Tumgik
#.Guido Alza
lamargi · 8 months
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La sera che avevo deciso di sedurre mio nipote ho scelto una mise provocante, con appena un velo di chiffon a coprirmi il seno.
Come dite? Una nonna non seduce suo nipote, non così deliberatamente almeno?
Una brava nonnina per il nipote prepara buone cose da mangiare e gli dà di nascosto qualche soldo per i suoi capricci….
Ma io non sono una brava nonnina. Sono una donna libera, sono titolare di una azienda di consulenza importante, viaggio, e quando mi sento sola la sera trovo spesso un maschio da portarmi a letto. E nonostante l’eta non ho mai dovuto pagare nessun giovanotto…..
Mio nipote non lo vedevo da tempo.
“Gli farebbe tanto piacere lavorare con te, ha sempre ammirato il tuo lavoro, ha studiato tanto, lui si vergognava a chiederti di fargli fare uno stage da te, sono stata io a insistere….” Così mia figlia mi ha convinta. Loro vivono in un’altra città e io, tra lavoro e distanza, da tanto non lo vedevo. Quando si è presentato ho visto subito che non era più un adolescente brufoloso, ma si era fatto un bel ragazzo, anche se così diverso sia da me che da sua madre: incerto, insicuro, timido.
Ha cominciato a spiegarmi i suoi studi, le sue motivazioni, ma l’ho fermato e gli ho detto che lo avrei portato a cena fuori. Ho capito che non aveva previsto di fermarsi a dormire e che non aveva bagaglio con sé. Gli ho sorriso dicendogli che naturalmente sarebbe venuto a dormire …da me.
Eccoci qui, al ristorante, lui parla tanto, io lo ascolto poco. Credo che parli anche per nascondere un certo turbamento. Il suo sguardo cerca di vagare, ma torna sempre a fissarsi sul mio seno. È così teso, che sobbalza sempre quando sotto il tavolo lo tocco con le ginocchia o con il piede.
La cameriera che ci serve, che mi conosce e mi ha visto in questo locale con altre prede, alza il sopracciglio quando lo sente chiamarmi “nonna”. Ma ci scambiamo lo stesso uno sguardo d’intesa. Forse pensa a un gioco erotico, forse non crede davvero che il ragazzo a cui prendo la mano sopra il tavolo e a cui sensualmente dico che è ora di andare a letto, sia veramente mio nipote.
È a casa che l’imbarazzo di mio nipote raggiunge il culmine. Lo faccio sedere sul divano, lo faccio bere, cosa a cui si vede non è abituato. Mi seggo vicino a lui, lo accarezzo, non come farebbe una nonna amorevole, ma come fa una donna che vuole sedurre. Gli sussurro di non preoccuparsi, quando si scusa di non avere un pigiama con se.
E mentre guido la sua mano sulle mie gambe, per fargli sentire quanto ancora siano toniche le cosce di sua nonna, gli spiego che gli stagisti della mia azienda tra le loro prestazioni hanno quella di dormire con la padrona. E farsi scopare.
Il suo “nonna che dici” è interrotto dalla mia lingua che entra a forza nella sua bocca.
“Ho deciso, ti prendo”, gli sussurro all’orecchio, mentre lo prendo per mano e lo tiro su in piedi. “Ma …ma…” balbetta mentre me lo tiro dietro verso la camera da letto.
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happiestplacehq · 19 days
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At the time of posting, these are the characters currently in-play:
Gemma - Tina Bell, Rachel Crowne, Alice Little, Nani Pelekai, Deziree Tremaine, Mirage
Alex - Paxton Patterson, Woodrow Pride, Wendy Darling
Alice - Patrick Patterson, Mary Gibbs
Atlas - Toulouse Beaumont, Honeymaren Nattura, Sunny Scamsalot, Kronk Cabrera, Abby Mallard, Bailey Lightfoot
Casi - Sofia Bạch, Sally Finkelstein, Remy Reinhardt, Chelsea Katz, Guinevere Bạch, Olivia Flaversham
Claire - Jane Porter, TJ Detweiler
Jane - Eilonwy Pelydryn
Jordan - Ollie Malo, Raymond Bug, Audrey Ramirez
Kit - Babette Dust, Henrik Hera, Persephone Kore, Alfredo Gusteau-Sør
Naomi - Adam Legrand, Ella Fontaine, James Hook, Elsabeth Arendelle, Terence Gold, Marie Beaumont, Lady Lannister, Dory Blue, Pearl Princeton
Paige - Anastasia Tremaine, Rita Jacobs, Travis Montgomery, Lorelai Hart, Freddie Slothmore, Hans Sør, Myra Lemures, Lilo Pelekai, Gabriel Guzman
Penny - Zach Casper, Peter Pan
Ryan - Charlotte La Bouff
Samantha - Oz Borror, Minnie Myshkin, Jim Hawkins, Arista Neptune, Benak Singh, Sabrina Ogawa, Fig Fabbri
Tom - Hayden Bodaway, Victor Lumiere, Guido Alza
Zöe - Ashley Armbruster, Jessie Pride, Becky Detweiler
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patriziacavalleri · 1 month
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"Liberiamoci dal pensare unidirezionale che alza barricate di pensiero mistificando verità e bellezza, costruendo idoli di progresso e libertà che sono prigioni senza sbarre e riducono l'uomo a una pancia da riempire, a un desiderio da soddisfare."
Guido Mazzolini
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gregor-samsung · 1 year
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“ Il maestro Casadio mi guarda attraverso il vapore che si alza dai cappelletti in brodo, mi strizza l’occhio e mi dice: ma lo sai che i vecchi qua avevano l’abitudine di metterci il vino, nei cappelletti? Lo versavano dal bicchiere; qualcuno lo fa ancora, ma pochi. Si scotta, fa una smorfia; non c’è niente da fare: in Romagna c’è un’estetica del brodo, o un’etica, che impone di mandarlo giú bollente. Forse, dice quando ritrova la parola, è perché adesso il vino è buono, mica il vinaccio dei contadini che si beveva una volta. Ride e intanto gli viene in mente una cosa: lo so io che cosa ha fatto Gaetano Bresci prima di ammazzare il re Umberto, a Monza, il giorno che ha ammazzato il re, cioè il 29 luglio del 1900? No che non lo so. Si è mangiato cinque gelati! rivela il maestro, felice della mia sorpresa. Gaetano Bresci si è mangiato cinque gelati, uno dopo l’altro. Andava a vedere se arrivava la carrozza del re, e visto che non arrivava tornava alla gelateria a prendersene un altro. Cinque volte. Era uno che si trattava bene, commento io. No, tutto il contrario: era una persona sobria, uno che non apriva mai bocca. Ma erano gli ultimi gelati della sua vita e lui lo sapeva, ecco perché. Sapeva che la cosa piú probabile, dopo l’attentato, era che lo linciassero lí per strada, e se no che lo ammazzassero poco dopo, come hanno fatto in carcere, puntualmente, perché siccome non c’era piú la pena di morte l’hanno mandato all'ergastolo vicino a Ventotene; ma era una finta, neanche l’ergastolo bastava, non hanno neanche aspettato un anno per farlo fuori, per empirgli la bocca di zolle, come scrive Pascoli, quella mezzasega… Che poi hanno detto che si è impiccato; ma no, non Pascoli: Bresci! Ma come faceva? Impiccarsi con un asciugamano che non doveva avere, dopo aver ordinato una cena che ha pagato ma non ha consumato… Ma il gelato, ho chiesto io, era sempre lo stesso, o ogni volta ha ordinato gusti diversi? Questo il maestro non lo sapeva, in compenso voleva chiedermi un’altra cosa: lo sapevo io che Bresci era venuto a Monza apposta dagli Stati Uniti per ammazzare il re? Con un biglietto scontato, perché soldi ne aveva pochi, era un operaio… Però c’era l’Esposizione Universale di Parigi, quell'anno, e le compagnie di navigazione praticavano prezzi speciali. È stato un regicidio con lo sconto, del tutto degno, a pensarci, della statura men che modesta della vittima… No che non lo sapevo. “
Guido Barbujani, Soggetti smarriti. Storie di incontri e spaesamenti, Einaudi (collana Super ET Opera Viva), febbraio 2022¹; pp. 95-97.
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~ Tutta colpa del coso ~
Arrugginita è un eufemismo. Sono anni che non guido in questa città.
Due occhi non sono sufficienti a evitare di fare disastri. Me ne servirebbero due per guidare, uno per il navigatore e due per tenere d'occhio le altre macchine, i motorini e i pedoni che ti tagliano la strada da ogni lato. Muovermi con i mezzi del trasporto pubblico, considerando le ben note performance del servizio, non è nemmeno un'opzione. Mio marito non ha voluto accompagnarmi, troppe ore ad aspettare inutilmente dice. Non mi resta che farmi questa trasfertina by car, in fondo sono appena 60 km, che puó succedere mai? Suvvia.
La musica a palla mi fa compagnia, mentre sono tristemente incolonnata al casello della tangenziale. Sbircio nelle macchine ai miei lati e osservo le persone all'interno. Mi piace osservare gli altri, immaginarne chi sono e i loro pensieri dalle espressioni, dai movimenti, dagli oggetti che riesco a intravedere, da qualche dettaglio nella persona o nell'abbigliamento. Mi chiedo se sono pendolari occasionali come me o questo fa parte del loro delirio quotidiano. Come si fa ad abituarsi, ad inserire nella propria routine, un supplizio simile? Evidentemente in qualche modo si fa.
Mentre penso compiaciuta che le mie scelte di vita, per quanto opinabili, mi hanno almeno risparmiato situazioni del genere, all'improvviso la macchina vibra e si spegne. Riaccendo, faccio un metro, si rispegne. Idem il metro successivo. Spengo l'autoradio. Niente, non va. Le auto dietro iniziano a suonare. Panico. Disabilito l'alimentazione a gas e passo a benzina. Rispengo, riaccendo, va. Stronza di macchina, quando ti rottamo sarà sempre troppo tardi!
Lentamente guadagno il mio turno al casello, prendo le monetine dal portaoggetti già contate prima per non perdere tempo. Cerco di accostarmi il più possibile senza sfasciare niente, il braccio è corto purtroppo, e inserisco le monetine. Ne inserisco € 1,20 ne segna 0,90. Cazzo si è mangiato le monete! Prendo la borsa, poi il portafogli e cerco di afferrare monetine a cavolo il più veloce possibile, perché da dietro già suona un concerto di clacson in do minore. La macchina si spegne. Ma porcapú! Riaccendo, stenta ma grazieadio parte, infilo le monete che avevo in mano, sperando le conti bene stavolta. L'asta si alza, alleluja, e sfreccio manco fossi Verstappen in pole position, lasciando una scia di automobilisti incazzati alle mie spalle.
Non ho il tempo di tirare un sospiro di sollievo che il navigatore mi dice qualcosa che non capisco, svolto a sentimento ritrovandomi fortunatamente nella direzione giusta. Ma non faccio cento metri che arrivo ad un semaforo e mi accorgo di essermi incolonnata male: in quella posizione sono costretta per forza ad proseguire dritto, e io devo svoltare a sinistra! Scatta il verde e faccio diosolosacosa, ringraziando in cuor mio quelli in arrivo da dietro per non avermi ucciso.
Finalmente arrivo alla stazione, dove so che nei pressi c'è un parcheggio a pagamento molto grande, vicino alla mia destinazione. Faccio per entrare, mi accosto alla colonnina, e non vedo il solito fungo da premere per ritirare il ticket. Impossibile una retromarcia. Echecazzo! O sono su scherzi a parte o io e le sbarre oggi abbiamo un problema serio. È prestissimo, non arriva nessuno. Il presidio del custode del parcheggio è vuoto. Cerco in giro forme di vita amiche e, molto più in là, vedo due uomini che parlano, sembrano dipendenti delle ferrovie a giudicare dalle camicie celestine che conosco troppo bene. Mi frigge, ma mi tocca andare a fare la figura dell'impedita.
Mi avvicino disinvolta e sorridente e saluto sonoramente. I tipi si girano e quello che era di spalle toglie gli occhiali da sole, risponde al mio saluto con un cenno del capo, spalancando un sorriso da 1000 watt. Azz! Percezione collaterale di immediata umiditá mentre il resto del mio sistema esegue, in un quarto di secondo, una scansione fotografica del soggetto: altezza media, capelli castano chiaro, tendente al biondo, sistemati all'indietro, sfumatura sul collo a regola d'arte, ciuffo leggermente spettinato sulla fronte, ciglia folte e lunghe da fare invidia alle donne, occhi castani, barba da mezzo centimetro, mascella taglio laser, bocca con arco di cupido pronunciato, spalle larghe, braccia molto definite ben visibili nonostante la camicia arrotolata a tre quarti, di cui una tatuata fino al polso, bracciali vari, mani grandi, un solo anello al pollice, jeans chiaro riempito da due gambe promettenti, converse vissute. Valori biometrici nella norma. Colesterolo borderline. Secondo uomo: non pervenuto, non riuscivo a guardare altrove.
Chiedo se per caso sanno di problemi per l'ingresso al parcheggio, giacché non riesco a fare alzare la sbarra e, l'uomo non pervenuto, mi spiega, con l'intonazione da tombeur de femmes, che c'è da premere un pulsante che ti fa uscire il "coso", da infilare poi nella macchinetta automatica prima dell'uscita. Ah ecco, guarda tu che rivelazione. Gli rispondo che "io lo prenderei volentieri il coso, ma il pulsante non lo trovo!". Loro ridacchiano sotto i baffi e mi rendo conto solo dopo di quello che ho detto. "Vabbè il ticket... Ok provo a ricontrollare allora, grazie gentilissimi!". Perfetto, che graziosa figura di, se torno lì e c'è un pulsante giuro mi faccio ricoverare. Se non c'è, sradico la colonnina ed entro, dopo averla prima suonata in testa al tipo non pervenuto però. Faccio per andare quando quello carino fa "dai ti accompagno, io qua ho finito, devo andare proprio da quella parte", congedandosi dal collega con un cenno della testa. L'altro risponde stesso modo. Credo che la comunicazione tra uomini si sia evoluta verso una sintesi estrema, tuttavia efficace, giacché si comprendono perfettamente anche così. Sono prossimi alla telepatia secondo me. Fosse stata una mia collega, ci sarebbero voluti tre minuti di blablabla solo per dirci qualcosa che significasse "ci vediamo domani allora, stammi bene".
Ci incamminiamo, lui mi precede avendo una falcata più lunga della mia. Non mi dispiace, mi dà modo di apprezzare un OMG di backstage e la scia di un profumo vagamente familiare. Lo seguo a passo sostenuto cercando, allo stesso tempo, di mantenere un'andatura decentemente femminile e fluida, considerate le mie espadrilles da tacco 10 oltre zeppa. Una volta alla colonnina, mi indica una specie di fessura, che non avrei mai detto fosse qualcosa da premere e lo confesso onestamente ad alta voce. Mi fa "Tranquilla, la prima volta restano tutti un po' perplessi". Ok ha evitato con molta attenzione la parola scema, onore al merito, tre punti a favore per il tipo. Lo premo e la colonnina diligentemente sputa il "coso" e la sbarra ai alza. Mi ficco velocemente in macchina prima che si riabbassi e parcheggio poco più in là, alla prima piazzola che trovo.
Dallo specchietto retrovisore mi accorgo che il tipo si sta avvicinando alla macchina, apro la portiera e, senza scendere gli dico "grazie mille, tutto a posto!". Lui ha un attimo di esitazione, poi mi augura buona giornata, mi riabbaglia con quel sorriso da 1000 watt, indossa gli occhiali e se ne va. Io resto lì a fissare il "coso" sul mio cruscotto, ed un deciso sentimento di inadeguatezza mi pervade. Lo ricaccio indietro, non adesso, ho bisogno di concentrazione per quello che sono venuta a fare. Sono esausta e siamo solo alla metà della prima parte della giornata.
Essendomi anticipata enormemente sui tempi, mio solito, resto in macchina nel parcheggio e dormirei volentieri. La nottata di merda alle spalle, passata a studiare qualche pagina in più delle 15 materie richieste nel bando di concorso, si fa sentire. Ma cerco di restare vigile e continuo a leggere il mattone di diritto pubblico e costituzionale che mi sono portata dietro, prestatomi da una mia amica smart, ed alla quale non vedo l'ora di restituirlo perché, visto quanto ci tenesse, mi viene l'ansia a tenerlo un'ora sola in più.
Sono fuori da un bel po' e la necessità di fare pipì si fa sentire. Manca un'ora ancora all'apertura dei cancelli e poi chissà quanto durerà la fila per le operazioni di riconoscimento e assegnazione dei dispositivi. Trattenerla fino a quando sarò dentro è impensabile, rischio di esplodere. Nonostante il pensiero di un bagno pubblico mi ripugna, mi incammino alla ricerca di un bar. Evito i primi che trovo dall'aspetto infimo ed entro in uno più grande, non tanto moderno, dove però ci sono molti giovani studenti ai tavoli che stanno facendo colazione. Chiedo dov'è il bagno e seguo le istruzioni, notando con disappunto che la toilette per le donne e per gli uomini praticamente è la stessa, unico antibagno con due porte, una per sesso.
Mi sento rinata mentre mi lavo le mani ma ti pareva che potesse funzionare l'asciugamani ad aria calda. Giammai! Riprendo alla meglio borsa e libro, cercando di non bagnarlo, ed esco di corsa da quel posto nauseabondo con le mani ancora grondandi prima che entri un uomo. Sbatto in qualcosa di durissimo e sto quasi per cadere all'indietro quando due mani mi afferrano e io afferro una camicia. Deo gratias! Solo cadere nel cesso mi manca stamattina! Sto per scusarmi del tamponamento maldestro quando mi accorgo che chi mi tiene, e a cui mi sto aggrappando, è mister 1000 watt. "È la seconda volta che ti salvo oggi!" mi dice mentre mi guarda divertito, per fortuna non infastidito, e io mi ricompongo alla meglio scusandomi e riscusandomi, veramente imbarazzata, anche per avergli praticamente stampato le mie mani bagnate sulla camicia. Lo lascio alla sua seduta di gabinetto e vado al bancone, mi siedo sullo sgabello, appoggio le mie cose e ordino un caffè "forte per favore". Che giornata.
"Cappuccio e cornetto Pasquá" sento mentre qualcuno si siede allo sgabello accanto al mio. "Adesso puoi cadere dallo sgabello, ci sono io" e mi fa l'occhiolino. Mentre penso cosa rispondergli il barman ci mette già davanti le nostre ordinazioni e gli fa "Danié che fai, ti asciughi addosso come i bambini?". Non posso fare a meno di ridere di gusto, quella faccia da figlio-di e la forma delle mie mani bagnate sulla sua camicia celeste erano davvero una situazione troppo surreale per non buttarla a ridere. Stemperata cosí la tensione, facciamo le presentazioni. "Piacere Daniele". "Piacere Serena". Mi chiede cosa ci facessi da quelle parti e gli dico di essere venuta per un concorso che si tiene in uno dei padiglioni della mostra. Lui è un dipendente delle ferrovie e aveva appena smontato da un turno molto lungo. Parliamo del più e del meno, è simpatico, ironico, si esprime bene, la conversazione è piacevole... insomma trovare su due piedi un difetto a quest'uomo sembra impossibile. Se leggo bene il linguaggio del corpo questo pezzo di Marcantonio, sembra attratto da me. Si protende e si avvicina parlando, sorride sempre, mi guarda negli occhi ma troppo spesso punta le mie labbra e la mia scollatura. Effettivamente oggi ho un po' esagerato con la merce esposta, ma fa un caldo boia.
Troppo lusingata dalle sue attenzioni, non mi rendo conto che il tempo è passa velocemente e quasi mi viene un colpo quando mi accorgo che è passata l'ora X e ormai avranno aperto i cancelli alla mostra. Lo saluto frettolosamente, afferro la borsa, vado alla cassa e pago per entrambi. Mi sembra il minimo offrirgli la colazione, e scappo via sperando di non essere troppo in ritardo. Fortunatamente la fila dei partecipanti è a perdita d'occhio, quando arrivo la gente ancora si riversa dai cancelli, mi accodo ansimante ma felice di non avere fatto tardi. È mattina presto ma già ci si scioglie dal caldo, ed il pensiero che dentro dovrò indossare la mascherina ffp2 per ore imprecisate mi fa girare la testa.
Scorriamo lentamente e, come al solito succede, faccio amicizia con altri speranzosi candidati. Discorriamo delle materie a concorso e mi rendo conto che tutti sono molto preparati su un argomento che io non ho considerato importante. Al check fila tutto liscio, mi assegnano un posto e mi posso finalmente rilassare mentre aspettiamo il via della commissione. Giacché occhio e croce ci vorrà ancora un bel po', decido di dare una lettura veloce a quell'argomento di cui si parlava. Solo in quel momento realizzo di non avere il libro con me. Il testo sacro della mia amica! Devo averlo lasciato sul bancone del bar, ma che testa-di-m! E non posso nemmeno rintracciarlo su Google e chiamare per chiedere il favore di metterlo da parte, caso mai fosse ancora lì, perché i cellulari sono stati spenti e riposti in borsette sigillate per tutta la durata della prova concorsuale.
Che giornata! Cos'altro poteva succedere? Meglio non pensarci, tanto finché non esco di qua nemmeno nulla posso fare. Cerco di rimanere concentrata sul momento, ripassare articoli di codice e argomenti a memoria, ma nella testa passa sempre la pubblicità di quell'uomo. La sua bellezza da scugnizzo cresciuto, il tono di voce con cui mi parlava, il modo lascivo in cui mi guardava, le sue mani grandi e virili. Sì Seré ma adesso basta, cerchiamo di non scadere nel ridicolo, era più bello, più giovane, più tutto. Sono fuori come un balcone a pensare che potesse essere attratto da me. Ma come mi viene in mente, e poi mi avrà definitivamente archiviata per matta per come l'ho piantato al bar.
Sospiro e ascolto la spiegazione del presidente su come si svolge la procedura, le regole e tutte le cause di annullamento della prova. Pronti, si parte, 60 domande in 60 minuti. Ce ne vogliono 5 solo per leggere la prima domanda. Merda.
Consegno all'addetto il tablet, scansioniamo i QR per l'abbinamento, mi sbloccano la custodia e libero il mio cellulare. Arrivederci e grazie. Non direi che è andata male ma su millemila partecipanti fare un punteggio idoneo a scavalcarne la maggioranza è pura utopia. Un aspetto positivo è che abbiamo finito molto prima di quanto immaginassi. L'ansia si dissolve al sole, che mi scioglie i pensieri ghiacciati dall'aria condizionata polare e mi ricordo che ho un libro da recuperare. Al banco del bar il tipo, Pasquá, è ancora di turno ma dice di non aver trovato nessun libro. Chiede anche ai colleghi e alla cassiera ma niente, nessuno l'ha visto. Sconsolata esco di lì e già penso a dove potrei ricomprarlo. Si era tanto raccomandata, che figura di. Poi, siccome sono una donna semplice, vengo rapita da una scritta gigante su una vetrina: saldi 70%. Azz. Sui manichini cosine molto interessanti. Dopo tutti stí patemi una piccola gratificazione ce vó. Entro e mi do alla pazza gioia, il paradiso delle tardone a prezzi stracciati proprio!
Mi guardo allo specchio del camerino mentre provo l'ultimo dei vestitini freschi, leggeri e svolazzanti che avevo scelto. L'hanno fatto per me. Mi sta benissimo. Scollatura in risalto. Doppia spallina sottile. Punto vita regolabile con lancetti incrociati sulla schiena. Gonna irregolare che scopre le gambe a tratti moltissimo a tratti no. Fondo nero con sfumature in vari colori safari che faceva risaltare la mia pelle chiara e che si abbinava una favola con le mie espadrilles corda. Mi vedevo uno schianto... Sono io o lo specchio è photoshoppato? Peccato che non mi ha visto così stamattina. Ma chi? Ma seria? Che pensiero stupido. Il caldo mi sta dando il colpo di grazia. Ed il pensiero di indossare i jeans che avevo prima, nei quali stavo prendendo fuoco, e la maglietta sudaticcia, proprio non mi va. Stacco il cartellino e lo tengo addosso. Fanculo al caldo.
Quando esco è ormai ora di pranzo. Decido di prendere qualcosa da mangiare ma prima voglio liberarmi delle borse ingombranti. Entro nel parcheggio e mentre mi avvicino alla macchina noto un foglio bianco svolazzante sotto il tergicristallo. E che cazzo, una multa?!!! Nooo pure questo! Ma perché mai mi hanno multato? Questo è un parcheggio... Forse l'area era videosorvegliata e mi hanno rintracciato dopo quella manovra criminale che ho fatto stamattina al semaforo? Nel frattempo che elaboro tutte le sciagure possibili sono alla macchina e tiro il foglio. È un semplice ritaglio bianco. Non è il bollettino di una multa. C'è un messaggio scritto a penna "Il tuo libro ce l'ho io. Daniele" ed un numero di cellulare. Tutt a poooost!
Mi si attorcigliano le viscere mentre compongo il numero e non so perché. Squilla fino a staccare. Uff. Riprovo, idem. Ottimo. Mi guardo intorno in cerca di non so cosa. Intanto ficco nel cofano le buste. Riprovo e quando penso ormai che non risponderà nemmeno stavolta sento "Pronto". Bum. Cazzo di voce pure al telefono.
"Ciao Daniele sono Serena" - "Hey ciao... com'è andata?"- "Non ho idea ma credo benino dai... senti guarda oggi le sto combinando di tutti i colori proprio! Mi spiace darti noia come possiamo fare per il libro? Non è mio, altrimenti..." - "Guarda me ne sono accorto dopo un po' del libro, sono venuto anche ai cancelli ma il tipo non mi ha fatto entrare perché non avevo la domanda di partecipazione o una cosa del genere... Ah grazie per la colazione!". Mannaggia che pazienza sta avendo sto tipo con me oggi. "Ma figurati. Mi spiace invece che oggi hai passato un guaio con me..."- "Si è vero... Scherzo!Ascolta non posso raggiungerti in questo momento, però abito proprio di fronte la stazione. Se guardi sulla sinistra vedi un palazzo alto, grigio e bordeaux, sotto c'è un supermercato. Non ti puoi sbagliare... da lì è un attimo. Ti mando il codice del citofono via whatsapp. Ok?"- "Ok.. ehm grazie".
Guardo alla mia sinistra: è il tripudio dei palazzi altissimi qui. Una densità abitativa che, in un solo isolato, fa gli abitanti di tutta la città da cui vengo. Però ne individuo solo uno grigio e bordeaux. Qualche secondo dopo mi arriva un messaggio con un codice, piano, interno... Uff, non può metterlo nell'ascensore o buttarlo giù? No, dal settimo piano non direi sia il caso. Salire a casa sua mi agita però, non lo vedo un tipo pericoloso e non mi sembra nemmeno il caso di fare storie, per oggi gli ho già rotto le scatole abbastanza a sto' cristiano. Che può mai succedere ancora? Prendo il libro e mi dileguo, facile facile. Arrivo a destinazione veramente in pochi minuti, digito il codice e si apre il portone. Azz, moderni.
Settimo piano a piedi nemmeno per sogno, corro il rischio con l'ascensore, tanto c'è il portiere che saluto con un sorrisone e mi risponde con un cenno del capo. Ma che hanno tutti qui che fanno solo cenni? Bah. L'ascensore è rapidissimo, manco il tempo di darsi una sistemata nell'enorme specchio che suona al piano. Sul ballatoio ci sono quattro porte, il suo interno è la seconda a sinistra. Mi viene da ridere quando vedo la scritta sullo zerbino "check yo energy before you come in my shit"... che tipo questo. Chissà se vive solo. Magari è sposato e mi apre la moglie... hai visto mai. Chissenefrega io un libro devo prendere, si tenesse il marito, ho già il mio e mi avanza. Suono e rido tra me e me.
Qualcosa si avvicina alla porta, rumore di zampe, ansimi, graffi. Tra moglie e cane da guardia non ero andata lontana. Sento la sua voce che parla, al cane evidentemente, e poi guaiti sommessi. Mi apre sorridente mentre trattiene a stento per il collare uno stupendo ed enorme esemplare di pastore tedesco. Non so chi dei due è più bello. Il padrone è scalzo e a petto nudo, indossa solo un pantalone di tuta chiaro che, per come lascia evincere altre forme, mi dice che è nudo pure sotto. Il tatuaggio non è limitato al braccio ma si estende sulla spalla e in parte sul petto. Il mio imbarazzo deve aver prevaricato sul finto sorriso, giacché si affretta ad aggiungere "tranquilla... quello pericoloso non è lui". Rispondo troppo velocemente "Si capisce subito". Ridacchia e spalanca di più la porta, facendo segno di entrate. "No, dai tranquillo, non ti preoccupare dammi il libro al volo e ti libero" - "Te lo do volentieri... ma entra un attimo che non riesco più a mantenerlo, se scappa per le scale è finita!" e sono dentro prima di ascoltare qualsivoglia obiezione della mia testa.
Appena lo lascia il cane si avventa su di me. È chiaro che vuole solo giocare, il problema è che alzandosi su me, con la sua mole, mi sbilancia e lo scodinzolare impetuoso della sua coda fa volare la mia gonna. Il tipo ridacchia e interviene solo quando ormai mi cade la borsa perché ho bisogno di entrambe la mani per pararmi dalle leccate. "Ok ok... Leó vieni qua! Buono... su! Scusa ma era divertente vederlo farti tante feste... Non fa mai così con gli sconosciuti, anzi è geloso" - "Ah beh, lo prendo come un complimento... Grazie Leó???" "Sarebbe Leonardo".
"Piacere di piacerti Leonardo! Tieni per le brunette tu? Bravo cucciolo, sei un buongustaio!" guaisce mentre gli faccio i grattini sotto il muso. "Tale cane tale padrone!" risponde "e poi come dargli torto in questo caso... non c'era bisogno che ti mettessi in tiro per l'occasione, ad ogni modo ottima scelta!". Mi dedica un occhiolino e poi fa un'ampia squadratura della mia persona. "Non ti esaltare caro... Non è per te. Non ho saputo resistere al richiamo del negozio di abbigliamento all'angolo e quando ho provato il vestito avevo così caldo che non mi andava proprio di rimettere i jeans!" - "Eh... hai ragione si muore oggi... guarda me: ho ficcato i pantaloni per decenza perché stavi venendo tu, altrimenti nudo restavo...".
Gli occhi che ero riuscita a tenere fino a quel momento fissi nei suoi cadono sulla curva delle spalle, e poi sul petto e sulla pancia, ricoperte di una peluria castana dall'aspetto così soffice che viene voglia di passarci le mani dentro. In un verso e poi nell'altro. Il figlio di ballerina se ne accorge e con un sorriso compiaciuto aggiunge "Spero di non turbarti così". Non nutrirò il suo ego già in sovrappeso con la conferma di avermi squilibrato l'assetto ormonale. Non lo conosco, sono una donna sposata e probabilmente più vecchia di lui. Devo sbrigarmi a uscire di qui. Con la migliore faccia da poker rispondo "No tranquillo, è casa tua, anzi se mi dai il libro ti libero immediatamente. Devo tornare presto. Approposito grazie mille per averlo preso, non è nemmeno mio, che figura sarebbe stato non poterlo restituire a causa della mia sbadataggine!".
"Che fretta c'è. Ti ho salvato tre volte oggi, non merito una piccola ricompensa?" Si avvicina un pochino ed i miei occhi sbarrati suscitano la sua ilarità perché ridacchia di gusto e aggiunge "Mi merito almeno un caffè in compagnia, non ti spaventare bambolina". Non vedo nemmeno il cazzo di libro in giro per poterlo afferrare, girare i tacchi e salutarlo dicendo "bambolina glielo dici a tua sorella!". Deve notare che mi sono irrigidita e aggiunge "5 minuti per il caffè migliore di sempre Seré, e non per il caffè ma perché le mie mani sono magiche" e poi fa la cosa peggiore che potesse fare. Mi mette una mano dietro la schiena, in basso, nella curva prima del sedere, per spingermi a seguirlo verso la cucina. Una mano enorme e calda. Quel contatto in quel punto per me è la criptonite. La password del firewall. Il passpartout.
Lo seguo senza opporre obiezioni, è solo un caffè che può mai succedere? La casa è semplice ed essenziale. Maschile nei colori, ordinata e ben tenuta per essere abitata da un uomo e un cane. Dieci punti per il tipo. Sento che il caldo aumenta e non sono sicura che sia solo per la temperatura esterna. "Accomodati dove vuoi ma eviterei la Leó zone" e mi indica un angolo con scodelle e un cuscino davvero enorme dove prontamente il cane si fionda a rivendicare il suo territorio. "Non oserei mai Leó", dico al cane e appoggio la borsa sul tavolo mentre lo osservo ormeggiate con tazzine e cialde. Vengo attirata dalla porta finestra che da su un balcone e su una veduta mare veramente wow. "Posso affacciarmi fuori?" - "Sei la padrona bambolina".
Fuori il sole del primo pomeriggio è a picco ma al settimo piano c'è un venticello deciso e piacevole che si insinua sotto la gonna leggera e la fa svolazzare. È proprio bello lí ma non sono abituata, la vertigine mi prende subito. "È stupenda la vista qui" gli grido "Anche un'altra vista è stupenda" risponde di rimando. Lo sento avvicinare. "Servizio in terrazza madame" dice porgendomi la tazzina di caffè da dietro e praticamente abbracciandomi per darmela. "Merci monsieur". La prendo e lo assaggio. Il cazzone aveva ragione, fa un caffè degno del re. "Mmmmm buono davvero" - "Vedi devi fidarti di più... faccio bene un sacco di cose, oltre a salvare bamboline in difficoltà".
Stavolta rido io, è talmente sfacciato e sicuro di sé che quasi lo invidio. Me la toglie dalle mani appena ho finito e la appoggia su una sedia. Poi mi mette le mani sui fianchi da dietro. O lo butto giù adesso o lo lascio fare. Magari un altro poco e poi basta. Mi sfiora il collo con le labbra e poi mi bacia la spalla. Gli chiedo "Questo fa parte del pacchetto ringraziamento o cosa?" - "O cosa" risponde lui continuando fino a risalire alla guancia. Saranno le vertigini oppure è lui che mi fa girare la testa? D'istinto volto il viso verso le sue labbra. Solo un altro poco e poi basta mi ridico. Il bacio che ricevo è qualcosa di eccezionale, non mi ricordo più da quanto tempo non mi baciano così. Il caffè sulle sue labbra ha un sapore ancora migliore. Le sue mani salgono la schiena, accarezzano le braccia, il mio seno le riempie alla perfezione mentre stringe. Un brivido. Mi giro del tutto e lo bacio io. Le mani libere di accarezzare quel petto. Solo questo e poi basta. Ma perdo la cognizione del tempo e non so per quanto tempo continuo così, torno un poco in me solo quando sento le sue mani sul mio sedere e poi farsi strada sotto le mutandine. "Aspetta, non é il caso... devo andare, scusa".
Mi trattiene e mi stringe di più a sé mentre continua a farsi strada dove vuole. "Shhhhhhhh. Ferma. Abbiamo un problema qui" dice accarezzando tutta la lunghezza della mia intimità bagnata, un tocco così dosato e sapiente che mi strappa un bastardo di mugolio. "Abbiamo lo stesso problema" mi sussurra e si spinge contro di me facendomi sentire la sua eccitazione. Senza vergogna le mie mani si precipitano ad afferrarlo, toccarlo, testarlo. Eh sì, aveva un problema. Un grosso problema. Questa volta il rantolino di piacere è il suo. Mi solleva come se non avessi peso continuando a baciarmi e mi riporta dentro, appoggiandomi sul tavolo. Mi spoglia o mi spoglio, non lo so. So solo che sono mezza nuda, la sua bocca vorace sul mio seno zittisce ogni voce di buonsenso interiore e quando la sua testa sparisce sotto la mia gonna proclamo la mia resa definitiva. Non peccava di presunzione quando diceva che sapeva fare molte... cose bene. Non c'era bisogno di guidarlo, faceva piano, faceva forte, mordeva al momento giusto proprio come se leggesse i miei pensieri, provasse le mie stesse sensazioni. Si accorge infatti quando sto quasi per venire e si ferma. Mi trascina giù dal tavolo, togliendomi quel poco di stoffa che resta su di me ed io lo aiuto a liberarsi della tuta. Non posso non fermarmi un secondo ad ammirarlo. Questa volta sono io a bloccarlo contro il tavolo, mentre cado in ginocchio per assaggiarlo. E forse non si aspettava di non essere l'unico a saper fare le cose per bene, a giudicare dai forti sospiri di apprezzamento e da come mi mantiene la testa, sembra che abbia paura che smetta. Oh sì che so cosa fare, e lo faccio con trasporto, gusto, piacere mio anche se lo contengo a fatica in bocca: madre natura era in vena di strafare quando l'ha creato. I muscoli delle sue gambe si irrigidiscono sempre di più, è vicino. Mi fermo, lo voglio subito. Come leggendomi nel pensiero mi ribalta sul tavolo, mi bacia ancora, mi stende e mi dice "afferra il bordo del tavolo bambolina... sarà forte e cattivo". Alza le mie gambe sulle sue spalle ed entra in me lento, mentre mantiene il contatto visivo, cosa che mi manda in estasi già di per sé. La mia carne cede e si adatta a lui, è così grosso, mi riempie e lo sento tutto. Quando arriva fino in fondo si tira via, poi rientra in un colpo solo. Stupendo. Di nuovo. E mantiene la promessa. Si scatena dentro me, forte, voglioso, cattivo. Le oscenità che mi dice non fanno che aumentare il mio piacere. Devo mantenermi forte al tavolo davvero mentre fa. Sento il piacere travolgermi prepotente, gli spasmi del mio orgasmo mi scuotono tanto che le mie urla spaventano Leó che, coda tra le gambe, sparisce in un altra stanza. Le sue arrivano un secondo dopo, forti come le mie, più dolorose. Si accascia su di me rimanendomi dentro, ansimiamo sudati e sconvolti. Mi scosta i capelli dal viso e mi chiede come va. "Ci ha sentito tutto il palazzo e abbiamo traumatizzato il cane. Secondo te come va?". Ridiamo insieme. Appena il respiro si calma, cerca di nuovo le mie labbra. Non è ancora finita.
Come al solito prima di andare via sistemo le scartoffie sulla mia scrivania, ben allineate, e ripongo il "coso" che ormai uso come segnalibro nel codice di procedura. Lo rigiro un attimo tra le mani. Sorrido al pensiero di tutto quello che mi ricorda quel piccolo pezzo di carta ogni volta che lo vedo. A lui devo le ore più rocambolesche, indicibili, peccaminose e soddisfacenti della mia vita, trascorse tra le braccia di uno sconosciuto, che non ho più rivisto. E un nuovo lavoro. Ah sì, perché poi quel concorso l'ho vinto.
@conilsolenegliocchi 🐞
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Con piacere, ma è un viaggio non breve ed io non guido: ci vediamo una sera di mezza luna all'ombra di una siepe odorosa. Appena arrivi, non arrivare, gira i tacchi e fai il giro dell'isolato. Quando arrivi davvero, fischietta due volte, guardati intorno: non mi troverai. Osserva il vuoto, abbassa lo sguardo tra scarpe e terreno - sorpreso da una forte delusione momentanea, penserai "io lo volevo, lo volevo davvero". Così, colmo di speranza sincera alza lo sguardo, sarò lì.
Bene. Alla prossima mezzaluna ci sarò, senza arrivare. E guarderò verso l'alto per vederti. Sarai nuvola o aquilone, o Anon?! Soprattutto: sarai senza gli occhiali?
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Sono abituata a vivere con poco,
non guido la macchina, non amo i
gioielli, porto un paio di scarpe finché
non cade a pezzi, mi vesto così come viene.
Sono contenta così. Dicono che il mondo è
di chi si alza presto. Non è vero. Il mondo è
di chi è felice di alzarsi.
Monica Vitti
Ad un anno dalla sua scomparsa ♥️
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jacopocioni · 4 days
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Dante e il suo fantastico viaggio 6: Dante e i personaggi dell'Inferno.
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Prima parte Seconda parte Terza parte Quarta parte Quinta Parte
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Continua il lungo peregrinare di Dante all'inferno. Il poeta scorge un dannato con entrambi le mani mozzate, che facendoglisi incontro alza verso l’alto i suoi moncherini dai quali sgorga ancora del sangue sporcandogli il viso mentre grida: “Ti ricorderai anche di me, del Mosca. Sono quello che dissi cosa fatta non può disfarsi e queste mie parole furono l’origine di tutte le sventure della gente in Toscana…” L'uomo, o meglio l'anima, è quella di Mosca dei Lamberti un ghibellino fiorentino appartenente alla generazione precedente a quella di Dante. Fu lui a consigliare gli Amidei di punire con la morte Buondelmonte dei Buondelmonti (quello che non aveva mantenuto la promessa di sposare una donna della famiglia Amidei). Dante in passato aveva ammirato l'uomo come persona illustre e autorevole, ma quelle parole da lui pronunciate, come ricorda Dante, portarono alla rovina non solo di Firenze con l’inizio delle lotte tra Ghibellini e Guelfi, ma anche della sua famiglia. Mosca si allontana dunque rattristato e addolorato dall’incontro con il sommo poeta.
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L'impressionante numero di peccatori, ma soprattutto delle loro mutilazioni aveva destabilizzato Dante. Il poeta è poi in pena, perché convinto che in quella moltitudine vi sia un componente della sua famiglia che sta scontando a caro prezzo un suo peccato. Si tratta di Geri del Bello, un cugino del padre; la sua attitudine era quella di seminare zizzania ovunque, tanto da creare un inimicizia fra gli Alighieri e i Sacchetti. Era stato proprio uno dei Sacchetti ad ucciderlo ma ancora nessuno della sua famiglia lo aveva vendicato. Sembra proprio per questo motivo che quest'anima dannata sembrava sdegnata. Dante prova pietà nei suoi confronti.
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Tra un gruppo di senesi, spicca Capocchio, un alchimista fiorentino che Dante aveva conosciuto e con cui aveva studiato insieme. Era finito sul rogo sette anni prima, perché grazie all'alchimia aveva tentato di falsificare i metalli preziosi. Ecco che si avvicinano due dannati, uno dei due raggiunge Capocchio e lo azzanna alla nuca per poi trascinarlo facendogli raschiare col ventre il fondo della bolgia. Si tratta di Gianni Schicchi, un fiorentino, anche lui falsificatore, ma di persone.
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Griffolino, è invece un altro dannato, morto circa vent'anni prima. Su incarico di Simone Donati, il padre di un amico di Dante di nome Forese, Gianni Schicchi aveva sostituito lo zio Buoso sul letto di morte, dettando per bocca di lui le ultime volontà e lasciando così tutto il patrimonio di Buoso a Simone. Mentre ascoltava questo racconto, Dante vede arrivare un dannato dal ventre talmente gonfio da sembrare la cassa di un liuto. Il peccatore era affetto da idropisia e tratteneva un enorme quantità di liquidi nel suo corpo tanto da deformarlo, stravolgendone le proporzioni e appesantendolo talmente tanto da impedirlo nei movimenti. Paradossalmente soffriva dannatamente la sete. Si trattava del maestro Adamo. Nonostante fosse di origine inglese, aveva vissuto nel casentino ed era entrato a servizio dei conti Guidi che l'avevano incaricato di falsificare i fiorini fiorentini. Il fiorino, era una delle monete più forti e conosciute in tutta Europa. Adamo fu catturato a Firenze mentre cercava di spacciare queste monete false ed era stato condannato ad essere arso vivo. L’uomo girovagava sperando di incontrare Guido Alessandro e Aghinolfo Guidi, sperando di vederli soffrire almeno quanto lui.
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Ancora più avanti c’erano due dannati lividi immersi nel ghiaccio fino al volto. Avevano la faccia volta verso il basso e battevano i denti per il freddo insopportabile mentre piangevano. Si trattava di Alessandro e Napoleone, i figli di Alberto degli Alberti Conte di Magona signore dei castelli della Valle del Bisenzio e della Sieve. Erano nati dalla stessa madre, ma per ragioni politiche il primo era Guelfo, l'altro Ghibellino. A causa di questioni ereditarie avevano sviluppato un forte odio reciproco che aveva causato una guerra tra le loro fazioni finché si erano uccisi l'un l'altro. Un altro incontro che fa Dante è quello con Camicione dei Pazzi di Valdarno. L’uomo  aveva ucciso a coltellate un suo parente rimanendo l’unico padrone di alcuni castelli della zona. Stava aspettando un suo congiunto di nome Carlino, altro componente della famiglia dei Pazzi, un Guelfo Bianco che avrebbe consegnato ai Neri in cambio di denaro Il castello di Piantravigne. Era dunque un traditore della patria e per questo era stato dannato.
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Continuando a camminare Dante calpesta inavvertitamente strappando una ciocca di capelli Bocca degli Abati, un guelfo fiorentino che a tradimento a Montaperti aveva tagliato con la spada la mano di Jacopo dei Pazzi che stava reggendo l’insegna del comune. Questa cadendo aveva provocato li smarrimento e quindi la dispersione delle truppe Guelfe e la loro inevitabile disfatta, a causa di questo traditore. Nella stessa zona intanto si aggirava l’abate Tesauro dei Beccaria, era stato decapitato quarant'anni prima dai fiorentini perché aveva tradito i Guelfi che all'epoca erano al potere. Dante menziona anche la presenza di Gianni dei Soldanieri, un Ghibellino che morto Manfredi passò ai Guelfi. Insieme a lui ci sono altri personaggi, l'unico fiorentino tra loro è Tebaldello Zambrasi, un Ghibellino che vent'anni prima consegnò ai Guelfi bolognesi la città di Faenza. Questo è l'ultimo personaggio che Dante incontra nell'inferno prima di arrivare al Purgatorio. Nel prossimo articolo verranno presi in esame tutti i personaggi nominati in questo ultimo passaggio.
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Riccardo Massaro Read the full article
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stickycandygladiator · 4 months
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Museo Municipal de Bellas Artes Juan B. Castagnino
Se alza en una esquina aledaña al Parque de la Independencia y es uno de los museos de referencia en nuestro país. Su extenso patrimonio abarca una colección altamente representativa de la historia del arte argentino.
Inaugurado el 7 de diciembre de 1937, este museo suma el atractivo de encontrarse junto a los espacios verdes del Parque de la Independencia, ocupando un importante edificio proyectado por el arquitecto Hilarión Hernández Larguía. Alberga la colección histórica heredada del primer Museo de Bellas Artes de 1920, la cual ha sido acrecentada a lo largo del siglo XX gracias a numerosos legados y donaciones. Su patrimonio está compuesto por dos colecciones permanentes: Pintura europea desde el siglo XV al XX y Pintura argentina desde los precursores hasta nuestros días. En ellas encontramos obras de Ribera, Goya, Van Heemskerk, Zublaurre, Sorrolla, Sisley, Daubigny, Prilidiano Pueyrredón, Fader, Petorutti, Spilimbergo, Guttero, Quinquela Martín, Berni, Soldi, Musto, Schiavoni, Ouvard, Guido, Lucio Fontana, Gambartes, Herrero Miranda, Uriarte, Ottmann, Picoli y McEntyre. La colección de arte argentino es altamente representativa de la historia del arte nacional de todas las disciplinas, con especial énfasis en la producción realizada por artistas rosarinos. Entre las obras europeas cabe destacar las cuatro series de grabados de Francisco de Goya: Los caprichos, Los disparates, Los desastres de la guerra y Tauromaquia. Castagnino + Macro Al entrar en el siglo XXI el Castagnino retoma su política fundacional: incrementar su patrimonio, concentrando sus esfuerzos en el arte argentino contemporáneo. Partiendo de su propia colección, logra formar, en pocos años, un conjunto de más de 300 obras, lo que hace necesario disponer de un nuevo espacio. Así nace en 2004 el Museo de Arte Contemporáneo de Rosario (Macro) en los ex-silos Davis. Esta particular construcción, reciclada por la municipalidad, se encuentra en el nacimiento del Boulevard Oroño, sobre las barrancas del río Paraná. Cuenta con una torre de diez pisos, siete de ellos destinados a salas de exhibición.
ciencias del arte
Av. Belgrano y Buenos Aires 2000 Rosario, Argentina
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realidadpe · 11 months
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¿Afectan la inflación y la volatilidad del dólar al sector construcción?
Por Gianmarco Delgado Sánchez La Cámara Peruana de la Construcción (Capeco) afirmó hace unos días que la inflación y el alza del dólar tuvieron un impacto en el sector debido a que las personas no cuentan con los recursos necesarios para acceder a una vivienda. Consultado por la Agencia Andina, el director ejecutivo de Capeco, Guido Valdivia, aseveró que el segmento de vivienda social es el…
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happiestplacehq · 9 months
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GUIDO ALZA is thirty-four years old. He is a Mechanic at Hangman’s Garage. He is the humanized version of Guido from the Disney film, Cars.
+ Dedicated, Nimble, Enthusiastic - Impulsive, Headstrong, Easily Frustrated
ABOUT GUIDO
Born to a Chinese mother and an Italian father, Guido had the luxury of being able to experience the wonders of multiple cultures when he was growing up. He’s the only child of his parents but is close with his cousin Luigi to the point that the two see one another as brothers. His mother passed when he was younger and he doesn’t have much memory of her, though he does feel guilty about this. His father worked for racing teams which had the Alza family moving around wherever the team he was working with were moving on to whether it be training or racing. That was where his love of cars and mechanics began. Guido was in awe of his dads job and when he wasn’t in school, he spent most of his time at the racetrack.  However, one day he was at the racetrack and a freak accident happened with one of the machines in the pit, killing his father in the process. Guido was devastated. More so when it was brought to the attention of people that he was now technically an orphan. He called his uncle when it happened, not knowing who else to call and thankfully his uncle took him in and saved him from a life in the system. Having Luigi around was a saving grace when Guido had to process everything, but part of Guido pulled away. It took a few years for him to start opening up and having some life about him again.  Guido drilled his academics to the bone, determined to get a scholarship for mechanical engineering at an ivy school. He zeroed in on that end goal and didn’t take his foot off the gas until he had achieved it, and fast forward a few years and he was graduating top of his class. Fresh out of university, he landed a job within the racing circuit, head mechanic for Lightning McQueen and his team. When he’s not travelling the world to pander to the McQueen team and off-season, he’s at home in Redwood Hollow and works at Hangman’s Garage. It’s not uncommon to see the McQueen team drop in to see him and Guido is just happy that he feels like his dad would be proud of him. 
ADDITIONAL INFORMATION
Formula-1 darling of the pit-crew - he’s somehow garnered his own fanbase (which he finds awkward)
Pronouns - He/Him
Sexuality - TBD
Guido is currently unavailable. His faceclaim is Max Minghella.
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claudio1959 · 1 year
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Mio pensiero....
QUESTA SINISTRA ANTIMILITARISTA
CON QUESTE ESTERNAZIONI ASSOLUTAMENTE PRETESTUOSE, FIGLIE DI PREGIUDIZI CONTRO I MILITARI E FRUTTO DI UNA TOTALE IGNORANZA DELLE TRADIZIONI DELLE NOSTRE FORZE ARMATE
FAVORISCE L'AFFERMAZIONE DELLA DESTRA IN ITALIA
"Saluto romano alla parata",
virale il post di Michela Murgia
Il Ministro della Difesa Crosetto cita un tweet:
"Accuse assurde, è un saluto militare"
"Entra in parata col saluto romano".
È la scritta che appare in sovrimpressione ad un breve filmato postato oggi su Instagram dalla scrittrice Michela Murgia sulla sfilata ai Fori Imperiali per la Festa della Repubblica. (quella già nota per la polemica sollevata sul Generale Figliuolo nominato Commissario all'emergenza Covid perché indossava l'uniforme... "A me personalmente spaventa avere un commissario che gira con la divisa, non ho mai subito il fascino della divisa").
Il riferimento è al passaggio degli incursori del Comsubin della Marina Militare: le forze speciali - tuta e berretto verdi, volti travisati da un fazzoletto beige - urlano 'Decima' quando sfilano sotto il palco delle autorità.
Il riferimento è alla Decima Mas, reparto d'assalto della Regia Marina: dopo l'armistizio del 1943 il comandante Junio Valerio Borghese ne schierò una parte nella Repubblica sociale contro gli Alleati.
Ma l'altra parte combatté contro i tedeschi nella guerra di liberazione.
Nel video viene inquadrato il presidente del Senato Ignazio La Russa che sorride, batte le mani e fa il segno di vittoria con le dita.
Il militare in testa alla compagnia alza il braccio in alto prima di portarlo alla fronte per il saluto.
Infatti, le pubblicazioni sull'istruzione formale in uso nei Reparti delle Forze Armate italiane, nel caso in cui non si abbia la sciabola, prevedono che il Comandante del Reparto, giunto in prossimità della tribuna d'onore, ordini gli onori alla massima autorità, in questo caso il Presidente della Repubblica On. Sergio Mattarella, alzando di scatto il braccio destro verso l'alto gridando: "Attenti a... sinist"
dopo di che porta la mano alla tempia destra nel classico saluto militare girando il volto verso l'autorità.
Io, che non sono fascista,
nella mia carriera ho compiuto il medesimo gesto centinaia di volte perché è così che deve essere fatto.
Ieri, prosegue il commento di Michela Murgia,
"sotto gli occhi impassibili del presidente Mattarella, è successo anche questo.
Tutto normale, perché sono anni che va avanti il processo di normalizzazione.
Se il senso del video non fosse chiaro, cercate "X flottiglia MAS" su Wikipedia.
Vi sarà subito chiaro perché
La Russa sorrida tanto e faccia il segno della vittoria. (Ma che serve ancora per capire cosa sta accadendo?)".
Il Ministro della Difesa Guido Crosetto non interviene direttamente, ma ritwitta un post del giornalista Massimiliano Coccia che definisce "ASSURDA" l'accusa della Murgia:
"Il saluto che vedete - rileva Coccia - non è un saluto romano, è un saluto militare di marcia, che consiste nell'alzare il braccio destro in modo perpendicolare per avvisare i militari che seguono per poi farlo scendere sulla tempia per il saluto.
Non è un saluto solo di un Reparto della Marina ma di tutte le Forze Armate".
Anche nelle precedenti parate, aggiunge, "gli stessi saluti sono eseguiti con le stesse modalità"....
Da soldato fedele alla Repubblica Italiana, che ho giurato di esserle fedele, di osservarne la Costituzione e le leggi, di difendere la Patria e le sue libere istituzioni provo solo sconforto nell'assistere a queste polemiche costruite sul nulla... che tristezza, che amarezza 😥 ⭐️🪖🇮🇹⭐️🪖🇮🇹
Max Meinero
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gregor-samsung · 2 years
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“ Malatesta, mi dice, era uno che sapeva infiammare le platee. Prima di tutto italiano, inglese, francese, per lui andava bene uguale. E poi, c’è poco da fare, aveva talento. Cos’abbia detto, quella sera al Tivoli and Zucca’s Saloon, non si sa di preciso. Ma non c’è molto da sbagliarsi. Avrà detto che monarchie e repubbliche, e tutti i parlamenti, servi e gendarmi della borghesia, compresi quelli dei cosiddetti regimi democratici, per non dire gli eserciti e le polizie, lo sbirro e l’esattore, il soldato e il carceriere, col loro complice, il fabbricante di menzogne, prete o professore che sia, foraggiato per asservire gli spiriti e farli docili al giogo: tutto questo andava soppresso, perché nessuno poteva imporre alle masse le proprie leggi. Avrà spiegato che la scienza positiva dimostrava la totale inadeguatezza del regime parlamentare, anche se mascherato col suffragio universale, anzi, specialmente col suffragio universale. Fin lí saranno stati tutti d’accordo, come pure sulla fratellanza tra i popoli e sull’abolizione delle frontiere, che di solito seguivano a ruota. Solo che a quel punto la porta si apre e entra uno mai visto prima. Anche se se le davano di santa ragione un giorno sí e uno no, a Paterson si conoscevano tutti. Malatesta smette di parlare. L’uomo si siede e aspetta. Allora uno del Diritto all’Esistenza gli chiede di presentarsi. L’uomo non si scompone. Pronuncia il suo nome, un nome che nessuno conosce, e poi dichiara Sono una pecora nera. Chissà se voleva dire che era anche lui un reietto della società, o invece una pecora nera dell’anarchia, uno che anche gli anarchici tenevano a distanza, ipotizza il maestro. Sia come sia, Malatesta gli spiega che ci sono stati molti arresti negli ultimi tempi e quindi bisogna essere sicuri che non sia un informatore della polizia; se nessuno lo conosce e garantisce per lui, deve andarsene. A questo punto Bresci si alza. Non conosce quell’uomo, dice, ma mandarlo via significa negare esattamente quella solidarietà fra tutti gli uomini che si è proclamata fino a un minuto prima; se qualcuno viene espulso se ne va anche lui. Un brusio di approvazione attraversa la sala. Malatesta ha antenne sensibili: capisce che non è il caso di insistere, e procede, passa ai temi piú delicati. L’organizzazione nella vita sociale, dichiara, è cosí necessaria, cosí evidentemente necessaria, che si stenta a credere che qualcuno possa metterla in discussione. Anarchia non può significare che tutti, avventurieri e arrivisti compresi, facciano tutto ciò che vogliono, bensí una società organizzata in cui non ci sia autorità che sovrasti le libere volontà degli individui. Non lo lasciano neanche finire, scoppia il putiferio. Gli anti-organizzati non aspettavano altro: si alzano, agitano i pugni, inveiscono contro l’oratore. Ma Malatesta risponde per le rime, spalleggiato dai suoi che quanto ad agitare i pugni non sono secondi a nessuno. Nella confusione generale quasi nessuno presta attenzione a Pazzaglia, il famoso barbiere: in fondo alla sala ha estratto una pistola e si appresta a far fuoco. Nessuno tranne Bresci, che si stende per quanto è lungo e gli colpisce il braccio. Il colpo parte con un botto che istantaneamente ristabilisce il silenzio. Malatesta fa una smorfia ed è costretto a appoggiarsi al tavolo della presidenza, ma non cade a terra. È ferito a una gamba, di striscio. Mentre alcuni si precipitano a soccorrerlo, e altri prendono per il colletto Pazzaglia, lo disarmano e lo sbattono fuori, fa un segno con la mano: non è niente, son cose che possono capitare. “
Guido Barbujani, Soggetti smarriti. Storie di incontri e spaesamenti, Einaudi (collana Super ET Opera Viva), febbraio 2022¹; pp. 100-102.
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napoliglamour · 3 years
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Arturo Schwarz, viene voglia di cominciare il racconto della sua vita con l'incipit di Cent' anni di solitudine di Gabriel García Márquez: «Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato...». Cosa pensava lei, in quella primavera del 1949, prima di salire sul patibolo in Egitto?
«Patibolo, esatto. Non mi aspettava un plotone, ma il nodo scorsoio: mi avevano condannato all' impiccagione lasciandomi tutto il tempo per riflettere sugli anni vissuti fino ad allora, 25, pochi ma intensi. Da tempo sapevo in cosa credevo e cosa volevo dalla vita. Come disse lo scultore Constantin Brancusi: "Tutte le mie opere sono databili dall'età di quindici anni". Per me, forse, da prima ancora».
Riavvolgiamo il nastro: com'era finito un italiano, quasi settant' anni fa, in una galera egiziana con la pena capitale pendente sulla testa? E com' è che oggi, a 94 anni, è qui, di fronte a noi, nella sua casa di Milano, zeppa di capolavori e libri, con una moglie giovane e bella, Linda, a raccontarcelo?
«Sono nato ad Alessandria d'Egitto da padre tedesco di Düsseldorf e da madre milanese, Margherita Vitta, figlia di un colonnello dell' esercito italiano. Entrambi ebrei. Si conobbero lì e si sposarono. Avevo la doppia cittadinanza ma nel 1933, con l'ascesa di Hitler al potere, rinunciammo a quella tedesca e mio padre, separatosi da mia madre e trasferitosi al Cairo, mi vietò di rivolgermi a lui nella sua lingua madre.
Non feci fatica: mi sentivo italiano, studiavo in scuole prima inglesi e poi francesi, e avevo una naturale repulsione per la Germania. Mio padre era influente in Egitto: aveva inventato la formula per disidratare le uova e le cipolle, dando un grande impulso alle esportazioni di un Paese esclusivamente agricolo.
Nel '38, a 14 anni, ero già trotskista. Con un paio di amici copti e uno musulmano, io, ateo, fondai la sezione egiziana della Quarta internazionale, voluta da Lev Trotskij da poco riparato in Messico. Aspetti, le mostro una reliquia che ha segnato tutta la mia lunga esistenza...».
(Si alza, stacca dalla parete un quadretto e me lo mostra) Ma questo è il biglietto da visita di Trotskij. Lo ha incontrato?
«Me lo fece avere dal poeta Benjamin Péret. Doveva essere il lasciapassare per il mio viaggio in Messico. Due mesi prima della partenza, però, i sicari di Stalin lo assassinarono e io decisi di dedicare la mia esistenza ad affermare le sue idee. Nel frattempo era scoppiata la Seconda guerra mondiale ed entrai, come volontario, nella Croce Rossa. Ero ad El Alamein a caricare i feriti sulle ambulanze, italiani o inglesi che fossero, e mi presi qualche scheggia nel polpaccio.
Di notte scrivevo poesie, come ho fatto per tutta la vita. Mandai le prime ad André Breton. Avevo letto il Manifesto del surrealismo ed avevo chiesto all' ambasciata di Francia al Cairo chi fosse questo Breton. Dissero che faceva lo speaker di Radio France Libre a New York. La risposta mi giunse sei mesi dopo, sfidando l'Atlantico infestato dagli U-Boot nazisti. Cominciò allora a trattarmi come fosse un padre. Mi incoraggiava, mi coccolava quasi. Finita la guerra mi iscrissi a medicina ma non dimenticai Trotskij».
Fu per causa sua che venne arrestato?
«Sì, aprii una libreria e cominciai a pubblicare i suoi libri in Egitto. All'alba di una mattina del gennaio 1947, la polizia irruppe in casa mia. Ero accusato di sovversione. Regnava Re Farouk. Da giovane sembrava potesse diventare un governante illuminato ma si rivelò un despota crudele.
Aveva abbandonato persino le buone maniere, a tavola mangiava come un animale, per dimostrare che a lui tutto era concesso. Mi trascinarono nella prigione di Hadra e mi rinchiusero nei sotterranei, in una cella piccola, senz' aria, solo con topi e scarafaggi. Dopo qualche settimana cominciarono le torture, mi strapparono le unghie dei piedi, causandomi la cancrena e la perdita di un dito, ma non parlai. Non era comunque necessario, perché l' amico musulmano spifferò tutto, raccontò della cellula trotskista, della nostra visione del mondo, dei contatti internazionali.
Mi trasferirono al campo di internamento di Abukir, dove venni a sapere della condanna a morte. Non la eseguirono subito perché servivo loro come ostaggio. Era scoppiata la guerra arabo-israeliana, e io ero ebreo. Dopo due anni di prigionia, l' impiccagione venne fissata per il 15 maggio, ma poche settimane prima Egitto e Israele firmarono l'armistizio. Negli accordi era prevista la liberazione dei prigionieri ebrei detenuti in Egitto.
Una mattina mi rasarono, lasciandomi credere che di lì a poco sarei salito sul patibolo. Invece mi accompagnarono al porto e mi imbarcarono su una nave diretta a Genova con il foglio di via e stampato, su tutte le pagine del passaporto, "Pericoloso sovversivo - espulso dall' Egitto". Così com' ero, senza poter rivedere i miei genitori, né procurarmi un ricambio d' abito».
Come le apparve l'Italia, quando sbarcò a Genova?
«Il paradiso terrestre. Raggiunsi Milano e trovai lavoro da un ebreo, Marcus, che aveva un ufficio d' import-export dietro al Duomo. Allora nessuno conosceva bene l'inglese e il francese. Appena possibile, una notte presi il treno per Parigi. Alle sei del mattino salii su un taxi, lasciai la valigia in un albergo di quart' ordine, e bussai alla porta di 42 rue Fontaine, a Montmartre. Aprì Breton, lo vedevo per la prima volta, ma mi abbracciò come fossi un vecchio amico.
L'appartamento era piccolo, il letto in un angolo e ogni spazio occupato da oggetti e opere d' arte. Sul muro, in fondo, occhieggiava una raccolta di bambole Hopi. Nello studio, straordinarie sculture africane e, sotto la finestra, La boule suspendue di Alberto Giacometti. Alle pareti, Giorgio De Chirico, Marcel Duchamp, Yves Tanguy, Max Ernst, Man Ray, Dalí... Salvador Dalí non mi è mai piaciuto, non era dei nostri, era Dalí e basta. Come, da trotskista, non ho mai accettato l' approccio commerciale di Pablo Picasso».
Quando decise di tornare a fare il libraio, l'editore e poi il gallerista?
«Un fratello di mia mamma, direttore di una filiale della Comit, mi fece avere un piccolo fido. Pubblicavo libri difficilmente commerciabili, giovani poeti e saggistica: Breton, Einstein e, soprattutto, Trotskij. Mandai in stampa La Rivoluzione tradita con una fascetta gialla: "Stalin passerà alla storia come il boia della classe operaia". Sa cosa accadde? Me lo confidò, tempo dopo, Raffaele Mattioli, amministratore della Comit e uomo di grande cultura.
Lo chiamò personalmente Palmiro Togliatti, chiedendogli di togliere il fido "alla iena trotsko-fascista di Schwarz". Così finì la mia prima esperienza di editore: per rientrare dovetti vendere tutto il magazzino a meno del 10% del prezzo di copertina e anche la libreria rischiò di chiudere. Per sopravvivere, cominciai a organizzare mostre di incisioni, acqueforti e libri illustrati dagli artisti.
Mi aiutarono molto Carlo Bo, Raffaele Carrieri, Elio Vittorini, Salvatore Quasimodo e molti altri amici. Non potendomi permettere l' arte contemporanea che andava per la maggiore (e nemmeno m' interessava), decisi di sfidare la legge capitalistica della domanda e dell' offerta: recuperai il Dadaismo e il Surrealismo che nessuno voleva. Feci uscire dalle soffitte le opere di Marcel Duchamp, che da tempo si era ritirato e non era più interessato ad esprimersi artisticamente. Con lui il rapporto fu meraviglioso: presi lezioni di scacchi dal maestro Guido Capello per un anno intero per poter giocare contro di lui. Rimase imbattibile, ma qualche soddisfazione riuscii a togliermela».
Poi, una mattina del 1974, senza avvisare nessuno, chiuse la sua galleria, ormai divenuta mitica, per dedicarsi agli studi di arte, di alchimia, di kabbalah. Cominciò a collocare (spesso donandole), in giro per il mondo, le sue collezioni. Sentiva il bisogno di prendere le distanze dal passato?
«No. E poi non le chiami collezioni, è una parola che non mi piace. Sentivo il bisogno di trasmettere un patrimonio senza smembrarlo. Resto trotskista e surrealista, ho venduto opere d' arte, ma ne ho anche donate moltissime, chiedendo in cambio che fossero trattate in maniera scientifica: catalogate, documentate, fatte sopravvivere, insomma. Del denaro non ho mai fatto una necessità, ho sempre cercato di sfuggire alla logica del suo dominio. Tutto questo ha a che fare anche con gli studi alchemici e cabalistici. Mica andavo cercando l' oro materiale, cercavo quello spirituale».
L' Italia, come ha detto lei, è stata il suo «paradiso terrestre», però molte delle sue opere sono finite in musei all' estero. Come mai?
«Un migliaio sono in quattro grandi musei internazionali, però un consistente nucleo di opere surrealiste e dada sono alla Galleria d' Arte Moderna di Roma. Non ha idea di quanto sia stato difficile. La burocrazia italiana è un nemico spietato: devi giustificarti per il tuo atto di liberalità, vissuto quasi con sospetto, mentre lo Stato non fornisce garanzie di corretta gestione. Mi sono anche visto rifiutare la donazione dei testi dada e surrealisti. Qualcuno pare li abbia definiti "robaccia pornografica". Li ho così regalati a Israele»
Per cosa combatte ora il trotskista Arturo Schwarz?
«Per l' amore di Linda. Così come ho amato la mia prima moglie, Vera, strappatami vent' anni fa da un tumore. E per un soffio d' aria fresca e pulita, un bisogno lasciatomi da quei mesi passati nei sotterranei di una prigione egiziana»
[Pier Luigi Vercesi]
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merlock7 · 5 years
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La stecca colpisce decisa e con precisione la sfera bianca, che schizza veloce verso la sua gemella rossa. La palla rossa con il numero 3 corre verso la buca nell'angolo sinistro.
Spigolo destro. Spigolo sinistro. E torna indietro.
Forse il colpo non era poi così preciso.
Riprovo. Mi sposto sull’altro lato del tavolo e mi chino quanto basta per prendere la mira. Respiro lento, porto indietro la mano che tiene ferma la stecca. Un secondo di attesa e poi colpisco la palla bianca.
Questa volta una palla entra in buca. Peccato sia proprio la bianca. Scuoto la testa e sospiro sconsolato. Oggi non ne entra una neanche a pagare.
Finisco in un sorso l'ultimo goccio di birra che era rimasta nel boccale e mi avvicino al bancone.
Il bar ha due sale. Quella principale, sulla sinistra, dove sono seduti praticamente tutti. Credo che ci sia una partita o qualche evento particolare in televisione. L'altra saletta, più piccola e intima dove si trova il tavolo da biliardo, appena girato il bancone sulla destra. La luce è leggermente soffusa, tendente al rosso. Le pareti sarebbero di un arancione acceso, ma le luci le fanno sembrare rosso vivo. Poi ci sono appese tutta una serie di locandine di film cult. Il cinema: la seconda passione del barista. Dopo le rosse.
La saletta ha una buona insonorizzazione, quindi le voci e il volume della televisione arriva ovattato. Giusto qualche grido di esultanza o di disperazione durante le azioni più concitate. Il resto è coperto da una tenue musica di sottofondo.
Mi appoggio al bancone e ordino un'altra birra. Doppio malto, come la precedente: squadra che vince….
Ritorno al tavolo. Nella stanza ci siamo solo io e una giovane coppietta nell’angolo, persa nel loro mondo. Li guardo. Lei, dai lunghi capelli ricci castani. Lui, completamente perso nei suoi occhi. Le accarezza dolcemente la mano, mentre lei gli parla con entusiasmo. Lui è perso. Completamente. Sorrido e riporto la mia attenzione al tavolo, lasciandoli al loro mondo incantato.
Provo ancora un paio di tiri, ma oggi non è decisamente la mia serata. E pensare che ero venuto proprio per rilassarmi dopo una giornata nera! Beh, almeno sta arrivando Guido, il barista, con la mia birra.
«Fa' fare un tiro» mi dice, allungando la mano verso di me. Gli allungo la stecca. Primo colpo: palla 12 in buca ad angolo. Secondo colpo: palla 15 in una delle buche laterali. Terzo colpo: palle 13 e 6. Gli strappo la stecca dalle mani: «Ma tu non devi lavorare?». Guido si allontana ridendo e un mio vaffanculo lo segue.
Bevo un sorso di birra e poi prendo nuovamente la mira. Concentrato. Questa volta è quella buona. Colpisco la palla bianca. Liscio la numero 6. La palla bianca rimbalza delusa su due sponde, prima di fermarsi al centro del tavolo. Abbasso le spalle e sospiro sconfortato.
La coppietta si alza. Dopo essersi messi le giacche si prendono per mano e si avviano verso l'uscita, lasciandomi solo in compagnia della mia birra. Non che la cosa mi dispiaccia.
Mi riposiziono per tirare quando qualcuno entra nella sala. Si avvicina verso il tavolo da biliardo, poi si accorge di me e abbassa le spalle, delusa. «Speravo fosse libero» le esce dalla bocca, senza neanche pensarci.
Mi rimetto in posizione eretta e mentre lei si sta girando per andarsene le propongo: «Possiamo fare un tiro a testa, se vuoi»
Lei si ferma, gira indietro lo sguardo, rimanendo però di spalle: «No, guarda, non sono molto dell'umore e non sono di compagnia».
Io mi guardo attorno, con fare un po’ teatrale: «Beh, perché io, da solo con una birra, a giocare a biliardo in una stanzetta in penombra, sicuramente sono in cerca di compagnia!»
Lei non risponde, rimane ferma a guardarmi, quasi impassibile. Sembra quasi che mi stia studiando. Io le sorrido, rilassato. mentre le porgo la stecca. «Dai, un tiro» le dico, con la mano verso di lei. Lei aspetta un minuto, poi si decide. Abbozza un sorriso e afferra la stecca. Con ancora il cappotto bianco indosso si china leggermente e con un colpo deciso manda in buca la palla 7 facendo sponda su entrambi i lati. Faccio un breve applauso, mentre prendo la stecca che mi sta porgendo.
Mi fermo, miro, trattengo il fiato prima di colpire la palla bianca. Di striscio colpisce la palla blu, la numero 2, che rotola lenta verso la buca.
Piano piano, arriva a un pelo dalla buca. Si sta quasi fermando. È sull'orlo.
E finalmente, buca!
Lei sorride, dopo essersi accorta della mia soddisfazione. «Giornata no» mi giustifico. Lei sorride e annuisce. Si è tolta il cappotto, appendendolo al muro, vicino al poster di Blade Runner. Indossa una camicia a righe bianche e azzurre, con le maniche leggermente ripiegate, fino alla metà dell’avambraccio. La camicia è infilata dentro a un paio di jeans a vita alta. Una cintura larga, nera, le fascia la vita. Dello stesso colore della cintura, i suoi stivaletti.
Sta per fare un tiro, si piega per prendere la mira e la lunga coda che tiene insieme i suoi capelli biondi le cade sulla spalla destra. Insieme ai capelli, anche una collana è venuta allo scoperto, fuoriuscendo dalla scollatura creata dalla camicia appena sbottonata. Un ciondolo le pende dal collo, un cigno stilizzato, chiuso a formare un cuore. Subito sotto una piccola perla bianca e poi delle lettere, immagino le sue iniziali.
E guardando il ciondolo, dalla mia angolazione, si riesce a vedere bene la scollatura. Un reggiseno azzurro, appena più chiaro delle righe della camicia si intravede da essa.
«I miei occhi sono più in alto» mi rimprovera, senza distogliere lo sguardo dalla pallina bianca e dalla stecca. Io imbarazzato guardo altrove, arrossendo leggermente. Lei sorride appena scuotendo leggermente la testa, prima di colpire la palla.
«Scusa» mi giustifico, in imbarazzo. «Fallo di nuovo e le prossime palle che colpisco non saranno numerate!» mi intima, ma sorride.
«Gradisci qualcosa da bere?» le chiedo, quando mi accorgo che la mia birra è finita. Lei annuisce. «Va bene. Per me una birra rossa, grazie.». Mi avvio verso il bancone, per tornare qualche minuto dopo. Le porgo la sua rossa e brindiamo. «Alla salute, Milady» alzando il boccale. «Milady?» chiede lei, perplessa. «Beh, non sapendo il tuo nome, in qualche modo dovrò pur chiamarti». «Uhm… Chiamami… M!». «Emme?» la guardo un po’ perplesso, poi mi accorgo del poster davanti a lei: “Licenza di uccidere”.
«Davvero?» le chiedo, molto perplesso. Lei ridacchia. «E va bene M…». Poi aggiungo: «E prometto di non fare battute su Ursula Andress». «Ecco bravo» la sua risposta, sempre ridacchiando. E il film con Sean ci da il primo argomento di cui parlare. Iniziamo a parlare. Dapprima brevi frasi, quasi più domanda e risposta. Poi l'atmosfera si rilassa, le si scioglie leggermente e iniziamo ad avere una conversazione più rilassata. Dalla spia britannica, ci spostiamo all’investigatore londinese. Probabilmente la colpa e mia che ho il pallino di Sherlock Holmes. Parliamo dei libri di Doyle, delle trasposizioni e dei vari arrangiamenti.
L’atmosfera e sempre più serena e tranquilla, e anche lei sembra sentirsi sempre più a suo agio. Chiacchieriamo tranquillamente, senza un vero e proprio filo conduttore, semplicemente in base a dove ci porta la discussione. E non importa come siamo arrivati a parlare di noci o di supereroi.
«Inizia a farsi un po’ tardi, tra non molto dovrò andare» dice, guardando l’orologio. Probabilmente è un'illusione mia, ma giurerei di aver sentito un velo di malinconia mentre lo diceva. «Facciamo l’ultima?» le propongo. Lei annuisce sorridendo: «Dai, vai a prendere un altro giro. Io nel frattempo sistemo e chi perde paga da bere!». È divertita mentre mi lancia la sfida. Io sorrido. Quando torno, la trovo appoggiata al tavolo che mi guarda. E mi sorride.
Lascio che sia lei a spaccare. Prima di alzare il triangolo, faccio ruotare la sfera centrale, la nera. Lei scuote la testa divertita: «Buffone». Io le sorrido e lei spacca. Palla 3 in buca. A lei le piene, a me quelle a metà. Peccato
La partita è abbastanza equilibrata, giungiamo alla fine che a lei manca solo la nera, la numero 8. A me anche la 13. La nera si trova vicino al bordo, un tiro non troppo difficile, se fosse mancina. Mi guarda e sorride. Poi si siede sul bordo del tavolo. Accavalla con molta eleganza le gambe. E con la stessa eleganza porta la stecca dietro la sua schiena. Il gesto le porta ad avere la schiena perfettamente dritta e il petto spinto in avanti. Proprio di fronte a me. È sensuale nei movimenti, senza risultare volgare. Mi guarda e sorride, con un velo di malizia. Con eleganza colpisce la palla, che va a colpire la numero 8. Lenta, rotola verso la buca. Ha vinto lei. Sorride contenta, soddisfatta. E anche se ho perso, vederla sorridere mi rasserena. E d’istinto sorrido anche io.
Un ultimo brindisi per finire le nostre birre. «Ora però devo proprio andare». Le prendo il cappotto e l’aiuto a indossarlo. Lei mi ringrazia sorridente. La accompagno verso l’uscita. «Grazie per la serata, davvero» mi ringrazia con dolcezza. «Beh, grazie a te… M». Lei mi sorride e mi fa l’occhiolino. Io le sorrido in risposta. Poi, si avvia verso l’uscita. Poco prima di uscire, si gira verso di me. Io sono ancora lì, imbambolato, che la guardo. Lei mi sorride e muovendo dolcemente le dita mi saluta. Poi si allontana e la porta si richiude dietro di lei.
Io sospiro. Mi riavvio verso il tavolo, rimetto a posto le stecche e le palle e prendo la mia giacca. Metto una mano in tasca per prendere il portafogli e mi accorgo che c’è qualcosa di strano. Estraggo la mano dalla tasca ed estraggo un biglietto. E mi avvio sorridendo verso il bancone.
Guido mi guarda perplesso: «Beh, che c’hai da ridere, manco sai come si chiama».
Tiro fuori dalla tasca il biglietto, che è il biglietto da visita di non mi è ben chiaro quale società. Sul retro, scritto a penna:
“Vediamo se sei bravo così bravo
Trovami
M.”
E un piccolo cuore in basso a destra.
Guido scoppia in una fragorosa risata. Poi prende due bottiglie, fa qualche intruglio strano e mi passa un calice: «Questo te lo offro io»
«Vodka Martini?»
«Agitato non mescolato»
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unpensadoranonimo · 5 years
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