#Ancora una Preda
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pier-carlo-universe · 22 hours ago
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"Ancora una predadi Robert Dugoni": Il Ritorno del Serial Killer della Route 99 e la Sfida di Tracy Crosswhite. Recensione di Alessandria today
Robert Dugoni riporta Tracy Crosswhite in un caso irrisolto che si tinge di corruzione e segreti mortali.
Robert Dugoni riporta Tracy Crosswhite in un caso irrisolto che si tinge di corruzione e segreti mortali. In “Ancora una preda“, decimo volume della serie Tracy Crosswhite, Robert Dugoni ci riporta a Seattle, dove l’investigatrice è chiamata a riaprire un caso che aveva sconvolto la città anni prima: quello del serial killer della Route 99. Tredici vittime e nessun colpevole; un mistero che ha…
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deathshallbenomore · 2 years ago
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🌊🐧
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ideeperscrittori · 4 months ago
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HO UN LINFOMA E FARÒ DEL MIO PEGGIO
Fra un mese compio 51 anni e pochi giorni fa ho scoperto di avere un Linfoma Non Hodgkin. È una patologia abbastanza aggressiva ma è stata presa in tempo. Ed è ben curabile, perché la scienza sta facendo passi da gigante nella cura dei linfomi.
Vivo a pochi passi di distanza da un ospedale all'avanguardia che mi ha preso in carico. Sotto molti aspetti, sono davvero fortunato e privilegiato rispetto a molte persone.
Quale sarà il mio atteggiamento di fronte alla malattia? Mi conosco bene e posso prevederlo, perché c'è una parola che lo definisce con precisione. È una parola significativa, addirittura emblematica, che riguarda il mio tasso di maschitudine alfa. Come potete intuire, non mi riferisco a "guerriero", quindi le metafore belliche possiamo tranquillamente metterle da parte.
La parola misteriosa è "mammoletta". Sì, sarò una mammoletta. Questo vuol dire che non vi darò lezioni filosofiche. Non diventerò un maestro di vita pronto a snocciolare grandi verità come "quello che non ci uccide ci rende più forti", "le sofferenze fanno parte dell'esistenza", "l'importante è apprezzare le piccole cose".
Sarò una mammoletta perché lo sono sempre stato, per esempio quando ho scoperto di avere una massa all'inguine. Era un rigonfiamento, duro come un sasso, grande come una pallina oblunga. La mia reazione? Due settimane senza far nulla. Mi sono detto: "Magari passa. Vuoi vedere che fra qualche giorno non ci sarà più? Non ho voglia di affrontare visite ed esami per un falso allarme. Odio gli ospedali".
Questo mio atteggiamento nasce anche da un'idea completamente sbagliata e irrazionale: la paura che gli esami possano creare malattie dal nulla. In pratica una zona oscura del mio cervello ragiona (si fa per dire) più o meno così: sei perfettamente sano, fai l'esame e ti trovano qualcosa. Lo so, non c'è niente di logico in questa convinzione, ma la mia mente non è mai stata fatta di pura logica.
Per quasi due settimane ho cercato di non pensarci anche perché ero in preda all'imbarazzo. Tra tutti i posti, proprio all'inguine doveva capitarmi? Ma la massa non ha dato cenni di sparizione e alla fine mi sono attivato.
Ho riscritto cinquanta volte il messaggio su WhatsApp prima di inviarlo alla mia dottoressa per fissare una visita, perché ogni volta il testo mi sembrava una molestia sessuale: "Buona sera, dottoressa, ho questa massa dura all'inguine e vorrei chiederle un appuntamento per mostrargliela". "Buona sera, dottoressa, ho un rigonfiamento...". Dopo un numero incalcolabile di tentativi, ho trovato le parole giuste e ho scritto un messaggio asettico, inequivocabilmente sanitario, con un perfetto stile burocratico ospedaliero.
Sono stato una mammoletta nei tre mesi e mezzo necessari per giungere alla diagnosi.
Sono stato una mammoletta nel giorno della TAC con mezzo di contrasto. Quella mattina sono giunto all'ospedale in autobus, dopo una notte insonne. Alla fermata ho controllato la cartella che conteneva i documenti. C'erano referti di ecografie, pareri medici e soprattutto l'impegnativa da presentare per svolgere l'esame. Ho controllato perché sono una persona molto precisa, di quelle che tornano indietro mille volte per verificare di aver chiuso il gas. "Non manca nulla", mi sono detto. Ho rimesso i documenti nella borsa. Ho raccolto le forze, mi sono alzato dalla panchina e ho raggiunto l'accettazione dell'ospedale. Senza la borsa. Vi lascio immaginare questa sequenza di eventi: imprecazione, insulti molto pesanti rivolti contro me stesso, corsa a perdifiato verso la fermata. La borsa era ancora lì. Nessuno me l'aveva fregata.
Per fortuna scelgo solo borse brutte.
Sono stato una mammoletta in occasione della PET, che ha rispettato un copione simile a quello della TAC. Venivo da una notte insonne e non ero in grado di comprendere istruzioni elementari, perché la mia intelligenza svanisce quando affronto esami medici. Mi chiedevano di porgere il braccio sinistro e porgevo il destro. Mi chiedevano il nome e recitavo il codice fiscale.
Sono stato una mammoletta quando mi hanno comunicato il risultato della biopsia. Per un considerevole lasso di tempo non ci ho capito nulla. La mia coscienza era come una trasmittente che passava una musica di pianoforte triste sentita mille volte in TV: quella che certi telegiornali usano per le notizie strappalacrime.
Ora guardo al futuro e la mia ambizione non ha limiti: raggiungerò nuove vette nel campo del mammolettismo. So di essere fortunato per molti motivi: l'ematologo, un tipo simpatico, mi ha rassicurato. Le terapie esistono e sono molto efficaci.
Ma mi lamenterò tantissimo, perché non voglio correre il rischio di essere considerato una persona ammirevole da qualcuno. Non lo ero, non lo sono e non lo sarò mai. Rivendico il diritto di essere fragile e fifone. Lasciatemi libero di essere una mammoletta. Per citare un motto di Anarchik, il mio piano è questo: farò del mio peggio.
[L'Ideota]
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be-appy-71 · 23 days ago
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Credo che guardare la propria donna in preda all'imminente orgasmo, sia il gesto romantico più bello.
Credo che guardarsi mentre ci si dà piacere,
sia l'apoteosi del fare l'amore.
Credo che amarsi selvaggiamente, sia lo sfinimento più dolce che esista.
Credo che l'abbraccio forte dopo aver fatto l'amore, valga più di un “sei bellissima”.
Credo che regalare un orgasmo lento alla propria donna, valga più di un diamante.
Credo che tutta la dolcezza dell'amore, sia racchiusa in un bacio sul naso o sulla fronte.
Ma credo che anche guardare la propria donna dormire, sia un gesto d'amore.
In un letto ad una piazza e mezza magari, dove in due, non si sta né troppo stretti e né troppo larghi. Nello stesso letto dove, qualche ora prima, si stava abbracciati in un unico respiro, dove fare l'amore e parlarsi era un tutt'uno, dove far l'amore era un'esigenza, dove il mondo cessava di esistere con le sue albe e i suoi tramonti.
E ora guardarla, addormentata stanca, con addosso ancora il profumo degli orgasmi e con indosso solo la tua camicia... ♠️🔥
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fioredialabastro · 2 months ago
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Amare per sempre
Questi giorni convulsi e ventosi hanno rischiato di mandare nuovamente in subbuglio i miei fragili equilibri faticosamente conquistati. "Non sei una donna da amare per sempre", sussurrò l'altro ieri una voce maligna e menzognera dalle ferite ancora fresche, inerpicandosi come un'edera velenosa e infestante sulle pareti della mia mente agitata. "È già la terza volta che un uomo, sia in amore che in amicizia, conquista la tua fiducia, dimostra di volerti bene e poi, dal nulla, senza spiegazioni logiche, cambia natura, ti umilia, ti allontana. Fossi in te, mi farei qualche domanda; tu spaventi: leggi le anime altrui con estrema naturalezza e facilità, mettendo in luce elementi che loro non avevano notato, o meglio, non volevano far emergere; sei terribilmente scomoda, una spina nel fianco, soprattutto perché quella instancabile attività di introspezione la metti in opera innanzitutto in te stessa, poi in ogni situazione che ti circonda, diventando praticamente insostenibile. Inoltre, non potendo fare affidamento su una bellezza estetica impattante, tu seduci con la mente e con l'anima, ma con un'intensità tale da atterrire e assopire ogni desiderio virile. Insomma, non sei una donna da amare per sempre: gli uomini ti stimano, ti ammirano, al massimo ti scelgono come amica fidata, ma alla fine ti lasciano sola e corrono sempre tra le braccia di un'altra, evidentemente più semplice da tollerare." Rimasi in silenzio, osservando il vento che strattonava la mia chioma e quelle dei tigli e delle betulle dinanzi a me: "È incredibile come il male riesca a mentire pur mostrandoti la verità", sussurrai flebilmente. Improvvisamente, scossi il capo, come se mi fossi destata da un sortilegio; osservai il cielo annuvolato e m'inondai d'avorio, gli occhi bacini di lacrime ricolme di gratitudine. "Sì, Dio mi ha creata insostenibile, come il peso delle montagne; eppure, anche se solo Lui è in grado di sollevarle e alleggerirle, tra gli uomini c'è sempre chi è capace di amarle e scalarle!" Esclamai, squarciando con la lama i rami soffocanti del funesto rampicante; poi mi misi a correre controvento, ridendo come una menade in preda alla follia, pensando ai miei affetti più cari, che ogni giorno scelgono di starmi accanto e condividono il cammino, rendendo speciale ogni passo, alla cagnolina della vicina disposta a prendersi la pioggia pur di coccolarmi appena giunta a casa, alle civette impavide ululanti sopra i tetti prima che sopraggiungano le tenebre, ma soprattutto al fatto che sono una donna che ama per sempre, e questo mi basta.
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smokingago · 9 months ago
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Credo che guardare la propria donna in preda all'imminente orgasmo, sia il gesto romatico più bello che ci sia, come sentire l'effetto che si fa sul proprio uomo.
Credo che guardarsi mentre ci si provoca piacere, sia l'apoteosi del fare l'amore.
Credo che fottersi selvaggiamente sia lo sfinimento più dolce che esista.
Credo che un pompino ben fatto valga più di un ‘ti amo’’.
Credo che l'abbraccio forte dopo il sesso valga più di un “sei bellissima”.
Credo che regalare un orgasmo lento alla propria donna valga più di un diamante.
Credo che tutto l'amore che c'è sia racchiuso nel bacio sul naso.
Credo che guardare la propria donna dormire, sia il gesto d'amore più bello che ci sia; in quel letto, lì, a una piazza e mezza, dove in due non si sta nè troppo stretti, nè troppo larghi,in quel letto lì dove qualche ora prima ci si stava stretti in un unico respiro, dove fare l'amore e parlarsi era un tutt'uno, dove far l'amore era una esigenza, dove il mondo cessava di esistere con le sue albe e i suoi tramonti, ed ora guardare la propria donna dormirci è bellissimo.
E lo è ancora di più, se si è addormentata stanca con indosso ancora il profumo degli orgasmi o la tua t-shirt, e se, nel sonno, distrattamente, ti cerca con le gambe, le labbra, le mani.
Quello è l'amore.
Lo senti.
Di notte, quando tutto tace.
Nebulosa di Venere
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diceriadelluntore · 4 months ago
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Storia Di Musica #333 - Elvis Costello & The Attractions, Get Happy!!, 1980
Quando, in una sera del 1976, gli venne l’idea di presentarsi con un nome d’arte omaggio alla sua nonna, pensava forse che sebbene volenteroso, il suo vero, Declan Patrick Aloysious McManus, sarebbe stato preso per uno scherzo. Quella sera si presenta come D.P. Costello, che cambierà nel definito Elvis Costello, come omaggio al Re del Rock’n’Roll. Occhialoni alla Buddy Holly, look che esibiva orgogliosamente il suo essere fuori moda, a metà degli anni ’70 Costello è un giovane arrabbiato che ha le carte in regole per dire la sua, in modo interessante, oltre il nichilismo furbetto del punk. Quando Nick Lowe, suo amico e collaboratore, gli trova un ingaggio per la Stiff Records, lui non essendo in totale fiducia decise di non abbandonare il proprio posto da operaio nella ditta di cosmetici Elizabeth Arden (a cui dedicher�� una stupenda canzone, I’m Not Angry). In effetti non erano tempi da cantautori, ma bastano i primi guizzi di My Aim Is True (1977) per sgombrare il campo: l’offensiva antifascista di Less Than Zero unite a doti melodiche di alto livello (la mitica Alison, suo pezzo culto) presentano al pubblico un nuovo modo di raccontare musicalmente i tempi. La seconda prova è ancora meglio: This Year’s Model (1978) lo vede insieme ai The Attractions, il gruppo di Stevie Nieve (alle tastiere) e Bruce Thomas (basso) e Pete Thomas (batteria, i due non erano parenti), e in un disco multiforme, dai testi lunghissimi, sciorina la sua bravura in canzoni stupende come I Dont’ Want To Go To Chelsea, Pump It Up (altro inno di quegli anni), Little Triggers e Night Rally. È richiestissimo e parte per Tour in Europa e Stati Uniti. Nelle pause delle date, scrive sull’onda dell’entusiasmo altre canzoni, che compongono il terzo disco in tre anni, Armed Forces (1979): segnato dallo stress e dai primi, evidenti eccessi di vita, è un disco ansiogeno e un po’ frettoloso, che alle belle e ormai garantite belle canzoni aggiunge riempitivi. Sarebbe tutto normale, ma le cose stanno prendendo una brutta piega: le dipendenze da alcool e droga lo rendono nervoso e aggressivo e durante il tour americano, a Columbus, in Ohio, si incontrò con Stephen Stills nel bar dell’Holyday Inn. Qui in preda a deliri alcolici sbiascica pesantissimi insulti razzisti a James Brown e Ray Charles, litiga fino alle mani con la cantante Bonnie Bramlett (che era diventata famosa nel duo con il marito Delaney & Bonnie) e vede in un attimo disintegrarsi la sua reputazione negli Stati Uniti. Ci furono ulteriori polemiche poiché la vicenda fu quasi semi oscurata dai giornali britannici. Le successive scuse in una goffa conferenza stampa non servirono a nulla. Torna in patria e nel 1979 produce il primo, storico, album degli Specials, fa l’attore in Americathon (semisconosciuto film di Neil Israel, dove Costello si esibisce cantando Crawling In the USA). Durante la produzione del disco degli Specials, scrive e suona da solo tutti gli strumenti per del nuovo materiale nei piccoli studi di registrazione Archipelago (scritto così) di Pimlico, nei sobborghi londinesi. Costello ha la necessità di dare un taglio al suono precedente e per il nuovo si ispira alla musica afroamericana degli anni ’60, allo ska, e ha tantissime cose da dire.
Get Happy!! (che esce nel 1980) prende il titolo dalla canzone omonima composta da Harold Arlen, con i testi scritti da Ted Koehler, negli anni ’30 del ‘900, che riprendeva un testo di tipo evangelico. Fu portata al successo da Judy Garland e negli anni è divenuto uno standard per centinaia di artisti. Registrato tra Londra e i Paesi Bassi, a Hilversum, prodotto da Nick Lowe e Roger Béchirian, è un disco-mondo dove Costello mette 20 brani, molti dei quali brevissimi, meno di 2 minuti. È una prova di amore per quella musica, e anche di liberazione in un certo senso (nonostante anche durante le sessioni perdureranno i problemi con alcool e droghe). Ci sono due cover: I Can't Stand Up For Falling Down di Sam & Dave e I Stand Accused dei Merseybeats come omaggio al mai abbandonato amore per il suono di Liverpool. Per il resto, l’enormità (per l’epoca dove esistevano solo i vinili) dei 18 pezzi rimanenti passano dagli omaggi fin troppo sfacciati (Temptation è in pratica la Time Is Tight di Booker T & The MG’s con un testo diverso),a canzoni stupende come Love Me Tender (che apriva il disco), Possession, King Horse fino ai capolavori come New Amsterdam elegia sulla selvaggia New York, High Fidelity, doloroso e drammatico affresco sulle delusioni dell’amore e Riot Act, canzone scritta sui fatti di Columbus. L’omaggio alla musica r’n’b è evidente nella copertina: dalla grafica e dai colori cari alla Stax di Memphis, vedeva tre foto identiche di Costello sfalsate in colori acidi, e aveva una particolarità: l’effetto vissuto del cerchio bianco proprio al centro, a imitare il consumo dell’uso eccessivo. Tra l’altro le prime edizioni avevano la scaletta scritta al contrario, con Riot Act primo brano e Love Me Tender ultima, e valgono di più nel mercato dei collezionisti.
Il disco all’epoca fu accolto con grande favore dalla critica e dal pubblico: numero 2 in Gran Bretagna e un sorprendente numero 11 negli Stati Uniti. Negli anni il disco ha guadagnato ancora più favori, sottolineando la scelta niente affatto facile di Costello di distaccarsi sempre con intelligenza dai generi imperanti per la ricerca di una via personale alla sua necessità di musica. Scriverà un altro disco capolavoro, Imperial Bedroom (1982) che è una grande prova di pop d’autore, che aprirà le porte ad una nuova trasformazione verso un colto, raffinato, ma un po’ meno eccitante, modello di voce-pianoforte che diventerà il modulo classico della maturità costelliana. Ne ha fatta di strada in decenni quel tipo con gli occhialoni che prese in prestito dalla nonna il suo nome d’arte per la celebrità.
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palmiz · 7 months ago
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Negli anni ’90 molte band si spendevano su temi antifascisti. C’erano anche più locali, ambienti più piccoli di condivisione, i concerti costavano meno, c’era più autonomia nell’organizzazione e i mega-eventi non avevano ancora vampirizzato la musica dal vivo. Quale immaginario può offrire la musica a una società disgregata come quella di oggi?
I mega-eventi rappresentano la più autentica manifestazione del capitalismo nell’ambito della musica. È lì che si consuma il triste rito dell’inutile: la musica diventa ciò che il Capitale vuole che sia, semplice merce. Gli «artisti» diventano merce, le loro canzoni, le parole, gli arrangiamenti, e il pubblico, ovviamente. Tutto è reificato, la poesia ridotta a cosa, la speranza a indifferenza. Se osserviamo le classifiche, ci sono i rospi della trap, quelli del turpiloquio che sguazzano nel pantano sintattico di una grammatica mai conosciuta, in cima a tutti. Sono giovanissimi, disagiati, vengono dalle periferie, e invece di reagire all’ingiustizia sociale, come americani qualsiasi in preda all’astinenza, in quell’ingiustizia colgono l’opportunità di arricchirsi di soldi e fama. Poveri schiavi, i tatuaggi resteranno loro impressi sulla pelle per tutta la vita. È il fallimento antropologico-culturale di un paese, e il guaio è che sembra un destino.
Pierpaolo Capovilla
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viendiletto · 9 months ago
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Foiba di Basovizza e Monrupino (Trieste) – Oggi monumenti nazionali. Diverse centinaia sono gli infoibati in esse precipitati.
Foiba di Scadaicina sulla strada di Fiume.
Foiba di Podubbo – Non è stato possibile, per difficoltà, il recupero. Il Piccolo del 5.12.1945 riferisce che coloro che si sono calati nella profondità di 190 metri, hanno individuato cinque corpi – tra cui quello di una donna completamente nuda – non identificabili a causa della decomposizione.
Foiba di Drenchia – Secondo Diego De Castro vi sarebbero cadaveri di donne, ragazze e partigiani dell’Osoppo.
Abisso di Semich – “…Un’ispezione del 1944 accertò che i partigiani di Tito, nel settembre precedente, avevano precipitato nell’abisso di Semich (presso Lanischie), profondo 190 metri, un centinaio di sventurati: soldati italiani e civili, uomini e donne, quasi tutti prima seviziati e ancor vivi. Impossibile sapere il numero di quelli che furono gettati a guerra finita, durante l’orrendo 1945 e dopo. Questa è stata fina delle tante Foibe carsiche trovate adatte, con approvazione dei superiori, dai cosiddetti tribunali popolari, per consumare varie nefandezze. La Foiba ingoiò indistintamente chiunque avesse sentimenti italiani, avesse sostenuto cariche o fosse semplicemente oggetto di sospetti e di rancori. Per giorni e giorni la gente aveva sentito urla strazianti provenire dall’abisso, le grida dei rimasti in vita, sia perché trattenuti dagli spuntoni di roccia, sia perché resi folli dalla disperazione. Prolungavano l’atroce agonia con sollievo dell’acqua stillante. Il prato conservò per mesi le impronte degli autocarri arrivati qua, grevi del loro carico umano, imbarcato senza ritorno…” (Testimonianza di Mons. Parentin – da La Voce Giuliana del 16.12.1980).
Foibe di Opicina, di Campagna e di Corgnale – “Vennero infoibate circa duecento persone e tra queste figurano una donna ed un bambino, rei di essere moglie e figlio di un carabiniere …” (G. Holzer 1946).
Foibe di Sesana e Orle – Nel 1946 sono stati recuperati corpi infoibati.
Foiba di Casserova sulla strada di Fiume, tra Obrovo e Golazzo. Ci sono stati precipitati tedeschi, uomini e donne italiani, sloveni, molti ancora vivi, poi, dopo aver gettato benzina e bombe a mano, l’imboccatura veniva fatta saltare. Difficilissimi i recuperi.
Abisso di Semez – Il 7 maggio 1944 vengono individuati resti umani corrispondenti a ottanta – cento persone. Nel 1945 fu ancora “usato”.
Foiba di Gropada – Sono recuperate cinque salme. “Il 12 maggio 1945 furono fatte precipitare nel bosco di Gropada trentaquattro persone, previa svestizione e colpo di rivoltella “alla nuca”. Tra le ultime: Dora Ciok, Rodolfo Zuliani, Alberto Marega, Angelo Bisazzi, Luigi Zerial e Domenico Mari”.
Foiba di Vifia Orizi – Nel mese di maggio del 1945, gli abitanti del circondario videro lunghe file di prigionieri, alcuni dei quali recitavano il Padre Nostro, scortati da partigiani armati di mitra, essere condotte verso la voragine. Le testimonianze sono concordi nell’indicare in circa duecento i prigionieri eliminati.
Foiba di Cernovizza (Pisino) – Secondo voci degli abitanti del circondario le vittime sarebbero un centinaio. L’imboccatura della Foiba, nell’autunno del 1945, è stata fatta franare.
Foiba di Obrovo (Fiume) – È luogo di sepoltura di tanti fiumani, deportati senza ritorno.
Foiba di Raspo – Usata come luogo di genocidio di italiani sia nel 1943 che nel 1945. Imprecisato il numero delle vittime.
Foiba di Brestovizza – Così narra la vicenda di una infoibata il “Giornale di Trieste” in data 14.08.1947. “Gli assassini l’avevano brutalmente malmenata, spezzandole le braccia prima di scaraventarla viva nella Foiba. Per tre giorni, dicono i contadini, si sono sentite le urla della misera che giaceva ferita, in preda al terrore, sul fondo della grotta.”
Foiba di Zavni (Foresta di Tarnova) – Luogo di martirio dei carabinieri di Gorizia e di altre centinaia di sloveni oppositori del regime di Tito.
Foiba di Gargaro o Podgomila (Gorizia) – Vi furono gettate circa ottanta persone.
Capodistria – Le Foibe – Dichiarazioni rese da Leander Cunja, responsabile della Commissione di indagine sulle Foibe del capodistriano, nominata dal Consiglio esecutivo dell’Assemblea comunale di Capodistria: “Nel capodistriano vi sono centosedici cavità, delle ottantuno cavità con entrata verticale abbiamo verificato che diciannove contenevano resti umani. Da dieci cavità sono stati tratti cinquantacinque corpi umani che sono stati inviati all’Istituto di medicina legale di Lubiana. Nella zona si dice che sono finiti in Foiba, provenienti dalla zona di S. Servolo, circa centoventi persone di etnia italiana e slovena, tra cui il parroco di S. Servolo, Placido Sansi. I civili infoibati provenivano dalla terra di S. Dorligo della Valle. I capodistriani, infatti, venivano condotti, per essere deportati ed uccisi, nell’interno, verso Pinguente. Le Foibe del capodistriano sono state usate nel dopoguerra come discariche di varie industrie, tra le quali un salumificio della zona”.
Foiba di Vines – Recuperate dal Maresciallo Harzarich dal 16.10.1943 al 25.10.1943 cinquantuno salme riconosciute. In questa Foiba, sul cui fondo scorre dell’acqua, gli assassinati dopo essere stati torturati, finirono precipitati con una pietra legata con un filo di ferro alle mani. Furono poi lanciate delle bombe a mano nell’interno. Unico superstite, Giovanni Radeticchio, ha raccontato il fatto.
Cava di Bauxite di Gallignana – Recuperate dal 31 novembre 1943 all’8 dicembre 1943 ventitré salme di cui sei riconosciute. Don Angelo Tarticchio nato nel 1907 a Gallesano d’Istria, parroco di Villa di Rovigno. Il 16 settembre 1943 – aveva trentasei anni – fu arrestato dai partigiani comunisti, malmenato ed ingiuriato insieme ad altri trenta dei suoi parrocchiani, e, dopo orribili sevizie, fu buttato nella foiba di Gallignana. Quando fu riesumato lo trovarono completamente nudo, con una corona di spine conficcata sulla testa, i genitali tagliati e messi in bocca.
Foiba di Terli – Recuperate nel novembre del 1943 ventiquattro salme, riconosciute.
Foiba di Treghelizza – Recuperate nel novembre del 1943 due salme, riconosciute.
Foiba di Pucicchi – Recuperate nel novembre del 1943 undici salme di cui quattro riconosciute.
Foiba di Surani – Recuperate nel novembre del 1943 ventisei salme di cui ventuno riconosciute.
Foiba di Cregli – Recuperate nel dicembre del 1943 otto salme, riconosciute.
Foiba di Cernizza – Recuperate nel dicembre del 1943 due salme, riconosciute.
Foiba di Vescovado – Scoperte sei salme di cui una identificata.
Altre foibe da cui non fu possibile eseguire recupero nel periodo 1943 – 1945: Semi – Jurani – Gimino – Barbana – Abisso Bertarelli – Rozzo – Iadruichi.
Foiba di Cocevie a 70 chilometri a sud-ovest da Lubiana
Foiba di San Salvaro
Foiba Bertarelli (Pinguente) – Qui gli abitanti vedevano ogni sera passare colonne di prigionieri ma non ne vedevano mai il ritorno.
Foiba di Gropada
Foiba di San Lorenzo di Basovizza
Foiba di Odolina – Vicino Bacia, sulla strada per Matteria, nel fondo dei Marenzi.
Foiba di Beca – Nei pressi di Cosina.
Foibe di Castelnuovo d’Istria – “Sono state poi riadoperate – continua il rapporto del CLN – le foibe istriane, già usate nell’ottobre del 1943”.
Cava di bauxite di Lindaro
Foiba di Sepec (Rozzo)
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lamargi · 6 months ago
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Noi due sorelle siamo sempre state in competizione su tutto. Specialmente su chi accalappiava più uomini.
Per fortuna abbiamo gusti diversi. Ma quando a quel matrimonio di famiglia abbiamo visto il nostro cuginetto ….per la prima volta ci siamo trovate a guardare lo stesso ragazzo. E che ragazzo. Lo ricordavamo dal l’ultima volta un adolescente brufoloso che ci divertivamo a stuzzicare e prendere in giro. Ora avevamo di fronte un bel pezzo di maschio. Sempre un po’ timido e remissivo davanti alle sue cuginette. Ma sia io che mia sorella avevamo formulato lo stesso pensiero contemporaneamente:”che bono!”
Un attimo prima ci guardavamo con odio perché avevamo scoperto di aver scelto lo stesso vestito. Adesso un rapido scambio di occhiate ci aveva reciprocamente confermato che puntavamo alla stessa preda.
Lasciare la cerimonia senza che nessuno ci notasse è stato facile. Trascinarci dietro Davide è stato ancora più facile, dopo averlo fatto impazzire con le nostre battutine, le strizzatine d’occhio, le carezzine e i pizzicotti sul sedere, strofinandogli le gambe addosso mentre lo facevamo bere….
“smettetela, non sono più un bambino, non sono più il vostro giocattolo…..” ha farfugliato.
“ah no?” abbiamo risposto insieme, mentre lo spingevamo dentro una camera vuota.
La sua resistenza è durata il tempo necessario a toglierli i vestiti, buttarlo nudo sul letto e saltargli addosso.
La tregua tra di noi è durata il tempo che ci siamo divertite a farcelo (abbastanza a lungo visto che Davide si è rivelato, oltre che bono, anche resistente…)
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worldofdarkmoods · 2 months ago
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4 SETTEMBRE
Non mi sento bene, mi sento vuota, come se nulla avesse senso. Ho sempre avuto paura, tantissima paura di cadere in depressione. Mi sono sempre fatta da psicologa, analizzo ogni mio comportamento, mi chiedo perché ho fatto questo, perché sono cosi.
Conosco i miei periodi no, però ora è come se non ne avessi voglia, come se volessi lasciarmi andare. E non capisco il perché. Prima dicevo, a 16 anni è normale, a 18 anni ancora ancora, e oggi, oggi sono 21 anni e io sono la stessa, se non peggio, con tutti i miei disagi, con tutti i miei problemi, con tutta la mia voglia di cambiare a cui penso la notte e la mia non voglia di fare nulla con cui mi sveglio la mattina seguente. 
Io sono sempre stata serena, ma poi c'è quel vuoto, la voglia di ricominciare da un'altra parte, la voglio di essere una sconosciuta, e poi quella voglia di sparire per sempre…
Voglio fare qualcosa ma è come se il mio letto mi tenesse legata. La mia testa e il mio corpo non si aiutano, ognuno fa quel che vuole. Il mio corpo è stanco, la mia testa pensa sempre, sempre, senza mai fare nulla. 
Che senso ha questa vita? Che senso ha svegliarsi ogni mattina chiedendosi il senso di tutto questo? 
Mi sento vuota vuota vuota vuota ed è la sensazione più brutta che io abbia mai provato.
IL VUOTO È ORRIBILE
La depressione ti svuota, sei facile preda dell’ansia della paranoia, sei indifesa davanti ai tuoi pensieri. Li vedi attorcigliarsi, ossessionarti e piano piano senza rendertene conto ti sgretoli senza trovare più una via d’uscita chiedendoti che senso abbia tutto questo.
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callmeaphry · 3 months ago
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Finiamo per distrarre Athena e Crono le prenderà la pistola. Non possiamo muoverci, Haven.>>>>
Non può finire così. Non riesco a credere che Athena ucciderà Crono. Che commetterà un vero e proprio omicidio, qui, sul tetto dell'ala est di Yale. «Athena» la voce roca di Apollo è spaventata «pensaci bene.>> A parlare subito dopo è, forse, la persona di cui Athena si fida mag- giormente. Aphrodite. Con le lacrime agli occhi e il viso paonazzo. <<<Athena, premi il grilletto» le grida. <Ce la caveremo. Ma non possiamo più vivere così. Premilo!>>>
Athena volge lo sguardo verso la sorella. È questione di attimi. Un battito di ciglia. Che mi fa comprendere all'istante il loro rapporto; perché Aphrodite le andasse sempre dietro per placare i suoi attacchi d'ira, perché si occupasse lei di calmarla. Ma mi fa anche capire, per la prima volta, cosa significhi compiere un errore fatale.
Crono afferra la pistola con un gesto fulmineo. Athena non la molla però, lotta per riappropriarsene. «Premi il grilletto, Athena!» la esorta il padre. <<Fai come ti ha detto quella figlia ingrata. Premi il grilletto e sparami! Fallo! Coraggio!>>>
L'arma è ancora puntata contro di lui, ma un colpo del genere è rischioso. D'altronde, Athena non può resistere a lungo. Crono è più forte e riuscirà a strapparle la pistola dalle mani.
Hades scatta in avanti, per aiutarla, e Apollo prende il suo posto coprendomi con il suo corpo. Mi scanso di lato, infastidita e disperata. Lo richiamo, il panico che si impossessa di me e la paura folle che lo feriscano.
Athena urla ad Hades di farsi da parte. Crono continua a ripeterle di sparare.
E Athena lo fa. Preme il grilletto. Nello stesso momento in cui Crono dà un colpo secco alla pistola e le fa virare la traiettoria di centottanta gradi. Il colpo parte con un botto. E negli occhi di Athena sopraggiunge il terrore puro.
Sento Apollo gridare un <<no>> soffocato dal respiro che gli si mozza e la voce che viene a mancare. Qualcun altro lo imita, ma non riconosco chi sia. Sono troppo presa dal seguire la traiettoria del proiettile.
Non vedo chi ha colpito fino a quando il corpo di Aphrodite non si accascia a terra, i lunghi capelli dorati che svolazzano nell'aria. Hermes, li accanto, la afferra al volo, prima che sbatta la nuca contro il pavimento.Nel petto, all'altezza del cuore, una chiazza di sangue si sta allargando e macchia di rosso il bianco del maglione.
<<<Sai una cosa? Sono contento che le stelle siano numerose. Vuol dire che avrai bisogno di tanti anni per contarle e che quindi resteremo insieme a lungo.»La prima cosa che sento, dopo il colpo di pistola, è un urlo. Dell'ultima persona da cui me lo sarei aspettata: Crono. Scatta in avanti, con la mano tesa come se potesse afferrare Aphrodite e proteggerla dal pro- iettile che l'ha già colpita. Cade in ginocchio, con una forza tale che non dubito si sia fatto male. È l'urlo di un padre per la figlia che ama
La seconda cosa che sento è la voce di Hermes. Stringe tra le braccia il corpo della sorella, tenendole la nuca sollevata. «No, no, no, no» ripete come una cantilena disperata. «Aphrodite, no, stai bene, tu stai bene.>>
Io non ho il coraggio di muovermi. Ogni muscolo del mio corpo è paralizzato, in preda a un terrore che ho provato poche volte nella mia vita. Dal petto di Aphrodite si sta allargando la ferita, tingendo il bianco candido del tessuto di un color cremisi che mi dà la nausea.
<<Dobbiamo chiamare un'ambulanza» irrompe Zeus, che nonostante il panico in viso riesce a ragionare in modo razionale. «Hera, chiama i soccorsi. Veloce.>>>>
<<<L'ho colpita io» decreta Athena, a pochi passi dalla sorella, gli occhi spalancati e il tono glaciale. Ha un sussulto. «L'ho uccisa? L'ho uccisa io.>>>
Apollo, pallido in viso, si inginocchia per studiare meglio la situazione.
Hermes scuote il capo, e le mani che reggono Aphrodite gli tremano così forte che mi viene da piangere. «Non è troppo tardi. Chiamate l'ambulanza. Chiamatela!» Aphrodite emette un pantolo flebile e gli occhi si aprono in un piccolissimo spiraglio, rivelando il suo azzurro intenso, così simile a quello del gemello, Hermes. «Herm..>> sussurra.Lui la stringe a sé, cullandola come un neonato. «Non parlare, non parlare, risparmia le forze. Tieni gli occhi aperti e non parlare. Va tutto bene. Arriverà l'ambulanza. Arriverà.>>>
Aphrodite scuote la testa, già rassegnata. Il viso è imperlato dal sudore, diventa sempre più pallido. Il suo petto è scosso da respiri irregolari e affaticati. Non ce la fa più. Non smettere di contare, Herm» mormora. «Non smettere di contare le stelle.>>>
Non ho idea di cosa voglia dire, sembra qualcosa di privato, un segre- to che custodiscono tra loro. Infatti, Hermes replica: «Avevi promesso che le avresti contate tu, per me. Tutta la vita. E che mi avresti detto il numero. Resta qui, Aphrodite. Resta, e continua a contare le stelle nel cielo, Continua a contare». La voce gli si spezza e sta per piangere.
Lei abbozza un sorriso triste, ma carico d'amore. «Non perdere chi sei, Hermes. Promettimelo. Vai avanti. E...>>>>
Restiamo in attesa che continui la frase; Aphrodite allunga il braccio alla sua sinistra, dove sa che c'è Athena. La richiama per un istante, poi perde le forze e lascia che il braccio ricada per terra.
<<<...non darti la colpa, Athena» aggiunge.
Un altro rantolo.
Hermes continua a ripetere «no».
Apollo è immobile, incapace come me di spostarsi di un solo millimetro.
Hades è più avanti, rigido e sotto choc.
Crono sta piangendo, ancora in ginocchio e con il corpo che trema per i singhiozzi disperati. La pelle del viso è paonazza, bagnata dai fiumi di lacrime che sgorgano senza sosta.
Aphrodite rivolge il suo ultimo sguardo al fratello, Hermes. <<Non smettere di contare, Eli.>>> Fa un ultimo respiro, che si blocca a metà. Una lacrima le scorre lungo la guancia e il suo corpo si rilassa, lasciandosi andare. Se ne va così, con gli occhi aperti e fissi sul cielo stellato sopra di lei, tra le braccia di suo fratello. La bocca appena ricurva in un sorriso rassegnato. <<Aphrodite...>> la richiama Hermes, incapace di comprendere cosa è appena successo. «Aphrodite? Aphrodite? No. Aphrodite!» continua,
imperterrito, scuotendola appena. Zeus e Poseidon gli si affiancano, afferrandolo per entrambe le braccia. Hera, invece, prova a prendere il suo posto per reggere ilcorpo di Aphrodite. Rimette in tasca il telefono, su cui aveva digitato il numero per chiamare i soccorsi. Come gia Aphrodite aveva capito non sarebbe servito a nulla. sarebbe seruiad allontanarli, a spingerli via con violenza La temi!> grida. «Lasciatemi con lei! Può ancora salvarsi! Non toccatemi, cazzo, o vi spacco la faccia! Dammi quel telefono!》
Zeus chiede, con un'occhiata, aiuto ad Hades e Apollo. Apollo, com riservato e chiuso, che se sta soffrendo non lo dà a vedere e cerca di mostrarsi in pieno controllo. Hades impiega qualche secondo per reagire, ma alla fine raggiunge Hermes e, insieme ad Apollo, lo solleva da terra.
Hermes scoppia in un pianto disperato. Non ho mai sentito qualcuno piangere con una tale intensità. Il suo dolore impregna l'aria attorno a noi e fa commuovere anche me. È un bambino indifeso. E non importa quanto Apollo e Hades provino a calmarlo e a sussurrargli che loro sono li per lui. Hermes singhiozza, si dimena con poca convinzione, e continua a chiamare il nome di Aphrodite.
A qualche metro di distanza mi accorgo di Athena. È inginocchiata per terra e ci dà le spalle. Solo quando il pianto di Hermes si fa si- lenzioso sento il rumore dei suoi conati. Sta vomitando e piangendo. Crono le tiene i capelli con la mano.
<<Non è colpa tua, Athena» lo sento bisbigliare. «Non è colpa tua. È colpa mia. Non darti la colpa. Non è colpa tua, Athena.>>>
Su questo sono d'accordo. Ma sono anche convinta che le sue parole non contino nulla per lei. Vivrà per sempre accompagnata dal rimorso. Ciò che spero, però, è che si ricordi di come Aphrodite, in agonia, abbia trovato la forza di dirle di non incolparsi.
<<<Dobbiamo portarla in Grecia per la sepoltura.>> È Crono a spezzare il silenzio. <<Dobbiamo dimenticare tutti i problemi che abbiamo e darle un degno funerale.>>> ✨️👸💔
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ash-t0-ash · 5 months ago
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H&O; Chapter II
"L'inferno è vuoto e tutti i diavoli sono qui"
All’esterno dell’accademia, la vita gli era sempre sembrata diversa. In un certo senso, Helyas provava invidia verso l’umanità che, ignara di tutto il male che si annidava tra le ombre della notte, si limitava a vivere, a respirare, a ridere e a piangere… seguendo semplicemente l’istinto del momento, l’emozione guida di cui lui era sempre spoglio.
Fosse nato soltanto umano, Helyas sarebbe stato come loro, proprio come uno di quei ragazzi che se ne stavano con la schiena a ridosso della porta del locale, con una bottiglia tra le mani e il sorriso ben stampato alle labbra.
Il destino, però, aveva riservato a Helyas un'altra prospettiva, lui era il vigilante della notte, lui badava che tutta quell’umanità non si dissolvesse sotto la falce dei demoni e no, non poteva permettersi distrazioni.
Così, come accadeva di consueto quando non aveva missioni particolari da svolgere, Helyas si limitava a vagare per le strade e ad assicurarsi che il male dormisse un altro po’.
In quel vicolo in particolare, le tettoie alte dei palazzi gli impedivano di scorgere sprazzi di cielo, se non saltuariamente, e un po’ questo gli faceva mancare l’aria. Helyas portava su di sé il marchio della tempesta e la sua dimensione ideale era all’aperto, alla mercé della terra e del cielo – soprattutto – eppure in quegl’ultimi giorni, qualcosa stava cambiando.
Ad ampie falcate attraversò la strada e si ritrovò sul marciapiede opposto al locale, se ne allontanò a malapena, quanto bastava affinché una poderosa luna piena riuscisse a far mostra della sua argentea perfezione… e le iridi scure di lui si levarono a guardarla in tutta quella magnificenza.
Forse non si era mai accorto di quanto potesse essere bella, la luna, per cui fu costretto a fermarsi e a fissarne le sfumature impercettibili, e come ultimamente gli accadeva spesso, il marchio della tempesta cominciò a dolergli.
Helyas digrignò i denti e fu costretto a sollevare la manica del giubbotto: i contorni del marchio si erano arrossati, come se sotto vi pulsasse il fuoco, e bruciavano… tanto che fu costretto a premere la pelle lesa contro la stoffa della manica.
E poi, un vociare sospetto ne attirò l’attenzione, più avanti, in un vicoletto poco più buio, uno strisciare viscido e dei versi strani, si rivelarono appartenere a una creatura demoniaca, lì pronta a divorare la preda che aveva già perso i sensi.
- Hey, mostro!
Col braccio che non gli doleva, Helyas afferrò il calcio della pistola già carica di proiettili di adamantio e la estrasse dalla fondina, puntandola immediatamente alla creatura che, resasi conto della presenza scomoda alle sue spalle, si volse schiudendo le fauci ghermite di denti aguzzi e lingue biforcute…
Ma prima che il marchiato potesse aprire il fuoco, la creatura mormorò qualcosa in quel linguaggio oscuro e antico e, stranamente, Helyas riuscì a comprenderne perfettamente il significato “Senti il richiamo della luna, vero?…” Helyas aggrottò la fronte a quelle parole e per un attimo, uno soltanto, esitò… tenendo l’arma ancora tesa verso la creatura rivoltante che, approfittando di quel momento di smarrimento, scattò verso Helyas afferrando il braccio armato tra le lingue per disarmarlo.
@ophelia-northwood
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der-papero · 11 months ago
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Una cosa che mi ha lasciato completamente spaesato è aver ripreso ieri la stessa metro che prendevo ai tempi dell'Uni per recarmi ad Ingegneria, facevo la tratta Piazza Garibaldi => Campi Flegrei.
So' passati vent'anni.
Un cambiamento radicale di tutto. Alla nuova Piazza mi ci ero abituato, ma ieri son sceso per la prima volta dopo tutto questo tempo in metro e non c'era nulla di quello che conoscevo. La vecchia edicola dove compravo i biglietti. Le posizioni dei tornelli. E, più importante di tutti, i treni.
In rete ho faticato per trovare qualche foto d'epoca, del resto, nel 1996 i cellulari non facevano fotografie, si usavano davvero solo per chiamare (i più fortunati potevano giocare a Snake), Internet andava a gasolio, e a chi ce l'aveva.
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Ieri mi sembrava di essere atterrato su un altro pianeta.
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All'epoca io prendevo anche il C15 dell'ATAN, per andare (quando dovevo) a Monte Sant'Angelo, e stavamo appesi ai sostegni delle porte dell'autobus lasciate aperte, visto che era impossibile chiuderle, che se uno mollava la presa si ritrovava culo per strada tipo Fantozzi.
Una volta bucò pure la metro, il macchinista andava a piedi sulla piattaforma del binario con la ruota di metallo pieno della metro sotto al braccio, esclamando in preda allo choc,
int a tant ann 'e carrier, 'na cos accusì nun l'aggie mai vist!!!
E invece oggi la metro ti dice anche da quale lato devi scendere, e anche in inglese ...
E se non credete a me, credete alle parole di un mio amico dell'Uni che ancora oggi la prende e non si fa ancora capace.
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Insomma, tutto questo per dirvi che ieri era tutto bellissimo ma, non so perché, io mi sentivo a disagio.
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fioredialabastro · 3 months ago
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Un frammento di luce
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L'altro giorno, arrivata al parcheggio, prima di entrare in auto, la mia attenzione ricadde su un foglietto, un punto di luce sull'asfalto tetro cotto dal sole. Mi avvicinai e sorrisi, lieta di poterne leggere il contenuto senza profanare il suo luogo di riposo: "crescenza, ditalini, conchigliette, linguine asciutte, farfalle, 2 te, 2 dadi, 2 vino rosso, 2 bianco, 2 latte, biscotti, Alice". La grafia, di mano sicura e dai tratti un po' infantili, assomiglia a quella di mia nonna e di altri suoi coetanei, perciò chi ha scritto questa lista della spesa potrebbe essere una persona anziana. Tuttavia, ciò che mi intenerisce è il fatto che, prima di annotarsi ciò che occorreva, l'autore misterioso abbia testato l'affidabilità dell'inchiostro, dalla corposità incerta ma ancora presente. Cos'altro emerge poi? Ah sì, Alice... È l'artefice? È colei che ha incaricato lo scrivente di tale quotidiana impresa? O forse non è un nome proprio ma si riferisce all'omonimo pesce azzurro, per quanto sia strano sentirlo nominare al singolare? Quanti indizi, quante suggestioni si possono cogliere da un semplice foglio scritto! Salii in macchina in preda di un'emozione febbrile, come se avessi scoperto uno scrigno ricolmo di tesori. In effetti lo era, almeno dal mio punto di vista: mi ero imbattuta in un vero e proprio spaccato di vita quotidiana, un gesto comune, ma personale, intimo, perciò autentico, naturale, non costruito. Un ritrovamento che ha il sapore delle ricerche di archivio che mi hanno accompagnato negli ultimi anni, ma anche delle ricette di famiglia, cartoline, lettere e fotografie sbiadite che hanno forgiato la mia infanzia. Spero che tale lista sia stata smarrita dopo e non prima della delicata missione gastronomica a cui siamo chiamati settimanalmente. In ogni caso, mi piace pensare che il compito di questo foglietto fosse quello di andare oltre la sua funzione primaria, divenendo una storia da raccontare ai passanti, una finestra sulle abitudini di persone sconosciute, ma che nella ricerca del cibo diventano come ciascuno di noi; un frammento di umanità e uguaglianza: un punto di luce sull'asfalto tetro cotto dal sole.
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ceina · 5 months ago
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Il mio omaggio a #Outlander
Ho finito Outlander, non ne avrò più di nuovo fino a Novembre, oltretutto è finito su un cliffhanger devastante, e io in questo momento, in preda a una vera e propria sensazione di astinenza come mi era successa soltanto con qualche libro da giovane, vorrei potermi smemorizzare come un hard disk.
Invidio chiunque di voi là fuori, anime affini, che non l’abbia ancora visto.
Probabilmente non è pane per i denti di tutti - ad esempio per me la scintilla non è mai scattata con Game of Thrones, e nemmeno con quel freddissimo capolavoro di Boardwalk Empire, per citare alcune serie che scaldano il cuore dei più ma non il mio- ma se amerete Outlander come l’ho amato io in questo mese, in cui mi ha tenuta calda la sera prima di dormire, come avevano potuto fare soltanto i libri della mia infanzia, state per godervi una delle storie più appassionanti degli anni duemila.
Claire (pure il nome!), infermiera militare britannica reduce di guerra, abituata agli orrori dell’ultimo conflitto mondiale sui fronti orientali e africani e nelle retrovie del D-Day, nel 1945, mentre tutti festeggiano la vittoria, è già straniera in patria e nel suo stesso mondo interiore.
Irrequieta e vivacissima, intelligente e piena di bontà, ormai cambiata dal dolore e segretamente colpita da stress post traumatico che si manifesta soprattutto con i forti rumori, Claire non ha più confidenza con il marito Frank, anche lui militare britannico dopo tanta guerra e tanta lontananza.
I due decidono, per cercare di salvare il proprio matrimonio, di passare una “seconda luna di miele” in Scozia, in una vacanza nei pressi del borgo medievale di Inverness, sulle montagne del nord del paese, per tornare a riconoscersi.
Qui Claire, durante una passeggiata solitaria per raccogliere alcuni fiori, viene attratta come da una calamita da un antico cerchio di pietre su un colle, dove la notte precedente lei e suo marito, storico militare, avevano assistito a una danza di un gruppo di persone del luogo che avevano salutato l’alba con un rito druidico.
Claire non lo sa, ma è una “viaggiatrice”: la storia non lo spiega ma qualche rara persona, forse per un retaggio magico e soprannaturale, per qualche lascito genetico extraterrestre o fatto della stessa essenza della Scozia immortale, può entrare in una sorta di risonanza con certi cerchi di pietre che sono veri e propri portali verso il passato.
A Craigh na Dun, nel cerchio di pietre, Claire, ipnotizzata dal loro canto, che solo lei può sentire, si appoggia ad una di esse e improvvisamente viene catapultata indietro di 200 anni, nel bel mezzo delle guerre tra Inghilterra e Scozia per la successione confessionale del trono tra Stuart e Hannover (gli odierni Windsor).
Da questo inizio sorprendente parte un’avventura alla “Angelica” che attraversa quarant’anni di storia europea e americana, vista attraverso gli occhi puri di Claire, eroina indomita e indimenticabile, pronta ad attraversare tempo e spazio per restare fedele al suo cuore e a quella che è, sempre in dubbio se poter cambiare la storia che lei conosce, o lasciare che le cose (e il dolore che ne deriva) facciano il loro corso ineluttabile.
Outlander è una storia indefinibile, non bene inquadrabile e molto originale, nessuno aveva mai pensato di ambientare un’opera sostanzialmente di fantascienza classica (c’è tutto Herbert G.Wells) nell’ambito delle guerre continentali tra settecento e primi dell’Ottocento, rappresentate come in un romanzo storico più che in un romance di costume e in costume.
L’originalità è la pausa di vent’anni tra i due ritorni “al passato” con la protagonista che si laurea in medicina, diventa un abile chirurgo, cresce la figlia e vive sostanzialmente una vita dissociata (lei è *sempre* straniera, “outlander”, “sassenach”, ovunque e in qualsiasi tempo si trovi) nella Boston della Golden age del secondo dopoguerra, poi torna dal suo grande amore, il buio e violento, e insieme tenerissimo Highlander Jamie nel settecento, ma vent’anni dopo, ed entrambi hanno già qualche filo grigio tra i capelli.
Si tratta di una rivisitazione elegantissima del classico romanzo d’appendice, ma di una qualità stellare.
Con momenti anche di stanca (avrei evitato sia la storia del pirata nella quinta stagione sia quella dello stupro di gruppo, c’è qualche scena d’amore sessuale di troppo per i miei gusti, io sono per il vedo non vedo), ma anche momenti di poesia purissima - l’episodio dello schiavo nella piantagione americana salvato da Claire soltanto per poi doverlo poi consegnare, il vecchio crudele abbandonato nella cabina dalla sua moglie bambina; le prime stagioni (meravigliose) che vedono “in diretta” la fine di un mondo ancora quasi medievale come quello delle highlands, in cui si usavano ancora le spade seicentesche di Toledo, per forza di quelli (gli inglesi) che erano a tutti gli effetti degli oppressori, le scene di battaglia nel nuovo mondo e tutto il filone sulla rivoluzione americana, le scene caraibiche degne di Stevenson e i suoi tesori nascosti, le traversate degne di Patrick O’Brian se non di Conrad, il mistero delle pietre e il “rumore” che sentono soltanto “i viaggiatori”, il personaggio struggente di Lord John, capo militare inglese, nobilissimo e puro di cuore, che amerà e rispetterà Jamie per tutta la vita sapendo di non poterlo mai avere, la potenza della medicina del novecento che deve districarsi nel segreto tra le superstizioni del settecento (Claire, medico del novecento, rischierà più volte di finire al rogo come strega)… come sempre non è quello che si prende dall’immaginario collettivo ma è dove lo si porti, come dice Jodorowsky. E in questo Ronald Moore (Battlestar Galactica) e Toni Graphia (Dr.Quinn, Medicine Woman) sono maestri.
Elegantissimo pastiche (polpettone? Polpettone sia), Outlander per me resta una delle cose più belle di sempre, degna dei miei libri di bambina, e del ricordo della mia mamma che per prima me li ha messi in mano.
Anche solo per quanto questa storia straordinaria mi abbia fatto pensare a lei, ne è valsa davvero la pena.
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