#Ciccio Romano
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FLORIDIA. “E LA SERA ANDAVAMO AL BAR ROMA”
Cambio di guardia allo storico caffè del Viale. La gestione passa da Salvo Romano a Francesco Romano. La storia continua Oggi il passaggio di consegne fra Salvo e Francesco Romano allo storico Bar Roma: “Sono stati tutti giorni bellissimi – racconta Salvo Romano – e ricorderò sempre con gioia questi anni”. Dal canto suo, la “nuova gestione”, quella di Francesco, assicura continuità…
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25 giu 2024 17:02
“SO ESSERE CONCAVO CON I CONVESSI E CONVESSO E CON I CONCAVI” – CICCIO BONGARRÀ CONFESSIONS: “HO UNO ZIO PRETE E A 15 ANNI CONOBBI IL VICEDIRETTORE DELL'OSSERVATORE ROMANO CHE MI MANDÒ A FARE UN'INTERVISTA. NEL ’92, A 18 ANNI, LAVORAVO COME CORRISPONDENTE PER IL GIORNALE DEL VATICANO DA PALERMO" - "FRANCESCO COSSIGA? TUTTI ALL’ANSA ERANO TERRORIZZATI. AVEVO 27 ANNI, MI AVEVANO ASSUNTO DA DUE GIORNI E ME LO SMOLLARONO AL TELEFONO. DOPO 40 MINUTI SI PRESENTÒ PER INCONTRARMI E RIMANEMMO A RACCONTARCI LA VITA” – QUELLA VOLTA CHE SUONÒ BACH A CASA DI RATZINGER, IN GERMANIA, E IL NUOVO INCARICO COME DIRETTORE DELL’ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO A LONDRA: “IL SEGRETO È LA CURIOSITÀ. E POI CONTA LA PERSEVERANZA..."
Estratto dell’articolo di Irene Carmina per https://palermo.repubblica.it/
[…] Francesco Bongarrà — Ciccio per gli amici — […] è un’autobiografia vivente. E parlante. Ha suonato la spinetta a casa Ratzinger, facendo commuovere il fratello del papa, è andato al McDonald’s con l’amico presidente Cossiga. Persino Wojtyla sapeva chi fosse.
Cinquant’anni tondi tondi, nato a Palermo, si è fatto strada sin da giovanissimo nel giornalismo: prima come corrispondente da Palermo per “L’Osservatore Romano”, la “Reuters”, il “Times” e la “BBC”, poi come addetto stampa dell’ex sindaco Leoluca Orlando, infine per 23 anni come giornalista parlamentare dell’Ansa.
Nel 2024 inizia la sua seconda vita. È il 28 dicembre del 2023 e Bongarrà lascia Montecitorio, con l’applauso della Camera a salutarlo. “London calling”: Bongarrà è il nuovo direttore dell’Istituto italiano di Cultura a Londra.
Si è ambientato a Londra?
«Bazzico da queste parti da 12 anni, avendo insegnato all’Imperial college e alla Bayes Business School. Qualche giorno fa sono stato anche nominato visiting professor al Pembroke College, uno dei college più prestigiosi dell’università di Cambridge».
Nel suo curriculum si legge, tra le altre cose, che è stato ambasciatore della Repubblica di San Marino in Perù, rappresentante della Repubblica di San Marino presso l’Organizzazione marittima internazionale, consulente del Sovrano militare dell’Ordine di Malta ed è stato insignito con varie onorificenze tra cui quella di Grande ufficiale e di commendatore della Repubblica italiana. Come minimo, deve avere molti di più degli anni che dice.
«Ho iniziato presto».
Quando?
«A 12 anni. Mi inventai un programma radiofonico tutto mio, “Bimbomix”, a Mistretta, dove passavo l’estate con i miei genitori. La radio trasmetteva dal campanile della chiesa di Santa Caterina e dalle 2 alle 4 del pomeriggio, mentre la gente si appisolava, mi divertivo a mettere dischi e a leggere il giornale. A 14 anni iniziai a fare interviste per “Radio voce nostra”, poi diventata “Radio spazio noi”, che trasmetteva dal palazzo arcivescovile. L’aveva appena aperta il cardinale Pappalardo che conoscevo perché spesso celebrava la messa nella chiesetta di via Oreto dove sono cresciuto».
Un enfant prodige praticamente, cresciuto a pane, giornalismo e chiesa.
«Ho uno zio prete e a 15 anni durante un viaggio a Roma conobbi il vicedirettore dell’Osservatore romano. Mi mandò a fare un’intervista. Nel ’92 lavoravo come corrispondente per il giornale del Vaticano da Palermo: era l’anno delle stragi di mafia».
L’anno dopo incontrò papa Wojtyla ad Agrigento.
«[…] Me lo presentò il direttore dell’Osservatore, Mario Agnes. Wojtyla mi guardò: “Abbiamo letto, abbiamo letto”».
[…] Wojtyla suo lettore, Ratzinger […] quasi uno di famiglia, visto che ci andò a casa quando lavorava all’Ansa.
«Fumata bianca, Ratzinger è il nuovo papa. È il 19 aprile del 2005 e mi dicono di correre nel suo paese natale, Marktl, in Baviera. Proprio io, perché parlo il tedesco che ho imparato stando vicino all’ex sindaco Orlando per quattro anni da workaholic in qualità di suo addetto stampa. Non ci sono aerei ma, con l’aiuto di Cossiga, riesco ad arrivare a destinazione.
A Marktl incontro un pensionato dell’Albergheria che il giorno dopo mi porta dal fratello del papa, a Ratisbona. Riesco a entrare a casa sua, tirando fuori dal portafoglio un tesserino con lo stemma del Vaticano. Tombola. Finisce che suono Bach alla spinetta e faccio un grande scoop».
[…] Cossiga […]. Eravate amici?
«Molto. Tutti all’Ansa erano terrorizzati dalle sue dichiarazioni dettate al telefono. Avevo 27 anni, mi avevano assunto da due giorni e mi smollarono Cossiga al telefono».
Che le disse?
«“Con questo accento non puoi essere siciliano, devi essere scozzese”. Mi disse così dopo che esclamai “bloody hell”, “maledizione”, mentre trascrivevo le sue parole. Dopo 40 minuti si presentò per incontrarmi e rimanemmo a raccontarci la vita dalle 10 di mattina alle 9 di sera. Un mostro, un teologo. Quando si dimise mi chiamò la mattina all’alba perché lo raggiungessi. Abitava in una casa a Prati, borghese ma non lussuosa, piena di soldatini di piombo e di gadget elettronici. La cosa che gli piaceva di più era un vaso che gli aveva regalato Craxi da Hammamet».
[…] «[…] Una volta andai a Siviglia con l’allora assessore allo Sport, Giovanni Ferro. Lui non parlava inglese e bisognava presentare la candidatura di Palermo per i mondiali di mezza maratona. Allora il presidente della federazione di atletica leggera, Primo Nebiolo, propose: “Facciamo così, tu sei l’assessore e Ferro è l’addetto stampa di Orlando”. E così facemmo davanti a un’intera platea».
Dove la mettono, lei riesce. Come fa?
«So essere concavo con i convessi e convesso e con i concavi: mi adatto all’interlocutore. Il segreto vero, però, è la curiosità. Devi avere sempre la voglia di conoscere. E poi conta la perseveranza: non mollare mai. Mi sarebbe piaciuto da ragazzo andare a ballare e fare tardi la sera, ma non l’ho fatto sapendo che alle sei del mattino dovevo leggermi i giornali. E lo faccio ancora. Sono un cronista, anche se ora dirigo l’Istituto italiano di Cultura a Londra».
È soddisfatto del suo lavoro a Londra?
«Ho una squadra pazzesca. Assieme alle mie due giovani colleghe del ministero degli Esteri, stiamo lanciando iniziative a 360 gradi. Mostre d’arte contemporanea, rappresentazioni teatrali, presentazioni di libri italiani in inglese […]. Londra è la quinta città d’Italia: nel Regno unito vivono 530mila italiani. La nostra […] è una mission complessa: dobbiamo raccontare la nostra politica culturale agli inglesi, mostrandogli quanta avanguardia esiste in Italia. […]».
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Alla scoperta della band siciliana Eva Mora
La nuova puntata di Sommessamente, il podcast di Cinque Colonne Magazine vede come grandi protagonisti gli Eva Mora. Con loro parleremo della loro musica e del loro ultimo brano dal titolo "Appesa". “Non c’è nulla di ironico nell’essere appesi a qualcuno che è diventato il fulcro della nostra vita, - dice la band per presentare il loro nuovo brano - piuttosto questa situazione diventa soffocante e fa nascere una forte voglia di libertà”. Musica e testo sono della band, mentre il singolo è stato prodotto da Ciccio Leo. Il mix è di Riccardo Piparo, mentre il master di Roberto Romano. Il brano Il nuovo brano, con cui la band ha partecipato alle selezioni di Area Sanremo, svela un nuovo lato della band, quello introspettivo. La canzone è un vero e proprio sfogo, riprende la tematica trattata in “Cosa sei” travestendola di una sincerità ancora più marcata. https://www.youtube.com/watch?v=mVuNosYFNSg Ascolta il nostro podcast Gli ospiti di oggi Eva Mora Eva Mora è un trio musicale nato nel 2021 e composto da Raffaella Poma (voce e basso), Gregorio Piscitello (chitarra e altri strumenti) e Santi Orlando (batteria e electr. drums). Il 2015 è l'anno in cui i tre membri hanno cominciato a lavorare insieme a diversi progetti musicali fino ad arrivare alla formazione attuale che si pone l'obiettivo di evolvere dal punto di vista artistico e di rilasciare la propria musica. Read the full article
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Santo Stefano protomartire
Oggi festeggiamo Santo Stefano, protomartire (il primo dei martiri cristiani), santo titolare di Santo Stefano del Cacco, il Quai des Orfévres del Dottor Francesco “Don Ciccio” Ingravallo, comandato alla mobile, e cioè il Maigret gaddiano, “ubiquo ai casi, onnipresente sugli affari tenebrosi”. Posta in prossimità del Collegio Romano, tra il Pantheon e l’Altare della Patria, la Chiesa presentava in origine un simulacro in pietra di un cinocefalo, una testa di cane con cui era in uso raffigurare il dio egizio Anubi, che la popolazione scambiò per un macaco, poi storpiato in “cacco”: Santo Stefano del macaco. Santo Stefano fu lapidato a morte per mano della tribù israelita di Saulo, che prima di diventare San Paolo fu un noto persecutore di cristiani e fu “tra coloro che approvarono la sua uccisione.” (Giovanni 8:1): i primi cristiani i martiri se li fabbricavano in casa.
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Romano Scarpa - Esquisse originale pour ''Una baita per Ciccio'', publié dans ''Topolino'' N°2161, 1997 - Source Liveauctioneers.
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Mai na gioia 141
Mai na gioia 141
Ursula Von che pare una casalingua inquieta anni Sessanta, a metà strada tra Mrs. Robinson e Gudrun Himmler. Giorgina Merdoni con quell’aria da imperatrice di Palmyra al suo ingresso a Cernobbio che, con un mezzo saluto romano, tiene ben alta ‘na borsa che pare una carpisa. Ciccio Calenda e il suo complice con quelle facce da onanisti da sala a luci rosse, quando la maschera gli punta contro la…
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Sanremo 2022 - Le pagelle della seconda serata
Anche la seconda serata di Sanremo 2022 è volta via. Il che non è male, se ci pensi. Qui sotto trovate le pagelle, rigorosamente semiserie.
Sangiovanni 3. Dopo Malibù ha ancora tante colpe da espiare. In estate accendevo la radio con la mascherina sulle orecchie per evitare di entrare in contatto con quella roba. Non ho capito granché della canzone perché sembrava trascinare le parole come me alle interrogazioni di latino al liceo. Io almeno avevo la scusa di aver imparato le concordanze come Mughini ad accoppiare i calzini, lui non so.
Giovanni Truppi: 6,5. Si presenta in canotta, con l’aria punk che quel palco ha visto pochissime volte. Poi canta un pezzo che quasi ti scioglie e lo fa con stile assoluto.
Le Vibrazioni: 5. Anche Francesco Sarcina ha troppe colpe, che partono più o meno da Dedicato a te. Solo che lui ogni tanto tira fuori qualcosa di almeno ascoltabile. Potrebbe essere questo il caso. Solo che ieri sera l’hanno cantato abbondantemente a cazzo (una delle altre colpe di Sarcina è che live azzecca una nota ogni cinque più o meno). Da rivedere, insomma.
Emma Marrone: 2. Ensomma. Mettici pure che dirige l’orchestra la Michielin, che non è esattamente Wilhelm Furtwangler, e la frittata è servita.
Matteo Romano: 3. Si scrive Matteo Romano, si legge TikTok fa più danni della grandine. Il pezzo si chiama “Virale” ma tra due giorni se lo dimentica anche lui. Bella storia, ciccio.
Iva Zanicchi: 5. “Eh, ma la Zanicchi sa cantare”. “Sì, ma se poi pensi che il pezzo probabilmente è dedicato a Hitler e Mussolini ti passa“. Tratto da una storia vera (cit). Cercando di essere seri (ogni tanto mi capita), le doti canore non stiamo qui a discuterle perché sarebbe da deficienti. Solo che – e spero mi capirete – i suoi pezzi non sono mai riuscito ad ascoltarli e non ho intenzione di iniziare a farlo proprio adesso.
Donatella Rettore feat. Ditonellapiaga: 6,5. Cazzo, almeno si balla. Il ritornello ti entra in testa. Un’accoppiata strana, ma che sembra funzionare. Non da top 10, diciamocelo. Ma comunque si lascia ascoltare.
Elisa: 9. La sua voce patrimonio UNESCO e siamo tutti contenti.
Fabrizio Moro: 5. Il giudizio su Moro è sempre molto semplice. Prendi un voto che gli hai già dato e glielo rimetti. Un po’ come fa lui con i suoi pezzi. Li prende e li riutilizza all’infinito. Sempre gli stessi.
Tananai: 0. Oltre l’inascoltabile. Una delle robe peggiori che sia mai salita su quel palco. Praticamente è l’amico che dopo 7 Gin Tonic prende in mano il microfono al karaoke e fa il devasto prima di correre a sboccare l’anima nel retro del locale.
Irama: 3. Entra vestito da centrotavola. Ed era meglio facesse solo il soprammobile.
Aka 7even: 2. Dici ti becchi Tananai, Irama e Aka7even uno dopo l’altro. Dici che rivaluti due anni di pandemia pensando che comunque esista il peggio. Dici che comunque speri che trovino una cura alla svelta.
Highsnob feat. Hu: 6. Sembrano un po’ i Coma_Cose. Funzionano, ma non convincono tantissimo. Da rivedere anche loro, ma con buone aspettative.
Amadeus: 3. Le gag hanno stancato. Anche perché son sempre le stesse da tre anni a questa parte.
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San Valentino di Terni, detto anche san Valentino da Terni o san Valentino da Interamna (Terni, ... – Roma, 14 febbraio 347), è stato un vescovo e martire cristiano: qui in versione Ciccio-Valentino from Terni 😻😻😻 La più antica notizia di ♥️Valentino di Terni♥️ è nel Martyrologium Hieronymianum, un documento ufficiale della Chiesa dei secc. V-VI dove compare il suo nome, la città di sepoltura e il dies Natalis, cioè il giorno della morte, il 🫀14 febbraio. Ancora nel secolo VI un altro documento, la Passio Sancti Valentini episcopi et martirio (BHL 8460) [3], ci narra alcuni particolari del martirio: la tortura, la decapitazione notturna e di nascosto, la sepoltura a ♥️Terni ad opera dei discepoli Procolo, Efebo e Apollonio, il successivo martirio di costoro e la loro sepoltura sempre in ♥️Terni. La vicenda di Valentino di Terni si è per secoli confusa e accavallata con quella di un altro martire, un prete romano di cui si fa menzione nella spuria "Passione di Mario e Marta" (BHL 5543), ambientata ai tempi di Claudio il Gotico (morto nel 270), sotto il quale è noto non si siano mai verificate persecuzioni anticristiane, e che per di più viene dato come coevo di papa Callisto I, morto però nel 222. Che ne pensate? Vi piace? #cicciovalentino (presso San Valentino di Terni) https://www.instagram.com/p/CW7o-tjggMx/?utm_medium=tumblr
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Non si sevizia un paperino (1972)
Lucio Fulci è stato forse il regista italiano più sottovalutato e screditato dalla critica nostrana. Autore molto versatile, ha diretto più di 50 film spaziando in ogni genere possibile, dalla commedia (con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia) ai musical (“I ragazzi del Juke Boxe”, “Urlatori alla sbarra”), dal western (“Le Colt cantarono la morte e fu tempo di massacro”, “I quattro dell’apocalisse”) al giallo (“Sette note in nero”, “Una lucertola con la pelle di donna”), dall’horror (“Zombi 2”, “L’Aldilà”, “Quella villa accanto al cimitero”) perfino alla fantascienza made in Italy (“I guerrieri dell’anno 2072”) e al fantasy (“Conquest”), questi ultimi generi sicuramente difficili da riprodurre in quei periodi storici e con gli scarsi mezzi a disposizione. Solo di recente e dopo molti anni la sua scomparsa (1996) la cinematografia di Fulci è stata riscoperta e rivalutata con giustizia. Uno dei primi cineasti a omaggiare l’autore romano è stato niente di meno che Quenteen Tarantino, che ha citato in alcuni suoi film celebri scene dell’ “artigiano del cinema italiano”. Per esempio, in “Kill Bill” (2003-04) il regista statunitense nella scena in cui Uma Thurman si risveglia dal coma utilizza in sottofondo il tema del film “Sette note in nero” (1977). Sam Raim, altro cultore fulciano, invece, nel film “Spiderman” (2002) nella scena in cui Peter Parker si trasforma, aggiunge le stesse inquadrature con cui i ragni divorano la loro vittima nel film “L’Aldilà” (1981). Per il suo cinema autarchico è stato definito uno “stupratore di generi”, in quanto Fulci non seguiva le regole canoniche dei film di genere, ma usava spesso sovvertirle, soprattutto nell’horror e nel noir, filoni a lui molto cari. Per uno stile sempre mutevole e la vasta eterogeneità è difficile eleggere un miglior film, tuttavia fra i più riusciti rientra senza dubbio “Non si sevizia un paperino” (1972), un giallo girato e ambientato nel Sud Italia povero di quegli anni, dove i protagonisti sono alle prese con una crudele catena di delitti che colpisce i bambini, ma che dovranno fare i conti anche con i pregiudizi e le superstizioni locali. Fulci non fa sconti sulla truculenza di alcune scene, come le macabre uccisioni: le riprese senza alcun tipo di filtro (come il truce assassinio della maciara sulle note di una canzone di Ornella Vanoni) lo porteranno nel successivo periodo d’oro dell’horror a conquistare modelli propriamente suoi, come i primissimi piani di occhi che vengono infilzati, oppure gli zoom su teste spappolate dalle quali fuoriesce di tutto. “Non si sevizia un paperino” è uno dei migliori film gialli/noir di quel periodo e non solo, che con un ritmo incalzante tiene lo spettatore incollato allo schermo dalla prima all’ultima scena: un piccolo capolavoro che non è per nulla inferiore ai contemporanei cult-movie di Dario Argento. Nel cast Tomas Milian (quando recitava ancora parti drammatiche e prima che diventasse l’ispettore ‘Er Monnezza’), la sensuale Barbara Bouchet e la bravissima Florinda Bolkan. Una sequenza della Bouchet che mostra tutte le sue nudità a un bambino costò querele e scalpore a non finire. Regia: Lucio Fulci. Italia, 1972. Con: Tomas Milian, Barbara Bouchet, Florinda Bolkan, Irene Papas, Georges Wilson, Marc Porel. streaming: https://www.youtube.com/watch?v=Evat2CIoX0s (rece: Mirko Confaloniera)
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This is AllaDiscoteca 27/10, this Week: Benassi & Pequod a Venezia, elrow dalla Transilvania, pranzi da cantare... every Tuesday 3 PM in THISISTOP by Dj Marietto @ One Dance FM, live from Loolapaloosa Milano
31/10 elrow party in diretta Facebook da un castello in Transilvania - sponsored by Desperados (birra) - senza super dj, ma bellissima musica e casino (...)
Benassi + Pequod Acoustics @ Venezia - qui: https://www.alladiscoteca.com/post/633070745427247105/benny-benassi-live-venezia-italy-panorama-ep
01/11 Milano - Pelledoca - Pranzo all'italiana - Mangia, bevi e canta - music by Peter K & Giancarlo Romano
31/1 e 1/11 Just Cavalli Milano - brunch deluxe
01/11 Cagliari - Pranzo animato! @ Charme - Settimo San Pietro (CA) music by Sandro Murru Kortezman
Ragusa Ibla (Sicilia): Ciccio Sultano al Duomo (cuoco e dj per passione): pranzo ogni giorno fino alle 16
(...) e presto... party @ The Cliff - Lugano - il locale italiano del futuro by Manuel Dallori... molto Italian style http://lorenzotiezzi.it/the-cliff/
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Thực khách ăn uống ở vỉa hè New York liên tục bị chuột quấy rối và trấn lột thức ăn
Thứ Hai, 13/07/2020 lúc 23:14
Với gần 27,000 nhà hàng đồng loạt mở cửa trở lại sau dịch Covid-19, New York đã trở thành thiên đường buffet cho loài chuột cống khét tiếng này.
Vào ngày 22/6 vừa qua, thành phố New York đã chính thức cho phép các nhà hàng được mở cửa lại và có thể phục vụ ngoài trời (sau khoảng thời gian phải đóng cửa cách ly vì đại dịch COVID-19). Thế nhưng, trong niềm hân hoan của các chủ hàng quán, điều này lại dẫn tới một hệ quả vô cùng khôn lường…
Số là trong quá trình cách ly, những chú chuột cống vốn đã quen thói “ăn nhờ ở đậu” bỗng dưng… chết đói! Nhưng khác với con người, loài chuột không hề tư duy theo kiểu “có làm thì mới có ăn”, bản tính th��ch ăn sẵn đã ngấm vào máu những chú chuột New York.
Một trong những hình ảnh “không hiếm thấy” ở New York.
Ước tính có khoảng 2 triệu chú chuột đang sinh sống tại thành phố New York.
Vậy nên, chúng đã thực hiện một cuộc cách mạng để đòi lại những thứ… không thuộc về mình: Làm phiền thực khách bằng cách trèo lên giầy của họ, ngồi lên băng ghế để xin đồ ăn. Điều này đã khiến các chủ doanh nghiệp phải kêu gọi thành phố nhanh chóng giải quyết vấn đề, chứ để lâu, có khi bọn chuột… “thịt” luôn cả khách mất!
Những hàng quán san sát nhau đã vô tình trở thành “bữa tiệc” trong mắt loài chuột.
Các thực khách ngoài vỉa hè “phát khiếp” với những chú chuột hung hãn.
Ông Giacomo Romano, chủ quán ăn Ciccio tại khu Soho, trả lời phỏng vấn đài NBC: “Tôi không thể chịu nổi nữa rồi, bán hàng kiểu gì khi mà chuột bọ cứ chạy lông nhông dưới chân khách?”. Anh này đã cùng một số chủ hàng ăn khác gửi đơn kiến nghị lên thành phố, đề nghị có chính sách tiêu diệt loài gặm nhấm, nhưng có vẻ hơi vô vọng – Trong bối cảnh kinh tế đi xuống bởi đại dịch COVID-19, ngân sách dành cho việc diệt chuột của Cục Vệ sinh cũng đã hụt mất 1.5 triệu đô, nghĩa là giảm đi 25% việc thu gom rác tại các khu vực có nhiều chuột. Điều này lại càng khiến cho lũ gặm nhấm như “hổ mọc thêm cánh”!
Soho – một trong những khu mua sắm đắt đỏ bậc nhất thế giới.
Một góc khác tại khu Soho.
Ước tính có khoảng 2 triệu chú chuột đang sinh sống tại thành phố New York, biến nơi đây trở thành một trong ba thành phố có nhiều chuột nhất nước Mỹ, chỉ sau Chicago và Los Angeles.
Với gần 27,000 nhà hàng ăn, vô hình chung, New York đã trở thành thiên đường “tiệc buffet” cho các loài gặm nhấm!
(Nguồn: Forbes)
Đức 2 Xích
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Bài viết Thực khách ăn uống ở vỉa hè New York liên tục bị chuột quấy rối và trấn lột thức ăn đã xuất hiện đầu tiên vào ngày Zuyt.
from Zuyt https://zuyt.com/kham-pha/thuc-khach-an-uong-o-via-he-new-york-lien-tuc-bi-chuot-quay-roi-va-tran-lot-thuc-an/
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27 giu 2020 15:23 “SE AVESSI AVUTO LA TESTA DI TOTTI E DEL PIERO, NON SAREI STATO ALVIERO CHIORRI” – BOMBASTICA INTERVISTA DI GIANCARLO DOTTO AL “MARZIANO” EX SAMP - "IL CALCIO ANNI 80? AD AVELLINO NEL SOTTOPASSAGGIO SPEGNEVANO LA LUCE E PICCHIAVANO. A CARLETTO MAZZONE GLI HANNO SPENTO UNA SIGARETTA IN FACCIA - IL PIÙ CATTIVO? PASQUALE BRUNO. FISCHIO D’INIZIO, PALLA ALTROVE, LUI MI ASPETTA COL GINOCCHIO ALZATO E MI DÀ UNA STECCA MICIDIALE. IL NO ALLA NAZIONALE, LE DONNE ("DALLA CINTOLA IN GIU' NON ERO MALE..."), LA DEPRESSIONE, CUBA. IL PIÙ FORTE DI TUTTI? GIAMPAOLO MONTESANO" - QUANDO ANTOGNONI GLI DISSE: "BASTA RAGAZZINO, HAI ROTTO I COGLIONI" - QUELLA SERA CON ANNA OXA - VIDEO
Giancarlo Dotto per il Corriere della Sport
A tavola con il Marziano e l’Incredibile Hulk. Due amici per la pelle. Un fumetto della Marvel? No, una giornata decisamente ben spesa. Due ex calciatori rari, che non frequentano i calciatori e non leggono le biografie dei calciatori. Lui e l’altro. L’altro, l’incredibile Hulk, è uno di poche parole ma, quando mi parla di lui, il Marziano, diventa lirico, si scioglie come un savoiardo nel caffelatte. La prima volta in una trattoria a Testaccio. “Ho avuto la fortuna di giocarci contro. Anche oggi, a distanza di anni, se fai il suo nome con molti giocatori dell’epoca si scatena l’inferno. Un talento allucinante. Non puoi non incontrarlo.
La leggerei di corsa una sua intervista. Vorrei sapere tutto delle sue fughe, delle sue donne, dei suoi viaggi a Cuba. Un giorno faremo un libro a quattro mani e si chiamerà: “Cosa significa essere genoani e cosa significa essere doriani”. Lui, Alviero Chiorri, è romano, mezzo cubano, doriano nella pelle. Ci scommetto il mio gatto persiano, non lo faranno mai questo libro. Alla fine vincerà la pigrizia. Ma continueranno a dirselo fino alla fine dei loro giorni, davanti a un calice di bianco. Nessuno dei due si prende così sul serio da pensare che immaginare un libro significhi scriverlo davvero. Di Alviero mi aveva detto cose ispirate anche Franco Baldini nel suo loft a via Margutta, davanti a un cartoccio di supplì e morsi di nostalgia filanti. “Uomo raro, Alviero, calciatore unico. Lo devi incontrare. Non mi faccio vivo con lui da tempo. Chiedigli perdono da parte mia”. Chiaro il messaggio. Devo incontrare il Marziano.
Appuntamento al “Don Chisciotte”. Un vecchio casolare affacciato sull’Aurelia, tra Palidoro e Passo Oscuro subito dopo lo svincolo per Fregene. Mare e mulini a vento a parte, potrebbe essere la Mancia di Cervantes, piccoli borghi, castelli, anime forti e solitarie, in qualche caso perdute. Un Far West assolato. Paolo, il proprietario del ristorante, mi prenda un colpo, è il Sancho Panza di Gustave Dorè. Lo riconosco anche senza somaro. Il “Don Chisciotte” è il ritrovo di Alviero e dei suoi amici.
A portarmi da lui è l’altro. Che non sente ragioni. Me lo dice a modo suo, affettuosamente minaccioso. “Non voglio apparire, l’intervista è tutta sua, io non c’entro nulla”. Lo chiameremo dunque l’Incredibile Hulk, perché gli somiglia, specie quando gonfia il collo, e perché se ne va in giro quel giorno dentro una coraggiosa giacca verde muschio. L’elegantone di sempre. Pronto a strapparsi le vesti e a colorarsi di verde alla prima mischia. Questa volta non ne ha bisogno. “Me sembri un’oliva ascolana…”, lo accoglie il Marziano. Via le mascherine da Covid, seguono cinque ore di allegro convivio, in un viavai di cozze gratinate, gamberoni, calamari, vongole, lupini, paccheri, baccalà, vino, molto vino, scotch scozzese, amari, molti amari, e rum in omaggio al cubano.
Il Marziano alias Alviero è un uomo schivo. Alviero non ha a niente a che fare con quella genia di pazzoidi, eccentrici, un po’ sbruffoni, un po’ fanfaroni che imperversano nel calcio italiano di quegli anni, settanta e ottanta, non ancora malato di tatticomania. Sublimi, sfrontati, e ingovernabili anarchici palla al piede, sulla scia del più sfrontato di tutti, George Best. Meroni, Vendrame, Dolso, Vieri padre, Zigoni, per citarne alcuni. Alviero parla sottovoce, al limite dell’udibile, nella speranza di non essere udito. Come un tra sé.
Un personaggio per quanto è lontano dall’esserlo. L’essere stato tanti anni lontano da Roma ne fa un romano d’altri tempi, come solo Pasolini ha raccontato. Un Franco Citti dallo sguardo buono, un fustacchione di sessant’anni pervaso da qualcosa che sta tra la timidezza e la gentilezza. Anacronismo puro. Il codino che gli spunta dalla nuca. Due tatuaggi sulle braccia. Il terzo ce l’ha dipinto in faccia: “Perché?”. “Perché siete qui? Perché v’interessate a me?”. Ci mette quasi un’ora a liberarsi di quel “perché”. Hulk ci dà una mano con le sue muscolari invasioni di campo.
“Normale” è la parola che gli viene più facile, ma non come la usano Totti e affini, vacuo intercalare tra un eventuale concetto e l’altro. Nel caso di Alviero “normale” è quello che è, un aggettivo che descrive l’uomo. Alviero è tanto normale da risultare eccezionale. La normalità è la sua pazzia. “Il mio miglior amico? Enzo il tabaccaio. Non mi ha mai chiesto una cosa di calcio”. È un arguto battutista, Alviero, fulminante come solo i romani. Le battute sono il suo modo di stare in società. Ma è lo sguardo che lo racconta. Disarmante per quanto è nudo. Ti supplica: “Lasciami stare, lasciami alle mie battute”. E ti dice, però, anche: “Insisti, abbi pazienza, ne ho di cose da raccontare, magari un giorno avrò voglia di farlo”. Devono solo crearsi le condizioni giuste. Quasi mai si creano.
Il calciatore da spiaggia. “Giocavo nei campi di seria A come giocavo da ragazzo in spiaggia con gli amici”. Alviero Chiorri lascia a trentadue anni con la maglia della Cremonese. I suoi anni migliori da calciatore. Fisicamente integro. Lascia, nel senso più estremo della parola. Sparisce nel morbido nulla dei tropici. “Non ne potevo più del calcio. Quella non era la vita che volevo vivere. Quelle regole, quelle attese, quelle pressioni. A novembre parto per Cuba per una vacanza di venti giorni e sono rimasto 24 anni”. Dici Chiorri e dici talento. Ma anche indisciplina. Leggi di lui e senti dire: strano, ingestibile, una dannazione per gli allenatori, avesse avuto la testa di Del Piero e Totti... Lui ascolta, cose che è abituato ad ascoltare.
“Se avessi avuto la loro testa, non sarei stato Alviero Chiorri. Per il resto sono un ragazzo normale, anche se so che me la porterò addosso tutta la vita questa nomea di tipo strano. Penso a quello che combinava Balotelli a diciotto anni. Le mie stranezze, al confronto, sono poca roba”.
Romano di Valle Aurelia, tifoso romanista, “Era la Roma di Ciccio Cordova, Amarildo e Del Sol. Andavo in curva sud con mio zio. I calciatori erano minuscoli visti da lì”. Nato nel ’59, l’anno della rivoluzione di Fidel Castro. “E guarda caso finisco a Cuba. Tu dici che è un caso?”. Giovanissima preda dei tanti osservatori. “Mi prese la Sampdoria a sedici anni. Mi aveva preso anche la Roma., c’era Perinetti allora, ma scelsi la Samp. Mi avevano fatto capire che alla Roma, in quel periodo, o eri forte forte o giocavano solo i raccomandati”. Lui non si è mai reso conto di essere “forte forte”. “Così dicevano, ma io non mi rendo conto neanche adesso. Le cose che facevo in campo erano le stesse che facevo per strada. Il mio modo di giocare non è mai cambiato”. L’Incredibile Hulk ha appena spolpato un gambero e inizia a fischiettare “Tristezza, per favore vai via”. Sardo di sangue, genoano di pelle, lo fa ogni volta che il Marziano nomina la Samp.
I treni perduti. “Mi dà fastidio quando mi dicono che avrei potuto fare molto di più. Sarà anche vero, ma alla fine ho fatto quello che dovevo. Avessi avuto un procuratore come quelli di oggi, uno come Mino Raiola, forse sarebbe stata una storia diversa. Non ero Maradona e nel calcio di oggi non sarei nemmeno preso in considerazione. O forse sì, sarei stato un buon esterno sinistro alla Totti nel calcio di Zeman. Un allenatore appassionante anche se un po’ estremo. Una volta gli feci gol da metà campo”.
Come direbbe il suo amico Flavio Bucci, venuto a delirare e poi a morire da queste parti: “E pensare che ero partito così bene…”. Alviero, non ancora Marziano, è in serie A, con la maglia del Bologna, a diciassette anni. Mai a suo agio nella tribù dei Piedi Calcianti. “Non ero maturo, finito in una situazione più grande di me. Sì, poi qualche errore l’ho fatto”.
Hulk, al suo fianco, addenta il pacchero e interviene a gamba tesa. “Non mi sembra che ‘sta maturità sia mai arrivata…”. Il Marziano annuisce, senza un filo di fastidio. “Sono rimasto lo stesso di allora, con qualche anno in più”. I treni perduti. Almeno tre. Il primo. “Le occasioni le ho avute, ma è sempre successo qualcosa. La prima volta fu colpa mia. Fui convocato per i mondiali in Tunisia con la Nazionale Juniores. Una squadra forte, avevamo appena vinto il torneo di Montecarlo. Mi rifiutai di andare perché avevo già prenotato al mare con gli amici.
C’era Italo Allodi. Mi cacciò da Coverciano con i carabinieri. L’ho sicuramente pagata. Da allora m’hanno segato dal giro azzurro e quando fui in ballo per la Nazionale di Bearzot mi fermò la pubalgia. Il secondo treno. E poi il terzo, il più carico di rimpianto, se Alviero fosse capace di rimpianti. “Ero già dell’Inter. Voluto da Bersellini con cui avevo esordito in serie A con la Samp. Mantovani non mi volle vendere. Loro prendono Beccalossi al posto mio e vincono lo scudetto.
Mai dato importanza io ai soldi. Con Mantovani ho sempre firmato in bianco. Anche Dino Viola mi voleva alla Roma, ma non se ne fece nulla...Rimpianti zero. Mi ritengo un uomo fortunato, che ha fatto nella vita quello che gli piaceva fare, che voleva solo essere normale in un mondo che non aveva niente di normale. Un mondo che non era il mio”. L’Incredibile Hulk torna alla carica. Il mite Marziano incassa. “Hai giocato nella Sampdoria, non è che c’è da sentirsi così fortunati…”.
Chiorri sparsi. “L’esordio in coppa Italia contro la Fiorentina. Ero un ragazzino incosciente, mi marcava Roggi ma non mi prendeva mai, quel giorno mi riusciva di tutto. Mi si avvicinò Antognoni: “Ragazzi’ ora basta, falla finita, hai rotto i cojoni”. I derby di Genova. Violenza allo stato puro. “La mia bestia nera era Fabrizio Gorin, il biondo, un mastino, non a caso non ho mai segnato nei derby. Oltre a menare come un fabbro, limava i tacchetti.
Era un’usanza di quegli anni. Dentro i tacchetti di legno c’erano quattro chiodi martellati che, a furia di limarli, spuntavano fuori. Quando prendevi una scarpata, il sangue si sprecava, la carne rimaneva attaccata al tacchetto”. Il Marziano, lo trovi su youtube se non sei abbastanza vecchio, era un dribblomane, la vittima da manuale per quei sadici truccati da calciatori… quando riuscivano a prenderlo. “M’hanno gonfiato come una zampogna. Entrate da dietro, gomitate, botte, minacce. Ad Avellino, quello di Sibilia, nel sottopassaggio spegnevano la luce e ti menavano proprio. A Carletto Mazzone gli hanno spento una sigaretta in faccia. All’epoca era permesso tutto, ogni domenica una battaglia. Le ho prese, ma non ho mai reagito. Avevo imparato che funzionava così”.
“Il più cattivo? Pasquale Bruno. Io a Cremona, lui al Toro. Fischio d’inizio, palla altrove, lui mi aspetta col ginocchio alzato e mi dà una stecca micidiale. Hai presente il Tardelli su Rivera di quel Juventus-Milan? Uscii con un ematoma gigante. Il più forte marcatore? Vierchowod di gran lunga. Soffriva solo Aguilera e Montesano. Gli unici falli li faceva solo perché arrivava troppo veloce sulla palla”. Ne ha incrociati in quindici anni di fenomeni veri e presunti. “Bruno Giordano e Roberto Baggio erano dei mostri. Il compagno più forte?
A parte Roberto Mancini, Anders Limpar. Fece un anno con noi alla Cremonese e poi vinse la Premier con l’Arsenal. Un altro era Macina. Dei tre al Bologna, lui, io e Mancini, era il più dotato. Quello sì era strano forte, non io. S’è perso per strada. In quegli anni si sprecavano i fenomeni. Tecnicamente, era un livello molto superiore. Gente come Claudio Sala e Bruno Conti si sprecava. Giampaolo Montesano, il più forte di tutti. Uno così non si è mai più visto. Non lo dico io, lo dice Vierchowod, che pure ha marcato Maradona”.
Non tantissimi gol, ma ogni gol una storia da raccontare. “Il più bello? Quello a Bordon, allora al Brescia. Palla quasi ferma al limite dell’area, arrivo e gli faccio lo scavetto, non so se Totti era nato… Quello al Messina. Ero in panchina con la tuta. C’era una punizione da battere. Mi hanno spogliato di corsa in tre. Entrai a freddo e feci gol all’incrocio. Dopo, non ho più toccato palla”. Calciatori come il Marziano non calavano. Sparivano proprio dal campo, come risucchiati da un buco nero. “Il mio allenatore? Mondonico alla Cremonese in serie A. Quando dava la formazione: giocano Alviero e altri dieci. Compagni da ricordare. Liam Brady e Trevor Francis alla Samp. Grandi professionisti, molto seri. Magari avessi imparato da loro…Il più pazzo? Giuliano Fiorini era un matto vero. Un casinista simpaticissimo, da prendere a piccole dosi. Le notti erano tutte le sue…
Non ho mai frequentato i calciatori, non m’interessava, erano una razza a parte e io preferivo stare con i miei amici. Un imprenditore piuttosto che uno spazzino.
Non mi piaceva ostentare lo status del calciatore. Nei ristoranti e nei negozi volevo pagare. Mi dovevano trattare come un cliente qualsiasi. L’unica debolezza, una Ferrari 348. La comprai per duecento milioni dell’epoca. Feci una cazzata. Con quei soldi, nel ’90 potevo comprare due appartamenti… No, del calcio non mi manca nulla. E non mi dire di partecipare a partite da vecchie glorie, a meno che non ci sia qualche beneficienza vera”.
Cuba, il ventre amico. “A Cuba vivo, qui sopravvivo”. Il Marziano ha il dono della sintesi. “Lì, fu come tornare alle origini. Non mi conosceva nessuno, le persone mi frequentavano per quello che sono, non perché ero un calciatore. La prima volta, non sapevo neanche dove fosse Cuba. M’innamorai dal primo giorno. Un mondo a parte, spiegarlo è difficile, lo devi vivere. Non c’hanno una lira e tutti che ballano, cantano. Gli italiani andavano lì per le donne, ma era l’ultima cosa che m’interessava. Ne avevo più in Italia.
Per me Cuba era proprio staccare. Cominciai a fare tre mesi lì e uno in Italia. Una vita normale, il mare, gli amici, i libri. Libero, senza pressioni. Quando tornavo in Italia soffrivo il contrasto. Tutti di corsa, facce tristi. Se non sali sulla ruota, ti schiacciano. E, se sali, non sei più libero di scendere. A Cuba non esiste il tempo. Ci vediamo alle nove, ma non si sa di che giorno, di che mese, di che anno. Non devi cercare la profondità. Come stare a Cinecittà. Tornai in Italia per stare vicino a mia madre e a mio padre malato. Ora, mi accontento di andarci una volta l’anno”.
Le donne. “Lì a Cuba era una caciara. Oggi per me sono un tema di fantasia. Dalla cintola in giù non ero male e dalla cintola in su che ho fatto danni”. Il Marziano è tale anche quando si tratta di amore in senso lato. Tre figli da tre donne diverse. Due cubane e un’italiana, la moglie storica che vive a Genova con il figlio titolare di un negozio di frutta e verdura. Le due ex cubane le ha portate in Italia. Vivono serenamente tutti nello stesso palazzetto, lui, le cubane, mamma Lucia, i due figli. Una al piano di sopra, una al piano di sotto, lui in mezzo.
Un Harem a Passo Oscuro? Il contrario. “Vivo solo da dieci anni, loro fanno la loro vita, hanno i loro compagni. Non potevo lasciare a Cuba le madri dei miei figli”. Tre donne, tre figli. Qualsiasi altro uomo sulla faccia della terra sarebbe stato raso al suolo da rancori, beghe legali, richieste sanguinose. Lui no, nel mondo di Alviero i conflitti non fanno radici. Non perché gli scivolino addosso. Al contrario. Di lui senti che puoi fidarti, anche quando sbaglia. Un libro aperto. Uno raro, da cui non ti devi difendere. “Le donne fondamentali della mia vita? Mamma, donna vecchio stampo, e mia sorella Tiziana, l’unica che non mi tradirà mai. Ha un’adorazione per me. E poi mia figlia Nicole, l’amore della mia vita”. Uomo di principi, l’ingestibile Alviero. Fa la spesa alla mamma anziana e porta i figli a scuola. “Sono stato un padre assente, soprattutto con il più grande”. Quando dice, come fosse la cosa più normale: “Sono sempre stato fedele alle mie donne….”, tutti sghignazzano al tavolo, a cominciare dall’ineffabile Hulk. Lui è serio. “Te lo giuro sui miei figli. Nessuno mi obbliga, se scelgo una donna, la rispetto. Le adoro le donne, ma avere oggi un’altra storia mi spaventa. A parte che nessuna mi vuole più”.
La depressione. “A Cremona ho dato il meglio da calciatore. Avevo accettato di fare questo mestiere come va fatto, non solo in partita, nei ritiri, negli allenamenti. Luzzara, il presidente, pronto a farmi un nuovo contratto di tre anni. Era il ’90. Qualcosa scatta nella mia testa. Il buio totale. Avevo trent’anni e pensai di chiudere con il calcio ”. Una crisi depressiva da spavento. “L’apatia totale, il rigetto di tutto, a cominciare dal calcio. Non mi allenavo, non mangiavo, da 77 chili ero sceso a 66. Facevo pensieri strani, vedevo mostri. Sono stato ricoverato in clinica due mesi. M’hanno riempito di pasticche, sono arrivato a pesare 90 chili. Sono rientrato, sei mesi dopo, nello spareggio a Pescara per la promozione in A. Si va ai rigori. Sbaglio il mio. Mi cade il mondo addosso. Rampulla, il portiere, mi fa in un orecchio: “Non ti preoccupare, adesso ne paro due”. Andò così e salimmo in A”.
“Le cause? Non ho mai capito. Un giorno il tappo salta e vai a fondo. Non succede a quelli che hanno solo certezze. Mi mettono paura quelli. Forse il peso dell’aver sopportato tanti anni un mondo che non era il mio. Le invidie, le pressioni, il confronto con gli altri. Non mi divertivo più. Non ritrovavo più me stesso. Anche quando mi facevano i cori e venivo osannato, mi chiedevo sempre “perché?”. Sta di fatto che quando c’era lui in campo, il Marziano, succedeva sempre qualcosa. Per tutti, ma non per lui. “Qualcuno mi disse che forse la causa scatenante veniva da lontano”. Esita. Abbassa la testa. Poi me lo pianta in faccia quel suo sguardo buono. “Questa non l’ho mai raccontata…
Avevo diciotto anni e guidavo con il foglio rosa e un patentato al fianco, Lupini, un mio compagno di squadra. Andavamo a Bogliasco per l’allenamento. All’altezza di Nervi, uno gira secco per fare una conversione e mi taglia la strada. Il botto. Lo choc. Scesi dalla macchina e feci un chilometro a piedi, all’indietro. Non avevo colpe, ma fu devastante. Lui morì per le ferite. Non me la sono sentita di andare a salutare la giovane moglie…Adesso sono i miei figli a tenermi in vita. Loro sono il mio più grande rimorso. Cerco di farmi perdonare, ci provo. Sono stato egoista. Li ho trascurati. Soprattutto il primo, Simone. Un ragazzo d’oro con una mamma spettacolare”.
Alla fine. Ci si alza da tavola e si torna in maschera più allegri e più instabili di quando ci eravamo seduti. Finisce con il Marziano che canta “Una carezza della sera” dei New Trolls (“Tifosi sfegatati della Samp. Ricordo Anna Oxa, era fidanzata con uno di loro…Bellissima”, dice con un lampo fuggevole di malizia) e il sempre più Incredibile Hulk che delira di rose gialle e di tulipani neri, i suoi fiori preferiti. Il Marziano mi saluta con il suo sguardo buono: “L’articolo, se vuoi farlo, bene, se no va bene lo stesso, mi ha fatto piacere conoscerti”. Sì, una giornata spesa bene.
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*Aggiornamento* Purtroppo ancora non è stato ritrovato, aiutatemi a ritrovarlo... non può essere sparito nel nulla 😞 Lui è Ciccio un segugio italiano di 3 anni si è smarrito tra Fiano Romano e Passo Corese. Chiunque lo veda può contattarmi qui 320 7272253 grazie! Aiutatemi a ritrovarlo per favore. #annunci_cani_trovati #annunci_cani_smarriti#appelli_cani_smarriti#cani_smarriti #cani_trovati#cani_ritrovati#segnala_smarrimento#segnala_cane_smarrito#canismarriti#cani_e_gatti_smarriti (presso Fiano Romano) https://www.instagram.com/p/B58ARZfi3b_/?igshid=1dplc66ztwmx8
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"Tutto è cominciato nel 1970. Allora cominciavo ad avere i miei primi successi. Fausto Paddeu, un impresario soprannominato “Ciccio Piper” perché frequentava il famoso locale romano, mi propose una esclusiva a vita.
Era un tipo assolutamente inaffidabile e rifiutai. E dopo qualche giorno, di ritorno da un concerto in Sicilia, il pulmino su cui viaggiavo con il mio gruppo fu coinvolto in un incidente. Due ragazzi persero la vita. “Ciccio Piper” ne approfittò subito per appiccicarmi l’etichetta di porta jella."
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