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Viaggi del Papa: Francesco in Mongolia
I viaggi del Papa proseguono senza sosta. Nonostante le condizioni fisiche non ottimali, Francesco ha deciso di proseguire la sua opera pastorale compiendo un viaggio che si prospetta come storico. La meta di questo nuovo viaggio di 5 giorni è nuovamente un paese asiatico: la Mongolia. Come sottolineato da una nota vaticana, l'attenzione del Pontefice per l'Asia è molto vivo e a testimoniarlo ci sono i viaggi finora compiuti in Corea, Sri Lanka, Filippine, Myanmar, Bangladesh, Thailandia, Giappone e Kazakhstan. Viaggi del Papa: un'agenda fitta di appuntamenti Papa Francesco è arrivato in Mongolia ieri, primo settembre; è atterrato allo scalo internazionale di Ullan Bator e dopo una breve cerimonia di accoglienza si è diretto alla volta della capitale Ulaanbaatar. E' nella capitale che si concentrerà la missione pontificia dal titolo "Sperare insieme" che si propone di conoscere il grande Paese attraverso i sensi e che si preannuncia ricca di appuntamenti. Uno di questi prevede, per esempio, l'incontro con la piccola comunità cattolica molto vivace che conta circa 1.500 fedeli. Per domenica 3, invece, è prevista la sua partecipazione all'evento ecumenico e interreligioso nell'Hun Theatre che vedrà insieme tutti i gruppi religiosi, osservatori del governo ed esponenti del mondo universitario. La tradizione dei telegrammi Anche per questo viaggio in Mongolia, Papa Francesco ha mantenuto viva la tradizione di inviare telegrammi di saluto ai capi di Stato dei Paesi sorvolati durante il tragitto. La rotta ha previsto il sorvolo di Italia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Serbia/Montenegro, Bulgaria, Turchia, Georgia, Azerbaijan, Kazakistan, Cina. Per ciascun capo di Stato di questi Paesi Papa Francesco ha avuto parole di pace e fratellanza. Al presidente croato Zoran Milanović, per esempio, Papa Francesco ha ricordato la recente visita in Vaticano del 2021. Parole di pace e unità sono state espresse ai presidenti di Bosnia, Serbia, Croazia e Montenegro. Benedizioni divine e armonia fraterna sono state invocate nei telegrammi indirizzati ai capi di Stato di Turchia, Georgia e Azerbaijan. L'ultimo Paese a essere sorvolato prima di arrivare in Mongolia è stato la Cina. Nel suo telegramma a Xi Jinping, Papa Francesco ha invocato una benedizione di unità e pace sul Paese. Il 43esimo viaggio di Papa Francesco Questo in Mongolia è il 43esimo viaggio di Papa Francesco. Il Paese di Gengis Khan è, invece, il 61esimo visitato da Papa Francesco e il primo a essere visitato da un pontefice. La distanza tra Roma e Ulan Bator è di 8.280 chilometri percorsi in 9 ore e mezza all'andata e in 11 ore e 20 minuti al ritorno. Tra i due Stati ci sono 6 ore di fuso orario. Il Papa, partito il 31 agosto per fare ritorno il 4 settembre, è accompagnato dal suo seguito e da una flotta di circa 70 professionisti tra giornalisti e tecnici. In copertina foto di Peter & Xiao Harris da Pixabay Read the full article
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Al di là del nostro attuale Governo simpatizzante del fascismo, la storia di Alessandra Mussolini che si è permessa di avallare la denuncia per tutti coloro che insultano il nonno fascista è davvero un sintomo dei nostri tempi. Perché se è vero che la signora Mussolini, che di certo non ha colpe del cognome che porta - così come Alexander Stuart-Houston, ultimo nipote vivente di Adolf Hitler, che vive in America e vota contro Donald Trump -, è anche vero però che si è sentita in dovere di difendere la memoria del nonno e legittimata a proporre il castigo penale per chi, a ragione, sostiene che Benito Mussolini altro non fosse che un volgare criminale. E questo vuol dire che ovunque fosse un ragionevole limite, ovunque si trovasse una linea, seppure immaginaria, che separasse la nostalgia da bar dall'insulto alla memoria di tutti coloro che il Duce ha sterminato nel suo ventennio di terrore, l'Italia l'ha ampiamente e impunemente superata.
Per questo la memoria è importante. È importante non dimenticare neanche per un istante che Mussolini non era un uomo forte come lo descrive la letteratura anche antifascista, ma un vigliacco assassino, colpevole di innumerevoli morti italiane e non. E per questo che vale la pena dare una lettura ai telegrammi che il Duce in persona inviava ai suoi gerarchi, tra cui il macabro Badoglio, raccolti dal volume di Angelo Del Boca, “I gas di Mussolini. Il fascismo e la guerra d’Etiopia” (Roma, Editori Riuniti, 2007).
MINISTERO DELLE COLONIE
TELEGRAMMA IN PARTENZA
Roma, li 28 dicembre 1935-XIV
Segreto M.P.A.
S. E. Maresciallo BADOGLIO
MACALLE’
15081 – Dati sistemi nemico di cui a suo dispaccio n. 630 autorizzo V. E. all’impiego anche su vasta scala di qualunque gas et dei lanciafiamme (.)
Mussolini
MINISTERO DELLE COLONIE
TELEGRAMMA IN PARTENZA
Roma, li 2 gennaio 1936
Segreto
S. E. GRAZIANI
MOGADISCIO
029 -Approvo pienamente bombardamento rappresaglia et approvo sin da questo momento i successivi. Bisogna soltanto cercare di evitare le istituzioni internazionali croce rossa.
Mussolini
MINISTERO DELLE COLONIE
TELEGRAMMA IN PARTENZA
Roma, li 19 gennaio 1936-XIV
M.P.A. su tutte le MM. PP. AA.
Maresciallo BADOGLIO
MACALLE’
790 – Manovra est ben ideata et riuscirà sicuramente stop Autorizzo V. E. a impiegare tutti i mezzi di guerra – dico tutti – sia dall’alto come da terra stop. Massima decisione (.)
Mussolini
MINISTERO DELLE COLONIE
TELEGRAMMA IN PARTENZA
Roma, li 3/5/1936-XIV
Segreto
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"Darfield, 29 settembre 1908.
Cari signori Dixon e Duncan, cari Dave, Billy, Jimmy, carissimi tutti.
Vi ringrazio, prima di qualsiasi cosa, per la sollecitudine dimostrata in questi ultimi giorni. Per la cortesia familiare con la quale parecchi tra voi mi hanno visitato di persona porgendomi quello che ritengo essere l’ultimo saluto, visto lo stato di salute in cui verso.
Per i regali, i fiori, per i cioccolatini che l’infezione all’appendice non mi ha consentito, ahimè, neppure di assaggiare; per le lettere di incoraggiamento , i telegrammi di buona guarigione, grazie.
Per evitare che vengano meno le forze e che io non riesca, pertanto, a condividere quello che più mi preme nell’ora che precede la mia morte, andrò subito al punto.
Scrivendo a voi, carissimi, sostengo davanti a Dio quello che davanti agli uomini vado affermando da quasi tre anni a questa parte: quel giorno, a Cardiff, ho schiacciato la palla dietro la linea.
Per l’ultima volta, di fronte alla falce della nera signora, voglio ribadire la sola cosa che desidera il mio cuore per essere nella pace: il 16 dicembre 1905, nella partita contro il Galles ho segnato la meta del 3-3.
Non so (né francamente m'interessa sapere) quel che l'arbitro Dallas abbia visto, ma lo ripeto: era meta.
Vi saluto tutti con l’affetto di sempre e, se il Signore mi troverà degno, vi assicuro le mie preghiere da lassù.
In fede, sempre e sinceramente vostro
Robert George Deans."
Questa lettera è inventata.
L'ho immaginata piegata sul comodino, in bella vista per essere trovata e letta ad alta voce. E fugare, una volta per tutte, tutti i dubbi.
L'ho immaginato così, Il testamento spirituale di Bob Deans, mentre muore a 24 anni per le complicazioni di un'appendicite: perché la lettera indirizzata alla sua squadra è inventata, la storia no.
Robert George Deans, tre-quarti centro degli All Blacks del 1905, gli Originals.
Quelli che, durante il primo tour della colonia Nuova Zelanda nella madrepatria Inghilterra (in realtà, in tutto il Regno Unito e in Irlanda), strapazzarono, come uova accanto al bacon, qualsiasi avversario.
Tranne il Galles, appunto, da cui vennero sconfitti per 3-0 a causa della meta non concessa a Deans.
Perché più di una sconfitta, brucia una vittoria mancata.
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A settant’anni dalle lotte dell’Arneo, una riflessione sulla riforma agraria nel Salento (1950-1960) (quarta parte)
di Salvatore Coppola
All’alba del 28 dicembre più di duemila lavoratori si portarono con le biciclette (prezioso strumento per raggiungere l’Arneo, che distava decine di chilometri dai paesi limitrofi), con i loro arnesi di lavoro e con bandiere rosse e tricolori sulle masserie Carignano piccolo, Mandria Carignano, Case Arse e Fattizze, zone limitrofe a quella dove, dopo le concessioni del 1949, era stato fondato il villaggio agricolo Antonio Gramsci. A differenza di quanto era accaduto nei giorni dell’occupazione del 1949, la polizia e le forze dell’ordine non si fecero trovare impreparate e, intervenendo in forme anche platealmente illegali, verso le tre del mattino del 28 dicembre, quando i primi gruppi di lavoratori si stavano dirigendo verso l’Arneo, fermarono e arrestarono a Nardò i locali dirigenti sindacali Salvatore Mellone e Antonio Potenza, e, insieme con loro, il segretario dei giovani comunisti Luigi De Marco in quanto – come si legge nella motivazione indicata nel verbale di arresto – erano in procinto di «commettere il reato» di occupazione abusiva delle terre (non perché, quindi, si fossero già resi responsabili di occupazione abusiva di terreni). Nel pomeriggio di quello stesso giorno vennero tratti in arresto il segretario provinciale della CGIL Giorgio Casalino e altri dirigenti sindacali comunali (Pietro Pellizzari di Copertino, Crocifisso Colonna di Monteroni e Cosimo Di Campi di Guagnano). Nonostante gli arresti preventivi, il movimento proseguì con maggiore intensità e agli occupanti pervenne la solidarietà morale (telegrammi di protesta per l’arresto di Casalino e degli altri dirigenti politici e sindacali) oltre che materiale (invio sulle terre occupate di viveri e coperte) da parte delle altre categorie di lavoratori della provincia e delle province limitrofe. Il 29 dicembre venne arrestato Pompilio Zacheo, segretario della sezione del PCI di Campi, mentre riuscirono fortunosamente a sottrarsi alla cattura il segretario della CGIL di Veglie Felice Cacciatore e il segretario provinciale della Confederterra Antonio Ventura, contro i quali era stato spiccato mandato di arresto. Molti contadini rimasero accampati sulle terre anche la notte di Capodanno, quando, come si legge nel rapporto di un funzionario di polizia, «il solito onorevole Calasso aveva portato il solito saluto agli eroi dell’Arneo». Si chiese ed ottenne, da parte delle autorità della provincia, l’invio di un contingente di polizia del battaglione mobile di Bari in pieno assetto di guerra. La repressione fu molto dura, vennero distrutte le biciclette, furono sequestrati e dati alle fiamme i «viveri della solidarietà», si fece largo uso, da parte delle forze di polizia, di lacrimogeni e manganelli, fu anche utilizzato un aereo militare che coordinava l’azione dei poliziotti e dei carabinieri pur di raggiungere l’obiettivo di far sgomberare le terre. Il 3 gennaio le forze di polizia riuscirono a cacciare i lavoratori dalle terre, ad arrestarne una sessantina (tra loro altri dirigenti politici e sindacali, Ferrer Conchiglia e Salvatore Renna di Trepuzzi, Giovanni Tarantini di Monteroni, Antonio Stella, dirigente provinciale della Confederterra). Quella dell’Arneo divenne una questione nazionale, se ne occuparono giornali locali (L’Ordine e La Gazzetta del Mezzogiorno) e nazionali (Il Paese e L’Unità)[1].
Molti deputati e senatori del PCI e del PSI denunciarono in Parlamento la brutalità delle forze di polizia a fronte di un’azione sostanzialmente pacifica di occupazione e lavorazione delle terre incolte, ma, nonostante ciò, l’azione repressiva continuò nei giorni successivi con gli arresti di Felice Cacciatore (segretario della CGIL di Veglie), di Cosimo Lega e Pietro Mellone di Nardò (consigliere comunale del PCI il primo, segretario della CGIL l’altro), di Giuseppe Scalcione (segretario della sezione del PCI di Leverano), di Mario Montinaro (segretario della CGIL di Salice), di Carlo De Vitis di Lecce, di Cesare Reo (segretario della CGIL di Supersano) e dello stesso segretario provinciale del PCI Giovanni Leucci. I partiti della sinistra e la CGIL sollecitavano l’adozione di iniziative politiche e parlamentari per la liberazione dei lavoratori e dei loro dirigenti politici e sindacali. Il 2 febbraio vennero scarcerati Leucci, Casalino e un gruppo di lavoratori. Qualche giorno dopo la Confederterra nazionale prese posizione sulla vicenda denunciando le gravi condizioni di miseria nelle quali versava la provincia di Lecce e chiedendo l’adozione di un provvedimento legislativo che prevedesse l’inclusione della stessa nelle previsioni di esproprio della legge stralcio. Il successivo processo a carico di quanti erano stati rinviati a giudizio (assistiti da un collegio di difensori di cui facevano parte, oltre agli avvocati del foro leccese Giovanni Guacci, Fulvio Rizzo, Vittorio Aymone e Pantaleo Ingusci, anche Fausto Gullo, Mario Assennato, Lelio Basso e Umberto Terracini) costituì l’occasione per una battaglia politica di portata nazionale. Con sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Lecce il 24/4/1951, venticinque imputati furono condannati a un mese di reclusione e a £. 6.000 di multa, tutti gli altri vennero assolti. Nel corso della Conferenza dell’Agricoltura per la Rinascita dell’Arneo, tenuta a Veglie il 10/12/ 1961 nel decimo anniversario di quella lotta, così Giorgio Casalino ricordava quelle giornate:
[…] grandi masse di più partiti e di tutti i sindacati seguirono l’indirizzo della Camera Confederale del Lavoro occupando le macchie dell’Arneo; in quei giorni centinaia di bandiere rosse e tricolori garrivano al vento issate dai giovani braccianti su cumuli di pietra o su olivastri. La lotta fu dura e contrastata, vi furono centinaia di arresti ma ben presto il governo estese alla provincia di Lecce la legge stralcio e gli Enti di Riforma […][2].
Con D.P.R. n. 67 del 7/2/1951 fu istituita presso l’Ente per lo sviluppo dell’irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia e Lucania una sezione speciale per la riforma. La provincia di Lecce fu inclusa nel comprensorio di riforma per una superficie di 55.000 ettari su complessivi 266.000. I terreni inclusi nelle aree suscettibili di espropriazione ricadevano nei comuni di Nardò, Otranto, S. Cesarea Terme, Lecce, Surbo, Melendugno e Vernole. Le concessioni (in realtà molto limitate) vennero effettuate nella forma dell’assegnazione di poderi (che potevano avere un’estensione da 5 a 9 ettari) ai contadini privi di terra, e di quote (da un minimo di 1 a un massimo di 3 ettari) ai piccoli proprietari. Il 29 marzo 1951 presso la sede della CGIL di Veglie, alla presenza dei segretari delle Camere del Lavoro dei paesi interessati e del rappresentante della Confederterra Antonio Ventura, furono fissate le prime quote da assegnare ai comuni di Carmiano (35 ettari), Copertino (30), Guagnano (20), Leverano (30), Monteroni (5), Nardò (20), Salice (35), e Veglie (40); altri 320 ettari delle masserie Fattizze, Case Arse e Chiusurella furono concessi alle cooperative ACLI Vita Nuova di Lecce e Fede e Speranza di Carmiano; altre zone vennero concesse alla cooperativa Giacomo Matteotti di Galatina e all’Associazione Combattenti e Reduci di Veglie. Sulle modalità di distribuzione delle terre, in proprietà o in enfiteusi, sotto forma di appoderamenti individuali o di cooperative, sulla politica discriminatoria adottata dagli Enti di riforma e su altri temi legati alla riforma agraria, si sviluppò all’interno della CGIL provinciale e dei partiti della sinistra (in primo luogo il PCI) un forte dibattito[3].
L’intervento governativo colse il movimento politico e sindacale pugliese impreparato sul piano progettuale. L’obiettivo che la Federbraccianti regionale perseguì fu, da un lato, quello di ampliare la lotta per la legge stralcio e, dall’altro, di imporre l’applicazione delle leggi Gullo-Segni. I modesti risultati conseguiti in Puglia dimostrarono la relativa debolezza dell’organizzazione sindacale nella lotta per la conquista della terra, anche se tale giudizio non era estensibile a tutta la regione; la provincia di Lecce, infatti, rappresentò (a parere di Giuseppe Gramegna, in quegli anni un dirigente regionale del movimento sindacale) la punta di diamante nella conduzione della lotta per la riforma agraria grazie alla capacità dimostrata dal movimento sindacale di coinvolgere in quella lotta altri strati della popolazione, oltre ai braccianti. Molti studiosi hanno sottolineato come vi sia stata in tutto il movimento sindacale pugliese una sottovalutazione dell’impegno per la riforma e la tendenza a mettere in primo piano le lotte per il salario e per l’applicazione dell’imponibile. Su questi temi all’interno della Federazione provinciale del PCI salentino si è sviluppata per tutti gli anni cinquanta una complessa e non sempre facile discussione fatta di riflessioni critiche e autocritiche. Nel dibattito affioravano incertezze programmatiche, tipiche di un movimento come quello salentino che, avendo privilegiato per ragioni storiche e sociali, gli obiettivi tipici del bracciantato, stentava, nonostante il successo conseguito con la lotta dell’Arneo, a individuare gli strumenti organizzativi per una corretta gestione della legge stralcio. Nei giorni 13 e 14 ottobre 1951 si tennero a Nardò e a Martano due convegni zonali dei contadini dei comuni interessati alle aree di esproprio, nel corso dei quali la CGIL propose di riprendere l’occupazione delle terre che l’Ente non aveva incluso nel comprensorio di riforma. Si avviò così un nuovo periodo di occupazione da parte dei lavoratori agricoli di Surbo, Squinzano, Trepuzzi, Martano, Melendugno, Maglie, Cutrofiano, Melissano. I dirigenti provinciali dell’organizzazione si sforzarono di individuare e di definire gli obiettivi possibili e la strategia delle alleanze per la riforma agraria nel Salento. Emergeva la preoccupazione che il processo avviato con l’applicazione della legge stralcio stesse creando serie difficoltà per l’indicazione al movimento contadino di una seria prospettiva di riforma agraria. Gli appelli a costituire o rafforzare i Comitati della terra, a creare un’autonoma Associazione dei coltivatori diretti per favorire l’alleanza con tale importante ceto sociale, a chiedere l’applicazione delle leggi Gullo e Segni, a estendere l’occupazione anche ai 60.000 ettari di oliveto, si accompagnavano sempre ad una riflessione critica e autocritica sulla gestione delle lotte. La CGIL denunciava le pratiche demagogiche e discriminatorie dell’Ente di riforma, criticava l’eccessiva limitatezza dei piani di esproprio e i tentativi di dividere le masse contadine, metteva in risalto i modesti risultati conseguiti, anche se, nello stesso tempo, sollecitava gli assegnatari a non rifiutare le terre concesse (anche se di qualità scadente) e impegnava le organizzazioni politiche e sindacali a sollecitare forme di aiuto e di assistenza tecnica per mettere i lavoratori nelle condizioni di sfruttare al meglio la terra concessa.
Dal congresso nazionale della Federbraccianti (ottobre 1952) emerse la necessità di una svolta nella politica della lotta per la terra da realizzare attraverso la richiesta di assegnazione, non solo delle terre incolte, ma anche degli oliveti, nella prospettiva generale della fissazione di un limite permanente della grande proprietà terriera. Nel 1953 la CGIL mobilitò i lavoratori agricoli salentini sui problemi tipici del bracciantato (tutela degli elenchi anagrafici, costituzione delle commissioni comunali di collocamento, sussidio di disoccupazione, assegni familiari e altre misure di tutela previdenziale, aumenti salariali), ma nello stesso tempo pose con forza il problema della limitazione delle grandi proprietà, un tema questo che fu al centro del dibattito nell’autunno del 1953 nel corso dei congressi provinciali della Federbraccianti (di cui era segretario Antonio Ventura), e dell’Associazione dei contadini del Salento guidata da Giuseppe Calasso e Giovanni Giannoccolo. Quest’ultimo propose di riprendere la lotta per rivendicare, sia l’assegnazione immediata dei 12.000 ettari già espropriati e ancora in possesso dell’Ente di riforma, sia la concessione di altri 90.000 ettari di oliveti di proprietà di 500 aziende. Giannoccolo sosteneva che fosse necessario, allo scopo di venire incontro alle esigenze del ceto medio delle campagne, favorire lo sviluppo di cooperative per la vendita dei prodotti. Egli, infine, rivendicava l’unità d’azione dell’Associazione contadini con la Federbraccianti per superare i limiti che negli anni precedenti avevano impedito l’unità nelle campagne. Ventura, da parte sua, invitava a cercare, come al tempo delle lotte sull’Arneo, un «denominatore comune per le varie categorie di lavoratori della terra», a rivendicare la concessione in compartecipazione a favore dei contadini dei 118.000 ettari di oliveto condotti direttamente dai proprietari, a denunciare l’artificioso frazionamento delle proprietà cui ricorrevano spesso gli agrari[4].
Per le organizzazioni sindacali, l’obiettivo restava sempre quello del 1950: la terra ai contadini, la conquista di almeno 60.000 ettari nel Sud Salento, l’immissione dei contadini negli oliveti (almeno 70.000 ettari) con contratti vantaggiosi ai concessionari. Negli anni di applicazione della riforma era sorta la nuova figura sociale dell’assegnatario che poneva una serie di problemi non sempre facili da risolversi (pagamento delle quote di riscatto, problemi fiscali, rapporto con l’Ente, ecc.), problemi che l’Associazione dei contadini, oramai solida, avrebbe affrontato e tentato di risolvere. Dei 15.509 ettari espropriati, ben 2.400 erano boschi e paludi inutilizzabili; gli assegnatari, a distanza di tre anni dalle lotte dell’Arneo, erano 1.716. Tali risultati, certamente insufficienti rispetto ai bisogni del mondo delle campagne, rendevano urgente la ripresa della lotta per dare un colpo decisivo alla grande proprietà fondiaria, non solo con l’immissione dei contadini negli oliveti, ma anche con l’imposizione degli imponibili ordinario e straordinario e dell’obbligo per i proprietari di reinvestire la rendita fondiaria in opere di trasformazione irrigua. Si sarebbe potuto in tal modo legare alla lotta dei contadini poveri privi di terra o con poca terra i 35.000 coltivatori diretti che, in mancanza di risposte chiare ai loro problemi, rischiavano di diventare massa di manovra delle destre monarchiche e fasciste. Alla fine del 1954 ripresero su vasta scala le occupazioni delle terre da parte dei braccianti di Squinzano, Trepuzzi, Campi Salentina, Surbo e Novoli, di quelli dell’area ionico-ugentina e della zona Frigole-Otranto, di Tuglie, Collepasso, Cutrofiano, Scorrano, Maglie, Supersano, Copertino, Veglie, Leverano, Torre Cesarea, San Pancrazio Salentino, Carmiano. Nel corso di quelle lotte si registrarono scontri tra le forze di polizia e gli occupanti, molti dei quali vennero fermati, arrestati e rinviati a giudizio; sui cartelli dei lavoratori era scritto: «gli oliveti in mano degli agrari danneggiano l’economia agricola; i contadini chiedono l’immissione negli oliveti, i contadini chiedono la concessione degli oliveti». Ricordando quel periodo della ripresa della lotta e delle occupazioni Giovanni Giannoccolo, allora segretario dell’Associazione dei contadini, scrive:
[…] Occorre dire, con molta chiarezza, che il movimento sindacale, almeno nei suoi dirigenti provinciali, ed i partiti della sinistra ed il PCI in particolare […] osteggiarono ogni sintomo di ripresa di quelle lotte. E ciò perché erano tutti influenzati dalla posizione tenuta da Grieco e dalle sue direttive […]. A differenza di Grieco, Emilio Sereni riteneva che il movimento non dovesse appagarsi dei modesti risultati conseguiti, che era necessario dispiegare queste grandi energie per assestare un ulteriore colpo al latifondo a colture intensive. In sostanza Sereni voleva dire: sino ad ora i contadini hanno preso l’osso, adesso gli spetta un po’ di polpa […]. L’idea di Sereni faceva breccia fra i contadini […] il movimento ebbe nuovo impulso e fu esteso, riuscimmo a mobilitare migliaia di contadini […] la posta in gioco era alta in quanto quella volta si occupavano terre coltivate e, perciò, la reazione degli agrari e delle forze di polizia sarebbe stata ancora più dura rispetto a quella avutasi nell’occupazione delle terre incolte. Indubbiamente ci furono cariche e arresti, ma i contadini credettero nella giustezza della battaglia che conducevano e, pur subendo le violenze che più o meno, altri, prima di loro, per analoghi motivi, avevano subito, conclusero quelle occupazioni con una grande e significativa vittoria, consolidandosi nel possesso delle terre […][5].
Negli anni seguenti i gravi problemi dei vitivinicultori, dei tabacchicultori e dei coloni, per i quali dispiegò un’intensa attività l’Associazione dei contadini, favorirono, all’interno del movimento sindacale, sia pure con un certo ritardo, una maggiore presa di coscienza dei temi specifici dei produttori e dei coltivatori diretti[6].
Il 10 dicembre 1961, organizzata dalla CGIL provinciale, si tenne a Veglie la Conferenza dell’Agricoltura per la rinascita dell’Arneo, alla quale parteciparono i segretari provinciali del PCI e del PSI Mario Foscarini e Romano Mastroleo, l’onorevole Giuseppe Calasso, sindaci, consiglieri provinciali e comunali, rappresentanti degli assegnatari e dei quotisti e dei Comitati aziendali dell’Arneo. Nella relazione introduttiva, il segretario provinciale della CGIL Giorgio Casalino indicò per le masse lavoratrici delle campagne un processo di riforma agraria generale che garantisse al contadino «il possesso della terra e gli aiuti per una moderna e razionale coltivazione dei terreni». Dopo avere passato in rassegna i principali problemi dell’agricoltura salentina, Casalino si soffermò sulla questione dell’olivicoltura che, nel biennio 1960-61, era stata al centro dell’iniziativa politica e sindacale, sostenendo che, poiché la maggior parte degli oliveti erano condotti in economia con sistemi rudimentali, privi di irrigazione e concimazioni adeguate, la CGIL proponeva l’immissione dei braccianti, dei compartecipanti e dei contadini poveri negli oliveti, in modo che riunendosi in cooperative potessero garantire, grazie all’aiuto della tecnica agraria e dell’irrigazione, una razionale e moderna coltivazione. Particolare attenzione egli dedicò ai coltivatori diretti ai quali veniva proposto di associarsi in cooperativa «per far fronte alle speculazioni dei monopoli della Montecatini e per chiedere sgravi fiscali e prestiti a basso tasso di interesse per l’ammodernamento dei propri poderi». Anche ai coloni, ai compartecipanti, ai mezzadri e ai fittuari venne indicata la prospettiva della concessione degli oliveti e dei vigneti, con l’estromissione dei grandi agrari («che ormai non assolvevano più ad alcuna funzione») e la costituzione di cooperative, oleifici e consorzi per l’irrigazione. «Per vincere la crisi dell’agricoltura bisogna estromettere dalle campagne i grandi agrari dando la terra a chi la lavora», queste le conclusioni cui giunse Casalino, dando così un nuovo senso alla tradizionale parola d’ordine la terra a chi la lavora. Venendo al tema specifico dell’Arneo, Casalino rivendicò «la giustezza della lotta che i lavoratori affrontarono negli anni 1949, 1950, 1951 occupando le terre incolte e malcoltivate dell’Arneo»; sottolineò gli aspetti negativi della politica agraria della DC e degli Enti di riforma che avevano condotto ad abbandonare al proprio destino assegnatari e quotisti, molti dei quali, privi di mezzi, indebitati e sfiduciati, oberati dalle tasse e dalle quote di ammortamento, avevano abbandonato i poderi o pensavano di farlo, tanto che – così concluse Casalino – «nei poderi abbandonati dagli assegnatari sono tornate a pascolare le pecore». Che cosa fare dunque per invertire la tendenza che, all’interno della politica del Mercato Comune Europeo e del Piano Verde, doveva fatalmente portare l’Arneo ad essere «invaso dalle macchie» e i contadini ad emigrare all’estero? Queste le proposte che emersero dagli interventi (particolarmente significativi quelli di Felice Cacciatore, sindaco di Veglie), Sigfrido Chironi, segretario della Federbraccianti, Francesco Leuzzi, membro della segreteria della CGIL, Romano Mastroleo e Mario Foscarini: lottare affinché i finanziamenti statali fossero assegnati ai lavoratori della terra in forma singola o associata; costituire consorzi di miglioramento, cantine e oleifici sociali che favorissero il superamento della tendenza individualista dei contadini che dovevano, invece, essere tutti uniti per costituire un fronte comune contro l’offensiva dei grandi agrari e dei monopoli; pretendere che i contributi del Piano Verde venissero destinati ai lavoratori agricoli per il progresso delle campagne; rafforzare il ruolo del neonato consorzio per l’area di sviluppo industriale di cui facevano parte tutti i comuni dell’Arneo; impiantare industrie per la trasformazione e la conservazione dei prodotti; chiedere una serie di agevolazioni creditizie e fiscali per gli assegnatari allo scopo di creare quelle condizioni di stabilità sul fondo e di benessere che consentissero loro di poter «lavorare proficuamente per lo sviluppo economico dell’Arneo». Ai comuni della fascia dell’Arneo la CGIL affidava ancora una volta il compito di guidare la lotta per la riforma agraria e per la rinascita economica. Così concluse Casalino la conferenza:
[…] Quelle memorabili lotte dell’Arneo ormai sono scritte sul libro d’oro della storia popolare del Salento e già molti spesso raccontano ai figli come in quegli anni furono costretti a permanere 40 giorni e 40 notti nelle macchie dell’Arneo, delle biciclette che perdettero perché bruciate o sequestrate, degli elicotteri che sorvolavano le macchie per indicare le posizioni dei contadini asserragliati fra i cespugli. E di come fu pronta e spontanea la solidarietà popolare […] la solidarietà di tutti i cittadini e primi fra essi degli esercenti fu grandissima, e altrettanto grande fu l’unità raggiunta fra tutti i lavoratori. I risultati non mancarono e le statistiche ci dimostrano come il reddito agricolo zootecnico forestale negli anni successivi è cresciuto per decine di miliardi […][7].
Note
[1] Ivi.
[2] Ivi, fasc. 3418. Il testo dell’intervento di Giorgio Casalino alla Conferenza di Veglie in: Archivio Flai-Cgil, cit.
[3] G. Gramegna, Braccianti e popolo in Puglia, cit. Egli scrive: «tra il quadro dirigente ed in tutto il movimento democratico, politico e sindacale, si aprì un vasto dibattito, dando vita ad un esame critico ed autocritico sulle azioni condotte e sui risultati conseguiti […]. Innumerevoli furono, infatti, le riunioni che si svolsero a livello regionale con la partecipazione di dirigenti nazionali del sindacato e della Commissione agraria del PCI. Le critiche erano aspre, ed a volte anche ingenerose, verso compagni che pure avevano dato il meglio di sé nella conduzione della lotta. Tuttavia, restava il fatto che difetti vi erano stati e che, quindi, in una situazione siffatta anche le critiche ingenerose avevano non solo un fondamento ma stimolavano verso la ricerca degli errori, che non potevano essere solo di carattere organizzativo, ma investivano la visione e la strategia delle lotte nelle campagne pugliesi» (pp.155-157).
[4] Fg, Archivio PCI, MF 0328.
[5] L’intervista a Giannoccolo in S. Coppola, Il movimento contadino in terra d’Otranto, cit., pp. 179-183.
[6] Fg, Archivio PCI, MF 0430 pp. 2488-2556; MF 0446, pp. 2801-2805; MF 0473, pp. 822-840.
[7] Archivio Flai-Cgil, Atti della Conferenza dell’Agricoltura per la rinascita dell’Arneo. Fg, Archivio PCI, MF 0407, pp. 2923-2946; pp.2985-2990; pp. 3028-3036. In un documento del Comitato regionale pugliese della Federbraccianti (del febbraio 1965) predisposto per la delegazione dei senatori che facevano parte della Commissione agricoltura (riportato da De Felice, Il movimento bracciantile, cit.) si legge questa valutazione complessiva sulla legge stralcio: «Se si tiene conto che sono stati espropriati solo o in gran parte terreni a scarso reddito, bisogna concludere che la riforma stralcio ci ha dato delle utili indicazioni pur non essendo stata completata […]. Si può parlare di fallimento solo in relazione al fatto che la legge stralcio contiene dei limiti gravi […] ma i fatti dimostrano che, quando la terra era nelle mani dei vecchi proprietari latifondisti, questa non produceva. Oggi i contadini -ieri braccianti- con il loro sacrificio e con la loro intelligenza hanno creato anche giardini dove prima era il deserto. Non per questo però si deve dire che non vi sono state delle storture. Ad esempio, circa un migliaio di assegnatari ha ottenuto in assegnazione terre non suscettibili di trasformazione, che lo Stato ha pagato a peso d’oro ai proprietari fondiari […] (p. 401).
Per la prima parte:
A settant’anni dalle lotte dell’Arneo, una riflessione sulla riforma agraria nel Salento (1950-1960) (prima parte)
Per la seconda parte:
A settant’anni dalle lotte dell’Arneo, una riflessione sulla riforma agraria nel Salento (1950-1960) (seconda parte)
Per la terza parte:
A settant’anni dalle lotte dell’Arneo, una riflessione sulla riforma agraria nel Salento (1950-1960) (terza parte)
#Antonio Potenza#Antonio Stella#Arneo#braccianti agricoli#coltivatori diretti#Cosimo Di Campi#Crocifisso Colonna di Monteroni#Ferrer Conchiglia#Giorgio Casalino#Giovanni Tarantini di Monteroni#Luigi De Marco#occupazione terre Arneo#Pietro Pellizzari di Copertino#Salvatore Coppola#Salvatore Mellone#Salvatore Renna di Trepuzzi#sindacato nel Salento#Ambiente#Paesi di Terra d’Otranto#Pagine della nostra Storia#Spigolature Salentine
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Scambio di telegrammi: Lenin-Stalin, 7 luglio 1918
7 luglio 1918, ore 1 di notte, località Tsaritsyn (conosciuta poi come Stalingrado).
«Al Commissario del popolo Stalin. Oggi verso le 3 del pomeriggio un socialista-rivoluzionario di sinistra ha ucciso Mirbach con una bomba. Questo assassinio fa chiaramente il gioco dei monarchici ossia dei capitalisti anglo-francesi. I socialisti rivoluzionari di sinistra, rifiutandosi di consegnare l’assassino, hanno arrestato Dzerzhinsky e Latsis e hanno dato inizio a una rivolta contro di noi. Noi li liquideremo senza pietà stanotte stessa e diremo al popolo la verità: ne abbiamo fin sopra i capelli della guerra. Abbiamo in ostaggio centinaia di socialisti-rivoluzionari di sinistra. È indispensabile schiacciare dappertutto senza pietà questi miserabili e isterici avventurieri che sono diventati un’arma nelle mani della controrivoluzione. Chiunque è contro la guerra sarà con noi. Riguardo a Baku, la cosa più importante è che voi siate costantemente in contatto con Shahumyan e che Shahumyan conosca le proposte fatte dai tedeschi all’ambasciatore Joffe a Berlino, secondo cui i tedeschi acconsentirebbero ad arrestare l’offensiva dei turchi su Baku se noi garantissimo ai tedeschi una parte del petrolio. Naturalmente noi acconsentiamo. Siate dunque implacabili contro i socialisti-rivoluzionari di sinistra e teneteci informati. Lenin» [1]
7 luglio 1918, ore 3 di notte, località Tsaritsyn.
«Al compagno Lenin. Spedisco oggi stesso a Baku un corriere con una lettera. Tutto sarà fatto. Per quanto riguarda gli isterici, siate certi che la mano non ci tremerà. Con i nemici tratteremo da nemici. Stalin» [2]
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Il canone inverso di Tondelli. Quando “Vicky” spostò l’asse della letteratura italiana sulla riviera romagnola. I suoi eroi? Panzini e Arfelli, Zavattini e Guareschi, Pasolini e Scerbanenco
Un weekend postmoderno a Riccione. Qualche anno fa – l’esito ha una data, il 2015 – ho avuto la fortuna di avventurarmi dentro alcune carte di Pier Vittorio Tondelli, quasi ignote, per lo più ignorate. Il pretesto fu l’edizione numero 53 del Premio Riccione. Che c’entra Tondelli con Riccione? Beh, tra Rimini & Riccione, all’epoca lampeggiante California italiana della dissipazione, dello scialo, della moina sull’edonismo radicale, si compie il genio di PVT. Nello stesso anno in cui Bompiani pubblica Rimini (romanzo bruttino e stagionato), è il 1985, nello stesso giorno in cui compie 30 anni, il 14 settembre, Tondelli vince una sezione del Premio Riccione, il Premio speciale Bignami, per un testo che s’intitola La notte della vittoria (“un’opera dal dialogo asciutto e ironico, che segna l’ingresso in teatro di un giovane autore già noto per i suoi romanzi”, così la comunicazione della giuria), che PVT, tramite una lettera del 3 settembre 1985, dieci giorni prima della serata di gala, rinomina Finali di partita per poi battezzarlo Dinner Party, testo, per la verità, mai andato in scena ad autore vivente. Per la cronaca, dalla bagarre del premio fu escluso un altro scrittore quasi coetaneo di Tondelli e baciato da analogo successo, Andrea De Carlo, che aveva partecipato con Time Out, su partitura di Ludovico Einaudi.
Dagli Archivi del Premio Riccione, una lettera di Pier Vittorio Tondelli a Nico Naldini
Antologia della letteratura adriatica. Premessa: gli archivi del Premio Riccione sono una miniera. Quasi inesplorata. Nel 1947, ormai è storia bibliograficamente acquisita, è passato dal Premio Riccione Italo Calvino, con Il sentiero dei nidi di ragno (da leggere lo studio eccellente di Andrea Dini, Il Premio nazionale “Riccione” 1947 e Italo Calvino, 2007). Costretto a vincere per ragioni “di partito”, il romanzo sulla Resistenza sarà pubblicato qualche mese dopo da Einaudi, surfando sull’alloro riccionese. Ma da Riccione sono passati in tanti, da Enzo Biagi (erano gli anni Cinquanta e il futuro giornalista sperava di far fortuna come drammaturgo) a Tullio Pinelli, da Enrico Vaime a Dacia Maraini (che vince tre edizioni), da Franco Quadri a Luca Ronconi e Ugo Chiti. Lasciando manoscritti, lettere, telegrammi e documenti vari. E soprattutto, una storia ancora da narrare e documentare. Come quella di Tondelli e della sua impresa più importante: costruire “una grande mostra sulla città di Riccione”, o meglio, “fare di Riccione la città mitica dell’immaginario italiano di questi ultimi sessant’anni”, attraverso un potente lavoro di ricerca letteraria. L’ambizione di Tondelli ha successo: la mostra-monstre Ricordando Fascinosa Riccione, dedicata a investigare “Personaggi, spettacolo, mode e cultura di una capitale balneare” si realizza il 22 giugno del 1990, è cementata in un catalogo edito dalla bolognese Grafis e ripreso (ampliato e analizzato) nel 2005, all’interno del libro curato da Fulvio Panzeri, Riccione e la Riviera vent’anni dopo (in questo caso, stampa Guaraldi). Nello specifico, Tondelli si occupa di Immagini letterarie di Riccione e della riviera adriatica, costruendo una antologia di autori che va da Sibilla Aleramo a Valerio Zurlini, passando per la Romagna di Alberto Arbasino (in Fratelli d’Italia), per le poesie di Tonino Guerra e di Raffaello Baldini, per l’Igea Marina di Giovannino Guareschi e naturalmente per la Rimini di Tondelli medesimo. L’esito, secondo gli appunti privati di Tondelli, è che la “storia letteraria della riviera adriatica non ha nulla da invidiare a quella di Viareggio così ricca di premi, presenze e pagine prestigiose”, insomma, “si pensa sempre alla riviera adriatica come un luogo balneare pop e middle class. In parte è vero. Ma la nostra ricerca dimostra che questi luoghi hanno un passato non solamente esclusivo, ma anche intellettuale assai prestigioso”. Tondelli lotta contro l’immaginario della Riviera trash (sono quelli gli anni di Rimini, Rimini e di Abbronzatissimi), esalta Il mare d’inverno (in un celebrato articolo su “Rockstar” del 1989), dove la spiaggia di Riccione si converte in qualcosa di esistenziale che sta tra il “deserto nordafricano” e l’inquietudine “in riva all’oceano, nel Maryland o nel Delaware”, bastona “i nostri scrittori, democratici e pop, [che] preferiscono altre mete. Si turano il naso: Riccione? Per l’amor di Dio! Rimini? Basta, basta! E non hanno mai messo piede su questa spiaggia”.
Un biglietto autografo di Tondelli a “Marolì”, mitica factotum del Premio Riccione
Il canone inverso. La conversione passa, si sa, per l’atto culturale. Tondelli ce la mette tutta. “Non dico che abbiamo avuto dei premi Nobel, ma basterebbe valutare l’importanza di queste spiagge nell’opera di autori del Novecento per parlare di un ruolo importante nella prosa novecentesca”, scrive, ancora, in quel foglio inedito. Nel suo “canone inverso” Tondelli, aiutato dal professore bolognese Alberto Bertoni e con qualche dritta di Ezio Raimondi, imbarca Alfredo Panzini e Dante Arfelli, Alfredo Oriani e Riccardo Bacchelli, Marino Moretti, Renato Serra, Cesare Zavattini, Guido Piovene, Giorgio Scerbanenco (“le spiagge di Rimini, di Riccione e di Cervia devono essergli parse il contraltare estivo della Milano in cui si muovono i suoi ruffiani”), Filippo De Pisis, Francesco Leonetti. Una squadra che non scherza. E che Tondelli avrebbe voluto esaltare costruendo una sezione degli “antecedenti letterari”, compilando “una piccola antologia tematica sul mare: Dante, Tasso, Daniello Bartoli, Ippolito Nievo”. A questa antologia anticanonica Tondelli lavora come un matto, per due anni. Gli archivi del Premio Riccione testimoniano l’opera attraverso una ricca massa di lettere inedite: a Einaudi, alla Fondazione Mondadori, a Feltrinelli. E in particolare a Tonino Guerra (“potresti essere così gentile da orientarmi nella ricerca?”), a Maria Corti, a Nico Naldini (“Le scrivo dunque per chiederle, in riferimento al suo prezioso lavoro su autori come Comisso o Pasolini, se può segnalarmi qualche pagina o aneddoto riferito alle villeggiature riccionesi”), grazie al quale ottiene le fotografie di Pier Paolo Pasolini giovinetto sulla spiaggia di Riccione e le prime testimonianze scritte del poeta: “una lettera di Pier Paolo bambino a suo padre da Riccione”, oltre agli “originali autografi dei Quaderni Rossi di Pasolini, dove appunto si parla di Riccione” (Naldini). Una lettera al figlio di Guareschi, poi, testimonia la passione di Tondelli per Giovannino (“non poteva mancare la presenza di Guareschi…”), i cui libri “ho poi avuto modo di leggere con grande godimento e piacere”. Tondelli – più decadente che avanguardista – ha capito che i luoghi esistono finché uno scrittore si ostina a setacciarli: se Cesare Pavese vedeva l’Ohio nelle Langhe, Pier Vittorio sognava la costa americana da una spiaggia romagnola. Che poi la Riviera non sia più “discoteche fino al mattino”, “amoreggiare dietro le cabine al chiar di luna”, “sepolto di garganelli e piadine durante il giorno, a prendere il sole nel tardo pomeriggio in compagnia di qualche belva” è un fatto, si sa. I luoghi cambiano e gli scrittori attualmente dormono. (Davide Brullo)
*In copertina: Pier Vittorio Tondelli a Riccione, fotografato da Fulvia Farassino
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I bombardamenti con i gas nell'Africa Orientale Italiana
DATALUOGOFONTICARATTERISTICHE22/12/1935Dembenguinà (fronte nord) TacazzèDiario storico del comando aereonautica.8°, 9° stormo. George Steer inviato Times in Etiopia testimonianza di ras Immirù Hailè Sellasse.Relazione Dott. Schuppler, capo ambulanza. Al ministro degli esteri etiopico. Dott.Melly capo ambulanza inglese.(1)6 bombe C 500.T a iprite (prima azione di sbarramento C)Dal 23 al 27 dicembre Telegramma di Hailè Selassiè alla Società delle nazioni (2) 60 bombe a iprite28/12/35 Autorizzazione di Mussolini a Badoglio sull'uso dei gas telegramma 15081 29/12/35 Risposta di Badoglio "già adoperato iprite" Dal 2 al 4 gennaioSokotà; Lago AscianghiDiario aereonautico 8° 9° stormo58 bombe a iprite5 gennaio 1936 Richiesta di Mussolini a Badogliodi arrestare i bombardamenti (sino alle riunioni ginevrine) telegramma 180 Dal 6 al 7 gennaioAbbi Addi e guadi torrente SegalòDiario storico del comando areonautico45 bombe C 500.TDal 12 al 19 gennaio Diario storico del comando areonautico76 bombe " "19 gennaio Nuova autorizzazione di Mussolini telegramma 790 Dal 23 /12 al 23/3Guadi del Ghevà, Guadi del Tacazzè zone di Quoram, varie carovaniere.Diario storico comando areonautico991 bombeC.500.T11/2/36Amba AradanDiario storico comando artiglieriaUso di proietti ad arsine1367(3)aprile Lago Ascianghi Testimonianza Hailè Selassiè ( 4)
1) Steer "Per la prima volta un popolo che si ritiene civilizzato usa i gas tossici contro un popolo che si ritiene barbaro. A Badoglio... la gloria di questa ardua vittoria".
Immirù Hailè Sellasse (generale di Hailè Selassiè): "Fu uno spettacolo terrificante... Era la mattina del 23 dicembre avevo da poco attraversato il Tacazzè quando comparvero nel cielo alcuni aeroplani... quel mattino non lanciarono bombe ma strani fusti che si rompevano non appena toccavano il suolo o l'acqua del fiume e proiettavano intorno un liquido incolore... alcune centinaia dei miei uomini erano rimasti colpiti... e urlavano per il dolore, mentre i loro piedi nudi, le loro mani, i loro volti si coprivano di vesciche." Dott. Schuppler: "Ho l'onore di portare a vostra conoscenza che il 14 gennaio 1936 delle bombe a gas sono state usate dagli aviatori italiani. Ho curato 15 casi di persone... tra cui 2 bambini". Dott Melly: "Tra il 7 e il 22 marzo ….nella regoine di Ascianghi curammo dai due ai trecento casi di ustione da iprite..." in (Del Boca I gas di Mussolini, Editori riuniti, pag. 118 e seg.) 2) "Il 23 dicembre, gli italiani hanno fatto uso contro le nostre truppe, nella regione del Tacazzè, di gas asfissianti e tossici, ciò costituisce una nuova aggiunta alla lista già lunga delle violenze fatte dall'Italia ai suoi impegni internazionali." 3) L'arsina agiva sulle mucose e sull'apparato respiratorio con effetti che,a seconda della concentrazione, potevano essere irritanti o mortali. 4) Molti moriranno per aver bevuto l'acqua contaminata. Il negus davanti l'atroce visione dei cadaveri dirà: "Sarebbe stato necessario fissare questa immagine per poterla presentare al mondo..."
DATALUOGOFONTICARATTERISTICHE15/12/35Somalia (fronte sud)Autorizzazione di Mussolini a Graziani sull'uso dei gas telegramma 14551 24/12/35AreriDiario storico del comando dell'aviazione in Somalia17 bombe a iprite da 21kg 1 a gas fosgene da 41kg30 /31/35Dagahbur Sassabanech BullalehDiario storico AO Relazione Graziani all egato 29571 bombe come rappresaglia per la uccisione di due aviatori italiani Tra il 15 e il 30 dicembre 35Malca Dida (Croce rossa svedese) Bullaleh (croce rossa egiziana) Neghelli (croce rossa etiopica)*Relazione Graziani Grande sdegno in Europa. Telegramma Mussolini a Graziani n 029: "Approvo ma ... evitare le istituzioni internazionali della Croce Rossa." 6 Gennaio 36 Nuova autorizzazione di Mussolini a Graziani tel.334 12 /1/36Offensiva del Ganale DoriaRelazione Graziani Diario storico del comando brigata aerea Diario srorico 31° gruppo AO6 bombeC.500.T a iprite 18 da 41 kg a fosgene25/1/36 10 bombe a iprite da 21 kg16-25/2/36Uebi Gestro BaleDiario storico del comando brigata aerea10 bombe C500.T a iprite e 92 da 41 kg a fosgenemarzoSulle difese abissinie nella zona di HararDiario storico del comando brigata aerea Relazione Graziani49 bombeC500.T34 da 21 kg a iprite 88 da 41 kg a fosgene8 aprile Sassabanech Dagahbur 13 bombe C500.T10 aprile Telegramma di Mussolini 4081con l'ordine di non fare uso di mezzi chimici a Graziani 20 aprileHamanlei, Bircut, Gunu, Bullaleh Relazione Graziani12 bombe C500,T27/4 Nuova autorizzazione Mussolini tel.n7440 27/4Sassabaneh Diario storico del comando brigata aerea Relazione Graziani36 bombe a fosgene BullalehDiario storico del comando brigata aerea Relazione Graziani54 bombe a fosgeneDal 24dic al 27 aprile 30500kg bombe iprite 13300 kg bombe a fosgene
* Nell'attacco a Malca Dida restò ucciso il medico svedese Lundstrom, 42 ricoverati, alcuni dei quali colpiti da iprite, e altri 50 restarono feriti .Gli attacchi si intensificarono nei mesi successivi e distrussero ambulanze etiopiche a Dagabhur, Ualdià, Macallè, ospedaletti egiziani, inglesi, svedesi e finlandesi e gli unici due apparecchi della croce rossa etiopica a Dessì e Quoram. Gli attacchi aerei non finirono con la proclamazione dell'impero, ma si intensificarono in molte zone.
PERIODOLUOGOFONTICARATTERISTICHEDal Maggio a Agosto1936Sud/ovest Sidamo Zona Tacazzè Diario storico AOIBombe C500TTra il 7 e il 12 settembreLasta (roccaforte dei fratelli Cassa) zona Tacazzè.Villaggi tra Lalibelà e Bilbolà.Telegramma Lessona a Graziani n°10724"Autorizzo a impiegare i gas se li ritenga utile" Telegrammi Graziani a Pirzo Biroli e al comandante dell'aviazione Pinna n°15633 e 15756(1)Bombe C500T21/22 OttobreZone del Monte Zuqualà e Debocogio villaggi rasi al suoloDiario storico AOI Relazione Gariboldi a Gallina tel n° 077701 24 ottobre "Zona del monte Debogogio è stata ipritata.Prudente informare le truppe operanti.."Bombe C500TFine 1936/1937Ovest, Uollega, soprattutto vengono ipritati guadi, torrenti carovaniere.Diario storico AOIBombe C500T
Graziani "La rappresaglia deve essere effettuata senza misericordia su tutti i paesi del Lasta... Bisogna distruggere i paesi stessi perché le genti si convincano della ineluttabile necessità di abbandonare questi capi... lo scopo si può raggiungere con l'impiego di tutti i mezzi di distruzione dell'aviazione per giornate e giornate di seguito essenzialmente adoperando gas asfissianti." in Del Boca op cit pag. 60.
Preso da:http://www.criminidiguerra.it/bombardagas.shtml
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Tenang! Telegram Masih Bisa Digunakan di Provider Ini
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Jeritan netizen tentang diblokirnya Telegram menjadikannya sebagai top topic di timeline twitter. Namun sebenarnya masih ada juga provider atau penyedia jasa internet yang masih memperbolehkan akses telegram tanpa ada blokir. Masalahnya jika si penrima pesan via telegram tidak dapat mengakses telegram, maka kesempatan bebas dari blokir tersebut hanya sia-sia bagi yang ingin mengirim pesan via…
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Oltre ad Eleonora, che vi era stata tradotta subito dopo la convalida del fermo, nelle ultime ore sono stati trasferiti nel carcere di Baumettes (Marsiglia) anche Theo e Bastien. I tre ragazzi, arrestati domenica scorsa a Briancon in seguito alla grande giornata di lotta che ha visto centinaia di migranti e solidali attraversare collettivamente il confine italo francese del Monginevro, continuano quindi a rimane in carcere in Francia.Nonostante l'evidente arbitrarietà di questi arresti, effettuati durante una "caccia all'uomo" per le vie di Briancon alcune ore dopo l'arrivo del corteo in città, la procura sembra voler mantenere un atteggiamento intransigente, tanto che la prima udienza del processo è stata fissata per il 31 di maggio, a più di un mese dal fermo e tenendo in regime di carcere preventivo i tre accusati mentre il gruppetto neo-fascista continua sporadicamente a “pattugliare” il confine senza che ciò ponga problemi di sorta alle autorità francesi. Anche il reato che viene loro contestato, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina in concorso (en bande organisée) per il quale si rischiano pene fino a 10 anni di prigione e 750.000 euro di ammenda, rivela la volontà di dare una "punizione esemplare" a chi collettivamente e alla luce del sole ha messo in discussione il disciplinamento imposto dalle frontiere.Paragonare i tre arrestati di Briancon a dei passeurs che trafficano sulle vite dei/delle migranti è il tentativo di mettere a tacere la solidarietà e l'autorganizzazione dei passaggi della frontiere che da mesi gli abitanti francesi e italiani che vivono nei pressi dei valichi alpini stanno portando avanti dando aiuto materiale a coloro che vogliono attraversarli. A ciò si unisce la necessità delle istituzioni francesi di mantenere il pugno di ferro perché, proprio in concomitanza con la marcia da Claviere a Briancon, è stata votata oltralpe una nuova e maggiormente restrittiva legge sull'immigrazione, la cui tenuta è stata immediatamente messa in crisi dal passaggio del corteo al Monginevro.Gli avvocati francesi che difendono i tre ragazzi, insieme ai loro colleghi italiani e svizzeri, stanno cercando di mantenere alta l'attenzione sulle sorti del processo, non arrendendosi ad aspettare inermi il 31 maggio. Giovedì 3 maggio si terrà a Gap il riesame per Eleonora, Theo e Bastien. Le autorità giudiziarie però hanno negato ai tre il trasferimento da Marsiglia, impedendogli quindi di poter presenziare in aula al loro riesame. Una palese violazione del diritto di difesa, che, tuttavia va a confermare il timore della procura francese verso le espressioni di solidarietà che si stanno moltiplicando in Italia, in Svizzera e in Francia nei confronti dei tre accusati. Una paura che era già stata dimostrata nella scelta di trasferire Theo e Bastien per evitare presidi pubblici sotto il carcere di Gap.Il processo a cui Eleonora, Theo e Bastien verranno sottoposti sarà il primo in Europa che vede accusati dei cittadini comunitari di avere attraversato, pubblicamente e in un corteo, una frontiera insieme a tante e tanti migranti. Per questo, tocca a noi rimanere al loro fianco, non solo esprimendo la maggiore solidarietà possibile, ma anche rivedicando come nostre le loro stesse accuse: se la solidarietà è un reato, a Monginevro c'ero anch'io!Il 3 maggio si terrà il riesame senza gli imputati, in un'aula vuota, ma fuori moltiplicheremo i presidi e le azioni di solidarietà. Del resto, siamo una "bande organisée"!#SolidaritéSansFrontières #OnEstToutesDeLaBandeOrganisée --------------------------------------Per scrivere telegrammi e lettere ai tre ragazzi arrestati, riportiamo sotto gli indirizzi:Theo Buckmaster, n° d'ecrou 188398Bastien Stauffer, n° d'ecrou 188399Eleonora Laterza, n° d'ecrou 188381Centre pénitentiaire de Marseille-Baumettes, 239 Chemin de Morgiou, 13009 Marseille.----------------------------- Per sostenere economicamente Eleonora, Theo e Bastien, ecco l'IBAN su cui versare donazioni: IT56H0760105138211776611787 intestato a Lucia Costa.
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