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Who was one of the great influences on today’s leading theologians and university presidents? James Montgomery Boice. Educated at Harvard University and Princeton Seminary, the late James Montgomery Boice was raised up for a lifetime of preaching at Tenth Presbyterian Church. Yet he also found himself at the epicenter of theological debate. He was committed to the authority of scripture, passionate for the...
#Credo Magazine#Credo Podcast#Matthew Barrett#Philip Ryken#How to be a Joyful Calvinist: James Montgomery Boice and the Life of the Mind#credomag.com
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#I THINK THAT I FIGURED IT OUTTT#thanks to a Crossway article that showed up in my email last night and a Credo Magazine article from 2016#that I read while eating lunch when I probably should've been studying for my earth science exam coming up!!!#'solA scriptura' does not necessarily equal 'solO scriptura'!!!#to quote the article#that's what's been bugging me!!!!!#I also read a couple articles on the need to read and study medieval and patristic theology as well as modern theology#and that made me realize that like. I thought everyone understood that.#a really big part of the last 5-8ish years for me as been digging around in church history poking at augustine and anselm#and all those guys#(though I haven't read any of them in-depth yet; was too busy killing myself in an attempt to save money for college)#so like. I kinda forgot that tons of prots/evangelicals DON'T see that as a given and actually kinda avoid it???#like apparently a lot of them don't read the church fathers at all and also they basically avoid the creeds#which is bizarre to me bc that's a big thing that grounds me when I feel like I can't see straight (faith-wise) anymore.#the historical context and nature of my faith.#so HM YEAH THINKING ABOUT THIS#also this kinda confirms for me something that I've been really thinking about a lot lately#which is that when we try to understand concepts that come from a historical context#we should like really really really put effort into understanding the historical context that they came out of#not just grabbing the concept and running with it. whether we agree or disagree with the concept itself.#we can learn a lot about studying the ideas within their historical context bc ideas don't just spring into being within a vacuum!!!#and this is important re: the Reformation and the solas especially because those beliefs were meant as a COUNTER to things happening#in the mainline/Catholic church *at the time*#sola scriptura was meant as a COUNTER to holding papal authority over or at least as high as scriptural authority#not to say like 'oh the bible is LITERALLY THE ONLY THING WE SHOULD EVER REFERENCE EVER NO EXCEPTIONS'#history and tradition is important and necessary in all religions! otherwise you just keep doing the same work over and over again#(obviously the fathers weren't right on everything but like. it's silly to avoid them. ya know.)#delete later#gurt complains at college#<< should make that an actual tag for my rants and rambles while i'm here lol :')
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THE PURPOSE OF LIFE
“To see the world, things dangerous to come to, to see behind walls, draw closer, to find each other, and to feel. That is the purpose of Life.” ― LIFE Magazine, Motto (20th Century CE), as quoted in ION, Book 6 of The Republic of Dreams
https://amazon.com/author/spanoudis
#theotherpages.org#the other pages#the republic of dreams#life#life magazine#credo#masthead#philosophy#journalism#quote#quotes#quotation#quotations
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Storia Di Musica #357 - Nick Cave And The Bad Seeds, Your Funeral...My Trial, 1986
C'è un sentimento comune nei dischi che hanno a che fare con Berlino: sono dischi che esprimono dei tormenti umani giganteschi, registrati dagli artisti in momenti cruciali della loro vita, spesso non solo artistica. Bowie quando decise di andare a Berlino per la sua trilogia (che per senso filologico dovrebbe essere una tetralogia, dato che fu il creatore anche di The Idiot di Iggy Pop) era nel pieno di una crisi creativa, di una dipendenza da droghe, autore di gaffe clamorose (una terribile in cui disse in una intervista: "In Inghilterra sarei potuto diventare Hitler. Non sarebbe stato difficile. I concerti erano così spaventosi che persino i giornali scrivevano: “Questa non è musica rock, questo è Hitler! Bisogna fare qualcosa!”. E avevano ragione. Era fantastico. In realtà… credo che sarei stato un gran bell’Hitler").
Una cosa simile avvenne dieci anni più tardi a Nick Cave. Conclusa l'esperienza con i Birthday Party nell'estate del 1983, decide di continuare la carriera come solista. Va per questo a Berlino, un posto che, nelle parole dello stesso Cave "ci ha dato la libertà e l'incoraggiamento per fare qualsiasi cosa avessimo voluto fare". Con lui ci sono Mick Harvey, batterista dei Birthday Party, con cui forma i Bad Seeds, sorta di supergruppo comprendente Barry Adamson dai Magazine al basso e Blixa Bargeld dei berlinesi Einstürzende Neubauten. Il primo disco però è ancora registrato a Londra, From Here To Eternity, con ricordi blues stralunati dalla slide di Bargeld, con due cover bellissime di In The Ghetto di Elvis Presley e Avalanche di Leonard Cohen. Nasce qui il suo mito: la sua voce teatrale, cavernosa, inquietante, che racconta di incubi, personaggi strani, ossessioni e dolore. In quello stesso periodo, vive un rapporto devastante con l'eroina: nonostante questo, pubblica The Firstborn Is Dead a Berlino, nei mitici Hansa Tonstudios usati dallo stesso Bowie. Il titolo è un riferimento al gemello di Elvis nato morto insieme a lui, c'è ancora il lato tragico del Blues e una cover di Dylan, Wanted Man, corretta nel testo con l'approvazione del Maestro di Duluth. Per Kicking Against The Pricks (1986), che è una raccolta di interpretazione di cover, entra in gruppo Thomas Wydler, batterista, che permette a Harvey di passare alle tastiere.
Le registrazioni di Your Funeral...My Trial avvengono nell'estate del 1986 presso gli Hansa Tonstudios. Cave è al massimo della disperazione fisica e mentale, l'idea iniziale era di fare due EP con i due titoli My Funeral e My Trial, ma nonostante la gravità della sua condizione psicofisica, alla fine le registrazioni furono entusiasmanti, tanto che tutti considerano questo il loro miglior disco della loro futura ultra-trentennale carriera. È un disco dove i racconti e le storie sono pieni di controcanti, di voci della mente e dei sentimenti che si rincorrono. Quasi tutto è opera di Cave e Harvey, l'unica cover è una versione acuta e sorprendentemente drammatica di Long Time Man di Tim Rose. È il disco notevolmente più compiuto e vario rispetto ai precedenti, che esplora un'ampia gamma di musiche pur mantenendo centrale la visione spesso oscura e sempre appassionata di Cave. Canzoni come Jack's Shadow, una delle future canzoni simbolo, e gli stati d'animo più gentili ma comunque malinconici di Sad Waters, che raccontano una scena in riva al fiume tra una coppia, sono semplicemente grandiose: Cave qui non solo canta ma suona anche l'organo Hammond, aggiungendo un'aria stranamente dolce all'atmosfera notturna del pezzo. The Carny è sicuramente il momento clou, l'accompagnamento di carillon/carnevale incrinato per gentile concessione di Harvey è del tutto appropriato per il racconto di Cave di un circo andato orribilmente male: da questa canzone Marc Craste nel 2003 ricaverà un cortometraggio animato, Jo Jo In The Stars, che vincerà il BAFTA Award for Best Animated Short Film nel 2004. Hard On For Love, come il titolo rivela abbastanza chiaramente, è allo stesso tempo sensuale e schietta fino al testo, riferimenti biblici e tutto il resto, mentre la musica febbrile sale in un'ondata di emozioni. Stranger Than Kindness è scritta da Bargeld e da Anita Lane, cantautrice australiana che da qui in poi collaborerà con i Bad Seeds.
Una versione di The Carny verrà suonata nel film Il Cielo Sopra Berlino di Wim Wenders, dove Cave e i Bad Seeds interpretano loro stessi suonando dal vivo. Cave, la cui carriera verrà segnata da traumi colossali, ha sempre amato questo disco, secondo le sue stesse parole "è molto speciale per me e sono successe un sacco di cose fantastiche, musicalmente, in studio. Ci sono alcune canzoni in quel disco che per quanto mi riguarda sono quasi perfette": una perfetta descrizione di un incubo.
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Drow Lore 🕷️ Sacrifices and Adjuration To Lolth

One of the central credo of Lolthite faith is: "We are all Lolth's meat". In many sources, Lolth is described as the goddess who consumes or devours, and rites conducted in her name practically always involve some kind of sacrifice.
🕷️ Typical Sacrifices - in minor, personal rites the sacrifice is usually poured wine, small amount of riches or a few drops of petitioner's blood offered before and idol or symbol of Lolth. In major rites, one or several individuals - usually captives or slaves - are ritually killed within a temple to feed the Spider Queen with their spilled blood.
🕷️ Sacrifice Preferences - non-sentient creatures < sentient creatures, non-humanoids < humanoids < elves < drow. Typically, Lolth prefers more powerful sacrifices to weaker ones, and her own priestesses over all others (this last type of sacrifice occurs only rarely, though, and usually as a punishment).
🕷️ Adjuration from the Crimson Liturgy of Lolth (found in Dragon Magazine #298), spoken during the rite of sacrifice:
O Flesh Carver, who wove the world; Who made us from the darkest clay, Spinning in it a red web of vein and artery, We feel thy hunger. O Lolth, humbly today we feed thee. We feed you this flesh, this quivering meat. With a blade like your jaws, We divide muscle from bone. Eat of this, the meal we consecrate to thee, And do not this day devour us.
🕷️ Lolth's name that appears in this adjuration - Flesh Carver - is mentioned in BG3 at least once. One of the petrified drow in the Underdark, Izwae, thanks a Lolth-sworn drow Tav for freeing him, saying:
Fleshcarver grant you your enemies' blood and the wealth of their houses.
I really like this quote 🖤
For more of my drow lore ramblings, feel free to check my pinned post 🕷️
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The reign of DEI was a captivity, in which normal folks were terrified to speak openly, lest they be overheard and dismissed from employment, or worse.
By Fr. John A. Perricone Crisis Magazine
February 12, 2025
Yes, a captivity. Diversity, Equity, and Inclusion (hereafter, DEI) can properly be called a captivity. Americans were held hostage by this alien ideology born in the claustrophobic classrooms of the Marxist credo for decades. Its noose has finally loosened.
So enveloping was this agitprop that the commanding heights of academe and conventional intelligentsia cast aside outdated things like free speech and launched a campaign of cancel culture, the flip side of Nazi book burning. For years, average Americans crouched in fear at the ubiquity of this Enemy.
No wonder you found yourself rubbing your eyes when The Wall Street Journal recently reported:
Universities are suspending research projects, canceling conferences and closing offices in response to a volley of orders from President Trump banning “diversity, equity and inclusion” across the United States government. The directives threaten vital federal funding and have thrown university leaders into disarray.
To avoid running afoul of the orders, which include “the termination of all discriminatory programs”, some school leaders have assumed a defensive posture on anything associated with DEI.
It seemed as though we were awaking from a nig
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Barry N. Malzberg "Un monde en morceaux" (pp61/63) 1973.
《"Attrape ça ! " cria Mack Miller sur un ton de triomphe en envoyant à l'extra-terrestre trois autres décharges de son laser. Il avait enfin percé le mystère de l'invulnérabilité du monstre: étant sensible à la télépathie, ce qu'il aurait dû savoir dès le départ, l'être captait donc les ondes sensorielles, et si Mack émettait des ondes de haine en même temps que le rayon laser, le monstre s'écroulait, cette sensibilité devait les perdre… si seulement Mack trouvait le mot qui 》 Voilà comment se termine la page qui se trouve devant lui. En y jetant un rapide coup d'oeil, par simple routine, il se dit qu'il lui faut absolument faire quelque chose. La syntaxe est approximative, on dirait les bredouillements d'un idiot, et en plus ça ne veut rien dire. Cette page au moins devra être recommencée demain. Mais ce n'est pas dans ses habitudes de remanier un texte. C'est une règle à laquelle il s'est fermement tenu depuis le début. Quand on commence à remanier son texte, on n'en sort plus: au début c'est une ligne par-ci par-là, après c'est un paragraphe ou un dialogue, et pour finir ce sont des scènes entières qu'on recommence. On risque alors de faire comme ce malheureux Jack Craggings, on ne s'en sort plus, et on n'arrive même plus à écrire autre chose. Dans ces conditions, ce seraient des monceaux de romans et de nouvelles qu'il faudrait repasser sur la machine pour n'arriver finalement à rien de correct. Dès qu'on se met à examiner d'un œil critique un texte, c'est toujours le même problème : ce n'est jamais parfait, c'est même vicié à la base. En regardant cette page dactylographiée, Herovit a l'impression de se rappeler des centaines, peut-être même des milliers d'auteurs de pulp-magazines des anciens temps - ou du moins des années vingt - que leur instinct de réviseur a perdus et qui sont maintenant complètement oubliés, et peut-être même morts. Leur voix s'est éteinte à jamais, pour ne rien dire de leur fortune. " Ne jamais réviser, murmure-t-il intérieurement : son vieux credo. Cela ne sert à rien. Les gens qui lisent ce genre de chose sont parfaitement incapables de faire la différence entre une phrase correcte et une phrase incorrecte, et d'ailleurs, si on y pense bien, toi non plus." Sur ce il franchit la porte de son bureau et part à la recherche de sa femme《《
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Lee Jung-Jae per WKorea Magazine.
Al tempo quando nessuno immaginava che Squid Game sarebbe arrivato dov'è oggi, Lee Jung-Jae era in piedi al centro di un enorme set ricoperto di sangue come se fosse un dipinto astratto. È l'unico attore della serie che ha passato una stagione all'inferno e alla fine ci è ritornato.
Ho saputo che sei tornato da poco dopo due settimane dal tour promozionale negli Stati Uniti, e ripartirai poi la settimana prossima per partecipare ai Golden Globe Awards. Ci sono tante clip di interviste dagli Stati Uniti. Si, molte. Probabilmente ce ne sono molte che non avete ancora visto. Nei giorni delle interviste, mi incontrato con diversi media dalle 10 del mattino fino alle 6 di sera e ogni intervista durava circa 6 minuti.
Una volta dissi che quando eri ventenne volevi scappare nell'esercito per via dei troppi impegni. Adesso non hai nessuno posto dove scappare. Esatto.
Sei stato sulla nostra copertina nel 2023 e 2022 ma l'ultima volta che ti ho intervistato fu il 2018. Ricordo di averti incontrato nell'ufficio della direzione e di essere rimasto un po' sorpreso dal tuo fascino da ragazzo vestito con camicia e jeans. Wow. Non posso credere che siano passati già 6 anni, come vola il tempo.
Avrei voluto incontrarti dopo la prima stagione di Squid Game, così che avremmo avuto un po' di tempo per guardare indietro. Sembra surreale. Non pensavo che ti avrei rivisto nella seconda stagione. É ancora surreale. A differenza con la seconda stagione, la prima fu rilasciata senza campagne promozionali, e abbiamo avuto campagne di premiazioni dopo. Al tempo, partecipavo più agli eventi che alle interviste. The Acolyte è stata la mia prima esperienza di promozione globale e ho realizzato " Wow, questo evento è davvero più grande di come pensavo". Per la seconda stagione, condivisi la mia esperienza con gli altri attori e gli dissi "visto che Squid Game è un progetto globale, la campagna promozionale sarà tosta. Quindi dobbiamo essere pronti." Certo, sono stato molto impegnato, ma sono riuscito a farcela.
È stato a causa delle tue esperienze passate con grandi progetti? Sono riuscito a gestirli perché abbiamo lavorato come una squadra. Con The Acolyte ho dovuto fare tutto, incluse le interviste, da solo, ed era stressante. Con Squid Game, abbiamo fatto interviste in gruppo di due, quattro o anche di più. Ecco perché un programma così intenso è diventato più piacevole e facilmente gestibile.
La serie di Star Wars "The Acolyte" su Disney+ è stata rilasciata in estate, e Squid Game invece in inverno. Il 2024 deve essere stato un anno davvero importante per te. Il tour promozionale di The Acolyte è stato quest anno? Sono totalmente sbadato ultimamente. Ad essere onesti, la mia memoria è peggiorata. Credo abbia iniziato a peggiorare dall'uscita di Hunt.
È davvero un problema di memoria? Probabilmente sono sovraccaricato. Quando andai a Cannes per "Hunt" feci come 150 interviste in 4 giorni. La premiazione di Squid Game S1 avveniva nello stesso periodo dell'uscita di "Hunt". Quando qualcuno mi chiede cosa è accaduto sul set o episodi memorabili, ogni tanto è difficile ricordare chiaramente.
Probabilmente anche l'IA avrebbe problemi di memoria con tutto questo carico di lavoro. Non so se è perché sono nervoso e mi preoccupo così tanto per tutte le cose che non ho mai vissuto prima. Mi sento male per questo in un certo senso. Prima esperienza, prima impressione, primi ricordi. Le cose che non hai mai sperimentato prima dovrebbero essere ricordate perché sono fresche e nuove. È strano che questi momenti sembrino così sfocati.
Trovo difficile guardare video di celebrità coreani che appaiono in programmi televisivi nel resto del mondo. Mi mette ansia e nervosismo. È strano, vero? Capisco cosa intendi. Dimostra che ci tieni a quelle celebrità. I miei genitori e amici provano lo stesso. Dicono che a volte provano ansia quando mi vedono apparire in lavori o contenuti a cui ho lavorato. Questo perché desiderano, e si aspettano, una buon lavoro. È un segno d’amore e gli sono grato.
Devi ricordarti la prima volta che hai varcato la soglia dell'enorme set con i letti a castello e l'arena di gioco tutta colorata. Sono ritornato sul set dopo 3 anni. Ebbi un'esperienza simile durante 'The Acolyte': il primo giorno di riprese, ero già in costume e afferrai la maniglia della porta che conduceva sul set. Ho esitato alcuni secondi perché non trovai il coraggio di entrare. Mi sentivo sopraffatto e pensavo "L'Universo di Star Wars inizierà non appena aprirò questa porta". Non riuscivo a credere stesse accadendo davvero. Ed è stato simile anche con il set di Squid Game 2.
Sarebbe il momento perfetto per l'iconico suono "tudum" per quando hai aperto la porta e sei entrato in un'altra dimensione. Qual è stata la prima scena che hai filmato nei panni di Gi-Hun? È stata quando Gi-Hun si risveglia nel dormitorio dopo essere stato sedato. Non appena varcai la soglia del set la mattina, ho dovuto fare una pausa. Durante le riprese della prima stagione continuavo a pensare "questo posto è l'inferno" perché ci ho trascorso quasi un anno, e ci sono dovuto ritornare. Sebbene avessi ottimi rapporti con il resto del cast, Squid Game era tutt'altro che allegro.
Dopo aver passato un'intera season all'inferno, ci sei tornato volontariamente. Con il progredire della prima stagione, il numero di persone nel dormitorio è gradualmente diminuito. Verso la fine della prima stagione eravamo solo Sang-woo (Park Hae-soo), Sae-byeok (Jung Ho-yeon) e io.
L'enorme stanza deve essere sembrata più vuota poiché i numeri sono diminuiti significativamente dal 456. La stanza sempre più vuota e il pavimento che una volta era pulito ora macchiato di sangue, finto, ovviamente. Il pavimento sembrava un enorme dipinto astratto, come quelli di Jackson Pollock o Willem de Kooning. Nella prima stagione, pensavo che un'inquadratura dall'alto di quel pavimento macchiato di sangue sarebbe stato un bell'effetto per Squid Game. Mi sono ricordato di quella sensazione ancora una volta non appena sono entrato per la prima volta sul set della seconda stagione. Il dormitorio avrebbe dovuto ospitare 456 partecipanti, ma potevo già immaginare uno spazio vuoto intriso di sangue. Sembrava così strano. Come ha gridato Seong Gi-hun: "Ho già partecipato a questi giochi!" hai già sperimentato l'inferno.
Ho sentito che “Coscienza” è stata la parola a cui hai pensato di più durante la seconda stagione. Nella seconda metà della prima stagione, Gi-hun aveva le emozioni radicate nella coscienza. La seconda stagione inizia concentrandosi sul motivo per cui Gi-hun non è salito sull'aereo per vedere sua figlia. Il regista e l'attore hanno dovuto rispondere al "perché" Gi-hun è salito sull'aereo. Un regista deve avere delle ragioni come creatore, ma sentivo che era a causa della coscienza di Gi-hun, non poteva ignorare quello che era successo e vivere una vita agiata fingendo di non sapere nulla. Puoi trovare l’espressione “agire in coscienza” anche nei versetti della Bibbia.
Ho sentito dire che ti sei creato una playlist per immergerti meglio nella serie. Che genere di musica hai scelto? C'erano una varietà di generi come canzoni e arie. Ma le playlist per le stagioni 1 e 2 differiscono. Dato che è stato difficile trovare brani che si abbinassero perfettamente a Squid Game, ho incluso solo pochi pezzi. (Voglio quella playlist nda)
Sembra tu fossi serio nel trovare la giusta musica. Ho passato ore a cercare e alla fine ho trovato solo dieci brani. Ascoltandoli ripetutamente mi è venuta voglia di cambiare la playlist, ma ci vuole troppo tempo. Se avessi avuto 3 o 4 mesi per prepararmi prima delle riprese, cercherei della musica in quel lasso di tempo.
Qual è la tua impressione sul regista Hwang Dong-hyuk? Un genio. È l'unico aggettivo che lo descrive. È anche un uomo di buon cuore e questo rende la comunicazione più disinvolta. È una brava persona. È brillante ma allo stesso tempo umile.
Tra le stagioni 1 e 2 di Squid Game, hai raggiunto una fama globale e hai avuto un importante punto di svolta debuttando come regista per il film Hunt nell'agosto del 2022. Com'è stata l'esperienza da regista? Grand Prince Suyang di 'The Face Reader' e Lee Ja-sung da 'New World' sono personaggi amati. Yeom Seok-jin di 'Assassination' è spesso fonte di parodie e alcune persone amano anche Ray da 'Deliver Us from Evil'. Alcuni dei film dove compaio erano in realtà ruoli offerti a qualcun altro, poi arrivavano da me. Ho potuto interpretare quei personaggi perché son stato fortunato. Vorrei ricordare anche che ho recitato personaggi scritti da qualcun altro. In altre parole, ho potuto interpretarli grazie alla dedizione e duro lavoro di altri, e un pizzico di fortuna. Tuttavia, scrivi un copione e dirigere è diverso specialmente perché devi partire da un foglio bianco. Tutto dipende da te, sei tu che decidi da dove iniziare.
È difficile immaginarti seduto su una sedia massaggiatrice e battere sulla tastiera per riempire un foglio bianco. Quando interpreti un personaggio che ha scritto qualcun altro, nessuno ti chiede "Come ti è venuta in mente questa battuta?" ma quando sei tu ad aver scritto la storia, ricevi domande completamente diverse. Alcuni ti chiedono il motivo della scelta di alcune tematiche, perché hai deciso di scrivere quel tipo di storia, e altre domande che mirano direttamente ai tuoi valori, pensieri, filosofia e modo di pensare. Come attore mi sento ogni tanto come 'nudo' ma questa sensazione si fa più intensa quando dirigi tu. Spesso penso "che succede se non piaccio come persona?" e questo pensiero mi terrorizzava.
Deve essere stato tosto dirigere un film di spionaggio degli anni 80 durante la quinta Repubblica. Il pubblico rimase sconvolto curioso riguardo al film e a te come regista. Ho sentito dire che hai deciso tu di dirigerlo perché non avevi trovato un altro regista che ti convincesse. Non avrei voluto scrivere la sceneggiatura ne dirigerlo se potevo. Non penso che l'avrei fatto se non mi fossi sentito a mio agio. Tuttavia, la Sud Corea stava passando un periodo turbolento, considerando il clima politico e sociale. Quindi ho voluto essere sicuro di far passare il messaggio "dobbiamo continuare ad essere così in conflitto?" per tutta la durata del film. Non avrei dovuto essere avido ma non potevo mollare. Ero avido non per mio desiderio personale, era più come una missione.
"Hunt" ha aggiunto un'immaginazione cinematografica a eventi storici, ci deve essere una ragione per essere stato candidato al 75th Festival di Cannes per il midnight screening. Poiché il film copre una società e tempi che hanno una rilevanza universale, speravo che ottenere prima un riconoscimento internazionale avrebbe fatto sì che il pubblico lo prendesse sul serio. Quindi Cannes è stato il mio primo obbiettivo. Il processo non è stato facile e a Cannes mi è stato chiesto di inviare una "Director's Statement" per la cartella stampa ufficiale. La dichiarazione doveva contenere la trama del film e il messaggio che voleva trasmettere, ho pensato fosse una grande opportunità per spiegare meglio ciò che non sono riuscito a fare all'interno del film.
Stai considerando di fare di nuovo il regista? All'inizio ho giurato di non farlo mai più. Ero così coinvolto nel progetto e ho avuto parecchio da fare per la promozione. Sono stati tempi duri ma...
Ma non sai mai cosa ci riserba il futuro, vero? Ehm.. Sto scrivendo alcune storie. Alcune per conto mio, altre con diversi sceneggiatori. Sto anche lavorando con alcune Produzioni Americane via Zoom.
Pensi che Hollywood abbia delle aspettative su di te anche se non ti assegnano ruoli specifici? Durante la promozione della S2, ho avuto qualche incontro con delle agenzie americane e persone che mi hanno raccomandato di incontrare. Mi han detto spesso di stare più a lungo negli Stati Uniti, mi hanno offerto di stare dai 3 mesi ad un anno per costruirmi un network. Fossi stato più giovane l'avrei tenuto in considerazione ma adesso, penso sia più realistico focalizzarsi di più nel produrre film coreani di alta qualità in Corea.
Hmm.. In parte è dovuto al fatto che l'industria dell'intrattenimento coreana sia cresciuta in modo significativo? Faccio parte dell'industria Coreana da molto tempo. Vari settori dell’intrattenimento coreano sono migliorati enormemente per la competitività globale, ma contemporaneamente è cresciuta anche l’industria dell’intrattenimento internazionale. Ci sono ancora parti in cui potremmo non essere all'altezza, ma abbiamo compensato con passione e innovazione. Inoltre, competere sulla scena globale con i contenuti coreani è diverso dal lanciarsi nell’enorme mercato americano perché è un palcoscenico globale che va oltre il mercato. Sperimentare il sistema Hollywoodiano e creare un palcoscenico lì è diverso. Un giorno potrei unirmi di nuovo a un progetto come 'The Acolyte', ma per ora voglio concentrarmi sui progetti che stiamo preparando in Corea. Non è qualcosa con cui possiamo essere completamente preparati.
Sapevi che il tuo film 'The Young Man' è disponibile in streaming in diverse piattaforme? (Ride) L'ho visto su Netflix.
Mi chiedo cosa ne pensano i giovani nati tra gli anni '90 e 2000 del film; 'The Young Man' cattura l'essenza di generazioni come Lee Jung-Jae e Shin Eun-kyung come icone della generazione x, della moda e dello stile. Mi fai arrossire (ride). Quel film è molto importante per me. Lo menziono sempre quando parlo del mio debutto nel cinema, come il più significativo della mia carriera. Anche City of the Rising Sun è stato importante ma tra i due scelgo The Young Man.
Son passati 30 anni da The Young Man, e ora nella S2 di Squid Game. Nel 2018 hai detto che desideri che la tua carriera da attore continui indipendentemente dal significato dei ruoli. Cosa ti è successo? Penso ancora a quanto sia stata straordinaria la mia vita. Certo, ho lavorato sodo ma questo livello di successo non è un qualcosa che raggiungi solo con il duro lavoro, si può interpretare come un enorme colpo di fortuna e tutto ciò che posso dire è grazie. Ho recitato in Sandglass tempo fa, ero giovane e spesso eccitato e alcuni mi criticavano. Ora mi pento di come mi sono comportato al tempo e quelle esperienze mi hanno insegnato ad apprezzare di più ciò che ho ora.
Ti descriverei come una celebrità che rimane grata invece di lasciarsi trasportare dall'eccitazione. È commuovente (ride). Quindi, ci rivediamo tra 6 anni?
Traduzione a cura di Viviana del Lee Jung Jae Italia, se prendete per favore lasciate i crediti o condividete direttamente il post. Fonte dell'articolo , WKorea Magazine ed. Feb 2025. (c) gif creata da me, video disponibile qui.
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[✎ ITA] RM - RPWP⠸ Dietro le Quinte del Documentario 'RM : Right People, Wrong Place'⠸ Weverse Magazine | 16.12.2024
🌟 Weverse Magazine | 16. 12. 2024
Dietro le Quinte del Documentario 'RM : Right People, Wrong Place'
INTERVISTA con il regista Seokjun Lee e l'assistente-regia Subin Im
Originale KOR | Twitter / X
Il documentario RM: Right People, Wrong Place racconta il processo creativo che sta dietro il secondo album solista di RM, fungendo – al contempo – anche da diario personale di Kim Namjoon, in quanto ne svela i pensieri e sentimenti di ogni giorno, “immortalando tutte queste cose che mi accadono”, per dirla con le sue parole. Al suo fianco in questo percorso, c'era la forza creativa che prende il nome di Team RM, un gruppo formato appositamente per la produzione dell'album Right Place, Wrong Person. Il regista Seokjun Lee – che, in quel viaggio durato 8 mesi, ha imparato a conoscere a fondo e da vicino il mondo interiore di RM, documentandolo con la sua cinepresa – e la co-direttrice alla regia Subin Im – la quale si è districata tra centinaia e centinaia di ore di contenuti filmati per riuscire a connettere ogni singolo filo della storia, ben più grande, che è l'avventura del Team RM – si sono confidati con il Weverse Magazine, condividendo informazioni di prima mano riguardo il documentario RM: Right People, Wrong Place.
youtube
RM: Right People, Wrong Place ha avuto la propria première ad ottobre alla 29a Ediz. Del Busan International Film Festival, dove siete intervenutə anche voi, insieme ad altri membri del Team RM. Com'è stata quell'esperienza? Seokjun Lee: È successo che siamo salitə sul palco senza la star del film e abbiamo dovuto procedere anche senza di lui, solo con altri membri del cast e della produzione. Ricordo d'aver pensato che non potevamo commettere alcun errore, rischiando così di macchiare il nome di Namjoon, dunque ognunə di noi si era già preparatə il discorso per iscritto o l'aveva imparato a memoria, in previsione di quella comparsata (ride). Abbiamo poi saputo che Namjoon stava seguendo la diretta streaming e che ha riso, quando ci ha vistə così.
A volte, Namjoon chiama noi del Team RM, “bohémien”, perché dice che siamo allo stato brado e che viviamo in un modo tutto nostro. Forse è per quello che ha trovato così buffo vederci su quel palco, in un contesto così formale (ride). Non è cosa da tutti i giorni, per noi, poter salire su un palco simile e per un'occasione così preziosa, quindi abbiamo apprezzato davvero di cuore accoglienza entusiasta del pubblico.
“Right People, Wrong Place” è anche il titolo della prima traccia dell'album Right Place, Wrong Person. Come mai avete scelto quello come titolo del film? Subin Im: Innanzi tutto, abbiamo buttato giù tutta una serie di titoli potenziali. Alcuni erano fin troppo sentimentali, altri ci sembravano freddi e altri ancora erano eccessivamente letterali. Ci siamo dunque confrontatə riguardo quale titolo potesse catturare al meglio i contenuti del film. Poi, un giorno, Namjoon ha commentato “Non credo questa sia la direzione giusta (We are in the wrong place)” ed abbiamo seriamente preso in considerazione quello, come titolo, perché ci piaceva come suonava, ma era ancora un goccio troppo lungo. Però, quasi casualmente, nel documentario Namjoon parla spesso di come le cose non stiano andando per il verso giusto, quindi alla fine abbiamo deciso di ricollegarci naturalmente alla prima traccia dell'album, “Right People, Wrong Place”. Lavorare all'ideazione del titolo ci ha dimostrato, ancora una volta, quanto perfetti ed azzeccati siano i titoli di tutte le tracce (ride).
Seokjun Lee: Anche se il titolo dell'album e quello del film usano parole diverse, l'acronimo per entrambi è sempre lo stesso, RPWP, il che probabilmente crea confusione nel pubblico – quanto basta per far sì che la gente si fermi a rifletterci su (ride). Personalmente, penso il significato di Right People, Wrong Place sia un riferimento a quelle persone che si sentono fuori luogo. Ovviamente, tuttə quantə ci sentiamo a casa o a nostro agio nel nostro contesto d'origine, ma ci sono volte in cui capita di sentirci fuori luogo o nel posto sbagliato – come a lavoro o in un gruppo con altre persone. Durante le riprese, è successo spesso di ritrovarci in luoghi poco famigliari e di condividere le nostre impressioni a riguardo. Credo il titolo del documentario sia molto adatto, visto che rispecchia i pensieri e sentimenti provati in quel tipo di occasioni.
Non dev'essere stato semplice decidere quale direzione imboccare con il documentario, visto che le riprese sono iniziate durante le primissime fasi di creazione dell'album. Come avete gestito la cosa? Seokjun Lee: Namjoon aveva le idee molto chiare fin dal ritrovo creativo per la composizione dei brani di Right Place, Wrong Person, ed il produttore San Yawn aveva già pre-impostato molte delle linee guida per il progetto su scala più generale. Quando mi sono unito al Team RM, è stato Namjoon in persona a spiegarmi cosa fosse il progetto RPWP e come mai volesse lavorarci. Quello mi è già stato di grande aiuto e mi ha permesso di dare inizio ai lavori. Namjoon si è prodigato a fare la stessa introduzione ad ogni nuovo membro del team - come alla regia e produzione per i suoi MV ed ai fotografi. Deve aver ripetuto quella spiegazione qualcosa tipo 17 volte. Ricordo ancora quanto incredibilmente precisa e puntigliosa fosse la sua presentazione (ride).
Com'è che avete ottenuto l'opportunità di unirvi al Team RM e di partecipare alla produzione di questo documentario? Seokjun Lee: È iniziato tutto quando San Yawn, che era alla guida del progetto, mi ha contattato dicendo “Non sappiamo neppure se sarà mai rilasciato, oppure no, ma sarebbe disposto a dedicare un anno a questo film?”. La cosa mi ha incuriosito e dunque abbiamo organizzato un incontro con Namjoon. Fin dal nostro primo incontro, Namjoon si è dimostrato estremamente aperto e candido rispetto la sua storia, e questo ha messo a mio agio anche me, tanto che ho finito per parlargli della mia vita. Dopodiché, abbiamo continuato ad incontrarci con frequenza, quasi si trattasse di un lavoro, e abbiamo legato grazie a tutte le nostre conversazioni. Col senno di poi, ho realizzato che Namjoon si è aperto così con noi perché voleva creare un ambiente ed un'atmosfera rilassati tra noi.
Subin Im: Il mio compito, inizialmente, era principalmente quello di revisionare e selezionare il materiale filmato più rilevante per il film. Le riprese si sono prolungate per molto tempo, quindi avevamo un enorme quantitativo di filmati. Inizialmente, Seokjun si è occupato di fare un primo ritratto di quel periodo, pur con un occhio già volto al futuro, e poi quando mi sono unita al progetto e ho iniziato a revisionare tutto quel materiale filmato, è stata come una corsa contro il tempo per mettermi in pari col passato. In seguito, è anche capitato io dovessi partecipare alle riprese. In quelle occasioni, prendevo il materiale – a caldo – e lo revisionavo subito. Lo scopo del mio lavoro era fondamentalmente rendere più semplice il processo di editing, quindi non facevo che guardare e ricontrollare, lasciando anche commenti del tipo “Questo mi sembra importante?”. E, con l'andare del tempo, il mio ruolo in questo progetto si è ampliato e diversificato molto.
Solitamente, le relazioni che si instaurano tra il filmaker ed il soggetto ripreso, nei documentari, sono molto ravvicinate ed oneste, uniche nel loro genere. È stato difficile stabilire limiti e/o confini da rispettare nel caso del vostro film? Seokjun Lee: Namjoon, fin dall'inizio, è stato estremamente chiaro rispetto ciò che voleva. Ci ha detto, “Voglio che questo progetto sia nelle mani di una squadra ristretta, con poche persone fidate, così che traspaia chiaramente la sua autenticità.” Ecco perché la costante presenza di Subin e tutti i suoi consigli sono stati fondamentali, per me, perché dovevamo filmare un gruppetto di persone già molto vicine tra loro e con relazioni solide. Talvolta ero talmente assorto nelle riprese che finivo per perdere di vista la foresta a favore dei singoli alberi. In quei momenti, Subin interveniva affinché facessimo un passo indietro e mi consigliava anche quali domande fare in quale momento specifico. La sua guida ed il suo intervento, qui e là, sono stati un grandissimo aiuto.
Subin Im: Ad esempio, più filmavamo, più i membri del team finivano per parlare l'uno sopra l'altro – tanto sono intimi e a loro agio tra amici -, il che avrebbe reso la visione difficile da seguire per il pubblico, quindi ho pensato di suggerire di trovare una soluzione. Inizialmente non è stato semplice, perché potevo solo vedere il Team RM sullo schermo, ma dopo esserci incontrati di persona, aver discusso ed aver condiviso quali erano i nostri obiettivi, abbiamo imparato a comprenderci meglio. Grazie a tutto ciò, quando mi sono messa a revisionare il materiale filmato, non mi sono limitata a condensarlo, ma ho anche cercato di sfruttare la mia conoscenza diretta dei soggetti di modo che l'editing seguisse poi la strada narrativa più adatta al documentario.
Il legame speciale che c'è tra i membri del Team RM gioca un ruolo cruciale nel rendere questo documentario unico nel suo genere. Anzi, credo sia proprio la ragione per cui il pubblico può immergersi così a fondo nel film.
Seokjun Lee: Come probabilmente saprete, molti documentari cercano di catturare la bellezza in ogni fotogramma, ma in questo ci sono un sacco di dialoghi e parlato (ride). Quindi mi son detto, perché non concentrarci invece sui commenti più di impatto e le conversazioni più memorabili e creare così una storia? Quando stavamo filmando a Bisugumi, nella provincia di Hwacheon, ad esempio, ogni qual volta qualcuno diceva qualcosa, mi ritrovavo a riflettere e ad immaginare quale altro commento avrei potuto collegarci o quale nuova location introdurre. Per dirla in termini del film Everything Everywhere All at Once, riflettevo dunque su quali universi avessimo a disposizione.
Avete anche incluso le interviste con i produttori e gli artisti che hanno lavorato con RM nel corso del progetto. Sembra quasi voleste mostrarlo attraverso lo sguardo delle persone che lo conoscono. Seokjun Lee: Le interviste non potevano mancare, volevamo dare un po' di respiro ed includere qualcosa che fungesse da commento ed introduzione. Ho dovuto però trovare il giusto equilibrio e tono per le nostre conversazioni, perché erano ed eravamo tuttə estremamente immersi ed affezionati al progetto RPWP. Ricordo ancora tutti i tentativi fatti (ride). Però avevo un'idea piuttosto precisa di quale tono volessi da ognuna di quelle interviste: ad esempio, San Yawn ha un talento naturale nell'esprimere i suoi pensieri e sentimenti rispetto a Namjoon, JNKYRD ha assunto un po' il ruolo di commentatore, fornendo informazioni tecniche più dettagliate rispetto al progetto e Sehoon – che ha sovrainteso principalmente l'aspetto artistico e promozionale del tutto – aveva questa voce profonda e rassicurante e trovo si sposasse benissimo con le parti più rilassate del film.
Subin Im: Alcune delle interviste col Team RM le abbiamo filmate persino il giorno dell'arruolamento di Namjoon. Joon aveva scritto dei brevi messaggi per ognunə di loro, e nonostante tuttə si fossero ripromessə di non versare lacrime, non appena hanno letto quelle lettere si sono messə a piangere (ride). Quel sentimento, puro e genuino, traspare dunque anche nelle interviste, rendendo il loro incrollabile affetto nei confronti di Namjoon ancor più palpabile.
Insieme allo sguardo più intimo che ci viene offerto dal Team RM riguardo Kim Namjoon – ovvero l'uomo al di là dell'idol –, nel documentario ci mostrate anche l'artista RM all'evento 'FESTA' per il 10° anniversario dei BTS e la sua partecipazione come ospite al concerto D-DAY. Perché avete deciso di includere scene così contrastanti rispetto a quelle relative al processo creativo di Right Place, Wrong Person? Seokjun Lee: Perché il documentario non segue solo la creazione dell'album, ma è un resoconto della parabola emotiva affrontata da Namjoon in quel periodo. All'inizio, non ci siamo soffermati più di tanto su quel suo aspetto e personalità, quindi era fondamentale mostrare la persona che è quando si esibisce come membro dei BTS. Ho pensato che mostrare il profondo contrasto che c'è tra l'idol RM e l'individuo Namjoon potesse gettare maggior luce ed attenzione sul suo percorso di riscoperta personale, compiuto lavorando a RPWP.
Trovo che nel documentario ci sia un forte contrasto creato dalle scene in stile pseudo-vintage e quelle più realistiche. Seokjun Lee: L'abbiamo filmato in un lasso di tempo relativamente breve, specialmente per gli standard di un documentario. La natura introspettiva e profonda di Namjoon deriva dalle emozioni accumulate nel corso di tutta la sua vita, ma il pubblico ne ha solo un assaggio pari a 8 mesi, una sfida con cui mi sono dovuto cimentare. Ho pensato fosse fondamentale mostrare come le emozioni correnti di Namjoon fossero frutto del suo passato, affinché il pubblico potesse coglierne la profondità e corretta progressione. Dunque ho optato per il filtro vintage per dare ad alcune scene un senso di flashback e ricordi passati, cosa che mi ha anche permesso di dare a questo collage di immagini una certa dinamicità. E ho affiancato le scene vintage a quelle della produzione dell'album per sottolineare come le emozioni mostrate nelle riprese fossero di fatto originate nel passato.
La scena girata a Bisugumi, dove vediamo RM sdraiato in mezzo all'erba, è incredibile. Non c'è dubbio sia reale, ma i colori sono talmente belli che sembra quasi un sogno. Quale tipo di atmosfera volevate trasmettere? Seokjun Lee: Onestamente, Bisugumi è molto più bello dal vivo di quanto appaia su pellicola (ride). Abbiamo cercato di mantenere quel colpo d'occhio il più realistico possibile, in fase di editing. Al nostro primo incontro, Namjoon mi ha detto, “Certo, questa è la vita che mi sono scelto io, ma ora trovo difficile il dovermi integrare ad ogni costo, qualsiasi sia il luogo o la situazione. Voglio trovare un luogo in piena natura dove cercare di concentrarmi su me stesso e me soltanto.” Quindi abbiamo pensato che portarlo in un luogo dove nessuno avrebbe potuto riconoscerlo fosse l'idea migliore, e alla fine abbiamo optato per Bisugumi. È un posto lontano e sperduto dove non c'è altro che natura, quindi era perfetto per concentrarsi unicamente sul presente e su se stesso, è stata un'esperienza quasi contemplativa. Ed è così che abbiamo potuto trasmettere la serenità provata dal Team RM anche nella pellicola.
Nella pellicola, troviamo anche delle sequenze animate. Come mai questa decisione artistica? Subin Im: Il più delle volte, Namjoon si esprime attraverso metafore ed idee astratte, quindi abbiamo pensato di includere delle animazioni per dare maggior forma al suo modo di parlare e pensare.
Seokjun Lee: Il documentario non ha un arco narrativo vero e proprio, è più un film in cui sta agli spettatori mettere insieme i segmenti di dialogo per crearsene uno. Poi ho pensato fosse carino anche includere le animazioni come una sorta di chiusura e ponte tra i vari capitoli. L'autore di questi segmenti animati, Lee Gyuri, ha fatto un lavoro strepitoso, a dispetto di tutte le trovate sperimentali cui l'abbiamo sottoposto. Guardando, penso noterete che le parti animate fungono un po' da sunto delle emozioni espresse nelle scene precedenti, e collegamento a quelle successive, aiutando anche la scorrevolezza del documentario.
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Trovo davvero interessante come alcune delle scelte stilistiche e creative siano conseguenza diretta della vostra volontà di mostrare appieno il vero RM, come quando nelle scene in studio sentiamo solo sempre la sua voce. Seokjun Lee: In quel periodo, stavo lavorando anche ad alcuni video musicali, e avevo visto molti behind-the-scene. Credo ci sia un modo ed un stile specifico per filmarli, ma personalmente volevo allontanarmi un po' dalla norma, per questo film. La cosa più importante era mantenere l'organicità del tutto. Credo il pubblico guardi questi retroscena perché curioso del processo creativo e del modo in cui lavora l'artista, quindi abbiamo sì incluso della musica di sfondo per evitare che le scene risultassero troppo piatte, ma l'abbiamo tagliata fuori ogni qual volta Namjoon cantava, per mettere in risalto la sua voce.
E immagino abbiate studiato con particolare attenzione come usare ed includere la musica, dato che è un documentario che parla, appunto, della creazione dell'album solista di RM. Seokjun Lee: L'aspetto più importante per un video musicale è, appunto, che la musica suoni alla perfezione, mentre credo che nel caso di un film la cosa fondamentale sia che l'aspetto visivo ne sia il protagonista. Alla musica per il documentario hanno lavorato ben tre persone, tra le quali spiccano JNKYRD e glowingdog – i quali hanno anche collaborato all'album – Questi ultimi hanno scritto 10 nuove tracce per il film e hanno lavorato con Dajung al brano finale. Se teniamo conto anche delle canzoni dell'album, c'è una bella porzione musicale in questo film. Il Team RM ha particolarmente a cuore l'atmosfera e ha voluto della musica neutra, che non appartenesse ad alcuno stile o emozione specifica. L'obiettivo non era suscitare emozioni attraverso la musica, ma trovare della musica che fungesse da strumento per enfatizzare queste ultime. I musicisti coinvolti hanno visto il documentario in anteprima, mentre lo editavamo, e gli abbiamo chiesto se potevano creare quel dato sentimento e poi, eventualmente, apportare modifiche.
Subin Im: Quando si lavora ad un film, si usa una gran varietà di fonti sonore, quindi uno degli aspetti più complessi della fase di editing è stato capire come impostare e coordinare le riprese, il parlato e la musica. Ci sono veramente tantissimi elementi da tenere in considerazione, quando si produce un film – le riprese in digitale, pellicola o via camcorder, la traccia audio di sfondo e le interviste, le canzoni e gli effetti sonori.. Abbiamo sempre lavorato di comune accordo per decidere come arrangiare il tutto e quali parti dovessimo mettere in risalto.
Anche se chiaramente sono tanti i dettagli su cui vi siete dovutə soffermare, nel creare il film, qual è stato l'aspetto cui avete voluto prestare maggiore considerazione? Seokjun Lee: L'autenticità. Era la cosa più importante per Namjoon, per il Team RM e per me. Lo scopo non era quello di dare loro direttive o seguire un tema specifico. Abbiamo cercato di mantenere il tutto il più reale possibile, anche se alcune scene probabilmente non sono esattamente ciò che il pubblico vorrebbe vedere. Ovviamente alcune parti sono più curate e post-editate, ma ci tenevo a catturare e a mettere in risalto alcuni momenti che io personalmente ho trovato interessanti (ride). Il mio principio è: se mi diverto nel filmare, il prodotto finale sarà anche apprezzabile. Ecco perché il mio focus è stato creare una pellicola semplice ma carica di contenuti interessanti e divertenti—come i commenti estemporanei e più sinceri, che sono sicuro faranno sorridere il pubblico.
Grazie a questo documentario, avete avuto l'opportunità di osservare Namjoon da vicino. Come lo descrivereste, in quanto persona? Subin Im: È evidente sia una brava persona, molto generoso. Le domande che fa sono un chiaro segno della sua natura attenta ed affettuosa, e credo sia il tipo di persona che desidera aprirsi al prossimo, a dispetto del giudizio altrui o di suoi ripensamenti postumi. Vederlo così, mi ha fatto riflettere su me stessa, pensare che anche io dovrei cercare di essere così genuina e sincera. Sì, credo sia questo ciò che ho imparato da lui. È stato fonte di grandissima ispirazione ed energia positiva, quindi ho cercato di rendere questo documentario qualcosa che potesse avere un impatto positivo anche sulla sua vita.
Seokjun Lee: Credo sia una persona estremamente coraggiosa. È una figura pubblica, la sua immagine è ampiamente nota e diffusa su tutti i media e il più delle volte ha a che fare con persone che conoscono solamente quel lato di lui – o credono di conoscerlo. Il fatto che lui continui a svelare nuovi lati di sé, a svelarsi esattamente per la persona che è, denota grande coraggio da parte sua. È straordinario, ma è anche una persona ordinaria. Non è poi così diverso da noi, anche lui ha i suoi alti e bassi quotidiani (ride). Credo sia proprio quello a renderlo così speciale. Sarò sincero, quando si lavora per tanto tempo nello stesso settore, si tende a dimenticare i valori con e per cui si è iniziato, ma Namjoon ha sempre la stessa reverente adorazione per ciò che fa. Ha una grandissima influenza positiva su tuttə coloro che lavorano con lui ed è anche un buon amico.
Prima di concludere, volete dire qualcosa agli spettatori? Subin Im: Credo le domande che Namjoon si pone nel film siano universali—non sono solo sue, ma di tuttə. Spero che le persone che guarderanno questo documentario riusciranno a riallacciarsi a quella parte di sé dimenticata durante il cammino. I film sono un ritratto della vita reale, ma sta agli spettatori crearsi un percorso di vita e seguirlo.
Seokjun Lee: Sono già immensamente grato a tuttə coloro che hanno messo da parte un po' del loro tempo prezioso per andare a vedere il documentario. È anche la dimostrazione di quanto RM sia amato. Come dice il testo di “ㅠㅠ (Credit Roll)”, "Sono estremamente grato per il tempo che mi avete dedicato / Spero abbiate trascorso tuttə una serata meravigliosa".
Spero che, dopo aver guardato il film, il pubblico ne approfitterà per cenare in allegria e commentare quanto visto, fosse anche brevemente.
⠸ ita : © Seoul_ItalyBTS⠸
#Seoul_ItalyBTS#TradITA#ITA#Traduzione#Intervista#BTS#방탄소년단#RM#김남준#WeverseMagazine#RightPeopleWrongPlace#RightPlaceWrongPerson#DocuFilm#SeokjunLee#ImSubin#이석준#임수빈#161224#Youtube
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by Owen Anderson | What Charnock does that is so impressive is that he does not simply argue for an uncaused cause, designer, or moral governor, but he argues for God the Creator. He gives us a full definition of God and then uses individual arguments to prove each attribute. Charnock shows us that God is a Spirit. He argues for the incommunicable attributes of God (infinite, eternal, and unchangeable) and also that God is good...
#Credo Magazine#book review#The Clarity of God’s Existence and Providence#Stephen Charnock#credomag.com
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Hamas told the world who they are on day one of their existence: an anti-Semitic, genocidal terrorist organization. But after witnessing the scale and brutality of last week’s massacres, more world leaders are finally taking Hamas at their own word, and are therefore more willing to let Israel act accordingly. The Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide says that genocidal acts are “committed with intent to destroy, in whole or in part, a national, ethnical, racial, or religious group, as such.” Hamas’s founding charter literally calls for the extermination of the Jewish People — separate and apart from the clauses calling for the destruction of the Jewish state. Throughout our long history, the Jewish People have learned many things; we have learned, for instance, that in every generation, there will be those who rise up to destroy us, and we have learned that when someone says they want to kill you, you believe them. Influential pseudo-intellectuals in their ivory towers, however, alongside apologists (and sometimes anti-Semites) in the international law community, were all too willing for far too long to dismiss Hamas’s maniacally murderous credo as mere political posturing. The Simchas Torah attack is the first time that the world has had no choice but to take Hamas’s claim at face value — even among their most virulent supporters, the language has changed from “they don’t really mean it” to “the victims had it coming.”
- Moshe Goldfeder, Mishpacha Magazine, Issue 982, pages 64-65, October 18, 2023
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Gennaio 2025
Posso iniziare dal fatto che sono a Ostia.
Doveva essere un ritiro come quello che ho fatto nel 2021, sia a maggio che a ottobre.
Ovviamente non è andata così ed un po' me ne dispiaccio, ma anche solo perché il check-in è stato fatto alle 19 praticamente.
Venivo da una notte al pronto soccorso odontoiatrico, dormito 3 ore male in un divano letto che in realtà va bene per uno (ma solo da quando c'è A.) e fatto un A/R Roma-Milano che mi ha distrutta serenamente in quanto non ho dormito.
Oltretutto un meeting inutile di 1h dove non mi è stato chiesto assolutamente niente di rilevante e né ho avuto occasione di interfacciarmi con persone di rilievo.
Speso almeno 50 euro così.
Il colloquio è stato sicuramente necessario in tutto questo processo.
Il mio sogno erano le sfilate, erano le settimane della moda, l'idea di avere un posto mio come dico io.
Di sogni ne ho avuti tanti, dai magazine al disegno.
Però tutti nello stesso ambito.
Il tempo è passato, ma credo si sia fermato abbastanza presto.
Prima ero perennemente ispirata, ero la mia stessa gioia.
Forse il cervello ricalibra togliendo i momenti brutti e belli in base a come gli fa comodo, ma essenziale è il dire che nulla mi toglieva da quel mondo.
Mi sembra sia diventato sempre più difficile nel tempo, un po' per i social media, un po' perché continuavo a fare esperienza nel retail senza volerlo.
Fra 5 giorni farò 29 anni.
Suona strano, suona più grande.
Da un certo punto di vista c'è sicuramente un lato positivo, c'è un lato positivo in tutto ciò che mi sta accadendo non posso negarlo.
Ho imparato che a lavoro non ci sono amici ad esempio, concetto fondamentale del quale però non avevo indizi primi di oggi.
La cosa che mi preoccupa maggiormente è che il contratto scade fra 6 mesi e mezzo.
Sono 6 mesi e mezzo di stipendio, forse riesco a mettere da parte 4-5k euro.
Sono comunque spaventata.
Che fare?
Continuo a mandare candidature incessantemente, ma sembra non ci sia nulla di valido.
La cosa assurda è mandarle come internship e non ricevere risposta.
Avevo già smesso con la moda dopo il burnout in EB, devo dire che quel periodo fu necessario.
Poi quella mini ricaduta ed infine la carriera a 40k in L. all'inizio ero felice.
Poi semplicemente, quel lavoro non capivo e sapevo come farlo, per quanto sopra il non scindere.
Il 2023 è stato un anno fuori di testa, sbarellavo del tutto, ma anche se vedo il 2024è andato veramente crazy.
Da quando sono entrata in K. e da quando mi sono messa con A. devo dire che sono molto più serena, o comunque io mi sento così.
Mi sono un po' allontanata dalla moda, ma perché mi fa paura.
Mi inquieta il non esserci dentro, mi fa sentire un'outsider come quando mi ci sentivo alle scuole elementari e forse medie.
Forse è quello il punto nascosto, ma forse è proprio per quello che non dovrei avere paura.
Ho la sensazione che questa consapevolezza l'avessi già, e l'avessi dimenticata troppo presto.
E se lavorassi off label?
Se non me ne importasse del lavoro e tornassi a vivere prima la passione?
Mi fa paura questo dolore immenso che provo nei confronti della cosa che nel contempo mi rende più viva in assoluto.
Non so fare altro, né voglio.
La conoscenza è potere alla fine, posso fare delle mie cose personali dei miei progetti.
Se ci penso forse 29 anni sono tanti o pochi? I dirigenti non hanno quasi mai un'età così giovane.
Forse devo concentrarmi su ciò che più mi forma, così da fare an che un lavoro migliore all'esterno.
Forse, nel tempo, mi sono svuotata.
E forse purtroppo, questo discorso Milano se non include viaggi e showroom ed un'effettiva presa di posizione nel mondo buying dove mi porta quel valore aggiunto reale alla mia vita, non s'ha da fare.
Nel frattempo posso mettere da parte i soldi che vengono dalla miniera d'oro dove lavoro adesso e prepararmi per qualcosa di speciale più in là, posso magari lavorare con criterio per abituarmi ad un lavoro importante poi.
Alla fine cosa sono 6 mesi e mezzo in una vita intera? Se ci penso potrebbe essere un ottimo momento di tranquillità per riprendere lo sprint.
È vero e certo che purtroppo io sono molto dura con me stessa, quindi tendo ad essere schematica e dire: ok, ho un cv che comunque merita, ho 29 anni ed esperienza, ma che volete di più? Chiedo una RAL giusta. MA IL PUNTO È CHE MANCO CHIAMANO!!!
Quindi non capisco, forse Dio non vuole che io faccia figuracce? Perché alla fine quel CV è emotivamente vuoto? Forse mi sta salvando da ciò che voglio? Forse mi vuole preparata meglio?
Mi fa rabbia vedere persone che hanno fatto un percorso anche minore se vogliamo del mio e che hanno raggiunto traguardi più importanti del mio.
So che non è una corsa, ma è difficile accettarlo e alla fine sto dove sto perché non mi sono mai fermata, ho sempre avuto fame di qualcosa di migliore per me.
Mi sono avvicinata a Dio e sto facendo un percorso più sereno nella mia vita.
Forse dovrei riavvicinarmi serenamente alla moda? Forse mi sto mettendo troppa ansia da sola.
Tutte quelle giornate passate a non fare niente mi distruggono, quando magari dovevo solo permettermi di fare ciò che mi fa stare bene senza giudicarmi, senza avere il timore che fare un piccolo passo sia peggio che non fare niente, dandomi la possibilità di esprimermi a piccole dosi anche se non mi sembra granché, di fare piccoli e continui passi, senza pensare che la mia vita oramai sia così.
Statti calma ecco.
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How Did Extremist Ideology Take Over the Russian Orthodox Church?
In modern Russia, the Russian Orthodox Church (ROC) has become a battleground between reformists seeking modernization and conservative radicals intent on preserving an extremist worldview. This ideological divide traces back to the influence of Metropolitan John (Snychov) of St. Petersburg, whose radical legacy dominates the Church's leadership and media presence. With the suppression of reformists and the rise of ultraconservative doctrines, including anti-Western rhetoric, anti-Semitism, and a rejection of democratic freedoms, the ROC has embraced a doctrine that merges nationalism with religious fundamentalism. This article examines how these radical ideologies have shaped the Church and its alignment with extremist conservative principles.
As in Orthodox Christianity globally, so in Russia in particular, extreme parties have vividly manifested themselves: “liberal democrats” on one side, and their fierce opponents — conservative radical extremists ideologically led by Metropolitan John (Snychov) of St. Petersburg — on the other. Although the Metropolitan died in 1995, his legacy is thriving and winning over, having in its ranks the majority of Synod members: the ruling bishops, parish priests, and most of the monks. Meanwhile, the few reformers in the Moscow Patriarchate are persecuted.
Priest A. Men was murdered; his books were de facto banned from sale in churches, church shops and stalls, except for two or three Moscow churches. The persecutions against Father Georgy Kochetkov and his numerous congregation who attempted to implement minimal yet highly pressing reforms in their parish life, such as conducting services in Russian, are widely known. The only information outlet that can be nominally classified as “moderately liberal” — the Christian Church Society Channel on Radio Sophia — received a stern warning from Patriarch Alexy II in 1997: “We believe that participation of ROC clergymen in the programs on Radio Sophia is unacceptable as it contradicts the spirit of the Orthodox faith.”
At the same time, the powerful wing of fundamentalist fanatics who represent the ruling overwhelming majority in the Russian Orthodox Church controls numerous media outlets that promote its fanatic ideology: the radio station and newspaper “Radonezh”, Metropolitan Kirill’s Saturday religious program on ORT, the newspapers “Rus’ Pravoslavnaya” (“Orthodox Rus’”) and “Rus’ Derzhavnaya” (“Sovereign Rus’”), the TV program and magazine “Russian House”, special inserts in the communist newspaper “Zavtra” (“Tomorrow”), and the most marginal and low-circulation newspapers: “I Am Russian”, “We Are Russians”, “Our Fatherland”, “Pulse of Tushino”, “Duel” and others. More moderate newspapers, which still often contain attacks against non-Orthodox and liberals, are “Orthodox Moscow” and “Moscow Church Herald.” As for the provincial press, local branches of “The Talibans” are countless!
Let’s list the main principles of the “Credo” of the Moscow Patriarchate Orthodox “Taliban”:
Retrospective worldview: backward focus and sacralization of the past. True verity is found only in ancient piety.
Belief in the inviolability and truthfulness of the Old Style (Julian calendar). Fundamentalists adhere to the Old Style out of principle.
Unacceptability of church service in modern languages: for the Russians, service in Russian is unacceptable.
Prohibition of statutory changes in church service.
Adherence to the idea of the 15th-century elder Philotheus of Pskov: “Moscow is the Third Rome.” Hence:
Political and religious thirst for the restoration of monarchy, empire, and church-state symphony in Russia, which supposedly existed before 1917.
Militant anti-ecumenism and a demand for ROC’s withdrawal from the World Council of Churches (following the Bulgarian and Georgian Churches).
Extreme hostility towards non-Orthodox: Catholics, Protestants, and other denominations.
Hostility towards the West, its political and social order, Western culture, and especially towards the USA and NATO.
Rejection of democracy, democratic freedoms, human rights, and particularly freedom of conscience. At the ROС Archbishop Council in August 2000, a concept of extreme rejection of the right to freedom of conscience was adopted: “The affirmation of the legal principle of freedom of conscience indicates the loss of religious goals and values by society to mass apostasy and actual indifference to the cause of the church and the triumph over sin.”
Anti-Semitism: a belief that Jews are to blame for all of Russia’s misfortunes. The spiritual teacher of Orthodox “Talibanism,” Metropolitan John (Snychov), instigator of persecution against supporters of church reforms, was an inveterate anti-Semite and believed in the authenticity of the “Protocols of the Elders of Zion” and a global conspiracy against Russia and Orthodox Christianity — the stronghold of the true fight against the antichrist and satan.
In the March 14, 1995 edition of “Soviet Russia,” Metropolitan John’s favorite newspaper, this proponent of anti-Semitism articulated his theological views on the national question: “Russian people now perceive a Jew as both a judge and an executioner. A Russian person insists: ‘The filthy Jews have destroyed Russia…”
He considered the liberal-reformist trend in the Russian Orthodox Church godless: “Having realized the impossibility of destroying the Church through direct violence, the godless make a bet on its disintegration from within through an imperceptible ‘inoculation’ of the apostolic patristic teachings of Orthodoxy with heretical views and speculations.”
By the late 1990s, the aforementioned doctrinal “truths” increasingly began to be shared by the church leadership headed by Patriarch Alexy II and Metropolitan Kirill (Gundyaev), transitioning to extremist conservative and ultranationalist views.
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Totalitarian Sect Russian Orthodox Church (MP). Pt.2
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Waiting Room
Brett was the only one in the lobby of the medical office. There had been an elderly woman with him for the first half hour, but then a silver-haired man, presumably her husband, appeared from a door at the far end of the room and they’d left together. Shortly after that the young guy behind the reception desk went in back and hadn’t returned. Brett thought it a bit strange that the receptionist had been gone for so long. Then again, maybe he’d simply taken his break because there was nothing booked during that time. His appointment was scheduled to start ten minutes ago. The email he’d received told him to arrive fifteen minutes early to fill out paperwork, even though Brett had already done so online the previous evening. It was probably a generic message they sent to everyone. When he checked in the only thing they’d asked him for was his driver’s license and insurance card so they could make copies for their records. Since then he’d just been sitting around. Hurry up and wait. That seemed to be the credo of every hospital and doctor’s office in existence. Couldn’t have tardy patients throwing off their schedules, though they apparently had no qualms about squandering your time. All those lowly plebs without medical degrees waiting to be fondled, prodded, inspected, and injected. An hour passed with Brett still alone. He went to the door at the far end of the room and poked his head in hoping to find someone, but the only thing he saw were empty corridors and closed examination rooms. It had taken two months to get an open appointment in addition to having to use one of his precious vacation days. Leaving now was not an option no matter how annoyed he was by the situation. Brett crossed to the other end of the lobby where he’d entered and looked out the window. His gray subcompact was the only car currently in the lot. ‘Maybe the staff parked around back?’ The idea made sense, but it didn’t comfort him much. ‘Surely they wouldn’t have all left for lunch without saying something to him?’ Unless they didn’t realize he was out there. Either way they would likely be back soon. He simply needed to relax and be patient. Another hour passed with no additional arrivals. Brett was bored of scrolling through the feeds on his phone and skimming the out-of-date magazines scattered about on side tables around the room. He went to the far door again, this time passing through it into the medical section. There was no light coming from the bottoms of the examination room doors, and the hallway leading to the lab area was completely dark. “Hello?” “Is there anyone here?” His only form of reply came from the humming fluorescents overhead and some machine he couldn’t see pinging every few seconds. He made his way back to the lobby and sat in one of the dozen or so empty chairs. Someone would come. It was only a matter of time. Brett went to the front window again and realized that he could no longer hear the birds chirping, or see the wind rustling the bare branches of the trees.
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I, MONSTER (1971) – Episode 226 – Decades of Horror 1970s
“The face of evil is ugly to look upon. And as the pleasures increase, the face becomes uglier.” So, the ugliness of the evil face is proportional to the pleasures? Join your faithful Grue Crew – Doc Rotten, Bill Mulligan, Jeff Mohr, and guest Dirk Rogers – as they mix it up with the Amicus version of Jekyll & Hyden known as I, Monster (1971).
Decades of Horror 1970s Episode 226 – I, Monster (1971)
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Decades of Horror 1970s is partnering with the WICKED HORROR TV CHANNEL (https://wickedhorrortv.com/) which now includes video episodes of the podcast and is available on Roku, AppleTV, Amazon FireTV, AndroidTV, and its online website across all OTT platforms, as well as mobile, tablet, and desktop.
19th-century London psychologist Charles Marlowe experiments with a mind-altering drug. He develops a malevolent alter ego, Edward Blake, whom his friend Utterson suspects of blackmailing Marlowe.
Directed by: Stephen Weeks
Writing Credits: Milton Subotsky (screenplay); Robert Louis Stevenson (from his 1886 novella “Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde“)
Selected Cast:
Christopher Lee as Dr. Charles Marlowe / Edward Blake
Peter Cushing as Frederick Utterson
Mike Raven as Enfield
Richard Hurndall as Lanyon
George Merritt as Poole
Kenneth J. Warren as Deane
Susan Jameson as Diane
Marjie Lawrence as Annie
Aimée Delamain as Landlady (as Aimee Delamain)
Michael Des Barres as Boy in Alley
Jim Brady as Pub Patron (uncredited)
Chloe Franks as Girl in Alley (uncredited)
Lesley Judd as Woman in Alley (uncredited)
Ian McCulloch as Man At Bar (uncredited)
Reg Thomason as Man in Pub (uncredited)
Fred Wood as Pipe Smoker (with Cap) in Pub (uncredited)
Robert Louis Stevenson’s “Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde” (1886) by any other name would still be a Jekyll/Hyde story. In the case of this Amicus production, the other name is I, Monster (1971), and it’s a Marlowe/Blake story. It’s always a pleasure to see Christopher Lee and Peter Cushing working together and Doctor Who fans will recognize Richard Hurndall.
The 70s Grue Crew – joined for this episode by Dirk Rogers, special effects artist and suit actor – are split on how good or bad I, Monster is. “Vive la différence!” is the Decades of Horror credo, and despite their “différence,” they have a great time discussing this film.
At the time of this writing, I, Monster (1971) is available to stream from the Classic Horror Movie Channel and Wicked Horror TV.
Gruesome Magazine’s Decades of Horror 1970s is part of the Decades of Horror two-week rotation with The Classic Era and the 1980s. In two weeks, the next episode, chosen by Jeff, will be The Stone Tape (1972), a BBC TV production written by Nigel Kneale and directed by Peter Sasdy. Ready for a good British ghost story?
We want to hear from you – the coolest, grooviest fans: comment on the site or email the Decades of Horror 1970s podcast hosts at [email protected].
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