Tumgik
#è un ginepraio
morganadiavalon · 5 months
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A MIA MAMMA.
Eri piccola quando ci siamo conosciute.
Beh, sì, io ero ancora più piccola, ma tu eri più piccola di me adesso.
Eri una giovane donna che aveva conosciuto l'indigenza e il lavoro minorile e nonostante ciò non lesinavi sorrisi e leggerezza, come se la vita fosse per te una continua scoperta appassionante e non avessi mai niente da rimpiangere.
Sei stata la prima e l'unica persona che mi abbia mai letto una storia ad alta voce, leggevi e inventavi, perché di certo la fantasia non ti è mai mancata e mi hai cresciuta a sorrisi, iniezioni di autostima, lezioni di pazienza e amore. Un totale, disinteressato, incalcolabile amore.
Non ti ho mai percepita gelosa, fare l'offesa o essere possessiva.
Non hai mai cercato di ostacolare le mie scelte coniugando una sostanziale fiducia in me con una silenziosa osservazione di ogni passo che compievo.
Mi hai dato la vita e poi mi hai permesso di scorazzare qua e là, senza iperprotettivismo, ma con la saggezza infinita di chi sa che le migliori lezioni sono quelle che che impariamo a nostre spese e cercare di impedire a un figlio di soffrire (seguendo, peraltro, un criterio personale nel determinare quale sarebbe il suo bene) equivale talvolta a impedirgli di crescere.
Hai sorriso della mia irruenza adolescente, che ti rimproverava alcune scelte, che ti chiamava pavida e ti criticava di esser troppo accondiscendente. Ma le lezioni di vita a volte son semestri infiniti di materie che non si leggono sui manuali e il cui reale significato ci arriva molto dopo averle studiate.
E così la tua granitica pazienza ha visto me mutare, crescere, maturare. E capire finalmente l'incomparabile intelligenza che ha guidato ogni tua mossa per portarti fuori indenne dal tuo personalissimo ginepraio e lasciare a noi sì, la percezione di essere passate attraverso qualcosa di scombussolante, ma riportando solo qualche graffietto superficiale e lasciandoci invece, come premio, un'inviolabile serenità familiare che, come una leonessa ruggente, hai protetto e custodito facendone il rifugio felice e il porto sicuro che è ancora adesso e che sarà per sempre. Perché hai sempre saputo separare le tue battaglie dalle nostre vite e non hai mai permesso che piani che non dovevano sovrapporsi si sovrapponessero e che la strada delle tue conquiste personali incrociasse maldestramente quella della nostra crescita.
Il risultato è la serenità interiore che ci hai dato in eredità, tesoro preziosissimo che custodisco fieramente. E sebbene noi abbiamo ereditato anche parte della dimensione più squisitamente malinconica e profonda di papà (che custodisco altrettanto fieramente), e sebbene questi nostri anni adulti siano terribilmente instabili e a noi piaccia dire che la vostra vita negli anni '80 fosse per certi versi più "facile" e ci si faccia, quindi, a volte, prendere un po' dallo sconforto, mi basta ripensare al tuo sorriso felice, al tuo entusiasmo, alla tua sconfinata e ottimistica fiducia nella vita per sentire come un'epifania dentro di me e sapere, con certezza, che andrà tutto bene, che tutto avrà un suo senso, prima o poi.
Mamma, anno dopo anno, non posso che augurarmi di somigliarti sempre di più, crescendo.
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kon-igi · 1 year
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A COSA FA MALE IL PORNO
Il titolo è fuorviante ma siccome cerco di tenerli corti per il colpo d'occhio incuriosente (non è proprio clickbait ma quasi), in realtà l'argomento è estremamente serio e si riaggancia al mio precedente post sul patriarcato dei 'cari amici uomini'.
Il porno, così come lo si (dovrebbe) intende(re), è la rappresentazione visiva di una manifestazione fisica, nello specifico della sessualità e in genere dell'affettività: ci si sofferma in modo evidente sull'atto del copulare o su pratiche che orbitano comunque intorno alla sfera genitale o paragenitale.
Premettendo che LA CONSENSUALITA' sta alla base di qualsiasi pratica - anche la più estrema - e che questo mio ragionamento ha pure valore indicativo di una mia intuizione senza alcun giudizio (TL;DR fate tutto quello che volete con il/la vostro/a partner se maggiorenne e capace di decidere per sé) ho notato che il porno mainstream offre TANTISSIMO MATERIALE su pratiche sessuali in cui la donna, per quanto immagino e spero consensuale, viene degradata e umiliata dalla controparte maschile, con tanto di mascara colato per lacrime e secrezioni varie, difficoltà respiratorie per dita strette attorno alla gola oppure oggetti e parti di corpo infilati a lungo in gola e posizioni un po' troppo costrette.
Per carità, io lo so che chi mi legge lo fa come gioco di ruolo in cui la propria partner è consenziente e consapevole di recitare un ruolo limitato nel tempo e che poi la vita prosegue nel rispetto reciproco
MA
vista L'ENORME QUANTITA' di materiale video con tali modalità che, senza scomodare canali specifici, sembrano comunque essere la norma, non vi sembra che il ruolo dell'attrice, dell'esordiente o della semplice persona che fa il video amatoriale sia quello DI SODDISFARE IL DESIDERIO DELLO SPETTATORE MASCHILE DI AVERE UNA DONNA SOTTOMESSA A TUTTE LE PROPRIE FANTASIE DI CONTROLLO E DI DOMINIO?
Lo dico perché io ho ricevuto questa impressione e anche se non mi addentrerò mai nel ginepraio del vietato (lol) ai minori di 18 anni, mi chiedo come una persona giovane possa codificare per sé una sessualità rispettosa del consenso se praticamente non esiste il concetto di educazione sessuale/affettiva e questi è demandato a contenitori di porno dove un 80% di video dipinge il ruola della donna in questo modo.
Nessuna soluzione diretta e/o immediata, per carità, e soprattutto nessuna censura o proibizione, però se esistono video che provengono da un sito (forse ora chiuso) che si chiama ex-gf e che alcune donne hanno sentito il bisogno di inaugurare un genere che si chiama 'porn for ladies', forse un problema di percezione e di educazione a monte esiste.
Grazie degli eventuali contributi ben ragionati ma tenete i coltelli nei foderi perché io comunque sarò sempre più veloce a estrarre e a rovesciarvi le budella sulle scarpe <3
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turuin · 2 years
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ho scovato questa notizia grazie a un post di @lady--vixen e ... non so bene cosa pensare. Nulla togliendo all'operazione che ha i suoi meriti, e senza volersi troppo addentrare nel ginepraio del inclusive o politically correct o qualsivoglia (è vero che certe espressioni sono fastidiosamente datate e che molti concetti possono/potrebbero/dovrebbero essere superati e riadattati allo spirito dei tempi) mi viene in mente però il paradosso della nave di Teseo, che sicuramente conoscerete ma che vale la pena di ripetere: (da Wikipedia, che non ho voglia di riscriverlo io) Si narra che la nave in legno sulla quale viaggiò il mitico eroe greco Teseo fosse conservata intatta nel corso degli anni, sostituendone le parti che via via si deterioravano. Giunse quindi un momento in cui tutte le parti usate in origine per costruirla erano state sostituite, benché la nave stessa conservasse esattamente la sua forma originaria. Ragionando su tale situazione (la nave è stata completamente sostituita, ma allo stesso tempo la nave è rimasta la nave di Teseo), la questione che ci si può porre è: la nave di Teseo si è conservata oppure no? Ovvero: l'entità (la nave), modificata nella sostanza ma senza variazioni nella forma, è ancora proprio la stessa entità? O le somiglia soltanto?
Qui la situazione è opposta: si modifica la forma, nella speranza di preservare la sostanza.
Ma, allora, la questione che mi pongo io è la seguente: si può modificare la forma di un'opera letteraria (vale a dire il linguaggio usato, figlio del tempo in cui è stato scritto e delle caratteristiche positive e negative e, in ultima analisi, culturali) pur preservando se fosse possibile il suo senso letterario e poi dichiarare che quell'opera è la stessa?
Lancio una provocazione: perché non permettere la pubblicazione di entrambe le opere? Una riadattata e una scrupolosamente identica all'originale con, magari, un disclaimer che spieghi che Dahl tutto sommato era figlio del suo tempo e pieno di pregiudizi anche molto gravi? S'apra la discussione civile, reblog benvenuti e contenuti costruttivi (che non siano il solito "cancel cultureeeeee" che ha rotto i coglioni ancora prima di nascere).
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arcobalengo · 8 months
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🇮🇹📟 A volte il polso della società si riesce a sentirlo meglio leggendo piccoli fatti di cronaca piuttosto che leggendo o ascoltando poderose e dottissime elucubrazioni di qualche luminare.
In un ridente comune del Polesine, Giavone, qualcuno, nottetempo, s'è rubato un dosso artificiale posto dal comune per rallentare la marcia delle automobili. Sì avete capito bene, si sono presi il dosso. Dov'è la morale? Semplice, la gente s'è rotta i coglioni. Si è rotta i co-glio-ni. Si è rotta i coglioni di continue prescrizioni, di continuo moralismo: «Rallenta l'automobile!», «Vai a 30/h!» ma «paga il debito per le infrastrutture moderne che abbiamo costruito per farti andare più veloce ed essere all'altezza delle sfide del mondo», e poi ancora «Mangia insetti, perchè le mucche scorreggiano e producono CO2». Non parliamo poi sulla sovranità sul nostro corpo che si sono presi: «Fai la punturina se non non lavori e non esci manco di casa...» Parliamo poi delle norme ambientali? Eccoci: « Metti il cappotto termico alla casa, se no, non l'affitti e non la vendi (ma continui a pagarci le tasse!). E se tu ritieni di essere vessato perchè imponi ad un sardo e a un siciliano norme finlandesi non ce ne frega nulla...è così e basta!».
E poi pensiamo agli strumenti pervasivi di controllo: Autovelox, telecamere anche dotate di strumenti di IA per il riconoscimento facciale ecc. Spesso si tratta di strumenti imposti - non si capisce a quale titoli - da semplici assessori e sindaci....
Insomma, un ginepraio di norme vessatorie, costosissime, contradditorie, spesso lesive non solo del buon senso, della stabilità economica di chi le subisce, ma proprio della dignità della persona.
Ed è proprio qui il punto: nel triveneto (come il altre parti d'Europa a partire dall'Inghilterra) stanno nascendo movimenti di protesta: rubano i dossi, abbattono i pali delle telecamere che vengono poi distrutte a martellate (qui sta il punto, se ci si limita ad abbattere il palo che costa 100 euro e si lascia la telecamera intatta che è costosissima la rimontano su un altro palo).
Ecco, io condanno fermamente questo modo di agire. No alla violenza, dobbiamo essere bravi a votare (se votiamo dei malfattori che ci vessano è perchè anche noi siamo in fondo malfattori nel nostro piccolo). Non bisogna danneggiare i beni dello Stato! Bisogna essere ligi al rispetto delle leggi anche quando sbagliate e vessatorie fino all'estremo sacrificio, quello di essere vessati come nel film Salò di Pasolini.
Mi raccomando, non rubate i dossi, non abbattete i pali delle telecamere (e soprattutto non rompete la costosa telecamera), non manomettete gli autovelox. Mi raccomando, pieno rispetto delle regole e piena fiducia nella magistratura e in "tuttecose" come dicono a Napoli ❤️
Giuseppe Masala
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t-annhauser · 1 year
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Il regno di Giuda e le città-stato filistee
A esprimere oggi dei giudizi sul conflitto israelo-palestinese ci si sente vintage come una radio a transistor, si è persa finanche la memoria delle cause, c'è gente che proprio non ne sa nulla e a domandarglielo fa la faccia sbigottita, come se fosse chiamata a spiegare i principi della meccanica quantistica (il cui funzionamento, fra l'altro, è più comprensibile). Non conviene davvero ficcarsi in questo ginepraio, al solo esprimere un giudizio di parte si finirebbe per essere risucchiati all'istante nel 931 a.C., ai tempi della morte del Re Salomone, quando le province del nord e del sud si separarono e un pezzo del regno di Israele confluì nel Regno di Giuda, confinante a ovest con la striscia delle città-stato filistee (Gaza, Ashkelon, Ashdod). Bisogna avere proprio la passione per le questioni bibliche o essere degli impenitenti attaccabrighe per stare ancora a sbatterci la testa, l'unica via di uscita sarebbe la dimenticanza dei torti e delle divergenze culturali, che vedono solo i contendenti, accecati come sono.
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notiziariofinanziario · 8 months
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Gli autonomi sono la bussola programmatica di Fratelli d'Italia
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La riforma fiscale che sta entrando a regime grazie ai primi decreti attuativi verte su tre capisaldi: la certezza del diritto, la semplificazione e il contrasto all'evasione fiscale. Oggi abbiamo tantissime norme di legge per cui il sistema fiscale è diventato un ginepraio inestricabile per i professionisti, figuriamoci per i comuni cittadini dove è semplice cadere in un illecito pur non volendo. La dichiarazione dei redditi, per esempio, comprende più di mille pagine d'istruzioni. Sull'evasione fiscale tutte le azioni vessatorie messe in campo dalla sinistra sono fallite lasciando sul campo macerie e la perdita di oltre un milione di partite Iva in un decennio. L'approccio deve essere diverso grazie alle banche dati, concordando preventivamente con il fisco un reddito biennale in modo tale che gli autonomi e partite Iva potranno lavorare in serenità senza ricevere ulteriori aggravi e accertamenti. Lasciare in pace chi vuole intraprendere premiando l'impegno imprenditoriale, visto che le maggiori entrate non vengono divise con lo Stato. Esattamente il contrario di oggi, più guadagni più vieni ‘bastonato'”. Lo dichiara Lino Ricchiuti, viceresponsabile del Dipartimento Imprese e Mondi produttivi di Fratelli d'Italia. Read the full article
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lamilanomagazine · 2 years
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Milano, “La pace preventiva”: lo mostra-istallazione di Michelangelo Pistoletto da domani a Palazzo Reale
Milano, “La pace preventiva”: lo mostra-istallazione di Michelangelo Pistoletto da domani a Palazzo Reale.   Apre al pubblico da domani a Palazzo Reale “La Pace Preventiva”, mostra-installazione di Michelangelo Pistoletto pensata appositamente per Sala delle Cariatidi, dove resterà allestita fino a domenica 4 giugno 2023. Promossa e prodotta dal Comune di Milano–Cultura, Palazzo Reale e Cittadellarte–Fondazione Pistoletto in collaborazione con Skira, la mostra è curata da Fortunato D’Amico e fa parte del palinsesto di “Milano Art Week” (11/16 aprile 2023), la manifestazione diffusa coordinata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano, in collaborazione con miart, che mette in rete le principali istituzioni pubbliche e le fondazioni private della città che si occupano di arte moderna e contemporanea, con una programmazione dedicata di mostre e attività. “La Pace Preventiva” è un’esperienza immersiva attraverso il Labirinto creato da Michelangelo Pistoletto in Sala delle Cariatidi: un tragitto disorientante fra le sue opere-installazioni che, mettendo “l’arte al centro di una trasformazione responsabile della società”, vuole condurre i visitatori alla consapevolezza di dover “imboccare la strada dell’armonia invece di quella che porta sulla via del contrasto”, allontanando guerre e conflittualità. In mostra opere ormai iconiche come “Venere degli stracci” (1967-2013), “Il Terzo Paradiso – Ragno tessitore” (2003-2014), “Wollen - La Mela reintegrata” (2007), “Mappamondo” (1966-2022), “La colomba della pace” (2015-2023). “In occasione dei 90 anni di Michelangelo Pistoletto, Milano gli dedica una grande mostra nella più prestigiosa sala di Palazzo Reale, la Sala delle Cariatidi – dichiara l’assessore alla Cultura Tommaso Sacchi –. Nel grande e storico spazio si snoda un lungo percorso di ricerca e scoperta, un vero e proprio Labirinto in cui i visitatori potranno ammirare alcuni dei principali lavori realizzati dall'artista in oltre sessant’anni di ricerca e attività. L’omaggio prosegue in città con tre installazioni in altrettanti musei civici: Museo di Storia Naturale, Planetario Ulrico Hoepli e Acquario. Un percorso artistico diffuso per riflettere sulla necessità di instaurare quella Pace Preventiva che è una delle cifre della poetica di Pistoletto”. Il Labirinto, formato dal progressivo srotolarsi di cartoni ondulati sull’intera superficie della Sala delle Cariatidi, sottolinea la presenza della dualità contrapposta tra il mostro e la virtù. Così commenta il curatore della mostra Fortunato D’Amico: “Dentro il labirinto c’è il mostro, la follia predatoria, la guerra. La sua tortuosa struttura architettonica è un complesso di muri ideologici, barriere fisiche, economiche, culturali, porte aperte o chiuse articolate intorno a un ginepraio di intrecci che ne rendono difficile l’orientamento. Dobbiamo cercare di sviluppare la capacità di raggiungere la virtù allontanandoci dal mostro. Esso vive ed esiste nei labirinti fuori e dentro di noi, ma non possiamo esimerci dall’affrontarlo attraverso un’azione preordinata, condotta all’interno della sua abituale residenza. Solo in questo modo potremo annientarlo per instaurare la pratica della Pace Preventiva”. Così Pistoletto racconta la nascita della Pace Preventiva e del Terzo Paradiso: “Era il marzo del 2003, quando Bush e Blair, appoggiati da numerosi governi, hanno dichiarato guerra preventiva all’Iraq. La circostanza mi ha procurato un turbamento profondo. Tutte le malformazioni culturali ereditate dal passato venivano al pettine: il concetto stesso di guerra preventiva faceva sorgere l’impellente necessità di contrapporre l’idea di Pace Preventiva. Nella storia la pace è sempre venuta a seguito di una guerra ed è stata considerata come suo risultato, dunque guerra nascosta sotto la maschera della pace e pace costituita di mera apparenza. Ho capito in quel momento che io stesso, nonostante l’impegno artistico, intellettuale e pratico, indirizzato verso una trasformazione responsabile della società, dovevo fare un ulteriore passo, ancor più deciso ed efficace, per contribuire al cambiamento di questa umanità. È così che nasce il segno del Terzo Paradiso”. Settant’anni fa, nel 1953, proprio nella Sala delle Cariatidi ancora gravata dai segni del conflitto bellico provocati della seconda guerra mondiale, Pablo Picasso espone la grande tela Guernica; nel contesto del racconto pittorico si intravede svettare la testa del Minotauro, lo stesso mostro che domina la scena dell’odierno labirinto. Nel 1961 l’artista spagnolo disegna la Colomba della Pace, la stessa che lo studente Manish Paul, della Scuola Secondaria di Vinci, vincitore del premio “Educare alla pace: Leonardo, Picasso, Pistoletto” nell’anno scolastico 2014-2015, utilizzerà, sostituendo il ramoscello di olivo nel becco con il segno-simbolo trinamico del Terzo Paradiso. Michelangelo Pistoletto assume il disegno di Manish Paul, per creare l’immagine-logo de La Pace Preventiva. L’artista, già nel 1969, progetta il suo primo Labirinto presso il Museo Boijmans Van Beuningen di Rotterrdam, negli anni seguenti l’installazione viene riproposta in diverse mostre e adattata all’ambiente che la ospita. Il percorso de La Pace Preventiva da Palazzo Reale si estende nella maglia urbana milanese con altre tre installazioni presenti in altrettanti Musei scientifici della città. Per ognuna di queste sedi sono stati accuratamente selezionati alcuni lavori dell’artista in conformità con i contenuti di cui queste istituzioni sono promotrici. Il Museo Civico di Storia Naturale di Milano ospita Adamo ed Eva, due opere storiche dell’artista, realizzate in serigrafia su acciaio inox supermirror. L’Autoritratto di stelle è esposto, nella nuova versione lightbox, al Civico Planetario Ulrico Hoepli. L’Acquario Civico di Milano presenta Mar Mediterraneo - sedie Love Difference, una composizione artistica firmata da Michelangelo Pistoletto e Juan E. Sandoval che tratta il tema delle acque e apre ad ampie dissertazioni culturali, politiche, ambientali, in corso nell’area mediterranea così come in tutto il mondo. MICHELANGELO PISTOLETTO Nasce a Biella nel 1933. Nel 1962 realizza i Quadri specchianti, con i quali raggiunge in breve riconoscimento internazionale. È considerato uno dei precursori e protagonisti dell’Arte Povera con i suoi Oggetti in meno (1965-1966) e la Venere degli stracci (1967). A partire dal 1967 realizza, fuori dai tradizionali spazi espositivi, azioni che costituiscono le prime manifestazioni di quella “collaborazione creativa” che svilupperà nel corso dei decenni successivi, mettendo in relazione artisti provenienti da diverse discipline e settori sempre più ampi della società. Negli anni Novanta fonda Cittadellarte a Biella, ponendo l’arte in relazione con i diversi ambiti del tessuto sociale al fine di ispirare e produrre una trasformazione responsabile della società. Ha ricevuto innumerevoli premi internazionali, tra cui nel 2003 il Leone d’oro alla carriera della Biennale di Venezia e nel 2007 il Wolf Foundation Prize in Arts “per la sua carriera costantemente creativa come artista, educatore e attivatore, la cui instancabile intelligenza ha dato origine a forme d'arte premonitrici che contribuiscono ad una nuova comprensione del mondo”. Nel 2013 il Museo del Louvre di Parigi ospita la sua mostra personale Michelangelo Pistoletto, Année un - le paradis sur terre. In questo stesso anno riceve a Tokyo il Praemium Imperiale per la pittura. Nel 2022 esce il suo ultimo libro La Formula della Creazione edito da Cittadellarte Edizioni. Sue opere sono presenti nei maggiori musei d’arte contemporanea. Sito ufficiale pistoletto    ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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tempi-dispari · 2 years
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IMO: l'intollerabile mercato di interviste, recensioni, notizie...
Diverso tempo addietro mi è capitato di scrivere un articolo (link) in riferimento ad un fatto che ha portato scompiglio nell’ambiente musicale. Correva il 2016, se non erro, lontani da covid, vaccini, limitazioni varie. Uscì la notizia che esisteva un tariffario per le recensioni. Perché ritirare fuori l’argomento a sei anni di distanza? Perché la cosa non pare essere rientrata. Anzi, si è ulteriormente aggravata. Ogni giorno arrivano alla redazione decine di email che chiedono recensioni, segnalazioni di eventi, di pubblicazione di dischi o singoli, interviste.
Ebbene diverse di queste chiedono se c’è qualcosa da pagare ‘perché molti lo fanno’, ci scrivono. Molti lo fanno? E perché? A quale titolo? Per quanto ci riguarda tutto il materiale che ci arriva in redazione è pubblicato in forma del tutto gratuita. Non ci permetteremmo mai di chiedere dei soldi. Con quale diritto lo dovremmo fare? Perché abbiamo un sito, dei profili social? Non credo sia condizione sufficiente per domandare un riscontro economico. Ma neppure se avessimo milioni di visitatori al giorno sarebbe giusto farlo. Una cosa è certa, il lavoro è lavoro e deve per forza essere retribuito.
Non dovrebbe esistere il volontariato in certi settori. Per questo non abbiamo collaboratori. Non possiamo permettercelo. Non possiamo pagarli. Tuttavia non devono e non possono essere le band, gli uffici stampa, i promoters a dove pagare per vedere pubblicata una notizia. Soprattutto, ripeto, pagare a fronte di che cosa? Nessuno paga per il nulla. Quindi se io artista dovessi pagare per una recensione, il minimo che dovrei avere garantito è una vastissima diffusione della stessa.
La questione si aggrava, poi, se si pensa che chi paga vuole magari anche sentirsi dire cose positive e non negative. Quindi, eticamente, dove sta la correttezza di chi scrive? Io penso che prima di poter chiedere anche un solo centesimo, si debba poter garantire un certo tipo di servizio. Diversamente, si tratta di fregatura. TD non è in una situazione diversa da tutte le altre realtà che supportano la cultura. Anche noi dobbiamo trovare il modo di restare in piedi, di sopravvivere, pagare le bollette. Ma mai ci sogneremmo di farlo sulle spalle degli altri operatori. Soprattutto, ma ci sogneremmo di farlo senza poter garantire il massimo riscontro possibile.
Ma qui si va in un altro ambito. Io pago un ufficio stampa che deve ottenere questo genere di risultato. Non la testata, il blog o la pagina. Non siamo il mainstream, non lo facciamo per i soldi. Lo facciamo perché ci crediamo. O almeno, così dovrebbe essere. Il modo di sopravvivere lo si trova. Esiste il crowdfunding, le donazioni, gli abbonamenti. Esistono le inserzioni, i banner, che non sono i servizi. Sono prodotti pubblicitari a tutti gli effetti. Il cercare di lucrare sugli operatori è una cosa davvero misera. Un’azione che non fa bene a nessuno. Ripeto, neppure se si fosse la realtà editoriale più seguita al mondo, lo si dovrebbe fare. Si è sempre nella posizione di poter scegliere cosa pubblicare e cosa no.
Se così non fosse verrebbe meno il senso stesso di questo lavoro. Qui ci potremmo addentrare in un ginepraio senza fine. Potremmo chiamare in causa centinaia di appassionati che si sbattono pubblicando decine e decine di post al giorno senza un progetto, senza una line, senza consapevolezza di come fare per dare effettivamente una mano al nostro mondo. Questo, come tutti i lavori, richiede preparazione, studio, approfondimento. Non basta essere un appassionato di musica.
Si deve anche essere in grado di pianificare, porsi un obiettivo. Senza contare che si dovrebbe anche essere capaci di creare contenuti. Sono questi che fanno la differenza. Milioni di post non sono contenuto. Così come milioni di like. Anche se si lavora nell’underground e per l’underground si deve essere dei professionisti. O, almeno, se non professionisti, quantomeno professionali. È questa una grave pecca del nostro mondo, l’approssimazione. Il fatto di dire ‘ma si, tanto lo faccio nel tempo libero e tutto va bene’. No, non va bene nulla. Anche per questo stentiamo a decollare come universo.
Perché ci si ferma alla superficie. Dove poi compaiono personaggi che ti chiedono soldi per vedere pubblicata una news che ti porta tre visualizzazioni. Se tutti vogliamo vivere in questo mondo, si deve cambiare passo. Artisti, band, uffici stampa, operatori, sono tutti professionali. Nessun organizzatore di concerti proporrebbe mai uno spettacolo approssimativo. Così come nessun gruppo andrebbe a suonare se non fosse sufficientemente preparato. Perché, allora, chi dice di voler supportare l’underground si può permettere di essere approssimativo, amatoriale, superficiale e chiedere anche dei soldi per questo?
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claudiotrezzani · 2 years
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L’ultima messa del gastaldo di Diego Lavaroni
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Tante piste per il capitano Rotario L’ultima messa del gastaldo di Diego Lavaroni edito da Gaspari è un avvincente giallo storico ambientato a metà ‘800.  La Notte di Natale del 1843, dopo la messa di mezzanotte, a Buttrio fu assassinato Girolamo Zecchini, gastaldo del conte d’Attimis Maniago. Il Commissario distrettuale del Regno Lombardo-Veneto affidò le indagini al capitano della gendarmeria Valerio Rotario. Furono analizzate la pista massonica, quella della vendetta passionale, ma anche della rappresaglia politica, date le frequentazioni della vittima con gli ambienti risorgimentali, ambienti eretici e vicende di stregoneria. Ma il capitano Rotario disponeva di risorse intuitive, grandi riserve di logica e di una notevole dose di pragmatismo e riuscì a districare il ginepraio; ma la soluzione del caso lasciò nel suo animo una insostenibile amarezza. Diego Lavaroni, autore del libro, psicologo, psicoterapeuta ha scritto diversi saggi e di volumi, si occupa di studi e ricerche in ambito psicologico e delle tradizioni popolari. Per la Gaspari ha pubblicato Il covo delle ultime streghe (2020) e Voci popolari della Resistenza (2021). L’ultima messa del gastaldo di Diego Lavaroni è un romanzo ricco di colpi di scena che conduce il capitano Rotario a battere diverse piste. Nell’intervista, l’autore del libro ci racconterà qualcosa in più, svelandoci anche una sorta di legame familiare che lo ha spinto a scrivere questa affascinante storia. L’ultima messa del gastaldo di Diego Lavaroni L’ultima messa del gastaldo è il suo nuovo romanzo, un giallo storico ambientato nella metà dell’ ‘800. Perché ha scelto questo periodo? C’è stato un elemento, un fatto che l’ha colpita particolarmente? Il gastaldo Girolamo Zecchini è stato assassinato proprio la notte di Natale del 1843, dopo essere uscito dalla messa di mezzanotte e dunque è stato l’evento stesso a impormi l’analisi e l’approfondimento di quel periodo che, peraltro, è trascurato dalla storiografia e ignorato dalla letteratura.  Dell’assassinio me ne parlò, quando ero ancora un ragazzo, mio nonno Emilio che non andò al di là di qualche congettura probabilmente alimentata dalla voce popolare. In ogni caso, allora, la polizia non riuscì a risolvere il caso individuando il colpevole o i colpevoli. Avevo quindi un debito affettivo nei confronti del nonno e uno più distaccato nei confronti del gastaldo. Un altro motivo di interesse è il fatto che cento anni prima un altro gastaldo, sempre al servizio dei conti d’Attimis Maniago, era stato il protagonista della torbida vicenda di stregoneria e massoneria che ho descritto nel «Covo delle ultime streghe». Al capitano della gendarmeria Valerio Rotario tocca risolvere il caso dell’omicidio del gastaldo del conte d’Attimis Maniago. Qual è la caratterista principale del capitano? Ci sono tratti peculiari, magari insoliti, che ci può anticipare? La personalità del capitano Rotario rispecchia la considerazione che la gente comune nutriva dei confronti degli austriaci, considerati più efficienti e forse anche meno rapinosi, dei governanti ‘Serenissimi’ che li avevano preceduti. Se l’élite borghese e intellettuale anelava alla lotta risorgimentale, il popolo semplice, costituito in gran parte da contadini poveri e in grande misura analfabeti, qui, al confine orientale non disprezzava l’organizzata struttura amministrativa, modellata su quella della contigua monarchia asburgica.  Il capitano Rotario interpreta dunque questa percezione popolare che peraltro è ancora radicata nel sentire friulano. In ogni caso, io ho immaginato che fosse il personaggio che ognuno di noi vorrebbe essere e che pretendiamo dai rappresentanti della giustizia: un uomo perbene, rigoroso, indifferente al potere e alle lusinghe dei potenti. Poiché queste sono terre multietniche e plurilingue, ho anche immaginato che si trattasse di un personaggio (autenticamente mitteleuropeo) consapevole della complessità delle interazioni tra le diverse etnie. I personaggi che caratterizzano L’ultima messa del gastaldo sono realmente esistiti oppure sono frutto della sua fantasia? Come ho detto, il gastaldo è realmente esistito, come del resto i vari personaggi che ho inserito nella vicenda. Gli unici però a essere documentati oltre al gastaldo, sono don Sebastiano Venier, il prete che ha svolto la funzione la notte di Natale, il conte d’Attimis Maniago e il conte Bartolini. Gli altri attori hanno fatto sicuramente parte di quel mondo, ma li ho reinventati, non disponendo di altri materiali. Per la ricostruzione dell’ambiente mi sono avvalso di testi e di documenti che trattano da varie prospettive quel periodo del regno Lombardo-Veneto, in questi luoghi, ma ho attinto anche alle testimonianze di persone vissute nel Novecento che conservavano memoria dei racconti ascoltati dalle voci delle generazioni che li avevano preceduti. Diego Lavaroni insieme allo scrittore Paolo Maurensig (foto concessa gentilmente dall'autore) Lei è uno psicologo appassionato di tradizioni popolari. In merito a quest’ultimo ambito, c’è un aspetto che la attira particolarmente? Non so il legame con la morte, con il cibo, le superstizioni ecc? L’interesse per le tradizioni popolari è sicuramente legato al bisogno di comprendere il processo di cambiamento psicologico dell’essere umano, nei passaggi generazionali. Come si è evoluto il pensiero? (ammesso che si sia evoluto); quali sono le connessioni con le visioni dei nostri progenitori e com’è cambiata la nostra sensibilità sotto la spinta degli straordinari cambiamenti tecnologici esplosi in un arco di tempo brevissimo? (rispetto al lento e millenario percorso di cambiamento); siamo sempre gli stessi, dal punto di vista psicologico, o ci siamo trasformati in esseri umani diversi? Sono interrogativi che mi hanno sempre affascinato e che mi stimolano a esplorare le strutture psicologiche di comunità vissute in culture e periodi diversi. Mi sono soffermato in particolare sul gioco popolare, quel complesso di attività ludiche che si è dissolto sostanzialmente negli anni Cinquanta del Novecento e che è stato sopraffatto dalle strabilianti irruzioni degli eroi fantastici dei videogiochi. Quando si accinge a scrivere un nuovo romanzo, qual è la parte dell’intero processo che la affascina di più? Navigando nel mondo delle tradizioni popolari, ma anche in quello molto intricato della vita quotidiana, capita spesso di incontrare personaggi avvincenti, protagonisti di vicende suggestive o di storie minime, ma che ci mettono nelle condizioni di osservare il mondo da prospettive inconsuete, meno formali.  Sono questi personaggi che di solito ispirano una storia (sono molto più numerose quelle inedite) e che inducono ad analizzare la trama delle relazioni, le pulsioni motivazionali che danno vita alle rappresentazioni incomparabili degli esseri umani. Un aspetto affascinante è sicuramente quello che induce a cogliere le tortuose dinamiche che ordiscono la trama delle storie personali, talora senza che i protagonisti della storia ne abbiano una autentica consapevolezza. Read the full article
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asterargureo · 2 years
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Gravina continua a non capire perché nei club gli italiani non giocano.
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pizzettauniversale · 3 years
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Ti ringrazio tanto per la gentilezza! Lo scrivo ora ma rispondimi pure quando riesci o vuoi
Sto con un ragazzo da quasi 3 anni, dopo essere stati amici per altri 2. Abbiamo iniziato molto piano, ci piacevamo molto entrambi ma eravamo d'accordo di mantenere la relazione aperta, dedicando i prevalentemente all'altro, nel quale riponevamo tutti i nostri sentimenti, ma concedendoci avventure anche con altre persone. Mi andava benissimo come andava a lui, ci siamo amati moltissimo e ci siamo concessi qualcosina anche fuori, anche se nulla di che.
Con il tempo la cosa è diventata molto più seria, ci siamo avvicinati sempre di più e ne abbiamo parlato tante tante volte, giungendo all'idea che siamo "quelli giusti" (odio questa espressione ma rende l'idea credo), entrambi desideriamo e abbiamo intenzione di trascorrere la vita insieme, o almeno quello che si può e si riesce a fare. Abbiamo da tempo pensato a un futuro insieme, niente di esagerato, ma ci piacerebbe vivere insieme sicuramente, e passare più tempo possibile così.
Con questo la mia voglia di una relazione aperta è andata molto scemando, tanto che ormai l'idea non mi fa per niente felice, anzi. Ci sto male a pensarci, se devo essere onesta, non mi interessano più gli altri e pensarlo con un altra mi fa malissimo ora. Gliene ho parlato ovviamente, ma in una relazione chiusa mi ha detto che non riesce a starci, non perché non mi ama, non perché non desidera vermanente quello che pensiamo per noi due, ma perché sa che privandosi di questa specie di libertà arriverebbe ad odiarmi se un giorno volesse avere anche solo per una notte qualcuna e non potrebbe farlo a causa delle restrizioni della relazione, odia sentirsi in questo modo a quanto pare e non vorrebbe finire così. Mi ha detto che è disposto a evitare di fare qualsiasi cosa se non lo ritiene necessario diciamo, ma se dovesse arrivare a sentirsi così non vorrebbe fermarsi e io l'ho concesso perché non si riusciva ad arrivare a nessuna soluzione che potesse rendere felici entrambi.
Io però continuo a tormentarmi con questo pensiero, non riesco a pensare di vivere con l'idea che potrebbe avere altre come ha me, pur riservandomi ogni attenzione amore e tutto quello che vuole, ma d'altra parte non riesco neanche a sopportare l'idea di poterlo perdere per questa cosa e questa discordanza, è davvero la persona con cui vorrei passare ogni giorno e so che vale anche per lui, sento e so che mi ama come io amo lui ma è così difficile non voglio perderlo per questa cosa ma come la si risolve...
Scusami per lo sfogo, non so nemmeno se si riesce a capire bene la situazione, ci sarebbe molto da spiegare. Spero questa domanda non causi domande poco piacevoli di altri, è un argomento per cui sono molto sensibile
E niente, ti ringrazio ancora davvero moltissimo
Buongiorno, finalmente ho un attimo per poterti rispondere. 
Sei in un bel ginepraio. Purtroppo in una situazione del genere le soluzioni sono due, per come la vedo io: o uno dei due giunge a un compromesso con se stessx e per l’altra persona oppure non si sta insieme. È una situazione difficile perché se lui limitasse se stesso, arriverebbe a odiarti. Se lo facessi tu, lo odieresti per averti tradito. Non vedo molte soluzioni, volete cose diverse e che si scontrano fra di loro. 
Non so davvero come poterti aiutare o quale consiglio darti, però per qualsiasi cosa sono qui, se vuoi scrivimi in chat 💕
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aradiascoven · 3 years
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Intendo dire: cosa distingue allora per te un rapporto con un grande amico, dal rapporto con il grande amore?
Sono due sentimenti diversi!
Spiegarlo è difficile (mi hai buttata in un ginepraio!), ma dentro una differenza la senti!
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contevicino · 3 years
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E' sparito dopo il primo appuntamento e dopo lunghe chat insieme.. Cosa non ha funzionato, in quale punto della catena ? Non mi interessa sapere se lui tornerà, nessuno lo può sapere ( e non so nemmeno se lo vorrei io a questo punto, mi pare opaco come tipo), ma come fare in partenza a non cadere più in un ginepraio di questo tipo. Grazie per la risposta!!
Forse tu l'hai idealizzato e pensavi appunto che dal vivo si creasse chissà che cosa, ma di fatto mica stavate assieme. Forse ti sei illusa e fatta un'idea sbagliata di questa storia fin dall'inizio. Le chat sono un po' delle "bolle" che contengono sogni, idealizzazioni, speranze, ma anche bugie e cose impossibili da vedere. Il "punto della catena" come dici tu, è quindi proprio quello iniziale che non ha funzionato per me. Ora però non perderci il sonno, sarebbe il caso che tagliassi tutti i contatti con lui e lo bloccassi ovunque, voltando pagina :)
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ggo68 · 4 years
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ANALISI E SOLUZIONE
I nodi vengono sempre al pettine. La peggior classe politica di sempre, da destra a sinistra, è il frutto di settant'anni di scelte fatte sempre per premiare l'appartenenza invece della competenza. A tutti i livelli e in tutti i settori. Pochi Paesi al mondo hanno un sistema immobile di caste come il nostro (notai figli di notai, avvocati figli di avvocati, farmacisti, giornalisti come se il talento e le capacità passassero più con la genealogia che dalla volontà individuale, dalla formazione e dai risultati), pochi Paesi al mondo una scala sociale ingrippata nell'immobilità pressoché totale. Paghiamo lauree inutili in università gestite da famiglie, amici e amici degli amici, una spasmodica ricerca del posto fisso assicurata solo o quasi dal favore politico di turno e colore a scelta, un favore che poi va, e viene, ricambiato nella cabina elettorale, l'ipocrisia di un cattolicesimo di facciata, una religione che ha creato il sacramento della "confessione" come via d'uscita per qualsiasi cosa. Paghiamo una burocrazia bizantina, gonfiata ad arte nel corso degli anni e ossessionata da una passione incontrollata per carte, bolli, circolari, autorizzazioni. Una proliferazione legislativa abnorme che alla fine ha creato un tale ginepraio dove una cosa è spesso in contraddizione con un'altra per la gioia, forse, solo degli avvocati (la categoria più rappresentata in Parlamento dal dopoguerra a oggi a prescindere dal colore politico). E paghiamo infine una quarantennale valorizzazione dell'ignoranza elevata a virtù, dell'urlo rispetto al ragionamento, sdoganata consapevolmente prima da una certa televisione e poi, all'inseguimento del consenso di massa, da giornali, libri e via dicendo. Un tale sistema non è emendabile ormai perché diventato parte del nostro dna, struttura portante di una società familistica che fa della raccomandazione, della spinta, della conoscenza e del favore gli elementi del contratto tra cittadino e Stato. Dove il cittadino individua nello Stato il suo peggior nemico e lo Stato, nel cittadino, il suo suddito sempre pronto a fregarlo. Questa Italia di oggi non mi sento più di difenderla! sai cosa possiamo fare?Prendiamo il massimo possibile dei soldi (europei e non) e li spendiamo velocemente tutti per rendere ancor più bella l’Italia (musei, turismo, strade e treni) ... e poi quando vengono a chiederceli indietro noi non glieli diamo perché non li abbiamo!!!! Li avremo spesi proprio tutti. Allora arriverà la troica o gli asburgici che siano e faranno loro il lavoro sporco (necessario) e rivoluzionario di tagliare spese inutili, assistenzialismo, burocrazia in eccesso; sarà una rinascita, come una pianta da frutto rinvigorita dalla potatura, liberata dall’edera nell’angolo più bello e soleggiato del campo che ha solo cambiato proprietario: non credo che quelle mele cambieranno sapore. Saremo italiani a prescindere dalla bandiera: è una questione culturale che non la cambia nessuno. Un Italia politica c’è da pochi anni (160) , ma gli italiani ci sono da 2000 anni. Così ... una analisi, una soluzione
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nomeoriginalequi · 6 years
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Ho tralasciato di dirti che soffro di un certo male. Si tratta di una malattia dell’anima, tutta interiore, tanto prepotente che non la si può semplicemente ingoiare, covarla in silenzio, non farne parola con nessuno. Ma in fondo, che ci si può fare. Tu, ingenua e accecata dal tuo affetto per me, non te ne sei accorta; ma è solo grazie a questo meraviglioso abbaglio che comunemente chiamano amore. Per tutti gli altri, è evidente. Mi conoscono tutti in città: sono quel signore strano che cammina lungamente con passi svelti che ricordano il movimento di un’altalena, tutto avvolto in quel cappottino nero leggero sia d’estate che d’inverno, obbligatoriamente con gli occhiali da sole e il giornale sotto braccio. Mi vesto così per mascherare la forma della mia colonna vertebrale: inesorabilmente storta, perennemente piegata verso il basso come stessi sorseggiando una zuppa infinita. Allo stesso modo copro anche le mie braccia fini, affusolate, che lasciano intravedere le ossa. La mia fronte è pallida, pervasa di flebili vene azzurrine, e le mie mani sono stracolme di efelidi. Gli occhi, introdotti da un contorno violaceo, sono enormi, ricordano quelli di un pesce che sia appena stato catturato e che li strabuzza per la paura. Ma in fondo, che ci si può fare. Questo, questo è niente in confronto al mio soffrire. Io sono il signore del male, passo le nottate in preda ad una smania furiosa di strapparmi la pelle, finché non mi raccapezzo e non medito una morte più dignitosa: nella vasca calda, ad esempio. Un po’ come il buon vecchio Seneca, a scucirmi e ricucirmi le vene. Non è tutto, i miei pensieri sono permeati di odio: non ho tolleranza. Al modo di un bambino esagitato mi altero se un cereale mi cade fuori dalla tazza, se il tappeto si increspa, se mi cade un capello nel bavero. Non tollero niente, come non tollero la mia esistenza: sono un fallito, un uomo che non ha perso niente perché non ha mai lottato per nulla. Sin da bambino, mentre tutti correvano per accaparrarsi il posto migliore nel pulmino scolastico, io mi accontentavo beatamente del posto davanti, da cui potevo peraltro scorgere il paesaggio: sempre lo stesso, identico, immutabile, rassicurante. Io trovo conforto solo nella monotonia. Ma in fondo, che ci si può fare. Non amo rischiare, ed è per questo che non nutro per te alcun sentimento se non un filo di simpatia per questa tua insensata benevolenza nei miei confronti. Ah, ma l’ho capito, sai. L’ho capito subito che io per te sono come uno di quegli animali del cazzo con cui parli stonata di un'ottava più in su, stridula e rattrappita nei gesti. Ma io non ci casco. Io sono sveglio. Altro che amarmi, tu vuoi solo derubarmi, estirpare la mia proprietà per i tuoi comodi. Sei una lurida sgualdrina. Ammiro i coltelli e mi gusto l’idea di usarne uno, per davvero. Annoto mentalmente cosa mi servirebbe: teli di plastica, sacchi della spazzatura, candeggina, ...
Ma subito mi calmo, ricordo le tue parole e di come per la prima volta io, da sempre tacciato di cattiveria e menefreghismo, mi sia sentito compreso. Sorridendo mi avevi portato una chiave, la chiave del tuo diario segreto. Qui dentro ci custodisco fiori essiccati e i peli del manto dei miei animali deceduti, avevi detto. Per poi esclamare soddisfatta che l’essere veterinari ha i suoi vantaggi. Come sempre, mi sei sembrata tenera, ma non posso non pensare alla tua vena opportunista. Comunque, che ci si può fare; e poi, niente in confronto alle mie eruzioni di collera. Tutta questa mia rabbia, repressa e manifestata solo di tanto in tanto in una piega più bassa e umile delle labbra, spesso finisce per annientarmi. Raggiungo la cima, e non appena sono stremato, al culmine della mia faticosa salita, tutta insidiosa, con violenza la rabbia mi butta giù dal dirupo. Mi sento precipitare così velocemente che tutto in me, persino il mio naso, si capovolge. Mi sento librare nell’aria gelida, che mi sferza le carni, che sembrano improvvisamente bollenti, almeno in confronto al manto arioso che mi circonda. Atterro in una melma nera, simile a sabbie mobili. All’inizio provo a dimenarmi, sembro ingabbiato, mi sento confuso dall’irritabilità e l’eccessiva energia; ma il confine è labile, e subito perdo ogni stimolo a reagire. In fondo, che ci si può fare. Mi rannicchio in quei giorni in casa, al sicuro nel mio cubicolo, lontano da occhi indiscreti. Mi muovo solo per andare in bagno, stando rigorosamente adiacente ai muri, così da non avere nessuno alle spalle. Del resto, chi mi coprirebbe? Inizio ad essere e non esisto più. Divento statico. L’unica attività che anima le mie giornate è fissare la carta da parati di cui i precedenti inquilini hanno tappezzato tutta la casa. Mi immergo totalmente nelle forme che essa disegna, di tanto in tanto le sfioro con un sospiro. Vedo le facce dei morti di questa casa. Ne vedo le bocche serrate, e penso mi spiino per attendere che io mi addormenti. Inutile dire che non dormo più. In fondo, che ci si può fare. Attendo vigile l’arrivo dell’angelo del sonno. Di tanto in tanto mi calano le palpebre, rivivo momenti d’infanzia sino ai ricordi recenti, in cui mia madre mi asciugava i capelli e mi pettinava solenne nonostante io avessi ormai quasi quarant'anni, ma poi mi risveglio subito di soprassalto. Non è che smetta di bramare la morte, ma non amo pensarmi costretto in quella casa. E poi, è una sfida personale. Adoro le sfide, sono l’uomo più competitivo dell’universo. Io tendo alla perfezione, coltivo ogni piccola mossa con l’attenzione di una madre verso il proprio neonato, ne ascolto i sospiri, preparo il terreno per i suoi passi, ne innaffio il manto e lo rendo duro e pronto a riceverne il peso. Pian piano, all’idea della perfezione, io risalgo da quelle sabbie mobili, mi faccio più uomo e meno larva, riprendo a nutrirmi per essere in forze. Riprendo a curarmi delle mie malattie, non fisso più le pareti che d’un tratto da inquietanti e vive mi sembrano solo opprimenti, cemento armato. Ho il bisogno impellente di distruggerle: puntualmente impugno il martello e mimo l’atto della distruzione, ma il ricordo delle Loro facce mi blocca; ho paura di liberarne i corpi e le menti e di sentirne le voci imperiose per tutta l’abitazione.
Il mio psicanalista si è ormai abituato alle mie assenze; in quelle occasioni mi manda sempre a chiamare, ma io non apro la porta a nessuno, mi limito a sospirare “Ah, ancora!” e a serrare meglio la porta. Dallo spioncino intravedo il signor Madaldi che bussa furiosamente contro il mio portone. Pare un funzionario venuto a riscuotere le tasse non pagate, o forse assomiglia più al mio proprietario di casa, il signor Mattei. Lui sì che ha una vita attiva! Sempre al lago, in collina, a sciare con la moglie. Sono due signori per bene, si sono amati sempre. Non come te, che hai occhi solo per i tuoi animali. Loro ci sono sempre l’uno per l’altra e sono stati capaci di perdonarsi quando il signor Mattei ha avuto un piccolo cedimento, una piccola infatuazione per una donna minuta, giovane e dolce. Sua moglie la signora Mattei era in piena menopausa, e il suo corpo sformato, le sue vampate di calore sempre più frequenti, tanto che allontanavano il marito per la potenza. Che potenza d’inazione, che nervi saldi, il signor Mattei, quando fu scoperto dalla moglie: per poco le urla non infestarono il palazzo, le sentii persino io, dal piano terra.
A tal proposito, sai come ho sempre odiato la mia infima posizione. Sembra uno specchio della mia esistenza: sempre rasente il terreno, sempre in basso, sempre umilmente paladino di una vita greve. E poi, da qui, è facile che entrino i ladri, è facile mi scappi Gatto. Ma in fondo, che ci si può fare. Gatto non mi assomiglia per niente, ma è forse proprio per questo che andiamo d’accordo. Lui è un tranquillo psicopatico, è un felino, e in quanto tale è tenero ma sadico fino all’osso. Adora catturare le prede e giocarci, proprio come io sono accusato di giocare con i sentimenti delle donne. Ne ho vissute tante, di donne, e sono giunto alla conclusione che a non mentire mai, a squarciare il velo di Maya, a permettermi di raggiungere la moksha, non sono stati i gesti, o gli atti, o le insopportabili effusioni d’affetto, e nemmeno il sesso e i caffè sorseggiati insieme, ma le mani. Le mani non mentono mai. I lineamenti del viso sono maschere manovrabili, specchio di un’interiorità volubile e in continuo mutamento, ma tale specchio può essere continuamente colpito da luci diverse, può essere inclinato in un modo o in un altro, può riflettere solo un piccolo ritaglio di tutta quell’immensa interiorità, di cui rappresenta la forma umbratile, plasmata a favore del sentimento che scegliamo di mostrare all’altro. Sforzandoci, scavando nei ricordi, possiamo decidere di mostrarci lieti per quello che ci hanno appena comunicato, e in realtà sorridere al solo pensiero di un piatto che ci piaceva tanto da piccoli. Le mani, no, non sanno mentire. Se le dita si accavallano ed il palmo destro va a coprire il sinistro, non sappiamo proprio che cosa dire, ci sentiamo colpiti, sentiamo il bisogno di proteggerci, di crearci uno scudo; se le dita si intrecciano, celano una certa speranza, o manifestano un certo spiraglio di gioia; se le mani sono nascoste tra le gambe, non vediamo l’ora di andarcene; se le braccia le coprono, siamo contrariati, e così via. Le mie mani sono enormi, ingombranti, e le dita allungate mi intralciano: non so mentire. Ma in fondo, che ci si può fare. Io ho sempre vissuto in questa dimora, l’ho sempre mantenuta come la vedi: semi-vuota. Ne ho bisogno, per far fronte al mio caos interiore. Il mio psicanalista, a tal proposito, dice che il mio ginepraio, i  miei dolori, non sono da dissipare, ma che costituiscono anzi il mio carburante, la mia miccia. Io invece continuo a tentare di liberarmene, convinto che siano come delle cianfrusaglie di cui si potrebbe benissimo fare a meno. Il mio tentativo è di rimuoverle completamente, farne carta straccia. Ho provato inizialmente cantando, poiché sentivo un peso a livello del torace, e credevo che se avessi svuotato i polmoni con il flusso egressivo d’aria polmonare se ne sarebbero andati anche i miei disagi esistenziali. Mi sono quasi bruciato le corde vocali, cantavo con un diaframma ribelle, sforzando molto la gola, finché il mio insegnante non mi suggerì di lasciar perdere la musica, una disciplina astratta, una materia dispersiva per uno come me. Mi consigliò uno sport, che mi stancasse per bene, che mi aiutasse a dormire la notte: qualunque sport di squadra accentuava la mia inettitudine a comportarmi, ad adempire alle convenzioni sociali, ad obbligarmi a rispettarle come se davvero ne capissi l’utilità; qualunque sport individuale mi poneva di fronte alla mia debolezza fisica e mentale, al mio essere poco tenace, svogliato, incapace. Insomma, non potevo andare a cavallo per via della mia altezza, non potevo nuotare perché il fumo mi ha annebbiato tanto i polmoni da logorarmeli. In fondo, che ci si può fare. Ogni vizio cela una debolezza. Ogni debolezza è foriera di umanità. Mi sento molto umano, sai. Mi sento di essere fragile. So di esserlo. So anche di essere un freddo calcolatore, uno metodico, pragmatico, clinico. In me il dualismo è potente: sono perennemente scisso tra Bene e Male, tra Giusto e Sbagliato, tra azioni caste e azioni violente. Quando ti intravedo, io non riesco più a tenere le redini del mio pensiero, inizio ad agitarmi, inizio a volerti ferire. Sfodererei la mia spada e ti trafiggerei senza alcuna pietà. Il problema, lo sai, è che tu non sei perfetta. Io anelo alla perfezione, in tutto ciò che faccio, per contrastare la mia natura imperfetta, formata da quella stessa gamma di inclinazioni interiori che mi rendono umano. Ho bisogno di te, ma non te lo dico. Mi limito a farti arrabbiare, a lanciarti occhiate furtive in chiesa, a storcermi le mani per non avvicinarti e farti del male. Io ti amo, ti ucciderei, se me lo chiedessi, farei di tutto per te. Sei così buffa, e così tenera, e così sbadata. Amo perdermi tra le pieghe dei tuoi occhi quando qualcosa va storto, quando indirettamente ti faccio arrabbiare, perché ti giunge voce che ho di nuovo preferito un’altra a te. “Ah, ancora!” ti immagino esclamare. Combino guai, lo so. Ma in fondo, che ci si può fare. Quando mi rendo conto che il mio processo di idealizzazione nei tuoi confronti rasenta la perfezione ma non la tocca mai, beh, distruggo tutte le statuine che ho costruito di te. Entro nella stanza e le violento con pittura rossa, le sgozzo, ne inchiodo i piedi - un po’ come nelle mie fantasie, dove inchiodo le gambe di chiunque si trovi seduto così che non mi abbandoni anche lui, fantasia di derivazione paterna - e infine ne distruggo il ventre. Quello stesso ventre che per voi donne è tanto importante, è il fulcro del vostro potere sugli uomini, il potere della procreazione. Spesso fantastico di accarezzartelo piano, di infondere con le mie dita un po’ della mia umanità al bimbo che avresti in grembo. Ho solo questo: l’essere terribilmente, brutalmente, francamente umano. Le mie dita invece sono fredde, ossute, poco estetiche. Non mi permetteresti mai di poggiarle sul tuo bambino - tuo, non nostro, perché mi ripudieresti immediatamente, mi imprigioneresti nella cella dei tuoi silenzi, dei tuoi bronci, dei tuoi rimorsi. Ti affideresti all’avuncolato, renderesti tuo fratello il padre. In fondo, che ci si può fare. Sei una lurida sgualdrina. Hai sempre avuto un’attrazione incomprensibile per Frederik, lo so, l’ho letto nel tuo diario. 
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