituzione e spiegò che essa era nata con il peccato di Adamo nel paradiso terrestre e che Dio stesso era stato il primo inquisitore nell'interrogatorio di Aadamo ed Eva dopo che avevano mangiato il frutto proibito. L'Inquisizione aveva difeso la vera fede dai suoi nemici terreni, gli ebrei, le streghe, gli eretici e dal vero nemico ultraterreno, il diavolo. La sua espansione fu voluta dalla Provvidenza divina ed ebbe un'efficacia impressionante, elevando molto il numero delle condanne a morte, che erano volute da Dio stesso a sua gloria. Dall'altra parte un teologo riformato arminiano, Philip van Limborch, pubblicò ad Amsterdam nel 1692 una Historia Inquisitionis, nella quale mostrava che l'istituzione non era eterna, ma recente, anticristiana, crudele e ingiusta. L'Inquisizione era stata creata nel secolo XIII, aveva occupato gran parte del mondo cristiano, rovesciato la logica evangelica del perdono per attuare una logica giudiziaria estranea al Vangelo, era stato un tribunale sanguiraio e crudele, perché dall'esterno aveva imposto un obbligo alle coscienze. Per i sostenitori dell'ufficio inquisitoriale il domenicano San Pietro da Verona, inquisitore in Lombardia, ucciso in un'imboscata a Seveso nel 1252, divenne san Pietro Martire e così pure fu santificato Pietro de Arbués, inquisitore di Aargona, assassinato nella cattedrale di Saragozza nel 1485; per gli storici liberali dell'Ottocento tutti i perseguitati dall'Inquisizione divennero i martiri del protestantesimo o del libero pensiero. Nella grande stagione della riscoperta della ragione, durante il Settecento, l'Inquisizione divenne uno dei bersagli degli illuministi e assurse a simbolo dell'oscurantismo religioso. Voltaire nel suo Trattato sulla tolleranza, (1763), la collocò tra i segni dell'intolleranza e mostrò come fosse in netto contrasto con l'insegnamento di Gesù Cristo, con parole molto forti: <<Vediamo ora se Gesù Cristo ha stabilito leggi sanguinarie e ha ordinato l'intolleranza, se ha fatto costruire le segrete dell'Inquisizione, se ha istituito i carnefici degli autodafé>>. E dopo aver spiegato il significato di alcune parabole evangeliche, così continua e conclude: "Quasi tutte le parabole e azioni di Gesù Cristo predicano la dolcezza, la pazienza, l'indulgenza. E' il padre di famiglia che riceve il figliol prodigo, è l'operaio che viene all'ultima ora ed è pagato come gli altri, è il samaritano caritatevole; Gesù stesso giustifica i suoi discepoli che non digiunavano, perdona alla peccatrice, si accontenta di raccomandare la fedeltà all'adultera, si degna anche di cedere alla gioia innocente dei convitati di Cana. Non si scaglia nemmeno contro Giuda che lo avrebbe tradito; ordina a Pietro di non servirsi mai della spada; rimprovera i figli di Zebedeo che, sull'esempio di Elia, volevano far scendere il fuoco dal cielo su una città che non aveva voluto accoglierli. Infine, muore vittima dell'invidia. Chiedo ora se è la tolleranza o l'intolleranza a essere il diritto divino. Se volete somigliare a Gesù Cristo, siate martiri e non carnefici. " I cattolici per molto tempo cercarono di difendere l'operato dell'Inquisizione, tenendo segreti i documenti e arrivando talora a negare i fatti. Alla fine dell'Ottocento un professore francese di filosofia scrisse un libretto per dimostrare che il rogo di Giordano Bruno era una leggenda, ma venticinque anni fa uno storico italiano cercò di sostenere che il vescovo Vittore Soranzo, condannato formalmente per eresia dal papa, forse non era stato in effetti eretico.
Cambiamenti istituzionali e rinnovamento storiografico
Questo atteggiamento apologetico iniziò a declinare in seguito al grande cambiamento epocale che avvenne nella posizione della Chiesa cattolica verso gli altri cristiani e le religioni non cristiane durante il pontificato di Giovanni XXIII e il concilio Vaticano II. Alla fine del concilio il 7 dicembre 1965, fu approvata la dichiarazione sulla libertà religiosa e lo stesso giorno Paolo VI con un motu proprio modificò nome e segni della Congregazione del Sant'Ufficio, trasformandola nella Congregazione per la Dottrina della Fede. Secondo le parole del documento, bisognava promuovere non difendere la fede, correggere gli errori ma trattare con soavità chi errava. Cominciò così, una nuova storiografia soprattutto sull'Inquisizione spagnola, propiziata dalla ricorrenza del quinto centenario della fondazione (1478) e dalla fine del regime franchista. Il Sant'Ufficio in Spagna non fu così sanguinario come si era creduto e dopo i primi decenni del Seicento fu molto cauto nella persecuzione delle streghe. In Italia invece gli inquisitori continuarono a restare ignorati dalle ricerche e i loro archivi divennero la fonte per una storia innovativa degli inquisitori e delle culture popolari represse, in particolare a opera di Carlo Ginzburg. Il rinnovamento degli studi negli ultimi decenni si è allargato quindi all'Inquisizione romana e a quella portoghese, delle quali si comincia ad approfondire in modo nuovo la storia istituzionale, mentre si continuano a indagare i settori tradizionali, come la censura dei libri, le idee della Riforma, la magia e stregoneria e altri settori più recenti, come la santità simulata e la storia delle donne. Il modo di considerare queste storie di repressione è stato influenzato dalla crisi dell'idea di progresso e dalla constatazione degli efferati delitti contro l'umanità compiuti dai regimi totalitari nel corso del primo Novecento e dalle atroci pulizie etniche attuate negli ultimi decenni. Le nuove questioni storiografiche sono state esposte e discusse in libri, ma anche i convegni internazionali sull'Inquisizione, che hanno avuto inizio negli anni '70 e si sono susseguiti numerosi in Europa e nelle due Americhe. Le ricerche sulle Inquisizioni iberiche hanno potuto avvalersi fin dall'Ottocento dei rispettivi archivi centrali, quelle sull'Inquisizione romana erano gravemente limitate dalla inaccessibilità dei fond delle Comgregazione del Sant'Ufficio e dell'Indice. L'apertura della Chiesa cattolica agli altri cristiani e al mondo contemporaneo avvenuta con il concilio Vaticano II non si tramutò subito nell'apertura degli archivi inquisitoriali centrali. L'ammissione di storici qualificati avvenne silenziosamente soltanto alla fine degli anni '90 e nel gennaio del 1998 l'apertura fu solennizzata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e dell'Accademia dei Lincei, che a suo tempo aveva ospitato e sostenuto da Galileo. La consultabilità dell'ultimo archivio tenuto segreto in Vaticano è stata una scelta autonoma dell'allora cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, va messa in relazione con le riflessioni pubbliche che negli anni precedenti Giovanni Paolo II aveva proposto sugli errori, sulle manchevolezze e sui condizionamenti della Chiesa nell'ultimo millennio, in vista di una richiesta di perdono, durante il Giubileo del 2000. La Commissione teologico-storica del Comitato Centrale per il Grande Giubileo organizzò un simposio internazionale sull'Inquisizione, che si tenne in Vaticano dal 29 al 31 ottobre 1998 con la partecipazione di una quarantina di storici di tutto il mondo e di altrettanti professori di teologia delle università ecclesiastiche. Il cardinale Roger Etchegaray nell'allocuzione collegò espressamente lo straordinario simposio alle riflessioni del papa nell'enciclica Tertio millennio adveniente: L'itinerario spirituale di preparazione al Giubileo deve infatti passare anche attraverso una approfondita e sincera riflessione sugli <<errori, infedeltà incoerenze, ritardi>> dei quali nel corso dei secoli i credenti si sono potuti rendere responsabili. Solo così si giungerà ad una autentica purificazione della memoria del pentimento. Alla luce della dimensione ecumenica che caraterizza fortemente l'intero documento, il pontefice ha specificato, fra gli altri punti, che vi è << un capitolo doloroso sul quale i figli della Chiesa non possono non tornare con animo aperto al pentimento>> e cioè <<l'acquiscenza manifestata, specie in alcuni secoli, a metodi di tolleranza e persino di violenza nel servizio della verità>>. Sebbene esso non venga nominato in maniera esplicita è chiaro che in questo paragrafo Giovanni Paolo II si riferisce principalmente, anche se non esclusivamente, a quel particolare ecclesiastico, competente a giudicare i delitti in materia di eresia, conosciuto sotto io nome di Inquisizione.  Nella solenne cerimonia svoltasi in San Pietro la prima domenica di quaresima del terzo millennio cristiano, il 12 marzo 2000, l'Inquisizione venne tacitamente compresa nella seconda richiesta di perdono, recitata dal cardinale Ratzinger. Un altro segno del cambiamento si può notare negli interessanti seminari internazionali realizzati per la prima volta dall'Istituto storico dei domenicani, l'ordine che fornì il maggior numero di inquisitori, sui propri rapporti con l'Inquisizione medievale (Roma 23-25 febbraio 2002), con le Inquisizioni iberiche (Siviglia, 3-6 marzo 2004) e con l'Inquisizione romana (Roma, 15-18 febbraio 2006).
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anticattocomunismo · 6 years ago
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Barbarie su Cavina, vescovo che la Chiesa non ha difeso
Dietro le dimissioni choc del vescovo di Carpi Cavina c'è una campagna di delegittimazione proseguita anche dopo l'inchiesta per voto di scambio da cui è uscito pulito. Le intercettazioni con materiale privato ed ecclesiale e non inerente all'inchiesta, stanno girando ancora indisturbate nelle chat di whatsapp "impazzite". La solita gogna mediatico giudiziaria. Ma anche l'abbandono dei piani alti della Chiesa che di fronte alla barbarie giustizialista non l'ha mai difeso. Forse perché Cavina era abituato a dire la verità anche su temi ormai scottanti per la Chiesa su famiglia e vita.
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di Andrea Zambrano (27-06-2019)
Nella sua prima e breve esperienza episcopale, monsignor Francesco Cavina si è trovato a dover gestire due terremoti: uno geologico nel 2012, l’altro mediatico, ma è solo di fronte al secondo che è capitolato. Come attestano le improvvise dimissioni annunciate ieri (leggi qui il comunicato della Diocesi) la causa sono gli attacchi mediatici che sono proseguiti anche fin dopo l’inchiesta che l’aveva visto coinvolto e per la quale nessuno - né in città né ai piani alti della Chiesa - lo aveva difeso.
L’inchiesta che lo ha visto infatti indagato per voto di scambio, parte da uno spettacolo di fontane danzanti per l’inaugurazione della statua della Vergine della Cattedrale finalmente tornata in facciata dopo il lungo restauro causa sisma. Un’accusa ridicola e quindi facilmente smontabile. Così come la complicità con l’amministrazione comunale, che era inesistente perché tutto era stato fatto alla luce del sole. Eppure per dimostrare i suoi presunti “torbidi” rapporti con il vicesindaco di Carpi i carabinieri lo misero sotto intercettazione. E queste intercettazioni finirono all’attenzione dei giornali o comunque in mani che non dovevano averle tanto che anche l’Espresso in un suo “coraggioso” articolo ne ha parlato.
Cavina ha ottenuto l’archiviazione per quell’indagine ad aprile, praticamente subito dopo l’emergere di quei fatti. Ma c’erano ancora dei veleni in aria, dei filamenti tossici in grado di fare male. Le intercettazioni telefoniche erano relative a comunicazioni private: in esse Cavina parlava con persone estranee del tutto all’inchiesta. E parlava di tutto, anche di argomenti da confessione, come i rapporti tra una moglie e un marito regolarmente sposati. Ma parlava anche della Chiesa, di politica ecclesiastica, di questo e di quel monsignore che aveva fatto carriera. Parlava, in fondo, di cose normali, si scambiava informazioni su quello che è il suo mondo. E commentava. Tutto questo aveva a che fare con l’inchiesta? No. Eppure tutto questo, anche dettagli imbarazzanti non tanto per Cavina, ma per una sua interlocutrice, sono finiti in giro. Materiale di chiacchiericcio nelle chat di watshapp di una cittadina vivace e abituata a sapere tutto di tutti.
Gira di qua e gira di là, i testi delle intercettazioni sono arrivati anche alla conoscenza di alcuni dei diretti interessati. I quali hanno capito che la materia poteva diventare scottante e sopratutto il reato evidente e palese. A quel punto Cavina, informato che anche dopo l’inchiesta dalla quale era uscito pulito, continuavano a girare voci su di lui e che queste potevano essere incontrollabili, ha capito che era il momento, per il bene della Chiesa e della Diocesi, di lasciare. Ecco perché nel suo comunicato parla di “gogna mediatica a cui sono stato sottoposto che non si è interrotta”. Perché quelle intercettazioni sono diventate il principale materiale di chiacchiericcio lungo i portici schierati militarmente di fronte al castello dei Pio.
Eppure quelle intercettazioni non dovevano diventare di dominio pubblico. Anzitutto perché quando uscirono fuori, Cavina era solo indagato e non imputato in alcun processo; in secondo luogo perché non avevano nulla a che fare con l’inchiesta.
E’ evidente che la fuga di notizie ha dei responsabili, ma questi non salteranno mai fuori. Nessuno pagherà e questo lo dice con rammarico il Centro Studi Livatino, che ha parlato di«illegale e mai sanzionata propalazione degli esiti delle intercettazioni, in stretto collegamento col fango messo in circolazione in modo sistematico sempre dalle stesse testate giornalistiche» che ha provocato e provoca «sofferenze a innocenti» e «a condizionare la libertà della Chiesa». Ma lo dicono anche le Camere penali di Modena che in un comunicato parlano di «frutto avvelenato della scarsa vigilanza sul mantenimento del segreto sugli atti di indagine».  
Ma il problema non è solo giudiziario. E’ anche ecclesiale.
In questi sette anni Cavina ha ricostruito la sua diocesi in ginocchio con pazienza, silenzio e coraggio, ha avuto ben due papi in casa (Benedetto XVI dopo il sisma e Papa Francesco per l’inaugurazione della Cattedrale), record per un unico mandato episcopale, ha instaurato un rapporto eccellente con i giovani, i fedeli laici e le realtà ecclesiali più importanti. Ma non ha mai accolto imam in cattedrale, né organizzato conferenze con la Massoneria e nemmeno ha tuonato contro il governo xenofobo.
Per un certo milieu culturale era definito un vescovo ratzingeriano, etichetta che, quando ti viene appiccicata non riesci più a scrollartela di dosso, perché dire ratzingeriano vuol dire automaticamente e senza appello essere un nemico di Papa Francesco.
Quando uscirono le notizie delle intercettazioni e si parlò di segreto confessionale violato non ci fu un solo vescovo che provò a difendere Cavina da quello che era già uno stillicidio di sospetti e accuse. Questo giornale si fregia di averci provato, primo e unico, con gli strumenti del mestiere che gli sono propri, nel disinteresse generale.
Nessuno tra i vescovi della Cei Emilia Romagna si alzò in piedi per dire che la fuoriuscita di quelle intercettazioni era un abominio civile e una inaccettabile intimidazione a un vescovo. Quando si toccano i sacramenti - e la confessione lo è - bisognerebbe rendersi conto che lo scontro si è alzato e contrattaccare di fronte a un reato perché tale è quello di dichiarazioni private che vengono date in pasto per delegittimare. Invece, tutti zitti.
Si potrebbe ipotizzare che Cavina desse fastidio ai piani alti delle gerarchie ecclesiastiche perché non era allineato al nuovo corso, ma sarebbero solo illazioni.
Quel che è certo è che Cavina è stato ostracizzato molte altre volte. Ad esempio quando i vescovi dell’Emilia Romagna pubblicarono un documento su Amoris Laetitia nel quale la castità tra gli sposi veniva relegata a mera opzione. L’unico ad opporsi fu lui. Ma Cavina è stato anche il vescovo che, proprio su interessamento della Nuova BQ, provò con coraggio e utilizzando i suoi buoni uffici in Segreteria di Stato, a risolvere la vicenda di Alfie Evans portando il papà Thomas dal Papa. E anche questo non piacque a certi vescovi più morbidi sul tema eutanasia.
Cavina inoltre, mentre tutti i vescovi se ne stavano zitti o persino si dicevano contrari, è stato il solo a parlare a favore del Congresso Mondiale per le Famiglie di Verona. Insomma: in questi sette anni ha fatto il vescovo. Non ha fatto il politico e si è concesso alla politica solo perché un vescovo di una cittadina di provincia deve avere per forza rapporti istituzionali con tutti, a maggior ragione se devi ricostruire l’intero patrimonio ecclesiastico crollato dopo il sisma.
Tutto questo - compresa l’onestà e il coraggio di dire le cose come stanno - ha un prezzo. E il conto è arrivato in questi giorni con una campagna di delegittimazione che non si è fermata neppure dopo il gong del giudice per le indagini preliminari. A quel punto, le dimissioni non erano altro che una pura formalità.
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sonporo · 6 years ago
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Il presidente della Cei introduce il consiglio permanente di primavera all’indomani di Verona. E rilancia il tema della riduzione delle diocesi italiane
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justcallmejemma-blog · 8 years ago
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Ciao ragazzi e bentornati nel mio blog!
Questa volta zaino in spalla ché si parte: direzione Verona! Un weekend, questo passato, dedicato alla scoperta della città che ha fatto da sfondo alla tragica vicenda shakespeariana “Romeo e Giulietta”.
La mia avventura inizia esattamente alla stazione di Porta Nuova, che prende il nome dall’omonima porta che si incontra avvicinandosi verso il centro della città. La stazione pullula di autobus del trasporto pubblico ATV Verona, ma le linee che mi interessano sono la numero 11, 12 e 13, che stazionano lungo il “marciapiede A” nella piazza fuori dalla stazione. In 10 minuti mi conducono a Piazza Bra’, dove si erge, ferma, l’Arena (vedi foto), sede dal 1913 del noto Festival lirico areniano, inaugurato quello stesso anno con Aida di Giuseppe Verdi.
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Nel mio immaginario l’Arena si raffigurava grande quanto il monumento più noto della mia città, il Colosseo. In realtà vengo a scoprire che è il quarto anfiteatro più grande d’Italia dopo quello, appunto, di Roma, di Milano e di Capua. Il suo asse maggiore misura 152,43 m e il minore 123,23 m. Visito l’Arena dall’interno e sogno di assistere ad un concerto lì dentro un giorno, l’acustica della sua struttura mi incuriosisce molto.
Una volta fuori passeggio per Piazza Bra’, che accoglie decine e decine di stand con prodotti artigianali tipici locali e anche regionali d’Italia.
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Mi colpisce la fontana (vedi foto) che abbellisce i tre giardinetti centrali, circondati da un lato da Palazzo Barbieri, sede del Municipio, e dall’altro dalla Gran Guardia, inizialmente deposito per le munizioni e oggi sede per congressi e mostre;
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e la statua in bronzo di Vittorio Emanuele II, realizzata poco dopo la sua morte (vedi foto).
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Proseguo il mio giro lungo il listón (vedi foto), ovvero la pavimentazione in marmo che affianca il lato della piazza, su cui si affacciano bar e ristoranti. Alle mie spalle lascio, così, i portoni della Bra’ (vedi foto)
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e mi avvio verso via Mazzini, ovvero il corso, la via più nota in città per lo shopping (vedi foto).
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La via conduce direttamente alla mia piazza preferita veronese: Piazza delle Erbe, la più antica della città, sede di un grande mercato. La piazza presenta uno stile medievale alternato al romano, poiché in passato fu sede dell’antico foro.
Nascosti tra le bancarelle del mercato è possibile, inoltre, ammirare la colonna del mercato (vedi foto);
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la cinquecentesca berlina, dove avveniva l’investitura dei pubblici funzionari (vedi foto);
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la fontana di Madonna Verona (vedi foto);
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e la colonna di San Marco con alle spalle palazzo Maffei, affiancato dalla torre del Gardello (vedi foto).
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Da questa meravigliosa piazza, inoltre, è visibile la Torre dei Lamberti (che potete vedere nel video), alta 84 metri, la cui vetta è visitabile dopo aver percorso 285 scalini o, in alternativa, prendendo un ascensore (dal video potete immaginare quale opzione abbia scelto!!) La vista dall’alto è imperdibile! La città è coperta da infiniti tetti rossi e si scorge persino il corso dell’Adige che attraversa la città.
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Proseguo poi per via della Costa, passando sotto l’arco della Costa, chiamato così per via dell’osso di cetaceo che vi è appeso (vedi foto);
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in direzione della piazza dei Signori, nota anche come Piazza Dante, per la statua del sommo poeta che si staglia pensante al centro (vedi foto):
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Intraprendo, così, via Santa Maria in Chiavica, in cui si trovano le arche Scaligere (vedi foto), ovvero il sepolcreto della famiglia della Scala, tra cui figura Cangrande, il Signore di Verona, a cavallo.
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A questo punto mi trovo al bivio con Vicolo Cavalletto sulla sinistra e via Arche Scaligere sulla destra. Quale strada intraprendere? Dal punto in cui mi trovo riesco a scorgere la famosa casa di Romeo che si affaccia su via Arche Scaligere e decido quindi di orientare il mio percorso da quella parte.
L’edificio che osservo fu costruito nel XIII secolo ed appartenne realmente alla famiglia Montecchi. Avvicinandomi noto che l’ingresso costituisce l’entrata di una taverna chiamata “Osteria al Duca” (vedi foto), guardo l’orologio, è ora di pranzo. L’occasione sembra perfetta.
In questo post non vi racconterò dei piatti assaggiati in questa osteria tipica di Verona, ma sappiate che la mia pancia e il mio palato ne sono stati deliziati.
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A questo punto decido di riprendere il cammino nella direzione opposta e di proseguire per Vicolo Cavalletto, da cui mi ero momentaneamente allontanata poco prima. Incrocio, così, corso Sant’Anastasia e proseguo in direzione dell'omonima chiesa. Continuo poi la passeggiata per via Duomo e arrivo direttamente al Duomo della città, sede della diocesi.
Da lì proseguo per Vicolo Sabbionaia ed arrivo al Ponte Pietra (nel video erroneamente chiamato Ponte Scaligero, di cui parlerò qui di seguito) che mi conduce oltre l’Adige sino al Teatro Romano (vedi foto), sede, questo, di numerose rappresentazioni delle maggiori opere di Shakespeare.
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La città si percorre facilmente a piedi ed in bicicletta e si presta per lunghe e piacevoli passeggiate. Mi godo le ultime luci della giornata seduta sui gradoni del Teatro. Soffia un vento tiepido e piacevole. La serata si prospetta favorevole.
Torno, così, indietro verso piazza Erbe e decido di terminare la visita della giornata percorrendo via Cappello, per mi avvicinarmi alla tanto attesa Casa di Giulietta. Questa prende vita in uno degli edifici realmente appartenuti alla famiglia Cappelletti (Capuleti nella tragedia di Shakespeare), in cui vi fa mostra il celebre balcone su cui si sarebbe arrampicato Romeo (vedi video), ricostruito intorno agli anni Quaranta del Novecento dall’immaginazione dello storico Antonio Avena. Il luogo oggi è diventato attrazione principale per chi visita la città ed è rappresentativo dell’amore in ogni sua forma (dalla sentimentale alla, ahimè, commerciale). Fanno sfoggio centinaia di lucchetti colorati con incise le iniziali di giovani coppie e lettere e post-it con dolci pensieri. Ammetto di aver lasciato scherzosamente traccia del mio passaggio anche io.
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Dal cortile, inoltre, vi è l’accesso alla casa di Giulietta, anche questa frutto di una ricostruzione. Si accede, così, alle sue stanze e al balcone su cui si narra si fosse affacciata la giovane fanciulla (vedi foto):
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La mattina seguente ritorno al centro storico e percorro via Roma, una delle vie che si ramificano da Piazza Bra’, che mi conduce al castello di Verona, conosciuto con il nome di Castelvecchio (vedi foto), il cui rinomato ponte (ponte Scaligero, sopra menzionato) collega all’altra parte della città. Il ponte presenta una costruzione in cotto, che è stata distrutta durante la seconda guerra mondiale e riedificata negli anni Cinquanta.
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Percorro il ponte e, una volta giunta dall’altra parte, noto che è possibile avvicinarsi alla riva dell’Adige (vedi foto). Decido di scendere. Il fiume scorre quieto questa mattina.
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Torno indietro verso il castello e intraprendo regaste (l’argine) San Zeno, attraverso cui si giunge all’omonima Basilica (San Zeno Maggiore, vedi foto), risalente al Duecento d.C, che prende il nome dal patrono della città.
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Visito il suo interno e ne rimango incantata. La basilica presenta una pianta a croce latina. Passando per una larga scalinata, inoltre, è possibile accedere alla cripta, chiusa da una cancellata del 1400.
Nel pomeriggio continuo la visita e decido di perdermi tra i vicoli di questa meravigliosa città. Il termine del mio soggiorno si avvicina e torno a casa arricchita di questa nuova esperienza.
In tutto questo, però, che ne è stato del mio immancabile tour culinario?
Nel prossimo appuntamento vi mostrerò una tipica ricetta veronese assaggiata in quella deliziosa taverna che vi ho menzionato sopra. Il mio stomaco sta già brontolando al pensiero!
Vi abbraccio e a presto cari lettori,
JeMMa.
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gardanotizie · 5 years ago
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La chiesa di San Zen, conosciuta con questo nome, la pieve era, in realtà, dedicata a San Giovanni Battista, come dimostrano gli affreschi che ne celebrano la vita. Per quanto riguarda “l’oselèt”, si tratta propriamente di un gallo, posto sopra la tozza pina del campanile: il gallo, annunciando con il suo canto il sopraggiungere dell’alba, cacciava i fantasmi, i demoni e la paura della notte. Nell’immagine sotto a destra: l’apparizione dell’Angelo a San Zaccaria, annunciandogli la nascita del figlio Giovanni Battista, e la Decollazione del santo.
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Sulla sponda orientale del lago di Garda, merita di essere visitata la chiesa di San Zen de l’oselèt, all’interno del cimitero di Castelletto di Brenzone. Sorge poco prima del centro abitato, affacciandosi sulla riva.
Conosciuta con questo nome, la pieve era, in realtà, dedicata a San Giovanni Battista, come dimostrano gli affreschi che ne celebrano la vita. Per quanto riguarda “l’oselèt”, si tratta propriamente di un gallo, posto sopra la tozza pina del campanile: il gallo, annunciando con il suo canto il sopraggiungere dell’alba, cacciava i fantasmi, i demoni e la paura della notte.
San Zeno sorge nella zona in cui, anticamente, si trovava un insediamento romano, sopra i ruderi di un tempio pagano. Prima della costruzione del cimitero, la chiesa presentava un gran fonte battesimale -la cosiddetta Bàsia de S. Zen- sorretto da un piedistallo lavorato. Era dunque una chiesa baptismalis (dove veniva somministrato il battesimo) e non una semplice cappella comunale, date le sue dimensioni e l’eleganza degli affreschi.
Per stabilire il periodo di costruzione, gli studiosi discussero a lungo e oggi la teoria di W. Arslan (L’architettura romanica nel veronese, 1939) risulta essere la più attendibile, collocandolo fra la metà del XII sec. e l’inizio del XIII.
L’interno è a due navate: la principale, il doppio dell’altra, presenta due absidi; nella navata minore invece, nascosta dal tetto a spioventi, si trova la porzione di pitture più conservata.
Gli affreschi sono tardo-romanici e d’impronta bizantina, ne sono prova la solennità delle figure e l’azzurro utilizzato per decorare lo sfondo. Si può però cogliere un’arte più disinvolta nei personaggi, che non mantengono una rigidità statica, né compiono gesti magniloquenti e nei visi, in cui affiora una minima espressione.
L’autore, o meglio, i due autori rimangono ignoti: il primo ha realizzato nella parete settentrionale L’apparizione dell’Angelo a San Zaccaria (nella foto), annunciandogli la nascita del figlio Giovanni Battista, e la Decollazione del santo. Il secondo, più elegante, ha affrescato due episodi dell’Esodo, Traditio legis e Nascita di Maria Vergine e presentazione al tempio, contrapponendo ai forti contrasti e al gusto popolare del “collega”, delicatezza nella scelta cromatica e nella pennellata. Si tratta forse dell’artista Ciconia, del XIV sec., firma che ritorna almeno una decina di volte nella Diocesi di Verona, ma rimane tuttora un mistero.
Sta di fatto che il visitatore si trova di fronte a due stili pittorici di differenza quasi abissale, in una situazione singolare, che colpisce per la sua particolarità, ma senza sminuire la bellezza e il fascino del luogo.
San Zen de l’oselèt e i suoi enigmi La chiesa di San Zen, conosciuta con questo nome, la pieve era, in realtà, dedicata a San Giovanni Battista, come dimostrano gli affreschi che ne celebrano la vita.
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tmnotizie · 6 years ago
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SAN BENEDETTO – Grande successo per “Romeo e Giulietta – L’Amore oltre ogni confine”, l’ultimo musical prodotto dalla “Bottega di Antonio”, gruppo di giovani e adulti animatori che operano in seno alla parrocchia di Sant’Antonio di Padova a San Benedetto del Tronto.
Si tratta della prima opera di carattere non espressamente “religioso” con cui il gruppo si confronta, ma il tema che anima il lavoro poggia su profonde radici di carattere spirituale se il capolavoro shakespeariano viene inquadrato sotto una nuova ed originale prospettiva: a Verona, simbolo di un mondo diviso da diffidenza, violenza irriducibile e odio inveterato, che divide due opposte famiglie, sembra preclusa ogni speranza di pacificazione.
Neppure l’autorità politica riesce nello scopo, ma nel seno delle stesse famiglie in lotta “germogliano due fiori”, due ragazzi dall’animo puro e trasparente, capaci di opporre sospiri alle grida e tenere carezze al sangue e alle violenze. Saranno capaci di un amore puro, naturalmente osteggiato dalla logica del potere e della sopraffazione; qui il fato cieco e privo di speranza, rappresentato dal tragediografo inglese, si trasforma in provvidenza nella lettura della Bottega di Antonio, e la sorte amara e beffarda, che conduce i due giovani alla morte, assume la portata salvifica del martirio e del sacrificio.
L’amore, che lega ormai indissolubilmente le due anime, attraversa la pietra del sepolcro ed effonde la sua potenza su tutte le vittime viventi dell’odio, per le quali si apre finalmente uno spiraglio di luce e di consapevolezza, che annuncia una rigenerazione e apre alla salvezza, dando così senso alle parole della canzone “Ama e cambia il mondo”, che dell’opera costituisce il significativo leitmotiv.
Pace, perdono, accoglienza, tolleranza e ancora amore saranno la preziosa eredità che da questo sacrificio scaturisce, consegnando agli spettatori un messaggio di coraggio e speranza nella lotta sempiterna che a vario titolo e in varia misura mette quotidianamente l’umanità di fronte ai mali del mondo.
Un plauso, quindi, sincero e convinto va tributato ai giovani attori, cantanti, ballerini e animatori che con coraggio, bravura e impegno hanno dato questo contributo alla comunità parrocchiale e diocesana, così come un sentito ringraziamento va all’Amministrazione Comunale di San Benedetto del Tronto, che ha contribuito con la sua vicinanza (era presente l’Assessore alle Politiche Sociali Emanuela Carboni in rappresentanza del sindaco) e con la concessione del magnifico palcoscenico del Palazzo dei Congressi (Palariviera) alla realizzazione dello spettacolo.
“Romeo e Giulietta – L’amore oltre ogni confine”, verrà riproposto al pubblico venerdì 7 giugno alle ore 21 presso il Cineteatro “Piceno”, di Ascoli generosamente concesso per l’occasione dalla locale diocesi.
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