#Canto alla vita
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I sing to life Canto alla vita
To its beauty Alla sua bellezza
I sing to life Canto alla vita
I sing sweet and full Canto a dolce e piena
To this journey of ours A questo nostro viaggio
Which still chains us Che ancora ci incatena
-Josh Groban, "Canto Alla Vita"
Photo: Taormina, Sicily, Italy
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"Il respiro della terra: una poesia inedita ispirata a Pablo Neruda". Recensione di Alessandria today
"Un tributo al grande poeta cileno che ha saputo celebrare la vita e la natura con versi immortali."
“Un tributo al grande poeta cileno che ha saputo celebrare la vita e la natura con versi immortali.” Poesia: “L’eco del vento” Il vento chiama il mio nome,sussurra tra le radici degli alberie accarezza le onde del mare.Porta con sé il profumo della terra,il respiro caldo del soleche si posa sulle colline. Oh, terra mia,culla del mio canto,sei la madre che nutrei miei versi,sei il silenzio che…
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I NEED YOU ACACIUS
I make daily Lockscreens and take requests on my instagram @xxhypersomnia
All edits watermarked 💧
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Buon 2025 a tutti voi🥂🥂🥂🍾💥
Vi auguro sogni a non finire
e la voglia furiosa di realizzarne qualcuno
vi auguro di amare ciò che si deve amare
e di dimenticare ciò che si deve dimenticare
vi auguro passioni
vi auguro silenzi
vi auguro il canto degli uccelli al risveglio
e le risate dei bambini.
Vi auguro di rispettare le differenze degli altri perché il merito e il valore di
ognuno spesso è nascosto.
Vi auguro di resistere all’affondamento,
all’indifferenza, alle virtù negative della nostra epoca.
Vi auguro di non rinunciare mai alla ricerca, all’avventura, alla vita,
all’amore,
perché la vita è una magnifica avventura e niente e nessuno può farci
rinunciare ad essa, senza intraprendere una dura battaglia.
Vi auguro soprattutto di essere voi stessi, fieri di esserlo e felici, perché la
felicità è il nostro vero destino.
Brel
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IL 25 Gennaio del 1939 nasce a Milano Giorgio Gaber.
Non insegnate ai bambini
Non insegnate la vostra morale
È così stanca e malata
Potrebbe far male
Forse una grave imprudenza
È lasciarli in balia
Di una falsa coscienza
Non elogiate il pensiero
Che è sempre più raro
Non indicate per loro
Una via conosciuta
Ma se proprio volete
Insegnate soltanto
La magia della vita
Giro giro tondo cambia il mondo
Non insegnate ai bambini
Non divulgate illusioni sociali
Non gli riempite il futuro
Di vecchi ideali
L’unica cosa sicura
È tenerli lontano
Dalla nostra cultura
Non esaltate il talento
Che è sempre più spento
Non li avviate al bel canto
Al teatro alla danza
Ma se proprio volete
Raccontategli il sogno
Di un’antica speranza
Non insegnate ai bambini
Ma coltivate voi stessi
Il cuore e la mente
Stategli sempre vicini
Date fiducia all’amore
Il resto è niente
Giro giro tondo cambia il mondo
Giorgio Gaber
Faber Nostrum
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"Canto di Natale" ("A Christmas Carol"), pubblicato per la prima volta nel 1843, è una delle opere più celebri di Charles Dickens,. Questo racconto breve ha avuto un impatto duraturo sulla cultura natalizia, diventando una lettura imprescindibile durante le festività (...e non solo). Dickens utilizza la sua narrazione per esplorare temi di redenzione, generosità e la vera essenza del Natale.
La storia segue Ebenezer Scrooge, un vecchio avaro che disprezza il Natale e tutto ciò che rappresenta. La sua vita cambia radicalmente quando viene visitato da tre fantasmi la vigilia di Natale. Il Fantasma del Natale Passato lo riporta ai momenti chiave della sua giovinezza, mostrandogli come le sue scelte lo abbiano portato a diventare l'uomo solitario che è. Il Fantasma del Natale Presente gli mostra la vita delle persone che lo circondano, compreso il suo impiegato Bob Cratchit e la sua famiglia, che nonostante la povertà, celebrano il Natale con gioia e amore. Infine, il Fantasma del Natale Futuro gli presenta una visione inquietante della sua morte solitaria e della sua eredità dimenticata.
Il tema centrale del racconto è la possibilità di cambiamento e redenzione. Scrooge, inizialmente un personaggio negativo, ha l'opportunità di riflettere sulle sue azioni e di trasformarsi in una persona migliore. Dickens sottolinea l'importanza della generosità e della comunità. La capacità di Scrooge di cambiare e abbracciare il Natale rappresenta una celebrazione dei valori umani più profondi. L'opera, inoltre, offre una critica alla società vittoriana, evidenziando le ingiustizie sociali e le disuguaglianze. Attraverso la famiglia Cratchit, Dickens pone l'accento sulle difficoltà dei meno fortunati e sull'importanza della solidarietà.
Il racconto è scritto in uno stile accessibile e coinvolgente. Dickens utilizza un linguaggio ricco e descrittivo, capace di evocare emozioni intense. La struttura del racconto facilita il progresso narrativo e mantiene alta la tensione fino alla conclusione, dove avviene il ravvedimento di Scrooge.
"Canto di Natale" ha avuto un impatto significativo sulla cultura popolare e ha contribuito a definire le tradizioni natalizie moderne. Il racconto ha ispirato innumerevoli adattamenti teatrali, cinematografici e musicali, rendendolo una pietra miliare della letteratura.
"Canto di Natale" è molto più di una semplice storia natalizia: è un'opera letteraria profonda e toccante che invita alla riflessione sui valori fondamentali della vita. La sua capacità di emozionare e di ispirare la trasformazione personale lo rende un classico senza tempo, adatto a lettori di ogni età. È un libro che consiglio vivamente di leggere, o rileggere, non solo durante il periodo natalizio, ma ogni volta che si sente il bisogno di ricordare l'importanza della gentilezza e della generosità.
P.S. Se alla lettura del libro aggiungete anche la visione del film "La vita è meravigliosa" diretto da Frank Capra, il Natale si può dire perfetto!
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La verità è che nessuno si regge più in piedi da solo, sulle proprie gambe. Nessuno regge più il dolore, la perdita, la frustrazione, l’attesa.
Insomma, le cose della vita.
Abbiamo bisogno di normalizzare i processi della vita: nascere, crescere, ammalarsi, ferirsi, invecchiare, morire.
Un tempo si moriva sazi di vita, appagati, senza rimpianto alcuno, in modo del tutto naturale.
Oggi si muore insoddisfatti, delusi e stanchi.
Il lutto non rientra più nelle categorie del vivente.
Abbiamo inventato questa parola: “elaborazione”, dimenticando che i lutti non si elaborano, ma si accolgono, come parti integranti dell’esistenza, tutt’al più si contemplano come espressioni mutevoli del flusso continuo della vita.
“Sii paziente verso tutto ciò
che è irrisolto nel tuo cuore
e cerca di amare le domande,
che sono simili a
stanze chiuse a chiave
e a libri scritti
in una lingua straniera.
Non cercare ora le risposte
che possono esserti date
poiché non saresti capace
di convivere con esse.
E il punto è vivere ogni cosa.
Vivere le domande ora.”
Aveva ragione Rilke.
Abbiamo disimparato il valore del piangere insieme, di condividere il pasto, dono gentile e premuroso gesto della vicina di casa, la sera, quando si raccontava ai bambini dove sta il nonno adesso, e si passava la carezza della mano piccola sul suo viso freddo e immobile, disteso sul letto.
I sogni facevano il resto, perché si aveva tempo per dormire e per sognare. E al mattino, appena svegli, per raccontare.
Così chi non c’era più continuava ad esserci, a contare, a suggerire, a consolare.
I morti stavano insieme ai vivi.
Complicato allora non è il lutto, ma il modo di viverlo, di trattarlo, come se fosse una malattia in cerca di una cura. Ma la vita non è un problema da risolvere.
Ancora Rilke. Piuttosto un mistero da sperimentare. Una quota di ignoto inevitabile che spinge lo sguardo oltre la siepe.
Chi ha ancora desiderio di quell’infinito che solo l’esperienza del limite può disvelare?
Oggi tutti reclamano il diritto alla cura della psiche, forse perché i medici del corpo non riescono a guarire certe ferite dell’anima.
Ma così si sta perdendo il valore della psicoterapia. Così si confonde la patologia con la fisiologia dell’esistente, che contempla nel suo lessico le voci: malattia, solitudine, sofferenza, perdita, vecchiaia, morte.
Qual è l’immagine del nostro tempo, che rappresenta il senso estetico dominante? Una enorme superficie levigata, perfetta, specchiante.
In questo modo, privata delle increspature, delle imperfezioni, del negativo, della mancanza, l’anima ha smarrito il suo luogo naturale, la sua origine, il respiro profondo della caducità, della provvisorietà, della fragilità del bene e del male.
Perché alla fine, tutto ciò che comincia è destinato a finire e l’unica verità che rimane è questo grumo di gioia che adesso vibra ancora nel cuore, qui e ora, in questo preciso istante, nonostante la paura, il disincanto, la sfiducia.
Non c’è salute dunque che non sia connessa alla possibilità di salvezza.
Alle nostre terapie manca quel giusto slancio evolutivo, che spinga lo sguardo oltre le diagnosi, i funzionamenti, i fantasmi che abitano nelle stanze buie della mente.
Un terapeuta non può confondere la luna con il dito che la indica.
Può solo indicare la direzione e sostenere il desiderio di raggiungerla.
Per questo ogni sera mi piace chiudere gli occhi del giorno con una poesia, ogni sera una poesia diversa, per onorare la notte con il canto dei poeti.
Perché la notte sa come mantenere e custodire tutti i segreti.
Perché le poesie assomigliano alle preghiere.
Dicono sempre cose vere.
Stanotte per esempio ho scelto questa:
“Si è levata una luna trasparente
come un avviso senza minaccia
una macchia di nascita in cielo
altra possibilità di dimora. E poi.
Siamo invecchiati.
Il volume di vecchiaia
è pesato sul tavolino delle spalle,
sugli spiccioli di salute.
Cos’è mai la stanchezza?
Le cellule gridano
chiamano l’origine
vogliono accucciarsi
nel luogo prima del nome
nello spazio che sta tra cosa e cosa
e non invade gli oggetti
li accarezza e li accalora.
Non smettere di guardare il cielo
ti assegna la precisa misura
fidati della vecchiaia
è un burattino redentore.
Dopo tanta aritmetica
la serenità dello zero.”
Chandra Candiani
Testo di Giuseppe Ruggiero
foto dal seminario " In Quiete". Introduzione alle costellazioni Familiari con Anna Polin
Gloria Volpato
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A proposito del post precedente sul CANCELLARE LE MEMORIE PER CANCELLARE I POPOLI.
(Pochi forse sanno che il coso del Mameli è ufficialmente l'inno italiano dal dicembre 2017. Quindi altro che mattarelle, per cambiare il testo mi sa si deve cambiare la Costituz chiubbella do'monno).
Cmq., cambiare "Siam pronti alla Morte" con "Siam pronti alla Vita": a parte chevorrdì?, mica sarà un subdolo attacco alla legge 194 sull'abborto, neh?
E ri-cmq., come la vogliamo mettere con tutto il resto del testo di un inno comunque abbastanza cheap zum-zum, adatto alle nazionali sportive? Chiediamo a Mahmoud Fedez o Eloise di metterci mano?
Già il titolo: Il Canto degli Italiani - divenga ad es. "Il Canto Accogliente ed Inclusivo". Quanto al testo:
«Fratelli Inclusivi, l'Accoglienza s'è desta, dallo scafo dell'Ong s'è mossa la festa.
Dov'è il postofisso?! Le porga il redditodicittadinanza, ché schiava di Magistratura Democratica Prodi e Draghi con Napolitano la abusò, yeah.»
(prima strofa lirica a mo' Bocelli, seconda trappata).
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Storia Di Musica #330 - Franti, Il Giardino Delle Quindici Pietre, 1986
Nel cartone della soffitta il disco di oggi è quello più emozionante. Lo è per la rarità, per la qualità, per la storia che lo accompagna. Quando ho detto a mio papà che avevo ritrovato questo disco, sebbene con piccole macchie di umidità sulla copertina, si è emozionato un po’. Fu un regalo di una persona che lavorava alla Lega Coop in Piemonte, che volle regalargli questo disco dato che conosceva la storia di questa formazione e li andava a sentire quando suonavano nei centri sociali. La storia di questa formazione è in un modo del tutto particolare, unica e irripetibile e ha segnato una parte non così piccola del rock italiano, nonostante siano oggi, ahimè, sconosciuti. Tutto comincia a Torino, seconda metà anni ’70. Un gruppo di compagni di scuola, Stefano Giaccone al sax, Massimo D'Ambrosio al basso, Marco Ciari alla batteria e Vanni Picciuolo alla chitarra, con le incursioni vocali di Lux, cantante dei Deafear, formano un gruppo, la Guerrilla’s Band, che dopo tanta gavetta si autoproduce due singoli su cassetta, No Future e Last Blues, nel 1981. Poco dopo convincono una cantante, Marinella Ollino, in arte Lalli, a diventare la cantante del gruppo. Che ne frattempo cambia nome in Franti, dal nome del personaggio del libro Cuore di Edmondo de Amicis, sinonimo di insubordinazione. Passano dal jazz rock con evidenti omaggi e riferimenti al rock progressivo della scena di Canterbury ad un eclettico mix di jazz, rock, punk, funk che non ha paragoni. Oltretutto, si autogestiscono in tutto, dall’organizzazione alla produzione (non si iscriveranno mai alla SIAE) e fonderanno una propria etichetta discografica, la Blu Bus, con cui produrranno i lavori dei valdostani Kina e di un famoso gruppo “hardcore punk” di Torino, i Contrazione. La formazione ruota intorno a Giaccone, Picciuolo e Lalli, ma in ogni occasione suonano amici, musicisti invitati, quelli della prima ora e band di compagni che condividono gli ideali dei nostri in una sorta di collettivo musicale, tra l’ensemble e una comunità artistica. Prima prova discografica sono le 500 copie di Luna Nera, uscita solo in cassetta e poi in vinile, nel 1985, quando pubblicano Schizzi Di Sangue, sempre su musicassetta e sempre stampata in pochissime centinaia di copie, opera questa che unisce poesia e canto, altra prerogativa della band. La scena alternativa italiana, politicizzata, antagonista, desiderosa più che mai di contribuire ad una descrizione della vita vera nelle canzoni, ha un colpo fortissimo quando i CCCP passano ad una etichetta “commerciale, la Virgin. Sembra il tradimento di ogni cosa. Ma nello stesso anno arriva il disco di oggi, che nonostante il successo molto relativo, rimane un esempio formidabile di quello spirito tradito.
L’idea del titolo nasce da una leggenda del Giappone medievale secondo la quale a Kyoto, voluto da un illuminato imperatore, esista un giardino con quindici pietre, ma da qualsiasi punto lo si osserva se ne scorgono sempre e solo quattordici. Il Giardino Delle Quindici Pietre esce nel 1986 in edizione limitata a 1550 copie (che è quella che stava nella scatola). In accompagnamento, un libretto che oltre che i testi raccoglie poesie, idee politiche, spunti per le discussioni dopo i concerti, pagine di libri mai scritti, poesie, disegni. Il disco fu registrato al Dynamo Sound Studio dal febbraio al maggio 1986 tranne una traccia registrata nel febbraio 1985 al Synergy Studio. È un disco universo, fatto di passioni musicali e politiche, dove i generi, anche di arti differenti (cinema, recitazione, arte figurative) si mescolano a frammenti di punk che esplodono dopo musiche jazz, un disco che ammalia e affascina. Si apre con un testo del cantante giamaicano Linton Kwesi Johnson, che diventa Il Battito Del Cuore, un brano reggae-dub dove Lalli recita e non canta il testo e Giaccone ricama di sax. Acqua Di Luna, che è del 1985, è ipnotica. L'Uomo Sul Balcone Di Beckett è un’amarissima analisi, quasi una ode dolente, alla natura metropolitana umana, che finisce così: Perché quei fantasmi che si siedono con me a fumare sul terrazzo, che girano la chiave della mia serratura nel cuore della notte, che mi tengono la mano quando ne ho bisogno, non potrebbero esistere in nessun altro luogo. Every Time, uno spettacolare afro blues, chiude la prima facciata. Ai Negazione che apre il lato b è un frammento molto accelerato di No Future, Hollywood Army esprime la loro idea politica con un capolavoro hardcore, ma è Big Black Mothers il brano musicalmente più stimolante, riprendendo l’idea primigenia di commistione tra jazz-rock e progressive ma che alla fine, nell’intreccio delle due voci, termina nuovamente hardcore. Micrò Micrò è un omaggio Demetrio Stratos, leggendario cantante degli Area, che è poi seguita da uno strumentale, Elena 5 e 9, meraviglioso e struggente. Nel Giorno Secolo ha come testo una poesia di Mario Boi, dalla raccolta poetica Piani Di Fuga. Chiude il disco il jazz elettrico dei Joel Orchestra, band bolognese di simile fattura e amica dei nostri, con À Suivre, tra il Nino Rota felliniano e sogni simili, dove spicca il piano elettrico di un grande collaboratore dei Franti, Paolo "Plinio" Regis.
Nel 1987, viste anche le mutate condizioni politiche e sociali, il gruppo di scioglie: nel 1988 pubblicano un cofanetto antologico, che diventerà leggendario, dal titolo eloquente di Non Classificato. Seguono progetti diversi: collaborazioni, decine di progetti, tra cui ricordo che i soli Giaccone e Lalli fondarono gli Orsi Lucille e gli Howth Castle. Ma soprattutto rimangono fedeli a quell’appunto di lotta e coerenza, sintetizzato dalla frase che accompagnava il loro cofanetto antologico Non Classificato: “…la fine di una spirale ne genera un'altra, se l'aquila ha abbastanza cielo per volare. A presto, FRANTI”
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Amo i baci lenti e lunghi. Come a voler dire tutto ciò che si ha nel cuore.... ma in silenzio. Esistono molti tipi di baci : quelli di dolcezza, di passione, di lealtà, di sostegno, di curiosità, di scoperta… E poi c’è il bacio assoluto. Quello dove le labbra fanno l’amore. Dove si rovescia l’anima nella bocca dell’altro e ce la si fa restituire goccia a goccia. Il bacio profondo come l’immenso, caldo e pulsante come cuore vivo. Quel bacio che è un lancio dal trapezio a cento metri da terra, una dichiarazione d’amore, una richiesta d’aiuto, un grazie, un perdono, un canto alla vita e, allo stesso tempo, un testamento. Perché nel fondo della lingua, la vita e la morte s’annullano, per la durata di quell’istante perfetto. C.T. ----
Conservo in un cassetto l’ultimo bacio che mi hai dato. Ogni tanto lo indosso, mi guardo allo specchio e ti sorrido. Con le lacrime.
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Potente il canto. La poesia di Miranda Ranalli celebra l’amore, la fede e il dono della vita. Recensione di Alessandria today
Con "Potente il canto", Miranda Ranalli ci conduce in un viaggio poetico e spirituale tra le emozioni del periodo dell’Avvento, l’attesa del Natale e la celebrazione della vita come un dono prezioso.
Con “Potente il canto”, Miranda Ranalli ci conduce in un viaggio poetico e spirituale tra le emozioni del periodo dell’Avvento, l’attesa del Natale e la celebrazione della vita come un dono prezioso. La poesia, ambientata in una Roma ancora assonnata, diventa un inno alla speranza, all’amore e alla capacità dell’essere umano di donare e condividere. Analisi della poesia La poesia si apre con…
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Non saprei dire di preciso come sia successo e quando, ma per la prima volta in queste feste sento una sorta di scarto, un cambiamento che è avvenuto in sordina nella mia concezione affettiva. Mi spiego (o almeno, ci provo).
Se finora in tutti questi anni quando tornavo a Roma a Natale, dai miei, "tornavo a casa", "dalla mia famiglia", e sentivo che Matteo era in qualche modo il mio "più uno", l'invitato alla nostra tavola e nella nostra tribù, per la prima volta quest'anno in maniera forte, lampante, inattesa, mi trovo a sentirmi parte di un nuovo nucleo, una nuova famiglia che siamo io e lui (e Dakota), che viene prima. "Che viene prima" non è l'espressione corretta, perché non è un primato né temporale né di importanza (e mai lo sarà). E' piuttosto un'appartenenza spontanea e naturale, un binomio in cui "mi siedo meglio", un'intesa in cui ci capiamo al volo, anche senza fiatare; una tribù con un linguaggio proprio, e un codice suo. Sì, insomma, una famiglia. E allo stesso modo, se penso a "tornare a casa", la visione si è ormai ribaltata e non penso alle pareti della casa di Roma, dove ho vissuto così tanti ricordi e che pure oggi non dicono più nulla (o quasi) di me. Penso invece alla nostra casa, a Como, quella che abbiamo costruito insieme un pezzo alla volta, con le nostre energie, i soldi, la fatica... le avventure e soprattutto le dis-avventure che hanno cementato il nostro legame ancora di più, su un piano nuovo, diverso, più complesso e in un certo senso anche più "razionale". Forse l'aggettivo che cerco è: più maturo.
Se penso all'idea di famiglia penso a noi due, a tutte le sfide che quest'ultimo anno ci ha messo davanti, a tutti i momenti in cui avremmo potuto sgretolarci rovinosamente, e forse ci siamo andati vicini, e a tutte le volte in cui invece abbiamo scelto - insieme - di rialzarci, di impegnarci, di lavorarci. Di spendere energie, porci in ascolto, aprirci al dialogo verso l'altro.
In questo senso sento che la maturità è una medaglia a due facce, che porta con sé un significato denso, pesante, travagliato. Che il nostro amore ha perso parte della leggerezza dell'inizio, in cui tutto è "bello e semplice" e le farfalle dentro la pancia svolazzano all'impazzata e sembra quasi che anche il cielo ti sorrida benevolo, complice e guardiano propizio di questo nuovo amore. E' un lutto a cui con immensa fatica mi accosto, e che mi addolora tanto più perché sento di avvertirlo con molta più forza che non il contrario.
E poi c'è, d'altro canto, ciò che il nostro amore ha guadagnato -qualcosa di nuovo e a tratti ingombrante, che è solidità, complicità, compromesso. Radici.
Non è facile per me, con la testa sempre protesa alle nuvole, guardare in basso e scoprire che i miei piedi hanno messo radici che si intrecciano a quelle di un'altra persona. Che non posso più dire "me ne torno a Parigi", "alla mia vita prima di te". Fa un po' paura, mi dà voglia di protestare, scalpitare, reclamare a gran voce: "ma io sono libera!". Spesso e volentieri, l'ho anche fatto. Ho lottato contro questo legame ingombrante con tutta me stessa, con la paura di una bestia in gabbia. Solo per ritrovarmi a capire che quella stessa gabbia non è mai stata l'altra persona né il suo amore per me. Quella gabbia sono sempre e ancora io.
In questi giorni ti ho osservato di nascosto, o di sfuggita, mentre non mi guardavi - e mi sono accorta che ogni piccolo gesto che compi, lo fai con nel cuore noi due; le tue attenzioni, le tue premure, il tuo pensiero sempre un passo più avanti. Quest'anno ci siamo inflitti anche del dolore, a vicenda, ma da questo dolore siamo cresciuti e abbiamo trovato il modo di venirne fuori ancora una volta mano nella mano.
Ripenso spesso a un verso di Cremonini che trovo immensamente calzante:
"Anche quando poi saremo stanchi troveremo il modo per navigare nel buio"
Mi parla di noi. Mi parla del nostro amore, che non è più l'amore cieco delle prime volte, o meglio lo è ancora, in qualche parte dentro di lui, ma è diventato altro, tanto altro. E' la lanterna, il faro, il porto, la bussola. Casa e famiglia.
Lotterò sempre con i legami emotivi, e sempre mi sentirò presa in questa irrisolvibile contraddizione, in antagonismo con ciò che mi àncora, e pericolosamente spersa alla deriva da sola; la mia vita è così: in precario equilibrio su questa dicotomia inscindibile di leggerezza e pesantezza (sarebbe meglio dire gravità, nell'accezione della gravitas latina).
Ma nel mio cuore, durante quest'anno, ho maturato una consapevolezza nuova: queste radici sono forti non per schiacciarmi al suolo, e soffocarmi, al contrario: per permettermi di elevarmi ancora più alta nel cielo.
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Certo che sei...
... una Donna pesante!! Purtroppo si, sono pesante, perché pesante vuol dire che da peso ed è una cosa che si oppone a leggero meglio dire al superficiale.Io sono pesante è vero, ma in compenso so benissimo cosa sia la leggerezza la spensieratezza. È solo che amo soprattutto il peso. Amo dare peso alle cose che faccio, alle parole che dico, alle persone che incontro o che arrivano nella mia vita. Amo dare peso a tutto ciò che ricevo, nel bene e soprattutto nel male. "Alla leggera" invece prendo un'insalata, quelle poche volte che ricordo che al mondo non esistono solo i carboidrati. Alla leggera bevo un calice di prosecco, vado ad un concerto o canto mentre sono in auto. Alla leggera mi siedo in riva al mare per godermi il vento sulla faccia. Alla leggera si possono fare milioni di cose, ma che i leggeri stiano con i leggeri e i pesanti con quelli come me...
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BLACKLOTUS letto e modificato
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Prospettiva di notte, #47
Mancava la notte, in questo mosaico di piccoli tormenti, di occasioni speciali lasciate a maturare - e poi a macerare, incolte. Mancava la spina dolce della nostalgia di una vita che, in tutta onestà, oramai nemmeno ricordo, eppure era già completa di tutto. I miei vent’anni che sembrava non sarebbero mai potuti essere diversi dai futuri trenta, o mille. La tragedia sottile di una velleità in costruzione che andava dispiegandosi nel cantiere a cielo aperto di certi sogni ubriachi, sogni privati e, lo avrei capito dopo, sogni di tutti. Come vedere il cerchio e respirare l’aria pulita e fredda dell’essere fuori dal coro (coro muto, solerte, ciononostante sterile di canzoni). Come la lucidità misteriosa di conoscere un corpo altero, la magnificenza della rabbia, l’incosciente tenerezza. I ciottoli sulla strada li ho carezzati tutti, erano miei, erano umani, erano disparati: pochissimi fiori sono sbocciati, solo quelli che mi hanno chiesto di ballare con voce ferma ed occhi stropicciati da un qualche dolore. Poi ero soprattutto io, ancora in silenzio: lo specchio, il muro screpolato, il bicchiere vuoto, un sipario quasi sempre calato, tantissima notte. La notte non ha più sapore: adesso. Il sale è diluito da una pioggia impercettibile, l’umidità dell’aria. Quando penso, oggi, penso pensieri sintetici privi di scadenza organica, sono sempre lucida ossia priva di alcun mistero: ad annientarmi la notte non più l’irriducibile distanza tra pensiero e azione (tra il silenzio ed il coro), piuttosto una folla di si deve, un parlamento di corvi in attesa del proprio tavolo, formula business e poi si torna ciascuno alla propria giusta occupazione. Quello che varrebbe la pena di essere, mi sembra, è invece questo: affascinata, intensa, e giovane.
Ma quale silenzio, quale canto, quale fascino e destino? Qui la pioggia cade anche se non ti bagna. Siamo una lotta impari, perduta in partenza. Siamo la schiera dei momenti goduti e poi perduti, siamo tutti. Siamo il coro che conosce la vicenda e ancora dal cerchio la osserva, l’occhio di chi partecipa al mondo, il braccio che si alza e poi si abbassa nel fare quotidiano. Il becco tagliente, che conosce e riserva giudizi, l’azione collettiva che arriva con la violenza della normalità. Siamo la strada quando non sai di camminarla, alla notte ti ritiri, da noi poi ritorni - e con noi, alla fine, canti.
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L'antica benedizione del pellegrino.
=🕊=
In, con e per Gesù. Amèn!
Canto dei pellegrinaggi. (Sl. 121)
youtube
=👣=
Io alzo gli occhi ai monti; da dove mi verrà l'aiuto?
Il mio aiuto viene dal Signore che ha fatto i cieli e la terra.
Egli, non permetterà che il tuo piede vacilli, e colui che ti protegge, non sonnecchierà.
Ecco, colui che protegge Israele, non sonnecchia e non dorme.
L'Eterno è colui che ti protegge, è la tua ombra, Egli è alla tua destra.
Di giorno, il sole non ti colpirà e nè la luna di notte.
L'Eterno, ti custodirà da ogni male e custodirà la tua vita.
L'Eterno custodirà il tuo uscire e il tuo entrare, ora e sempre. Alleluya!!
===
Molti sono i passi di un cammino ed ogni passo lascia due orme. Ecco, Signore, che ogni passo possa tu riceverlo come una preghiera rivolta in lode a te ed ogni orma che lascio come richiesta di benedizione per mia figlia, per tutti gli amici e fratelli che ho nel mondo. E ti prego ancora, per coloro che mi vogliono bene, ma anche per tutti quelli che non me ne vogliono. Che il seme della tua Parola, che ho seminato lungo tutti i sentieri del cammino, possa germogliare nei loro cuori e come la goccia scava la pietra scolpirsi nelle loro menti per portare sempre buoni frutti. Amèn!🙏
lan ✍️
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Esistono molti tipi di baci: quelli di dolcezza, di passione, di lealtà, di sostegno, di curiosità, di scoperta. E poi c’è il bacio assoluto. Quello dove le labbra fanno l’amore. Dove si rovescia l’anima nella bocca dell’altro e ce la si fa restituire goccia a goccia. Il bacio profondo come l’immenso, caldo e pulsante come cuore vivo. Quel bacio che è un lancio dal trapezio a cento metri da terra, una dichiarazione d’amore, una richiesta d’aiuto, un grazie, un perdono, un canto alla vita e, allo stesso tempo, un testamento. Perché nel fondo della lingua, la vita e la morte s’annullano, per la durata di quell’istante perfetto... ♠️🔥
(Carolina Turroni)
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