#Carraia
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Il fantasma di Ponte alla Carraia
Ponte alla Carraia aveva uno spirito tutto suo: corna lunate, vello ricciuto, zoccoli biforcuti. Un ariete o, più semplicemente, un montone di quelli che i pastori mettono a capo del gregge. A quei tempi, nel costruire un ponte, era buona usanza sacrificare un montone e sotterrarlo sotto un pilone per augurare stabilità alle arcate. Nei pressi del ponte viveva un certo Marrocchio. Un così strano nome, rendeva l'uomo più misterioso. Marrocchio aveva il brutto difetto di bestemmiare quando era a corto di denaro e, a giudicare da quanto spesso questo accadeva, doveva guadagnare poco o essere molto avaro. Neanche in punto di morte perse questa sua cattiva abitudine; tuttavia, prima di morire, Marrocchio si era premurato di mettere al sicuro il suo denaro, come se ritenesse di poter tornare dall'aldilà a riprenderselo. Una pietra sull'arco del ponte gli sembrò un nascondiglio sicuro. Notte tempo, si mise a scalzare la pietra, forse già sconnessa, guardandosi bene intorno per assicurarsi che nessuno lo vedesse. Nello spazio scavato adagiò il suo tesoro e lo ricoprì con la stessa pietra, facendo in modo che non si notasse che era stata spostata. Il ponte alla Carraia, sempre molto transitato, venne in aiuto e provvide a livellarla perfettamente.
Si diceva che Marrocchio avesse venduto l'anima al diavolo, con l'aggravante delle tante bestemmie che uscivano da quella bocca; dopo la sua morte cominciarono a girare storie sul suo fantomatico tesoro scomparso, e la gente sosteneva che non avrebbe trovato pace finché quel denaro occultato non fosse stato ritrovato e speso. Ed è a questo punto della storia che intervenne lo spirito del ponte: uno spirito buono, che si curava della pace dell'anima di Marrocchio, nonostante i suoi spropositi: un piccolo ariete dalle corna lunate che contendeva la sua anima al diavolo. Ogni notte, cominciò ad apparire sul ponte, caracollando innanzi ai rari passanti. Se qualcuno lo avvicinava, d'un balzo spariva in una lingua di fuoco. Se i renaioli cercavano di afferrarlo, dal suo vello uscivano scintille. Molti erano spaventati a morte da questa presenza. Lui, noncurante, ricompariva, rovesciava le barche sul greto, rompeva i remi, scompigliava le reti dei pescatori, si dilettava in ogni sorta di dispetti. Quel piccolo ariete cominciò ad apparire anche di giorno, tanto da diventare una presenza abituale. Col maltempo e col freddo la gente se ne stava in casa e nessuno fece più caso a questo animale. L'Arno, dopo la Carraia, correva libero tra le canne e le alberete e la bestia avrebbe potuto essere scappata da qualche ovile, dove avrebbe fatto ritorno la sera, come è abitudine delle bestie.
In un giorno d'inverno e di bufera, quando chi attraversava il ponte era intento a reggersi le vesti e il berretto contro il vento che mulinava, un giovane riuscì a studiare, inosservato, le mosse del montone. Si accorse che appariva e spariva sempre sulla stessa pietra, e questo lo portò a pensare che il tesoro di Marrocchio fosse nascosto proprio là sotto. Sapeva che la mezzanotte era l'ora più adatta alle apparizioni e a quell'ora tornò. Puntuale l'uomo e puntuale il montone, allo scoccar dei dodici tocchi. Il giovane, con un certo timore, si appressò all'animale, augurando pace a quello spirito; gli disse anche che, qualora fosse a conoscenza del mistero di un tesoro, gli avrebbe offerto il suo aiuto per liberarlo dall'inquietudine che il dover tenere il segreto gli procurava.Per tutta risposta, il montone si mise a tamburellare gli zoccoli sempre sulla stessa pietra e al giovane non fu difficile mantenere la promessa, ricompensata dalla scoperta di un bel gruzzolo d'oro. L'anima di Marrocchio trovò pace, strappata al diavolo dal buon ariete, e nessuna apparizione turbò più il ponte e i passanti. La Carraia era il ponte dei carri che andavano e venivano in città dalla campagna. Un greto renoso, un prato sulle rive e subito campi, alberi, aria libera. Da una parte all'altra, era sosta obbligata dei barrocciai che si fermavano a crocchio lungo le spallette, passavano, rallentavano, sostavano sul carro rosso di minio. Lo zoccolare dei cavalli dall'allegra sonagliera cullava quel viaggio traballante sulle grandi ruote dal mozzo nero. Il sacco di fieno lasciava cadere ogni tanto qualche pagliuzza, indice di buon augurio. Ogni tanto, su quel carro, i barrocciai si sdraiavano come in un letto. Il cavallo conosceva la strada del ritorno e cullava quel riposo nel monotono alternare dei suoi zoccoli stanchi. Figure d'altri tempi, quasi leggendarie, come il piccolo ariete del ponte e lo spirito di Marrocchio, dal nome unico. Anche la Carraia, senza più i suoi carri, ha ormai un nome anacronistico.
Gabriella Bazzani Madonna delle Cerimonie Pubblicità Per soggiorni a Firenze negli appartamenti San Giuseppe 12 contattare: For stays in Florence in the San Giuseppe 12 apartments contact: Antonino Sutera +393497099832 [email protected] Cin IT048017C2WVJQ6CBW Read the full article
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There Goes the Sun 🌇
#Golden Hour#Arno#River#Ponte Alla Carraia#San Frediano in Cestello#Birds Flying#Contrails#Renaissance#Architecture#Bridge#Sunbeam#Sunset#Cityscape#Ponte Santa Trinita#Florence#Tuscany#Italy
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Found out that one my favourite gelaterias ranked among the top 100 best ones in the world????
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3x05 "Contorno" and 3x06 "Dolce"
Will seems to imagine Florence while he's lying on the train's bed, and he sees the bridge Hannibal will cross, hours or days later, wounded and battered after the fight with Jack. Has Will ever been to Florence? Don't think so. How and why does he envision the exact spot Hannibal will be? Florence is pretty big and there are something like 15 bridges.
Ponte Santa Trinità, Florence
[The bridge is Ponte Santa Trinità, with its distinctive white stone scroll ornaments. When Hannibal walks on it, we see the same background buildings (mirroring Will's fantasy) and Ponte alla Carraia, the neighbouring bridge on the Arno to the west. Ponte Santa Trinità has statues at both ends, representing the Four Seasons: Winter, Summer, Autumn and guess what... Spring.]
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ATTENSIONE ATTENSIONE! Apologia di Creato! Là, oltre l'almeno, tra campi di mucchi, nella valle del sé, nel regno dei gesti, agli antipodi, dove si mandano giù i rospi per sputare i principi, dove si usa l'incredibile per fare il possibile, là, c'è la lingua levatoia che fa passare il pensiero. Scrittura carraia: non ci deve essere nulla davanti. Certo che costa: è la cauzione che serve per "sprigionar" le forze! E'nergia! Energia enucleare per estrarre la forza chiusa, parola di minattore. Trasporto carichi emotivi, Consolato degli Insetti, donatori d'idee, collaudatori d'attimi: attensione! Attensione! Si è perso del tempo! Non resta che pregare Tantalo (Sua Quantità), Dio del colmo (Sua Vastità), e fare apparire i soqquadri. Mai zitti, anima in bocca. Dove sta scritto? Sta scritto qui (Nel)! Uomini del dappertutto unitemi!
(Alessandro Bergonzoni)
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nere pietre
in divisione di segni
lungo la carraia segnata
gli occhi a scolpire
in bruno di nubi
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James Hakewill - Firenze - Vista dal Ponte alla Carraia (from "A picturesque tour of Italy", 1816-17)
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Intervista a un suicida
L’anima, quello che diciamo l’anima e non è che una fitta di rimorso, lenta deplorazione sull’ombra dell’addio mi rimbrottò dall’argine.
Ero, come sempre, in ritardo e il funerale a mezza strada, la sua furia nera ben dentro il cuore del paese. Il posto: quello, non cambiato – con memoria di grilli e rane, di acquitrino e selva di campane sfatte - ora in polvere, in secco fango, ricettacolo di spettri di treni in manovra il pubblico macello discosto dal paese di quel tanto…
In che rapporto con l’eterno? Mi volsi per chiederlo alla detta anima, cosiddetta. Immobile, uniforme rispose per lei (per me) una siepe di fuoco crepitante lieve, come di vetro liquido indolore con dolore. Gettai nel riverbero il mio perché l’hai fatto? Ma non svettarono voci lingueggianti in fiamma, non la storia di un uomo: simulacri, e nemmeno, figure della vita.
La porta carraia, e là di colpo nasce la cosa atroce, la carretta degli arsi da lancia fiamme… rinvenni, pare, anni dopo nel grigiore di qui tra cassette di gerani, polvere o fango dove tutto sbiadiva, anche - potrei giurarlo, sorrideva nel fuoco – anche…e parlando onorato: “mia donna venne a me di Val di Pado” sicché (non quaglia con me – ripetendomi – non quagliamo acque lacustri e commoventi pioppi non papaveri e fiori di brughiera) ebbi un cane, anche troppo mi ci ero affezionato, tanto da distinguere tra i colpi del qui vicino mattatoio il colpo che me lo aveva finito. In quanto all’ammanco di cui facevano discorsi sul sasso o altrove puoi scriverlo come vuoi:
NON NELLE CASSE DEL COMUNE L’AMMANCO ERA NEL SUO CUORE
Decresceva alla vista, spariva per l’eterno. Era l’eterno stesso puerile, dei territori rosso su rosso, famelico sbadiglio della noia col suono della pioggia sui sagrati… Ma venti trent’anni fa lo stesso, il tempo di turbarsi tornare in pace gli steli se corre un motore la campagna, si passano la voce dell’evento ma non se ne curano, la sanno lunga le acque falsamente ora limpide tra questi oggi diritti regolari argini, lo spazio si copre di case popolari, di un altro segregato squallore dentro le forme del vuoto. …Pensare cosa può essere – voi che fate lamenti del cuore delle città sulle città senza cuore – cosa può essere un uomo in un paese, sotto il pennino dello scriba una pagina frusciante e dopo dentro una polvere di archivi nulla nessuno in nessun luogo mai.
Vittorio Sereni
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La meraviglia
dite dov’è la meraviglia da ammirare sorpresa di bellezza propria, la donna cui voler bene per sempre, a che ora gli orologi si riprendono il proprio tempo, chiarite il significato di una vita trascorsa in questa carraia, cos’è scritto negli occhi del gatto oltre la lista della spesa e il benvolere forzato della carità esibita mai sentita, spiegate perché non sempre è sabato e i gabbiani sono…
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59. (La distilleria)
Nel giardino di fronte, che s’allargava in un breve pianoro fino al muro di confine, si nascondeva un segreto. Tutta quella cascina, divisa in due caseggiati affiancati, era stata, una volta, una distilleria. L’azienda aveva avuto successo e i padroni avevano dovuto cercarsi qualcosa di più grande. Lo stabilimento era allora diventato l’abitazione degli eredi, fino ad arrivare nella proprietà di Massimo, che mi ospitava in quel pomeriggio di calde pennellate e di primo Settembre. Ce ne stavamo seduti sulla panchina a guardare, con la Barbera in mano, e mi raccontava la storia di quel posto, che mai avrei potuto immaginare.
Non c’era un solo segreto, veramente; ce n’era più di uno, e tutti nascosti sottoterra. Sulla destra, in fondo, c’era la legnaia; sotto la legnaia c’era il magazzino, che era praticamente scomparso. La porta carraia, all’esterno, era stata chiusa e completamente ricoperta da un interramento; il magazzino stesso era stato riempito di qualcosa e murato dall’interno, cosicché risultava sepolto da ogni possibile accesso. Però, nonostante la terra e i mattoni e il tempo e gli uomini, conservava intatto il suo fascino, anche perché l’eco delle storie rimaneva nell’aria.
Davanti alla porta carraia, ad esempio, era stato ucciso un uomo, il socio del proprietario, ai tempi del fascismo. Dei sicari lo avevano chiamato fuori e liquidato, a causa delle sue simpatie politiche. E chissà che mai fosse stato murato, nel magazzino. Forse robaccia, forse qualcosa di valore, ma in ogni caso si portava quasi un secolo di storia appresso, un profumo, quindi, che non si sente tutti i giorni.
Dentro di me correvano quelle storie e quelle immagini, vedevo il sangue, sentivo gli spari, entravo nell’antro polveroso mentre era ancora vivo, mi perdevo, insomma, come mi capita quando il passato si affaccenda intorno a me.
C’erano altre cose, che Massimo mi stava ancora raccontando. Per esempio, del vascone dove si teneva a riposare il distillato, fatto di lucide piastrelle vetrose, lisce, quasi fosse il ventre di una misteriosa astronave, piantatasi sotto al pavimento. Tutto, lì intorno, sembrava rimandare a qualcosa che gli occhi non vedevano, che aveva bisogno di essere riportato alla luce. C’era una specie di malinconia, accanto alla bellezza; sotto l’erba così tranquilla giaceva un dimenarsi silenzioso di storie e di passioni. Forse era per tutti questi richiami, per queste allusioni messe in campo da quel pomeriggio, che quando mi parlò del giardino, il racconto sprofondò dentro di me: diventò me.
Una vecchia gli aveva detto che proprio lì, cinque o sei metri davanti a noi, invisibili adesso, sottoterra, c’erano delle vasche in cemento, una volta piene dell’acqua che serviva per la lavorazione della grappa. Ai bambini era raccomandato di non andarci troppo attorno, perché erano pericolose. Ma adesso, di tutto quel pericolo, di tutta quella magia negli occhi dei bambini, di tutto il lavorio che c’era intorno, di tutta quella fresca trasparente abbondanza, non restava nulla, tutto era dimenticato là sotto, come un segreto, conservato sempre più labilmente da qualche ricordo, pronto a marcire quando finalmente una radice fosse riuscita a trovare la fessura adatta, a sbriciolarne la compattezza, a violarne l’ormai inutile passata forza.
Mi metteva una certa tristezza pensare a quei muri che non vedevano più il sole, rimasti senza parole e senza gioia. Anche io mi sentivo così, come quelle cisterne, ché, come loro, avevo brillato sotto il sole di Luglio, avevo dato vita ad un liquore umoroso, inebriante già dal profumo, di cui continuavo ad essudare gli aromi. Poi sarebbe stata solo questione di tempo, la terra mi avrebbe ricoperto, sarei diventato un ricordo, e, a corollario della fine, del ricordo si sarebbe spenta anche la memoria.
Ma non importava. Finché fossi stato vivo, avrei tirato fuori tutto il possibile. Anche di più.
Fin quando ci sarà l’ultima goccia. Se non ne avrò più, se tutto si sarà consumato, ancora mi stringerò, per farla uscire. E poi, quando il cielo mi negherà uno spasmo ulteriore, me ne starò come una cisterna, vuota, a sentire il sole, o forse la terra, forse una radice alla fine mi violerà e di me non resterà che una voce, che sbiadisce nel tempo. Ma nel frattempo terrò la mia storia con me, di tutte le gocce essudate resterà traccia, nel mio cemento, rivoli colorati e asciutti, ognuno di vita, ognuno con la sua parola, ognuno ancora a guardare in faccia il mio amore.
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Tuscan Sunset 🌇
#Golden Hour#Arno#River#Great Egret#Birds Flying#Basilica di Santo Spirito#Palazzo Capponi Vettori#Palazzo Bardi Guicciardini#San Frediano in Cestello#Ponte Alla Carraia#Ponte Santa Trinita#Renaissance#Architecture#Bridge#Sunbeam#Sunset#Cityscape#Florence#Tuscany#Italy
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Florence - 09 de junho de Ano 3 - Sábado - Doc - 27 anos
07:00 - Acordamos e nadamos:
07:40 - Tomamos café na piscina:
08:10 - Voltamos, tomamos banho e nos arrumamos. 09:00 - Saímos. 09:20 - Visitamos um museu: Museo Bellini
10:00 - Tomamos um sorvete: Gelateria La Carraia
10:20 - Andamos de bike:
10:50 - Visitamos: Piazza Goldoni
11:10 - Visitamos uma loja: Bottega Giotti Leather Goods
11:30 - Relaxamos em uma praça e ficamos de papo: Piazza Ognissanti
12:20 - Almoçamos: Nerocarbone Bistrò Toscano
13;40 - Fazemos umas comprinhas: PALLANTI - Jewelry Atelier - Bottega orafa
14:00 - Outra: D.A.T.E. Flagship Store Firenze
14:20 - Vamos a uma galeria: Eduardo Secci Firenze
15:00 - Voltamos ao hotel e dou uma estudada.
17:00 - Subo e relaxo, vendo filme com Pi. 18:30 - Tomamos banho e nos arrumamos para sair. 19:40 - Jantamos, nós dois: Locale Firenze
21:30 - Voltamos e dormimos (L).
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Porte e postierle di Firenze (seconda parte)
Le mura di Firenze nella Pianta della Catena del XV secolo Porte e postierle di Firenze (prima parte)Nel 1284 venne deciso l’ampliamento della cinta muraria della città di Firenze, la terza, un’opera imponente che si protrasse per molti anni fino al parziale compimento nel 1333, un anno fatidico per la città ricordato per la tremenda esondazione del fiume Arno, e continuata negli anni successivi fino al 1388 e oltre come scriveva il Repetti nel “Compendio della storia di Firenze, articolo estratto dal Dizionario geografico storico della Toscana”.
Firenze Porta del Vescovo, dal libro del Biadaiolo(Domenico Lenzi) XIV secolo Firenze in epoca romana aveva quattro porte: San Piero, del Vescovo, San Pancrazio e Santa Maria due lungo ciascun asse tracciato dal cardo e dal decumano e pertanto una a nord e la corrispettiva a sud, l’altra a est e la corrispettiva a ovest. Benedetto Varchi nella “Storia fiorentina” così ce le descrive: “Ebbe quattro porte maestre, onde fu divisa in quattro quartieri, le quali porte erano in guisa situate che facevano come una croce. La prima dalla parte di levante si chiamava Porta San Piero; la seconda volgendo a man dritta alla plaga di settentrione, perché era vicina al tempio di San Giovanni, e non lungi dal vescovado, si nominava la porta del Duomo, o veramente del vescovo; la terza la qual era dell’occidente riscontro alla prima, fu nominata, dalla chiesa che era poco fuori di lei, la Porta di San Brancazio; la ultima, la qual era di rimpetto alla seconda, ebbe nome Porta Santa Maria, dove oggi si dice Por Santa Maria” Il Repetti descrive questo primo cerchio antico il cui circuito scriveva era quasi rettangolare ed era situato interamente lungo il lato destro del fiume Arno dove confluiva con il Mugnone che nel tempo fu deviato tre volte rispetto al suo corso naturale, che attraversava la città all’altezza di via Larga ( oggi Cavour), voltandolo verso San Lorenzo. Non tutti gli studiosi concordano sul numero totale delle cerchie murarie di Firenze dopo quella romana. Alcuni indicano, fino a quella arnolfiana trecentesca, altre cinque cerchie murarie. Giovanni Villani racconta nella “Nuova Cronica” di una cerchia iniziata nel 1078 e che il Repetti considera il secondo cerchio: Come la città di Firenze crebbe lo cerchio, prima di fossi e steccati, poi di mura. “negli anni di Cristo MLXXVIII cominciarono i Fiorentini le nuove mura, cominciando dalla parte del levante alla porta di San Piero Maggiore, la quale fu alquanto dietro alla detta chiesa, mettendo il borgo di San Piero Maggiore e la chiesa detta dentro alle nuove mura. E poi ristrignendosi dalla parte di tramontana, poco di lungi al detto borgo fece gomito ad una postierla poi seguendo insino alla porta di borgo San Lorenzo, mettendo la detta chiesa dentro alle mura; e poi appresso ebbe due postierle, ; conseguendo poi insino alla porta di San Paolo, e appresso seguendo insino alla porta alla Carraia, a la quale fece fine il muro in su l’Arno, ove poi si cominciò e fece uno ponte che·si chiama il ponte alla Carraia per lo nome di quella porta; e poi seguendo le mura non però troppe alte in su la riva d’Arno, mettendo dentro ciò ch’era di fuori alle mura vecchie, ciò era il borgo di San Brancazio, e quello di Parione, e quello di Santo Appostolo, e quello di porte Sante Marie insino al ponte Vecchio; e poi appresso in su la riva d’Arno insino al castello Altafronte”.(ndr: Castello Altafronte oggi sede del Museo Galilei, al tempo il Castello era inserito nella cinta muraria della città).
Il Catello d’Altafronte nella Pianta della Catena, oggiPalazzo Castellani in Piazza dei Giudici Oltrarno si avea tre borghi, i quali tutti e tre cominciavano al ponte Vecchio di là da Arno: l’uno si chiamava e chiama ancora borgo Pidiglioso, perch’era abitato di vile gente, e era in capo del detto borgo una porta che·si chiamava la porta a Roma, ove sono oggi le case de’ Bardi presso a Santa Lucia de’ Magnoli e passato il ponte Vecchio, e per quella via s’andava a Roma per lo cammino da Fegghine e d’Arezzo; altre mura non avea al detto borgo se non il dosso delle case di costa al poggio. L’altro borgo era quello di Santa Felicita, detto il borgo di Piazza, che avea una porta ove è oggi la piazza di San Filice, onde va il cammino a Siena; e un altro borgo che·si chiamava di San·Iacopo, che avea una porta ove sono oggi le case de’ Frescobaldi, che andava il cammino a Pisa. A’ detti tre borghi del sesto d’Oltrarno non avea altre mura se non le porte dette e’ dossi delle case di dietro che chiudeano le borgora con giardini e ortora di dietro. Ma da poi che·lo imperadore Arrigo terzo venne ad oste a·Firenze, i Fiorentini feciono murare Oltrarno, cominciando a la detta porta a Roma montando adietro al borgo a la costa di sotto a San Giorgio, e poi riuscieno dietro a Santa Felicita, rinchiudendo il borgo di Piazza e quello di San·Iacopo, e quasi come andavano i detti borghi; ma poi si feciono le mura d’Oltrarno al poggio più alte, come sono ora”. Dal 1173 al 1175 in soli due anni venne realizzata quella che viene annoverata come la quarta cerchia dalle origini e la seconda comunale. Il Mugnone fu deviato e il perimetro delle mura venne circondato da fossati alimentati prevalentemente dalle acque del torrente e nuovi fossati difensivi lungo l’attuale via dei Fossi che ne prese il nome. Se la struttura muraria di Firenze medievale ricalcava prevalentemente quella romana, fu in età comunale che la nuova cerchia incluse al suo interno i borghi che si erano sviluppati attorno alle porte che, essendo punti strategici di incontro e di scambi, avevano visto il fiorire di case e botteghe, come San Lorenzo e Santa Croce. Nel 1173 iniziò la costruzione della seconda cerchia comunale che ebbe un perimetro doppio rispetto alla precedente, sei porte e quattro postierle, ovvero piccole porte che venivano aperte a distanza dalle porte principali ma dall’uso strategico in caso di attacco e per raggiungere il camminamento di ronda, sebbene il Repetti avverta nel suo “Compendio” che non è dato sapere con certezza né il perimetro né le porte e le porticciole mancando una documentazione precisa. Lo stesso Repetti continua riferendo le notizie di quella che annovera come la terza ed ultima cerchia comunale e intitola il suo capitolo: “Porte del terzo cerchio della città tuttora esistente”. “Questo terzo cerchio ebbe 16 tra porte e postierle; dieci alla destra e sei alla sinistra dell’Arno. Otto di esse furono murate e disfatte al principio del governo Mediceo, cioè la porta della Giustizia, la porta Guelfa, la postierla de’ Servi, la porta Faenza e la porta Polverrosa tutte alla destra dell’Arno. Alla sinistra dello stesso fiume furono chiuse le postierle di Camaldoli, fra San Pier Gattolini e San Frediano e più tardi la parte di S.Giorgio sulle Coste e quella di San Miniato. Quest’ultima riaperta nel 1834. Cosicché attualmente esistono otto porte e una postierla” (da Repetti in “Compendio della storia di Firenze” 1849).
Firenze, la Porta torre San Niccolò nel dipinto di Fabio Borbottoni E concludiamo con alcune date relative alle fortificazioni successive legate a nomi illustri. Nel 1529 Michelangelo, nominato governatore e procuratore generale delle fortificazioni, fece rinforzare con bastioni tutti i punti più esposti del circuito murario: bastioni furono costruiti presso Porta San Giorgio e ridimensionò il bastione voluto dal San Gallo a san Miniato e quindi terrapieni e fossati. Nel 1590 fu iniziata un’altra opera di fortificazione quello che oggi chiamiamo il Forte Belvedere, la fortezza di Santa Maria in San Giorgio del Belvedere, affidata da Ferdinando Medici all’architetto Buontalenti.
Firenze, Porta San Miniato, in un dipinto di Fabio Borbottoni Fu il Progetto Poggi a fine Ottocento a decretare l’abbattimento delle mura e a dare vita a quelli che furono allora i viali di circonvallazione, quelli che oggi attraversano invece la città e che conservano nelle Porte i segni del lontano passato. Come sarebbe stata Firenze oggi se avesse conservato intatta la sua cerchia?
Salvina Pizzuoli
tuttatoscana.net https://tuttatoscana.net/storia-e-microstoria-2/firenze-porte-e-postierle-seconda-parte/ Read the full article
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Day Fifteen - Friday, April 7
Well, today is our last full day in Florence. Another day, another adventure. Today, was Vespa Tour day. We walked to the Tuscany Bike Tours shop and loaded into one of their vans for about an hour drive south into the Tuscany countryside. We had to pass a "driving test" to prove we were worthy of driving the Vespa. Fortunately, all of us that wanted to drive the Vespas passed the driving test.
It was a great morning riding Vespas in the Tucany countryside. We drove up and down the hilly and windy roads single file. It was on Laura's bucket list and she was in heaven. She can now cross that activity off of her bucket list.
After our ride, we toured a medival castle and winery and had lunch on the property. We were just south of Florence in the heart of the Chianti wine region. Our guide, Filippo, was very knowledgeable and was very safety conscious. We would all very highly recommend this tour. The food, wine and olive oil were also outstanding.
After the tour, upon our arrival back in town, we continued with our leather shopping. We went to the Peruzzi Firenze and the Misuri leather shops, both located near the Basilica of Santa Croce.
After shopping, we had our last dinner in Florence at L'Osteria di Giovanni. It was a fitting end to our trip. I had a great seafood (shrimp, mussels and calamari) pasta for my pasta dish and sea bass for my main course. Of course, we shared great bottles of wine and a lot of Limoncello for dessert. As is the custom in most of Italy, the Limoncello was complimentary and we took advantage of their hospiality.
After dinner, we finally found one of the best gelateria's in Florence, Gelateria La Carraia, right on the Arno River. It was a great way to end our trip.
After late night packing, we fly home tomorrow.
Ciao.
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Ponte alla Carraia #florence #firenze #carraia https://www.instagram.com/p/CFptvCcF0UK/?igshid=1a5l6bcvrucns
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A Day In Florence - Un Giorno a Firenze [Part 3: The Afternoon]
After being impressed by Il Duomo, and wandering around the centro for much of the morning, we decided to go for the best kind of lunch: gelato. But not just any gelato. We had some of the best gelato I’ve had in Italy thus far.
To get to this particular gelateria, you must first cross the Arno River, so we headed to Ponte Vecchio.
It was like stepping back into a pre-covid time. It was packed. Just like it always is. Full of families and groups and just.... people. All looking at the glittering jewelry shops and getting to the other side of the bridge.
We wore our masks as we waded through the crowds but since it is not required when you are outside before 6pm it was about a 50/50 split on mask wearing among the general Ponte population.
There is a break in the middle of the Ponte Vecchio shops that give you a splendid view of the Arno and the mountains beyond. So we too stopped for a photo. (briefly taking our masks off to do so)
And to also look for fish and take in the beautiful views.
Once across the Arno the crowds dissipated and we walked down towards Ponte alla Carriaia.
There are so many little things to appreciate in Florence. Really in any Italian city - there are just small nooks with small artworks or statues....just placed seemingly at random.
This, it turns out, is the Madonna del Puzzo ( Madonna of the Stench). Created by an artist in the 80′s who was fed up with drunks urinating in the street. He hoped the image of the Madonna holding her nose would discourage would-be miscreants. It did not.
But the point is....always keep a weathered eye out for the little details!
Walking along the Arno you also get to appreciate the feet of all the light posts in Florence because they are suddenly at eye level. And they are in the shape of feet!
Finally we reached out destination: Gelateria La Carraia. On the recommendation of Raffaella we tried the chocolate mousse. And now I am passing that recommendation on to you: try the chocolate mousse. It is amazing! All the flavors we tried at this gelateria were delicious but that mouse was by far the most amazing. This place is incredible.
After our most nutritious lunch we made our way back along the Arno in the insufferable heat that was starting to reach it’s peak
We were in search of a bus to take us up to Piazzale Michelangelo....
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