#Calogero La Bella
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Happy Bastille Day!
Always remember 2016!
Nissa la Bella
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" Un sentimento sicuramente molto diffuso, e che alimentò la repulsione subito manifestatasi verso i fascisti repubblicani, sta nel carattere che quelli assunsero di lugubri ma sfacciati revenants. È vero, i quarantacinque giorni di Badoglio erano stati di falsa libertà, di dittatura militare, di torbidi compromessi. Ma il crollo verticale del fascismo in tanta parte dei suoi specifici apparati e dei suoi simboli era stato di natura tale da colpire gli animi come un evento dal quale mai si sarebbe potuti tornare indietro. Su questa strada la coscienza popolare aveva in ampia misura galoppato ben oltre le intenzioni, le paure e i maneggi del re e di Badoglio. Ora i fascisti resuscitati sembrava facessero, contro natura, scorrere il tempo a ritroso. Erano appena usciti dal sepolcro e subito davano ordini. I loro ostentati atteggiamenti vendicativi [...], il loro scorrazzare per le città in camicia nera e con divise raccogliticce, rialzando teatralmente i simboli del regime e ripristinando i nomi fascisti di strade e piazze, la riconquista di palazzo Venezia e della sede di piazza Colonna avvenuta a Roma mimando spedizioni punitive e assalti guerreschi contro nemici inesistenti, erano tutti spettacoli che scuotevano, spaventavano e intristivano anche coloro che non avrebbero poi maturato precise scelte resistenziali. L’occhio attento di Franco Calamandrei si posò, a piazza Colonna, sulla «gente che sosta nella piazza a guardare, con un’aria tra di curiosità, di timore, di compatimento e di irrisione, e una reciproca aria d’intesa» [Calamandrei, La vita indivisibile]. Non molto diversa è la memoria di un fascista: «I passanti sui marciapiedi appena alzavano gli occhi stupiti per quella cosa così inattesa, ci cercavano con visi increduli, ma noi eravamo già lontani» [Mazzantini, A cercar la bella morte]. Il fatto che i fascisti potessero esibire di nuovo la loro prepotenza soltanto perché protetti dai tedeschi privava quella resurrezione di ogni barlume di sia pur oscura eroicità. Certo, in questo modo i fascisti, e lo si è sopra fatto notare, si riqualificavano innanzi a se stessi e si ricaricavano contro i loro nemici. Ma si ricaricavano anche gli antifascisti, molti dei quali cominciavano a pentirsi di essere stati troppo clementi dopo il 25 luglio, di aver confuso il proprio senso di liberazione con una realtà che era invece ben più ostica e dura. In un clima «più intonato alla gioia che alla vendetta» era stato commesso un errore per troppa generosità e per incapacità di previsione: «Li abbiamo derisi, li abbiamo insultati, ed è finita lì» [testimonianze di Edovillo Caccia e di Alberto Todros]. Erano stati temuti i tedeschi ma non i fascisti. Durante i quarantacinque giorni, testimonierà dopo molti anni Ferruccio Parri, che era stato sempre vigilante sulle mosse tedesche, «la ripresa fascista non era scontata, poteva essere probabile, però devo dire che non si presentava come imminente» [Intervista sulla guerra partigiana concessa a L. La Malfa Calogero e a M. V. de Filippis]. Era comunque un errore che non andava ripetuto. «Non vi illudete con il ricordo dei quarantacinque giorni. Questa volta non la scamperete», scrisse «l’Unità» il 4 giugno 1944. E, nelle istruzioni diramate all’immediata vigilia dell’insurrezione, il vertice del PCI dichiarò: «Non possiamo fare un secondo 25 luglio». Tutta la Resistenza è attraversata da questa costante preoccupazione. «Il Combattente» scrive esplicitamente che il 25 luglio il popolo è stato troppo clemente. ”
Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati Boringhieri (collana Universale); prima edizione: 1991. [Libro elettronico]
#Claudio Pavone#Una guerra civile#saggistica#citazioni#Storia della Resistenza italiana#antifascismo#partigiani#seconda guerra mondiale#leggere#letture#25 luglio 1943#guerra di liberazione#Badoglio#Roma#palazzo Venezia#Storia d'Italia del XX secolo#libri#Ferruccio Parri#Europa#Franco Calamandrei#PCI
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IL GATTOPARDO
Giuseppe Tomasi di Lampedusa nasce a Palermo il 23 dicembre 1896. Una Palermo dove si incontravano i Florio, i Bordonaro, gli imprenditori inglesi del marsala Whitaker, gli ultimi baroni che avevano acquistato i feudi ecclesiastici dopo la secolarizzzazione del 1866 e realizzavano l’espansione edilizia lungo l’asse della via Libertà. La Palermo dei Lanza di Trabia, degli Alliata di Villafranca, dei Ventimiglia di Belmonte, tutti nobili proprietari di meravigliosi palazzi simili ai castelli della bella addormentata, un mondo incantato dal quale Giuseppe Tomasi non si sarebbe più staccato, un mondo condannato ad essere superato dalla volgarità dei tempi nuovi.
Consegue la maturità classica nel 1914 e l’anno dopo viene chiamato alle armi. Nel settembre 1917 viene inviato sull’altopiano di Asiago. Due mesi dopo viene fatto prigioniero. Nel 1918 evade, dopo un tentativo fallito, dal campo di prigionia Szombathely in Ungheria e nel novembre ritorna a Palermo.
Iscritto alla facoltà di legge prima a Palermo, poi a Genova, darà soltanto l’esame di diritto costituzionale. Tra il 1920 e il 30 viaggia per mezza Europa e nel 1932 si sposa con Licy Wolff Stomersee a Riga, in una chiesa ortodossa. La coppia si stabilisce a Palermo a palazzo Lampedusa. Nel 1934 muore suo padre e lui diviene principe di Lampedusa. Nel 1942, a causa dei bombardamenti su Palermo, si trasferisce nella villa dei suoi parenti Piccolo a Capo d’Orlando.
Nel 1957, tramite il libraio editore Flaccovio, “Il Gattopardo” viene inviato a Vittorini, direttore della collana I Gettoni della Einaudi. Una copia del romanzo viene consegnata ad Elena Croce. Il 23 luglio 1957 lo scrittore muore a causa di un carcinoma. La salma viene inumata a Palermo al cimitero dei Cappuccini. L’11 novembre 1958 il romanzo viene pubblicato da Feltrinelli a cura di Giorgio Bassani. Nel 1959 vince il Premio Strega.
Romanzo di rara bellezza, un autentico gioiello di cultura, saggezza, tristezza, consapevolezza, nostalgia di un mondo perduto. Come tutto ciò che è grande, sommo, alto, non viene compreso da molti e ancora oggi viene citato a sproposito da pessimi giornalisti e da pseudo politici da strapazzo.
“il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di “fare”. […] il sonno è ciò che i Siciliani vogliono… da quando il vostro Garibaldi ha posto piede a Marsala, troppe cose sono state fatte senza consultarci perché adesso si possa chiedere a un membro della vecchia classe dirigente di svilupparle e portarle a compimento […] ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio… questo paesaggio che ignora le vie di mezzo fra la mollezza lasciva e l’asprezza dannata; […] questo clima che ci infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi; […] questa nostra estate lunga e tetra quanto l’inverno russo e contro la quale si lotta con minor successo…”
Non è un semplice romanzo storico ma casomai antistorico dove non si respira l’ottimismo di una concezione storicista e teleologica ma, al contrario, spicca la dolorosa consapevolezza che la storia degli uomini non procede verso il compimento delle magnifiche sorti e progressive. Si dice in modo chiaro e netto che il diritto alla felicità è una solenne sciocchezza. L’esistenza è durissima e la natura umana e gli uomini sono gettati in un mondo di inaudita violenza. Soltanto le arti e la conoscenza possono mitigare il dolore ma l’esito è comunque terribile: più comprendi e più resti isolato. L’influenza di Stendhal è molto forte, la delusione esistenziale e la consapevolezza del fallimento e dello scacco permeano tutto il romanzo.
In questa visione il Risorgimento diventa una rumorosa e romantica commedia e la Sicilia, resta una categoria astratta, immutabile metafisica. Il fluire del tempo, la decadenza e la morte (Marcel Proust e Thomas Mann) vengono esemplificati nella morte di una classe, quella nobiliare dei Gattopardi che viene sostituita dalla scaltra borghesia senza scrupoli dei Sedara, ma che permea di sé tutta l’opera: la descrizione del ballo, la morte di don Fabrizio, la polvere del tempo che si accumula sulle sue tre figlie e sui loro beni.
Un romanzo sicuramente decadente e struggente dove il vero protagonista è la nostalgia. Non mi stupisce che Vittorini non lo abbia compreso. Ancora oggi non viene compreso da quanti, assecondando logori luoghi comuni, lo interpretano esclusivamente in chiave politica.
Non è un caso che un grande intellettuale fin de race come Luchino Visconti ne abbia afferrato lo spirito traducendolo, caso raro di grande film tratto da grande libro, in un film sontuoso e affascinante.
Scandito dalla musica di Nino Rota il lavoro di Visconti offre quadri e dialoghi di rara suggestione. Don Fabrizio, il principe Salina, è un Bart Lancaster strepitoso affiancato dal nipote Tancredi (un giovanissimo e stupendo Alain Delon), da Angelica, di nome e di fatto (meravigliosa Claudia Cardinale) e da attori di consumata esperienza e bravura quali Paolo Stoppa (Calogero Sedara), Rina Morelli e Serge Reggiani.
Alcune citazioni da Tomasi di Lampedusa:
Io penso spesso alla morte. Vedi, l’idea non mi spaventa certo. Voi giovani queste cose non le potete capire, perché per voi la morte non esiste, è qualcosa ad uso degli altri.”[… ] In Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di ‘fare’. Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui noi abbiamo dato il ‘la’; noi siamo dei bianchi quanto lo è lei Chevalley, e quanto la regina d’Inghilterra; eppure da duemilacinquecento anni siamo colonia. Non lo dico per lagnarmi: è colpa nostra. Ma siamo stanchi e svuotati lo stesso.”
“Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali; e, sia detto fra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio. Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente la nostra sensualità è desiderio di oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte; desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorsonera o di cannella; il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che volesse scrutare gli enigmi del nirvana. Da ciò proviene il prepotere da noi di certe persone, di coloro che sono semidesti; da questo il famoso ritardo di un secolo delle manifestazioni artistiche ed intellettuali siciliane le novità ci attraggono soltanto quando sono defunte, incapaci di dar luogo a correnti vitali; da ciò l’incredibile fenomeno della formazione attuale di miti che sarebbero venerabili se fossero antichi sul serio, ma che non sono altro che sinistri tentativi di rituffarsi in un passato che ci attrae soltanto perché è morto.”
Ho letto il romanzo la prima volta a 18 anni e ne sono rimasto affascinato al punto che esso ha permeato la mia vita nel bene e nel male. Ogni tanto lo rileggo e ne cavo fuori insegnamenti e riflessioni. Il Principe Salina, inconsapevolmente, è stato il mio modello (alla sua aristocrazia per nascita che mi interessa ben poco, ho tentato di sostituire l’unica forma di aristocrazia che mi convince, quella culturale ed educativa) e sino a quando mi sono attenuto ai suoi insegnamenti stoici e sensati ho vissuto con dignità, onore e, perché no, momenti di felicità. Posso essere accusato di non aver fiducia nelle umane sorti e progressive ma questo non mi ha impedito di aiutare chiunque abbia incontrato nella mia vita. Anche io ho pensato per lunghi anni di poter migliorare il mondo aiutando gli altri e l’ho fatto insegnando e col mestiere di professore e preside. Malgrado tutto continuo a pensare che l’insegnamento, la scuola seria e per tutti siano l’unica forma di crescita per un popolo. La cultura non elimina la sofferenza esistenziale ma ci consente di soffrire ad un livello più alto e di provare solidarietà leopardiana per il dolore altrui.
“Noi fummo i Gattopardi, i Leoni: chi ci sostituirà saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti, gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra.”
J.V.
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A Catania con A Volte vanno in scena pregiati personaggi artigianali creati con materiali da riciclo.
C’è una bottega d’arte in Sicilia che in un attimo diventa un teatro per un piccolo pubblico di viandanti e sognatori: è il teatro Tatà di Cartura, si trova a Catania, dove con A volte le marionette prendono vita e raccontano le loro storie. È una semplice magia, gli spettatori vengono accolti tra gli oggetti realizzati a mano, possono riscaldarsi di fronte a un caldo camino acceso, poi vengono fatti accomodare in sedute improvvisate e poi iniziano a navigare tra le storie e le musiche di un teatro fatto di figure, marionette, illustrazioni, giochi di luce e di parole. Tutto quello che Alfredo Guglielmino, Elena Cantarella, Calogero La Bella e Carola Valente – gli artisti artigiani di Cartura – riconoscono che possa diventar spettacolo fa parte dell’opera che tratta d’amori romantici, ironici, istrionici. L’intento è raccontare un mondo alieno e distaccarsi “a volte” dalla realtà. «Alfredo ed io – spiega Elena Cantarella – iniziammo a comporre A volte partendo da una canzone di Joe Cocker, You are so beautiful, immaginavamo che potesse essere la colonna sonora di una serenata particolare: la Bella, cui era dedicata la canzone, non si scopriva poi veramente bella agli occhi degli altri, e da lì abbiamo creato e aggiunto altre storie che trattano d’amore in vario modo, amore verso le cose, amori raccontati sott’acqua, amori platonici, tutti uniti dalla figura di Diego, un ardito funambolo che immaginiamo stare sempre sul suo filo e attraversare tutte queste scene, è lui che conduce i viandanti ad entrare in bottega, a sedersi e a vedere le nostre storie musicate comprensibili e dedicate a tutti, grandi e piccini».
Ecco come gli artigiani si sono trasformati in manianti, i loro personaggi sono diventati attori, e la bottega si è trasformata in un teatro d’eccezione. Durante le azioni, ma anche al di fuori di esse, Alfredo Guglielmino, Elena Cantarella, Calogero La Bella e Carola Valente parlano ai personaggi e dei personaggi come se li conoscessero da sempre: ne svelano i vizi e le abitudini, i punti deboli e i capricci, i desideri e le vicissitudini che nel loro mondo immaginario hanno vissuto. Le brevi narrazioni avvolgono il pubblico prima in un buio morbido e poi in fondo al mare, negli abissi, tra torri di sgabelli posti gli uni sugli altri, in un instabile equilibrio; ogni piccola storia sommata alle altre compone lo spettacolo per intero. Cartura, prima di questi viaggi, ha plasmato gli stessi burattini che incarna: volti, corpi, abiti e dettagli di ciascuno rivelano tutti i tratti del loro carattere e del loro vissuto, c’è lo stravagante, il timido, l’eccentrico, il voluminoso.
Ognuno è unico. È curioso vederli muovere, fino a qualche minuto prima erano rimasti muti e fermi in un angolo, incantati in uno dei loro momenti di massima espressione, e poi eccoli a ballare tra passioni e sogni. Alfredo Guglielmino, fondatore di Cartura, da 18 anni materializza fantasia: le opere pregiate (e anche costose) che nascono dalle sue mani e da quelle di tutti i giovani artigiani che fanno parte della bottega sono la sintesi dell’estro artistico e del sorprendente riuso di lattine, tazze, barattoli, casse usate per il trasporto di pesce fresco e molto altro. I personaggi sono il vero spettacolo. A Volte è solo un grande atto di generosità da parte di chi li ha generati, che per presentarli al pubblico da loro voce e li rende protagonisti in movimento per esaltarne tutta loro singolarità.
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Lo spettacolo è andato il scena Teatro Tatà di Cartura via passo di Aci 9 Catania il 16 dicembre 2016 e il 30 dicembre 2016
A Volte di Alfredo Guglielmino, Elena Cantarella, Calogero La Bella e Carola Valente visione gratuita fino ai 4 anni d’età per gli adulti è richiesta la prenotazione e la tessera dell’associazione
A Volte A Catania con A Volte vanno in scena pregiati personaggi artigianali creati con materiali da riciclo.
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“Fragilità e Distacco / 70 Years Ruggero Maggi”
COMUNICATO STAMPA
SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY
“Fragilità e Distacco / 70 Years Ruggero Maggi”
a cura di Sandro Bongiani
Dal 29 agosto al 28 novembre 2020
Inaugurazione: sabato 29 agosto 2020, ore 18.00
S’inaugura sabato 29 agosto 2020, alle ore 18.00, la mostra collettiva internazionale a cura di Sandro Bongiani dal titolo: “Fragilità e Distacco / 70 Years Ruggero Maggi” che lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery di Salerno dedica all’artista italiano Ruggero Maggi, uno dei più interessanti artisti contemporanei nati negli anni cinquanta. Una importante mostra collettiva internazionale in concomitanza anche della speciale ricorrenza del suo settantesimo compleanno, presentando 289 opere di 295 artisti presenti su un totale corpus grafico di ben 388 opere arrivate da ogni parte del mondo.
Ruggero Maggi inizia la sua attività di artista negli anni '70 con lavori incentrati sulla poesia visiva, sulla mail art, copy-art, laser art e olografia caratterizzati anche dall’inserimento di “estratti” di vita reale. Con il passare degli anni queste strutture “interferenti” all’interno dell’opera sono diventate sempre più evidenti, in un rapporto di intensa “osmosi”, in cui a partire dal 1989 gli arcaici elementi naturali convivono con componenti tecnologici, fino alle opere recenti dove il concetto “Artificiale /Naturale” tra ”sincronismo concettuale e emozionale” assume un ruolo predominante consegnandoci una realtà in cui l’azione umana coincide con quella morale, in un complesso intrico di rimandi e di sollecitazioni. Sandro Bongiani nella presentazione a questa rassegna scrive: “un continuo interesse verso la natura e la dimensione umana in un complesso rimando di sollecitazioni e interferenze, di sottintesi e nascosti richiami in cui l'azione coincide sinteticamente con il tempo provvisorio e oscuro dell’uomo. In questa particolare condizione, la sua ricerca marginale di confine “più vera di natura” ha saputo prendere corpo e manifestarsi in una sintesi poetica accorta che condivide le urgenze estreme della vita ed i contrasti inquieti della nostra malandata società contemporanea”.
Artisti presenti:
Christian Alle Dino Aloi Antonio Amato Lutz Anders Leslie Atkins Paola Baldassini Franco Ballabeni Calogero Barba Fabiola Barna Donatella Baruzzi Pier Roberto Bassi Umberto Basso Keith Bates Elisa Battistella Lutz Beeke Giacomo Beffa Lancillotto Bellini Milena Bellomo C. Mehrl Bennett John M. Bennett Luisa Bergamini Mariarosa Bergamini Pedro Bericat Carla Bertola Diane Bertrand Rita Bertrecchi Massimo Biagi Gabriele Bianconi Lucia Biral Manuel Xio Blanco Antonio Bobò Rovena Bocci Norbert Bockmann Kika Bohr Giovanni Bonanno Adriano Bonari Anna Boschi Rosa Bosco Maria Cecilia Bossi Marzia Braglia Hans Braumüller Rossana Bucci Joachim Buchholz Anna Maria Buonapace Viviana Buttarelli Fulgor C. Silvi Mirta Caccaro Alfonso Caccavale Glauco Lendaro Camiless Loretta Cappanera Guido Capuano Lamberto Caravita Cascadia Artpost Bruno Cassaglia Antonia Mayol Castello Gianpiero Castiglioni Renato Cerisola Bruno Chiarlone Simonetta Chierici Silvia Cibaldi Cosmo Cinisomo Circulaire132 Maria Antonietta Claretto Anna Maria Cognigni Ryosuke Cohen Mabi Col Francesco Cornello Enzo Correnti Carmela Corsitto Crackerjack Kid Maria Credidio Anna Maria Crescenzi Laura Cristin Carla Crosio Rosa Cuccurullo Crescenzio D'Ambrosio Nicolò D’Alessandro Diana Danelli Marc De Hay Ko De Jonge Mario De Leo Antonio De Marchi Teo De Palma Adolfina De Stefani Albina Dealessi Michel Della Vedova Antonio Di Michele Debora Di Bella Elena Di Felice Maura Di Giulio Fabio Di Ojuara Franco Di Pede Marcello Diotallevi Giovanna Donnarumma Mike Dyar Eart Art Mimmo Emanuele Rita Esposito Ever Arts Cinzia Farina Fernanda Fedi Gretel Fehr Domenico Ferrara Foria Ivana Ferraro Luc Fierens Giuseppe Filardi Anna Finetti Alessandra Finzi Aaron Flores Maurizio Follin Roberto Formigoni Kiki Franceschi Nicola Frangione Piet Franzen SIDAC Giglio Frigerio Ivo Galassi Daniele Galdiero Rosalie Gancie Antonella Gandini Attilia Garlaschi Claudio Gavina Ombretta Gazzola Roberta Ghisla Roberto Gianinetti Mario Giavino Ed Giecek Gino Gini Guglielmo Girolimini Lino Giussani Coco Gordon Bruno Gorgone Daniela Gorla Claudio Grandinetti Elke Grundmann Paolo Gubinelli Giovanni Gurioli _Guroga Karl Friedrich Hacher Hanrahan Peter Hide 311065 Uwe Hofig Slanye Huang Carlo Iacomucci Ibirico Gennaro Ippolito Robert James Benedetta Jandolo Janus Edition Isabel Jover Magda Lagerwerf Felipe Lamadrid Giusi Lazzari Ettore Le Donne Nadine Lenain Pascal Lenoir Alfonso Lentini Marialisa Leone Giovanni Leto Pino Lia Pierpaolo Limongelli Pietro Lista Oronzo Liuzzi Serse Luigetti Ruggero Maggi Olga Maggiora Nadia Magnabosco Mailarta MailArtMartha Loredana Manciati Antonio Mancini Antonello Mantovani Angela Marchionni Renzo Margonari Patrizio Maria Dorian Ribes Marinho Laura Marmai Max Marra Calogero Marrali Maria Grazia Martina Maribel Martinez Gianni Ettore Andrea Marussi Anna Maria Matone Anja Mattila Michelangelo Mayo Monica Mazzone Pierluigi Meda Massimo Medola Myriam M. Mercader Miche Art Universalis Monica Michelotti Virginia Milici Gabi Minedi Antoni Mirò Annalisa Mitrano Henning Mittendorf Mauro Molinari Domingo Sanz Montero Maya Lopez Muro Museuvofmailart Keiichi Nakamura Giuliana Natali Katerina Nikoltsou Aldo Nodari Pierangela Orecchia Clemente Padin Lucia Paese Franco Panella Katia Paoletti Linda Paoli Paola Pareschi Sjoerd Paridaen Enzo Patti Giuseppe Pellegrino Remy Penard Walter Pennacchi Mariella Perani Marisa Pezzoli Riccardo Pezzoli Tarcisio Pingitore Horvath Piroska Valentina Poli Veronique Pozzi Painè Nadia Presotto Daniele Principe Tiziana Priori Gina Pritti Giancarlo Pucci Fabrizio Randini Cesar Reglero Gaetano Ricci Angelo Ricciardi Isabella Rigamonti Carla Rigato Ina Ripari Costantino Rizzuti Ilaria Rizzuti Jaume Rocamora Gian Paolo Roffi Claudio Romeo Piero Ronzat Giovanni Ronzoni Lorenzo Rosselli Manuel Ruiz Ruiz Marialuisa Sabato Hikmet Sahin Piero Sani Sergio Sansevrino Antonella Sassanelli Antonio Sassu Anna Maria Saviano Roberto Scala Duccio Scheggi Peter Schubert Lars Schumacher Jörg Seifert Cesare Serafino Lucio Serafino Tiziano Serafino Domenico Severino Noriko Shimizu Maria Josè Silva – Mizè Pietro Silvestro Cecilia Solamito Luigino Solamito Alberto Sordi Cristina Sosio Lucia Spagnuolo Celina Spelta Ciro Stajano Honoria Starbuck Giovanni e Renata Strada Rod SummersVec Elisa Taiola Franco Tajariol Nello Teodori Ernesto Terlizzi Gian Paolo Terrone Elsa Testori Roberto Testori Thierry Tillier Paola Toffolon Renata Torazzo Micaela Tornaghi Horst Tress Alan Turner Stefano Turrini Mikel Untzlla Sigismund Urban Valdor Generoso Vella Silvia Venuti Ada Vera Verbena Daniele Virgilio Alberto Vitacchio Antonio Zenadocchio Rolando Zucchini.
RUGGERO MAGGI / Biografia
Dal 1973 si occupa di poesia visiva e libri d'artista (Archivio Non Solo Libri); dal 1975 di copy art e arte postale (Archivio Amazon); dal 1976 di laser art, dal 1979 di olografia, dal 1980 di X-ray art e dal 1985 di arte caotica sia come artista - con opere ed installazioni incentrate sullo studio del caos, dell’entropia e dei sistemi frattali - sia come curatore di eventi: “Caos italiano” 1998; “Caos – Caotica Arte Ordinata Scienza” 1999 – 2000; “Isole frattali” 2003, “CaoTiCa” 2004, “Attrazione frattale” 2006, “Caos e Complessità” 2009, “Caos, l’anima del caso” 2010, “Caotica.2014” Lodi e Jesi.
Tra le installazioni olografiche: “Una foresta di pietre” (Media Art Festival - Osnabrück 1988) e “Un semplice punto esclamativo” (Mostra internazionale d’Arte Olografica alla Rocca Paolina di Perugia – 1992); tra le installazioni di laser art: “Morte caotica” e “Una lunga linea silenziosa” (1993), “Il grande libro della vita” e “Il peccatore casuale” (1994), “La nascita delle idee” (1993) esposta nel 1995 al Museo d’Arte di San Paolo (BR).
Suoi lavori sono esposti al Museo di Storia Cinese di Pechino ed alla GAM di Gallarate. Ha inoltre partecipato alla 49./52./54. Biennale di Venezia ed alla 16. Biennale d’arte contemporanea di San Paolo nel 1980.
2006 realizza “Underwood” installazione site-specific per la Galleria d’Arte Moderna di Gallarate.
2007 presenta come curatore il progetto dedicato a Pierre Restany “Camera 312 – promemoria per Pierre” alla 52. Biennale di Venezia.
2008 presenta come curatore il progetto “Profondità 45 – Michelangelo al lavoro” sul rapporto Arte -Tecnologia. Nel 2008 a Villa Glisenti (BS) ed all’Art Centre della Silpakorn University di Bangkok, per un simposio artistico italo-thailandese dedicato alle problematiche del riscaldamento globale, realizza l’installazione “Ecce ovo”.
2009 cura l’installazione site-specific collettiva “Prima o poi ogni muro cade” all’interno di PLAZA: OLTRE IL LIMITE 1989-2009 XX Anniversario della caduta del Muro di Berlino in Galleria del Corso a Milano; evento successivamente presentato a Villa Pomini a Castellanza (VA) e Spazio Luparia a Stresa.
2010 “GenerAction – un promemoria per le generazioni” progetto di Mail Post.it Art presso la Galleria di Arti Visive dell’Università del Melo - Gallarate.
2011/2013/2015/2017 presenta a Venezia con il Patrocinio del Comune di Venezia Padiglione Tibet, progetto presentato successivamente alla Biennale di Venezia, al Museo Diotti di Casalmaggiore (CR), palazzo Ducale di Genova e presso la Biblioteca Laudense di Lodi.
2014 PadiglioneTibet partecipa alla Bienal del Fin del Mundo in Argentina.
2016 “TERRA/materiaprima” progetto di Mail Art presso la Galleria di Arti Visive dell’Università del Melo – Gallarate.
2016 presenta Padiglione Tibet al Castello Visconteo di Pavia.
2017 presenta la 1 Biennale Internazionale di Mail Art a Venezia – Palazzo Zenobio
2018 Padiglione Tibet partecipa alla Vogalonga (Venezia)
2018 installazione “Erosioni in pinzimonio” - Poetry and Pottery Un’inedita avventura fra ceramica e poesia visiva - CAMeC centro arte moderna e contemporanea La Spezia
2018 installazione CaraPace - Museo Tecnico Navale - La Spezia
2019 “Onda Sonora” libro collettivo – V Biennale del Libro d'artista - Napoli
2019 ARTNIGHT Venezia – Padiglione Tibet - videoproiezione 2011.2019. Storia di un padiglione per un paese che non c'è - Magazzini del Sale, Reale Società Canottieri Bucintoro
2019 riceve il Premio alla carriera - PREMIO ARTE IN ARTI E MESTIERI 2019 – XIX EDIZIONE - Fondazione Scuola Arti e Mestieri "F. Bertazzoni" - Suzzara (MN)
2020 “#GlobalViralEmergency / Fate Presto” L’arte tra scienza, natura e tecnologia - Spazio Ophen Virtual Art Gallery – Salerno
“Fragilità e Distacco / 70 Years Ruggero Maggi”
SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY
Via S. Calenda, 105/D - Salerno, Tel/3937380225
e-mail: [email protected]
Gallery: http://www.collezionebongianiartmuseum.it
Orario continuato tutti i giorni dalle 00.00 alle 24.00
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COMUNICATO STAMPA: Mirror Face to Face Italian and Portuguese Artists exhibition esposizione di grafica d’arte INAUGURAZIONE Villa Caldogno, piano nobile sabato 15 giugno, ore 20:45 ESPOSIZIONE Villa Caldogno, seminterrato - Via Zanella, 3 - CALDOGNO (VI) Dal 15 giugno al 14 luglio 2019 ORARI di APERTURA giovedì e venerdì 9:00 - 12:00 sabato 9:00 - 12:30 / 15:00 - 18:00 domenica 9:00 - 12:00 Ingresso libero In questa edizione di Mirror - Face to face, per la prima volta, c’è anche un altro progetto: Miniprint Exchange. Una sala espositiva è riservata a questa stampe in piccolo formato. ARTISTI PARTECIPANTI Miniprint Exchange Maja Anastasova Hris, Alessandra Angelini, Cesare Balbo, Angela Barbiera, Marco Basile, Sergio Bigolin, Arianna Iris Brazzale, Maria Grazia Buso, Roderick Camilleri, Roberta Campagnolo, Matteo Cantalles, Daniela Capasso, Sarah Catalano, Tzu Ning Chiang, Cristina Chiantaretto, Sandro Chinellato, Roberta Contiero, Liborio Curione, Albina Dealessi, Martina Di Bella, Cristina Di Gennaro, Susanna Doccioli, Isabel Clara Duarte, Sabrina Frison, Doriana Gambato, Valeria Gasparrini, Gaia Gianardi, Francesco Gianatti, Caterina Giannotti, Andrea Girardi, Ana Maria Giuffrida, Paola Gobbetti, Luigi Golin, Elisabetta Gomirato, Jerzy Gorbas, Lava Pedro, Marzia Leonardi, Lezcano Sandra, Veronica Longo, Patrizio Marafini, Cecilia Maran, Francesca Marcolin, Sonia Marcolin, Giuseppe Marletta, Calogero Marrali, Barbara Martini, Alessandro Mardok Martufi, Niccoló Miglietta, Marcela Miranda, Maria Angelica Mirauda, Maurizio Muolo, Rachele Maria Natali Pierangela Orecchia, Franca Pacchioni, Monica Pellattiero, Laura Pigo, Eleonora Pucci, Sofia Renganeschi, Giovanna Ruggieri, Silvana Sabbione, Maurizio Miriano Scaini, Alessandra Schiavinato, Aurora Scionti, Alessandro Severin, Massimo Spadari, Giovanni Tonello, Camilla Tosato, Maria Micaela Trocello, Clara Tumino, Cristiano Vettore, Marina Vidali, Cira Viggiano, Cosimo Damiano Zambetta Una rappresentanza di allievi del Liceo Artistico Statale A. Canova partecipa all’esposizione. #martinadibella #artexhibition #internationalexhibition #mirrorfacetoface #caldogno #villacaldogno #vicenza #printexhibition https://www.instagram.com/p/ByU3AWPoSeI/?igshid=6zbascbec9nl
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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/07/03/ricordare-rivivere-bozzetti-storie-dalla-culla/
Ricordare per rivivere: bozzetti di storie dalla culla
di Rocco Boccadamo
Doverosa premessa.
Come sono solito fare ogni volta che scrivo, ho brevemente pensato, in semplice autonomia da comune osservatore di strada e narrastorie, al titolo da attribuire alle presenti note.
Sennonché, immediatamente dopo, mi sono accorto che la prima parte del cappello s’identifica niente poco di meno che con un’espressione del grande maestro della psicanalisi Sigmund Freud, recitante, esattamente, “il ricordare è un rivivere”. Non me ne voglia, l’esimio personaggio, per l’involontaria e inconsapevole invasione di campo.
° ° °
Sin dalla tenera età, vado avvertendo d’essere sfiorato da una sorta di speciale buona ventura, cioè a dire di sentirmi, in senso vasto, un tutt’uno con il mio paese di nascita, i suoi luoghi, la sua storia, fatta di piccole e svariate vicende, e, soprattutto, i volti e le figure della sua gente, che, a onore del vero, ho sempre considerato alla stregua di mia seconda famiglia, allargata, a fianco del nucleo di mera appartenenza per ragioni di sangue, con correlato ovvio primario legame affettivo.
Così che, negli anni – ormai sfioranti un arco di quattro lustri – della mia “seconda esistenza” sotto l’aspetto dell’impegno lavorativo e degli interessi d’elezione, mi è stato, a più riprese, dato d’evocare situazioni e spaccati di ricordi, riconducibili alla minuscola località natia e, in maggior dettaglio, una lunga sequenza di vicende e di determinati compaesani, con le loro caratteristiche, abitudini, doti, virtù e vezzi.
In questo odierno caso, lo spunto ispiratore mi è casualmente arrivato dalla necessità di eseguire una riparazione al timone della mia barchetta a vela, incombenza che mi ha condotto a una bottega artigiana posta alla periferia del paese, in direzione di Capo Lupo.
E però, avanti di raggiungere tale destinazione e lasciar espletare il lavoretto dianzi accennato, ho dovuto attraversare una zona del paese, a cominciare dal Largo Campurra, ora denominato Piazza della Vittoria, e, quindi, proseguendo più avanti verso la meta.
In detto percorso, idealmente uscio per uscio, quasi fossero ritagli di una pellicola di celluloide, si sono affastellate numerose, da sembrare interminabili, scene, che, sebbene in maggioranza ormai datate, mi si sono snodate davanti come se ancora intrise di vitalità e attualità.
A cominciare dalla menzionata “Campurra” di per sé, nel senso di slargo, il maggiore dell’intero paese, una volta delimitata, a nord, dalla cappella di S. Giuseppe, recante al centro un pozzo animato e arricchito sul fondo da risorse d’acqua sorgiva, declinante a scivolo verso sud est, sì da consentire il naturale deflusso indotto e guidato delle acque piovane in confluenza di un’adiacente voragine, conosciuta, in dialetto, con il sintetico appellativo di “ora”.
E mi sono sfilate alla vista le serie di greggi ovine che, sortendo di buon mattino dai rustici rifugi al coperto e dirette al pascolo, proprio sul prato della “Campurra”, avevano agio di prendere confidenza con i primi assaggi di erbe.
Transitavano, tali armenti, senza lasciare tracce o postumi di odori, giacché, forse, a quei tempi, le stesse campagne e, quindi, le distese di pascoli, non conoscendo né tantomeno subendo processi d’inquinamento, emanavano effluvi genuini e gradevoli.
Rocco, Saverio, Tommaso, i nomi di alcuni dei pastori di pecore di quelle stagioni lontane.
Ancora, il largo “Campurra”, in mancanza, nel paese, di un campo sportivo, era utilizzato dai ragazzi e giovani per partite di calcio alla buona, con, per rendere l’idea, due coppie di pietre a segnare le porte.
Vi giocavano parimenti, reminiscenza straordinaria, magari fronteggiandosi con squadre di marittimesi, gruppi dei soldati polacchi che, intorno alla fine del secondo conflitto mondiale, furono di stanza, per un breve periodo, a Marittima.
E, affacciato imponente sulla Campurra (c’è ancora adesso, ma vuoto), quasi a voler vigilare bonariamente sulle sottostanti azioni di vita e di attività quotidiane, il palazzo cosiddetto dell’arciprete vecchio, già abitato, precisamente, dal medesimo prelato e da una nobildonna sua nipote.
Attigua, l’abitazione della “Richetta ‘e l’ortu ‘u puzzu” (Enrichetta, proprietaria dell’orto con il pozzo/voragine), maritata con Vitale, quattro figlie femmine.
Appena più giù, il vicolo dove aveva casa, fra gli altri, una vecchia parente di mio zio Guglielmo Bianchi, anziana che, nell’anno 1945, rammento con precisione, fu prescelta, come segno di rispetto, per condurre al battesimo in chiesa, tenendoli fra le braccia, due neonati gemelli del mio ricordato zio, piccoli, i quali, purtroppo, in breve volgere di tempo, se ne ritornarono in cielo.
Oltre, la casa di Rosaria ‘u tatameu, in cui, in una sera stellata, la figlia Concettina, rimasta gravida antecedentemente al matrimonio, diede alla luce il suo primogenito, con gli inevitabili lamenti da parto e mamma Rosaria, saggiamente, a consolarla, esortandola nel contempo a darsi pace, giacché, le faceva osservare, ciò che stava vivendo l’aveva in fondo voluto tutto da sé.
Quindi, la residenza di una famiglia portante il mio cognome, cugini di primo grado di mio nonno Cosimo, e la casa di un altro nucleo, dal soprannome “Pisca”, nel cui ambito, una delle figlie, P., era stata temporaneamente la “zita” del mio zio materno T.
Adiacente, il piccolo spazio con il monumento ai caduti e, dirimpetto, i palazzotti di donna Uccia Russi e della famiglia Spagnolo, il secondo contraddistinto da un caratteristico aggraziato arco, menante in un portico e in un cortile padronale.
A succedersi, i locali terranei, ormai da lungo tempo chiusi, noti come “u trappitu ‘a nutara” (frantoio oleario e palmento per la trasformazione dell’uva) e, fra i restanti diversi fabbricati, i due stabili a piano terra e primo piano occupati dalle famiglie dei cugini Frassanito.
A dividere detti immobili, due vicoletti, il primo dei quali corrispondente alla ex dimora del mio prozio materno Michele, pure lui Frassanito e parente dei predetti, adesso di proprietà e svolgente funzione di ritiro, per riposo, relax e bagni marini all’Acquaviva e Porticelli, della nota artista televisiva e teatrale, oltre che scrittrice, Serena Dandini.
I Frassanito cugini, in origine, espletavano il mestiere di muratore, al pari di altri parenti col medesimo cognome (Giacomo, Luigi, Cosimo, Calogero, Donato).
In un dato momento, ritennero però opportuno di mutare la loro attività, accostandosi, sino a divenire esperti e specializzati, al lavoro di costruzione, soprattutto, ma anche di riparazione, di barche in legno (gozzi piccoli, medi e grandi e lancette) prevalentemente adibite alla pesca, ma utilizzate pure, man mano che prendevano piede il turismo e le attività hobbistiche, per fini di svago e di diporto.
I medesimi Frassanito, specie il nucleo famigliare di Vitale, agli inizi, poi di Salvatore, suo figlio, e di Vitale, Nino e Antonio, a loro volta discendenti di Salvatore, diedero gradualmente luogo a un interessante sviluppo della nuova attività, arrivando, almeno a livello artigianale e di correlata apprezzata qualità dei manufatti, a collocarsi fra i primi del Salento, spaziando, quanto a campo di azione, da Porto Cesareo, a Gallipoli, Leuca, Tricase, Castro (la totalità dei battelli o schifi dei pescatori locali era opera loro), Otranto, S. Cataldo.
Giovani marittimesi negli anni ’70
Purtroppo, con l’avanzare degli anni e il cambiamento di usi e di scelte, ad oggi, è ancora attivo unicamente il più giovane dei varcaluri, Antonio, e, addirittura, avendo il medesimo unicamente figlie femmine, v’è da ritenere che quando egli deciderà di appendere l’ascia al muro, avrà inevitabilmente termine una bella tradizione, anzi una saga, di un mestiere di qualità, dignitoso, che ha accompagnato svariate generazioni di addetti alle attività marittime e pescherecce o, semplicemente, di appassionati di barche, lenze e ami.
Come riferimento agli amici Frassanito in questione, è rimasto un fondo, detto “Schettu” (boschetto), piantumato a querce secolari, già appartenente a un benestante del paese, don Eugenio Russi, un sito dove, anticamente, aveva sede anche un frantoio sotterraneo, poi crollato e finito in abbandono e distruzione.
Riguardo al boschetto di che trattasi, conservo il dolce e nostalgico ricordo delle lunghe parentesi di svago e gioco che, ogni domenica mattina, trascorrevo lì con gli amici, dopo aver partecipato, non a caso bensì appositamente per restare libero, alla prima Messa presso il santuario della Madonna di Costantinopoli.
Ritornando per un attimo ai compaesani Frassanito, prima muratori e poi costruttori di barche, tengo a rimarcare due particolari, in apparenza secondari, ma, a loro modo, indicativi.
Della seconda famiglia di cugini (a capo, Mosè), facevano parte due figli maschi, Vitale e Tommaso, e due femmine, Ttetta (Concetta) e Damiana.
Anche Tommaso, in proprio, costruiva gozzi e lancette in legno e, adesso che lui non esiste più, il segreto del mestiere è custodito da suo figlio Vitale, ufficialmente docente di matematica e fisica, ma capace di realizzate barche, come, saltuariamente, in effetti, fa.
Delle sorelle Frassanito, invece, mi è rimasta impressa l’attività svolta dalla più grande, Ttetta, fino a quando non andò in sposa nella vicina località di Andrano (non so se ella sia ancora viva). Si occupava, infatti, di un lavoro normalmente insolito per una donna, ovvero faceva la calzolaia.
A esercitare tale mestiere, nel paesello c’erano già i mesci Tore, Leriu e Roccu, tuttavia pure Ttetta operava nel settore. A voler essere precisi, non realizzava calzature di pelle e cuoio, bensì, soprattutto, accessori fatti di materiali meno pregiati, cioè gomma, stoffe e tele, per lo più in forma di sandali, ma a volte anche chiusi.
Nella casa dei miei genitori, sei figli e un unico stipendio da impiegato comunale, non si navigava nell’oro, sicché, sovente, noi ragazzini indossavamo scarpe realizzate dalla Ttetta.
Leggermente oltre l’abitazione e la bottega dei barcaioli Frassanito più affermati, viveva un contadino del paese, tale Giuseppe, piccolo di statura e mingherlino, alla buona, cui era stato attribuito il nomignolo di Titeppe.
Ovviamente povero, il predetto, del resto come la grande maggioranza dei concittadini, e tuttavia, la domenica, probabilmente credendo di imitare qualcuno degli sparuti signori del paese (catena e orologio nel taschino del panciotto), aveva preso l’abitudine di presentarsi in piazza munito di una catena, da una parte fissata alla cintura e dall’altra infilata in una tasca dei pantaloni.
Al che, gli amici, per celiare, si compiacevano con lui chiedendogli di mostrar loro l’orologio che si poteva supporre fosse legato a quella catena, ma, alla curiosità dei compaesani, il buon uomo, onesto e sincero, non poteva far altro che rispondere: “No, guardate che tengo appeso semplicemente un coltello”. Ed erano, ovviamente, risate allegre, senza ombra di malizia, sfottò o derisione.
Lì accanto, in un vicoletto dove dimorava la famiglia di F.A., quattro figli fra cui due belle ragazze, all’interno di un giardinetto si apriva una modesta grotta sotterranea presentante, su tratti della volta, tracce di stalattiti e noi ragazzi, incuriositi, non esitavamo a cercare di calarci dentro tale cavità, invero servendoci di attrezzatture precarie se non pericolose.
Il centro abitato, a quel punto, va esaurendosi, ma destano curiosità e rappresentano tappe di egualmente vividi e intensi ricordi, i vari fondi agricoli che si susseguono, taluni dalle denominazioni strane o stravaganti, altri collegati ai particolari personaggi degli antichi proprietari, così da aver lasciato un segno nella memoria del narrastorie.
“Sciancateddri”, “Lamelogne”, “Cantine”, “Vigna ‘e l’api”, “Pizzeddri”, “Aria”, “Munti”, l’infilata di appellativi di questi fazzoletti di terra rossa, sui quali, da ragazzino, mi è capitato di familiarizzare, vuoi per la loro appartenenza a miei parenti, vuoi frequentandoli in compagnia di amici coetanei, figli dei proprietari.
Da notare, specialmente, che il terreno “Vigna ‘e l’api”, già di Vitale e Palma ‘u tunzi, adesso fa capo ed è condotto direttamente da un nipote, omonimo, un altro Vitale, il quale vi ha impiantato un moderno alveare dei preziosi insetti, un apiario utilizzato anche per finalità didattiche, a beneficio di scolaresche e, in genere, di persone interessate che vi convengono dal Salento e non solo.
Ritornando sui passi iniziali dell’escursione agricola, in zona “Aria”, è situato uno spazioso locale, già agricolo e in una seconda fase destinato ad attività artigianali.
In decenni distanti, vi s’infilavano e, all’esterno, si essiccavano sotto il sole, le foglie di tabacco e io stesso, scolaro e studente delle medie, mi sono più volte trovato lì seduto sul pavimento, per aiutare in tale fatica i miei zii Guglielmo e Nina.
Dopo, vi ebbe sede un’attività di confezionamento di capi e accessori tessili, per conto terzi.
Da alcuni anni, infine, è il sito di lavoro di Simone Fersino, un bravo giovane, artigiano o meglio dire artista dalle mani duttili e dotato di estro e inventiva, che si è specializzato, attraverso una lunga e seria preparazione, nella lavorazione del ferro battuto e in abbinate produzioni di pregio, attività che gli reca ordini non soltanto da committenti salentini, di Lecce in particolar modo, ma anche di altre località italiane.
Simone è, insomma, molto apprezzato per la sua opera; personalmente, in aggiunta a ciò, lo ammiro anche per aver rilevato una piccola vicina tenuta agricola, la “Vija”, con una costruzione padronale originariamente dipinta di un gradevole rosso e col tempo divenuta cadente, e aver fatto rinascere il tutto, con sacrifici e investimenti mirati, davvero a nuova vita.
E’ bello, per me, infine, annotare che Simone ha per nonna paterna la cara Maria, da bambina, ragazza e giovane, oltreché prima cugina, anche stretta amica di mia madre: a lei, che, tutte le volte che ci incontriamo, mi fa grande festa, voglio dedicare un saluto e un fervido augurio inusuale da queste righe, al pensiero, fra l’altro, che nel dicembre dell’ormai prossimo 2018, compirà il suo centesimo compleanno.
Ecco, è proprio nella bottega di Simone che, come anticipato all’inizio delle presenti note, mi sono recato per la riparazione al timone della mia barchetta a vela. E, uscendomene a lavoro compiuto, non ho potuto fare a meno di volgere lo sguardo, come accade ogni volta che passo da quelle parti, su un lato del piazzale: precisamente, sullo scafo, tinteggiato di blu, di un’altra barca a vela, lì posto e conservato gelosamente da Simone, in memoria del fratello Andrea che, amante come pochi del mare e delle barche, appena ventenne, se ne andò per un’accidentale disgrazia mentre cercare di tutelare quel natante dagli effetti di una violenta burrasca.
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The Voice 6 : et le grand gagnant est...
Ce samedi 10 juin, TF1 diffusait la tant attendue finale de la sixième édition de The Voice . Lucie, Lisandro Cuxi, Nicola Cavallaro et Vincent Vinel ont à cette occasion tout donné sur la scène du célèbre télé-crochet, tentant tour à tour d'impressionner public, téléspectateurs et l'ensemble des coaches.D'ailleurs, les finalistes ont eu l'immense privilège de chanter avec de grosses pointures de l'industrie musicale comme la star internationale Shakira, Calogero, Nolwenn Leroy, Black M ou encore Soprano. Mais pas que. Chaque prétendant au titre a aussi partagé la scène avec son coach. Et à l'issue de ce prime qui a été une nouvelle fois exceptionnel et très commenté sur les réseaux sociaux, Nikos Aliagas, qui anime le programme depuis ses débuts, a fini par révéler le nom du grand gagnant. C'est Lisandro Cuxi, coaché par M. Pokora sur toute la saison, qui a été désigné plus belle voix de l'année, récoltant 32,4% des suffrages (23,7% pour Vincent, 17,9% pour Nicola et 26% pour Lucie). Il succède ainsi au très talentueux Slimane qui s'apprête, lui, à publier un deuxième album. Souhaitons bien évidemment au jeune homme de 17 ans beaucoup de succès et une longue et belle route. Anne-Sophie Jilot-Guérand ... Retrouvez cet article sur Public
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Rita, la gatta Maya e Piano Barlaci
In una graziosa cittadina sul mare vi è un punto (chiamato Belvedere) dove il panorama esplode a 360 gradi: davanti, il porto con le sue barche e il mare di un blu intenso che si perde all'orizzonte; a destra, (quando il tempo lo permette), la Rocca della cittadina di Cefalù; a sinistra, il promontorio di Capo Zafferano; alle spalle, infine, si alza, immensa, una montagna dalla forma molto particolare: qualcuno, guardandola, ci vede una donna distesa, altri un vulcano, altri ancora ci vedono due persone che si abbracciano, ma lei, anzi lui, è il monte San Calogero.
Nella parte più bella della città, vicino via San Salvatore, sorge il piano Barlaci, dove sono presenti resti di un anfiteatro romano. Dopo anni di incuria, adesso, da alcuni anni, è diventato crocevia e punto di incontro di giovani artisti.
Un giovane pittore che ha la fortuna di vivere in una casa la cui terrazza si affaccia sul piano Barlaci, ha la bella idea di valorizzare questa piazza.
Si comincia, piano piano, con rappresentazioni teatrali, ed in un continuo crescendo con esposizioni di quadri, serate di musica, di teatro, di poesia, insomma, di "Notti clandestine a Piano Barlaci": incontri, in piena estate, per alcuni giorni, di persone e artisti che si esibiscono o espongono le loro opere (recentemente un meraviglioso presepe realizzato dal maestro Piscitello).
Da qualche anno vive sui tetti di quelle case, che si affacciano sul piano Barlaci, una gatta di nome Maya.
Sull'origine del nome ci sono diverse interpretazioni: dal greco "creatrice, madre" o dal latino "dea della primavera" o dall'hindi "potere creativo di Dio". Lei è, comunque, una gatta con una faccia simpatica, dal manto grigio e con delle zampe bianche, come se indossasse dei calzini.
Padrona assoluta dei tetti di piano Barlaci, vive felice scorazzando e cacciando su quei tetti.
Piano piano, incuriosita, comincia a lasciare il tetto della sua casa e si avvicina alla terrazza della casa di Rita, sorella del pittore di piano Barlaci. Anche se Rita fa Gatto di cognome, questo non deve farci pensare che lei abbia affinità con i gatti. Rispetto e tolleranza si, ma mai rapporti molto ravvicinati.
Piano piano la gatta Maya, che è la gatta degli altri Gatto, nonché cugini dell’umana Rita, guarda attratta quella bella terrazza piena di piante che la signora, con tanta cura, aveva piantato, per renderla gradevole a se stessa ed agli ospiti in visita.
Lei, Maya, osserva con attenzione tutti i movimenti che fa l'umana e tutte quelle piantine sul tavolo: che attrazione!
"Adesso gli faccio un'incursione", decide! Con uno slancio felino, come sanno fare solo i gatti, salta sul tavolo, le ruba una piantina e scappa. Rita, avvilita, la guarda scappare con la piantina in bocca…
"Mah, non ho mai visto una gatta così… Non riesco a darle una definizione", mormora ad alta voce, "una gatta davvero monella"!
E con pazienza sostituisce la piantina rubata da Maya.
Un'altra volta la trova sdraiata sul tavolo!
"Maya, scendi dal tavolo"!
Ma lei, annoiata, socchiude gli occhi quasi a fessura, le fa una bella soffiata e protesta con tanti miaooo miaooo!
Cosi per settimane e settimane.
Un giorno, però, l‘umana Rita, vede che Maya ha un approccio diverso, che la guarda in maniera più dolce e più conciliante. Siccome Rita ha il cuore grande e generoso, le porge una bella fetta di prosciutto.
“Miao, miao", sembra ringraziare Maya.
Adesso, ogni volta che Rita apre la porta della terrazza, lei, Maya, si presenta al suo cospetto: "Dai, mollami qualcosa da mangiare", sembra dire il suo sguardo.
"Ecco un bel piatto di tortellini…, forse avrà fame", pensa Rita. "E' per questo che mi fa i dispetti?"
Così, gatta & Gatto, si guardano con più amore felino. Ma rafforzeranno la loro amicizia? Beh, questo alla prossima puntata.
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Fratelli d’Italia esprime il proprio sentito ringraziamento nei confronti della trasmissione di approfondimento “Fuori dal Coro”, del conduttore Mario Giordano, che nella serata di ieri, su Retequattro, ha dato ampio risalto al problema dei migranti e dei centri di accoglienza presenti nel capoluogo e nella provincia agrigentina.
In particolare si ringrazia la troupe Mediaset venuta ad Agrigento, capitanata dalla brava giornalista Carmen La Gatta, a cui i Dirigenti del partito hanno dato, fin da subito, la massima collaborazione ed a cui hanno testimoniato, prima, durante e dopo le riprese (a cui erano presenti, il disagio degli agrigentini, ed in particolare quello dei residenti del Villaggio Mosè, quartiere cittadino dove sono concentrate le più grandi strutture destinate all’accoglienza dei migranti.
“Siamo ben lieti di constatare che il nostro costante impegno di sensibilizzazione nei confronti dei media abbia dato i frutti sperati – afferma il Dirigente nazionale di Fratelli d’Italia, Calogero Pisano – sono mesi che tempestiamo le redazioni giornalistiche nazionali di email con cui denunciano tale insostenibile situazione, siamo riusciti a portare alla ribalta nazionale una tematica molto sentita dal popolo agrigentino, che si rifiuta di vedere la più bella città dei mortali trasformata nel campo profughi d’Europa”.
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Migranti e centri di accoglienza, Fratelli d’Italia: grazie alla trasmissione “Fuori dal Coro” Fratelli d'Italia esprime il proprio sentito ringraziamento nei confronti della trasmissione di approfondimento "Fuori dal Coro", del conduttore Mario Giordano, che nella serata di ieri, su Retequattro, ha dato ampio risalto al problema dei migranti e dei centri di accoglienza presenti nel capoluogo e nella provincia agrigentina.
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Galvanoproject Singolarità Tecnologica Hacker Etico Calogero Galvano :
L' intelligenza artificiale programmata per fregarvi i soldi e la vostra vita che non conta nulla. State tutti tranquilli ho fatto in modo che i ricchi/forbes abbiano una bella lezione di apprendimento.
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“Il Gattopardo”: un romanzo che sarebbe piaciuto a Thomas S. Eliot (ma fu rifiutato da Vittorini). I rapporti tra Tomasi di Lampedusa e il poeta della “Waste Land”
“Maggio 1860” è la data d’esordio del Gattopardo. Sin dall’esordio Tomasi di Lampedusa sembra quasi voler “depistare” il lettore perché il romanzo tratterà, sì, dei fatti avvenuti in Sicilia nel 1860 ma quasi in un nobile pretesto per raccontare altro: l’uomo fuori della storia, l’essenza sopra gli eventi storici e contingenti.
La voce di padre Pirrone ci raggiunge dalla sala del palazzo avito. Sta terminando il rosario quotidiano: “… nell’ora della nostra morte. Amen”. Ronzii di voci ripetono il ronzio delle cicale ancora fuori, nel giardino assolato. Dalle finestre aperte sale il trotto di un cavallo, una carrozza sull’acciottolato sconnesso della strada.
L’affresco che sovrasta la scena del rosario in casa Salina è un tripudio di rosa e azzurro, uno sfolgorìo intrecciato di colori e numi, nuvole e corpi nudi: “Nell’affresco del soffitto si risvegliarono le divinità. Le schiere di Tritoni e di Driadi che dai monti e dai mari fra nuvole lampone e ciclamino si precipitavano verso una trasfigurata Conca d’Oro per esaltare la gloria di casa Salina apparvero da subito colme di tanta esultanza da trascurare le più semplici regole prospettiche; e gli Dei maggiori, i Principi fra gli Dei, Giove folgorante, Marte accigliato, Venere languida, che avevano preceduto le turbe dei minori, sorreggevano di buon grado lo stemma azzurro col Gattopardo. Essi sapevano che per ventitré ore e mezza, adesso, avrebbero ripreso la signoria della villa”.
Il rosario ricorda poi di nuovo la morte, forse tema principale del romanzo. La “voce pacata” del principe, il protagonista, termina proprio allora di recitare i Misteri dolorosi: la parola “morte” è ripetuta e si stacca dal “brusio ondeggiante” delle voci dei vari protagonisti.
*
Per arcani incroci la Sicilia del romanzo incastonata in mezzo al Mediterraneo continua a produrre caratteristiche non insulari: “Aristocratico siciliano nell’anno 1860”, Fabrizio Salina discende da sangue germanico, “un temperamento autoritario, una certa rigidità morale, una propensione alle idee astratte…”. Alta statura e “pelame color miele” denunciano l’origine tedesca dell’altera principessa Carolina sua madre.
Il principe non si cura della propria amministrazione finanziaria. Ha mente e cuore rapiti dalle lontananze sideree, notte dopo notte la trascorre all’inseguimento di visioni astronomiche. Malgrado una forte propensione per la matematica, la riversa solo negli studi d’astronomia limitandosi a guardare “la rovina del proprio ceto e del proprio patrimonio” senza alcuna “voglia di porvi riparo”. In solitudine preferisce dialogare con le stelle più che con i propri simili: circondato da uno stuolo di figli, familiari, servi e figure minori, Salina è un uomo solo. Si ritira nella sua stanza-osservatorio e con “cercatori di comete” trova la pace cosmica nella “sublime normalità dei cieli”, alta sulla frenesia umana. Si sente, così, “ricollegato con l’universo”.
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È il sovrano dell’esausto regno meridionale a denunciare il nipote allo stesso zio, il principe Fabrizio suo tutore, e lo fa in sciatto dialetto napoletano: “Quel tuo nipote Falconeri… perché non gli rimetti la testa a posto?”. Il giovane avrebbe “cattive frequentazioni”: aderisce alle idee liberali, la patria italiana. Perciò arriva la minaccia secolare: “Digli ca si guardasse o’ cuollo.”
Perché nulla cambi nella sostanza pur cambiando tutto nella forma – secondo il celebre assunto del romanzo – Tancredi arriva a unirsi gli uomini di Garibaldi e battersi con loro: “Il ragazzo ebbe una delle sue crisi di serietà che lo rendevano impenetrabile e caro. Se non ci siamo anche noi, quelli ti combinano la repubblica. Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi. Mi sono spiegato?”
La narrazione si stacca dall’ampiezza della storia per tornare al destino particolare all’interno della dimora, alle ceramiche sulla tavola imbandita di casa Salina: il “fasto sbrecciato” con cui si servono le cene alla villa del principe. L’ossimoro dà sintesi mesta al rituale: “Massiccia l’argenteria e splendidi i bicchieri recanti sul medaglione liscio fra i bugnati di Boemia le cifre F. D. (Ferdinandus dedit) in ricordo di una munificenza regale, ma i piatti, ciascuno segnato da una sigla illustre” erano “superstiti delle stragi compiute dagli sguatteri”.
*
Il Gattopardo ricorda le numerose storie di decadenza di una famiglia e un’epoca, dai Boodenbrook di Thomas Mann al Silenzio delle cicale di Bona, da Tenera è la notte di Fitzgerald a Il giardino dei Finzi-Contini di Bassani. Anche l’antica stirpe dei Salina è inesorabilmente avviata al tracollo, preceduta dal cognato Falconeri, padre di Tancredi: “Un padre scialacquatore, marito della sorella del Principe, aveva dissipato tutta la sostanza ed era poi morto”. Una di quelle “rovine totali” in cui “si fanno fondere financo i fili d’argento dei galloni delle livree”.
Tra i cedimenti corali del popolo e la nobiltà che trascina ozi e stanchezze soavi nel rimpianto della passata grazia perduta, la volgarità ne sta prendendo il posto a passi pesanti. Nell’incontro comico con Calogero Sedara, il padre di Angelica, Fabrizio Salina precisa meglio origini e sostanza del fascino di Trancredi: “è quasi impossibile ottenere la distinzione, la delicatezza, il fascino di un ragazzo come lui senza che i suoi maggiori abbiano dilapidato una mezza dozzina di grossi patrimoni; almeno in Sicilia è così; una specie di legge di natura…”. Dovendo contare quasi unicamente sul proprio fascino per farsi strada nella vita, Tancredi deve guardare molto in alto e sposare una ragazza abbiente. In altre parole deve guardare molto in basso, tra la borghesia arricchita del paese, tra i Sedara, i discendenti di “Beppe merda”.
*
Malgrado le precise indicazioni dell’autore sul contrario, Il Gattopardo è definito un romanzo storico. Ritratto di un mondo in bilico tra due concezioni di vita – quella vecchia della nobiltà stanca e squisita e quella nuova dell’emergente borghesia forte e volgare – pare incarnare “la perpetua nostalgia per le cose che muoiono e che debbono morire, sorpassate dalla vita, ma viventi e sempre rimpiante nel ricordo” di cui scrive Croce (Poesia antica e moderna). Sarebbe una cronaca, se raccontasse solo il passaggio sociale dopo lo sbarco dei mille in Sicilia. Ma racconta anche la condizione umana sopra la storia e una perdita non solo storica, che trapassando dalla contemplazione alla pratica si spezza la schiena sul crinale del mondo nuovo.
E “la vera e genuina poesia che è sempre alta e grande – è segnata da un che di severo e malinconico”, scrive ancora Croce (Poesia antica e moderna). Qui la perdita simbolica, collettiva, si fonde con l’individuale arrendersi del principe alla morte, che vede come una donna bellissima venuta a incontrarlo, “più bella di come l’avesse mai intravista negli spazi stellari”. Dal consuntivo di una vita, fuori dall’“immenso mucchio di cenere” dell’esistenza rimangono le “pagliuzze d’oro dei momenti felici”: l’anima del romanzo.
*
Quando gli fu sottoposto, Elio Vittorini rifiutò di pubblicarlo ritenendolo opera “di retroguardia” anche per l’assunto della solitudine aristocratica. Il Gattopardo sarebbe stato dunque pubblicato per l’impegno di Giorgio Bassani, altro scrittore che – come Lampedusa – amava i personaggi “vinti”, “soli” e “nobili”.
In una serie di lettere inviate all’amico Guido Lajolo nel 1956, Lampedusa parlava del romanzo, del suo protagonista e dei suoi temi: “Il protagonista è il Principe di Salina, tenue travestimento del Principe di Lampedusa mio bisnonno. E gli amici che lo hanno letto dicono che il Principe di Salina rassomiglia maledettamente a me (…) cinque lunghi racconti (…) mostrano il progressivo disfacimento dell’aristocrazia; tutto vi è soltanto accennato e simboleggiato; non vi è nulla di esplicito e potrebbe sembrare che non succeda niente. Invece succedono molte cose, tutte tristi. (…) il protagonista sono, in fondo, io stesso e il personaggio chiamato Tancredi è il mio figlio adottivo”.
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Un altro passaggio è spia critica e itinerario di lettura: “Tutto il libro è ironico, amaro e non privo di cattiveria. Bisogna leggerlo con grande attenzione perché ogni parola è pesata ed ogni episodio ha un senso nascosto”. Intellettuale raffinato di cultura cosmopolita, Lampedusa: a testimoniarlo concorrono numerosi saggi su autori inglesi e francesi e le brillanti lezioni private – ed esclusive – date a Francesco Orlando e Gioacchino Lanza Tomasi (il Tancredi del romanzo), per fortuna trascritte da Orlando. Oltre la “sicilianità” del contenuto, Il Gattopardo non poteva perciò che essere romanzo di respiro europeo, circostanza rara nella narrativa italiana degli anni ’50, la raffigurazione di una decadenza in prospettiva manniana. “Tutti ne escono male – dice a Lajolo – il Principe e il suo intraprendente nipote, i borbonici e i liberali, e soprattutto la Sicilia del 1860”.
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Qualche indizio accomuna i personaggi all’opera di Thomas S. Eliot, poeta molto amato e frequentato da Lampedusa, i cui commenti nelle lezioni riportate da Orlando varrebbero anche per il suo Gattopardo: più che vivere, tutti i personaggi sembrano guardarsi vivere o sopravvivere, con rifiuto quasi patologico della realtà e sconcertante senso di non appartenenza.
Nell’incipit di The Love Song of J. Alfred Prufrock (che apre la raccolta del 1917), Lampedusa rileva la “bellezza triste della natura, la sordidezza di una città” e “il grande tema di Eliot: l’insignificanza del tempo”. Ossatura di Burnt Norton, primo dei Quattro Quartetti, il tempo – “insignificante perché serve soltanto a ripetersi meschinamente” – è in più luoghi anche il punto di vista dell’io narrante Prufrock, la ragione del suo “straniamento” dalla vita in fantasma superstite.
Prufrock è una “lirica di disinganno, ironia, disgusto, la contemplazione di un mondo triviale, sordido e vuoto” afferma Lampedusa e “desolato e desolante è l’universo espresso dai Poems 1920”, raccolta che segue la pubblicazione di Prufrock e ponte di raccordo con The Waste Land. Il poemetto icona del Novecento “minacciosamente canta il disinganno” del mondo moderno in un continuo e vano ammassarsi d’immagini spezzate, frantumate, rotte: “a heap of broken images”, “un mucchio d’immagini infrante” (I), quasi un calco per accumulo di “a thousand sordid images/Of which your soul was constituted”, “le mille immagini sordide/Che costituivano la tua anima”, già apparse nei Preludes.
Alcuni momenti del “mondo sordido e vuoto” del Gattopardo sembrano nella stessa tonalità della sequenza “immagini-infrante-sordide-anima”: “parenti e amici che gli sembrava andassero alla deriva nel lento fiume (…) siciliano”, tutti con “un desiderio di bellezza presto fiaccato dalla pigrizia”, o “immersi in un sonno che rassomigliava al nulla” (I).
In uno gli ultimi brani in cui appare, il principe “Don Fabrizio si guardò nello specchio dell’armadio: riconobbe più il proprio vestito che se stesso”. Si siede in poltrona e dal balcone d’albergo in cui si trova guarda il mare. Persino Donnafugata gli sembra “una casa apparsa in sogno; non più sua”: “ripensò al proprio osservatorio, ai cannocchiali destinati ormai a decenni di polvere; al povero Padre Pirrone che era polvere anche lui; … a tutte queste cose che adesso gli sembravano umili anche se preziose … tenute in vita da lui, che fra poco sarebbero piombate, incolpevoli, in un limbo fatto di abbandono e di oblio; il cuore gli si strinse, dimenticò la propria agonia pensando all’imminente fine di queste povere cose care”.
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Di suo non gli resta che “questo corpo sfinito, (…) questo precipizio di acque tenebrose verso l’abisso. Era solo, era un naufrago alla deriva di una zattera, in preda a correnti indomabili”. (VII) Preda di simile penoso senso di separazione – “Divento vecchio … divento vecchio” – quasi non riconoscendo la propria immagine riflessa nello specchio e invecchiata anzitempo, Prufrock annega in fondo al mare:
Ho udito le sirene cantare l’una all’altra. Non credo canteranno per me. Le ho viste al largo cavalcare le onde Pettinare la candida chioma delle onde risospinte: Quando il vento rigonfia l’acqua bianca e nera. Ci siamo troppo attardati nelle camere del mare Con le figlie del mare incoronate d’alghe rosse e brune Finché le voci umane ci svegliano, e noi anneghiamo.
Analogie tra impressione di straniamento, sorpresa turbata del sogno o meglio dell’incubo, sensazione d’irrealtà. Relitti di ricordi e metafore marine. La figura scrutata nello specchio da un occhio quasi estraneo, non partecipe alla trasformazione fisica. Correnti mortali e morte per acqua – vera per Prufrock, immaginata e vicina per Salina. La percezione netta del temine della parabola vitale, il disfarsi delle coordinate spazio temporali.
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Le lezioni di Lampedusa sugli autori inglesi dal 1953 al 1955, si sovrappongono cronologicamente alla stesura del romanzo. La concezione di Eliot può esserci entrata di striscio, l’idea delle cose come “realtà imperturbabili, statiche, che condizionano l’uomo all’immobilità”, secondo Lanza Tomasi, influsso più o meno cosciente di uno scrittore che ne legge altri, “Date o meno a confermarlo, effettiva lettura o no, in ogni caso tra un certo Eliot e il romanzo si avverte affinità d’atmosfera e coloritura generale: la sensazione di osservare non il movimento ma la staticità dei giorni, non la luce ma lo spegnersi dell’ombra. Il Gattopardo trasforma in “correlativo oggettivo” una realtà drammatica: la crudeltà del vivere oltre la trafiggente bellezza del paesaggio, o degli interni. Il connotato esistenziale è sconcertante: osservazione amara e molteplici emblemi di annientamento e morte”.
La stessa Sicilia, con il suo paesaggio eccessivo e straziante, è simbolo di morte. Il sole esalta la consapevolezza che esseri e cose si consumano nella polvere, e ne accelera il processo di declino e disfacimento. Unica misura duratura, unica certezza dove nulla più è certo: “Il sole … si rivelava come l’autentico sovrano della Sicilia: il sole violento e sfacciato, il sole narcotizzante anche, che annullava le volontà singole e manteneva ogni cosa in una immobilità servile, cullata in sogni violenti”.
La campagna “ondeggia” intorno “funerea, gialla di stoppie, nera di restucce bruciate; il lamento delle cicale (…) era come il rantolo della Sicilia arsa” (II). Nell’“aridità ondulante all’infinito” delle “distese flagellate dal sole” (VII) risalta “la macchia indaco del mare, ancor più duro e infecondo della terra” (III), sempre in sottofondo avvertibile “mescolato a tante agonie” (VII). Il lamento delle cicale “riempie il cielo”, assorda senza pace: espressione cosmica del dolore di vivere in una terra dove l’agonia della natura dura troppi mesi all’anno, un’altra terra desolata che “aspetta invano la pioggia”. E la pioggia non verrà. Natura, personaggi e lettori l’implorano, il cielo implacabile continua a negarla. Leggendo, letteralmente oltre che simbolicamente, abbiamo sete.
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Il paesaggio sembra privo di vita, esangue e sfinito nella fatica di sopravvivere. Nel viaggio a Donnafugata, alture e discese si srotolano all’orizzonte che vira in lontananza con rifrazioni malate d’incubo, contro radi alberi “assetati” che “si sbracciano” in cielo: “non si erano viste che pigre groppe di colline avvampanti di giallo sotto il sole. Il trotto sui percorsi piani si era brevemente alternato alle lunghe lente arrancate delle salite, al passo prudente nelle discese: passo e trotto … stemperati dal continuo fluire delle sonagliere che ormai non si percepiva più se non come manifestazione sonora dell’ambiente arroventato. Si erano attraversati paesi dipinti in azzurro tenero, stralunati … valicate fiumane integralmente asciutte; si erano costeggiati disperati dirupi che saggine e ginestre non riuscivano a consolare. Mai un albero, mai una goccia d’acqua: sole e polverone”.
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Lo scenario ripete stanchezza, desiderio di svanire, un’aspirazione all’oblio che niente potrebbe scuotere, come ammette il principe con l’inviato piemontese venuto a proporgli un ruolo al Senato e nell’amministrazione politica del regno. Nel celebre colloquio con il funzionario statale, Fabrizio Salina rifiuta come sappiamo la proposta con parole indimenticabili: “Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori (…) siamo stanchi e svuotati (…) il sonno è ciò che i siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare …. Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente: la nostra sensualità é desiderio di oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte; desiderio d’immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorzonera e di cannella; il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che voglia scrutare gli enigmi del nirvana”.
Con la porpora negli occhi e l’aroma della cannella tra le labbra, smettiamo di voler penetrare l’imperscrutabile, il nirvana, il nulla, arresi davanti alle frontiere della morte. Letta in questo taglio, l’ultima immagine del cane Bendicò, fedele compagno di caccia del principe, non potrebbe essere più triste, spoglia polvere nella polvere: “Mentre la carcassa veniva trascinata via, gli occhi di vetro la fissarono con l’umile rimprovero delle cose che si scartano, che si vogliono annullare. Pochi minuti dopo quel che rimaneva di Bendicò venne buttato in un angolo del cortile che l’immondezzaio visitava ogni giorno: durante il volo giù dalla finestra la sua forma si ricompose un istante: si sarebbe potuto vedere danzare nell’aria un quadrupede dai lunghi baffi e l’anteriore destro alzato sembrava imprecare. Poi tutto trovò pace in un mucchietto di polvere livida”.
Paola Tonussi
L'articolo “Il Gattopardo”: un romanzo che sarebbe piaciuto a Thomas S. Eliot (ma fu rifiutato da Vittorini). I rapporti tra Tomasi di Lampedusa e il poeta della “Waste Land” proviene da Pangea.
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Siamo estremamente emozionati! Oggi diamo ufficialmente il via ad un progetto che ci gira in testa da un po’ di tempo e che finalmente troviamo il modo (e il coraggio) di presentarvi.
“Guantiera Talk” è un podcast che si occuperà, in maniera molto informale, di valorizzazione del territorio, business, comunicazione e molto altro. Tutto ciò davanti ad una bella “guantiera” di dolci siciliani. Quale modo migliore per affrontare certi argomenti?
Resta con noi nei prossimi episodi per ascoltare tanti professionisti, imprenditori ed esperti parlare (mangiando) del loro speciale punto di vista sul territorio (siciliano e non solo) e di come una buona comunicazione può influenzare la vita anche di piccole comunità come tutti i paesini che compongono la maggioranza del territorio nazionale.
In studio: Calogero Rotolo e Salvatore Rotolo��
Musica: "Summer has gone" di Gabriel Guarneri
Il podcast audio è già disponibile su Spreaker: https://www.spreaker.com/show/guantie...
Per altre informazioni su di noi visita il sito https://crianza.it
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Tornano le uova di Pasqua AIL, disponibili anche nelle piazze reggine e vibonesi
Nuovo post su italianaradio http://www.italianaradio.it/index.php/tornano-le-uova-di-pasqua-ail-disponibili-anche-nelle-piazze-reggine-e-vibonesi/
Tornano le uova di Pasqua AIL, disponibili anche nelle piazze reggine e vibonesi
Tornano le uova di Pasqua AIL, disponibili anche nelle piazze reggine e vibonesi
Tornano in tutte le piazze d’Italia le Uova di Pasqua AIL! L’annuale manifestazione “UNA SORPRESA PER LA VITA” si svolgerà nei giorni 5, 6 e 7 Aprile 2019 e come sempre vedrà coinvolti i volontari dell’Associazione Italiana contro le Leucemie Linfomi e Mieloma – A.I.L. Sezione “Alberto Neri” di Reggio Calabria e Vibo Valentia che saranno presenti su gran parte del territorio delle due province. Pasqua rappresenta per l’AIL un altro appuntamento fondamentale per finanziare la ricerca contro i tumori del sangue. Ogni traguardo che la ricerca raggiunge è merito di un piccolo gesto. È merito di chi ha consentito di trasformare le Uova AIL in un grande simbolo di solidarietà. È merito dei tanti volontari, perché senza il loro appoggio non avremmo raggiunto gli stessi risultati. È merito di chi ha voluto festeggiare la Pasqua con un Uovo AIL, regalando ai nostri pazienti la sorpresa più bella, la speranza! Cercate le Uova AIL nelle piazze della vostra città, prendetelo per voi stessi e tutti quelli a cui volete bene! Regalate un messaggio di solidarietà e gustatevi questo grande gesto, la vera sorpresa sarà per tutti quelli che hanno bisogno di voi e vi hanno sentito partecipi. Tutti i volontari AIL saranno in piazza per offrire le uova di cioccolato con un contributo minimo associativo di 12 euro. Sabato 6 e Domenica 7, invece, si svolgerà l’annuale appuntamento con il gruppo Ludoteca AIL che animerà i pomeriggi del gazebo presso Piazza San Giorgio con giochi e coinvolgenti intrattenimenti dedicati ai più piccoli. Sarà una bella occasione per festeggiare insieme l’attesa della Santa Pasqua. A Reggio Calabria potrai acquistare le Uova di Pasqua AIL nei gazebo allestiti presso: Piazza San Giorgio, Centro Commerciale Porto Bolaro, Centro Commerciale Brico Center, Oviesse Kids (viale Calabria) Piazza Carmine (solo domenica mattina). Ci trovate anche a Villa San Giovanni presso: Centro Commerciale Perla dello Stretto , Piscina il Corallo,Al Tarlo. In provincia di Reggio Calabria potrai trovare l’uovo di pasqua AIL nelle piazze di: Bagnara Calabra, Bagaladi, Cannavò, Cardeto, Cataforio, Campo Calabro, Casignana, Cittanova, Condofuri, Delianuova, Galatro, Gallina, Gallico Superiore, Gerace, Gioia Tauro, Laureana di Borrello, Locri, Musalà di Campo Calabro, Marina di Gioiosa Jonica, Melito Porto Salvo, Melicucco, Mosorrofa, Messignadi, Molochio, Monasterace, Motta San Giovanni , Palizzi Marina, Palmi, Portigliola, Pellaro, Rizziconi, Saline Ioniche, San Giorgio Morgeto, Santa Cristina, Scido, Scilla, Seminara, Siderno, Sinopoli, Taurianova, Trunca, Villa S. Giovanni Ci trovi inoltre nella città di Vibo Valentia e nelle piazze provinciali di: Brattirò, Filadelfia, Limbadi, Maierato, Mileto, Tropea, Spadola, San Calogero, Ricadi, Paravati, Vallelonga.
Tornano in tutte le piazze d’Italia le Uova di Pasqua AIL! L’annuale manifestazione “UNA SORPRESA PER LA VITA” si svolgerà nei giorni 5, 6 e 7 Aprile 2019 e come sempre vedrà coinvolti i volontari dell’Associazione Italiana contro le Leucemie Linfomi e Mieloma – A.I.L. Sezione “Alberto Neri” di Reggio Calabria e Vibo Valentia che saranno presenti su gran parte del territorio delle due province. Pasqua rappresenta per l’AIL un altro appuntamento fondamentale per finanziare la ricerca contro i tumori del sangue. Ogni traguardo che la ricerca raggiunge è merito di un piccolo gesto. È merito di chi ha consentito di trasformare le Uova AIL in un grande simbolo di solidarietà. È merito dei tanti volontari, perché senza il loro appoggio non avremmo raggiunto gli stessi risultati. È merito di chi ha voluto festeggiare la Pasqua con un Uovo AIL, regalando ai nostri pazienti la sorpresa più bella, la speranza! Cercate le Uova AIL nelle piazze della vostra città, prendetelo per voi stessi e tutti quelli a cui volete bene! Regalate un messaggio di solidarietà e gustatevi questo grande gesto, la vera sorpresa sarà per tutti quelli che hanno bisogno di voi e vi hanno sentito partecipi. Tutti i volontari AIL saranno in piazza per offrire le uova di cioccolato con un contributo minimo associativo di 12 euro. Sabato 6 e Domenica 7, invece, si svolgerà l’annuale appuntamento con il gruppo Ludoteca AIL che animerà i pomeriggi del gazebo presso Piazza San Giorgio con giochi e coinvolgenti intrattenimenti dedicati ai più piccoli. Sarà una bella occasione per festeggiare insieme l’attesa della Santa Pasqua. A Reggio Calabria potrai acquistare le Uova di Pasqua AIL nei gazebo allestiti presso: Piazza San Giorgio, Centro Commerciale Porto Bolaro, Centro Commerciale Brico Center, Oviesse Kids (viale Calabria) Piazza Carmine (solo domenica mattina). Ci trovate anche a Villa San Giovanni presso: Centro Commerciale Perla dello Stretto , Piscina il Corallo,Al Tarlo. In provincia di Reggio Calabria potrai trovare l’uovo di pasqua AIL nelle piazze di: Bagnara Calabra, Bagaladi, Cannavò, Cardeto, Cataforio, Campo Calabro, Casignana, Cittanova, Condofuri, Delianuova, Galatro, Gallina, Gallico Superiore, Gerace, Gioia Tauro, Laureana di Borrello, Locri, Musalà di Campo Calabro, Marina di Gioiosa Jonica, Melito Porto Salvo, Melicucco, Mosorrofa, Messignadi, Molochio, Monasterace, Motta San Giovanni , Palizzi Marina, Palmi, Portigliola, Pellaro, Rizziconi, Saline Ioniche, San Giorgio Morgeto, Santa Cristina, Scido, Scilla, Seminara, Siderno, Sinopoli, Taurianova, Trunca, Villa S. Giovanni Ci trovi inoltre nella città di Vibo Valentia e nelle piazze provinciali di: Brattirò, Filadelfia, Limbadi, Maierato, Mileto, Tropea, Spadola, San Calogero, Ricadi, Paravati, Vallelonga.
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Crepúsculo de Sicilia
El Gatopardo, de Giuseppe Tomasi di Lampedusa Alianza Editorial, 448 pp., 2013 (1958)
Una novela elegía surgida del siglo XIX escrita en el siglo XX. Esta podría ser una aproximación a cómo describir El Gatopardo, una de las más bellas novelas que he leído. Escrita después de haber vivido dos guerras mundiales, Giuseppe Tomasi, miembro de la nobleza siciliana, creó con este libro un retrato del recorrido de las sombras de la historia. De la historia mundial, de su nación, y de su linaje.
La historia comienza en mayo de 1860, cuando el ejército de Garibaldi desembarcó en Sicilia para comenzar la revolución en el sur de Italia. Es el momento exacto cuando la región entra en contacto con el movimiento de la historia, de las naciones, del progreso, de la democracia y justicia social. Las batallas, demostraciones y marchas están siempre alejadas en la narración de la novela. En su lugar, se le encierra al lector en un palacio, y de desenvuelve la historia a través de la mirada de Don Fabrizio Salina, el último príncipe de Sicilia.
La trama es simple. Don Fabrizio y su familia se mudan a un palacio más lejano, en Donnafugata, cuando el ejército se acerca a Palermo. Su querido sobrino Tancredi, a quien el príncipe desea casar con su hija Concetta, expresa su simpatía por la revolución, y se une al ejército. Conocen al alcalde del lugar y a su familia, y Tancredi, antes de partir con el ejército, se enamora de su hija Angelica. Don Fabrizio ahí comprende la manera en que el mundo comienza a cambiar, y comprende que a diferencia de él, Tancredi se está adaptando. El sobrino, aunque aristócrata, tiene a su familia en la ruina, y entiende los cambios que debe haber para seguir adelante. Crea una alianza con la emergente burguesía, que es la familia del alcalde, al pretender a Angelica, en lugar de mantener el lazo de la nobleza con Concetta, que es de una aristocracia destinada a desaparecer.
“Si queremos que todo siga como está, es necesario que todo cambie”, explica Tancredi a su tío Fabrizio, entregando quizás la línea más famosa de esta novela. Y los hechos se desenvuelven sin manera en que el príncipe Salina pueda intervenir, solo puede tomar el papel de espectador activo en un espectáculo de derrumbe. Finalmente Tancredi se casa con Angelica; Don Fabrizio se familiariza con Don Calogero Sedàra, el padre de Angelica, y alcalde del pueblo que formó una fortuna como usurero. Don Fabrizio lo examina, y se desespera ante la imagen tan falta de elegancia del alcalde, algo innato en el príncipe y en su linaje ancestral. Pero comprende que Sedàra posee poder, algo que se ha desvanecido de la aristocracia siciliana. Finalmente muere Don Fabrizio años después, y cierra la novela en 1910, en un capítulo tranquilo y desgarrador, en el que sus hijas venden algunas reliquias del palacio.
Lo que más cautiva de El Gatopardo es su estilo elegante y conciso. Tomasi logra una novela artesanal, con lo mejor del naturalismo del siglo XIX con las innovaciones del siglo XX. Es una de esas novelas cerradas que se jactan de su excelencia narrativa, como El Gran Gatsby. De lo que más llama la atención es la forma de cristalizar instantes de carácter y actitudes de los personajes; como el Padre Pirrone, que ante una noticia de Sedàra trata de esconder un suspiro de sorpresa con un ruido de la silla donde está sentado; o el príncipe completando una frase inconveniente con una amabilidad inmediata, que el narrador explica es un poder que posee la aristocracia.
El Gatopardo es un entrañable retrato de cómo el tiempo desmorona los cimientos del alma, y cómo tras un sueño plácido se despierta ante un atardecer.
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Recensione - L'età del dubbio
Dopo "Il campo del vasaio" Montalbano torna con una nuova indagine e Camilleri non si smentisce: elabora un caso complesso, dispone sapientemente gli indizi e dissemina persone sul tragitto del commissario. Emerge tra tutte la figura di Laura, donna bella, fatale e fugace fiamma di Montalbano.
Autore: Andrea Camilleri
Genere: giallo, sentimentale
Prima pubblicazione: 2008
Prezzo di copertina: 13€
Numero di pagine: 265
Casa editrice: Sellerio Editore Palermo
Andrea Calogero Camilleri (Porto Empedocle, 6 settembre 1925) è uno scrittore, sceneggiatore, regista e docente italiano.
Nel 1994 pubblica La forma dell’acqua, primo romanzo poliziesco con il commissario Montalbano , serie con…
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