#Comandi militari alleati
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samdelpapa · 4 months ago
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Peggio dell'occupazione tedesca della RSI
Eravano sovrani ma pultroppo anche occupatti e vincolati dall'39 ( patto di acciaio)
Veicoli blindati italiani invadono la Russia mentre la Leonardo Weapons Corporation italiana costruisce armi nucleari. Manlio Dinucci - Global Research
Di Manlio Dinucci Condividi Pin Mail La guerra contro la Russia è entrata in una nuova e più pericolosa fase con l'incursione delle forze ucraine nella regione russa di Kursk. Il New York Times la definisce "la più grande incursione straniera in Russia dalla seconda guerra mondiale", ovvero da quando la Russia è stata invasa dalla Germania nazista e dai suoi alleati, con l'Italia in prima linea. I media politici mainstream la presentano come una brillante mossa strategica di Kiev per allentare la crescente pressione russa sul fronte del Donbass. Nasconde quindi le pesanti perdite che le forze ucraine stanno subendo dalle forze russe a Kursk, in termini di veicoli blindati e uomini. L'incursione delle forze ucraine in questa regione russa è stata pianificata e organizzata dai comandi USA-NATO con uno scopo strategico molto più ampio. Hanno concentrato l'attacco in un'area di confine presidiata solo da giovani coscritti e guardie di frontiera, che non hanno potuto resistere all'improvviso assalto di carri armati e artiglieria. La rapida conquista di circa 1.000 chilometri quadrati di territorio russo, la cattura di oltre 300 militari di leva, la distruzione di tre importanti ponti con missili americani e i crescenti attacchi con droni in profondità nella regione di Mosca, mirano a un obiettivo non solo territoriale: diffondere in Russia la sfiducia nella capacità del Governo e dello stesso Presidente Putin di garantire la sicurezza del Paese, indebolendo così il fronte di resistenza interno. Ciò avviene in un momento in cui USA e NATO stanno intensificando lo spiegamento di armi nucleari a raggio intermedio a ridosso del territorio russo e sta venendo alla luce una “strategia nucleare segreta”: in un documento classificato – riportato dal New York Times – “il Presidente Biden ha ordinato alle forze statunitensi di prepararsi a possibili scontri nucleari coordinati con Russia, Cina e Corea del Nord”. La partecipazione dell’Italia a questa catastrofica strategia di guerra è ben maggiore del previsto. L’incursione nel territorio russo di Kursk ha coinvolto mezzi blindati italiani, donati dal Governo a Kiev, e addestramento degli equipaggi. Ciò è confermato dal video della distruzione di uno di questi veicoli blindati da parte delle forze russe a Kursk. Anche l'Italia sta partecipando alla preparazione per una guerra nucleare. In violazione del Trattato di non proliferazione, non solo schiera bombe nucleari statunitensi sul suo territorio e si prepara a usarle, ma tramite Leonardo costruisce missili nucleari per l'arsenale francese. * Fai clic sul pulsante di condivisione qui sotto per inviare via e-mail/inoltrare questo articolo ai tuoi amici e colleghi. Seguici su Instagram e Twitter e iscriviti al nostro canale Telegram. Sentiti libero di ripubblicare e condividere ampiamente gli articoli di Global Research. Un mese prima dell'anniversario di Global Research Questo articolo è stato originariamente pubblicato in italiano su Grandangolo, Byoblu TV. Manlio Dinucci, autore pluripremiato, analista geopolitico e geografo, Pisa, Italia. È un ricercatore associato del Centro di ricerca sulla globalizzazione (CRG). Fonte dell'immagine in evidenza Articoli correlati dai nostri archivi
La fonte originale di questo articolo è Global Research
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kneedeepincynade · 2 years ago
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American, listen to me, Hollywood lied to you, there are wars you cannot win, and I assure you war with China is one of them, now, not a single politician cares about it, but you should still try to save yourself while you can
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⚠️ CRESCONO LE TENSIONI TRA CINA E STATI UNITI | L'ESERCITO POPOLARE DI LIBERAZIONE DISPIEGA CACCIA J-16 IN TUTTI I COMANDI ⚠️
🇨🇳 L'Esercito Popolare di Liberazione sta riattrezzando le Formazioni Aeree di tutti e cinque i Comandi sullo sfondo delle crescenti provocazioni da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati nel Mar Cinese Meridionale e Orientale, dando però anche un occhio di riguardo alla situazione sul confine con l'India Nazionalista, dove le tensioni potrebbero aumentare nei prossimi mesi:
🔺Obsoleti Caccia Multiruolo J-7A sono stati sostituiti dai Caccia Multiruolo J-16. Ciò significa, ad esempio, che le Brigate Aeree della Base Aerea di Shanghai (83ª, 84ª) sono state ora rafforzate 📈
🔺Il primo lotto di J-16 è stato consegnato all'Aeronautica Militare del Comando Occidentale, segnale che il loro dispiegamento presso la Base Aerea di Kashgar continuerà anche nel 2023. Inoltre, ciò potrebbe significare un aumento del loro utilizzo al confine con l'India Nazionalista, dato che sono già stati dispiegati presso la Base Aerea di Bangda nel 2022 ✈️
🔺La produzione di J-16 verrà intensificata attraverso la fornitura di Motori WS-10, sviluppati a livello nazionale - inoltre, tale motore può essere installato anche sui Caccia Multiruolo J-10, sui Caccia di Superiorità Aerea J-11 e sul Caccia Stealth J-20 ⚙️
🔺 Il J-16 è considerato come partner-chiave del J-20, e può migliorare la capacità di attacco aereo, consentendo ad altri velivoli (come il J-10 di Variante "C") di occuparsi degli attacchi al suolo.
🇨🇳 L'EPL si aspetta che gli USA dispieghino almeno 300 aerei nella Regione Asia-Pacifico, compresi F-22 ed F-35, di cui 200 appartenenti agli alleati degli USA, pertanto l'Esercito Popolare di Liberazione deve armarsi con un numero sufficiente di J-16 e J-20 per poter rispondere alle provocazioni statunitensi, come affermato da Zhou Chenming, Ricercatore presso un Think Tank di Pechino.
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⚠️ TENSIONS GROWING BETWEEN CHINA AND THE UNITED STATES | PEOPLE'S LIBERATION ARMY DEPLOYS J-16 FIGHTER IN ALL COMMANDS ⚠️
🇨🇳 The People's Liberation Army is re-equipping the Air Forces of all five Commands against the backdrop of growing provocations by the United States and its allies in the South and East China Seas, while also keeping an eye on the situation on the border with Nationalist India, where tensions could escalate in the coming months:
🔺 Obsolete J-7A Multirole Fighters have been replaced by J-16 Multirole Fighters. This means, for example, that the Shanghai Air Force Base (83rd, 84th) Air Brigades have now been strengthened 📈
🔺The first batch of J-16s has been delivered to the Western Command Air Force, signaling that their deployment at Kashgar Air Base will continue well into 2023. Also, this could mean an increase in their use on the border with the Nationalist India, as they have already been deployed at Bangda Air Base in 2022 ✈️
🔺J-16 production will be intensified through the supply of domestically developed WS-10 Engines - furthermore, this engine can also be installed on J-10 Multirole Fighters, J-11 Air Superiority Fighters and Stealth Fighters J-20 ⚙️
🔺 The J-16 is considered as a key partner of the J-20, and can improve the air attack capability, allowing other aircraft (such as the J-10 "C" Variant) to handle ground attacks.
🇨🇳 The PLA expects the US to deploy at least 300 aircraft to the Asia-Pacific Region, including F-22s and F-35s, of which 200 belong to US allies, therefore the People's Liberation Army must arm itself with a number enough of J-16 and J-20 to be able to respond to US provocations, as stated by Zhou Chenming, Researcher at a Beijing Think Tank.
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italianiinguerra · 5 years ago
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Il generale Alexander prende il posto del generale Auchinleck Il Primo Ministro britannico Winston Churchill sostituisce il generale Claude Auchinleck  (a ninistra nella foto principale) caduto in disgrazia dopo la…
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paoloxl · 6 years ago
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Roma, presso le antiche cave di via Ardeatina il 24 marzo 1944 si consuma l’eccidio di 335 civili e militari italiani per mano nazista.
Ad organizzare ed eseguire la strage sono l’ufficiale delle SS Herbert Kappler all’epoca anche comandante della polizia tedesca a Roma, il capitano Erich Priebke e Albert Kesselring.
L’eccidio matura come rappresaglia per vendicare 33 militari tedeschi morti in un attentato partigiano a via Rasella il 23 marzo. I tedeschi, dietro ordine diretto di Hitler, applicano alla lettera il principio di fucilare 10 ostaggi italiani per ogni tedesco ucciso. Vengono per errore inseriti 5 nomi in più alla lista.
L’esecuzione, che avviene con un colpo alla nuca, è di proporzioni enormi tanto che gli stessi comandi nazisti la rendono pubblica, insieme all’attentato partigiano, solo a cose fatte e dopo aver fatto saltare le cave con delle mine per rendere più difficoltoso il ritrovamento dei corpi.
Le vittime, prelevate dal carcere di Regina Coeli e dal comando di via Tasso, sono per lo più partigiani e antifascisti o presunti tali, militari, ebrei, ma non mancano detenuti comuni.
I tedeschi hanno così anche infranto il patto con gli Alleati di considerare Roma ‘città aperta’, in modo da evitare coinvolgimenti della popolazione civile. Infatti gli angloamericani entreranno nella capitale una volta ritirati i tedeschi.
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goodbearblind · 7 years ago
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"Notizie bomba": l'Italia uccide i civili in Yemen "Il New York Times pubblica un reportage sulla questione delle bombe italiane ai sauditi che uccidono e fanno stragi in Yemen di civili. La notizia è così risaputa che la Camera dei deputati nei mesi scorsi ha deciso che l’Italia può continuare a fornire all'Arabia Saudita le bombe prodotte in Sardegna dalla Rwm. Almeno fino a quando non sarà istituito un formale embargo internazionale. Ma se viene approvato un embargo internazionale gli Usa dovranno rinunciare a dozzine di miliardi di commesse militari a Riad. Senza contare che sono proprio i comandi Usa a fornire all'aviazione saudita supporto tecnico e logistico per colpire in Yemen. Non solo: gli Usa sostengono fino allo spasimo i sauditi in questa guerra per procura contro i ribelli sciiti Houthi alleati dell'Iran. Fa bene il giornale americano a indignarsi per le bombe italiane ma prima di tutto dovrebbe farlo con il suo governo: l'Italia è come il cameriere che raccoglie le briciole dal tavolo del pranzo sanguinoso imbandito da americani, francesi, britannici". (Alberto Negri) (presso Yemen)
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corallorosso · 7 years ago
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La strage di Biscari. Un crimine di guerra giustificato con la stanchezza (...) «Se vedete che il nemico vuole arrendersi, oh no! Quel bastardo deve morire! Dovete ucciderlo. Infilzatelo tra la terza e la quarta costola. Dovete avere l’istinto assassino. Si, conserveremo la fama d’assassini e gli assassini sono immortali.» Il generale Patton non lasciava spazi alla fantasia nelle proprie affermazioni. Questo testo, ripreso da diverse fonti, ci permette di comprendere lo stato d’animo dei militari alleati pronti allo sbarco in Sicilia. (...) Il primo crimine di cui si macchiarono le truppe alleate avvenne all’aeroporto di San Pietro, nei pressi di Caltagirone. Il luogo era presidiato da una guarnigione d’avieri e da un battaglione d’artiglieri.... Per qualche ora riuscirono a resistere ma le differenze belliche erano notevoli. La situazione comportò la resa dell’esiguo numero di militari. Uscirono dalla casamatta con le mani alzate sventolando fazzoletti bianchi. La reazione dei soldati americani non fu quell’attesa. Gli italiani furono perquisiti, maltrattati ed infine insultati. Contro la convenzione di Ginevra i soldati americani li divisero in due gruppi: uno trattenuto nell’area dell’aeroporto, l’altro messo in marcia verso Biscari. «Kill, kill these bastard people!» Uccidete questi bastardi. All’improvviso e senza motivo i soldati americani fucilarono senza pietà gli italiani bloccati sulla pista. L’ordine fu impartito dal capitano John Compton che chiese «Chi vuole partecipare all'esecuzione?» A sparare furono in 24. Di questo gruppo si salvarono solo due uomini: il caporale Virginio De Roit e il soldato Silvio Quaiotto. ... Le parole di William Edward King, cappellano militare, non lasciano dubbi: «Osservai quelle cataste di corpi, qualche militare mi corse incontro e mi disse – E’ una pazzia, stanno ammazzando tutti i prigionieri, padre faccia qualcosa.» L’altro crimine di cui voglio raccontare concerne i prigionieri del secondo gruppo, quelli che si erano incolonnati verso Biscari. I militari, che si erano arresi, furono affidati al sergente Horace West. Dopo circa un chilometro di marcia gli uomini furono obbligati a fermarsi e disporsi in due file parallele. Il sergente West imbracciò un mitragliatore ed aprì il fuoco. Non è possibile trovare un motivo a tale gesto. Morirono tutti tranne Giuseppe Giannola le cui parole destano ribrezzo: «Fummo avviati nelle vicinanze di Piano Stella ove fummo poi raggiunti da un altro contingente di prigionieri italiani, e questi ultimi in numero di circa 34. Tutti fummo schierati per due di fronte. Un sottufficiale americano con fucile mitragliatore sparò a falciare i circa 50 militari che si trovavano schierati. Il dichiarante rimasto ferito al braccio destro rimase per circa due ore e mezzo sotto i cadaveri, per sfuggire ad altra scarica di fucileria, poiché i militari anglo-americani rimasero sul posto molto tempo per finire di colpire quelli rimasti feriti e agonizzanti.» La denuncia e le segnalazioni del cappellano King, eroe della prima guerra mondiale, non potevano essere ignorate. I comandi alleati istituirono due processi dinanzi alla corte marziale. (...) Il dibattimento fu corto e si concluse con l’assoluzione di Compton, la cui difesa verteva sul rispetto degli ordini impartiti da Patton, e la condanna all’ergastolo, che si trasformò miseramente in 6 mesi di carcere effettivo, per West. Fabio Casalini
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gregor-samsung · 7 years ago
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“  Sono in corso simultaneamente, nella prima metà di marzo, due grandi esercitazioni di guerra – l’una nel Mediterraneo di fronte alle coste della Sicilia, l’altra in Israele – ambedue dirette e supportate dai comandi e dalle basi USA/NATO in Italia.Alla Dynamic Manta 2018 – esercitazione di guerra sottomarina, appoggiata dalle basi di Sigonella e Augusta e dal porto di Catania – partecipano forze navali di Stati Uniti, Canada, Italia, Francia, Belgio, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Grecia e Turchia, con 5000 uomini, navi di superficie, sottomarini, aerei ed elicotteri. L’esercitazione è diretta dal Comando NATO di Lago Patria (JFC Naples), agli ordini dell’ammiraglio statunitense James Foggo. Nominato dal Pentagono come i suoi predecessori, egli comanda allo stesso tempo le Forze navali USA in Europa e le Forze navali USA per l’Africa, il cui quartier generale è a Napoli Capodichino.A cosa serva la Dynamic Manta 2018 lo spiega lo stesso ammiraglio Foggo: è iniziata la «Quarta battaglia dell’Atlantico», dopo quelle delle due guerre mondiali e della guerra fredda. Essa viene condotta contro «sottomarini russi sempre più sofisticati che minacciano le linee di comunicazione marittima fra Stati Uniti ed Europa nel Nord Atlantico».L’ammiraglio accusa la Russia di condurre «una attività militare sempre più aggressiva», citando come esempio caccia russi che sorvolano a bassa quota navi USA. Non dice però che queste navi da guerra incrociano nel Baltico e nel Mar Nero a ridosso del territorio russo. Lo stesso fanno i droni-spia USA Global Hawk che, decollando da Sigonella, volano due o tre volte la settimana lungo le coste russe sul Mar Nero.L’ammiraglio Foggo, mentre col cappello di comandante NATO prepara in Italia le forze navali alleate contro la Russia, col cappello di comandante delle Forze navali USA in Europa invia dall’Italia la Sesta Flotta alla Juniper Cobra 2018, esercitazione congiunta USA-Israele diretta principalmente contro l’Iran.Dalla base di Gaeta è giunta ad Haifa la Mount Whitney, nave ammiraglia della Sesta Flotta, accompagnata dalla nave da assalto anfibio Iwo Jima. La Mount Whitney è un quartier generale galleggiante, collegato alla rete globale di comando e controllo del Pentagono anche attraverso la stazione Muos di Niscemi.La Juniper Cobra 2018 – cui partecipano 2500 militari Usa e altrettanti israeliani – è iniziata il 4 marzo, mentre il premier Netanyahu, incontrando il presidente Trump, sosteneva che l’Iran «non ha rinunciato alle sue ambizioni nucleari» (non dicendo che è Israele l’unica potenza nucleare in Medioriente) e concludeva «l’Iran va fermato, questo è il nostro comune compito».L’esercitazione simula la risposta israeliana al lancio simultaneo di missili da Libano, Iran, Siria e Gaza. Lo scenario reale può invece essere quello di un lancio missilistico falsamente attribuito agli Hezbollah libanesi alleati dell’Iran, quale pretesto per attaccare il Libano mirando all’Iran.Al massino 72 ore dopo, dichiarano ufficiali statunitensi e israeliani, arriverebbero dall’Europa (in particolare dalle basi in Italia) forze statunitensi per affiancare quelle israeliane nella guerra.La presenza alla Juniper Cobra del generale Scaparrotti, capo del Comando Europeo degli Stati Uniti, conferma tale piano, che egli ha definito in un incontro con lo stato maggiore israeliano l’11 marzo. Poiché Scaparrotti è anche Comandante Supremo Alleato in Europa (carica che spetta sempre a un generale USA), il piano prevede una partecipazione NATO, soprattutto italiana, a sostegno di Israele in una guerra su larga scala in Medioriente.”
Manlio Dinucci
Fonte Il Manifesto (Italia)
[P.S.: Le immagini finali sottotitolate “Tiro a bersagli da un elicottero USA Apache in Medioriente” mi sembrano tratte da un videogioco ma non ho le competenze per smentirne l’autenticità].
[P.P.S.: Mi sono accorto solo dopo la pubblicazione che “il video non è disponibile”, chissà perché; si può comunque reperire QUI ]
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scienza-magia · 5 years ago
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75 anni fa moriva Benito Mussolini insieme alla sua amante
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Le ultime ore di Mussolini. Ieri 28 aprile 1945 - 75 anni fa - Benito Mussolini fu ucciso insieme a Claretta Petacci. Ecco la ricostruzione ufficiale di quelle ultime ore di vita del duce. E le altre che furono ipotizzate in seguito per raccontare quei convulsi momenti finali. Benito Mussolini, dopo che era stato destituito il 25 luglio 1943, era costretto a vivere sul lago di Garda, dove si era insediato, per volere di Hitler il nuovo governo della Repubblica sociale italiana. Nella sua nuova residenza, Villa Feltrinelli a Gargnano (Brescia), si svegliava tutte le mattine alle 7:30, indossava una divisa grigioverde, senza gradi né mostrine: era praticamente prigioniero dei nazisti, che lo avevano liberato a Campo Imperatore il 12 settembre del 1943 e costretto a creare un governo fantoccio nel Nord d'Italia. A Milano, il 25 aprile. Finito e braccato, temeva di essere sempre sotto controllo e in pericolo, e all'inizio del 1945 decise di cercare una soluzione politica. Alla fine decise di andare a Milano, dove il cardinale e arcivescovo Ildefonso Schuster era pronto a mediare con gli alti gradi partigiani. L'incontro fu fissato proprio per il 25 aprile, giorno dell'insurrezione di Milano. Il duce arrivò per primo quel pomeriggio, nella sede dell'arcivescovado. Per quanto preoccupato e teso, sperava forse in una soluzione politica dignitosa per sé. Ma le cose non andarono come si era immaginato.  Quando arrivarono i delegati del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia uno di loro, Achille Marazza, chiese senza mezzi termini a Mussolini la resa incondizionata. Poco dopo arrivò anche la notizia che i tedeschi in Svizzera stavano trattando una resa separata (Hitler era già rinchiuso da mesi nel suo bunker di Berlino, molti metri sottoterra). Mussolini capì di essere solo, si avviò alla porta, ormai deciso ad abbandonare.
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25 aprile 1945: Mussolini lascia la prefettura di Milano, nell’ultima fotografia che lo mostra da vivo | Wikipedia Il piano del duce. Ma che cosa aveva davvero in mente, a quel punto? L'ipotesi più probabile è che più che espatriare in Svizzera (che tra l'altro si era già dichiarata contraria a dare asilo al duce e alla sua famiglia) volesse raggiungere il cosiddetto Ridotto alpino repubblicano, dove pensava (sbagliandosi) che camicie nere e milizia repubblichina fossero in grado di controllare il territorio. Da qui avrebbe probabilmente contattato gli Alleati per accordarsi con loro, portando con sé alcuni documenti che mostravano i rapporti intercorsi tra lui e il governo britannico. Si trattava con ogni probabilità del misterioso carteggio Mussolini-Churchill, di cui non si conosce il contenuto e mai desecretato dal governo britannico. Il panico tra i gerarchi. Nonostante il parere contrario dei gerarchi, alle 20 Mussolini, in divisa grigioverde della milizia di Salò, si mise in marcia, destinazione Como. Il 26 aprile, a Menaggio, lo raggiunse Claretta con il fratello Marcello, la moglie di lui e i loro 2 figli piccoli. I gerarchi non erano affatto contenti della presenza della Petacci. La ritenevano infatti la causa di molti errori politici del duce. La situazione era tesissima e regnava l'incertezza: le riunioni andavano avanti ore, fino a notte fonda. Inoltre, il panico cominciava a spargersi soprattutto tra i gerarchi e le loro famiglie. Per quanto difficile, una decisione andava presa. Mussolini non era solo. Lo accompagnava una colonna di automezzi che formava un serpentone di circa 1 chilometro: 28 automezzi che trasportavano quasi 200 militari tedeschi e 174 italiani. Non proprio l'ideale per non dare nell'occhio. Partiti di buonora, i mezzi, che si fermavano e ripartivano caoticamente e senza un ordine preciso fermandosi spesso per i guasti, impiegarono almeno un'ora per fare appena 12 chilometri. Camerata ubriaco. A Musso la colonna fu bloccata una prima volta, il 27 aprile, da un gruppo di partigiani guidati dal comandante "Pedro". Qui iniziò una lunga trattativa fra tedeschi e partigiani, alla fine della quale solo i tedeschi della colonna ebbero il permesso di ripartire. Poco più avanti, a Dongo, il convoglio venne di nuovo fermato dalla 52a Brigata Garibaldi. Nel frattempo, si era diffusa la voce che nella colonna ci fosse Mussolini. Alcuni militari tedeschi, non si sa se per denunciare o proteggere il duce, segnalarono la presenza di un camerata ubriaco in uno dei camion. Qui partigiani trovarono il duce con un cappotto militare tedesco, armato e con la preziosa borsa dei documenti stretta tra le braccia. Il corpo morto di Benito Mussolini L'arresto e l'interrogatorio. Riconosciuto e arrestato, fu portato nel municipio di Dongo. Qui avvenne un sommario interrogatorio. Dopodiché il duce viene tenuto, per precauzione, a Germasino, nella casermetta della Guardia di Finanza. Ripartito nel cuore della notte, viene riunito alla Petacci (su insistente richiesta di lei). Passarono l'ultima loro notte a Bonzanigo, in una semplice abitazione di contadini, quella dei De Maria, che i partigiani avevano scelto per loro. Mussolini portava una benda sulla testa che nascondeva l'inconfondibile cranio e parte del viso e i due furono presentati ai proprietari come una coppia di tedeschi feriti. Qui il duce si sbendò. Con i De Maria, Mussolini scambiò poche parole, non accettò bevande (per il timore forse di essere avvelenato) e la mattina del 28 aprile consumò il suo ultimo pasto, senza quasi toccare cibo: un po' di salame e un po' di pane.
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Benito Mussolini e Claretta Petacci furono fucilati davanti a questo cancello di Villa Belmonte, a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como. | Wikimedia il 28 aprile 1945. Alle 16:10 di quel 28 aprile 1945, Benito Mussolini e Claretta Petacci furono fucilati davanti al cancello di Villa Belmonte, a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como. A sparare, secondo la versione ufficiale, fu il colonnello partigiano "Valerio", Walter Audisio. A volerlo morto era il Clnai, contro il volere degli Alleati, ai quali fu comunicato telegraficamente dal comando partigiano: "Spiacenti non potervi consegnare Mussolini che processato Tribunale popolare è stato fucilato ". Erano le 3 del mattino del 28 aprile, e il duce era ancora vivo. Ma gli Alleati, che tempestavano di cablogrammi i comandi partigiani perché consegnassero il duce, dovevano essere depistati. Mussolini era affare degli italiani. Le altre versioni. Sono trascorsi settantacinque anni dalla morte di Mussolini, eppure gli storici discutono ancora oggi attorno alle modalità di quell'esecuzione. La "versione ufficiale", esposta già nel corso del 1945 sul quotidiano comunista l'Unità, e riassunta qui sopra afferma che il duce e la sua amante Claretta Petacci vennero fucilati alle 16:10 del 28 aprile 1945, davanti al cancello di Villa Belmonte, a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como. Esecutore della condanna a morte, che fu decisa dal Clnai (Comitato di liberazione Alta Italia), sarebbe stato il colonnello "Valerio", alias Walter Audisio, comunista, emissario dei vertici della Resistenza. "Valerio" fu affiancato, nella sua missione, da altri due personaggi: Aldo Lampredi detto "Guido", uomo di fiducia del leader del Pci Luigi Longo, e un partigiano locale, Michele Moretti, "Pietro". Gli stessi protagonisti si sono contraddetti tra loro, aggiungendo particolari su quei drammatici istanti. Lampredi e Moretti, in separate testimonianze rese verso la fine dei loro giorni, hanno voluto chiarire che, in contrasto con il racconto di Audisio, tendente a rappresentare un Benito Mussolini tremebondo, il dittatore avrebbe affrontato la morte chiedendo ai suoi fucilatori di mirare al cuore e gridando "Viva l'Italia!". Ecco le altre ipotesi avanzate da storici e studiosi. La tesi della “doppia fucilazione” Nel 1973 il giornalista Franco Bandini lanciò una clamorosa ricostruzione alternativa della fine del duce. In base a questa tesi (non accreditata dagli storici), Mussolini e la Petacci sarebbero stati giustiziati, nella tarda mattinata del 28 aprile 1945, da un commando partigiano guidato nientemeno che da Luigi Longo, a poca distanza dal casolare dei contadini De Maria dove i due prigionieri avevano pernottato, nella frazione Bonzanigo. Nel pomeriggio, i responsabili dell'esecuzione avrebbero condotto una seconda, falsa fucilazione, nel luogo indicato dalla versione ufficiale: il cancello di Villa Belmonte, a Giulino. Testimoni. Questa teoria è stata ripresa dall'esponente del Msi Giorgio Pisanò, che ha basato il suo racconto sulla testimonianza di un'abitante del luogo, Dorina Mazzola, al tempo dei fatti diciannovenne. La Mazzola, dalla propria abitazione, avrebbe colto la successione degli accadimenti, così ricostruiti da Pisanò: nella prima mattinata, l'esecuzione di Mussolini, nel cortile dei De Maria; dopo un paio di ore, l'assassinio di Claretta, avvenuto durante il trasporto del cadavere del duce da parte dei partigiani. Una finta fucilazione sui 2 cadaveri ci sarebbe stata poi, nel pomeriggio, al cancello di Villa Belmonte.
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La "pista" inglese Dagli anni Novanta l'ex partigiano comunista Bruno Giovanni Lonati ("Giacomo"), classe 1921, sostenne di essere intervenuto, a Mezzegra, la mattina del 28 aprile, in qualità di giustiziere di Mussolini, insieme a un agente italo-britannico: il capitano "John". In base a tale versione, il partigiano "Giacomo" avrebbe aperto il fuoco su Mussolini, mentre sarebbe toccato all'inglese sparare a Claretta. L'esecuzione sarebbe avvenuta a poca distanza dalla casa dei De Maria, a Bonzanigo. A parte talune incongruenze nel suo racconto, la testimonianza di Lonati non ha però potuto essere convalidata da nessun'altra fonte, in quanto dell'ufficiale inglese, tale Robert Maccaroni, non è emersa alcuna traccia. Accordi segreti? La versione di Lonati, tuttavia, ha consentito di rilanciare studi approfonditi sul ruolo giocato dagli inglesi nella delicata partita della sorte da riservare al dittatore. Del resto, sono in molti a sostenere che la Gran Bretagna avesse tutto l'interesse a favorire una soluzione cruenta del problema. Mussolini vivo, infatti, chiamato a deporre in un processo, avrebbe potuto mettere in imbarazzo il Regno Unito, rivelando le intese segrete che aveva raggiunto con eminenti statisti di quel Paese. L'enigma di Moretti Michele Moretti, il partigiano "Pietro" che prese parte all'esecuzione di Mussolini e di Claretta, potrebbe essere stato il vero autore di quell'atto simbolico che pose termine all'esperienza fascista e alla guerra. Lo stesso Moretti, subito dopo quei drammatici fatti, non faceva mistero di essere stato il "giustiziere" di Mezzegra. Poi, quando il suo partito, il Pci, intervenne d'autorità per dettare la linea di quella che divenne la versione ufficiale (quella con Audisio nel ruolo di esecutore materiale), "Pietro", fedele e disciplinato, rientrò nei ranghi. Documenti. In anni recenti è tuttavia riemerso un documento (foto sopra) che sembrerebbe confermare il ruolo di Moretti. Si tratta di una dichiarazione, datata 15 maggio 1945 e a firma del comandante della piazza di Como, Oreste Gementi, in cui il Cln locale certifica che fu il partigiano "Pietro" l' artefice di quell'esecuzione. Nero su bianco. Nel foglio si legge: "Secondo gli accordi presi con la Missione militare russa, che in questi giorni ha preso contatto con il nostro Cln, consegnamo alla stessa, per il Museo Militare di Mosca, l'arma (un mitragliatore Mas, ndr) con la quale il partigiano "Pietro" delle formazioni garibaldine del Lario, ha giustiziato Mussolini". Read the full article
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decima-flottiglia-mas · 8 years ago
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. Xª FLOTTIGLIA MAS La situazione a Gorizia – prima e dopo la Battaglia di Tarnova La Decima arrivando a Gorizia trovo’ una citta’ prostrata. L’ azione dei politici del Litorale Adriatico e quella dei militari locali pareva aver cancellato i segni di Gorizia italiana. Se nelle valli e nei capisaldi i reparti italiani erano ben presenti, nella citta’ si notavano quasi solamente soldati tedeschi e gli slavi delle varie fazioni favorevoli ai tedeschi: domobranci sloveni, ustascia croati, cetnici serbi… Non una sola bandiera italiana, nelle vetrine e nei negozi molte insegne e scritte in tedesco e sloveno, i circoli culturali italiani chiusi, le iniziative economiche ostacolate. Il monumento ai caduti della Grande Guerra era stato fatto saltare dai belogardisti La Decima, che aveva compiti militari, in effetti si fece carico di un piu’ ampio impegno: riportare a Gorizia una visibile presenza italiana. Gli ufficiali ed i maro’ non attesero ordini per entrare nei negozi e chiedere che venissero tolti i cartelli in lingua straniera. Il comando divisionale volle mettere rimedio anche all’ isolamento delle province orientali e istitui’ un servizio di pulman tra Gorizia e Milano. Uno degli obiettivi di questa iniziativa era anche di consentire ai giovani che volevano abbandonare la Todt, spesso arruolati forzatamente, di raggiungere Milano per entrare nei ranghi della “Decima”. Il servizio di pulman consenti’ anche di distribuire a Trieste e a Gorizia i giornali che si stampavano a Milano e a Torino, dei quali – dalla data dell’ armistizio – era stata vietata la diffusione. Per gli italiani di Gorizia – almeno per la grande maggioranza che non intendeva passare sotto la Yugoslavia o sotto il dominio della Germania – l’ arrivo e l’ impegno della “Decima” assumeva un aspetto chiaramente nazionale e sollevava grandi speranze. Per la prima volta dopo l’ 8 settembre in quelle terre era presente una forza militare italiana libera da compiti di presidio e in grado di modificare in prospettiva la situazione politica. I battaglioni si erano appena messi in movimento che a Gorizia si prospetto’ un nuovo incidente con i tedeschi. Per una esposizione di quadri di artisti italiani e tedeschi nella sala era esposta la bandiera tedesca, alcuni maro’ chiesero al gestore di esporre anche quella italiana, ma questi rispose che aveva paura a farlo. Il Comandante Carallo, informato del fatto, ordino’ ai suoi uomini di esporre la bandiera italiana nella sala, ne scaturi’ un contrasto con le autorita’ civili tedesche e intervennero anche quelle militari. Incluso il comandante della piazza di Gorizia. Insistettero nell’ affermare che le disposizioni da loro ricevute vietavano l’ esposizione delle bandiere italiane e slovene. Carallo, per non pregiudicare ulteriormente i difficili rapporti con i comandi germanici e non compromettere le operazioni militari appena iniziate, in cui i suoi uomini erano pesantemente impegnati, accetto di togliere la bandiera italiana, ma immediatamente dopo invio’ una nota al comando “Adler” con richiesta di riparazioni per “l’ offesa all’ onore della nostra bandiera” informando contestualmente della situazione il Comandante Borghese. --------- Z.O. 21.12.1944 XXIII MARINA DA GUERRA NAZIONALE REPUBBLICANA COMANDO DIVISIONE “DECIMA” Ufficio del Capo di S.M. Al COMANDO X MAS – Lonato ARGOMENTO: Situazione politico-militare a Gorizia RISERVATA PERSONALE Riservata al Comandante BORGHESE Ti rimetto con conoscenza copia della mia richiesta al comando “Adler” (Comando superiore SS Globocnik) Comunque, in risposta alla proibizione, una immensa bandiera italiana sventola dal balcone del mio comando, molte vetrine hanno gia’ esposto bandiere italiane e questa notte inondero’ Gorizia di manifestini tricolori con un saluto della Decima alla popolazione della citta’ santa. Avevi perfettamente ragione: la nostra presenza qui non e’ solo necessaria, ma indispensabile per non far perdere il sentimento di italianita’ a quei pochi restati immuni dalla passiva rassegnazione della politica austriacante, poggiata sul dissidio italo-slavo e degli intrighi che vogliono creare tra noi e i tedeschi. In tutta la mia azione mi sorreggono gli ufficiali di collegamento delle SS. DECIMA! DECIMA! DECIMA! Il Comandante in 2^ Capitano di Fregata Luigi Carallo A Gorizia i rapporti con i tedeschi ricominciarono ad essere tesi… In un settore tanto movimentato militarmente si sovrapponevano contrasti etnici e piani a lunga scadenza. La presenza della “Decima” aveva un peso decisamente politico! Cio’ non piaceva assolutamente a chi pretendeva di avere una posizione preminente. Ci fu un ennesimo incidente, ancora per la bandiera italiana: il TV Montanari, Capo Ufficio Operazioni, fece intervenire da Salcano una compagnia del “Barbarigo” per bloccare il solito tentativo dei tedeschi di far ammainare la bandiera italiana che sventolava sulle caserme e sui comandi della “Decima”. Peggiori ancora erano i rapporti con gli slavi alleati dei tedeschi che, forti della protezione di questi ultimi, ostentavano apertamente disprezzo per i militari italiani. La reazione della “Decima” in questi casi fu sempre decisa e immediata, si arrivo’ a violente zuffe e si sfiorarono scontri a fuoco. All’ ospedale militare i feriti delle due etnie dovevano essere rigorosamente tenuti separati. L’ atteggiamento dei domobranci non differiva sostanzialmente da quello dei comunisti del IX Korpus: le loro mire espansionistiche coincidevano, la - Slavia Veneta secondo loro - aveva per confine il Tagliamento e questo doveva essere l’ assetto politico a fine guerra. Il C.te Borgese nel 1947 in un suo manoscritto ricorda la situazione in questi termini: “Le autorita’ politiche austriacanti, non riuscendo a spuntarla per altra via e decise a sbarazzarsi di questi “pericolosi italiani”, ricorsero allora ad un altro sistema, gia’ in uso da parte della polizia del vecchio impero absburgico, di servirsi di agenti provocatori per far affluire decine di denunce contro gli uomini della Decima, accusandoli di ogni specie di crimini, dal saccheggio allo stupro, dall’ omicidio all’ incendio doloso; si arrivo’ all’ assurdo di denunciare un marinaio della Decima di essersi pubblicamente fatto vanto di aver gia’ ucciso sei ufficiali tedeschi e di essere in agguato per raggiungere al piu’ presto il record di dieci! Questa campagna porto’ a maturazione i piani della cricca politica austriacante. Verso la fine del gennaio ’45 il Gauleiter Rainer chiedeva ufficialmente, mediante telegramma al plenipotenziario militare germanico, generale Wolff, il ritiro della Divisione Decima dalla Venezia Giulia e il suo trasporto a ponente del Tagliamento.”
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samdelpapa · 4 years ago
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Il piano Usa di dominio dello spazio Manlio Dinucci  | ilmanifesto.it 15/12/2020 L'arte della guerra. La U.S. Space Force è una nuova branca delle Forze armate statunitensi, istituita nel dicembre 2019. La sua missione è «proteggere gli interessi Usa e alleati nello spazio, acquisire sistemi militari spaziali, formare professionisti militari dello spazio, sviluppare la dottrina militare per la potenza spaziale, organizzare forze spaziali a disposizione dei nostri Comandi combattenti». Cape Canaveral in Florida, da cui nel 1969 fu lanciato dalla Nasa il razzo della missione Apollo, è divenuto sede della stazione della Forza spaziale Usa insieme alla base Patrick, anch'essa in Florida. Nella cerimonia inaugurale, il 9 dicembre, il vicepresidente Mike Pence ha annunciato che «la nostra Forza spaziale si sta potenziando ogni giorno di più». La U.S. Space Force è una nuova branca delle Forze armate statunitensi, istituita nel dicembre 2019. La sua missione è «proteggere gli interessi Usa e alleati nello spazio, acquisire sistemi militari spaziali, formare professionisti militari dello spazio, sviluppare la dottrina militare per la potenza spaziale, organizzare forze spaziali a disposizione dei nostri Comandi combattenti». Quale sia il compito centrale della nuova Forza lo ha detto in modo esplicito il presidente Trump, annunciando nell'agosto 2019 la sua imminente costituzione: «Assicurare il dominio americano nello spazio, il prossimo campo di combattimento della guerra». Sulla scia della nuova forza spaziale Usa, la Nato ha varato un programma militare spaziale, preparato dal Pentagono e da ristretti vertici militari europei insieme alle maggiori industrie aerospaziali. Quale sia l'importanza dello spazio lo dimostra il fatto che vi sono attualmente in orbita attorno alla Terra circa 2.800 satelliti artificiali operativi. Di questi, oltre 1.400 sono statunitensi. Al secondo posto è la Cina con oltre 380, al terzo la Russia con poco più di 170. La maggior parte dei satelliti, oltre 1.000, è di tipo commerciale. Vengono successivamente quelli per uso militare, governativo e civile (questi ultimi due tipi usati spesso anche per attività di carattere militare). Oltre https://www.instagram.com/p/CJGkyezMa9t/?igshid=yspqyf82ti5
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spazioliberoblog · 5 years ago
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  di CLAUDIO GALIANI ♦
DAVIDE CONTRO GOLIA
Azioni spavalde
Sin dai primi di ottobre le truppe tedesche cominciano a rastrellare sistematicamente la fascia collinare, cercando di snidare le bande in via di formazione e di bonificare il terreno dalle centinaia di soldati che vagano nella macchia. Maroncelli riporta gli episodi che colpiscono direttamente la banda.
“Il mattino del 6 ottobre, in località “ La Bianca “, forti contingenti di truppe tedesche hanno circondato l’abitato cogliendo di sorpresa gli abitanti. Alcuni partigiani attaccarono per rompere l’accerchiamento e fuggire nei boschi circostanti. Il patriota Remo Consolati rimaneva ucciso nel rapido combattimento.” “ Tre giorni dopo, all’alba del 9 ottobre, in località Monte Cucco, nel Comune di Civitavecchia, le truppe tedesche hanno circondato la macchia dove erano accampati un gruppo di militari sardi sbandati dopo l’8 settembre. Essi avevano accettato di operare sotto il comando della nostra formazione. Per non essere catturati ingaggiavano un combattimento durato per circa due ore. Alla fine riuscirono a rompere l’accerchiamento e portando i feriti a spalla la maggior parte dei combattenti italiani si mise in salvo. Nove patrioti erano rimasti sul terreno. Anche i tedeschi avevano subìto una forte perdita tra morti e feriti.”
Dieci, alla fine, sono i morti da parte italiana, un tenente e nove militari, e quattro i tedeschi che restano sul campo, più numerosi feriti. Sullo scontro di Monte Cucco abbiamo anche la versione tedesca. Parla di 12 italiani, tra i quali un tenente, passati per le armi, e 14, in massima parte sardi, catturati. Non fa nessun accenno a perdite subite da parte tedesca. La banda programma una serie di risposte spavalde, per marcare la presenza sul territorio.
“ Alle prime ore del mattino del giorno 20 ottobre approfittando del bombardamento aereo che stavano compiendo aerei alleati su Civitavecchia, fu effettuato un colpo di mano contro una batteria costiera onde metterla in condizioni di non poter operare per molto tempo. Mentre alcuni partigiani tenevano testa a colpi di bombe a mano ai tedeschi addetti alla batteria altri toglievano dai pezzi otturatori e cannocchiali panoramici, che a combattimento ultimato venivano gettati in un pozzo, mentre una motocicletta prelevata nello stesso tempo veniva nascosta in una folta siepe. Forze partecipanti: n. 20 partigiani; Forze contrapposte: n. 50 tedeschi circa; Perdite inflitte: n. 1 tedesco morto e 7 feriti; Perdite subite: nessuna.
Dopo alcuni giorni fu portata a termine la seguente azione: un gruppo scelto di partigiani al comando del partigiano Foschi Amerigo affondava nel porto di Civitavecchia durante le ore notturne un piroscafo di piccolo tonnellaggio requisito dai tedeschi. Forze partecipanti: n. 20 partigiani Il giorno 31 ottobre veniva effettuato un colpo di mano alla Caserma “Duca degli Abruzzi” in Civitavecchia per asportarvi una stazione radio ricevente e trasmittente che fu poi piazzata al Comando dei Carabinieri di Allumiere. I tedeschi di servizio a detta stazione in numero di cinque colti di sorpresa venivano legati e imbavagliati. Forze partecipanti: n. 15 partigiani; Perdite inflitte: nessuna; Perdite subite: nessuna. I primi interventi del gruppo sono quindi focalizzati sull’area portuale di Civitavecchia. Ma dal mese di novembre crescono i rastrellamenti tedeschi, alla ricerca dei capi. É un’azione alla cieca, tanto che Maroncelli, arrestato, viene rilasciato qualche giorno dopo senza essere riconosciuto. La tattica tedesca si affina sempre più, allestendo un servizio di spionaggio, che procura informazioni per la cattura dei capi.
”Infatti la mattina del 17 novembre, truppe addette al servizio di polizia militare, dopo avere avuto la segnalazione da parte di spie fasciste, le quali avevano segnalato ai tedeschi la presenza del comandante Maroncelli e di altri membri della banda in località Casalone, nel comune di Tolfa, circondavano detta località. Gli abitanti, uomini donne e bambini, vennero fatti uscire dalla casa colonica con le mani in alto. Vennero brutalmente interrogati ricevendo però sempre risposte negative. Esasperati per l’insuccesso della loro azione i tedeschi assassinavano barbaramente i patrioti collaboratori della formazione: Carlo Belfiore, Angelo Caciornia, Emiliano Santi e Luigi Gabrielli.”
Vengono poste taglie fino a centomila euro sul capo di Maroncelli e Morra e la banda è costretta a spostare la sua azione verso l’interno.
La strategia della Giunta militare centrale
A dire il vero, gli arresti e i rastrellamenti si intensificano un pò dovunque e causano perdite al movimento partigiano, oltre che rappresaglie sulla popolazione. Come Roberto Forti, dirigente della Resistenza romana, annota nelle sue memorie, il 2 novembre 1943, in un appartamento in via Torino, si svolge a Roma un importante incontro tra la Giunta Militare Centrale, emanazione del C.L.N., e alcuni capi politici e militari delle formazioni partigiane della provincia. C’è da mettere a punto una nuova tattica, per superare i limiti mostrati nelle prime settimane dall’azione partigiana. Già sono stati effettuati importanti atti di sabotaggio che, come era prevedibile, hanno suscitato la reazione dei tedeschi. In assenza di alte montagne, i ristretti spazi di movimento non sono adatti all’ azione di grandi concentrazioni partigiane e favoriscono la loro individuazione e l’attacco da parte nemica. E’ più difficile l’ approvvigionamento, crescono i rischi per la popolazione, si favorisce il controllo delle numerose spie che i tedeschi hanno messo in circolazione. Viene fissato uno schema organizzativo. Le bande devono dividersi in piccoli gruppi, mescolati con elementi locali, dispersi intorno ai distaccamenti nemici, per seguirne i movimenti ed effettuare attacchi a sorpresa. E’ il metodo della guerriglia con azioni rapide, pronte ritirate e successiva ricomposizione. E’ la tattica usata dalla Banda di Bieda dopo l’eccidio del 29 ottobre e da quella di Allumiere dopo il drammatico episodio del Casalone.
“ Dopo tali avvenimenti il Comando decise di spostare i distaccamenti in altro luogo. Gli accampamenti furono stabiliti nei boschi intorno ad Allumiere, mentre l’attività della banda venne estesa fino a comprendere, oltre Civitavecchia ed Allumiere, i territori dei Comuni di Tolfa, Veiano, Barbarano, Bieda e Civitella Cesi.”
Sotto la pressione del nemico, la guerra di posizione si trasforma in guerra di movimento. Partendo dai due poli di Bieda e Allumiere, le due bande accentuano i loro spostamenti, trovandosi spesso a incrociare i loro passi in un territorio che si fa sempre più stretto.
Zona delle operazioni delle due bande
Un nemico potente e spietato
Fatto è che i nostri partigiani si trovano di fronte un nemico potente, sempre più aggressivo e spietato. Dal mese di luglio, le ambiguità del governo Badoglio hanno favorito un afflusso enorme di truppe specializzate tedesche nel Lazio. Circa 300.000 uomini della 14° e della 10° armata sono concentrati nella regione, per la maggior parte a sud di Roma, per sostenere il fronte di combattimento; dopo l’ 8 settembre molti reparti occupano la capitale, per sopprimere ogni tentativo di difesa patriottica. Anche nell’alto Lazio, nell’area tra l’Aurelia e la Cassia, è un pullulare di truppe. Tra settembre e novembre, addetti alla difesa costiera lungo l’Aurelia, tra la foce del Tevere e Tarquinia, sono impiegati 14.000 paracadutisti della 2. Fallschirmjäger-Division. La Divisione, costituita in Francia, nel mese di luglio viene trasferita in Italia, per occupare l’aeroporto di Pratica di Mare. In pochi mesi si rende protagonista di spietate operazioni di rastrellamento e rappresaglia. Un suo reparto è responsabile dell’eccidio di Bieda, su cui stila anche una relazione. Un altro reparto è protagonista dello scontro di Monte Cucco del 9 ottobre. La sua azione repressiva è diffusa. Il 9 settembre partecipa alle operazioni di occupazione di Roma e al disarmo delle forze armate italiane. Un suo reparto coopera alla liberazione di Mussolini sul Gran Sasso. Il 18 ottobre svolge un ruolo anche nel rastrellamento del ghetto di Roma. Con molta probabilità è responsabile della fucilazione del vicebrigadiere dei carabinieri Salvo D’Acquisto alla Torre di Palidoro il 28 settembre, e di quella di Renato Posata, giovane universitario di Civitavecchia, il 1° ottobre. Lasciandosi dietro questa scia del terrore, a novembre viene trasferita sul fronte orientale. Viene sostituita lungo l’Aurelia dalla SS Panzergrenadier. Nell’ area opera la 3.Panzergrenadier-Division, giunta anch’essa in Italia nel luglio 1943, spostatasi a settembre verso Roma e poi verso sud.
Immagini di repertorio:  Wehrmacht Division (in alto) – Panzer Grenader Division (in basso).
  A partire dal 12 settembre assume i compiti di difesa costiera nell’area a nord di Gaeta. Nel frattempo un suo reparto esplorativo occupa anche Civitavecchia. Sulla Cassia opera con 24.000 soldati e 350 carri armati, acquartierati presso il lago di Bolsena e utilizzati per occupare Viterbo, Montefiascone, Orte, Orvieto e Terni. Dopo l’ 8 settembre Kesserling, che ha a sua disposizione anche un reparto “cacciatori”, incaricati della repressione delle formazioni partigiane, sposta la sede del suo Comando da Frascati al Monte Soratte, dove resta fino al giugno 1944. A Viterbo opera, alle dipendenze del Comando di Roma, un Comando territoriale, che sovrintende i Comandi dei vari centri.
Le bande
Elenchiamo, per un confronto impietoso, l’armamento dichiarato dalla banda Barbaranelli.
N°   74 moschetti 1891 “     11 fucili mitragliatori Berretta “      5 migliatrici italiane Brera con abbondante scorta di munizioni. “    32 pistole automatiche Berretta calibro 9 con dotazione di pallottole e caricatori. “    18 pistole di vario tipo “      2 pistole lancia razzi per segnalazioni “  2476 caricatori di pallottole per moschetto Mod. 1991 “   800 pacchetti di pallottole per mitragliatore “Berretta” “   416 bombe a mano di vario tipo.
Queste sono le armi consegnate agli Alleati. Sono la fionda di un piccolo Davide che sfida un immenso Golia. Considerando i membri di tutte le bande, grandi e piccole, che operano in quel momento nell’Alto Lazio, possiamo contare poche migliaia di combattenti. La più numerosa e virulenta, la banda Arancio, protagonista di tante azioni e particolarmente temuta dal Comando tedesco, conta alcune centinaia di elementi, compresi molti militari di varie nazionalità che si sono aggregati. Intorno ad essa ruotano in modo instabile vari gruppi locali. Scarsi sono i contatti tra le diverse formazioni, dislocate in varie zone, diverse per nascita, per composizione, per ispirazione ideale e politica. Particolarmente diffidente è la rete garibaldina, come appare dal giudizio sprezzante che sul comandante Arancio, personaggio controverso, emette ”Stefano”.
”Detti notizia orale dell’esistenza nella selva del Lamone, oltre di un nostro nucleo, di una grossa formazione partigiana. Da un’ispezione, fatta per mio ordine da un compagno che mi aiuta nel lavoro, mi risulta quanto segue: nella zona c’è effettivamente stato un giro molto rilevante di elementi raggiungenti qualche migliaio. L’organizzazione peraltro della banda era difettosissima a causa soprattutto dell’elemento dirigente, certo Arancio, sedicente capitano, elemento tra il pazzoide e il delinquente, che millantando l’accreditamento da parte dello Stato Maggiore del Maresciallo Badoglio, con cui affermava di essere a contatto a mezzo di R.T., era riuscito ad imporsi come comandante, costruendo tutta una scenografia da comando di chi sa quali forze.”
Pur con questi limiti, sparsi tra le macchie delle colline, i partigiani rappresentano una continua spina nel fianco dei reparti tedeschi, con molteplici azioni di sabotaggio, a volte con scontri diretti e con il servizio di informazione che forniscono agli Alleati sui concentramenti e gli spostamenti di truppe. Questo li espone a dure azioni di rappresaglia, che ne minano l’integrità e l’efficienza. La tattica della guerriglia è la più adatta per rendere insicuro il territorio al nemico.
Un’arma mitica
Bisogna a proposito far cenno all’arma mitica dei partigiani, il famoso chiodo a tre punte, evoluto poi nella forma a quattro punte. E’ un chiodo efficacissimo che, seminato sulle strade, è in grado di bloccare intere autocolonne, rendendole un bersaglio facile degli attacchi partigiani, ma soprattutto dei bombardamenti aerei. L’uso dei chiodi assume un’ importanza strategica e il loro possesso identifica, agli occhi di tedeschi e repubblichini, l’appartenenza partigiana. Lo stesso ”Stefano” , fermato durante una missione a Poggio Mirteto, riesce a salvarsi dall’arresto liberandosi furtivamente dei chiodi in suo possesso. In uno scambio polemico tra il Comitato di Viterbo e quello di Civitacastellana sull’uso delle armi anche il chiodo diviene elemento di contenzioso.
”Per i G.A.P vi abbiamo domandato a voi del Com. se funzionano, nell’interesse comune di spronarli, tanto i vostri quanto i nostri, al lavoro. Per i chiodi, al contrario abbiamo tutto il diritto di chiedervi se sono stati adoperati in quanto non ve li abbiamo mandati per tenerli sotterrati come ci risulta.”
CLAUDIO GALIANI
… continua (il prossimo capitolo (VI) venerdì 26 luglio 2019)
ANATOMIA DI DUE BANDE (V) di CLAUDIO GALIANI ♦ DAVIDE CONTRO GOLIA Azioni spavalde Sin dai primi di ottobre le truppe tedesche cominciano a rastrellare sistematicamente la fascia collinare, cercando di snidare le bande in via di formazione e di bonificare il terreno dalle centinaia di soldati che vagano nella macchia.
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italianiinguerra · 6 years ago
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“Io ho perso non solo la guerra, ma la mia città, la mia Dalmazia. Avevo giurato di vincere o di morire. Una guerra si può perdere, ma con onore, non servendo ed ossequiando il nemico. Noi non abbiamo tradito! Viva il Duce, viva l’Italia!”. Tenente Giuseppe Mazzoni  1^ Legione M d’Assalto “Tagliamento” della G.N.R.
Siamo all’indomani del 25 aprile 1945 data convenzionalmente fissata come giorno dell’insurrezione generale delle forze partigiane. I tedeschi sono in ritirata verso quello che rimane del Terzo Reich e le forze molto consistenti ancora in armi della Repubblica Sociale si ritrovano senza ordini e con il dilemma su cosa fare. Resistere in armi in attesa di consegnarsi ai comandi alleati, sbandarsi o consegnarsi alle forze partigiane che promettono salva la vita, ma che come vedremo in seguito faranno tutto l’opposto.
Siamo nella bergamasca, è il 26 aprile 1945 un plotone della 6ª Compagnia della Legione Tagliamento di presidio al Passo della Presolana, al quale si aggiungono alcuni militi della 5ª, sentite le notizie della disfatta tedesca decise, malgrado la contrarietà di alcuni, di arrendersi, sollecitato in tal senso anche dal Franceschetti, proprietario dell’albergo che ospitava i militi e si dirige verso Clusone.
Si trattava di un reparto composto da 47 militi comandati dal giovane S.Ten. Panzanelli di 22 anni, appartenente alla 1ª Legione M d’Assalto “Tagliamento” della Guardia Nazionale Repubblicana che si era distinto per la ferocia con cui aveva condotto la lotta anti partigiana. Giunti nei pressi di Rovetta intavolarono trattative con il locale C.L.N. che promise un trattamento conforme alle convenzioni internazionali. Deposte le armi, furono alloggiati nelle locali scuole elementari. Il prete del luogo, Don Giuseppe Bravi, era anche segretario del C.L.N. locale e garantiva il rispetto degli accordi.
Questo comitato CLN si era autoproclamato tale, non aveva poteri effettivi e le sue garanzie non avevano alcun valore, cosa che il Panzanelli non sapeva. I militi, lasciate le armi, vennero trasferiti nei locali delle scuole elementari del paese in attesa di essere consegnati alle autorità del Regno del Sud o agli eserciti regolari degli Alleati. Erano giorni concitati, giorni di vendetta in cui nessuna garanzia valeva, erano giorni da far west in cui improvvisati giustizieri mietevano vittime in nome di una giustizia che colpiva senza nessun processo.
Fu così che il 28 giunsero a Rovetta, due camion di partigiani provenienti da Lovere, questi si appartenenti al C.L.N. che avevano saputo della presenza dei prigionieri e arrivati in paese chiesero brutalmente la consegna dei prigionieri. Nessuno poteva e forse voleva opporsi, pur sapendo a quale destino i ragazzi, ricordiamoci che andavano da un età di 15 a un massimo di 22 anni, andavano incontro.
Il sottotenente Panzanelli esibì inutilmente la copia dell’atto di resa, che fu fatto a pezzi. Chiese ancora che fosse lui e lui solo a pagare, e sollecitò per i suoi soldati un trattamento equo così come previsto dai patti sottoscritti, ma tutto fu inutile. Dovette così raccogliere dignitosamente gli occhiali e avviarsi al suo crudele destino ; fu fatto poi seguire, divisi a piccoli gruppetti, dai suoi soldati. Don Bravi protestò energicamente solo quando i partigiani gli dissero che avrebbero fucilato i militari conto il muro della chiesa, dicendo che glielo avrebbero sporcato, e per il resto subì e fu parzialmente acquiescente.
Merico Zuccari comandante della Tagliamento con Mussolini
Anche lui si rimangiò la parola: l’importante, per lui, era l’aver scongiurato una futura sconsacrazione della parrocchiale, e tanto gli bastava in quel momento. Cosi dopo feroci maltrattamenti, 43 di loro (uno, Fernando Caciolo, della 5ª Cmp, sedicenne di Anagni, riuscì a fuggire e tre giovanissimi, Chiarotti Cesare, 1931, di Milano, Ausili Enzo, 1928, di Roma e Bricco Sergio, 1929, di Como, vennero risparmiati) vennero condotti presso il cimitero di Rovetta e qui fucilati. Ben 28 di loro avevano meno di 20 anni. L’ultimo ad essere ucciso, dopo aver assistito alla morte di tutti i camerati, fu il Vice brigadiere Giuseppe Mancini, figlio di Edvige Mussolini sorella del Duce.
Dopo la guerra alcuni di quei partigiani ritenuti responsabili della strage furono individuati e processati. Ma la sentenza fu di non luogo a procedere in forza del Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 194 del 12 aprile 1945, firmato da Umberto di Savoia, che in un unico articolo dichiarava non punibili le azioni partigiane di qualsiasi tipo perché da considerarsi “azioni di guerra”.
Fu, cioè, dalla viltà dei giudici, considerata azione di guerra legittima anche il massacro di prigionieri inermi compiuta, per giunta, quando la guerra era ormai terminata. Sotto riportiamo elenco dei 43 legionari della TAGLIAMENTO fucilati.
ANDRISANO Fernando, anni 22 AVERSA Antonio, anni 19 BALSAMO Vincenzo, anni 17 BANCI Carlo, anni 15 BETTINESCHI Fiorino, anni 18 BULGARELLI Alfredo, anni 18 CARSANIGA Bartolomeo Valerio, anni 21 CAVAGNA Carlo, anni 19 CRISTINI Fernando, anni 21 DELL’ARMI Silvano, anni 16 DILZENI Bruno, anni 20 FERLAN Romano, anni 18 FONTANA Antonio, anni 20 FONTANA Vincenzo, anni 18 FORESTI Giuseppe, anni 18 FRAIA Bruno, anni 19 GALLOZZI Ferruccio, anni 19 GAROFALO Francesco, anni 19 GERRA Giovanni, anni 18 GIORGI Mario, anni 16 GRIPPAUDO Balilla, anni 20 LAGNA Franco, anni 17 MARINO Enrico, anni 20 MANCINI Giuseppe, anni 20 MARTINELLI Giovanni, anni 20 PANZANELLI Roberto, anni 22 PENNACCHIO Stefano, anni 18 PIELUCCI Mario, anni 17 PIOVATICCI Guido, anni 17 PIZZITUTTI Alfredo, anni 17 PORCARELLI Alvaro, anni 20 RAMPINI Vittorio, anni 19 RANDI Giuseppe, anni 18 RANDI Mario, anni 16 RASI Sergio, anni 17 SOLARI Ettore, anni 20 TAFFORELLI Bruno, anni 21 TERRANERA Italo, anni 19 UCCELLINI Pietro, anni 19 UMENA Luigi, anni 20 VILLA Carlo, anni 19 ZARELLI Aldo, anni 21 ZOLLI Franco, anni 16
28 aprile 1945, l’eccidio di Rovetta “Io ho perso non solo la guerra, ma la mia città, la mia Dalmazia. Avevo giurato di vincere o di morire.
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paoloxl · 6 years ago
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(via Girodivite: Da Sigonella in poi)
Trump e Putin fanno sul serio? Siamo davvero tornati agli anni della Guerra fredda USA-URSS? Difficile rispondere, ma il “gioco” tra le due parti ha avuto l’effetto di rilanciare la corsa agli armamenti, primi fra tutti quelli nucleari, cancellando con un colpo di spugna i faticosi trattati contro la presenza dei missili atomici nel cuore dell’Europa. Di certo è che non c’è giorno ormai che non si assista alle provocazioni dei velivoli spia statunitensi alle frontiere occidentali della Russia, in Crimea e nel Mar Nero o alle segretissime sortite dei droni sui cieli dell’Ucraina e del Donbass.
L’Italia a parole si appella alla distensione e di certo non intende incrinare le relazioni con le transnazionali moscovite del gas e del petrolio; tuttavia interpreta un ruolo chiave nel supporto delle pericolosissime operazioni di guerra del fraterno alleato USA. Lo fa offrendo una piattaforma di lancio ai nuovi grandi pattugliatori dell’US Navy P-8A “Poseidon” o ai velivoli senza pilota “Global Hawk” che con le loro sofisticate apparecchiature monitorizzano ogni millimetro quadrato di casa Russia. Per il Pentagono la “piattaforma” ha un nome in codice: The Hub of the Med, il fulcro del Mediterraneo, cioè la grande stazione aeronavale di Sigonella che sorge a due passi dalla città di Catania, dove secondo gli accordi Roma-Washington, un’ampia porzione è riservata all’uso esclusivo delle forze armate USA.
Da tempi remoti Sigonella ospita permanentemente una forza aerea per tracciare il movimento navale e dei sottomarini russi nel Mediterraneo e delle unità aeree e terrestri dislocate in Siria. In queste settimane, nell’Hub of the Med il via vai di droni, caccia, elicotteri e “Poseidon” è intensissimo. Nelle acque del basso Tirreno, dello Ionio e del Mediterraneo centrale è in corso una vasta esercitazione NATO dove si simula la caccia ai sottomarini nucleari “nemici” (Dynamic Manta 2019). Giochi di guerra che trasformano la Sicilia in un grande poligono di morte, confermando quanto sostenuto da tempo dai pacifisti dell’Isola: Sigonella è un vero e proprio cancro in metastasi che diffonde ovunque basi, presidi e militarizzazioni. Le esercitazioni USA e NATO dalla stazione aeronavale si propagano infatti alle sue dependance siciliane: il centro operativo USA di Pachino; Niscemi (impianti di telecomunicazioni satellitare e terminale MUOS); Augusta (porto di rifornimento di armi e gasolio per le unità da guerra e i sottomarini nucleari); gli scali aerei di Catania-Fontanarossa, Trapani-Birgi, Pantelleria e Lampedusa; i poligoni di Piazza Armerina e Punta Bianca (Agrigento), ecc..
Sigonella è tutto questo ed è altro. La base ospita oggi ben 34 comandi strategici con oltre 5.000 militari statunitensi; per importanza è il “secondo più grande comando militare marittimo al mondo dopo quello del Bahrain”, come spiega il Pentagono. L’area geografica d’intervento è imponente: dall’Oceano Atlantico al Mediterraneo, dal continente africano all’Est Europa, al Medio oriente e al Sud est-asiatico. Dal sanguinoso conflitto in Vietnam non c’è stato scenario bellico in cui l’hub di Sigonella non ha esercitato un ruolo centrale: contro la Libia di Gheddafi negli anni ’80; in Libano nell’82; la prima e la seconda guerra del Golfo; i bombardamenti alleati in Kosovo e in Serbia nel 1999 e quelli in Afghanistan, Iraq e Siria nel XXI secolo; le campagne USA nelle regioni sub-sahariane e in Corno d’Africa; la liquidazione finale del regime libico del 2011 e gli odierni ripetuti raid in Cirenaica e Tripolitania con l’utilizzo dei famigerati droni-killer (nel solo periodo compreso tra l’agosto e il dicembre 2016, nel corso dell’offensiva contro le milizie filo-ISIS presenti nella città di Sirte, gli USA hanno effettuato ben 495 attacchi missilistici, il 60% die quali grazie ai droni Reaper – falciatrici decollati in buna parte dalla Sicilia).
Negli ultimi anni la base siciliana è stata trasformata in uno dei maggiori centri del pianeta per il comando e il controllo dei velivoli senza pilota che hanno inesorabilmente modificato il senso stesso della guerra, automatizzandola e disumanizzandola sempre più. A Sigonella operano i droni spia e killer della marina e dell’aeronautica USA e da un anno circa anche l’UAS SATCOM Relay Pads and Facility per le telecomunicazioni via satellite e le operazioni di tutti i velivoli senza pilota della CIA e del Pentagono in ogni angolo della Terra. La facility consente la trasmissione dei dati necessari ai piani di volo e di attacco dei nuovi sistemi di guerra, operando come “stazione gemella” del sito tedesco di Ramstein e del grande scalo aereo di Creech (Nevada). Entro l’estate 2019 a Sigonella diverrà operativo pure il sofisticato sistema di comando, controllo ed intelligence AGS (Alliance Ground Surveillance) della NATO, il programma più costoso della storia dell’Alleanza atlantica. L’AGS si articolerà in stazioni di terra fisse, mobili e trasportabili per la pianificazione e il supporto operativo alle missioni, più una componente aerea con cinque Global Hawk di ultima generazione.
Determinante pure il ruolo assunto nell’ambito dei programmi di supremazia nucleare degli Stati Uniti d’America. Segretamente, senza che mai il governo italiano abbia ritenuto doveroso informare il Parlamento e l’opinione pubblica, nel 2018 è entrato in funzione a Sigonella la Joint Tactical Ground Station (JTAGS), la stazione di ricezione e trasmissione satellitare del sistema di “pronto allarme” per l’identificazione dei lanci di missili balistici da teatro con testate nucleari, chimiche, biologiche o convenzionali. Una specie di scudo protettivo tutt’altro che difensivo: grazie al controllo “preventivo” di ogni eventuale operazione missilistica “nemica” diventa praticabile scatenare il primo colpo nucleare evitando o limitando la ritorsione avversaria e dunque i pericoli della cosiddetta “Mutua distruzione assicurata” che sino ad oggi ha impedito l’olocausto atomico mondiale. Inoltre dal maggio 2001 nella base siciliana è stata trasferita una delle 15 stazioni terrestri del Global HF System, il sistema di comunicazioni in alta frequenza creato dalla US Air Force per integrare la rete del Comando aereo strategico e assicurare il controllo su tutti i velivoli e le navi da guerra. Uno degli aspetti più rilevanti del sistema GHF è quello relativo alla trasmissione degli ordini militari che hanno priorità assoluta, primi fra tutti i messaggi SkyKing che includono i codici di attacco nucleare.
Anche l’Unione europea e le agenzie per il controllo delle frontiere hanno puntato su Sigonella per potenziare le proprie attività di controllo e contrasto armato delle migrazioni nel Mediterraneo. Nella base siciliana sono stati dislocati infatti le unità e i velivoli con e senza pilota impiegati nell’ambito della forza aeronavale EunavforMed (Operazione Sophia); dal settembre 2013, lo scalo siciliano fornisce inoltre il supporto tecnico-operativo ai diversi assetti di Frontex provenienti da alcuni paesi Ue (Operazione Triton). Anche l’Aeronautica italiana ha contribuito attivamente nella trasformazione di Sigonella in base strategica della nuova guerra totale ai migranti e alle migrazioni. Qui è stato costituito in particolare il 61° Gruppo Volo Ami, dotato di droni MQ-1C “Predator”, allo scopo di “consolidare e rafforzare il dispositivo di sicurezza nazionale per l’attività di sorveglianza nell’area del Mediterraneo”. Da un anno anche il 41° Stormo Antisom di Sigonella ha un suo nuovo sistema d’arma ultratecnologico: il  pattugliatore marittimo ognitempo P-72A che gli strateghi sperano di utilizzare presto a supporto delle proiezioni a tutto campo delle forze armate italiane. Dulcis in fundo, nella stazione siciliana è stato istituito lo Squadrone Carabinieri Eliportato Cacciatori Sicilia con un ampio ventaglio di funzioni: “l’antiterrorismo, la ricerca dei grandi latitanti di Cosa Nostra, la prevenzione e la repressione dei reati, il concorso nel soccorso in caso di pubbliche calamità, ecc.”. Interventi che riproducono quella nuova condizione di hot peace, cioè il “trasferimento di competenze dal settore civile alle istituzioni militari” ampiamente descritto dalla ricercatrice tedesca Jacqueline Andres Carlo in un suo recente saggio su The Hub of The Med. Una letterua della geografia militare statunitense in Sicilia (editore Sicilia Punto L). “Operazioni diverse dalla guerra, ma che nei fatti sono vere e proprie nuove forme e azioni di guerra sotto i comandi delle forze armate italiane, Ue, USA e NATO”, spiega Andres Carlo. “Così come l’avanzamento della guerra all’immigrazione irregolare fino alle misure prese nei confronti del terrorismo marittimo ha avuto come ulteriore conseguenza l’assoggettamento dell’intero Mediterraneo alle politiche di securizzazione e sorveglianza quasi assoluta degli spazi pubblici…”.
Sigonella si erge ad emblema delle moderne dottrine sui conflitti: globali, totalizzanti, onnicomprensivi, dove il “nemico” è ovunque e può essere chiunque. Dove gli spazi di espressione, libertà e agibilità politica degli stessi cittadini si riducono a zero e il pianeta accelera la sua folle corsa verso il baratro e l’annientamento di ogni forma di vita.
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purpleavenuecupcake · 5 years ago
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Non dimentichiamo il Kosovo dove oggi si sopravvive con 300 euro al mese
(di Massimiliano D'Elia) La situazione in Kosovo è apparentemente molto tranquilla anche se è forte il risentimento dei kosovari albanesi nei confronti di quelli serbi e viceversa. Gli albanesi, specialmente le giovani generazioni, nutrono e covano di giorno in giorno, un risentimento difficile da controllare e addomesticare.  Quello che i serbi hanno fatto ai loro genitori, ai loro parenti più anziani pesa come un macigno irremovibile poiché  i segni e le ferite  di quella terribile guerra, quel terribile massacro, sono ancora riscontrabili dalle testimonianze dei loro cari e visibili dalle lapidi presenti nei cimiteri improvvisati a cielo aperto, nei giardini delle loro case. Ma anche i serbi hanno subito, da parte dei miliziani albanesi delll'Uck e non solo, inenarrabili  violenze che ancora fanno male e sono difficili da dimenticare. Il Kosovo oggi, però, vuole rialzarsi, cercando di lasciare indietro il passato, desideroso di delineare una propria identità, nonostante le innumerevoli contraddizioni dovute alle diverse etnie che compongono la sua popolazione. Un  nuovo Governo si è insediato agli inizi di febbraio  con a capo Albin Kurti che può contare del sostegno di una coalizione politica eterogenea composta anche da liste politiche sostenute dai serbi del Kosovo. Una scommessa quella di Albin Kurti, una sfida, quale unica possibilità per placare i sentimenti di vendetta esistenti, con un nuovo inizio virtuoso per tutti i kosovari. L'economia,  in costante crescita, sta cercando di porre basi solide per garantire, ai governi che si succederanno, la possibilità di  poter pianificare uno sviluppo strutturale e sostenibile nel tempo. Occorre favorire politiche di sviluppo, in sintonia e con l'ombrello dell'Unione Europea, combattendo senza sosta  la corruzione che è dilagante a tutti i livelli. E' di ieri la notizia dell'arresto di un numero imprecisato di poliziotti dediti alle "mazzette". Le parole del presidente Kurti, durante il suo insediamento, rendono meglio l'idea di una zona dell'Europa ad alto rischio di infiammabilità. Kurti se da un lato  ha annunciato la necessità di dover intraprendere colloqui con Belgrado dall'altro ha ribadito la necessità di interessare la Comunità Internazionale per istituire dei Tribunali Penali Internazionali ad hoc per giudicare e condannare tutti coloro che si sono macchiati di crimini contro la popolazione civile, durante la guerra.  Kurti ha anche parlato dell'istituzione di un esercito regolare kosovaro.  Di fronte alle rimostranze degli alleati di governo delle liste serbe per via dell'annuncio dell'esercito kosovaro e dei tribunali ad hoc, Kurti  ha dovuto mediare annunciando che è sua intenzione favorire la reciprocità tra gli scambi commerciali tra Pristina e Belgrado. Il vulnus sono  i prodotti serbi venduti in Kosovo che per ovvii motivi subiscono  una tassazione altissima. Laddove si riuscisse davvero  a raggiungere un equanime accordo di reciprocità commerciale ne potrebbero giovare tutti con un interscambio pari a circa 400 milioni di euro. L'Unione Europea è molto attiva in questo ambito e  per invogliare il processo di pacificazione e di relazione, ha firmato accordi commerciali con la Serbia per 118 milioni di euro, ponendo come condizione l'avvio di nuovi colloqui tra Pristina e Belgrado. La Serbia, tuttavia, tra le tante promesse annunciate e le flebili aperture  non disdegna di mandare messaggi "subliminali" a mezzo stampa. Il ministro della Difesa Serbo, Aleksandar Vulin, ha dichiarato ieri che la Serbia, anche nel corso del 2020, continuerà il processo di ammodernamento delle sue Forze Armate, specialmente per quanto riguarda l'aeronautica. Ha terminato il suo messaggio dicendo: "siamo già pronti per le sfide future". Nel Kosovo  nonostante le belle parole dei politici si registra, ancora nella vita comune, un continuo processo di emarginazione di tutti i serbi kosovari: sono tenuti al margine della società e  discriminati. Di fronte al persistere  di queste antipatiche situazioni sociali occorre lavorare per garantire una  prosperità universale, favorendo uno sviluppo economico strutturale e sostenibile dell'intera area, cercando di alzare gli stipendi ai propri cittadini senza distinzione di razza ed etnia (un professore di scuole superiori in Kosovo, oggi nel 2020, guadagna poco più di 300 euro al mese). Per fortuna la NATO nel lontano 1999 si è insediata stabilmente in Kosovo dove, con diverse missioni e circa 30 paesi impegnati, compresi i partner non facenti parte dell'Alleanza,  ha riportato il Paese ad una progressiva pacificazione favorendo il ripristino dei servizi essenziali garantendo  continuo sostegno alle autorità delle varie municipalità. Oggi  la sicurezza è assicurata dalla polizia kosovara, addestrata negli anni dalla NATO, e dalle unità della missione Eulex.  KFOR interviene solo nei casi di emergenza come terza possibilità. Molto attivi nei vari processi di riavvicinamento del Kosovo alla Serbia, all'Ue e alla NATO sono Germania, Italia, Francia e Usa. Sorniona e guardinga è la Russia di Putin,  molto attiva con i musulmani kosovari la Turchia di Erdogan, entrambi, però, non vogliono sentir parlare di Tribunali Penali Internazionali ad hoc e di un esercito regolare del Kosovo. Una speranza però viene data anche dal Comando KFOR  RC-W a Pec, guidato dal colonnello dell'Esercito italiano, Natale Gatti che solo pochi giorni fa ha consegnato come donazione Cimic (cooperazione civile militare) al liceo ‘Haxhi Zeka’ di Rugova,  18 nuovi computer : “Sono contento di essere qui con voi. Vedendo voi vedo il futuro di questo Paese. Quello di oggi e’ un piccolo contributo per questa comunita’, ma il resto dovete farlo voi. I giovani sono una priorita’ per Kfor“. Così ha replicato sindaco Rugova, che nello stesso liceo è stato studente e poi insegnante: "Grazie Comandante. Siamo riconoscenti per quello che state facendo per noi. L’investimento nella gioventu’ e’ il futuro“. KFOR in Kosovo L'Operazione KFOR è iniziata all'alba del 12 giugno 1999. Il contingente italiano entrava in Kosovo alla mezzanotte dello stesso giorno e raggiungeva la città di Pec il mattino del 14 giugno. In precedenza le truppe NATO erano schierate nella FYROM (dicembre 1998) per assicurare, nell'ambito dell'operazione "Joint (Determined) Guarantor" (sotto comando dell'Allied Rapid Reaction Corps), l'evacuazione in emergenza degli osservatori OSCE dal Kosovo e successivamente il supporto alle organizzazioni umanitarie per l'assistenza ai profughi usciti dal Kosovo. Dal settembre 1999 e fino alla costituzione del  NATO Headquarters Tirana (giugno 2002) alla KFOR risaliva anche la responsabilità dell'operazione NATO in Albania denominata Communication Zone West (COMMZ-W) a guida italiana. Alla fine del 2004, in occasione del termine dell'operazione "Joint Forge" in Bosnia & Erzegovina, con il passaggio delle responsabilità delle operazioni militari dalle forze NATO (SFOR) a quelle della Unione Europea (EUFOR), le autorità NATO decisero di raggruppare tutte le operazioni condotte nell'area balcanica in un unico contesto operativo (definito dalla Joint Operation Area), dando origine il 5 aprile 2005 all'operazione "Joint Enterprise" che comprendeva le attività di KFOR, l'interazione NATO-UE, e i NATO HQ's di Skopje, Tirana e Sarajevo. Dal maggio 2006 è stata avviata la ristrutturazione delle forze che ha visto la trasformazione delle forze militari internazionali in Kosovo da 4 Multinational Brigades a 5 Multinational Task Forces. Dal 10 gennaio 2010, pur rimanendo inalterati missione e compiti, il livello ordinativo delle Multinational Task Forces è stato ridotto a Multinational Battle Groups (MNBGs) su base Reggimento. In relazione agli sviluppi di situazione connessi con la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, proclamata unilateralmente il 17 febbraio 2008, e la successiva entrata in vigore della relativa Costituzione il 15 giugno 2008, la presenza delle forze NATO è stata incrementata. Dal 1 marzo 2011 ad agosto 2019 KFOR schierava in Kosovo due Multinational Battle Group (di cui uno a comando italiano), un Reggimento Carabinieri MSU (composto esclusivamente da militari dell'Arma dei Carabinieri), un Reggimento con funzioni di Riserva Tattica (multinazionale), tre unità multinazionali Joint Regional Detachment (JRDs) di cui uno a leadership italiana. Il 15 agosto 2019, con la ristrutturazione della catena di Comando e Controllo, i Multinational Battle Group si sono trasformati in Regional Command (RC). Inoltre i comandi multinazionali JRDs sono stati soppressi e le unità da loro dipendenti (Liaison and Monitor Team – LMT) sono transitati sotto il comando dei Regional Command. All'operazione "Joint Enterprise" in Kosovo partecipano attualmente 30 Paesi, con un impegno complessivo di forze che oggi ammonta a circa 4000 unità. Dallo scorso 6 settembre 2013 il nostro Paese ha assunto il comando dell'intera missione KFOR e l'attuale Comandante è il Generale di Divisione dell'Esercito Michele Risi, alle cui dipendenze operano 30 nazioni delle quali 22 appartenenti alla NATO ed 8 partner. Read the full article
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jamariyanews · 7 years ago
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Ha già votato la Nato prima di noi
  di Manlio Dinucci
Rete Voltaire| Roma (Italia) | 21 febbraio 2018  français  Português  English  Deutsch  Español 
C’è un partito che, anche se non compare, partecipa di fatto alle elezioni italiane: il Nato Party, formato da una maggioranza trasversale che sostiene esplicitamente o con tacito assenso l’appartenenza dell’Italia alla Grande Alleanza sotto comando Usa. Ciò spiega perché, in piena campagna elettorale, i principali partiti hanno tacitamente accettato gli ulteriori impegni assunti dal governo nell’incontro dei 29 ministri Nato della Difesa (per l’Italia Roberta Pinotti), il 14-15 febbraio a Bruxelles.
I ministri hanno prima partecipato al Gruppo di pianificazione nucleare della Nato, presieduto dagli Stati uniti, le cui decisioni sono sempre top secret. Quindi, riunitisi come Consiglio Nord Atlantico, i ministri hanno annunciato, dopo appena due ore, importanti decisioni (già prese in altra sede) per «modernizzare la struttura di comando della Nato, spina dorsale della Alleanza». Viene stabilito un nuovo Comando congiunto per l’Atlantico, situato probabilmente negli Stati uniti, allo scopo di «proteggere le linee marittime di comunicazione tra Nord America ed Europa». Si inventa in tal modo lo scenario di sottomarini russi che potrebbero affondare i mercantili sulle rotte transatlantiche. Viene stabilito anche un nuovo Comando logistico, situato probabilmente in Germania, per «migliorare il movimento in Europa di truppe ed equipaggiamenti essenziali alla difesa». Si inventa in tal modo lo scenario di una Nato costretta a difendersi da una Russia aggressiva, mentre è la Nato che ammassa aggressivamente forze ai confini con la Russia. Su tale base saranno istituiti in Europa altri comandi della componente terrestre per «migliorare la risposta rapida delle nostre forze». Previsto anche un nuovo Centro di Cyber Operazioni per «rafforzare le nostre difese», situato presso il quartier generale di Mons (Belgio), con a capo il Comandante supremo alleato in Europa che è sempre un generale Usa nominato dal presidente degli Stati uniti. Confermato l’impegno ad accrescere la spesa militare: negli ultimi tre anni gli alleati europei e il Canada l’hanno aumentata complessivamente di 46 miliardi di dollari, ma è appena l’inizio. L’obiettivo è che tutti raggiungano almeno il 2% del pil (gli Usa spendono il 4%), così da avere «più denaro e quindi più capacità militari». I paesi europei che finora hanno raggiunto e superato tale quota sono: Grecia (2,32%), Estonia, Gran Bretagna, Romania, Polonia. La spesa militare dell’Unione europea — è stato ribadito in un incontro con la rappresentante esteri della Ue Federica Mogherini — deve essere complementare a quella della Nato. La ministra Pinotti ha confermato che «l’Italia, rispettando la richiesta Usa, ha cominciato ad aumentare la spesa per la Difesa» e che «continueremo su questa strada che è una strada di responsabilità». La via dunque è tracciata. Ma di questo non si parla nella campagna elettorale. Mentre sull’appartenenza dell’Italia all’Unione europea i principali partiti hanno posizioni diversificate, sull’appartenenza dell’Italia alla Nato sono praticamente unanimi. Questo falsa l’intero quadro. Non si può discutere di Unione europea ignorando che 21 dei 27 paesi Ue (dopo la Brexit), con circa il 90% della popolazione dell’Unione, fanno parte della Nato sotto comando Usa. Non si possono ignorare le conseguenze politiche e militari — e allo stesso tempo economiche, sociali e culturali — del fatto che la Nato sta trasformando l’Europa in un campo di battaglia contro la Russia, raffigurata come un minaccioso nemico: il nuovo «impero del male» che attacca dall’interno «la più grande democerazia del mondo» con il suo esercito di troll.
Manlio Dinucci
Fonte Il Manifesto (Italia)
Preso da: http://www.voltairenet.org/article199807.html http://ift.tt/2F4VZb9
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corallorosso · 7 years ago
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8 Settembre 1943 « Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza.» Proclama Badoglio dell'8 settembre 1943 La fuga di Vittorio Emanuele III e il Regno del Sud La fuga dalla Capitale dei vertici militari, del Capo del Governo Pietro Badoglio, del Re Vittorio Emanuele III e di suo figlio Umberto dapprima verso Pescara, poi verso Brindisi, e la confusione, provocata soprattutto dall'utilizzo di una forma che non faceva comprendere il reale senso delle clausole armistiziali e che fu dai più invece erroneamente interpretata come indicazione della fine della guerra, generarono ulteriore confusione presso tutte le forze armate italiane in tutti i vari fronti sui quali ancora combattevano: lasciate senza precisi ordini, si sbandarono. 815 000 soldati italiani vennero catturati dall'esercito germanico, e destinati a diversi Lager con la qualifica di I.M.I. (internati militari italiani) nelle settimane immediatamente successive. Più della metà dei soldati in servizio nella penisola abbandonarono le armi e tornarono alle loro case in abiti civili. La ritorsione da parte degli ormai ex-alleati tedeschi, i cui alti comandi, come quelli italiani, avevano appreso la notizia dalle intercettazioni del messaggio radio di Eisenhower, non si fece attendere: fu immediatamente messa in atto l'Operazione Achse ("asse"), ovvero l'occupazione militare di tutta la penisola italiana e il 9 settembre fu affondata la Corazzata Roma, alla quale nella notte precedente era stato ordinato, assieme a tutta la flotta della Regia Marina, di far rotta verso Malta in ottemperanza alle clausole armistiziali anziché, come precedentemente stabilito, attaccare gli alleati impegnati nello sbarco di Salerno. Nelle stesse ore una piccola parte delle forze armate rimase fedele al Re Vittorio Emanuele III come la Divisione Acqui sull'isola di Cefalonia dove fu annientata; una parte si diede alla macchia dando vita alle prime formazioni partigiane come la Brigata Maiella; altri reparti ancora, soprattutto al nord, come la Xª Flottiglia MAS e la MVSN, scelsero di rimanere fedeli al vecchio alleato e al fascismo. Nonostante il proclama di Badoglio, gli alleati impedirono una massiccia e immediata scarcerazione dei prigionieri di guerra italiani. wikipedia
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