#Cosimo Casoni
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Cosimo Casoni - Playground #18 (Ibiza), 2024 - Acrylic, oil, marker, on linen
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Cosimo Casoni
#Cosimo Casoni#aaagencyyy#contemporary art#abstract art#postgraffiti#contemporary painting#italian art#arte contemporaneo#kunst
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Cosimo Casoni-Nuova Scuola, 2018 mural base paint, acrylic, oil, skateboard traces, bitumen, dirty on canvas 220 x 180 cm
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Cosimo Casoni — Untitled (oil on wood, 2014)
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Cosimo Casoni, Maremmamara, 2016, oil on plastic jersey, 95 x 80 x 45 cm wwww.cosimocasoni.tumblr.com www.climagallery.com
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“L’arte nasce dalla paura – e l’opera ti liquida sempre con un sorriso, tra felicità e inquietudine”: dialogo sperimentale con tre artisti, Thomas Lange, Luigi Carboni, Cosimo Casoni
Di recente mi è capitato un lavoro difficile, perciò affascinante. Federico Piccari, guida e stratega di Fondazione 107, galleria d’arte contemporanea a Torino – uno spazio nudo, quasi spirituale, ricavato in un capannone industriale degli anni Cinquanta – ha ideato una mostra, Vivace Sostenuto Andante, che mette in dialogo tre artisti molto diversi per impeto, progetto, biografia pittorica: il tedesco Thomas Lange – nato nell’alveo dei Nuovi Selvaggi, sorto dal gesto di Baselitz e Kiefer; in copertina l’immagine di un suo lavoro –, Luigi Carboni, tra i grandi astrattisti della sua generazione – ha esposto da New York a Hosaka – e Cosimo Casoni, il più giovane, che unisce una ricerca pittorica tradizionale – i macchiaioli, ad esempio – alle evoluzioni dello skate (ha già vinto un Premio Arte Mondadori). In forma preliminare, a predisporre il lavoro esegetico, ho preteso di parlare con gli artisti. Ne è nato un colloquio, organizzato intorno a quattro grandi questioni, tentando “una cartografia della personalità”, che qui riproduco. La mostra, inaugurata il 4 ottobre scorso, sarà alla Fondazione 107 fino al 2 dicembre. (d.b.)
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L’esperimento è semplice e parte da un presupposto. Gli artisti sanno scrivere, sanno, con la grammatica, capirsi e mettersi in difficoltà. Gli esempi, da Michelangelo e Vasari in qua, sono innumeri. Da Matisse a Munch, da Gauguin a Van Gogh, da Paul Klee a Kandinsky, Modigliani, Giacometti, Sironi, Morandi… L’intenzione dell’artista non risolve l’opera – che è tale perché sfugge a ogni volontà – ma è il principio, il blocco di partenza da cui partire, agonisticamente, per tentare una interpretazione dell’opera. Di solito, gli artisti vengono cannibalizzati dai critici d’arte. Oppure, annegano nel narcisismo. In questo caso, l’esperimento è semplice e desto. A Luigi Carboni, Cosimo Casoni e Thomas Lange ho posto le stesse domande, pretendendo una risposta scritta. Queste sono le domande:
a) Qual è il suo sguardo davanti alla tela bianca, candida: da che cosa, in principio, si lascia muovere, da una idea, dall’ispirazione, dalla sua storia (o concezione) artistica?
b) Cosa accade durante il lavoro? Intendo: è solito tornare sulla tela e sul tema, elaborarla, disintegrarla, oppure procede secondo una idea nitida, fino in fondo? Come è cambiato nel tempo il suo approccio nell’affrontare la tela?
c) Quali sono le ‘fonti’ ancestrali, cioè, la pittura (o le letture) di cui continuamente si nutre?
d) Che valore ha – se lo ha – la musica nel suo gesto pittorico? Ogni artista ha un ‘ritmo’ che modula il suo gesto pittorico: qual è il suo?
Il tono con cui ciascun artista ha risposto alle domande è già la cartografia della personalità, è già uno ‘stile’.
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Un’opera di Luigi Carboni, ‘Senza titolo’, 2016
Luigi Carboni
a) Chi è oggi l’artista visivo? Un testimone del suo tempo, un tecnico specializzato o un poeta universale? In realtà non ho mai avuto il tempo di pensarci, forse per farlo non bisogna pensare all’arte, non credo in un processo creativo rigido, non credo in un modo dominante di osservare la realtà. Nell’opera cerco una misura ideale, nell’oscillazione tra il diritto alla felicità e la ricerca dell’inquietudine, tra la bellezza dell’esistenza e la malinconia del quotidiano, tra l’orgoglio della storia e il gusto dell’attualità, tra l’irritazione civile e la calma ritualità, tra l’aspetto metafisico e quello pratico. In questa continua ricerca di una dialettica tra entità opposte troviamo le istanze dell’arte e del vivere quotidiano. Contraddizioni? Certo è un segno dei tempi.
b) L’arte è uno stato di necessità, un problema di gerarchie di urgenze. Scelgo un programma per ogni dipinto, ma l’esito risulta una sorpresa, che sono costretto ad accettare. L’opera mi liquida sempre con un sorriso. Quando dipingo tutto ciò che è di fronte a me è ordine, il resto alle mie spalle è scompiglio. Molte dispute e gerarchie del passato nell’arte contemporanea sono cadute, i generi sono decaduti, esiste solo una storia dell’arte dell’intensità e sulla base di questa ‘intensità’ mi auguro di costruire la mia poetica.
c) L’apprendista pittore è orfano, deve attraversare la tradizione come un nuotatore attraversa un fiume, senza affogare. Un viaggio dove le categorie del passato e del presente non sono spartite fra loro: gli artisti cercano sempre quello che sembra mancare o essere andato perduto nell’esperienza culturale del momento. La ricerca di un artista è la ripresa del discorso dell’arte, a partire da un punto in cui questa prospettiva si è interrotta, secondo il suo punto di vista.
d) Queste opere sono una proposta di silenzio; non che non abbia fiducia nella musica o nelle parole ma desidero proporre e dipingere opere che si offrono al silenzio. Vorrei dipingere immagini splendide ma sciupate.
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Un lavoro di Cosimo Casoni, esposto alla Fondazione 107 di Torino
Cosimo Casoni
a) Direi dall’insieme di queste cose. Negli ultimi anni i miei lavori sono sempre più condizionati dalla “daily life”. Ho sempre uno sguardo attento a ció che mi circonda: dai muri dei palazzi nelle strade, al paesaggio dove vivo, e a tutto quello che la vita di skateboarder ancora attivo mi propone. L’influenza dello skateboarding in questo momento della mia carriera copre un ruolo importante, al di là degli “etichettamenti”, mi sono reso conto delle grandi possibilità che esso mi offre. L’architettura cittadina ha una funzione indispensabile nella Skate culture: muretti, scalinate, corrimano e tutto l’arredamento urbano viene vissuto dallo skater in maniera molto creativa, divengono gli “spots” su cui sperimentare manovre (“tricks”). In qualsiasi posto mi trovo, quando esco per una sketata, soffermo spesso l’attenzione sui segni che gli skater lasciano sopra pareti o altre strutture con i loro passaggi e tricks; rimango sedotto da quei segni, dalla texture di quelle sgommate sporche che le ruote lasciano a testimonianza del loro passaggio, generando pittura allo stato puro. Ho maturato nel tempo che questo aspetto fosse il punto di partenza per una nuova ricerca pittorica. A questo fondamentale aspetto che caratterizza questo periodo, si aggiunge l’esperienza pregressa, gli studi passati, la street culture, la storia dell’arte, i ricordi di un infanzia e adolescenza passata tra la maremma e la campagna fiorentina. Assorbo come una spugna più stimoli possibili, raccolgo ed archivio ogni tipo di informazione visiva che mi interessa prima di passare in studio e costruire l’opera.
b) Parto sempre da un idea mai del tutto nitida, un idea che poi nel working progress incontra deviazioni, cambi di programma, interruzioni, cancellazioni e nuove trascrizioni. Parto da dei fondi astratti, inspirandomi alle campiture piatte e i colori dei muri della città; successivamente registro sulla tela le tracce di skate. In questa fase, la tela è sempre staccata dal telaio e installata su superfici diverse, come rampe, funbox o altre strutture che si trovano in uno skatepark. Procedo facendovi passare sopra sia me che i miei amici muniti di skates, dirigendo l’azione. Oppure utilizzando la tavola come pennello. Sono due approcci fisici sulla tela. Il primo più casuale il secondo più controllato. Mi interessa trasmettere una certa eleganza e raffinatezza attraverso azioni “ruvide” e brusche. Solo successivamente procedo contaminando questi fondi segnati con elementi figurativi, dipinti ad olio (esempio stickers di uno skateboard brand, nature morte, paesaggi), alla ricerca di nuove geometrie e geografie formali. Sono sempre stato affascinato dall’interazione tra figurazione ed astrazione. Lavoro a “Layers”: ogni livello rappresenta un soggetto o tecnica diversa che si sovrappongono e a volte intersecano, anche le cancellazioni creano ulteriori piani, che lascio cancellati o diventano delle basi per ulteriori livelli di pittura. Il lavoro finisce solo quando sento di aver trovato il giusto equilibrio formale lasciando spesso al risultato uno spiraglio di incompletezza, di irrisolto.Il contrasto di tecniche e significati è puramente evocativo e visionario e lasciato libero ad interpretazioni e chiavi di lettura. Procedo in direzioni opposte, opero attraverso intenzioni contrarie, non mi delineo in correnti specifiche. Elegante/ruvido, lento/veloce, natura/urbano, geometrico/informale, figurativo/astratto.
c) La più grande fonte sono le mie passioni e l’esperienza quotidiana. Una ringhiera segnata dai “grind” degli skaters può ispirarmi quanto un ramo di quercia in giardino. Ho studiato molta pittura, soprattutto negli anni seguenti al mio diploma in accademia, dove ho cominciato a lavorare molto sulla composizione di immagini a “layers”; metodo in parte ereditato dalla New Leipzig school (Neo rauch, Matthiasweischer, e altri esponenti). Questi pittori sono stati i primi ad avermi stimolato e spinto ad indagare sempre nuove possibilità per la figurazione ancora oggi. L’utilizzo di tromp l’oeil, l’idea di finestra sulla finestra, il carattere sospeso ed enigmatico del mio lavoro trae le sue radici dal surrealismo di René Magritte; chiaramente con un altro immaginario, formalità e pretesti diversi. In realtà ci sono molti artisti, di cui ho studiato il lavoro, che anche solo in minima parte mi hanno influenzato. Negli ultimi anni vedo più mostre di pittura, contemporanea e non, rispetto ad altri linguaggi che seguo sempre ma in maniera più marginale. Per questa mostra ho dedicato una serie di lavori tra scultura e pittura inspirati a Jacopo Pontormo, da sempre affascinato alla pittura tra il Quattrocento e il Seicento. Dai vari social oggi si può seguire il lavoro di ogni artista possibile, soprattutto su instagram, purtroppo o per fortuna è la fonte più diretta e immediata per scoprire e seguire il lavoro degli artisti e delle istituzioni che gli ruotano attorno, li reputo inoltre piattaforme di confronto, nonostante questo non ne ho mai fatto un uso regolare.
d) La musica ha un forte impatto sul mio umore e sulla creatività, è inscindibile dal processo creativo, costituisce una vera e propria dipendenza psicologica. Ci sono diversi aspetti che legano la mia ricerca pittorica alla musica. La cultura skate, rappresenta una vera e propria sottocultura, nasce vicino al punk e al rock ma con il passare degli anni abbraccia sempre più generi come l’hip-hop, il rap (più classico), l’elettronica (elettronica sperimentale), la new wave, metal, drum n’bass…) e altre tendenze musicali underground. Allo stesso modo, pur avendo radici più vicine all’hip-hop, (da adolescente rappavo e facevo graffiti) mi sono aperto a quasi tutti i generi musicali, con una predilezione alla musica rap, al jazz, ed un certo tipo di elettronica underground. Considero questo momento storico in cui siamo saturi di nuove scoperte, un momento dove il musicista può appropriassi di più generi e creare un mash up attraverso sonorità diverse, anche opposte se vogliamo. Questa è una tendenza, una necessità che risente anche nella pittura. Mi sento come un mixer, un miscelatore non di suoni ma di forme e stili diversi, che collidono nello stesso spazio di rappresentazione.
Il tempo di azione durante la produzione non ha assolutamente un ritmo continuo. Ogni intervento possiede tempi diversi, ed associo generi musicali più consoni al tipo di azione che svolgo. Le azioni brusche, e ripetitive dello skate sulla tela vanno più a tempo con musica ad alto BPM come drum’n bass, Dubstep e altri tipi di elettronica. Quando mi trovo a dover cercare nuove soluzioni o cambiare direzioni all’opera necessito di musica più riflessiva, senza parole e possibilmente lenta. Durante le fasi meticolose del lavoro, ad esempio nei soggetti che dipingo ad olio, quando la mano comincia ad andare da sola mi accendo della la musica classica o del jazz fino a che non finisco. La sera quando sono stanco, amo sedermi di fronte all’opera accompagnato da musica psichedelica, che trovo adatta alla contemplazione e all’analisi dell’operato.
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Thomas Lange
a) Esiste un tema prima! Quando vedo la tela (bianca) dimentico ogni pensiero e casco nel mondo di colori e strutture: la muffa nella cantina di Leonardo, gli affreschi (rovinati e sbiancati) di Pontormo nel chiostro della Certosa di Firenze o i Graffiti sulle mura di Kreuzberg a Berlino.
b) Voglio sorprendere me stesso e gli spettatori, creare un’immagine e pittura come se scaturisca da se stessa. La mia pittura non ha regole o sistemi (oltre le esperienze). Nelle mie opere governa l’emozione che combatte il contenuto (riconoscibile).
c) Musica! Tutta! Ma sempre di più Richard Wagner (Parsifal)!
d) Il rapporto tra musica e pittura è semplice e complicato nello stesso momento. La pittura contiene dentro se stessa un tono/clangore. (Non funziona quasi mai intervenire in una mostra di arte visiva con la musica). Se dovessi creare una gerarchia (assurda!) tra le discipline artistiche vincerebbe la musica (come espressione più ‘divina’). L’origine dell’arte è anche la paura. La vita potrebbe essere solo un esperimento che finisce con la morte. La speranza di liberare l’anima (che non si vede ma si sente) è la musica. La musica è in grado di visualizzare il miracolo. La trascendenza della musica ha bisogno della trasparenza della pittura che crea la riproduzione del volo della musica e realizza l’interno invisibile. Vicino si trova la scultura, che stabilisce la fragilità di questa costruzione (poetica) con la terza dimensione. La vita è un’opera!
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Cosimo Casoni, Panic Attack, oil, acryilic, skateboard scratches, bitumen and dirt on canvas in artist frame, cm: 46 x 32, 2017
installation view, The Flat, Massimo carasi
photo: Filippo Armellin
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Passengers at The Flat - Massimo Carasi 9 February - 18 March 2017, Milan
Andrea Carpita, Cosimo Casoni, Eracle Fabio Dartizio, Domenico Laterza, and Marco Strappato
We are submerged by images, while we live in a world where anonymous IKEA furnitures and normcore clothes seem to be the only way to avoid a visual overcrowding that suffocates us. Advertisings, tv spots, banners fixed to street lamps or on the tube walls: our eyes slip on those flat forms everyday without perceiving anything but a vague presence. This is quite absurd if we think that before the XX century the people would see less or more a hundred images during their entire life, which is the same amount we can generally achieve in a few minutes. But what happens to the image if we deny it, if we ignore it? It becomes meaningless, and what remains is just a form, a silhouette. We often start something like a mental iconoclasm, but does it make sense if more and more images are being produced everyday? Has art reached a point where she has to abandon those recognizable forms that have always been part of our human behaviour, at all? This would mean to leave this current world without any trace of our passage to posterity. It would also mean to deny a tipically human necessity: that of using images to learn and recognize, as Aristotle already claimed in the IV century b.C. The five artists on show – Andrea Carpita, Cosimo Casoni, Eracle Fabio Dartizio, Domenico Laterza, Marco Strappato – are linked together by a methodology that constantly stress this reflection by bringing together technique, research and poetry. The artworks have images, but those are often hidden. They need to be found, to be hosted, as in everyday life should happen. The artists themselves invite the beholder to dig and search those images, holding them without denying or taking them for granted. As Georges Didi-Hubermann taught, we should try rebuilding every image from each fragment left behind: we have to start from their loss and their lacking to make their form floating from an absence that was either accidental or deliberate. In the art of the new millennium this is the main task of us, as users and beholders.
Andrea Carpita (1988) lives and works in Carrara. His research has led him to cross various phases of the representation process: starting from a fantastic and delicate imaginary to phytomorphic suggestions that remind of the Japanese aesthetic, until the present attitude to a radical synthesis of the visible in the Minimum Portraits series, where he uses a few lines and dots to resume a body, a face or a person, without claiming to be narrative or whatever. The image here hiddens a place that is intimate and closed to the beholder, while what emerges is just an outline, an almost detached superficiality in which, however, we are able to grasp a little about the artist's sensibility.
Cosimo Casoni (1990) lives and works between Florence and Milan. His artworks try to reconcile the abiguous meaning of the word “equilibrium”, by challenging everyday-life objects to mantain their shape and identity even after having de-structuralised, re-assembled and then recomposed them in an empty and suspanded space which is cut off from ordinary references. The strenght of these images touches the color-fielding reality, that is liquid and thus unstable: from this collapse the trompe-l'oeil and the landscapes become a window that stays in between the realm of imagination and that of reality. Then, a third element comes in, which is the most personal of them all: the skate culture, from which Casoni comes and that he pours on the canvasses. Even in those artworks where there are not recognizable objects stays the skate gesture, which is an authentic representation, the remark of a passage.
Eracle Fabio Dartizio (1989) lives and works between London and Milan. He's always been fascinated by infinity and cosmos, so he uses astronomic elements as a pretext for making a reflection and giving a tale about personal experiences, in which he finds refuge to existentialist questions that are difficult to answer. The result are sculptures and installations that speak about mankind and its uncertain condition, forcing to rediscuss its anthropocentric vision on things. Thus, life seems to slip on an undefined surface, as images flowing on puddles during a rainy day. And there, on the edge of the water, stays the border that separates “here” from “there”, the earthly world from the stars, which are both intimately unknown and fascinating.
Domenico Laterza (1988) lives in Milan although several projects brought to California, Berlin and Frankfurt. His works' aim is to animate objects with a clever and funny irony by facing the limits of an encyclopedic knowledge. Laterza reflects on art and design, on actions and their meanings, leaving them 'pollute' each other. In Dancer's case the artist has collected kilos of advertising flyers and has impiled them around an iron soul. So they are fixed to a central pale, but unfasten from each other, so that the sculpture is always different every time is composed, and the result is a high column that seems to be dancing in the air. Moreover, the artwork ennoble a kind of object often considered unnecessary, that we look with bored and indifferent eyes, transforming it into something that is brand-new and suddenly desirable.
Marco Strappato (1982) lives and works in London. His artworks remind of the open air and the Leopardian infinity, even if their aesthetic seem to be formally alienating, cold and detached. But there's a deeper issue in this, which is given by the beauty of what is shown: pieces of manipulated nature that loose their identity, on the borderline with abstraction but at the same time witnesses of a natural and, overall, figurative state. To look at one of Strappato's works means to use an archeology of the image that shall manage with intensity the narrative apparatus built by the artist. Like a little and precious secret hidden in a castle that defends it and that we have to save from oblivion. We are both terrorists that make the ancient temples fall down and the archaeologists who dig to save their fragments.
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Cosimo Casoni - La Plaza, 2024 - Oil, acrylic, fingerprints, spray paint, pencil, on canvas
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Cosimo Casoni
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Cosimo Casoni, La strada di casa, 2016, oil, skateboard scratches, bitumen, dirty on canvas in artist’s frame, 150 x 100 cm wwww.cosimocasoni.tumblr.com www.climagallery.com
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Cosimo Casoni, Untitled (with laurel), oil, spray paint, skateboard scratches, bitumen and dirt on canvas, cm: 170 x 120, 2016
Installation view, The Flat, Massimo Carasi
Photo: Filippo Armellin
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Cosimo Casoni, Untitled, oil, spray paint on canvas, cm: 34 x 25
Photo: Marcel Swan
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Cosimo Casoni, Canvasride #5, oil, skateboard scratches, bitumen and dirt on canvas in artist frame, cm: 150 x 200, 2017
Installation view, The Flat, Massimo Carasi
photo: Filippo Armellin
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Cosimo Casoni, Skyride, oil, acryilic, skateboard scratches, bitumen and dirt on canvas, cm: 170 x 120, 2017
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