#Arianna Desideri
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esce 'roots § routes' n. 42, agosto 2023
Care.Cure.Curate: un viaggio verbale da leggere tutto d’un fiato ma anche una curva sonora non puramente melodica che raccoglie in un breve segmento un caleidoscopio di declinazioni possibili della parola cura. Una parola oggi a rischio di depotenziamento per il suo arrotondamento morbido, spesso ridotto a pratiche empatiche nell’universo delle micro-relazioni umane preferibilmente appaltate alla…
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Tu sei la croce di tutti i miei Indecenti desideri...
io la delizia di ogni tua perversa voglia.
Arianna Vaira
Foto :flofromparis
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Mi chiamo Arianna.
Di me non sapete niente e sono qui per svelarmi, spogliarmi, offrirmi ai vostri occhi, senza inganni.
Io sono Arianna, ho un nome aperto come il mare che circonda Creta.
E’ mio destino trovare l’uscita, sciogliere il groviglio di una matassa che non appartiene a me, ma che gli dèi mi hanno messo fra le mani.
Un dono?
Non lo so. Ho creduto che fosse un dono per molto tempo. Ora ne dubito.
Ho sciolto nodi, ho districato fili attorcigliati su se stessi, ho speso minuti e minuti, giorni, ore, notti e ancora minuti e minuti, giorni, ore, notti, minuti e minuti, giorni, ore, notti e ancora il tempo piccolo dei giorni freddi e il tempo grande dell’estate, che apre il cuore degli uomini e lo spalanca, come fosse una finestra sul mare, il grande mare che a me ha rubato amore e desiderio.
Si chiamava Teseo, era coraggioso. Ho creduto fosse mio, gli dei hanno voluto che così fosse per il bene di tutti, si sa che l’amore fa miracoli e io il miracolo l’ho fatto.
La conoscete tutti la storia del labirinto e del Minotauro e di Teseo che finalmente uccide il mostro e trova l’uscita del labirinto grazie a me che gli porgo il filo… Quel che non sapete è chi era davvero il Minotauro.
Un errore della natura. Un mostro. Un nemico.
Dicono.
Io dico: Un cuore in prigione, viscere mai sazie, sete insaziabile, occhi ciechi, istinto da fiera, buio, silenzio, solitudine amara, rabbia.
Non mi perdonerò.
Non perdonerò la mia pelle ubbidiente ai miei desideri.
Non perdonerò la mia mente ubbidiente all’astuzia.
L’amore è un inganno degli dei.
L’amore è un inganno della mente.
L’amore è un guasto al cuore.
L’amore è indigestione.
L’amore è congestione.
L’amore fa sudare.
L’amore fa ingrassare.
L’amore fa dimagrire.
L’amore fa male.
L’amore fa bene.
L’amore è indifferente.
Fa i suoi interessi
l’amore.
Non sa curare il male,
non sa medicare le ferite,
non si preoccupa della morte,
si crede immortale
è solo immorale.
O forse è
al di là
del male,
al di là
del bene,
non ha morale,
non è mortale
non è immortale,
somiglia al mare.
Va e viene,
dà e trattiene,
nasce, muore,
rinasce,
conosce il sole e la tempesta.
La festa, il vento forte,
la morte.
Chi era il Minotauro? Chi sono io? Chi è Teseo? Domande oziose, utili a ingannare il tempo perso di una donna abbandonata alle sue ombre.
Siamo nati dallo stesso ventre io e il Minotauro.
Mia madre, nostra madre Pasifae, si innamorò del toro bianco.
Doveva essere sacrificato questo toro, ma per caso, per destino o per il semplice gusto della disobbedienza non fu così.
L’amore è un inganno degli dei, mia madre la ingannò Poseidone, come fosse uno scherzo… fece in modo che si innamorasse dell’animale, senza vergogna.
Il Minotauro era il frutto della mostruosa unione.
Corpo umano e testa taurina,
Bisognava nasconderlo al mondo. Fu nascosto nel Labirinto.
Siamo nati dallo stesso sciagurato ventre io e il Minotauro, ma io questa comune appartenenza l’ho dimenticata, ho lasciato che l’oblio la logorasse, la divorasse, come fa la ruggine col ferro, come fa la noia con l’anima stanca di una donna abbandonata alle soglie di un lungo inverno.
Siamo nati dallo stesso avido ventre io e il Minotauro, ma io ho lasciato che Teseo lo uccidesse.
L’amore è un inganno della mente.
L’amore è un guasto al cuore.
L’amore è indifferente
Fa i suoi interessi
l’amore.
Io ho amato Teseo. Gli ho consegnato un filo e così discricandolo, un passo per volta, a mano a mano, a poco a poco si è potuto orientare nei meandri del Labirinto, senza perdersi.
Fa i suoi interessi
l’amore.
Non sa curare il male,
non sa medicare le ferite,
non si preoccupa della morte,
si crede immortale
è solo immorale.
Fuggimmo da Creta.
Il viaggio non so quanto è durato, forse un giorno, forse dieci, forse cento. Poi all’improvviso, a Nasso, senza una sola parola, mi ha abbandonata.
E sono qui, a sciogliere i nodi di un abbandono che non capisco, che rifiuto, che ricevo come un pugno in faccia.
E di me non so più niente.
Sono sicura di chiamarmi Arianna? E se il mio nome fosse Penelope? E se il mio nome fosse Eva? O Maddalena?
E se indossassi un nome qualunque?
Maria, Giovanna, Francesca, Sara, Marianna, Serena, Dora, Teresa, Ada, Rita, Jane, Agnese, Genny, Imma.
E se il mio nome lo avesse inghiottito il mare e io fossi ombra di un corpo sconosciuto?
Così sia.
Voglio dare voce a chi voce non ha.
Le mie ombre hanno tanti nomi, io ci salterò sopra, le accompagnerò ovunque vorranno andare, mi farò seguire, inseguire, mi lascerò ingoiare dal sole di mezzogiorno e sarò un trampoliere matto all’ora del tramonto, avrò gambe lunghe per compiere passi falsi, esprimendo desideri folli, colorati di rosso e spumeggianti come l’onda del mare a cui non so darmi.
Amore è quasi anagramma di mare.
E se a me non mancasse l’amore? Se mi mancasse semplicemente quel mare sconosciuto che mi strappava a Creta, alla colpa, all’appartenenza.
Forse, quando muore un amore, quel che manca è l’illusione, il gioco, il sogno, l’ignoto, la via di fuga che l’amore, quando è ancora immaginato, sembra poterci dare.
Da qui non posso più scappare.
Da qui devo ricordare chi sono e devo saper tornare al mio indirizzo.
Devo tornare a casa.
Vivrò in quel labirinto che ha nutrito la mia sventura, ricomincerò dall’ombra dei vicoli ciechi che ho attraversato con l’inganno. Starò lì dove ho conosciuto la colpa e l’incoscienza, Eros e Thanathos mi rimandano lì, al centro del mio tormento. Ne uscirò quando somiglierò al mio nome e sarò chiara come il mare d’estate, come la rima di una cantilena cantata ai bambini.
Doris Bellomusto
illustrazione Dina Carruozzo Nazzaro
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Just because I tell you things, doesn’t mean you’re allowed to have opinions on that
«Hai mai provato la Stanza di Arianna? Prende l`ambientazione che desideri! Una bella spiaggia caraibica...» sognante.
«Ommerlino! Ma chi la vuole la spiaggia caraibica quando puoi tornare ad Hogwarts?!»
«Sei proprio un disastro, Wilson. Hogwarts è buia, fredda e piena di mocciosi» how rude.
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Un lungo Viaggio
Ho passato gran parte della mia infanzia domandandomi cosa fossero quegli strani aggeggi elettronici che i miei genitori tenevano spesso tra le mani.
Il mio era sicuramente un sentimento riconducibile alla curiosità. Curiosità di sapere cosa ci fosse dietro a quelle scatolette colorate con uno schermo e con dei tasti, curiosità di capire fino a dove potessero spingersi e curiosità di sapere dove ci avrebbero portati. Non è proprio un pensiero che farebbe una bambina, direte voi.
Avete ragione, ma è da qui che tutto ebbe inizio.
La mia curiosità crebbe a dismisura, e quando ancora l’universo di Internet che conosciamo oggi non esisteva, iniziai ad appassionarmi al mondo tecnologico disponibile all'epoca, implorando i miei genitori di regalarmi, non un telefono, bensì il fine ultimo di tutti i miei desideri, un Gameboy.
Fonte: Flickr
Quella piccola console era in grado di farmi provare emozioni mai provate prima, trasportandomi in un mondo che andava ben oltre le quattro mura della mia camera. Crescendo abbandonai quel piccolo arnese per passare a console nuove e moderne, fino all’arrivo del mio primo computer portatile. Ancora ricordo l’emozione nello scartare quella confezione color cartone, contenente la chiave per quel mondo parallelo ancora a me sconosciuto.
Nel 2012, all’età di 14, si apriva davanti ai miei occhi un universo inesplorato.
Guidata dalle raccomandazioni dei miei genitori, il mio primo approccio nei riguardi di internet è oggi sicuramente definibile con due termini: spaventato e guardingo. Ogni pagina, ogni sito poteva rivelarsi una minaccia, e un occhio inesperto come il mio cercava in tutti i modi di imparare e incorporare ogni trucco e scorciatoia, per usare al meglio quella fonte infinita di informazioni. Internet e la tecnologia inoltre, in quegli anni, diedero una completa svolta alla mia vita, guidandomi nella scelta del liceo, dove intrapresi l’indirizzo scienze applicate, curiosa di scoprire cosa l’informatica avrebbe potuto offrirmi. Aumentando la mia consapevolezza e sentendomi più sicura, durante gli anni del liceo decisi di ingrandire il mio bagaglio culturale tecnologico, frequentando il corso di ECDL scolastico.
Passando per MSN, Facebook e Whatsapp, mi avventurai nel mondo dei social, maturando due delle mie più grandi passioni: il mondo del gaming e il video making. Il merito probabilmente è associabile alla piattaforma di YouTube, dove già nel 2014 iniziai a pubblicare i miei primi video: registrati con un piccolo LG, in una qualità per niente invidiabile, senza montaggio di alcun genere, caricati con una connessione quasi nulla, un ottimo inizio insomma! Ma poco mi importava, perché quei video fatti male e di pochi secondi, per me valevano quanto un film da Oscar, ed erano il risultato di uno sforzo enorme, portato avanti da una ragazzina che sognava un futuro fatto di videocamere, computer fissi e programmi di montaggio.
Ed eccomi qua, dopo 6 anni, a scrivere questo blog post attraverso quel tanto sognato computer fisso, assemblato con la stessa passione che per anni mi ha seguita e accompagnata in questo lungo viaggio. Sono Arianna, ho 22 anni e studio Architettura presso il Politecnico di Torino. Attraverso questo blog farete anche voi parte del mio cammino nel mondo della tecnologia, tenetevi forte.
-Arianna Piovano
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FIUMARA D’ARTE - MUSEO ALL’APERTO COSTITUITO DA SCULTURE CONTEMPORANEE NEL TORRENTE TUSA : Labirinto di Arianna (3 foto), 38° Parallelo, Monumento per un poeta morto, La materia poteva non esserci, Una curva buttata alle spalle,Muro di ceramica, Rito della Luce
Il CANTASTORIE - Voglio fare un monumento di vetro e cristallo alle sue lacrime, quelle che mi ha donato quando ha letto nel suo racconto che poteva chiamare Papà anche se non ha voce, e felice si è sentita dopo inverni taglienti e silenzi dolorosi. Voglio fare un monumento al sorriso che ha avuto quando si è specchiata nel mio racconto ed ha scoperto tutte le primavere che le avevano negato e da allora non ha più tramonti, ma sogni inquieti e voglia di tenerezza e di abbracci sinceri. Voglio fare un monumento alla sua gioia quando si rivide tra le mie righe per come felice voleva essere, leggera, senza peso ne tempo e a tutte le altre a cui ho donato un sorriso, per ognuna di loro voglio fare un grande, magnifico colorato monumento. Perché le vedo arrivare incerte ed insicure, scettiche nel raccontarsi, paurose nel dire. Poi le vedo involarsi come bianche colombe nell’azzurro del cielo quando prendo i loro desideri e li ricamo di parole. Felice mi fanno con quel loro essere semplicemente felici. E con tutti questi monumenti riempirò le spiagge ed i colli, le fiumare ed i boschi così che un viaggiatore vedendoli nel verde turchese o circondati d’azzurro o nell’ombra cupa dei grandi alberi, sappia che li un’anima è stata felice, perché ha incontrato un cantastorie e con lui ha sognando.
FIUMARA D'ARTE - OUTDOOR MUSEUM CONSISTING OF CONTEMPORARY SCULPTURE IN THE TUSA TORRENT: Arianna's Labyrinth (3 photos), 38 ° Parallel, Monument for a dead poet, Matter could not be there, A curve thrown at the back, Ceramic wall , Rite of Light
I want to make a glass and crystal monument to her tears, the ones she gave me when she read in her story that she could call Daddy even if she has no voice, and happy she felt after sharp winters and painful loves. I want to make a monument to the smile that she had when she was reflected in my story and discovered all the springs that had denied her and since then she has no more sunsets, but restless dreams and a desire for tenderness and sincere hugs. I want to make a monument to his joy when he saw again between my lines for how happy he wanted to be, light, weightless time and all the others to whom I gave a smile, for each of them I want to make a great, magnificent colorful monument. Because I see them arrive uncertain and insecure, skeptical in telling, fearful in saying. Then I see them fly over like white doves in the blue sky when I take their wishes and I embroider them with words. Happy they make me with their being simply happy. And with all these monuments I will fill the beaches and the hills, the rivers and the woods so that a traveler seeing them in the turquoise green or surrounded by blue or in the dark shade of the big trees, know that a soul has been happy, because she met a storyteller and with him she dreamed.
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278 allievi, 16 Teacher, 49 performance per la due ore dello spettacolo di fine anno targata FULL DANCE Italia. Appuntamento per Domenica 3 luglio h 19 con i nostri allievi, coreografati da Isadora Gorra e Germana Cifani per le Danze Accademiche, Step Stefano Baldini per le Street, Alessandro Quaranta per la Danza Contemporanea e Street, Elisa Fabriziani per la Tap Dance, Sante Mandolini, Natalia Titova, Lorenzo Magnante e Beatrice Fabi per le Latino Americane, Arianna Rossi, Lorenzo Magnante, Beatrice Fabi e Giorgia Cicchetti per le Coreografiche, Arianna Mecozzi e Manuela Desideri per le Orientali, Giuliano Schina e Barbara Di Girolamo per Standard e Latini, Alex Picarazzi e Rita Ruggeri per le Caraibiche ... e a seguire Full Dance in festa con il mitico Dj Poppi alias Gianluca Uopi (at FULL DANCE Italia) https://www.instagram.com/p/CfYhDV9LDd-/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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19 giugno: franco falasca al macro asilo, in via nizza
#25 aprile nell&039;arte contemporanea#aforismi#Arianna Desideri#art#Daniela Lancioni#foto#fotografia#Francesco Muzzioli#Franco Falasca#Giorgio Pagano#immaginazione preventiva#Irene Sabetta#Lucilla Meloni#Marcello Carlino#poesia#prose:#Stanza delle parole#Ufficio per la immaginazione preventiva#video#Vitaldo Conte#web
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Talvolta i desideri... Si trasformano in piatti prelibati....💋💕
Arianna Vaira
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ARIANNA GIANFELICI TORNA CON IL SUO PRIMO OMONIMO ALBUM, UN DIPINTO IN MUSICA CHE ABBRACCIA I COLORI DELL’ANIMO E LE SFUMATURE DEL CUORE
ARIANNA GIANFELICI TORNA CON IL SUO PRIMO OMONIMO ALBUM, UN DIPINTO IN MUSICA CHE ABBRACCIA I COLORI DELL’ANIMO E LE SFUMATURE DEL CUORE
Arianna Gianfelici torna con il suo primo omonimo album. A poche settimane dall’uscita di “Tutto il nostro folle amore”, brano che la vede al fianco del duo partenopeo da milioni di streams e views I Desideri e cha raggiunto importanti risultati nei digital store e nelle classifiche radiofoniche, Arianna Gianfelici torna a scaldare i cuori degli ascoltatori con il suo primo omonimo…
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"Awen" di Arianna Rosa. A cura di Alessandra Micheli
“Awen” di Arianna Rosa. A cura di Alessandra Micheli
La rincoglionita di Biancaneve disturbava i topini, che non l’amavano affatto ma la consideravano una piaga sociale, (una che alle cinque del mattino canta, è da incarcerare) cantando sempre una nenia asfissiante: I sogni son desideri. Non vi racconto il mio desiderio di bimba, che è stato poi dopo anni esaudito da Elena Mandolini. Però vi dico che, durante la lettura del libro di Arianna…
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10 agosto 2017 in questo preciso istante sono dietro casa mia, vicino la piscina, sulla sdraio. sono sola ma non ho paura, con me ho la musica. i linkin park. da quando Chaz é morto mi sento troppo legata a loro. credetemi, prima lo ero anche, ma adesso sento che hanno bisogno di me, come supporto. sto guardando le stelle, ogni tanto sposto il telefono e guardo il cielo, sono qui fuori da circa dieci minuti e non ne ho vista neanche una, di stella cadente ovviamente, cosa si aspetta la notte di San Lorenzo? anche Pascoli ne parlava "x agosto" Van Gogh anche, "Notte Stellata". le stelle sono qualcosa di magico, sono belle e imprevedibili. perché imprevedibili? perché si aspetta proprio il dieci agosto per guardare le stelle? ci sono tutte le sere le stelle, é solo che non ci si pensa a questo. i desideri, cosa sono i desideri? sono voglie? sono buchi da riempire? i desideri sono speranze? speranze e delusioni forse. non lo so, non credo nelle stelle, ma so che sta sera una la dedicherò a tutte quelle persone che fanno, e che hanno fatto parte della mia vita. la dedicherò alla mia famiglia, che nonostante tutto, mi é sempre stata vicina. alla mia migliore amica, che la nostra amicizia possa rimanere eterna Arianna. a mia cugina Giada, grazie, grazie di esistere veramente. a F, che nonostante mi abbia distrutta, tengo ancora a lui, come se fosse mai stato mio. a S, tante volte mi manca, ma doveva finire così. a Francesca, una ragazza che conosco da 7 anni, e che rimarrà per sempre sotto la mia pelle. al mio primo cane, Rika, sembrerà banale, ma voglio farlo. a V, che nonostante non riesca a definirlo migliore amico, lo é. alla mia migliore amica a distanza, Andy, tutto andrà bene lo prometto. a te che leggi, spero che tu sia felice adesso, qualsiasi giorno sia, qualsiasi cosa tu stia passando, io ti sono vicina. ma soprattutto a te, il mio unico vero desiderio sta sera, e sempre, sei tu, con il tuo sorriso e i tuoi capelli disordinati, con il tuo modo buffo di ridere, e con i tuoi occhi indecifrabili, a te con le tue lentiggini, a te che sei sempre nei miei pensieri, a te a cui darei tutta me stessa, a te che darei la felicità di vivere, se solo potessi. a te e alle tue labbra che vorrei sfiorare e poi ricordare a memoria il sapore. a te e al tuo profumo, che mi stordisce, a te e alle tue occhiate. a te, semplicemente a te mio piccolo desiderio. ed infine, a me stessa. perché ne ho passate tante e sono ancora qui, a me che non mollerò mai. Buon San Lorenzo a tutti quelli che stanno sperando di vedere una stella per esprimere un desiderio, spero che i vostri desideri si avverino tutti.
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Italian panorama
Un portfolio di 10 nuovi talenti della fotografia Made in Italy
Alexandra Von Fuerst Il suo vero nome è Alessandra Bergamin, è cresciuta in provincia di Treviso ma è nata in Austria da madre slovacca, ed è forse da qui che scaturisce la sua fascinazione per l’Est Europa, dalle favole tradizionali russe al surrealismo ceco. Dopo gli studi universitari di fotografia a Milano, ha vissuto un anno a Berlino a sperimentare con la forma e il colore alla ricerca di una propria via estetica. Attualmente vive a Londra, città che con il suo fascino gotico e la modernità underground ne nutre la creatività. I suo scatti – che combinano l’interesse per l’arte con la fotografia di moda e fondono la poetica femminile con le più viscerali ossessioni e i desideri della natura umana – hanno un côté surreale, celebrano l’imperfezione in tutta la sua bellezza ed enfatizzano forme, colori e materiali.
Luca Anzalone All’età di 18 anni, dopo un diploma in agricoltura, cambia vita e va a Poole, nel Dorset, per studiare all’Arts University Bournemouth e dedicarsi alla sua grande passione: la fotografia. Si ispira, da sempre, alle donne, e questo interesse lo spinge a esplorare la moda. «In un’era “social” che sempre più limita il contatto fisico tra individui», dice, «uso la fotografia per avvicinarmi alle persone e creare un rapporto intenso e intimo, che lascia prima di tutto un segno su di me e solo successivamente sul mio negativo». Anzalone ha una percezione della realtà romantica e drammatica: «Non ho limiti né pregiudizi, cerco di aprirmi ed espormi il più possibile a tutto ciò che sento e al mio bisogno di essere vivo. Il flusso emotivo è forse la mia vera fonte di ispirazione».
Marianna Sanvito Milanese di nascita, fin da piccola ama ogni forma d’arte, il cinema e la pittura in particolare. Dopo il diploma all’Accademia di Belle Arti, lavora per molti anni come art director prima di dedicarsi completamente alla fotografia. Il suo stile è delicato e femminile, ama ritrarre il fascino e l’eleganza dell’età che passa. Alla classicità della composizione, nei suoi scatti si contrappongono la profondità degli sguardi e la forza espressiva del soggetto. È alla ricerca costante, ossessiva, di un equilibrio tra gli opposti che descrive con una citazione di Giuseppe Fava sulla città natale dello scrittore: «Bisogna dire che ogni cosa si facesse in questo paese doveva essere fatta due volte e spesso l’una contro l’altra, come se ci fossero due anime».
Arianna Lago Vive da 18 anni nel Regno Unito, dove si è formata in Sound Arts & Design alla London University of the Arts, approfondendo musica, suono e cinema. Alla fotografia, invece, si è avvicinata da autodidatta, fino a che la macchina fotografica non ha preso il sopravvento su ogni altra passione. L’ispirazione, per Lago, nasce cercando l’inusuale e osservando la poetica del quotidiano. Il colore, la spontaneità, e tutto ciò che crea emozione sono elementi fondamentali del suo linguaggio espressivo.
Ilaria Orsini Dopo una formazione come assistente fotografa e un periodo di permanenza a Parigi, ha trovato in Londra il luogo ideale per la sua creatività. Sia nei suoi lavori personali sia in quelli legati alla moda, l’approccio è istintivo, spesso imprevedibile e frenetico: «Difficilmente riesco a immaginare la foto fuori dal set, il più delle volte devo cercarla dietro l’obiettivo», racconta. «Vivere a Londra ti sottopone a continui stimoli visivi. È la città stessa che mi influenza». Orsini racconta come spesso siano proprio i luoghi a ispirarla e come la ricerca delle location sia fondamentale. Da poco si è avvicinata al mondo della fotografia di architettura e di interni e sta lavorando a un libro sulle abitazioni private di Carlo Scarpa, in uscita il prossimo inverno.
Luca Campri Nasce a Parma ma resiede da diversi anni a Londra. Ama viaggiare e scoprire nuovi mondi per i suoi progetti fotografici. Appassionato di multiculturalità, sta lavorando a un libro su un gruppo di amici, parte di una comunità hippie in Cina, che girano il mondo vivendo di arte. Un’altra grande passione, importante nel suo percorso creativo, è il cinema. Il suo stile è documentaristico: «Non costruisco situazioni “in posa”, anche quando lavoro con la moda, e non ho un’idea predefinita di come dovrà essere lo scatto. Provo invece a creare i presupposti per lasciare i soggetti liberi di esprimersi e di mostrare emozioni reali, spesso condividendo momenti di positività e allegria», dice. «Amo l’idea di affiancare una poetica documentaristica al fashion system».
Alessandro Furchino Capria Nato all’ombra del Castello di Rivoli, vive tra Milano e Londra. Il ritratto è il fulcro del suo lavoro. Gli piace paragonare metaforicamente il suo percorso a quello di Ulisse: «L’odissea infinita e il ritorno a Itaca mi tengono prigioniero di un viaggio continuo in mare, dove la fotografia infrange continuamente il precario equilibrio». Naturalità e circostanze fortuite sono per lui preludio allo scatto, momento puntuale in cui tutto si allinea. «E lì, in quell’istante, che scegliere diventa l’atto principale di tutto il lavoro, il riassunto del gesto fotografico».
Dario Salamone Nato ad Agrigento, vive e lavora a Milano. Ha studiato filosofia all’Università La Sapienza di Roma, oltre a composizione e pianoforte al Conservatorio Santa Cecilia. Si dedica alla fotografia da autodidatta, affacciandosi da subito al mondo dell’editoria di moda. «Il mio lavoro», spiega, «indaga le possibilità espressive e meccaniche del corpo umano, ma anche il rapporto tra natura e cultura, il ruolo della tecnica nel processo di antropogenesi».
Vito Fernicola Da cinque anni vive a Parigi, ma da Napoli, sua città natale, ha portato con sé una propensione al racconto simbolico e la profonda autenticità, al di là di ogni forma di spettacolarizzazione. Nel suo lavoro la relazione tra soggetto e ambiente non è mai casuale, ma ha un carattere proprio, strutturale. «La fotografia », dice, «attesta il codice scenico dandogli vita in modo ora ordinato, ora razionale, ora rituale, spesso raccontando generazioni differenti e gestendo sempre intensamente il movimento ». Nel suo lavoro svela una sostanza intima “ibridata” dallo spazio circostante.
Leonardo Scotti Pur essendo un assiduo viaggiatore è fedelissimo alla sua città natale, Milano, in cui crede molto e dove vive da sempre. Nel suo lavoro spiccano le forme e la composizione, spesso accompagnate da un velo d’ironia. Trova ispirazione nei viaggi e nella realtà e ha un’attenzione particolare ai dettagli surreali del quotidiano. Il colore è un elemento dominante, così come il paesaggio naturale. Non ama situazioni costruite, e si autodefinisce molto istintivo e impulsivo, sia sul set sia nella vita reale.
Vogue Italia, agosto 2018, n.816, pag.162
L'articolo Italian panorama sembra essere il primo su Vogue.it.
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... Noi facciamo parte di quel settore che produce la materia prima di cui oggi abbiamo più bisogno: SALUTE, BENESSERE E INCLUSIONE SOCIALE. È incalcolabile il valore del lavoro dei nostri istruttori che, migliorando lo stile di vita dei cittadini, contribuiscono ad abbattere i costi del servizio sanitario... È per questo e per la grande passione che ci anima che non abbiamo mai smesso e mai smetteremo di farvi compagnia❗AUGURI DI BUONA PASQUA e..... ci vediamo presto ❤️❤️ Alessandro Picarazzi Annalaura Siercovich Andrea Ilardi Spranga Antonella Sacchi Arianna Mecozzi Arianna Rossi Beatrice Fabi Caterina Perrone Costantino Vetere Corrado Luchetti Diego Di Giamberardino Daniel De Rosa Elisa Fabriziani Emanuel Stampa Ester Melilla Federica Ederli Fabio Barigelli Giuseppe Cecchini Germana Cifani Isadora Gorra Krizia Federica Luna Capuana Lorenzo Magnante Luca Vergaglia Manuela Desideri Monica Flemac Nicola Bini Natalia Titova Rita Ruggeri Roberto Shok Massacci Stefania Giusto Stefano Baldini Sante Mandolini Silvia Sabbatini Tony Braga (presso FULL DANCE Italia) https://www.instagram.com/p/B-0VjQGjira/?igshid=1bowfveuj4crf
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Hermann Broch o dello scrittore in forma di lince. Dialogo con Ada Vigliani
In effetti, Hermann Broch è un’aquila. Inimmaginabile non subire il fascino di questo scrittore dalla “testa d’uccello”, idolatrato – prediletto al contrasto – da Elias Canetti. Broch erompe e rapisce, ascende a vette inaudite per perfezionare il verbo con cui sprofonderà nella preda. Confida nel fato come nell’assalto, riduce il caso in miracolo. Canetti lo svela in un dettaglio: “Per strada uno sconosciuto avrebbe potuto rivolgergli la parola e prenderlo per il braccio: Broch lo avrebbe seguito senza la minima resistenza… Quella che comunemente si chiama curiosità assumeva in Broch una forma particolare che si è tentati di definire ‘avidità respiratoria’… Ogni essere respirante, e quindi ogni persona, poteva cattura Broch… Per lui ogni incontro era un rischio, perché non sapeva più sottrarvisi”. Si lascia conquistare per assalire, Broch. Carlos Fuentes ha scritto che Broch “appartiene alla ‘tradizione della Mancha’, una creazione letteraria che non desidera soltanto riflettere la realtà, ma creare un’altra realtà, una tradizione inaugurata dal Don Chisciotte di Cervantes”. Per me, banalmente, Broch ha forgiato il romanzo ‘impossibile’, che non sonda i limiti del linguaggio – quello è Joyce – ma dell’uomo. Adoravo – e adoro – La morte di Virgilio – per Feltrinelli è ancora nell’antica traduzione di Aurelio Ciacchi –, il racconto-cattedrale sul fine della Storia, sul ruolo dell’arte, sul sacrificio dell’artista. Di quel romanzo affascina il dettato, ipnotico e ostico, che si disfa in lirica – Broch è stato anche un ottimo poeta – e l’estro assoluto, privo di assoluzione. Quel libro è una rovina – “Ho rinunciato a un vero compimento artistico del libro perché in quest’epoca d’orrore non avevo diritto di dedicare un altro paio d’anni ad un’opera che ad ogni passo si sarebbe fatta sempre più esoterica” – che sancisce la fine di Broch come scrittore (“Credo con ciò di aver definitivamente concluso la mia carriera letteraria”, dirà, sbrigativamente, nel 1946: scriverà poco tempo dopo Gli incolpevoli). Avventure da una bibliografia scapigliata. In realtà, è con la trilogia dei “Sonnambuli” che Broch contribuisce a fondare il romanzo del secolo – “Thomas Mann, Musil e Broch costituiscono quasi un’ideale famiglia, degnissima d’inserirsi nella famiglia di Proust e Joyce”, scriveva, decenni fa, Ladislao Mittner, dimostrando che l’assoluto non ha classificazioni. Letta all’epoca – nella traduzione di Clara Bovero, per Einaudi, ripresa nel 2010 da Mimesis – la trilogia mi sfiancò: Broch è autore eccezionale ma austero, la sua aristocrazia del pensare chiede arte da domatore d’aquila. Leggere il primo libro del trio, ora, Pasenow o il Romanticismo, pubblicato da Adelphi e tradotto da Ada Vigliani – la traduttrice di Robert Musil e di W.G. Sebald, di Elias Canetti e di Schopenhauer, di Goethe e di Stefan Zweig – mi ha fatto scoprire uno scrittore assolutamente nuovo, che precipita in una esperienza estetica e filosofica. Prima di essere aquila, Broch è stato lince: capace di vedere i mutamenti di un mondo dallo spettroscopio di un viso, dai dettagli di una singola storia – nei “Sonnambuli” lo scrittore sceglie tre momenti storici e tre personaggi per dirci la ‘fine dell’Occidente’ –, di definire i tratti peculiari di una personalità descrivendone la camminata, di costruire una narrazione elegante, elusiva, felina. Una frase per capire: “La calca attorno a lui, il trambusto, come diceva la baronessa, tutto quell’andirivieni affaccendato, quell’affollarsi di volti e schiene, gli sembrava una massa molle, che sfuma e scivola via senza offrire alcuna presa. Chissà fin dove lo avrebbe condotto! E, mentre con una piccola scossa tornava ad assumere il portamento regolamentare, gli diede un certo sollievo il pensiero che è possibile amare solo una creatura proveniente da un mondo estraneo”. Così, ho tentato di capire la lince, di carpire la sua malia, il suo slancio. (d.b.)
Milan Kundera ritiene I Sonnambuli la quintessenza del romanzo ‘europeo’, del romanzo, cioè, in cui si agita un pensiero, un agire che ragiona, in questo caso, intorno al “ruolo dell’irrazionale nelle nostre decisioni, nella nostra vita”. Eppure, Broch sembra un po’ sparito dal dibattito intorno all’arte del romanzo: come mai, a suo avviso? Esiste ancora la possibilità di un romanzo ‘del pensare’, oggi?
Conosco bene le riflessioni di Kundera su Broch e la sua passione per questo scrittore. Sono un po’ imbarazzata quando leggo o mi vengono chiesti giudizi di valore oggettivi del tipo “la quintessenza”, “il migliore” etc. A vent’anni la “quintessenza” della letteratura tedesca del primo Novecento era per me Thomas Mann, in particolare La montagna incantata. Nel frattempo avevo scoperto Musil, ci ho messo un po’ a compiere il “passaggio” e poi lo scrittore austriaco ha acquistato per me il “primato” (ma per me, per la mia sensibilità, per la mia formazione culturale), un primato non ancora offuscato. E che dire di Kafka? Per certuni è insuperato e insuperabile. L’attenzione degli accademici, dei critici letterari, del pubblico dipende molto dalle contingenze storiche, i grandi (e Broch è scuramente un grande) sono in primo piano, poi arretrano sullo sfondo, poi tornano. Persino Canetti che in gioventù lo amava e lo innalzava al livello di Musil e Kafka, successivamente nei suoi Diari lo definiva non all’altezza dei grandi del Novecento. Broch è obiettivamente difficile, difficile da mettere a fuoco. E non credo che questa difficoltà sia soltanto legata al “romanzo del pensare”: il romanzo del pensare lo troviamo anche in autori che al momento viaggiano per così dire “sulla cresta dell’onda”. Lui lo ha detto molto chiaramente: in un’epoca di matematizzazione della filosofia, il romanzo ne diventa l’erede, il luogo in cui si dibattono i problemi, i temi che la filosofia esclude ora dall’ambito della razionalità. E mi sembra una dichiarazione d’intenti che è stata condivisa non solo dai suoi contemporanei, ma ritorna anche in molti scrittori del nostro millennio. I generi letterari fissi sono ormai da tempo scompaginati. Se penso all’altra mia grande passione letteraria, e cioè a W.G. Sebald, un autore che ovviamente è lontanissimo da Broch, il romanzo o il non-romanzo fatto di invenzione, di memoria, di riflessione, è diventato un genere o un non-genere predominante.
Tra i temi dominanti di “Pasenow” mi pare ci sia quello dell’uniforme/uniformità, del contrasto tra doveri e desideri, tra norme e tentazioni, tra valori borghesi e potenza degli istinti. In effetti, pubblicato 90 anni fa, ambientato 40 anni prima, il romanzo sembra possedere una distintiva ‘attualità’ nell’analisi cruenta (e raffinatissima) della ‘fine dell’Occidente’. Che effetto le ha fatto, traducendolo?
Ho cominciato a tradurre Broch una ventina d’anni fa affrontando il celebre Hofmannsthal e il suo tempo. Il tema era appunto la crisi dei valori, la fine dell’Occidente, in forma di pura riflessione, di saggio. Nei romanzi la crisi viene calata in una storia, in personaggi, in situazioni conflittuali etc. L’attualità in riferimento al mondo d’oggi c’è tutta, le crisi non durano venti o trent’anni, sono processi lunghi, tra passi avanti, passi indietro e passi di lato, e sono crisi dalle quali non si sa come si esce. Nel conflitto ad esempio tra valori borghesi e potenza degli istinti, come dice lei, la grandezza di questo scrittore e del suo romanzo è che, a differenza di una love story sentimentale e strappalacrime (se raccontiamo solo la trama di Pasenow, qualcuno potrebbe anche interpretarlo in questi termini), Broch sa mettere a fuoco tutti i sotto-sentimenti e le sotto-ragioni, ci suggerisce che la via del dovere, dell’onore, dell’uniforme militare non è la scelta della pavidità, è il tentativo inconscio di alzare un baluardo, capace di strappare ancora qualche anno al tracollo imminente.
Che ritmo, che musica ha il linguaggio di Broch? Che tipo di difficoltà ha attraversato, traducendolo?
Per un caso fortunato fin dai miei inizi, ormai quasi quarant’anni fa, sono sempre riuscita a tradurre scrittori che – seppur molto diversi tra loro – mi piacevano, mi incuriosivano, per i quali provavo ammirazione. Tendo sempre a entrare nella sensibilità dell’autore, nei suoi pensieri leggendo il più possibile di lui, cerco di conoscere i libri della sua biblioteca etc. E ogni volta devo come spogliarmi dell’aderenza all’autore appena tradotto per calarmi in quello nuovo, un processo abbastanza lungo, all’inizio si è disorientati, poi a poco a poco “vivendo insieme” ci si conosce! Broch è uno scrittore puntiglioso e preciso (ingegnere e filosofo, come Musil). Non lascia al caso la scelta o la ripetizione di una parola o di una frase. Bisogna seguirlo passo passo, comprendere quali termini hanno un ruolo di leitmotiv all’interno dell’opera e perché. È difficile, ma con lui come con tutti io credo che, per quel Teseo che è il traduttore nel labirinto del testo, il filo te lo fornisca proprio lo scrittore/Arianna! La difficoltà in più consiste nel fatto che con Broch si fatica non solo per restare alla sua altezza, ma perché senti la sua fatica nel salire e devi salire con lui.
Qual è il libro che più l’ha emozionata, nel tradurre; quale è stato il più difficile da tradurre?
Ho tradotto Sebald fin da subito con grande partecipazione, nonostante la difficoltà di una scrittura “interminabile”, periodi lunghi pagine e pagine e piuttosto labirintici. Ma con Sebald credo di aver trovato la misura, in certi casi per istinto e poi naturalmente verificando con la precisone della razionalità. Difficili sono gli Aforismi di Canetti, “versi in prosa”, spesso brevi, icastici e decontestualizzati, lampi che ti accecano e ti rendono difficile recuperare la limpidezza dello sguardo. Difficile è la traduzione degli scritti postumi di qualsiasi autore: non sai se quello che non capisci è dovuto all’imprecisione del brogliaccio o alla tua inadeguatezza, se certe sciatterie sono volute o molto probabilmente lasciate lì nella fretta, nella provvisorietà della scrittura. Una fatica che non dimentico facilmente è la traduzione del Redentore, una prima stesura già molto curata dell’Uomo senza qualità.
Penso che un libro, se è grande, coinvolga intimamente la nostra vita, possa facilitare alcune scelte, esaltare alcuni caratteri remoti. Quale libro le ha ‘cambiato la vita’, quale vorrebbe ritradurre, in quale autore vorrebbe avventurarsi?
Al di là dell’amato Sebald, il libro che mi ha cambiato la vita, o meglio che ha accompagnato la mia vita, è stato L’uomo senza qualità, da quando l’ho letto in terza liceo, da quando ho scritto su Musil la tesi di laurea, da quando ho cominciato a tradurlo a poco più di trent’anni. A ogni passaggio, dopo la tesi, dopo la traduzione, sentivo di esserne molto condizionata e mi dicevo: “Adesso basta, ti ho già dato tanto, caro Musil, adesso mi dedico ad altro” e poi per caso Musil continuava a ripresentarsi: conferenze, saggi, la traduzione del Redentore, incontri su di lui. Ormai non lo caccio più, lo sposto sullo sfondo ben disposta a riportarlo in primo piano. In generale mi piacerebbe ritradurre alcuni libri tradotti all’inizio della mia carriera. Lascio all’immaginazione di chi ci legge quali… Gli autori in cui vorrei avventurarmi sono tanti, da quel Mann che tanto amavo al liceo (Tonio Kröger, ad esempio) e che mi piacerebbe incontrare sulla pagina da tradurre. E Kafka. Sto lavorando a una raccolta di scritti di Canetti (compresi i terribili aforismi) sul tema Kafka e sto rileggendo moltissimo di lui (in particolare Lettere e Diari). Non saprei da che parte cominciare per tradurlo, ma in ogni caso è prematuro. Devo ancora finire I Sonnambuli e chissà che la mia avventura con Broch non continui nella scalata di altre sue faticose vette.
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