#Caproni poeta
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"Questo odore marino: l'inebriante poesia di Giorgio Caproni". Recensione di Alessandria today
Un viaggio tra memoria e sensazioni attraverso i versi evocativi di Giorgio Caproni.
Un viaggio tra memoria e sensazioni attraverso i versi evocativi di Giorgio Caproni. Recensione: Il profumo della memoria “Questo odore marino” di Giorgio Caproni è una poesia che si dispiega come una sinfonia di ricordi e sensazioni. Attraverso immagini olfattive e visive, il poeta cattura l’essenza di un momento intimo, un frammento di vita che si collega indissolubilmente all’odore del…
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Caminé. Caminé. Buscaba dónde poder detenerme. Ahora estoy sobre el límite. Donde termina la hierba y comienza el mar.
Giorgio Caproni (1912 – 1990)
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Caproni poeta, il monito in "versicoli quasi ecologici"
Giorgio Caproni è stato un poeta, un critico letterario e un traduttore italiano. Nato a Livorno il 7 gennaio del 1912 è morto a Roma il 22 gennaio del 1990. Giorgio Caproni, “versicoli quasi ecologici” E’ evidente che nella lirica “versicoli quasi ecologici” (tratta dalla raccolta Res Amissa) il poeta quasi ottantenne considerava la poesia come ricerca vana ma ininterrotta di cose che un tempo…
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Imbrogliare le carte, far perdere la partita. È il compito del poeta? Lo scopo della sua vita.
Giorgio Caproni
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“ «Ben altro è il cantare la Luna, che il mettervi il piede sopra come si è fatto il 20 luglio del 1969» scriveva un illustre fisico, Giorgio Salvini, inteso a mostrare la supremazia del fare e della tecnica sul sognare della poesia. Gli rispondeva un poeta, Giorgio Caproni: «altro è il cantare Laura, regalandoci per tutto frutto il Canzoniere, e ben altro è l’essere riusciti a conquistarla e ad andarci a letto»*, e sottolineava come i tecnici abbiano spesso una concezione distorta della poesia. Come se il poeta fosse il distratto perdigiorno che di notte canta la luna e le stelle... Ma anche se cosí fosse, che male c’è? Anzi, non c’è che bene, perché occorre con Caproni continuare a chiederci se conta di piú la luna sulla quale l’uomo ha messo piede con una navicella metallica, o conta la luna nella mente e nel cuore dell’uomo. Osservava George Steiner (seppur con qualche punta di estremismo) che [...] pur possedendo un fascino inesauribile e una bellezza frequente, soltanto di rado le scienze naturali e matematiche hanno un interesse definitivo. Esse cioè hanno aggiunto poco alla nostra conoscenza o al dominio delle possibilità umane; c’è maggior penetrazione del problema dell’uomo (e lo si può dimostrare) in Omero, in Shakespeare o in Dostoevskij, che in tutta quanta la neurologia o la statistica. Nessuna scoperta della genetica eguaglia o supera ciò che Proust sapeva del fascino o del fardello della discendenza; ogni volta che Otello ci ricorda la ruggine di rugiada sullo stelo lucente abbiamo un’esperienza maggiore della realtà sensuale e transeunte in cui deve trascorrere la nostra vita di quella che la fisica ha il compito o l’ambizione di comunicare. Nessuna sociometria dei moventi o delle tattiche politiche è piú importante di Stendhal**. “
* G. CAPRONI, Poesia e scienza: si può ancora cantare la Luna, in «Tuttolibri», 6 giugno 1987.
**G. STEINER, Linguaggio e silenzio. Saggi sul linguaggio, la letteratura e l’inumano [1958], Garzanti, Milano 2001, pp. 18-19.
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Gian Luigi Beccaria, In contrattempo. Un elogio della lentezza, Einaudi (collana Vele), 2022. [Libro elettronico]
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Mi sono risolto. Mi sono voltato indietro. Ho scorto uno per uno negli occhi i miei assassini. Hanno - tutti quanti - il mio volto.
da Il franco cacciatore, Garzanti, 1982
La vita è un viaggio, un cammino. Dietro di noi lasciamo la nostra ombra e i giorni che abbiamo vissuto. Così, con un’intuizione alla Kafka o alla Buzzati, il poeta livornese Giorgio Caproni dipinge questo gioco di specchi e di illusioni in cui alla fine è il doppio di se stesso, il responsabile di tutti i suoi errori. Ma, attenzione, perché tutto quanto forse è illusione: “Così si forma un cerchio / dove l’inseguito insegue / il suo inseguitore. / Dove non si può più dire / (figure concomitanti / fra loro, e equidistanti) / chi sia il perseguitato / e chi il persecutore”.
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Maria Luisa Spaziani
Voglio la parola lancinante, assoluta, che cancelli scialbature di sempre.
Maria Luisa Spaziani, poeta e traduttrice candidata per tre volte al premio Nobel per la letteratura, nel 1990, nel 1992 e nel 1997, è stata docente universitaria, aforista, ha scritto critiche, articoli e condotto trasmissioni radiofoniche.
Nei suoi versi, sempre musicali, adoperava parole precise, quotidiane, senza artifici retorici.
Nata a Torino il 7 dicembre 1922 in un’agiata famiglia borghese, il padre era proprietario di un’azienda produttrice di macchinari per l’industria chimica e dolciaria.
A soli 19 anni ha fondato e diretto una rivista letteraria, Il Girasole, poi diventata Il Dado, che ospitava inediti di grandi nomi come Sandro Penna, Umberto Saba, Vasco Pratolini e Leonardo Sinisgalli. E, addirittura, anche un capitolo del romanzo Le onde che Virginia Woolf le aveva mandato prima di morire con la dedica autografa “alla piccola direttrice”.
Il suo amore per la Francia e la sua poetica è stato palesato già per il percorso di studi intrapreso, si era, infatti, laureata in Lingue all’Università di Torino con una tesi su Proust e la letteratura francese. In Francia, si è recata spesso, iniziando grazie a una borsa di studio nel 1953.
Aveva 25 anni, nel 1949 quando ha iniziato a scrivere poesie e conosciuto Eugenio Montale con cui ha coltivato un sodalizio intellettuale e una lunghissima amicizia fatta di assidue frequentazioni, quando vivevano nella stessa città, e di un fitto scambio epistolare quando erano distanti.
A unirli era l’amore per la poesia, le letture comuni e la passione per il canto.
La prima raccolta di Maria Luisa Spaziani, intitolata Le acque del Sabato, venne pubblicata nel 1954 da Mondadori, nella prestigiosa collana Lo Specchio.
Successivamente ha insegnato francese in un liceo di Treviglio, a quel periodo risale la raccolta Luna lombarda del 1959 poi confluita in Utilità della memoria del 1966.
Per lungo tempo ha viaggiato da pendolare tra Roma e la Sicilia perché docente prima di tedesco e poi di francese all’Università di Messina.
In quegli anni ha curato volumi come Pierre de Ronsard fra gli astri della Pléiade (1972) e II teatro francese del Settecento (1974) e avuto una prolifica attività di traduttrice di autori e autrici come Jean Racine, Gustave Flaubert, André Gide, Marguerite Yourcenar, per citare qualche nome.
Nei viaggi all’estero ebbe modo di conoscere personalità di rilievo assoluto del Novecento letterario come Ezra Pound, Thomas Stearns Eliot e Jean-Paul Sartre.
Buona parte del libro di poesie L’occhio del ciclone, del 1970, era stato ispirato dai paesaggi del Sud, a cui sono seguite raccolte sempre più “diaristiche” e “impure” come Transito con catene (1977) e Geometria del disordine (1981) che si era aggiudicato il Premio Viareggio per la poesia.
È quasi narrativa anche La traversata dell’oasi, una raccolta di poesie d’amore che racconta le esperienze sentimentali di una vita.
Nel 1978 ha fondato, insieme a Mario Luzi e Giorgio Caproni, il Movimento Poesia, che alla morte di Montale è diventato Centro Internazionale Eugenio Montale e Premio Montale.
Negli anni 80 ha scritto e condotto alcuni programmi per Radio Rai.
Nel 1990, nell’intento di rinnovare la narrazione popolare in versi, ha scritto un poema in ottave dedicato a Giovanna d’Arco.
Ma è stato soprattutto con l’Epifania dell’alfabeto, pubblicato nel 1997, che ha ripercorso tutti i temi fondamentali della sua poesia, quasi come un reportage in versi: la memoria, il mare, la madre, l’amore, la poesia stessa.
Maria Luisa Spaziani ha scritto anche numerosi articoli, apparsi su riviste e quotidiani, saggi critici e una raccolta di racconti, La freccia, del 2000.
È stata presidente onoraria del Concorso L’anima del bosco e del Premio Internazionale Torino in Sintesi. Ha fatto a lungo parte della giuria del Premio letterario internazionale Giuseppe Tomasi di Lampedusa e del Premio Internazionale Mario Luzi.
Nel 2012 la sua carriera è stata onorata con la pubblicazione del Meridiano Mondadori dedicato alla sua opera poetica.
Si è spenta a Roma il 30 Giugno 2014, è stata tumulata nel Cimitero Monumentale del Verano.
Il suo archivio è conservato presso il Centro per gli studi sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei dell’Università di Pavia.
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Ah ok hai ragione; l'importante è che piaccia. A me piaceva abbastanza Giorgio Caproni ma io di poesia non ci capisco niente.
Anche a me non dispiace caproni.
Il mio professore penso me l’abbia proposto perché sono andata lì con un quesito preciso, e Pusterla è anche un critico e docente oltre che poeta, quindi ha una consapevolezza prospettica di “successione” rispetto a Sereni e Montale che lo rende funzionale a ciò di cui voglio parlare (anche in negativo). Magari leggendo leggendo posso postare qualcosa di suo, ne ho messe un paio già sulle storie di ig!
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Poeti moderni italiani: alla ricerca di un nuovo linguaggio
I poeti moderni italiani, e con moderni intendiamo quanti hanno scritto nel secolo scorso, hanno espresso stili molto diversi tra loro. Sintomo della grande vivacità del panorama poetico del Novecento. D'altronde non poteva essere che così per un secolo attraversato da due guerre mondiali e da profondi cambiamenti politici e culturali. Nella poesia del Novecento ritroviamo molte istanze tutte diverse tra loro: la sperimentazione linguistica che porta, tra l'altro, alla rottura con la metrica tradizionale; una forte componente soggettiva e introspettiva, attraverso la quale i poeti hanno esplorato i loro stati d'animo, le emozioni, le esperienze personali e la psicologia individuale; l'attenzione a problematiche sociali e l'impegno politico. Tutto questo supportato dalla ricerca di un nuovo linguaggio. Oggi accendiamo un piccolo faro su tre grandi poeti del Novecento: Giorgio Caproni, Mario Luzi e Alda Merini. Poeti moderni italiani: Giorgio Caproni Nato il 7 gennaio 1912 a Livorno e morto il 22 gennaio 1990 a Roma, Giorgio Caproni è considerato uno dei maggiori poeti italiani moderni. La sua carriera poetica ebbe inizio negli anni '30, ma la sua opera matura si sviluppò, appunto, negli anni '40 e '50, con la pubblicazione delle raccolte "Le città e la memoria" nel 1946 e "Il seme del piangere" nel 1956. Nel corso della sua vita, Caproni pubblicò altre importanti raccolte di poesie, come "Tutti i poeti sono giovani" nel 1973 e "Il sesto senso" nel 1984. Nei primi anni, è influenzato dal neorealismo e dalla poetica di Ungaretti, ma in seguito sviluppa uno stile personale caratterizzato da un linguaggio essenziale e una grande capacità di sintesi. La sua opera poetica è caratterizzata da una grande attenzione ai dettagli e da una riflessione acuta sulla condizione umana. Caproni esplora temi come il tempo, la memoria, l'amore, l'esistenza e la solitudine, cercando di dare un senso alle contraddizioni e alle complessità della vita. La sua scrittura è caratterizzata da un linguaggio essenziale, preciso e ricco di immagini evocative. Nonostante la sua grande maestria poetica, Caproni non godette di un grande successo commerciale durante la sua vita. Tuttavia, fu apprezzato e riconosciuto dalla critica letteraria, che lo considerava uno dei poeti più autentici e originali del suo tempo. Solo negli ultimi anni della sua vita ottenne un maggiore riconoscimento pubblico e diversi premi letterari, come il Premio Viareggio nel 1987 e il Premio Montale nel 1989. Oltre alla sua attività di poeta, Giorgio Caproni ha lavorato come traduttore, critico letterario e insegnante. Ha insegnato Letteratura italiana moderna e contemporanea presso l'Università di Roma La Sapienza. La sua opera ha influenzato molti poeti successivi e continua a essere studiata e apprezzata per la sua profondità e originalità. Il significato dell'esistenza umana: Mario Luzi Nato il 20 ottobre 1914 a Castello, un piccolo paese in provincia di Siena, e morto il 28 febbraio 2005 a Fiesole, vicino a Firenze, Mario Luzi ha lasciato anch'egli un'impronta significativa sulla letteratura italiana. Anche per Luzi la carriera poetica ebbe inizio negli anni '30, con le prime opere pubblicate sulle riviste letterarie dell'epoca, ma la sua opera matura si sviluppò negli anni '50 e '60, quando pubblicò importanti raccolte come "Avvento notturno" nel 1957, "Al fuoco della controversia" nel 1963 e "Nella cruna del tempo" nel 1979. Nel corso della sua vita, Luzi ha anche scritto saggi critici e opere in prosa. La sua poesia si caratterizza per una profonda riflessione sulla condizione umana, sul senso dell'esistenza e sulla relazione tra l'uomo e la natura. Luzi era particolarmente attento alle sfumature e alle complessità del linguaggio, e la sua scrittura è caratterizzata da una grande precisione e ricercatezza formale. Oltre che poeta, Mario Luzi è stato membro dell'Accademia dei Lincei, dell'Accademia della Crusca e del comitato scientifico della Fondazione Lorenzo Valla. Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, tra cui il Premio Feltrinelli per la poesia nel 1963 e il Premio Viareggio nel 1995. Il dolore e la solitudine: Alda Merini Nata il 21 marzo 1931 a Milano e morta il 1º novembre 2009 nella stessa città, Alda Merini considerata una delle voci più significative della letteratura contemporanea italiana. La sua vita fu segnata da esperienze complesse e sofferenti. Sin dalla giovane età, infatti, Alda Merini soffrì di problemi mentali e trascorse periodi in diverse istituzioni psichiatriche. Possiamo dire che la sua esperienza di sofferenza e di lotta con la malattia mentale sia il centro della sua poesia, caratterizzata da una profonda introspezione, dalla ricerca della libertà e dal desiderio di trasmettere emozioni intense. La sua carriera poetica ha inizio negli anni '50, ma il successo arriva a partire dagli anni '80. Alda Merini ha pubblicato numerosi libri di poesie, tra cui "La presenza di Orfeo" nel 1953, "La Terra Santa" nel 1971 e "Vuoto d'amore" nel 1991. La sua poesia affronta temi universali come l'amore, la morte , la sofferenza e la ricerca del senso della vita. Nel 1996, le è stato assegnato il Premio Librex-Guggenheim Eugenio Montale, e nel 1997 ha vinto il prestigioso Premio Viareggio per la poesia. Nel corso degli anni, ha anche tenuto numerosi corsi e conferenze sul tema della poesia e della creatività. Oltre che come poetessa, Alda Merini è stata molto apprezzata anche come persona. La profonda umanità e il coraggio di aver parlato apertamente dei suoi problemi mentali l'hanno resa un personaggio simbolo del suo tempo. In copertina foto di giselaatje da Pixabay Read the full article
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Fabrice Bernasconi Borzì
E’ questo che sognavo da bambino? (Part II)
27.05.2023 - 09.07.2023
(a cura di Ilaria Monti)
Un paniere scende lento dal balcone di una casa, in risposta al grido dal basso di un uomo o una donna: “Cala u panaru!”. Scende e sale il pane caldo come un piccolo miracolo custodito in un cesto di rami intrecciati. Consumato il pane, tutti scompaiono, nessun vociare tra i cortili condominiali, nessun rumore di pentole e cassetti dalle cucine. Resta il silenzio, il paniere di briciole che oscilla per una corrente d’aria o un vento da chissàdove, venti moderati dai quadranti nord occidentali, il Maestrale, lo Scirocco. È questo che sognavi da bambino, Fabrice?
L’immagine del tipico panaru siciliano, cristallizzata dall’artista in questa seconda parte di un più ampio progetto dedicato al recupero delle proprie radici italiane, è una cartolina nostalgica di un viaggio a ritroso da Ginevra a Catania. Il paniere, che l’artista lascia pieno e sospeso nel vuoto, evoca abitudini, rituali e necessità che ad oggi sopravvivono nelle comunità del Sud Italia e del Mediterraneo come pratiche ancora in atto o, in qualche caso, come souvenir turistici. Tra i rami e le fibre del cesto, frutto di una cura e di un sapere artigiano, Fabrice Bernasconi ripercorre la storia di un mestiere tradizionale e antico quale quello dei canestrai e, con pochi altri elementi – il pane della sua terra, una leggera brezza – suggerisce una precisa dimensione geografica e antropologica, la sradica e poi la porta con sé. Il risultato è ironico e insieme poetico: come in un sogno di cui resta soltanto un ricordo mosso, l’artista crea una visione sintetica, che possa rintracciare e ricostruire l’esperienza vissuta. Quei venti che scuotono panieri e panni stesi, allora, soffiano da un semplice ventilatore. In questo necessario confronto tra tecnologia e artigianalità, gli elementi dell’opera stridono parlando due lingue diverse. Richiamando un oggetto folclorico e i simboli di una cultura locale, l’opera mette in gioco, provocatoriamente, certe dinamiche dello sguardo e della sua fascinazione per l’altrove. Si torna nel proprio luogo natale e dopo anni e lo si riscopre attraverso piccoli gesti quotidiani o oggetti che avevamo dimenticato. Si va per paesi prima sconosciuti, con la fame di coglierne la verità più essenziale che solo la vita quotidiana riesce a rivelare, affascinati da forme del sacro che non ci appartengono. Così la dimensione puramente contemplativa dell’opera genera una forma di spaesamento che non potrebbe trovare corrispondenza migliore di questi versi del poeta Giorgio Caproni (da Il muro della Terra, 1975):
Sono tornato là
dove non ero mai stato.
Nulla, da come non fu, è mutato.
Sul tavolo (sull’incerato
a quadretti) ammezzato
ho ritrovato il bicchiere
mai riempito. Tutto
è ancora rimasto quale
mai l’avevo lasciato.
Decontestualizzando e defunzionalizzando il simbolo e la sua storia, l’artista crea dunque un’immagine residua: alla fine del giorno e alla fine del sogno, restano come avanzi o come fantasmi i ricordi, le vite degli altri, il tempo lungo di gesti reiterati, sempre uguali. E da questi residui l’artista compone un sistema simbolico immediato ed essenziale, ma complesso: il pane che nessuno ha consumato è la terra e il suo grano, è morte, fede, superstizione, nutrimento e fame, è il susseguirsi delle stagioni, è la semina, ai primordi della cultura e della τέχνη, nel senso più profondo della mano che produce e mette in opera quanto appreso dall’esperienza del mondo. È questo che sognavi da bambino, Fabrice? Anche questo, e tanto basta.
BIO
Fabrice Bernasconi Borzì, (Ginevra, 1989), vive e lavora a Catania. Nel 2016 si laurea in Arti Visive - (de)costruzione e gestione dello spazio alla Haute École d’Art et de Desgin de Genève. Dal 2018 si trasferisce a Catania, dove consegue il diploma di II livello presso l’Accademia di Belle Arti. Tra le mostre più recenti: Biennale dei giovani artisti italiani under 35, Monza (upcoming, 2023); Abbandonarsi ogni tanto è utile, Galleria Massimo Ligreggi, Catania; 2022, Oh, i am just visiting, BOCS - Box of Contemporary Space, Catania; 2021, Impro#1, Galleria Massimo Ligreggi, Catania, 2021; Sine die, Fondazione Oelle/Palazzo della cultura, Catania; 2019, Geografico #Sicilia, a cura di Pietro Fortuna nell’ambito del progetto Border Crossing ideato da Bridge Art, Dimora Oz e Casa Sponge, Palermo, varie sedi, 2019; AD IN VISIBILIA, Fondazione Brodbeck, Catania,; 2018, Garden of the forking paths, MANIFESTA 12, Palermo, 2018 5x5x5 collateral event, Palermo, 2018. È tra i finalisti dell’Exibart Prize 2021; nel 2019 vince il Premio Nazionale delle Arti per la sezione opere interattive.
http://fabricebernasconiborzi.com
____________________
ENGLISH
(curated by Ilaria Monti)
A basket slowly descends from the balcony of a house in response to the shout of a man or woman from below: "Cala u panaru!"(“drop the basket off). Down comes and up goes the warm bread like a little miracle kept safe in a wicker basket. Once there’s no bread left, everyone disappears, no hubbub from the houses’courtyards, no clattering of pots and drawers from the kitchens. Only silence remains, and some crumbs in the basket swaying for an airflow or a breeze from who knows where – moderate winds from the northwestern quadrants, the Mistral, the Sirocco. Is this what you dreamed of as a child, Fabrice?
The image of the typical Sicilian panaru, crystallized by the artist in this second part of a wider project devoted to recovering his Italian roots, is a nostalgic postcard of a journey back from Geneva to Catania. The basket filled with bread and hanging in space evokes habits, rituals and necessities wich are still present in Southern Italian and Mediterranean communities, weather as ordinary costumes or as tourist souvenirs. Through the branches and fibers of a handmade basket, Fabrice Bernasconi traces the history of a traditional and ancient craft such as that of the basketry and, with a few other elements - the bread produced in his homeland, a light breeze – he evokes a clear geographic and anthropological dimension, he roots it out and then takes it with him. The result is ironic and poetic at once: like if he was holding on to hazy memories of a dream, the artist creates a synthetic vision that could retrace and reenact the experience lived. So, here those winds shaking baskets and washing lines, blow from a simple fan. In this necessary dialogue between technology and craftsmanship, the elements of the work screech, speaking two different languages. By recalling a folkloric object and the symbols of a local culture, the work defiantly questions certain logics of gaze and its fascination for an “elsewhere”. One comes back to his native place after years, and rediscover it by experiencing the day-to-day life, objects and gestures which had been forgotten. One travels to places unknow before with a hunger to grasp its deepest truth, those things that only everyday life can reveal, fascinated by a foreign sense of sacredness. Thus, the purely contemplative dimension of the work generates a feeling of displacement that could find no better correspondence than these verses of Italian poet Giorgio Caproni, here translated (from The wall of the Earth, 1975):
I have returned there
where I had never been.
Nothing has changed from what it wasn't.
On the table (on the checkered
waxed tablecloth) on the mezzanine
I once again found the glass
never filled. Everything
has stayed as
I had never left it.
By decontextualizing and defunctionalizing the symbol and its history, the artist therefore creates a residual image: at the end of the day and the end of the dream, memories stay like leftovers or ghosts, together with the lives of other and the slow time of repeated gestures that never change. And with these leftovers the artist arranges an immediate and essential, yet articulate, symbolic system: the bread that no one has taken is the earth and its grain, it is death, faith, superstition, nourishment and hunger, it is the succession of seasons, it is sowing at the beginnings of culture and τέχνη, its deepest meaning of the hand that produces and puts into practice what can be learnt from the world. Is this what you dreamed of as a child, Fabrice? There’s that too, and that’s enough.
BIO
Fabrice Bernasconi Borzì, (b. 1989, Geneva), lives and works in Catania, Sicily. In 2016 he received his BA in Visual Art - Deconstruction of Space from Haute École d’Art et de Desgin de Genève. In 2018 moved to Catania, where he graduated at the Academy of Fine Arts. Most recent exhibitions include: Biennale dei giovani artisti italiani under 35, Monza (upcoming, 2023); Abbandonarsi ogni tanto è utile, Massimo Ligreggi Gallery, Catania; 2022, Oh, i am just visiting, BOCS - Box of Contemporary Space, Catania; 2021, Impro#1, Massimo Ligreggi Gallery, Catania, 2021; Sine die, Fondazione Oelle/Palazzo della cultura, Catania; 2019, Geografico #Sicilia, curated by Pietro Fortuna for Border Crossing, at Bridge Art, Dimora Oz and Casa Sponge, Palermo, 2019 ; AD IN VISIBILIA, Fondazione Brodbeck, Catania; 2018, Garden of the forking paths, MANIFESTA 12 Palermo, 2018; 5x5x5 collateral event, Palermo 2018. In 2021 he was shortlisted for the Exibart Prize 2021; In 2019 he won the Premio Nazionale delle Arti for the section interactive works.
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"Ricordo di Giorgio Caproni: la poesia che illumina l’essenza del ricordo". Recensione di Alessandria today
Un viaggio nella memoria e nell’intimità attraverso l’arte poetica di Giorgio Caproni.
Un viaggio nella memoria e nell’intimità attraverso l’arte poetica di Giorgio Caproni. Recensione: Un frammento di memoria universale La poesia “Ricordo” di Giorgio Caproni è un gioiello della lirica italiana, in cui la semplicità delle immagini si intreccia con una profondità emotiva che trascende il tempo e lo spazio. Il componimento è un viaggio nel passato, in cui i ricordi di un momento…
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Me decidí. Miré atrás. Observé, uno por uno, en los ojos de mis asesinos. Tenían –todos ellos– mi rostro.
Giorgio Caproni (1912 – 1990)
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Vivicentro: finalmente qualcosa di bello in piazza Caproni e via Ricasoli
Vivicentro: finalmente qualcosa di bello in piazza Caproni e via Ricasoli #vivicentro
Livorno 18 aprile 2023 – Vivicentro, finalmente qualcosa di bello in piazza Caproni e via Ricasoli Finalmente qualcosa di bello e di nuovo per dare un aspetto migliore alla piazzetta intitolata al poeta livornese Giorgio Caproni, uno dei più importanti del secolo scorso, morto a Roma nel 1990. A lui venne intitolato anni fa lo slargo alberato sul lato di via Maggi verso piazza Cavour, quasi di…
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AEDES DE VENUSTAS - AMNESIA ROSE - Eau de Parfum - Novità 2023 -
Accumulatrice di ricordi. Di foglie, spine, corolle e petali di rosa occultate tra le pagine dei libri. E qui, isolate, spesso dimenticate, non hanno mai perso il loro profumo.
Di questo fiore venerato da millenni, cantato da Saffo a Petrarca, elogiato nella sua potenza semantica da Eco, sublime gemma della Natura. Che divina creatura la rosa, la sua immagine è così densa di significati da non averne alcuno. Non un fiore come tutti gli altri... eccolo dismettere il suo status di oggetto per diventare pura idea. E mutare in infinite sembianze. Catturarne l’essenza? Al poeta la sentenza.
Buttate pure via ogni opera in versi o in prosa.
Nessuno è mai riuscito a dire cos’è, nella sua essenza, una rosa.
Giorgio Caproni
E che stupore all'olfatto provoca questa nuova creazione di Aedes de Venustas, seducente il rimando nel nome - Amnesia Rose - a questa rosa ibridata dalla rosa tea, vintage nel cuore, dalla corolla mauve polverosa, i petali in un crescendo cromatico lavanda e i più esterni variegati da una gentile gradazione verde germoglio.
Sembra uscita da uno scatto in viraggio seppia, come un'immagine d'epoca un po' fané ma così toccante nel sollecitare i ricordi.
C'è molto di Aedes in questa composizione, i trionfi floreali che campeggiano nella loro boutique del Lower East Side a NYC, lo spirito del marchio, tempio della bellezza adorno di bouquet ciclopici spassosi e irriverenti, a restituire vita e virtù benefiche allo spazio, talismani in una teca di cristallo, protetti dalla follia del tempo.
Lo zest delle cose belle e buone di un tempo giunte intatte nella contemporaneità, valori che non scompaiono e si tramandano, un certo garbo olfattivo, gli amorevoli gesti del profumare.
Nostalgia moderna in questa rosa che sa interpretare meravigliosi monologhi ed è impeccabile in attitudine, a spalancare nuovi orizzonti aromatici nella coralità dell'accordo.
Rosa che non permette al tempo di sfiorarla, avvolte nel mistero della loro anima, essenza di rosa bulgara e assoluta di rosa del Marocco, si vestono del calore speziato protettivo del cipriolo, spiccano il volo sui bagliori di pepe rosa e incantano in una danza lenta tra volute d'incenso.
Polverizzate con zafferano affermano un sapere prezioso, la loro impronta carismatica, balsamica, è suggellata dall'eleganza dei legni, dalla profondità ancestrale di patchouli, benzoino e oud.
Epocale. Come le rose appuntate sugli abiti delle dame di Giovanni Boldini, e oggi, nelle immagini della memoria di Robert Stivers.
Creata da Luca Maffei.
Eau de Parfum 100 ml. In profumerie selezionate e online.
©thebeautycove @igbeautycove
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Giorgio Caproni a Mario Luzi
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