Borderline
Borderline
Introduzione di Valerio Evangelisti
Sono rimasto letteralmente incantato. Ho letto il racconto con passione, trascinato da una sorte di suspense. La domanda che mi ponevo era: ma perché costui sta in prigione? Chi avrà ucciso o ferito, un compagno di cella o la psicologa che lo affascinava tanto? Sono arrivato all'ultima riga senza trovare una risposta, salvo questioni di droga e delitti connessi. Reati, senz'altro, ma affrontabili sul piano della psicoterapia, senza bisogno di sbarre che non curano niente. Uno scrittore vero, tra i più raffinati in cui mi sia imbattuto, é in prigione invece che davanti alla scrivania di casa sua, a riscattarsi attraverso la ricchezza della sua prosa. C'é il sospetto che ciò sia dovuto a una legislazione sbilanciata, che castiga con ogni possibile durezza colpe facilmente emendabili e toglie dai guai i potenti. Come ai tempi di Pinocchio. Francesco Fusano ha più che altro cercato, indirettamente, di uccidere se stesso. Lo possiamo davvero definire un crimine?
Tralascio il Fusano detenuto per passare subito al Fusano scrittore. Duro, efficace, elegantissimo. Non usa mai frasi scontate, e alcune sono capolavori di stile. Nessuna impressione é prevedibile o artefatta. L'introspezione, se é questo che cercano i critici, é al massimo livello. La profondità dei temi anche, la critica sociale (nello specifico rivolta al sistema carcerario) pure. Solo Il bacio della donna ragno di Manuel Puig, prima di diventare film, mi colpì altrettanto. Giuro che non é un'infatuazione, sono piuttosto cauto nei giudizi.
Il mio non é entusiasmo, é rabbia. Fusano é Borderline, come dice lui stesso? I due terzi dei governanti della terra lo sono. Consuma droghe? E allora? Bisogna tenerlo per anni in gabbia? Dopo ne consumerà di più, vivrà sempre peggio, passerà a periodi detentivi via via sempre più lunghi. Mi piacerebbe conversare tranquillamente con lui, dirgli la mia ammirazione per ciò che scrive, per come lo scrive. Penso proprio che non mi aggredirebbe, né darebbe di matto.
Non posso. Non posso parlare a uno scrittore nato che sta dietro le sbarre. E' un'ingiustizia insopportabile. Ci sono pluriomicidi che sono tranquillamente a spasso. Apprezzo la generosità della legge, purché sia equanime. Ho idea che normalmente non lo sia.
Vengo più direttamente al racconto, che suppongo strettamente autobiografico. Il protagonista, che conduce vita svagata e irregolare, é incarcerato due volte, sempre per possesso di droghe e reati conseguenti. Gli psicologi che lo visitano non sono a livello di Binswanger, di cui, probabilmente, non hanno mai udito il nome, né capiscono che la patologia che hanno di fronte, con i comportamenti asociali che origina, deriva da una pena esistenziale. Se lo capissero, saprebbero anche che la detenzione é il meno indicato dei rimedi. Chi invece lo intuisce, non senza sforzo, sono i compagni di cella. Con alcuni di essi il prigioniero instaurerà un rapporto affettivo anche molto profondo. Siamo ben lungi dall'inaffetività dello schizofrenico, dall'aggressività verso gli altri, da un istinto a delinquere radicato. C'è invece un disagio che implica fragilità, e che l'autore analizza meglio di chiunque altro.
A questo si limita la trama del racconto; del resto, quale trama sarebbe possibile, nella monotonia di un esperienza carceraria, che costringe un essere umano a comportamenti sempre uguali, intervallati da piccoli riti anch'essi ricorrenti? Esisteva un unica evasione possibile ed é quella che il prigioniero ha tentato. Scrivere. Buttare giù righe di lucidissima intelligenza, serrate, amare, dense, crudeli, autoconsapevoli. E' più della psicoterapia che altri non tentano nemmeno. E' un riscatto totale. Il "deliquente" é cancellato dallo stilista, dal compositore di frasi difficili da dimenticare, dal cesellatore di ogni parola. E' per questa via, credo, che Fusano saprà riconquistare se stesso e smettere di autodistruggersi. Possiede doti che sono di pochi, e un palese patrimonio d'amore che attende solo di essere sprigionato.
"Sprigionato", appunto. Come mi auguro che avvenga per Fusano stesso, al più presto. C'é bisogno, in giro, di talenti come il suo.
Valerio Evangelisti
DA DIAGNOSTIC AND STATISTICAL MANUAL OF MENTAL DESORDER, 3A EDIZIONE AGGIORNATA, AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION, 1987, PP.346-347
Caratteristica fondamentale di questo disturbo è una forma pervasiva d'instabilità dell'immagine di sé, delle relazioni interpersonali e dell'umore, che ha inizio nella prima fase dell'età adulta e si presenta in vari contesti.
Una consistente e marcata turba dell'identità è presente in maniera pressoché continua, spesso pervasiva, e si esprime attraverso un incertezza su diversi aspetti della vita, quali gli l'immagine di sé, l'identità sessuale, gli obiettivi a lungo termine e le scelte professionali, quale tipo di amici o partner e quali valore adottare.
L'instabilità dell'immagine di sé è spesso vissuta dal soggetto come una sensazione cronica di vuoto e di noia.
Le relazioni interpersonali sono di solito instabili e intense, e possono essere caratterizzate da un'alternanza tra i due estremi dell'eccessiva idealizzazione e della svalutazione.
Questi soggetti mal sopportano la solitudine, e faranno sforzi frenetici per evitare abbandoni reali o immaginari.
L'instabilità affettiva è diffusa. Può essere evidenziata da notevoli sbalzi d'umore che vanno da umore neutro a depressione, irritabilità o ansia, che durano in media alcune ore e solo raramente più di qualche giorno.
Inoltre, queste persone mostrano spesso una rabbia intensa sproporzionata con frequenti accessi d'ira o ripetuti scontri fisici.
Tendono ad essere impulsive, in special modo se alle prese con attività potenzialmente autolesioniste: acquisti smodati, abuso di sostanze psicotrope, guida spericolata, rapporti sessuali occasionali, taccheggio ed eccessi alimentari.
Ricorrenti minacce di suicidio, gesti o comportamenti affini e altri comportamenti auto-mutilativi (es. escoriazione dei polsi) sono tipici delle forme più gravi.
Detto comportamento può mirare a manipolare gli altri, o essere il risultato di un intensa rabbia oppure può servire a neutralizzare la sensazione d'intorpidimento e depersonalizzazione che si manifesta in fasi di stress acuto …
Manifestazioni associate
Questo disturbo è di solito accompagnato da molte delle manifestazioni tipiche proprie di altri disturbi della personalità, quali il disturbo della personalità schizotipico, istrionico, narcisistico e antisociale.
In molti casi è formulata più di una diagnosi.
Molto spesso si osservano rifiuto sociale e una visione generalmente pessimistica.
È comune l'alternanza tra dipendenza e autoaffermazione.
Durante le fasi di stress acuto possono verificarsi sintomi psicotici transitori, privi, però, di una durata e di una gravità tali da giustificare una diagnosi supplementare.
Grado di compromissione
Spesso esiste una considerevole interferenza con le funzioni sociali o lavorative.
Complicanze
Tra le possibili complicanze incluse: distimia (nevrosi depressiva), depressione maggiore, abuso di sostanze psicotrope, e disturbi psicotici come la psicosi reattiva breve.
Si possono verificare casi di morte premature dovuti a suicidio.
Distribuzione tra i sessi
Il disturbo è più comunemente diagnosticato nelle donne.
Prevalenza
Il disturbo della personalità borderline è apparentemente diffuso.
Diagnosi differenziale
Il disturbo di identità presenta un quadro clinico simile, ma la diagnosi di disturbo della personalità borderline esclude quella di disturbo di identità qualora si riscontrino i criteri della personalità borderline, la patologia sia sufficientemente pervasiva e persistente e sia improbabile una sua limitazione allo stadio evolutivo.
Ho atteso circa 23 mesi per questa diagnosi, e ora cosa me ne faccio?
Aprile 2006
Sono libero da circa un mese e ho già perso il lavoro. Naturalmente la colpa non è da attribuirsi a me. Ogni mattina, al risveglio, provo a immaginare un "me stesso" diverso, in armonia con l'universo, ma dopo il primo sorso di caffè ritorno alla realtà, e mi accorgo che si tratta di un'utopia. "Dove vuoi andare?" dico guardandomi allo specchio che riflette uno sconosciuto, ansioso di trafiggere pelle e carne, sin nei muscoli oramai atrofici, alla ricerca di un millimetro tra i km di vasi sanguigni che gli permetta, anche oggi di medicare il suo mal di vita.
Dopotutto non mi riconosco in quell'immagine riflessa, conservo gelosamente il ricordo di Francesco tra i 21 e i 27 anni, un ragazzo non troppo alto, 1,68 m per 73 kg; nessun accenno di pancetta o maniglie, occhi grigi, fotocromatici, che spaziano nell'iridescenza tra il verde più intenso dello smeraldo e il blu profondo dello zaffiro. Lisci, lunghi capelli biondi ad avvolgermi il viso, che se non educati diventano ricci ribelli, fili d'oro; ne andavo fiero come un leone della sua criniera.
La folta chioma è stata sostituita da un taglio 3 mm senza alcuna sfumatura, e i fili d'oro ora sono d'argento: ho i capelli bianchi nella loro quasi totalità.
L'occhio ha smarrito la sua vivacità, inespressivo e, più che zampe di gallina, le mie sono rughe d'elefante.
In camera espongo orgoglioso le foto di un "fu Francesco". L'ho seppellito insieme a Walter.
Oggi è il 24, domani la città sarà invasa da persone che insceneranno la "festa", ma è un illusione, un circo. Io, alieno e alienato, non ho progetti, tranne uno, procurarmi soldi e droga: io eroe della mia eroina e così assetato di coca.
I soliti giri. In fondo giro su me stesso, unico centro delle mie attenzioni. Non vedo più gli altri, non sento il loro tocco, i loro sguardi non mi raggiungono, mi sono improvvisato giustiziere! Punisco inconsapevolmente i protagonisti di questa mia esistenza così priva di partenze e arrivi.
È già sera. Milano è sicuramente uno spettacolo di luci, suoni, un'orchestra infinita. A dirigere, un Maestro sordocieco. Se solo mi vedesse! Potrebbe condurmi altrove, lasciare che batta il tempo di questa notte, ma il mio male mi trascina peccaminoso: promiscuità! La mia mente reclama una dose di sesso, serotonina naturale! Le domando come faccia ad avere ancora richieste con tutto ciò che le offro, ma il richiamo è forte!
L'arrivo è sempre turbolento, parcheggio l'auto tra i posti riservati ai clienti dell'hotel, quello sull'ultimo semaforo della via. Il nome? Non mi è mai importato.
Entro all'After, l'atmosfera è calda, lascio il giubbino al disc-jockey, sì perché la mia auto non è che sia proprio mia, potrebbero fare un controllo, portarla via e io ci rimetterei tutto, così, ogniqualvolta la lascio sola, porto con me quel poco che resta a testimoniare che esisto. Ordino un doppio gin tonic, al bar un uomo che mi rivede a intervalli da anni, ma nessuna domanda. Qui nessuno vuole sapere, lasciamo all'ingresso le nostre identità,le maschere, alziamo i veli e godiamo di sorrisi, di mani che si sfiorano, di sguardi che s'incrociano, di musica a manetta e di alcol a fiumi.
Mi aggiro per il locale con il mio bicchiere nella mano sinistra e la sigaretta nella destra, cerco la mia preda, mi sono concesso due ora per arrivare al risultato. Il fallimento è dietro l'angolo, ma ho la mia carta di riserva: piazza Trento, un brasiliano, magari ventenne, è sicuramente lì ad attendere qualcuno cui vendere il proprio amore e io ho le tasche piene di "moneta di scambio", dammi il tuo amore e avrai qualche ora di oblio.
Sono programmato a seguire l'istinto e così, con solo tre doppi gin tonic che mi gocciolano dalla fronte, mi spingo fuori dall'After, recupero la macchina (c'è ancora) e mi dirigo alla mèta. Sono fortunato, almeno è ciò che credo. Il mio adone è lì, e nell'attesa si specchia sui vetri delle macchine, aggiustandosi i jeans e la camicetta, che praticamente è inesistente.
Non ho tempo da perdere, ho già sforato la mia tabella di marcia. Gli propongo lo scambio e accetta. Ci dirigiamo a casa di un'amica, lei non c'è e mi ha lasciato le chiavi: l'appartamento è vuoto! Un frigo e un tavolo nella cucina, in bagno pochi prodotti, e in camera da letto un materasso appoggiato al muro: eccoci nella nostra alcova.
Inutile che io provi a convincermi del contrario, la mente ha fatto la sua richiesta, ma il corpo non risponde, così tra un tiro e l'altro si fanno le quattro del mattino e lo riaccompagno a casa.
Al ritorno farò tappa alla farmacia di notturna, ho bisogno di tranquillanti.
Il risveglio è atroce, doccia di sudore che pare penetrare nelle ossa come a riempirle sino a esplodere, le gambe non rispondono, caviglie e ginocchia pare conoscano la strada, ma le "batterie"sono scariche. Mi sono addormentato vestito, ed è con gli stessi abiti che trasudano dolore e amarezza che mi accingo a raggiungere la macchina.
Non riesco a volare. Il volante pare abbia una vita propria. L'auto sbanda e riprende il rettilineo: sono scoppiato devo arrivare al Sert prima delle 11:00. Sono le 10:37 e io sono ancora a Cologno Sud, penso mentre piagnucolo. Mi precede una Punto che sembra essere ferma. "Ci muoviamo?" vorrei gridare, ma è solo rantolo afono ciò che riesco a produrre. Non c'è traffico. Prendo la decisione di superarla, alla rotatoria entrerò contromano: "Bravo! - mi dico - sei riuscito a finire contro il cartello". L'auto non vuole saperne, e gli spettatori di cui sino a un secondo prima non notavo la presenza, ora si avvicinano come zombie che vogliono la mia carne in pasto. Prendo la mia borsa posata sul lato passeggero, un saluto alla compagna d'avventura e via a piedi.
Sulla mia sinistra case basse, villini e piccole aziende di periferia; sulla destra una fila di box lunga quanto la via. Riesco a fatica a raggiungere la metà della strada, quando scorgo un uomo intento a lucidare i fari della sua Bmw, lo sportello lato guidatore è spalancato, ci saranno le chiavi nel quadro?
Allungo il passo. Sono in ritardo. Lui è chinato, non può vedermi. Arrivo sino all'auto, spingo la borsa sul lato passeggero. Sono seduto al posto del guidatore, eppure tutta la velocità che credo avere impiegato è lentezza. Tiro a fatica la portiera, ma il proprietario è già lì, con il corpo blocca la portiera, con la mano sinistra cerca di tenete il volante provando a inserire il braccio sino al quadro di accensione, con la destra mi stringe forte il collo, non respiro ma insisto.
Nel frattempo lui ha cominciato a urlare, accorrono zombie da ogni lato. È forse l'atroce e pungente odore della mia carne ad attirarli? Invano cerco di sfuggire alla stretta, quando all'improvviso mi ritrovo per terra, sento i loro piedi sulla mia schiena, i loro denti reclamano il sacrificio, ed ecco che all'orecchio giunge una frenata e in un lampo riconosco quegli anfibi e quei pantaloni: Carabinieri! Mi caricano sull'Alfa come un sacco di patate: mi hanno salvato dal linciaggio. Sebbene non conosca lucidità da mesi, capisco con sconcerto che sono in arresto.
Mi giungono le loro voci, mentre la mia bile si rovescia ovunque: me la faranno pagare.
Nella mente un unico pensiero che rimbalza da un emisfero all'altro. Fortunatamente conosco la prassi e ogni sforzo risulterebbe vano: sono destinato a scoppiare per le prossime ore. Domattina in carcere mi somministreranno il sostitutivo: metadone, o benzina, come lo chiamano gli agenti.
La macchina della giustizia è lenta, la clessidra è ostruita e il tempo si dilata come le mie pupille. Mi stringo al muro, questa giaciglio improvvisato in una cella di sicurezza, panchina di cemento, una coperta e il mio mal di vivere che mi sussurra all'orecchio: "Ucciditi!Ucciditi!".
Stacco la spina e crollo. Il sonno è profondo. Improvvisamente è interrotto da un frastuono familiare: ferro batte contro ferro. La "chiave" batte contro la porta della cella, una voce dall'accento napoletano m'informa che mio padre ha portato la borsa con i miei effetti personali. "Parto?" mi domando. Sì! Biglietto di sola andata per l'inferno. Il viaggio prevede una corsa ad alta velocità, suoni preoccupanti e stroboscopiche luci blu in direzione del Grand Hotel di Monza, Via S. Quirico. I cartelli stradali indicano la direzione, Casa Circondariale di Monza, ma ho imparato a leggere tra le righe, e tra queste mi è palesemente chiaro: centro d'annullamento dei più elementari diritti della Costituzione, clinica di sezionamento della psiche umana.
È quanto di peggio io ho conosciuto, eppure esistono inferni peggiori. Io sono destinato a questo!
Mentre ci troviamo tra i due cancelli che separano il fuori dal dentro, "la spina" sul lato passeggero perde colorito, pare debba svenire.
"Ci sei mai stato?" gli domanda l'altro. "No" risponde con un filo di voce. "Allora preparati a ricevere ogni tipo d'insulto, è l'accoglienza che ci riservano".
All'ingresso della gazzella nel cortile un coro di voci si alza: "Bastardi, rotti in culo, infami!" e tanti, innumerevoli epiteti con dedica. Qui non sono più "sceriffi", la loro vulnerabilità è tangibile, la si sente vibrare nell'aria.
Arrivato in matricola, mi guadagno subito la mia dose di schiaffi, non voglio togliermi le stringhe, dopotutto, non ho nessuna intenzione di usarle come cappio.
Nonostante sin dall'adolescenza abbia avuto una vita sregolata, ho avuto il tempo di comprendere che a ogni contesto corrispondono un insieme di regole: in questo buco, in questo rifugio di esiliati, non ci sono regole. L'amministrazione la fa da padrona ed è rappresentata da individui che credono fermamente nella coercizione e nella violenza psicologica; certo non tutti, ma a me ne sono capitati troppi di stronzi che vogliono solo poggiare i piedi sulla scrivania, bivaccare e ignorare tutto e tutti.
È duro il lavoro dell'agente penitenziario quando viene professato con passione; sì, la passione quel sentimento che lega mente e cuore e che si manifesta nelle parole, nei movimenti del corpo, tra le rughe di una vita trascorsa a vedere uomini che credono di !, ragazzi che sperano nel !, e innocenti che nascono da !
Lo sprazzo di lucidità che mi ha folgorato durante il tragitto da Cologno sud alla tenenza dei Carabinieri mi ha abbandonato.
È durante la visita medica all'ingresso che percepisco lo stato dissociativo nel quale verso, assenza d'animo e spirito. Sono un corpo devastato da aghi 8 mm, da blister di psicofarmaci e flaconcini con etichette dal nome incomprensibile: Tic-Tac e succo di frutta.
Il medico di guardia mi rifila due Tavor sottobanco, preferisce che sia il dottore del Sert a sbrigare la mia pratica, sono troppo impegnativo! Il mio caso richiede attenzioni, e lui è distratto da un tarlo che non gli permette di riconoscere l'extraterrestre seduto oltre la scrivania, lì a 10 pollici da lui, dovrebbe sezionarmi, ma il tavolo verde è il suo unico chiodo fisso. Lo allestiscono negli studi dell'infermeria, i partecipanti? Meglio sorvolare, dico a me stesso,, prendo i due Tavor, ringrazio e rimando a domani tutte le mie richieste.
La notte trascorre turbolenta, nella sezione dei nuovi giunti l'aria è sterile, unicamente odore di alcol.
Il dottore del Sert è un uomo sulla quarantina 1,80/85 m per 90 kg, lo sto pesando mentre dentro di me l'astinenza si fa sempre più prepotente. Cerco di scorgere fra le sue parole una formula d'assoluzione, ma ricevo solo ammonizioni per le torture cui sottopongo il mio corpo.
Trattiamo. Il tossico che è in me ha la meglio. Sono addestrato. Concordiamo di cominciare con 40 mg di metadone. Nelle 72 ore successive arriverò a estorcergli 80 mg. Tuttavia, nulla di ciò che dirò insinuerà in lui il sospetto che l'unico obiettivo è: "non esserci". Dopotutto è il sostitutivo, agisce diversamente, ma il risultato è identico alla sostanza originale: azzera le emozioni, le percezioni, le sensazioni, le deviazioni, i turbamenti; ma amplifica molto altro.
Vago per la prima settimana, mi assicuro il caffè a colazione e dopo i pasti, in cambio di qualche sigaretta. Qui solo chi lavora possiede, gli altri sono in attesa. Io non aspetto, già conosco la mia sorte.
In questo spaccato di realtà, io, con le mie paranoie, uniche compagne. Ancora non so che si materializzeranno in incubi, in allucinazioni visive e uditive.
I giorni trascorrono nell'indolenza più completa, conosco altri degenti, perché tale mi sento, un malato al quale nessuno dottore, nessuno specialista sia riuscito a diagnosticare il male che tanto lo affligge, eppure io sono così dipendente da questo male che se penso a curarlo mi sento male. Effettivamente, le dipendenze d'ogni sorta e genere sono il mio pane quotidiano.
Mi alimento a morsi di sofferenza. Seziono la mia carne per rinnovarmi di nuova linfa. Respiro metano sdraiato sul pavimento della cucina, ma non ho calcolato che in assenza di fiamma il gas si arresta automaticamente. Io vorrei solo arrestare il mio cuore, farne cessare il battito, lasciare che i polmoni collassino, assenza d'ossigeno, coma, morte a liberazione da me stesso. Per quanto lo desideri, non avrò mai la forza e la determinazione per compiere un gesto tanto estremo, eppure mi uccido ogni giorno un po' di più, abuso d'ogni genere di sostanza e non ho dubbi o incertezze quando m'infliggo lacerazioni. Mentre mi elimino come un file inutile, come un utensile che non serve più, costruisco un muro tra me e il resto del mondo, quello nel giusto sono io, gli altri non possono capire le mie ragioni. Sono ciechi, una massa di stolti.
Per scelta ignorano la morte che gli fa da ombra, è più comodo, facile! Immaginarsi che possano perdere tempo con la morte, che stringe le membra del passeggero seduto accanto a loro sul tran-tran che li conduce a lavoro; ebbene, il solo pensare che s'improvvisino guaritori d'angosce umane, mi fa avvertire lo strano passaggio da incosciente a imbecille.
All'alba del settimo giorno si accorgono che esisto, sono uscito ai passeggi una sola volta, dopo aver recuperato le ore di sonno, perse in soli 94 giorni di "libera uscita".
Il vice capoposto soprannominato "faccia di merda", come lo sbirro del fil C'era una volta in America, con poche parole e a denti stretti, mi comunica che si è liberato un posto. Tutti italiani. Il posto in questione è quello al suolo, nessuna branda, solo un materasso.
Non batto ciglio, il "sostitutivo" controlla l'equalizzatore audio e le funzioni video del mio corpo, gesti e parole sono il prodotto di un automatismo, quelli di un robot programmato alla sopravvivenza, confinato a un esilio fisico e psichico: sono addestrato e malsanamente mi convinco che la sofferenze sia l'unico vero orgasmo di cui io possa godere.
Preparo le mie cose, abiti che da anni mi accompagnano nelle galere, fieri di aver conosciuto i confini di Rebibbia, poveri ma dignitosi. Solo io ho smarrito dignità e orgoglio.
Mi sovvengono le parole di Vasco: "Corri e fottitene dell'orgoglio"; caro Vasco vinco io, perché fotto eme ne fotto di tutto, non solo dell'orgoglio, e in quanto a correre, ho già dato.
Destinazione 3° sezione: tossic-park! Cella: 314. Abitanti: due catanesi ultracinquantenni che mi squadrano dalla testa ai piedi.
Nell'arco delle successive dodici ore hanno provato, senza risultato alcuno, a impressionarmi. In 12 minuti li ho resi ipocondriaci, non gli importa che abbia bicchiere e posate segnate, per loro sono un appestato, un lebbroso: ho l'epatite C. Oramai ci convivo da 16 anni.
Sono stato programmato, educato, indottrinato alla pulizia e all'ordine, sono un'armatura che riflette i difetti altrui e li ingigantisce, macro-difettoso-tecnologia, la scienza di cui sono professore, abilissimo a celare la mia anima, ceramica di Limoges, Capodimonte, Swarovski, se urtato nel punto giusto potrei franare, crollare, rimanere disintegrato.
L'indolenza ha lasciato spazio all'iperattività. È il metadone? È il bisogno di tenere occupata la mente a spingermi in occupazioni meticolose e continue? È bene o è male?
Pensieri. Ogni neurone ne produce uno in netta contrapposizione con gli altri. Le paranoie sono più che mai vive, presenti. Ombre che mi volteggiano alle spalle e si prendono gioco di me, voci cui devo rispondere perché smettano d'insinuarsi nella mia mente: sono impazzito! Sto impazzendo ! Sono pazzo da tempo e non mi sono reso conto?
I miei coinquilini, concellini, conviventi per cause di forza maggiore, mi aiutano più di quanto non credano, e di quanto mi aspettassi: non so ancora vedermi tra venti anni, ma, piuttosto che assomigliare a loro, preferisco passare da aghi 8 mm a 27 mm, chissà che non riesca ad anticipare la mia tumulazione …
Le ultime due settimane le ho trascorse tra pulizie e facendo l'aiuto cuoco. Uno dei due sa cucinare, e io mi sento sollevato da un incarico che in questo momento non sopporterei.
Mi sono concesso un'unica uscita ai passeggi, non mi vanno queste facce gialle. Forse voglio solo nascondere la mia. Sono l'incarnazione dell'atroce sofferenza che mi autoinfliggo, peso 53 kg, se mi cogliesse di sorpresa una folata di vento, mi trascinerebbe come una foglia secca. E poi, devo stare attento a Loro, non vogliono che io esca dalla cella. Lì fuori ci sono i demoni, tenebrosi mostri che altro non aspettano: uccidermi. Attendono pazienti che io mi lasci cullare tra le braccia di Morfeo per sorprendermi, tormentarmi nel sonno. Panico e terrore mi assalgono, quando penso che non sii tratta di incubi ma di una realtà parallela in cui vengo catapultato; io vampiro di me stesso. Io nota errata, falso accordo, imprigionato in un'agonia che mi scuote e mi morde.
È domenica, sono circa le 3 del pomeriggio,. Il cambio guardia è vicino, quando ci appare il fratello segreto di "faccia di merda": "Preparate tutta la vostra roba - ci dice, fermo e deciso - avete venti minuti per svuotare la cella. E, occhio, quando dico vuota intendo che non deve rimanere neanche un rotolo di carta da culo, chiaro?".
Chiaro è il Glen Grant, tu sei chiaramente stronzo - penso - arrogante e presuntuoso, ma qui, ora, comanda lui.
Non mi è ben chiaro il motivo di questo spostamento, di domenica poi, bizzarra situazione, ambigua condizione. Al contrario di me, i due catanesi sembrano sapere qualcosa, ma si comportano come chi è all'oscuro di tutto.
Domandano spiegazioni, ma qui non siamo a lezione di matematica, nessuno ha diritto a essere istruito sull perché o sul per come.
I minuti scorrono veloci, come in una bisca tiriamo i dadi, "12" vinco io, mi aggiudico l'acqua. È una divisione impari e azzardata come il trattamento cui siamo destinati.
"Pronti?". Dilatiamo e centilliniamo gli attimi a disposizione e tutto a un tratto ricordo mia nonna, e i suoi proverbi. "Chia lascia la strada vecchia per la nuova, sa quello che lascia, ma non sa quello che trova".
Non è certo questo il caso - questi due è meglio perderli che trovarli - ma non posso nascondere che l'ansia cresce, presagio che Loro sono in arrivo.
Dal 3° reparto al 2°, sì certo! Viene naturale pensare che siano vicini, si succedono numericamente, ma qui non esiste logica, nessuna scienza. Ci separano. Restiamo in due. Carichi come muli, percorriamo metri, 600 circa, scale, corridoi, e ancora scale.
L'ascensore, no! è solo per gli agenti.
Arriviamo a destinazione. Per me la suite n. 4, per l'altro la 24.
All'ingresso nella cella mi percuote un odore pungente, olio bruciato, puzzo di fritto stagnante. Il disordine regna sovrano, ma sono addestrato.
I miei nuovi compagni? Un uomo cileno, ha da poco superato la quarantina, basso, sarà 1,57 m, capelli argentati come i miei, tondeggiante nelle forme ma vigoroso, questo il risultato del mio occhio clinico. È dentro per furto e ricettazione. I suoi occhi? Dovranno passare 4 mesi prima che mi accorga che sono di un color nocciola intenso. Sì perché non guardo più nessuno negli occhi, sono terrorizzato all'idea che qualcuno possa leggere nei miei.
L'altro è un ragazzo d'origini marocchine, non ha ancora compiuto 21 anni. È alto. 1,83 per 100 kg circa, un tantino in sovrappeso. Ricci ribelli gli tempestano la fronte, guance paffute e labbra enormi. I suoi denti sono scandalosamente trascurati, perché? Non avrò mai interesse a domandarglielo. È accusato di possesso e cessione: è uno spacciatore.
Non sono molti felici, sono il terzo! Sono l'ingombro, rappresentato dal materasso al suolo, sono l'altro!
Ogni cosa al suo posto e un posto per ogni cosa.
Qui, in questo rettangolo, tra ostacoli fissati al suolo e al muro, non c'è spazio neanche per uno solo dei miei pensieri, figuriamoci per l'intero mio corpo, che viaggia accompagnato da passeggere indesiderate, violente perturbatrici della mia coscienza, Loro, le paranoie.
Non sento più il tempo che scorre, è tutto fermo. Giorno e notte s'inseguono, l'unico che non si muove sono io. Resto tra queste mura confinato da sbarre alle finestre, griglie magistralmente costruite a uccidere l'occhio che tenta di evadere.
Mi sono stabilito, ho piantato i picchetti, non mi muovo. Non esco mai dalla cella, se non per la doccia e il metadone. È la mia protesta, grido al mondo il mio non esistere, eppure respiro, mangio, cago. Sono morto dentro e con ostinazione, quella stessa morte cerco di trasferirla anche al corpo, ma a chi posso raccontarlo? Chi mi capirebbe?
Piango e mi dimeno nel sonno. Grido al risveglio. Resto immobile, non respiro. Ci vogliono dai 20 ai 35 minuti per convincermi che i lamenti e le voci, le mani sporche che vogliono tirarmi a loro, sono solo frutto dell'immaginazione.
Questo film si ripete tutte le notti e, come per gli attori di Nightmare, nel sonno il sogno è il nemico peggiore. È proprio la notte che l'inconscio prende il sopravvento e Loro possono godere, abusare, umiliare il mio corpo e la mia mente.
Devo fare qualcosa, ma cosa?
393, domandina semplice, girone dei Dannati, Anonimo Tormentato, chiede alla S.V. colloquio con lo/a psicologo/a di reparto. Nell'attesa, si ringrazia.
È il mio primo grido d'aiuto, ma qui sono tutti sordi!
Sono passati due mesi e io ho compiuto 32 anni, che per me si traduce in (3+2) - (3-2) = 4 il numero delle mura in cui sono confinato, 4 il numero della cella in cui sono imprigionato. Per il 17 Giugno mi sono regalato un altro tentativo di fare evadere la mia voce oltre questo cancello:
393, domandina semplice, nome, cognome e ubicazione scritti a caratteri cubitali, richiede alla S.V. di poter effettuare colloquio con lo/a psicologo/a del DARS (Detenuti Alto Rischio Suicidio).
DARS, un acronimo che mi ha perseguitato già in passato e al quale oggi mi affido, io che con gli acronimi scriverò Dell'Amor, Ritrovato Sollievo.
Passano i giorni, passano le ore e io mi aggiro tra questo ostacoli come un atleta, o forse come un leone marino? Ora peso 84 kg, rotolo come il cappellaio matto nel Paese delle Meraviglie di Alice. Purtroppo il mio paese di meraviglioso non ha davvero niente, esclusa la vita, quella degli altri che seppure in rovina resta un meraviglioso dono. Per me è solo un oppressivo insieme di tormenti, turbamenti, abbandoni, sconfitte. È un conto perennemente in rosso.
La mia attenzione è richiamata da un individuo che indossa uno strano costume. Conosce il mio cognome, il mio nome, il mio segno zodiacale, mi ha persino beccato segarmi nel cesso. Io, di lui, non so niente! Questo è il carcere: ti spoglia, ti priva dei tuoi più intimi pudori, ti rende un insieme di lettere e numeri, e a ricordare che anche tu "sei esistito", una foto su un cartoncino resta l'unica testimonianza.
Scandisce il mio cognome, mi guarda ammonendo la mia mole. Ho sostituito l'abuso di droghe con eccessi d'alimenti. Devasto il fegato con una media di trenta uova ogni cinque giorni, chiaramente le assumo a orari precisi, solo di notte, tra le due e le tre. Il puzzo di fritto stagnante ha sostituito la fragranza Allure pour homme di Chanel, ricordo di un venticinquenne fiero e brillante.
"Mettiti le scarpe - mi dice - hai visite". Non faccio domande, dopotutto una visita è pur sempre una visita, chi mai s'interessa a me?
Ad attendermi nell'ufficio, una donna. Tra tutte le immagini dei più illustri pittori che ho potuto visionare, nessuna bellezza è pari a quella che mi appare.
Ornata di gioielli, argento e oro bianco. Capelli lunghi. Seppur seduta intuisco che le arrivano sino alle anche. Neri, di un nero che ricorda la notte. "Si accomodi - mi dice tendendomi la mano - sono la dottoressa Taccolgo, psicologa del DARS". "Grazie", penso, ma non ringrazio. Non alzo gli occhi oltre i suoi zigomi, e non li abbasso oltre le sopracciglia.
"Sono venuta per guardare in faccia chi è tanto coraggioso e incosciente da autodenunciarsi". Le sue parole sono come una doccia gelata. Le spiego che la domanda è stata solo un escamotage. "Sono malato - le dico con voce spezzata - di un male che affligge anima e corpo, mente e cuore. Soffro a causa di un perenne turbamento". Con alcuni gesti mimo: "Chiudiamo le finestre, potrebbero spiarci, e poi non mi sento sicuro. Come posso sapere che lei è veramente chi dice di essere? Questo ufficio è sicuramente disseminato di cimici, cerchiamo di parlare poco. Sarebbe meglio utilizzare carta e penna, e non dimentichiamoci di bruciare o ingoiare le prove".
Suppongo sia una professionista, abituata a menti confuse, sconvolte, ai folli!
"Mi spiace, non posso fermarmi oltre, sono passata per assicurarmi che non abbia intenzione di compiere gesti inconsulti". Alzo lo sguardo. Incrocio il suo e sento una dimenticata sensazione di lacrimare liberatorio. È una sola lacrima, e io non sono un coccodrillo, ma qui, d'innanzi a lei, non posso non gridare "aiuto!". Giungiamo all'accordo che trascorsi sette giorni tornerà, dopotutto non ha altri casi, al DARS sono l'unica Dannata Anima Ripugnante da Studiare.
Lentamente, ma con una costanza di cui mi sorprendo capace, comincio a diminuire il dosaggio del metadone. I rapporti con i miei due amici, gli unici, i compagni di sventura con i quali condivido l'alloggio, sono notevolmente migliorati; dopotutto non sono uno stupido, e sebbene io sia l'unico a non accettarmi, riscuoto un certo successo tra coloro che mi sii avvicinano.
Io non cerco nessuno, almeno finché la soglia del "sostitutivo" non calerà sotto i 30 mg.
In realtà, è l'ennesima testimonianza di quanto il mio equilibrio sia collegato alla dipendenza, che sia essa da un farmaco, da un oggetto (agofilia) o da una persona.
Scoprirò con non poca fatica che i castelli che la mia mente edifica hanno un nome, idealizzazione. Amaramente mi ritroverò a realizzare, tornando con i piedi sulla terra e cadendo di culo sulle ortiche, quanto io sia semplicemente vittima del tramutarsi dei castelli in rovine.
Continuo a restare confinato, esiliato volutamente, ma ora tutti sanno che esisto. Io, la nota errata, tutte le settimane siedo di fronte al desiderio d'ogni ragazzo e uomo che sospiri tra queste mura, la dottoressa Taccolgo.
Luis, il mio compagno di cella, mi prende in giro, quando nell'attesa mi cambio d'abito in continuazione. Ricerco accostamenti di tonalità che facciano risaltare quel poco di grazioso che di me resta. È per Lei che lo faccio. Ho riflettuto e sono giunto alla conclusione che avendo di fronte a sé un essere composto, dall'aspetto gentile e curato, tutto il tormento, le angosce e la paura che le vomito addosso la turberanno meno. Fiumi di parole e sguardi. Sono la mia concessione, l'autorizzazione all'ingresso nella mia mente, sono l'input a scrutare la mia anima.
Le settimane scorrono, ora mi sento fortunato.
Nei mesi, molte cose sono cambiate. Ora l'ordine regna tra i 4 angoli della nostra n.4. Pazientemente, sono riuscito a renderli ordinati, a far loro provare piacere nel trovare sapendo dove cercare. Ora la fragranza che ci avvolge è quella del pane che sforniamo quotidianamente e di torte alla carota, ricordo di un'infanzia andata, violata.
Fine luglio 2006
È tempo d'indulto, io e Luis restiamo a guardare con curiosità. Noi, così poveri di spirito, ci limitiamo a saccheggiare i tesori rimasti, ora abbiamo una parete tappezzata di pentole che farebbero invidia al patron della Salvarani. La buona sorte ci si è concessa, Luis è lo scopino di sezione, investito dall'onere di svuotare le celle che si sono liberate. Passiamo circa due settimane a traslocare: lui arriva fino al cancello, il mio confine, e scarica tra le mie mani oggetti vari. Nello stesso modo in cui da bambini scambiavamo le figurine doppie dei calciatori, ora noi barattiamo queste cose.
Ci assicuriamo le grazie dei nuovi arrivati, li riforniamo dal nostro magazzino improvvisato, in cambio riceviamo sorrisi e strette di mano. Sono il prezzo che pretendiamo, ricerchiamo Tenerezza.
Lei non c'è. La dottoressa Taccolgo è in vacanza. Giusto un paio di settimane prima, il Sert le ha domandato un approfondimento psicologico: "Che cos'è?" le ho domandato quando mi ha informato che avremmo dovuto dare un'impronta diversa ai nostri colloqui.
"Anamnesi - mi rispose - immagina che io debba dipingere la tua esistenza" aggiunse sorridendo.
E pensare che io tradirò questo sorriso.
18 Ottobre 2006
Oggi, per Luis, è giorno di sentenza, abbiamo passato mesi a immaginare questo giorno. Siamo preparati. Da quando il nostro compagno è uscito, anche lui grazie all'indulto, la nostra convivenza forzata è diventata amicizia. Conosce di me più di quanto io non creda, ma non fa nessuna domanda indiscreta, si limita a cogliere, tra le parole dette, quelle mai pronunciate.
Trascorro la mattinata nell'attesa che rientri, ha già scontato otto mesi, se aggiungiamo l'indulto, sono tre anni e otto mesi, questa è la soglia, oltre c'è ancora galera.
È liberante, almeno teoricamente. Questione di un paio di settimane e ci dovremo salutare.
Negli anni che seguiranno, a ogni partenza corrisponderà un sentimento di abbandono: sarà la vera pena. Amici di quelli veri, considerato che per restarmi accanto, così combinato, si deve amarmi davvero. Vorrei che non mi lasciassero mai. Io così egoista, imparerò a tramutare il dolore in gioia, la loro, oltre questi confini. È il prezzo che devo pagare. Destinato a restare solo.
A me manca ancora un mese al processo, sì perché, grazie al mio avvocato, l'udienza nella quale dovevamo patteggiare si è risolta con un nulla di fatto. In effetti, la richiesta è stata presentata con un giorno di ritardo, sicché giudice e P.M. ci hanno proposto tre anni e un occhio chiuso sul lgiorno di ritardo.
"Cooosa??? Ma qual è il vostro spacciatore?". Risultato: espulsione dall'aula.
Sono trascorse due settimane, Luis è uscito e io ho un nuovo compagno di cella, ma qualcosa mi turba.
Non ne ho ancora parlato con la dottoressa Taccolgo, ma sto pensando di cambiare sezione, per non vanificare il lavoro introspettivo al quale mi sottopongo. Prendo la decisione:
Chiedo alla S.V. di poter cambiare sezione. Nell'attesa, si ringrazia.
Ancora una volta mi sto prendendo gioco di me stesso. Non sono per nulla interessato agli sforzi che si verificherebbero, ma piuttosto all'amichetto che ho conosciuto a teatro.
È basso, 1,62 forse 63, carne e muscoli sono ben distribuiti sul suo corpo, moro, carnagione chiara. Se non fosse per quest'ultimo particolare, sarebbe la "copia di Walter".
Eh già, Walter. Non manco di festeggiare il suo compleanno, era nato il 3 ottobre 1980, Bilancia. Il 13 novembre è già suffragio, mi vesto a lutto, in ricordo di un amore sepolto da 3 metri di terra a 14.000 km da me. Non mi perdono di essere partito per rientrare in Italia, sarebbero stati solo sei mesi, e poi, l'eternità. Il "per sempre" che si giurano gli innamorati. Ma lui non ha resistito al richiamo, e tra fischi nelle orecchie e catatonia è rimasto tre giorni in coma, il 13 novembre del 2000 alle 4:03 è spirato. È morto. Se ne è andato. Cinque giorni dopo cercherò anch'io la morte. Spinto da un'irrefrenabile desiderio di raggiungerlo, m'inietterò una dose letale, 2 grammi di caramello, 2 gocce di limone e acqua quanto basta: dolce morte:
Dai confini di Gratosoglio sarò soccorso in una traversa di Ripamonti, intubato sull'asfalto nel quale voglio sprofondare. Apro gli occhi. Sono circondato da curiosi, Sulla mia sinistra una ragazza pompa ossigeno nei polmoni, ha un costume dal colore sgargiante, un arancio luminoso, a tratti verde, a tratti giallo. Tra le mani ha un palloncino che stringe e rilascia. Mi rivedo bambino, io e il mio fratellino a correre tra la folla della festa di paese …
Lo afferro, non è un filo legato al palloncino, ma un tubo 0,20 mm che mi arriva alla laringe e anche oltre. In un solo movimento l'ho estratto come una spada dal suo fodero. Sconcerto tra ii presenti. Vengo assicurato alla barella, mi legano.
Ci vorranno sei fiale di Narkan per farmi tornare tra i terreni. Mi domando perché qualunque cosa faccia, ovunque vada, vengo arrestato nel cercare la morte.
Sono morto in quel 18 novembre del 2000, ma non c'è nessuna lapide su cui piangere, posare fiori o accendere lumini.
Passano solo due giorni e vengo chiamato dal capo reparto. Mi dice che c'è un letto libero al 4°. È l'unico e chissà quando se ne libererà un altro. "Qual è il problema?" domando. "Il ragazzo con cui dovrebbe dividere la cella, è un giovane arabo".
Ricapitoliamo velocemente: i primi erano catanesi, italiani, tarantellari; poi ci sono stati il magrebino 21enne e Luis, sorrisi, amici.
Rispondo con tono quasi sorpreso di chi è cittadino del mondo: "È qual è il problema?".
Ormai è novembre e io sono giunto alla mia nuova destinazione, 4° reparto: nessun cambiamento.
Ccomi qui, io così sgraziato, disgraziato eppure così fortunato. Io che in carcere trovo ciò che fuori mi nego, confino tra queste mura i miei piaceri, li ricerco. Arrivato alla soglia dei 20 mg, raggiunti gli 84 insostenibili kg, ora voglio sesso. E lo ottengo. Mi credo innamorato con la stessa frequenza con cui un bambino cade e rialzandosi ricade, eppure non demorde. L'amore è tortura, è sofferenza, è un occhio livido, un sopracciglio spaccato, il labbro gonfio, è Marco Aurelio che mi costringe a lasciarmi usare: sono solo un oggetto, io.
Le settimane trascorrono, e il natale si avvicina, Il mio compagno di cella si prende cura di me, ispiro così tanta tenerezza? Oppure è solo pena? Non parliamo molto, sono i gesti a sostituire le parole, il rispetto, la devozione. È quasi amore, ossessione.
Loro non demordono mai! Non appena resto solo, si presentano. Bussano al mio cancello. Le sento passare, ma non riesco a vederle, non pienamente, ma sento il loro respiro, e il mio si fa affannato. In casi estremi chiamo l'agente del piano che, a sua volta, chiama l'infermiere di turno. Ho ottenuto che mi somministrino delle iniezioni di Toradol, sono malato, e destinato a esserlo per sempre. Nel peggiore dei casi vivrò come nel film A beautiful mind, nel migliore mi getterò dal 6° piano. L'hanno già fatto in due: 6-2=4! Macabro segno, questo numero è presagio che ritorna continuamente, cosa rappresenta davvero? Perché mi perseguita?
Alla dottoressa Taccolgo ho detto la verità sul motivo che mi ha spinto a cambiare reparto. Ha arricciato il naso e poi ha sorriso, di quel riso angelico che solo le anime belle possiedono. Lei non guarda mai l'orologio, mi concede tutto il tempo di cui ho bisogno.
Le pubblicità dei panettoni e dei pandori girano su tutti i canali televisivi, Babbi Natale con slitte sorvolano boschi a somministrare Coca, pupazzi di neve bianca come thailandese, ogni immagine mi rimanda costantemente alle droghe. Persino i canditi: Tic tac in blister!
23 dicembre 2006
È l'antivigilia. Vorrei fosse la vigilia della mia morte. Non posso negare, però, il Natale al mio compagno, al fratello che mi accudisce. La notte mi veglia, perché io possa risalire dall'incubo ed evitare il terrore che mi attende, costretto a sognare di mostruosità eternamente.
Sto preparando un po' di tiramisù, poco più di 2 kg, per 2 giorni sarà sufficiente. Il risultato di quest'equazione si riduce a qualcosa che già conosco, non mi stupisco che sia lì, lui, il 4.
Un agente si spinge sino al cancello del mio confine, cella 22. Ha in mano due sacchi neri, immediatamente penso: "E ora che ho fatto?". "Babbo Natale è passato in anticipo, vai ai domiciliari" mi dice.
Non sono ancora le 16:00. Alle 18:00 mi riscopro in una casa che non riconosco. Due persone a ricevermi, mamma e papà. Durante il calvario di questa esistenza hanno penato per me e con me. Sono sempre venuti a trovarmi, puntuali, ogni 15 giorni. Colloquio per me ha sempre significato silenzio. Nel migliore dei casi resto spettatore del loro interloquire, ma io sono assente, invisibile.
Continuerò ad assumere il metadone. In principio sarà mio papà ad andare al Sert una volta a settimana, a fare il carico. A febbraio otterrò il permesso di recarmi personalmente al centro di distribuzione, tutti i giorni.
Il 7 del 3 del 2007, grazie all'indulto, vengo scarcerato. Il 24 maggio all'una e 03 sarò nuovamente arrestato. Dinamiche diverse, ma stesso risultato: Via S. Quirico 9, Monza. Dei 31 kg aggiuntisi durante la mia ultima permanenza, ne ho persi 13. Questa volta, invece della dose di schiaffi, all'ingresso mi aggiudico un premio. Felice di comunicarle che, per essere il nostro 112° ospite del giorno, ha vinto una bella denuncia per possesso di sostanze stupefacenti, 1.3 gr, principio attivo THC.
L'avevo dimenticata nel portafogli e i Carabinieri non l'hanno trovata, dopotutto alle 3 del mattino anche loro sono stanchi. Come motivazione al possesso, adduco l'uso curativo, se non altro la fantasia non mi manca.
La dottoressa Taccolgo e sempre lì, a curare menti. Gli agenti sono gli stessi. I visi dei degenti, altri, ma la pena è sempre la stessa. Tutti avanzano, oppressi e depressi. Io non mi muovo. Per ogni passo avanti ne ho fatti due indietro. Fortunatamente, in quest'esplosione atomica che è la mia vita, un sorriso a rivelarmi la via, l'alternativa: la dottoressa Taccolgo.
Un anno ancora di duro lavoro. Anno in cui riprenderò gli studi per la letteratura, la psicologia, la filosofia … otterrò persino un attestato.
Anno alla fine del quale vedrò assegnare un nome al mio mal di vivere. "Disturbo della personalità di tipo borderline", mi dirà la dottoressa Taccolgo, ma non sorride.
Mi spiega che si tratta porgendomi un libro. È la storia di una ragazza borderline. Leggendo riscopro analogie, sfumature. Io, a tratti più bianco, a tratti più nero.
Vado in biblioteca 2 giorni a settimana, per 2 ore. Lì mi sento in pace. È l'unico luogo in cui Loro non possono entrare. È la Torre del mio Castello, unico luogo in cui trovo quiete. È arredata con librerie di colore bianco. Sedie di colore bianco. Tavoli che accecano. Il bianco è ovunque. Sembra ovattata. Una sublime sinfonia mi raggiunge: i battiti del cuore. Durante questi ultimi anni sono passato davanti a Lui centinaia di volte. Il suo nome: DSM, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Desorder. Cerco nell'indice, pagina 346 e 347. Improvvisamente ritorna il 4. Ora lo vedo distintamente.
È il 4 ottobre, si celebra San Francesco d'Assisi, e con l'immagine del Santo ritrovo la quiete, e in Francesco, senz'occhio livido, l'amore. Apro il manuale.
Francesco Fusano
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