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#Brigate Nere
italianiinguerra · 1 month
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80 anni fa, l'eccidio di Sant'Anna di Stazzema
L‘Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, è una banca dati promossa dall’Istituto nazionale Ferruccio Parri e dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, nonché finanziato dal governo della Repubblica Federale di Germania, che raccoglie tutti gli episodi di violenza con esito di morte che furono messi in atto dalle truppe del Terzo Reich e da militari della Repubblica Sociale, sul…
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adrianomaini · 9 months
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Avevano adibito la loro casa a “carceri” dove venivano imprigionati gli antifascisti
I gesti criminali commessi dagli uomini della RSI, presentano una forma dicotomica, ma paradossalmente le due visioni possono portare a risultati diametralmente opposti, come afferma Toni Rovatti.Si deve quindi fare spazio ad una visione fenomenologica: in questo modo la guerra fratricida e il collaborazionismo potrebbero essere considerati come contesto favorevole alla manifestazione della…
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bagnabraghe · 9 months
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Avevano adibito la loro casa a “carceri” dove venivano imprigionati gli antifascisti
I gesti criminali commessi dagli uomini della RSI, presentano una forma dicotomica, ma paradossalmente le due visioni possono portare a risultati diametralmente opposti, come afferma Toni Rovatti.Si deve quindi fare spazio ad una visione fenomenologica: in questo modo la guerra fratricida e il collaborazionismo potrebbero essere considerati come contesto favorevole alla manifestazione della…
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collasgarba · 9 months
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Avevano adibito la loro casa a “carceri” dove venivano imprigionati gli antifascisti
I gesti criminali commessi dagli uomini della RSI, presentano una forma dicotomica, ma paradossalmente le due visioni possono portare a risultati diametralmente opposti, come afferma Toni Rovatti.Si deve quindi fare spazio ad una visione fenomenologica: in questo modo la guerra fratricida e il collaborazionismo potrebbero essere considerati come contesto favorevole alla manifestazione della…
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fridagentileschi · 10 months
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“Siamo noi, la generazione più felice di sempre.
Siamo noi, gli ormai cinquantenni, i nati tra gli inizi degli anni ’60 e la metà degli anni ’70. La generazione più felice di sempre.
Siamo quelli che erano troppo piccoli per capire la generazione appena prima della nostra, quelli del ’68, della politica e dei movimenti studenteschi. Ancora troppo piccoli per comprendere gli anni di piombo, l’epoca delle brigate rosse e delle stragi nere.
Siamo quelli cresciuti nella libertà assoluta delle estati di quattro mesi, delle lunghe vacanze al mare, del poter giocare ore e ore in strade e cortili, delle prime televisioni a colori e i primi cartoni animati. Delle Big Babol e delle cartoline attaccate alle bici con le mollette da bucato. Delle toppe sui jeans e delle merendine del Mulino Bianco. Dei gelati Eldorado e dei ghiaccioli a 50 lire. Dei Mondiali dell’82 e della formazione dell’Italia a memoria. Di Bearzot e Pertini che giocano a scopa.
Siamo quelli che andavano a scuola con il grembiule e la cartella sulle spalle, e non ci si aspettava da noi nulla che non fosse di fare i compiti e poi di giocare, sbucciarci le ginocchia senza lamentarci e non metterci nei guai. Nessuno voleva che parlassimo l’Inglese a 7 anni o facessimo yoga. Al massimo una volta a settimana in piscina, giusto per imparare a nuotare.
Poi siamo cresciuti, e la nostra adolescenza è arrivata proprio negli anni ’80, con la musica pop, i paninari e il Walkman. Burghy e le spalline imbottite. Madonna e il Live Aid. Delle telefonate alle prime fidanzate con i gettoni dalle cabine e delle discoteche la domenica pomeriggio. Di Top Gun e Springsteen. Dei Duran Duran e degli Spandau Ballet. Delle gite scolastiche in pullman e delle prime vacanze studio all’estero.
E poi c’era l’esame di maturità, e infine il servizio militare, 12 mesi lontano da casa, i capelli rasati e tante amicizie con giusto un po’ di nonnismo. Nel frattempo magari un Inter Rail e infine un lavoro. All’Università ci andavi solo se volevi fare il medico, l’avvocato o l’ingegnere. Che il lavoro c’era per tutti.
Siamo cresciuti nella spensieratezza assoluta, nella ferma convinzione che tutto quello che ci si aspettava da noi era che diventassimo grandi, lavorassimo il giusto, trovassimo una fidanzata e vivessimo la nostra vita. Non abbiamo mai dubitato un istante che non saremmo stati nient’altro che felici.
E, dobbiamo ammetterlo, per quanto il futuro ci sembri difficile, e per quanto questa situazione ci appaia incomprensibile e dolorosa, siamo stati felici. Schifosamente felici. Molto più dei nostri genitori e parecchio più dei nostri figli.
Siamo la generazione più felice di sempre."
Quelli del tempo delle mele
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ladolcespezia · 1 year
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“Siamo noi, la generazione più felice di sempre.
Siamo noi, gli ormai cinquantenni, i nati tra gli inizi degli anni ’60 e la metà degli anni ’70. La generazione più felice di sempre.
Siamo quelli che erano troppo piccoli per capire la generazione appena prima della nostra, quelli del ’68, della politica e dei movimenti studenteschi. Ancora troppo piccoli per comprendere gli anni di piombo, l’epoca delle brigate rosse e delle stragi nere.
Siamo quelli cresciuti nella libertà assoluta delle estati di quattro mesi, delle lunghe vacanze al mare, del poter giocare ore e ore in strade e cortili, delle prime televisioni a colori e i primi cartoni animati. Dei gelati Eldorado e dei ghiaccioli a 50 lire. Dei Mondiali dell’82 e della formazione dell’Italia a memoria. Di Bearzot e Pertini che giocano a scopa.
Siamo quelli che andavano a scuola con il grembiule e la cartella sulle spalle, e non ci si aspettava da noi nulla che non fosse di fare i compiti e poi di giocare, sbucciarci le ginocchia senza lamentarci e non metterci nei guai. Nessuno voleva che parlassimo l’Inglese a 7 anni o facessimo yoga.
E poi c’era l’esame di maturità, e infine il servizio militare, 12 mesi lontano da casa, i capelli rasati e tante amicizie... All’Università ci andavi solo se volevi fare il medico, l’avvocato o l’ingegnere. Che il lavoro c’era per tutti.
Siamo cresciuti nella spensieratezza assoluta, nella ferma convinzione che tutto quello che ci si aspettava da noi era che diventassimo grandi, lavorassimo il giusto, trovassimo una fidanzata e vivessimo la nostra vita. Non abbiamo mai dubitato un istante che non saremmo stati nient’altro che felici.
E, dobbiamo ammetterlo, per quanto il futuro ci sembri difficile, e per quanto questa situazione ci appaia incomprensibile e dolorosa, siamo stati felici. Schifosamente felici. Molto più dei nostri genitori e parecchio più dei nostri figli.
Siamo la generazione più felice di sempre.
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girljeremystrong · 1 month
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today's the 80 year anniversary of the day of a massacre committed by the nazi forces along with the italian fascist brigate nere in which over 560 people, more than 100 of whom were children, were murdered in a village here in tuscany... one of many horrible events of that kind that happened in italy during the years of fascism and world war 2 but this happened so close to where i live and to where my grandparents were displaced during the war and also they took us to meet the couple of survivors who were spared and are still alive to this day when we were in high school and it was very very sad and they had a memorial thing today and nobody from our current government showed up... because they are all literal fascists. back again
anyway it's all incredibly sad and it's all terrible and here's the english wikipedia page if you're interested
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ama-god · 7 months
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❗1.03.1945: Il rastrellamento di Fiera di Treviso e l'assassinio di Giovanni Giuliato.
✍ La sera del 1° marzo 1945, su segnalazione del delatore Italo Billio, le Brigate Nere rastrellano il quartiere di Fiera (Treviso), abitato da famiglie antifasciste, arrestando molti giovani renitenti che vengono costretti ad arruolarsi nei corpi fascisti.
A guidare il rastrellamento è Brevinelli Giorgio - "Lince" con due squadre di militi.
Elio Fregonese, insieme all'amico Antonio Zanin, è sorpreso in casa sua: entrambi sono sottoposti ad una brutale bastonatura, poi sono incarcerati nella caserma delle Brigate Nere al Collegio Pio X.
Le percosse convincono uno dei catturati a fare il nome di Giovanni Giuliato - "Naso" -, uno sbandato del quartiere di Sant'Antonino, dichiarando che possedeva una pistola. Gli squadristi vanno a prelevare ‘Naso’ e, rinvenuta l’arma, lo conducono a Fiera, facendolo camminare a colpi di frustate; da lì lo caricano su una bicicletta, spingendolo a colpi di bastone verso le campagne di Silea e fratturandogli un braccio; quando l’uomo, sfinito, cade a terra lo picchiano per farlo rialzare e, non ottenendo risultati, lo passano per le armi sul posto. Per giustificare il brutale omicidio, l’Ufficio Addestramento e Operazioni della XX BN definisce Giuliato “un delinquente pericoloso e abituale”, sintetizzando l’accaduto come segue: “Interrogato, questi confessava di convivere con i ribelli e di avere altre armi, che vennero trovate. Considerati i suoi precedenti e il fatto di essere armato, Giuliato veniva passato per le armi sul posto. La popolazione ha appreso con piacere la fine di questo delinquente abituale, poiché si sentiva continuamente minacciata, e ha elogiato la BN per quest’opera di epurazione”.
Elio Fregonese, dopo qualche giorno di cella, è costretto ad arruolarsi nell'esercito fascista da cui diserta alla prima occasione raggiungendo i partigiani in montagna.
👉 Estremi e Note sui procedimenti:
CAS Treviso, sentenza n.19/45 del 4.7.1945 - R.G.26/45 - R.G.P.M. 223-224-409/45, a carico di Brevinelli Giorgio (‘Lince’) e altri; Brevinelli (‘Lince’), condannato a morte dalla CAS di Treviso nel luglio 1945, è fucilato al poligono di tiro di Maserada il 13 febbraio 1946.
📓 Fonte bibliografica e foto:
Federico Maistrello, XX Brigata Nera - Attività squadrista in Treviso e provincia (luglio 1944/ aprile 1945), Istresco, Treviso, 2006, pp. 164-165.
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ilfascinodelvago · 2 years
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A LEZIONE DA CALVINO
...
Calvino dice: dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buonafede, più idealista, c'erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l'Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c'era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, ché di queste non ce ne sono.
...
Cerchiamo d'immaginarci come fosse una città, una campagna, un paese italiano negli anni terribili fra il '43 e il '45, quando la minaccia della morte e della repressione gravava sull'intera comunità nazionale.Una certa mattina da una delle due case esce un giovane, prende la strada dei boschi e sale in montagna, imbraccia l'arma che gli porgono e comincia a sparare contro i guardiani dell'oppressione e dell'ingiustizia, gli alleati di una forza d'occupazione feroce; dall'altra casa, esce un giovane, coetaneo dell'altro, si dirige alla più vicina caserma, indossa la divisa delle Brigate nere e comincia a sparare contro il primo e se lo prende lo appicca ad un albero, come a Bassano del Grappa, a Padova, ecc. ecc. Il senso della storia è che al primo dobbiamo quel che non avevamo, cioè quel tanto di libertà e giustizia che i tempi, particolarmente inclementi, ci hanno garantito; il secondo, se avesse avuto "ragione", ce ne avrebbe ancor più ferocemente privato che in passato. Se la distinzione fra i due non è mantenuta, - se un qualsiasi italiano, se un giovane di oggi non pensa che, se fosse accaduto a lui di trovarsi in quella situazione, si sarebbe affiancato a quel suo antico coetaneo che saliva lungo quel sentiero verso un destino di precarietà e di sofferenza - non vuol dire soltanto che si legge male la storia del passato: vuol dire che della libertà e della giustizia non ce ne importa nulla oggi. Ma questo è il vero senso della storia, oggi. Si rilegge il passato in quel modo perché si vive il presente in questo modo. Lo schema ideologico-storiografico è perfettamente funzionale allo schema ideologico-politico: anzi, questo determina quello. In formule subdole e striscianti avanza in Italia una nuova forma di pensiero fascista, che tende, per ora cautamente, a ricollegarsi all' esperienza storica passata e, appunto, a giustificarla, a raddrizzarla, a rimetterla sul piedistallo da cui era caduta. La manovra a tenaglia fra operazione politica e operazione intellettuale è di giorno in giorno sempre più evidente. E siamo appena all' inizio.
(Alberto Asor Rosa)
Tutto l’articolo del 2000 è qui
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carmenvicinanza · 1 year
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Irma Bandiera
https://www.unadonnalgiorno.it/irma-bandiera/
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Passeranno i morti, ma resteranno i sogni.
Irma Bandiera, nome di battaglia Mimma, è stata una partigiana italiana seviziata, accecata e trucidata dai nazifascisti, una delle eroine simbolo della lotta di tante donne impegnate nella Resistenza.
Nacque l’8 aprile 1915 a Bologna, in una famiglia benestante, suo padre Angelo era capomastro edile  oppositore del regime durante la dittatura. Sua madre si chiamava Argentina Manferrati e aveva una sorella di nome Nastia.
Aveva anche un fidanzato, Federico, militare a Creta che venne fatto prigioniero dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 e rimase disperso dopo che la nave su cui era imbarcato per il trasferimento in Germania venne bombardata e affondò al porto del Pireo. Vane furono le ricerche per ritrovarlo.
Iniziò ad aiutare i soldati sbandati dopo l’armistizio e a interessarsi di politica, aderendo al Partito Comunista.
A Funo, dove andava a trovare i parenti, conobbe uno studente di medicina, Dino Cipollani, il partigiano Marco che la spinse a entrare nella VII brigata GAP Gianni Garibaldi di Bologna.
Il 5 agosto 1944 i partigiani uccisero un ufficiale tedesco e un comandante delle brigate nere. Cominciò una tremenda rappresaglia che vide coinvolta anche la partigiana Mimma, che aveva trasportato delle armi alla base della sua formazione a Castel Maggiore. Venne arrestata mentre si trovava a casa dello zio, la sera del 7 agosto e rinchiusa nelle scuole di San Giorgio,  isolata dal resto dei suoi compagni. Venne poi portata a Bologna dove, per sei giorni e sei notti venne ferocemente seviziata dai fascisti della Compagnia Autonoma Speciale, guidati dal Capitano Renato Tartarotti, che arrivarono ad accecarla con una baionetta, per farla parlare, ma lei non ha mai rivelato i nomi delle sue compagne e compagni di lotta.
I familiari la cercarono dappertutto sperando di trovarla in vita, la giovane resistette alle torture fino alla fine ma venne fucilata e poi finita con alcuni colpi di pistola al Meloncello di Bologna, nei pressi della casa dei suoi genitori, il 14 agosto 1944.
Il suo cadavere venne lasciato esposto per un giorno intero, come monito, fino a quando i parenti non riuscirono a riprenderselo.
Portata all’Istituto di Medicina Legale, un custode, amico della Resistenza, scattò le foto del suo viso devastato dalle torture.
In suo onore, una formazione di partigiani operanti a Bologna prese il nome Prima Brigata Garibaldi  Irma Bandiera. A lei venne intitolata una brigata SAP (Squadra di azione patriottica) che operava nella periferia nord di Bologna ed un GDD (Gruppo di Difesa della Donna).
La federazione bolognese del PCI il 4 settembre 1944 pubblicò un foglio volante, stampato in clandestinità, nel quale si ricordava il senso altamente patriottico del sacrificio di Irma incitando i bolognesi a intensificare la lotta contro i nazifascisti.
È sepolta nel Monumento Ossario ai Caduti Partigiani della Certosa di Bologna ed è ricordata nel Sacrario di Piazza Nettuno e nel Monumento alle Cadute Partigiane a Villa Spada.
A Bologna, nella via che porta il suo nome è deposta una lapide che reca scritto: “Il tuo ideale seppe vincere le torture e la morte. La libertà e la giovinezza offristi per la vita e il riscatto del popolo e dell’Italia. Solo l’immenso orgoglio attenua il fiero dolore dei compagni di lotta. Quanti ti conobbero e amarono nel luogo del tuo sacrificio a  perenne ricordo posero”.
Il suo assassinio, compiuto anche per scoraggiare pericolosi tentativi di emulazione, finì per produrre l’effetto contrario e tante donne seguirono il suo esempio e si unirono alla battaglia per la liberazione dell’Italia.
Ci sono strade che portano il suo nome in vari comuni italiani.
Riconosciuta partigiana alla fine della guerra venne decorata con la Medaglia d’Oro al Valor Militare, insieme ad altre 18 partigiane.
«Prima fra le donne bolognesi a impugnare le armi per la lotta nel nome della libertà, si batté sempre con leonino coraggio. Catturata in combattimento dalle SS. tedesche, sottoposta a feroci torture, non disse una parola che potesse compromettere i compagni. Dopo essere stata accecata fu barbaramente trucidata e il corpo lasciato sulla pubblica via. Eroina purissima degna delle virtù delle italiche donne, fu faro luminoso di tutti i patrioti bolognesi nella guerra di liberazione.»
“È nella Resistenza – ha dichiarato Marisa Rodano alla Camera dei deputati in occasione del 70° anniversario della Liberazione – che le donne italiane, quelle di cui Mussolini aveva detto ‘nello stato fascista la donna non deve contare‘; alle quali tutti i governi avevano rifiutato il diritto di votare, la possibilità di partecipare alle decisioni da cui dipendeva il loro destino e quello dei loro cari, entrano impetuosamente nella storia e la prendono nelle loro mani. Nel momento in cui tutto è perduto e distrutto – indipendenza, libertà, pace – e la vita, la stessa sussistenza fisica sono in pericolo, ecco le donne uscire dalle loro case, spezzare vincoli secolari, e prendere il loro posto nella battaglia, perché combattere era necessario, era l’unica cosa giusta che si poteva fare”.
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italianiinguerra · 10 months
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Medaglie d'Oro della 2ª Guerra Mondiale - Partigiano TANCREDI "Duccio" GALIMBERTI - Cuneo, 3 dicembre 1944
Nome e CognomeTancredi Achille Giuseppe Olimpio Galimberti, detto Duccio Luogo e data di nascitaCuneo, 30 aprile 1906Forza ArmataRegia MarinaArmaCorpo o specialitàRepartoUnitàGradoAnni di servizio1941-43Guerre e campagneUnità PartigianaComandante di tutte le formazioni Giustizia e Libertà del PiemonteNome di battaglia Luogo e data del conferimentoCuneo, 3 dicembre 1944Luogo e data della…
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gregor-samsung · 2 years
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“ – Che vuoi? Milton ruotò su se stesso. Nèmega era vecchio, aveva certo trent’anni, e una faccia che pareva la fronte di un bunker, con le feritoie degli occhi e della bocca. Portava un giubbetto impermeabile che sotto la pioggia continua aveva assunto la squadratura di una scatola di cartone. – Parlare col comandante Hombre. – Parlargli di che? – Lo dirò a lui. – E tu chi sei che vuoi parlare con Hombre? – Sono Milton della seconda divisione badogliana. Brigata di Mango – Si disse della brigata di Pascal perché era piú grossa e piú nominata della brigata di Leo. Gli occhi di Nèmega erano praticamente invisibili. – Sei un ufficiale? – gli domandò Nèmega. – Non sono ufficiale, ma ho compiti da ufficiale. E tu chi sei? Sei ufficiale tu, commissario o vicecommissario? – Sai che noi ce l’abbiamo amara con voi badogliani? Milton lo fissò con malinconico interesse. – E perché? – Avete accolto un uomo che aveva disertato da noi. Certo Walter. – Tutto lí? Ma è uno dei nostri principi. Da noi si entra e si esce liberamente. A patto di non finire nelle brigate nere, è ovvio.
– Noi ci siamo presentati alle vostre postazioni per riavere l’uomo, e voialtri non solo non ce l’avete riconsegnato, ma ci avete fatto fare dietrofront e sparire, o ci menavate coi bren. – Dov’è successo? – sospirò Milton. – A Cossano. – Noi siamo di Mango, ma penso che anche noi avremmo agito ugualmente. Voi eravate nel torto a rivolere un uomo che di voi non voleva piú saperne. – Intendiamoci, – disse Nèmega schioccando le dita. – A noi non interessava l’uomo, a noi interessava l’arma. Ha disertato col moschetto e il fucile apparteneva alla brigata e non a lui. Nemmeno il moschetto avete voluto ridarci, e sí che voi avete i lanci, ricevete tante armi e munizioni che ve ne crescono e le dovete sotterrare. È falso quel che diceva Walter, nascosto dietro le spalle dei vostri, e cioè che il moschetto era suo, che lui l’aveva portato alla brigata. L’arma era della brigata. Di elementi come Walter possono scapparcene anche una dozzina, ma non un’arma dobbiamo perdere. Di’ a Walter, quando lo vedi, di non sbagliar mai strada, di girare alla larga dal nostro distretto. – Glielo dirò. Me lo farò indicare e glielo dirò. Ora posso vedere Hombre? – Tu conosci Hombre? Di persona, voglio dire, non per sola fama. – Eravamo insieme al combattimento di Verduno. Sembrò impressionato, quasi colto in fallo, e Milton credette di capire che all’epoca di Verduno Nèmega non era ancora in collina. – Ah, – fece. – Ma Hombre non c’è. – Non c’è!? Me l’hai intonata di quel Walter e del suo miserabile moschetto per dirmi ora che Hombre non c’è? E dov’è? – Fuori. – Fuori dove? Fuori tanto? – Di là del fiume. – Io divento pazzo. Ma che è andato a fare di là del fiume? – Voglio dirtelo. Per benzina. Per solvente da usare come benzina. – Di stasera non torna? – Sarà già tanto che di stanotte ripassi di qua. – Io ero venuto per una cosa importante e urgentissima. Avete un fascista prigioniero? – Noi? Noi non ne abbiamo mai. Noi li perdiamo nell’istante stesso che li facciamo. – Noi non siamo piú teneri di voi, – disse Milton. – Prova ne sia che non ne abbiamo e siamo venuti a chiederne a voi. – Questa è abbastanza nuova, – disse Nèmega. – E noi ve li dovremmo regalare? – Un prestito. Un regolare prestito. C’è almeno il commissario? – Non l’abbiamo ancora. Per ora viene qualche volta il commissario della divisione di Monforte. Nèmega andò ad aumentare la fiamma del petrolio e tornando disse: – Che volevate farne? Scambiarlo con uno dei vostri? Quando l’hanno beccato? – Stamattina. – Dove? – Sull’altro versante, verso Alba. – Come? – La nebbia. Da noi era un mare di latte. – È tuo fratello? – No. – Allora un tuo amico? Si capisce, se hai sfangato fin quassú a fare una parte del genere. Ma non siete capaci di darvi da fare in giro per beccarne uno? – Certo, – rispose Milton. – Girano già dei nostri per questo. Ecco perché eravamo certi di potervi rendere l’uomo. Ma non è come andare a coglier l’uva il mese di settembre. Potrebbe volerci qualche giorno e intanto, forse proprio mentre noi stiamo qui a discutere, il mio compagno è già andato al muro. Nèmega bestemmiò, piano ma concentrato. “
Beppe Fenoglio, Una questione privata, introduzione di Gabriele Pedullà, Einaudi (Collana Super ET), 2020²²; pp. 56-58.
[ 1ª ed. originale, postuma: Garzanti, 1963. ]
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girlscarpia · 2 years
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They really let Aldo Protti build a career and all after he volunteered for the army of Repubblica Sociale Italiana and (allegedly) was part of brigate nere? He even was a member of Movimento Sociale Italiano lmao he wasn't even good
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ninocom5786 · 1 month
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IRMA BANDIERA, COMPAGNA PARTIGIANA ANTIFASCISTA
Il 14 agosto 1944 i fascisti giustiziarono Irma Bandiera, compagna e partigiana antifascista, uccisa dopo tante sevizie.
Nata da una benestante famiglia bolognese l'8 aprile 1915, Irma Bandiera dopo la presa al potere dei fascisti entrò nell'antifascismo.
Suo fidanzato fu fatto prigioniero dai nazisti in Grecia dopo l'8 settembre 1943. Le ricerche furono infruttuose.
Irma aiutò i soldati sbandati dopo l'armistizio ed entrò nel Partito Comunista Italiano. A Funo, conobbe il partigiano Marco, Dino Cipollani, studente di medicina. Da lì aderì alla resistenza con il nome di battaglia "Mimma" nella VII brigata GAP Gianni Garibaldi di Bologna.
Il 5 agosto 1944, i partigiani uccisero degli ufficiali nazisti e alcuni militi delle Brigate Nere. I fascisti e nazisti risposero con la rappresaglia catturando sia lei che gli altri partigiani. Irma fu catturata il 7 agosto in uno scontro a fuoco dopo aver trasportato delle armi alla base della sua formazione a Castel Maggiore.
Condotta alle scuole di San Giorgio di Piano, i fascisti e i nazisti torturarono e umiliarono Irma Bandiera con lo scopo di ottenere delle informazioni sui partigiani. Verrà giustiziata giorno 14.
La compagna e partigiana Irma partecipò alle azioni più rischiose e più e inoltre fu tra le prime donne in Italia a impugnare le armi della lotta di liberazione dal nazismo e dal fascismo.
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Onore alla compagna Irma.
Ora e per sempre Resistenza!
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adrianomaini · 2 months
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I principali centri brianzoli furono sede di presidi di Brigate Nere. In Alta Brianza, una compagnia della Brigata Nera, “Cesare Rodini”, di circa 148
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jacopocioni · 3 months
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Per chi abita in… Via delle Lame
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Un tempo, prima che la Repubblica Fiorentina facesse eseguire i lavori di arginatura e le opere difensive lungo la riva del fiume, l’Arno dilagava nella campagna, si divideva formando due rami, tra i quali restava una lingua di terra, una specie di piccola isola, che prese il nome di Bisarno, che ha il significato di doppio Arno (bis-Arno). Nel terreno paludoso, l’acqua che ristagna forma pozze che sotto il sole appaiono lucenti come lame d’acciaio, ed ecco l’origine del nome Via delle Lame, che attraversa tutto il piano del Bisarno. La strada ha una storia antica, lungo il suo corso vi sono delle ville ed un Borgo esistenti fin dal Quattrocento. Diverse illustri famiglie fiorentine avevano case e terreni in questa zona, ad esempio i Cavalcanti, i Barducci, i Bardi, gli Alberti.
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In Via delle Lame, all’angolo col Viuzzo che porta lo stesso nome, delle Lame, si trova una villa, che ho scoperto di recente, in quel poco tempo che il maltempo ha concesso ad una passeggiata. Sulla facciata si trova una targa, che riporta il nome “Villa Barberina”, ma in passato si chiamava l’Arnino o Villa Arnina. Mi ci è cascato l’occhio perché, sull’alto muro di cinta, si trovano a decorazione tre statue in terracotta, ed un busto.
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In origine sembra si chiamasse “Il Limbo”, forse in contrasto con alcune zone limitrofe, conosciute come Inferno e Paradiso. La costruzione è di inizio Quattrocento, ed apparteneva ai Del Cappa, che avevano case in Firenze nella via che prendeva il nome dall’Albergo del Guanto; in seguito passò ai Nasi, quando nel 1491 Lionarda, vedova di Ser Niccolò del Cappa decise di vendere a Battista di Giovanni Nasi, famiglia che nella pianura di Ripoli aveva importanti possedimenti. Giusto per la cronaca, alla famiglia Nasi appartenne Bartolomea, una delle amanti di Lorenzo il Magnifico, che per lei aveva una discreta passione, nonostante non si trattasse di una donna particolarmente avvenente. Ne parleremo più diffusamente in un altro momento.
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Successivamente, la proprietà della Villa passò ai Pergolini, dopo la confisca dei beni operata su un discendente della famiglia Nasi, poi ai Gherardini e, ad inizio Settecento, agli Altoviti che la ricevettero in pagamento di crediti vantati nei confronti dei Gherardini. A metà dell’Ottocento fu acquistata dallo svizzero Enrico Stupan, il titolare del Caffè Elvetico, in Mercato Vecchio, nel quale artisti di ogni genere amavano ritrovarsi: “...orefici, cesellatori, gioiellieri, gettatori di metalli, lavoratori di brillanti, scultori, modellatori, pittori sbozzatori, tutti tipi schiettamente fiorentini, tutta gente allegra, spensierata, italianissima, pronta di lingua e, capitando il bisogno, anche di mano.
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Da questo caffè uscivano per il solito quei motti arguti, quegli epigrammi a due tagli e quelle satire corte e affilate, come rasoi, che passando di bocca in bocca, facevano il giro di tutte le case, di tutti i crocchi o di tutte le brigate, senza che nessuno arrivasse mai a poterne indicare con precisione il nome dell’autore: lampi spontanei e collettivi dell’antico spirito fiorentino.” (Carlo Collodi, Occhi e nasi). Il cortile della villa è rinascimentale, una volta con un portico a tre arcate, su un solo lato, che oggi risulta murato. L’alto muro su cui si trovano le statue in terracotta, delimita un giardino pensile, che mi sarebbe proprio piaciuto riuscire a vedere, ma… era troppo in alto! Bisogna accontentarsi di una veduta satellitare, anche se certo non rende l’idea… Purtroppo, l’addensarsi di nere nuvole promettenti un’altra bomba d’acqua, mi ha impedito di continuare la mia passeggiata, per ora… ma non può piovere sempre!
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Gabriella Bazzani Madonna delle Cerimonie Read the full article
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