#è troppo tardi non capisco più niente
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la ballad del ballo del qua qua
MUORO
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"- Hai cambiato letto.
- Sì.
- Quando?
- Non mi ricordo. Saranno quindici anni.
- Questo ha il cassettone.
- Sì.
- E non m’hai detto niente?
- Scusa.
- È una questione di rispetto.
- Lo so, scusa.
- Mettiti nei miei panni, in quanto mostro sotto il letto, la struttura del letto ha un ruolo fondamentale per il corretto svolgimento del mio lavoro. Se tu me la cambi, ci va di mezzo la qualità del servizio.
- Mi rendo conto.
- Non vorrei dovermi rivolgere al sindacato.
- Vedo cosa posso fare.
- Grazie.
- Aspetta… io ho un mostro sotto il letto?
- Avevi. Abbiamo lavorato insieme dal ’90 al ‘98. Ti risulta?
- Forse.
- Mi chiamavi Tommyknocker, te lo ricordi?
- Ah già.
- Cos’era?
- Un brutto film tratto da un brutto libro di Stephen King.
- Ti faceva così paura?
- Non l’ho mai visto. Mi faceva paura il nome.
- Il nome. E le dita. Te le ricordi le dita? Dita lunghe, dita di morto, dita con falangi magre che graffiavano e spiavano, e poi chissà, occhi vuoti, tre file di denti, tutto quello con cui la fantasia poteva torturate un bambino. Scivolavo nel buio come un insetto, come un annegato. E mentre mamma e papà litigavano nell’altra stanza, tu chiudevi gli occhi e fissavi il muro. Perché la regola era…
- Che se ti vedo, mi prendi.
- Che se mi vedi, ti prendo. Non ci siamo più sentiti. Com’è?
- Ho avuto un sacco da fare.
- Vuoi che ti faccia paura?
- A te farebbe piacere?
- Ma sì, in ricordo dei vecchi tempi.
- Va bene.
- Allora adesso allungo una mano e ti afferro un piede.
- Okay.
- Com’è?
- Ho molta paura.
- Non sembra.
- No, no, davvero, sono pietrificato.
- Non è vero.
- Invece sì.
- Smettila di essere condiscendente. Lo capisco quando fingi.
- Scusa, è che c’ho la testa da un’altra parte. Mi sono arrivati un sacco di lavori tutti insieme, un mucchio di scadenze, e poi…
- E poi?
- Lasciamo perdere.
- No, no, dimmi.
- Non è per sminuirti, è che adesso mi fanno paura cose diverse.
- Tipo?
- Beh, così su due piedi.
- Dai, magari mi aiuta, facciamo un corso di aggiornamento.
- I parcheggi a esse.
- Cioè?
- Mi fanno paura i parcheggi a esse. Non li so fare. Vado nel panico.
- Ma come faccio a farti parcheggiare qua nella tua stanza.
- C’hai ragione.
- Qualcos’altro?
- Le raccomandate.
- Le lettere?
- Sì, le buste delle raccomandate. Di solito è una multa, ma c’ho sempre paura che sia qualcosa di peggio. Una di quelle cose che ti rovina la vita.
- Mi potrei vestire da postino…
- Ma non è il postino in sé, è più…
- La busta, ho capito. Non posso passarti buste da sotto il letto, dai.
- No, no, chiaro.
- Mi sentirei uno scemo.
- I debiti.
- Eh?
- Mi fanno molta paura i debiti. L’idea di essere in debito. Mi mette ansia.
- Sì, va bene, ma pure questo è astratto.
- Poi, fammi pensare…
- Guarda, forse è il caso che la chiudiamo qui.
- Vediamo, ho paura di non essere quello che ho detto di essere. Capisci? Un bel giorno dover andare in giro e spiegare a tutti che mi sono sbagliato, che non è vero che so fare quello che ho detto di saper fare.
- Va bene, ho capito, facciamo che ci aggiorniamo…
- Ho paura che sia troppo tardi.
- Per cosa?
- Per tutto. E che ogni giorno sia troppo tardi per una cosa nuova.
- Così no, però, così non va bene…
- Vorresti che avessi paura di qualcosa di più concreto, vero? I mostri magari. I fantasmi,gli alieni?
- Esatto! Esattamente! È proprio quello che cercavo di dirti.
- Ma magari.
- Come magari?
- Magari ci fossero i mostri, magari ci fossero gli alieni, magari ci fosse qualcosa che si muove nel buio. Io ci spero che le cose che mi facevano paura da bambino siano vere. Io ci spero che nel buio ci sia qualcosa, perché significherebbe che non sono solo in quel buio. Che non è tutto qua.
- Basta, ti prego.
- E poi ho paura di me.
- Davvero non…
- Delle mie ipocrisie, delle mie nevrosi, della mia malignità, di una sveglia sul cellulare con scritto sopra “pagare tasse”. E più di tutto…
- No…
- Ho paura perché credo di aver finalmente capito perché ho paura.
- Smettila…
- Ho paura perché credo di essere come uno di quei quadri impressionisti. Quelli che da lontano sembrano belli e sensati e più ti avvicini più ti accorgi che non c’è niente, sono solo macchie di colore. Ed è quello che penso di me.
- Cristo santo. Davvero?
- Sì.
- Io… cavolo, è… è…
- È?
- Terrificante.
- Lo so.
- Oh no.
- Cosa?
- Sei diventato il mio mostro sopra il letto."
Testo: Nicolò Targhetta
Grafica: Amandine Delclos
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Io ho bisogno di pareri, perché non capisco se la pazza sono io.
Due premesse:
- È capitato mi dicessero che io pretendo troppo, che sono troppo selettiva e cazzate simili e forse inizio a pensarlo anche io
- Io con il ciclo sto malissimo, nel senso che ci sono dei mesi in cui non riesco praticamente neanche ad alzarmi dal letto e passo la giornata a contorcermi dal dolore fino a piangere
Stanotte ho ripensato ad una vecchia conoscenza. In pratica stavo conoscendo questo uomo abbastanza più grande di me, parliamo parliamo, io comunque gli racconto che avendo il ciclo e con il caldo dell'estate stavo praticamente collassata e che quindi in quei giorni non ci saremmo potuti vedere perché non me la sentivo di uscire, lui inizia a lamentarsi del fatto che per un paio di giorni io non gli avessi mandato mie foto, che quindi il mio non era vero interesse. Io gli faccio notare che stavo malissimo e che non stavo dietro al cellulare e a niente, ma anzi mi sforzavo di rispondere a lui proprio perché mi incuriosiva. Lui poi se ne esce con la frase magica "non sei la prima e neanche l'ultima" ad avere il ciclo. Io quindi inizio a pensare che forse la differenza d'età si faceva sentire o che era proprio un coglione. Allora gli dico che dopo questa bellissima uscita il mio interesse era decisamente calato e di fatti mi mura. Qualche giorno più tardi, sapendo mi fosse passato il ciclo, mi scrive per vederci, io rifiuto facendogli presente che il suo intero comportamento e determinate parole usate nei giorni precedenti non mi erano affatto piaciuti, lui invece di scusarsi se la prende mi dice che sono superficiale e che avrei dovuto inventare una scusa migliore e mi blocca.
Ora ditemi se la pazza sono io se sono esagerata o simili. Perché io non mi spiego come cazzo ti venga in mente di dire una cosa del genere ad una persona che tu vorresti conquistare, con cui ti corteggi, all'inizio di una frequentazione mentre sta male.
Boh.
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~ Tutta colpa del coso ~
Arrugginita è un eufemismo. Sono anni che non guido in questa città.
Due occhi non sono sufficienti a evitare di fare disastri. Me ne servirebbero due per guidare, uno per il navigatore e due per tenere d'occhio le altre macchine, i motorini e i pedoni che ti tagliano la strada da ogni lato. Muovermi con i mezzi del trasporto pubblico, considerando le ben note performance del servizio, non è nemmeno un'opzione. Mio marito non ha voluto accompagnarmi, troppe ore ad aspettare inutilmente dice. Non mi resta che farmi questa trasfertina by car, in fondo sono appena 60 km, che puó succedere mai? Suvvia.
La musica a palla mi fa compagnia, mentre sono tristemente incolonnata al casello della tangenziale. Sbircio nelle macchine ai miei lati e osservo le persone all'interno. Mi piace osservare gli altri, immaginarne chi sono e i loro pensieri dalle espressioni, dai movimenti, dagli oggetti che riesco a intravedere, da qualche dettaglio nella persona o nell'abbigliamento. Mi chiedo se sono pendolari occasionali come me o questo fa parte del loro delirio quotidiano. Come si fa ad abituarsi, ad inserire nella propria routine, un supplizio simile? Evidentemente in qualche modo si fa.
Mentre penso compiaciuta che le mie scelte di vita, per quanto opinabili, mi hanno almeno risparmiato situazioni del genere, all'improvviso la macchina vibra e si spegne. Riaccendo, faccio un metro, si rispegne. Idem il metro successivo. Spengo l'autoradio. Niente, non va. Le auto dietro iniziano a suonare. Panico. Disabilito l'alimentazione a gas e passo a benzina. Rispengo, riaccendo, va. Stronza di macchina, quando ti rottamo sarà sempre troppo tardi!
Lentamente guadagno il mio turno al casello, prendo le monetine dal portaoggetti già contate prima per non perdere tempo. Cerco di accostarmi il più possibile senza sfasciare niente, il braccio è corto purtroppo, e inserisco le monetine. Ne inserisco € 1,20 ne segna 0,90. Cazzo si è mangiato le monete! Prendo la borsa, poi il portafogli e cerco di afferrare monetine a cavolo il più veloce possibile, perché da dietro già suona un concerto di clacson in do minore. La macchina si spegne. Ma porcapú! Riaccendo, stenta ma grazieadio parte, infilo le monete che avevo in mano, sperando le conti bene stavolta. L'asta si alza, alleluja, e sfreccio manco fossi Verstappen in pole position, lasciando una scia di automobilisti incazzati alle mie spalle.
Non ho il tempo di tirare un sospiro di sollievo che il navigatore mi dice qualcosa che non capisco, svolto a sentimento ritrovandomi fortunatamente nella direzione giusta. Ma non faccio cento metri che arrivo ad un semaforo e mi accorgo di essermi incolonnata male: in quella posizione sono costretta per forza ad proseguire dritto, e io devo svoltare a sinistra! Scatta il verde e faccio diosolosacosa, ringraziando in cuor mio quelli in arrivo da dietro per non avermi ucciso.
Finalmente arrivo alla stazione, dove so che nei pressi c'è un parcheggio a pagamento molto grande, vicino alla mia destinazione. Faccio per entrare, mi accosto alla colonnina, e non vedo il solito fungo da premere per ritirare il ticket. Impossibile una retromarcia. Echecazzo! O sono su scherzi a parte o io e le sbarre oggi abbiamo un problema serio. È prestissimo, non arriva nessuno. Il presidio del custode del parcheggio è vuoto. Cerco in giro forme di vita amiche e, molto più in là, vedo due uomini che parlano, sembrano dipendenti delle ferrovie a giudicare dalle camicie celestine che conosco troppo bene. Mi frigge, ma mi tocca andare a fare la figura dell'impedita.
Mi avvicino disinvolta e sorridente e saluto sonoramente. I tipi si girano e quello che era di spalle toglie gli occhiali da sole, risponde al mio saluto con un cenno del capo, spalancando un sorriso da 1000 watt. Azz! Percezione collaterale di immediata umiditá mentre il resto del mio sistema esegue, in un quarto di secondo, una scansione fotografica del soggetto: altezza media, capelli castano chiaro, tendente al biondo, sistemati all'indietro, sfumatura sul collo a regola d'arte, ciuffo leggermente spettinato sulla fronte, ciglia folte e lunghe da fare invidia alle donne, occhi castani, barba da mezzo centimetro, mascella taglio laser, bocca con arco di cupido pronunciato, spalle larghe, braccia molto definite ben visibili nonostante la camicia arrotolata a tre quarti, di cui una tatuata fino al polso, bracciali vari, mani grandi, un solo anello al pollice, jeans chiaro riempito da due gambe promettenti, converse vissute. Valori biometrici nella norma. Colesterolo borderline. Secondo uomo: non pervenuto, non riuscivo a guardare altrove.
Chiedo se per caso sanno di problemi per l'ingresso al parcheggio, giacché non riesco a fare alzare la sbarra e, l'uomo non pervenuto, mi spiega, con l'intonazione da tombeur de femmes, che c'è da premere un pulsante che ti fa uscire il "coso", da infilare poi nella macchinetta automatica prima dell'uscita. Ah ecco, guarda tu che rivelazione. Gli rispondo che "io lo prenderei volentieri il coso, ma il pulsante non lo trovo!". Loro ridacchiano sotto i baffi e mi rendo conto solo dopo di quello che ho detto. "Vabbè il ticket... Ok provo a ricontrollare allora, grazie gentilissimi!". Perfetto, che graziosa figura di, se torno lì e c'è un pulsante giuro mi faccio ricoverare. Se non c'è, sradico la colonnina ed entro, dopo averla prima suonata in testa al tipo non pervenuto però. Faccio per andare quando quello carino fa "dai ti accompagno, io qua ho finito, devo andare proprio da quella parte", congedandosi dal collega con un cenno della testa. L'altro risponde stesso modo. Credo che la comunicazione tra uomini si sia evoluta verso una sintesi estrema, tuttavia efficace, giacché si comprendono perfettamente anche così. Sono prossimi alla telepatia secondo me. Fosse stata una mia collega, ci sarebbero voluti tre minuti di blablabla solo per dirci qualcosa che significasse "ci vediamo domani allora, stammi bene".
Ci incamminiamo, lui mi precede avendo una falcata più lunga della mia. Non mi dispiace, mi dà modo di apprezzare un OMG di backstage e la scia di un profumo vagamente familiare. Lo seguo a passo sostenuto cercando, allo stesso tempo, di mantenere un'andatura decentemente femminile e fluida, considerate le mie espadrilles da tacco 10 oltre zeppa. Una volta alla colonnina, mi indica una specie di fessura, che non avrei mai detto fosse qualcosa da premere e lo confesso onestamente ad alta voce. Mi fa "Tranquilla, la prima volta restano tutti un po' perplessi". Ok ha evitato con molta attenzione la parola scema, onore al merito, tre punti a favore per il tipo. Lo premo e la colonnina diligentemente sputa il "coso" e la sbarra ai alza. Mi ficco velocemente in macchina prima che si riabbassi e parcheggio poco più in là, alla prima piazzola che trovo.
Dallo specchietto retrovisore mi accorgo che il tipo si sta avvicinando alla macchina, apro la portiera e, senza scendere gli dico "grazie mille, tutto a posto!". Lui ha un attimo di esitazione, poi mi augura buona giornata, mi riabbaglia con quel sorriso da 1000 watt, indossa gli occhiali e se ne va. Io resto lì a fissare il "coso" sul mio cruscotto, ed un deciso sentimento di inadeguatezza mi pervade. Lo ricaccio indietro, non adesso, ho bisogno di concentrazione per quello che sono venuta a fare. Sono esausta e siamo solo alla metà della prima parte della giornata.
Essendomi anticipata enormemente sui tempi, mio solito, resto in macchina nel parcheggio e dormirei volentieri. La nottata di merda alle spalle, passata a studiare qualche pagina in più delle 15 materie richieste nel bando di concorso, si fa sentire. Ma cerco di restare vigile e continuo a leggere il mattone di diritto pubblico e costituzionale che mi sono portata dietro, prestatomi da una mia amica smart, ed alla quale non vedo l'ora di restituirlo perché, visto quanto ci tenesse, mi viene l'ansia a tenerlo un'ora sola in più.
Sono fuori da un bel po' e la necessità di fare pipì si fa sentire. Manca un'ora ancora all'apertura dei cancelli e poi chissà quanto durerà la fila per le operazioni di riconoscimento e assegnazione dei dispositivi. Trattenerla fino a quando sarò dentro è impensabile, rischio di esplodere. Nonostante il pensiero di un bagno pubblico mi ripugna, mi incammino alla ricerca di un bar. Evito i primi che trovo dall'aspetto infimo ed entro in uno più grande, non tanto moderno, dove però ci sono molti giovani studenti ai tavoli che stanno facendo colazione. Chiedo dov'è il bagno e seguo le istruzioni, notando con disappunto che la toilette per le donne e per gli uomini praticamente è la stessa, unico antibagno con due porte, una per sesso.
Mi sento rinata mentre mi lavo le mani ma ti pareva che potesse funzionare l'asciugamani ad aria calda. Giammai! Riprendo alla meglio borsa e libro, cercando di non bagnarlo, ed esco di corsa da quel posto nauseabondo con le mani ancora grondandi prima che entri un uomo. Sbatto in qualcosa di durissimo e sto quasi per cadere all'indietro quando due mani mi afferrano e io afferro una camicia. Deo gratias! Solo cadere nel cesso mi manca stamattina! Sto per scusarmi del tamponamento maldestro quando mi accorgo che chi mi tiene, e a cui mi sto aggrappando, è mister 1000 watt. "È la seconda volta che ti salvo oggi!" mi dice mentre mi guarda divertito, per fortuna non infastidito, e io mi ricompongo alla meglio scusandomi e riscusandomi, veramente imbarazzata, anche per avergli praticamente stampato le mie mani bagnate sulla camicia. Lo lascio alla sua seduta di gabinetto e vado al bancone, mi siedo sullo sgabello, appoggio le mie cose e ordino un caffè "forte per favore". Che giornata.
"Cappuccio e cornetto Pasquá" sento mentre qualcuno si siede allo sgabello accanto al mio. "Adesso puoi cadere dallo sgabello, ci sono io" e mi fa l'occhiolino. Mentre penso cosa rispondergli il barman ci mette già davanti le nostre ordinazioni e gli fa "Danié che fai, ti asciughi addosso come i bambini?". Non posso fare a meno di ridere di gusto, quella faccia da figlio-di e la forma delle mie mani bagnate sulla sua camicia celeste erano davvero una situazione troppo surreale per non buttarla a ridere. Stemperata cosí la tensione, facciamo le presentazioni. "Piacere Daniele". "Piacere Serena". Mi chiede cosa ci facessi da quelle parti e gli dico di essere venuta per un concorso che si tiene in uno dei padiglioni della mostra. Lui è un dipendente delle ferrovie e aveva appena smontato da un turno molto lungo. Parliamo del più e del meno, è simpatico, ironico, si esprime bene, la conversazione è piacevole... insomma trovare su due piedi un difetto a quest'uomo sembra impossibile. Se leggo bene il linguaggio del corpo questo pezzo di Marcantonio, sembra attratto da me. Si protende e si avvicina parlando, sorride sempre, mi guarda negli occhi ma troppo spesso punta le mie labbra e la mia scollatura. Effettivamente oggi ho un po' esagerato con la merce esposta, ma fa un caldo boia.
Troppo lusingata dalle sue attenzioni, non mi rendo conto che il tempo è passa velocemente e quasi mi viene un colpo quando mi accorgo che è passata l'ora X e ormai avranno aperto i cancelli alla mostra. Lo saluto frettolosamente, afferro la borsa, vado alla cassa e pago per entrambi. Mi sembra il minimo offrirgli la colazione, e scappo via sperando di non essere troppo in ritardo. Fortunatamente la fila dei partecipanti è a perdita d'occhio, quando arrivo la gente ancora si riversa dai cancelli, mi accodo ansimante ma felice di non avere fatto tardi. È mattina presto ma già ci si scioglie dal caldo, ed il pensiero che dentro dovrò indossare la mascherina ffp2 per ore imprecisate mi fa girare la testa.
Scorriamo lentamente e, come al solito succede, faccio amicizia con altri speranzosi candidati. Discorriamo delle materie a concorso e mi rendo conto che tutti sono molto preparati su un argomento che io non ho considerato importante. Al check fila tutto liscio, mi assegnano un posto e mi posso finalmente rilassare mentre aspettiamo il via della commissione. Giacché occhio e croce ci vorrà ancora un bel po', decido di dare una lettura veloce a quell'argomento di cui si parlava. Solo in quel momento realizzo di non avere il libro con me. Il testo sacro della mia amica! Devo averlo lasciato sul bancone del bar, ma che testa-di-m! E non posso nemmeno rintracciarlo su Google e chiamare per chiedere il favore di metterlo da parte, caso mai fosse ancora lì, perché i cellulari sono stati spenti e riposti in borsette sigillate per tutta la durata della prova concorsuale.
Che giornata! Cos'altro poteva succedere? Meglio non pensarci, tanto finché non esco di qua nemmeno nulla posso fare. Cerco di rimanere concentrata sul momento, ripassare articoli di codice e argomenti a memoria, ma nella testa passa sempre la pubblicità di quell'uomo. La sua bellezza da scugnizzo cresciuto, il tono di voce con cui mi parlava, il modo lascivo in cui mi guardava, le sue mani grandi e virili. Sì Seré ma adesso basta, cerchiamo di non scadere nel ridicolo, era più bello, più giovane, più tutto. Sono fuori come un balcone a pensare che potesse essere attratto da me. Ma come mi viene in mente, e poi mi avrà definitivamente archiviata per matta per come l'ho piantato al bar.
Sospiro e ascolto la spiegazione del presidente su come si svolge la procedura, le regole e tutte le cause di annullamento della prova. Pronti, si parte, 60 domande in 60 minuti. Ce ne vogliono 5 solo per leggere la prima domanda. Merda.
Consegno all'addetto il tablet, scansioniamo i QR per l'abbinamento, mi sbloccano la custodia e libero il mio cellulare. Arrivederci e grazie. Non direi che è andata male ma su millemila partecipanti fare un punteggio idoneo a scavalcarne la maggioranza è pura utopia. Un aspetto positivo è che abbiamo finito molto prima di quanto immaginassi. L'ansia si dissolve al sole, che mi scioglie i pensieri ghiacciati dall'aria condizionata polare e mi ricordo che ho un libro da recuperare. Al banco del bar il tipo, Pasquá, è ancora di turno ma dice di non aver trovato nessun libro. Chiede anche ai colleghi e alla cassiera ma niente, nessuno l'ha visto. Sconsolata esco di lì e già penso a dove potrei ricomprarlo. Si era tanto raccomandata, che figura di. Poi, siccome sono una donna semplice, vengo rapita da una scritta gigante su una vetrina: saldi 70%. Azz. Sui manichini cosine molto interessanti. Dopo tutti stí patemi una piccola gratificazione ce vó. Entro e mi do alla pazza gioia, il paradiso delle tardone a prezzi stracciati proprio!
Mi guardo allo specchio del camerino mentre provo l'ultimo dei vestitini freschi, leggeri e svolazzanti che avevo scelto. L'hanno fatto per me. Mi sta benissimo. Scollatura in risalto. Doppia spallina sottile. Punto vita regolabile con lancetti incrociati sulla schiena. Gonna irregolare che scopre le gambe a tratti moltissimo a tratti no. Fondo nero con sfumature in vari colori safari che faceva risaltare la mia pelle chiara e che si abbinava una favola con le mie espadrilles corda. Mi vedevo uno schianto... Sono io o lo specchio è photoshoppato? Peccato che non mi ha visto così stamattina. Ma chi? Ma seria? Che pensiero stupido. Il caldo mi sta dando il colpo di grazia. Ed il pensiero di indossare i jeans che avevo prima, nei quali stavo prendendo fuoco, e la maglietta sudaticcia, proprio non mi va. Stacco il cartellino e lo tengo addosso. Fanculo al caldo.
Quando esco è ormai ora di pranzo. Decido di prendere qualcosa da mangiare ma prima voglio liberarmi delle borse ingombranti. Entro nel parcheggio e mentre mi avvicino alla macchina noto un foglio bianco svolazzante sotto il tergicristallo. E che cazzo, una multa?!!! Nooo pure questo! Ma perché mai mi hanno multato? Questo è un parcheggio... Forse l'area era videosorvegliata e mi hanno rintracciato dopo quella manovra criminale che ho fatto stamattina al semaforo? Nel frattempo che elaboro tutte le sciagure possibili sono alla macchina e tiro il foglio. È un semplice ritaglio bianco. Non è il bollettino di una multa. C'è un messaggio scritto a penna "Il tuo libro ce l'ho io. Daniele" ed un numero di cellulare. Tutt a poooost!
Mi si attorcigliano le viscere mentre compongo il numero e non so perché. Squilla fino a staccare. Uff. Riprovo, idem. Ottimo. Mi guardo intorno in cerca di non so cosa. Intanto ficco nel cofano le buste. Riprovo e quando penso ormai che non risponderà nemmeno stavolta sento "Pronto". Bum. Cazzo di voce pure al telefono.
"Ciao Daniele sono Serena" - "Hey ciao... com'è andata?"- "Non ho idea ma credo benino dai... senti guarda oggi le sto combinando di tutti i colori proprio! Mi spiace darti noia come possiamo fare per il libro? Non è mio, altrimenti..." - "Guarda me ne sono accorto dopo un po' del libro, sono venuto anche ai cancelli ma il tipo non mi ha fatto entrare perché non avevo la domanda di partecipazione o una cosa del genere... Ah grazie per la colazione!". Mannaggia che pazienza sta avendo sto tipo con me oggi. "Ma figurati. Mi spiace invece che oggi hai passato un guaio con me..."- "Si è vero... Scherzo!Ascolta non posso raggiungerti in questo momento, però abito proprio di fronte la stazione. Se guardi sulla sinistra vedi un palazzo alto, grigio e bordeaux, sotto c'è un supermercato. Non ti puoi sbagliare... da lì è un attimo. Ti mando il codice del citofono via whatsapp. Ok?"- "Ok.. ehm grazie".
Guardo alla mia sinistra: è il tripudio dei palazzi altissimi qui. Una densità abitativa che, in un solo isolato, fa gli abitanti di tutta la città da cui vengo. Però ne individuo solo uno grigio e bordeaux. Qualche secondo dopo mi arriva un messaggio con un codice, piano, interno... Uff, non può metterlo nell'ascensore o buttarlo giù? No, dal settimo piano non direi sia il caso. Salire a casa sua mi agita però, non lo vedo un tipo pericoloso e non mi sembra nemmeno il caso di fare storie, per oggi gli ho già rotto le scatole abbastanza a sto' cristiano. Che può mai succedere ancora? Prendo il libro e mi dileguo, facile facile. Arrivo a destinazione veramente in pochi minuti, digito il codice e si apre il portone. Azz, moderni.
Settimo piano a piedi nemmeno per sogno, corro il rischio con l'ascensore, tanto c'è il portiere che saluto con un sorrisone e mi risponde con un cenno del capo. Ma che hanno tutti qui che fanno solo cenni? Bah. L'ascensore è rapidissimo, manco il tempo di darsi una sistemata nell'enorme specchio che suona al piano. Sul ballatoio ci sono quattro porte, il suo interno è la seconda a sinistra. Mi viene da ridere quando vedo la scritta sullo zerbino "check yo energy before you come in my shit"... che tipo questo. Chissà se vive solo. Magari è sposato e mi apre la moglie... hai visto mai. Chissenefrega io un libro devo prendere, si tenesse il marito, ho già il mio e mi avanza. Suono e rido tra me e me.
Qualcosa si avvicina alla porta, rumore di zampe, ansimi, graffi. Tra moglie e cane da guardia non ero andata lontana. Sento la sua voce che parla, al cane evidentemente, e poi guaiti sommessi. Mi apre sorridente mentre trattiene a stento per il collare uno stupendo ed enorme esemplare di pastore tedesco. Non so chi dei due è più bello. Il padrone è scalzo e a petto nudo, indossa solo un pantalone di tuta chiaro che, per come lascia evincere altre forme, mi dice che è nudo pure sotto. Il tatuaggio non è limitato al braccio ma si estende sulla spalla e in parte sul petto. Il mio imbarazzo deve aver prevaricato sul finto sorriso, giacché si affretta ad aggiungere "tranquilla... quello pericoloso non è lui". Rispondo troppo velocemente "Si capisce subito". Ridacchia e spalanca di più la porta, facendo segno di entrate. "No, dai tranquillo, non ti preoccupare dammi il libro al volo e ti libero" - "Te lo do volentieri... ma entra un attimo che non riesco più a mantenerlo, se scappa per le scale è finita!" e sono dentro prima di ascoltare qualsivoglia obiezione della mia testa.
Appena lo lascia il cane si avventa su di me. È chiaro che vuole solo giocare, il problema è che alzandosi su me, con la sua mole, mi sbilancia e lo scodinzolare impetuoso della sua coda fa volare la mia gonna. Il tipo ridacchia e interviene solo quando ormai mi cade la borsa perché ho bisogno di entrambe la mani per pararmi dalle leccate. "Ok ok... Leó vieni qua! Buono... su! Scusa ma era divertente vederlo farti tante feste... Non fa mai così con gli sconosciuti, anzi è geloso" - "Ah beh, lo prendo come un complimento... Grazie Leó???" "Sarebbe Leonardo".
"Piacere di piacerti Leonardo! Tieni per le brunette tu? Bravo cucciolo, sei un buongustaio!" guaisce mentre gli faccio i grattini sotto il muso. "Tale cane tale padrone!" risponde "e poi come dargli torto in questo caso... non c'era bisogno che ti mettessi in tiro per l'occasione, ad ogni modo ottima scelta!". Mi dedica un occhiolino e poi fa un'ampia squadratura della mia persona. "Non ti esaltare caro... Non è per te. Non ho saputo resistere al richiamo del negozio di abbigliamento all'angolo e quando ho provato il vestito avevo così caldo che non mi andava proprio di rimettere i jeans!" - "Eh... hai ragione si muore oggi... guarda me: ho ficcato i pantaloni per decenza perché stavi venendo tu, altrimenti nudo restavo...".
Gli occhi che ero riuscita a tenere fino a quel momento fissi nei suoi cadono sulla curva delle spalle, e poi sul petto e sulla pancia, ricoperte di una peluria castana dall'aspetto così soffice che viene voglia di passarci le mani dentro. In un verso e poi nell'altro. Il figlio di ballerina se ne accorge e con un sorriso compiaciuto aggiunge "Spero di non turbarti così". Non nutrirò il suo ego già in sovrappeso con la conferma di avermi squilibrato l'assetto ormonale. Non lo conosco, sono una donna sposata e probabilmente più vecchia di lui. Devo sbrigarmi a uscire di qui. Con la migliore faccia da poker rispondo "No tranquillo, è casa tua, anzi se mi dai il libro ti libero immediatamente. Devo tornare presto. Approposito grazie mille per averlo preso, non è nemmeno mio, che figura sarebbe stato non poterlo restituire a causa della mia sbadataggine!".
"Che fretta c'è. Ti ho salvato tre volte oggi, non merito una piccola ricompensa?" Si avvicina un pochino ed i miei occhi sbarrati suscitano la sua ilarità perché ridacchia di gusto e aggiunge "Mi merito almeno un caffè in compagnia, non ti spaventare bambolina". Non vedo nemmeno il cazzo di libro in giro per poterlo afferrare, girare i tacchi e salutarlo dicendo "bambolina glielo dici a tua sorella!". Deve notare che mi sono irrigidita e aggiunge "5 minuti per il caffè migliore di sempre Seré, e non per il caffè ma perché le mie mani sono magiche" e poi fa la cosa peggiore che potesse fare. Mi mette una mano dietro la schiena, in basso, nella curva prima del sedere, per spingermi a seguirlo verso la cucina. Una mano enorme e calda. Quel contatto in quel punto per me è la criptonite. La password del firewall. Il passpartout.
Lo seguo senza opporre obiezioni, è solo un caffè che può mai succedere? La casa è semplice ed essenziale. Maschile nei colori, ordinata e ben tenuta per essere abitata da un uomo e un cane. Dieci punti per il tipo. Sento che il caldo aumenta e non sono sicura che sia solo per la temperatura esterna. "Accomodati dove vuoi ma eviterei la Leó zone" e mi indica un angolo con scodelle e un cuscino davvero enorme dove prontamente il cane si fionda a rivendicare il suo territorio. "Non oserei mai Leó", dico al cane e appoggio la borsa sul tavolo mentre lo osservo ormeggiate con tazzine e cialde. Vengo attirata dalla porta finestra che da su un balcone e su una veduta mare veramente wow. "Posso affacciarmi fuori?" - "Sei la padrona bambolina".
Fuori il sole del primo pomeriggio è a picco ma al settimo piano c'è un venticello deciso e piacevole che si insinua sotto la gonna leggera e la fa svolazzare. È proprio bello lí ma non sono abituata, la vertigine mi prende subito. "È stupenda la vista qui" gli grido "Anche un'altra vista è stupenda" risponde di rimando. Lo sento avvicinare. "Servizio in terrazza madame" dice porgendomi la tazzina di caffè da dietro e praticamente abbracciandomi per darmela. "Merci monsieur". La prendo e lo assaggio. Il cazzone aveva ragione, fa un caffè degno del re. "Mmmmm buono davvero" - "Vedi devi fidarti di più... faccio bene un sacco di cose, oltre a salvare bamboline in difficoltà".
Stavolta rido io, è talmente sfacciato e sicuro di sé che quasi lo invidio. Me la toglie dalle mani appena ho finito e la appoggia su una sedia. Poi mi mette le mani sui fianchi da dietro. O lo butto giù adesso o lo lascio fare. Magari un altro poco e poi basta. Mi sfiora il collo con le labbra e poi mi bacia la spalla. Gli chiedo "Questo fa parte del pacchetto ringraziamento o cosa?" - "O cosa" risponde lui continuando fino a risalire alla guancia. Saranno le vertigini oppure è lui che mi fa girare la testa? D'istinto volto il viso verso le sue labbra. Solo un altro poco e poi basta mi ridico. Il bacio che ricevo è qualcosa di eccezionale, non mi ricordo più da quanto tempo non mi baciano così. Il caffè sulle sue labbra ha un sapore ancora migliore. Le sue mani salgono la schiena, accarezzano le braccia, il mio seno le riempie alla perfezione mentre stringe. Un brivido. Mi giro del tutto e lo bacio io. Le mani libere di accarezzare quel petto. Solo questo e poi basta. Ma perdo la cognizione del tempo e non so per quanto tempo continuo così, torno un poco in me solo quando sento le sue mani sul mio sedere e poi farsi strada sotto le mutandine. "Aspetta, non é il caso... devo andare, scusa".
Mi trattiene e mi stringe di più a sé mentre continua a farsi strada dove vuole. "Shhhhhhhh. Ferma. Abbiamo un problema qui" dice accarezzando tutta la lunghezza della mia intimità bagnata, un tocco così dosato e sapiente che mi strappa un bastardo di mugolio. "Abbiamo lo stesso problema" mi sussurra e si spinge contro di me facendomi sentire la sua eccitazione. Senza vergogna le mie mani si precipitano ad afferrarlo, toccarlo, testarlo. Eh sì, aveva un problema. Un grosso problema. Questa volta il rantolino di piacere è il suo. Mi solleva come se non avessi peso continuando a baciarmi e mi riporta dentro, appoggiandomi sul tavolo. Mi spoglia o mi spoglio, non lo so. So solo che sono mezza nuda, la sua bocca vorace sul mio seno zittisce ogni voce di buonsenso interiore e quando la sua testa sparisce sotto la mia gonna proclamo la mia resa definitiva. Non peccava di presunzione quando diceva che sapeva fare molte... cose bene. Non c'era bisogno di guidarlo, faceva piano, faceva forte, mordeva al momento giusto proprio come se leggesse i miei pensieri, provasse le mie stesse sensazioni. Si accorge infatti quando sto quasi per venire e si ferma. Mi trascina giù dal tavolo, togliendomi quel poco di stoffa che resta su di me ed io lo aiuto a liberarsi della tuta. Non posso non fermarmi un secondo ad ammirarlo. Questa volta sono io a bloccarlo contro il tavolo, mentre cado in ginocchio per assaggiarlo. E forse non si aspettava di non essere l'unico a saper fare le cose per bene, a giudicare dai forti sospiri di apprezzamento e da come mi mantiene la testa, sembra che abbia paura che smetta. Oh sì che so cosa fare, e lo faccio con trasporto, gusto, piacere mio anche se lo contengo a fatica in bocca: madre natura era in vena di strafare quando l'ha creato. I muscoli delle sue gambe si irrigidiscono sempre di più, è vicino. Mi fermo, lo voglio subito. Come leggendomi nel pensiero mi ribalta sul tavolo, mi bacia ancora, mi stende e mi dice "afferra il bordo del tavolo bambolina... sarà forte e cattivo". Alza le mie gambe sulle sue spalle ed entra in me lento, mentre mantiene il contatto visivo, cosa che mi manda in estasi già di per sé. La mia carne cede e si adatta a lui, è così grosso, mi riempie e lo sento tutto. Quando arriva fino in fondo si tira via, poi rientra in un colpo solo. Stupendo. Di nuovo. E mantiene la promessa. Si scatena dentro me, forte, voglioso, cattivo. Le oscenità che mi dice non fanno che aumentare il mio piacere. Devo mantenermi forte al tavolo davvero mentre fa. Sento il piacere travolgermi prepotente, gli spasmi del mio orgasmo mi scuotono tanto che le mie urla spaventano Leó che, coda tra le gambe, sparisce in un altra stanza. Le sue arrivano un secondo dopo, forti come le mie, più dolorose. Si accascia su di me rimanendomi dentro, ansimiamo sudati e sconvolti. Mi scosta i capelli dal viso e mi chiede come va. "Ci ha sentito tutto il palazzo e abbiamo traumatizzato il cane. Secondo te come va?". Ridiamo insieme. Appena il respiro si calma, cerca di nuovo le mie labbra. Non è ancora finita.
Come al solito prima di andare via sistemo le scartoffie sulla mia scrivania, ben allineate, e ripongo il "coso" che ormai uso come segnalibro nel codice di procedura. Lo rigiro un attimo tra le mani. Sorrido al pensiero di tutto quello che mi ricorda quel piccolo pezzo di carta ogni volta che lo vedo. A lui devo le ore più rocambolesche, indicibili, peccaminose e soddisfacenti della mia vita, trascorse tra le braccia di uno sconosciuto, che non ho più rivisto. E un nuovo lavoro. Ah sì, perché poi quel concorso l'ho vinto.
@conilsolenegliocchi 🐞
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Brutto risveglio.
Ieri ho aspettato il gatto fino alle 3 di notte perché lasciarlo fuori con zero gradi mi sembrava una punizione troppo pesante, era uscito almeno un'ora e mezza prima, ma nonostante l'abbia chiamato per un'ora non è venuto, sicuramente è andato a farsi un giro chissà dove, strunz. Quindi oggi mi sono alzato parecchio tardi con lui che mi guardava sonnecchiante ai miei piedi, sto strunz, ma cosa puoi dirgli? Lui non comprende le necessità umane come noi comprendiamo le sue, anche se spesso sono più rotture di coglioni come questa appunto, ma non è il solo. Appena sveglio vado in cucina e guardo fuori nevica come se non l'avesse mai fatto e sapete che mi finirà a spalare una volta finita sta tormenta, ma non è finita qua, la mia compagna mi avverte che per la fine dell'anno la festa si fa da noi, addio tranquillità e momenti di silenzio, senza contare che dovrò smontare tutto su questo tavolo, lo so non sapete, ma il tavolo nel soggiorno dove c'è il pc da dove scrivo e faccio le varie cose è una sorta di mini laboratorio, c'è la stampante normale (che stampa anche la parte bianca dei CD, presa esclusivamente per questo), c'è la stampante 3D con i vari filamenti, c'è lo spazio centrale dove creo le mie cose, anche se ultimamente sempre meno. Ogni volta quindi che c'è qualche festa o riunione familiare devo smontare tutto per poi rimontarlo finito tutto, si per me è un casino, ci sono una quantità di cavi non indifferente, ma questo è il minimo, a me non va di passare ore a sentire gente ubriaca parlare in una lingua che ne capisco il 10%, non è astio verso i suoi parenti, più una sorta di rigetto non verso loro direttamente ma verso sto popolo poco incline alla comprensione che esistono altri modi di vivere nel mondo, in poche parole non mi va per niente, anzi diciamo che mi sono abbastanza innervosito per questa cosa. Conoscendo la sua testardaggine e visto che mi ha detto che gli altri anni si sono ritrovati a casa degli altri non posso neanche replicare e cercare di mediare per evitarmi questo strazio, sono fottuto. Senza contare che dovrò anche cucinare per diverse ore visto che sti qua mangiano più dei calabresi, ma la cosa che mi rompe di più è che sicuramente porteranno dei fuochi d'artificio che è una delle cose più inutili che l'umanità abbia inventato. Poi c'è l'annosa questione di festeggiare dei numeri, cosa cambia? Il 2023 è stato una merda e non penso che il 2024 sarà migliore e bisogna anche festeggiarlo?
Stamane mi sono trovato, cambio di discorso, gli auguri di natale su FB di un tizio che è simpatico per carità ma che non sa la regola principale, cioè che se mi fai gli auguri ti banno, non l'ho scritto quest'anno perché pensavo che tutti si ricordassero di sta cosa, ma si vede che a lui è sfuggito, gli ho fatto notare che l'avrei dovuto eliminare, ma visto che forse non lo sa o non lo ricorda per sta volta la passa liscia, ha replicato che il padre era ateo ma che si facevano gli auguri per tradizione, a parte che non sono tuo padre e quindi fotte sega delle tradizioni (non gli ho scritto questo non sono così irriverente), gli ho solo scritto che per me non è solo una questione religiosa, finita li.
Cos'è che le persone non capiscono che a me di fare parte di un mondo di ipocriti e benpensanti, non che consumatori seriali, non me ne fotte un cazzo e che più mi lasciate per i fatti miei e meglio è, non è difficile ne da capire ne da attuare, basta non calcolarmi come fate nei 364 giorni precedenti, non è difficile lo sapete fare benissimo. Penso che la composizione che più rappresenta il mio stato d'animo in questo momento è questa
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- Hai cambiato letto.
- Sì.
- Quando?
- Non mi ricordo. Saranno quindici anni.
- Questo ha il cassettone.
- Sì.
- E non m’hai detto niente?
- Scusa.
- È una questione di rispetto.
- Lo so, scusa.
- Mettiti nei miei panni, in quanto mostro sotto il letto, la struttura del letto ha un ruolo
fondamentale per il corretto svolgimento del mio lavoro. Se tu me la cambi, ci va di mezzo
la qualità del servizio.
- Mi rendo conto.
- Non vorrei dovermi rivolgere al sindacato.
- Vedo cosa posso fare.
- Grazie.
- Aspetta… io ho un mostro sotto il letto?
- Avevi. Abbiamo lavorato insieme dal ’90 al ‘98. Ti risulta?
- Forse.
- Mi chiamavi Tommyknocker, te lo ricordi?
- Ah già.
- Cos’era?
- Un brutto film tratto da un brutto libro di Stephen King.
- Ti faceva così paura?
- Non l’ho mai visto. Mi faceva paura il nome.
- Il nome. E le dita. Te le ricordi le dita? Dita lunghe, dita di morto, dita con falangi magre
che graffiavano e spiavano, e poi chissà, occhi vuoti, tre file di denti, tutto quello con cui la
fantasia poteva torturate un bambino. Scivolavo nel buio come un insetto, come un
annegato. E mentre mamma e papà litigavano nell’altra stanza, tu chiudevi gli occhi e
fissavi il muro. Perché la regola era…
- Che se ti vedo, mi prendi.
- Che se mi vedi, ti prendo. Non ci siamo più sentiti. Com’è?
- Ho avuto un sacco da fare.
- Vuoi che ti faccia paura?
- A te farebbe piacere?
- Ma sì, in ricordo dei vecchi tempi.
- Va bene.
- Allora adesso allungo una mano e ti afferro un piede.
- Okay.
- Com’è?
- Ho molta paura.
- Non sembra.
- No, no, davvero, sono pietrificato.
- Non è vero.
- Invece sì.
- Smettila di essere condiscendente. Lo capisco quando fingi.
- Scusa, è che c’ho la testa da un’altra parte. Mi sono arrivati un sacco di lavori tutti
insieme, un mucchio di scadenze, e poi…
- E poi?
- Lasciamo perdere.
- No, no, dimmi.
- Non è per sminuirti, è che adesso mi fanno paura cose diverse.
- Tipo?
- Beh, così su due piedi.
- Dai, magari mi aiuta, facciamo un corso di aggiornamento.
- I parcheggi a esse.
- Cioè?
- Mi fanno paura i parcheggi a esse. Non li so fare. Vado nel panico.
- Ma come faccio a farti parcheggiare qua nella tua stanza.
- C’hai ragione.
- Qualcos’altro?
- Le raccomandate.
- Le lettere?
- Sì, le buste delle raccomandate. Di solito è una multa, ma c’ho sempre paura che sia
qualcosa di peggio. Una di quelle cose che ti rovina la vita.
- Mi potrei vestire da postino…
- Ma non è il postino in sé, è più…
- La busta, ho capito. Non posso passarti buste da sotto il letto, dai.
- No, no, chiaro.
- Mi sentirei uno scemo.
- I debiti.
- Eh?
- Mi fanno molta paura i debiti. L’idea di essere in debito. Mi mette ansia.
- Sì, va bene, ma pure questo è astratto.
- Poi, fammi pensare…
- Guarda, forse è il caso che la chiudiamo qui.
- Vediamo, ho paura di non essere quello che ho detto di essere. Capisci? Un bel giorno
dover andare in giro e spiegare a tutti che mi sono sbagliato, che non è vero che so fare
quello che ho detto di saper fare.
- Va bene, ho capito, facciamo che ci aggiorniamo…
- Ho paura che sia troppo tardi.
- Per cosa?
- Per tutto. E che ogni giorno sia troppo tardi per una cosa nuova.
- Così no, però, così non va bene…
- Vorresti che avessi paura di qualcosa di più concreto, vero? I mostri magari. I fantasmi,
gli alieni?
- Esatto! Esattamente! È proprio quello che cercavo di dirti.
- Ma magari.
- Come magari?
- Magari ci fossero i mostri, magari ci fossero gli alieni, magari ci fosse qualcosa che si
muove nel buio. Io ci spero che le cose che mi facevano paura da bambino siano vere. Io
ci spero che nel buio ci sia qualcosa, perché significherebbe che non sono solo in quel
buio. Che non è tutto qua.
- Basta, ti prego.
- E poi ho paura di me.
- Davvero non…
- Delle mie ipocrisie, delle mie nevrosi, della mia malignità, di una sveglia sul cellulare con
scritto sopra “pagare tasse”. E più di tutto…
- No…
- Ho paura perché credo di aver finalmente capito perché ho paura.
- Smettila…
- Ho paura perché credo di essere come uno di quei quadri impressionisti. Quelli che da
lontano sembrano belli e sensati e più ti avvicini più ti accorgi che non c’è niente, sono
solo macchie di colore. Ed è quello che penso di me.
- Cristo santo. Davvero?
- Sì.
- Io… cavolo, è… è…
- È?
- Terrificante.
- Lo so.
- Oh no.
- Cosa?
- Sei diventato il mio mostro sopra il letto.
Il testo è di Nicolò Targhetta e la grafica di Amandine Delclos.
#nonèsuccessoniente
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Lui è stata la mia "prima volta" di un sacco di cose: il primo bacio, il primo viaggio da sola, il primo tramonto con un ragazzo e il primo cinema da amanti. E non capisco, non riesco a razionalizzare, su come sia possibile lasciare andare qualcuno che ha esattamente la metà dei miei ricordi. Di quei momenti insieme potremo raccontarne solo due versioni, che son poi la stessa, la mia e la sua, e poi nessun altro; nessuno che conosca la vera versione dei fatti oltre noi. Però questo siamo oggi, una bella storia da raccontare a qualcuno che poi, a chi frega di questa storia?
Io mi auguro che lui trovi un'altra donna, e che ne faccia una famiglia bella come quella che mi ha sempre raccontato nelle notti insommi, magari dopo aver fatto l'amore. Mi auguro che possa avere dei figli e forse, allora, questa storia sarà raccontata a qualcuno : come favole della buona notte o come racconto di forza ai primi amori andati male in adolescenza o magari chissà, addirittura come racconti di storia ai propri nipoti di quelle storie che i figli non sanno niente e finiscono con un "papà ma questa storia non me l'hai mai raccontata a me, non sapevo che avevi avuto qualcuno oltre la mamma" o forse chissà, quella storia scritta in cianfrusaglie che saranno trovate solo quando troppo tardi per chiederti spiegazioni.
Mi auguro che possa restare per sempre, un pó di me, dentro le cose che fai.
Mi auguro che tu possa costruire il "nostro" bagno dei sogni (lo so, fa un po ridere, ma immaginavamo un bagno con una doccia grande dove poter essere nudi insieme e fare l'amore sotto l'acqua calda) o magari il giardino della casa come avevamo immaginato di vederci correre Ciak (il nostro cane immaginario).
Mi auguro, che i tuoi figli portino a casa un'amichetta con il mio stesso nome o con i miei stessi occhi e tu possa ricordati di quella volta che hai visto per la prima volta me. Mi auguro anche, però, che tu possa avere sempre gli stessi occhi felici che ho conosciuto io, il sorriso grande sul volto e un paio di scarpe da trekking ai piedi.
Ti auguro tanti tramonti sulle vette delle montagne, tante notti nella tenda o a guardar le stelle e soprattutto, ti auguro un amore sincero fatto di pura felicità.
Invece, per quanto riguarda me, mi auguro di poter ricominciare, di ripartire da dove sono e non tornare invece al punto zero. Mi auguro di amarmi sempre, come mi hai insegnato tu; perché le violenze non si dimenticano e tu lo sai bene. Mi auguro di esser forte e di riuscire a consolare da sola quei singhiozzi, di lacrime spezzate, che ho qualche volta di notte. Mi auguro di non commettere gli stessi errori del passato; che per dimenticare quelle mani sporche su di me, mi son nascosta dietro a kg di grasso per poi rendermi conto, allo specchio, che non riuscivo a riconoscere neanche più me stessa e che di me erano rimasti solo gli occhi tristi e terrorizzati dalla vita. Mi auguro, di poter essere forte sempre e di darmi la possibilità di esser fragile.
Non lo so neanche cosa ho scritto, ma va bene così.
-Eseildomanifosseieri.
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[✎ TESTO ♫ ITA] O!RUL8,2? - BTS⠸ ❛ Skit : R U Happy Now? ❜⠸ 11.09.13
[✎ TESTO ♫ ITA] BTS
❛ Skit : R U Happy Now? ❜
‼ .. Sketch : Ora Sei Felice? .. ⁉
__💿O!RUL8,2? , 11. 09. 2013
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SUGA: Dove siamo?
V: Si addormenta non appena sale in macchina...
RM: Che ora è?
V: Sono circa le 6:30
Jimin: Dovremmo esserci quasi, allora.
RM: Siamo quasi arrivati.
Jimin: Volevo dormire, ma non sono riuscito a chiudere occhio, ah, sul serio..
V: Non facciamo una pausa nell'area di sosta?
SUGA: Sono le 6:30, come pensi potremmo fare una sosta proprio ora?
RM: No, ma ci dobbiamo andare. Mi sento esplodere la vescia!
J-Hope: Ho assolutamente bisogno di andare in bagno!
RM: La vescica mi sta per esplodere.
J-Hope: Non sono riuscito ad andare in bagno, al fansign di Daegu. Mi sento morire.
Jimin: Resisti. Devi resistere!
RM: Voialtri non ne avete bisogno? (eng) State bene?
Jin: (eng) Io sto. bene!
J-Hope: Un attimo, stiamo veramente registrando tutto questo? Wow, stiamo registrando?
RM: Volevo solo controllare se era tutto O.K.
Jimin: Ah, questi discorsi mi stanno svegliando
Jin: Beh, siamo quasi arrivati, tanto.
V: Non vedo davvero l'ora di iniziare il fansign di Daejun
RM: Volete sentire qualcosa che vi farà stringere la vescica? Dopo, a fine fansign, dovremo anche ballare.
SUGA: [Mi stai davvero dicendo di] Ballare?!
RM: Ah, si sta stringendo, mi si sta già stringendo, ugh!
J-Hope: Hey, e se vogliamo trattenerci ancor più, dovremmo buttare giù dei testi.
RM: (eng) Combo due in uno!
SUGA: Uh... dài, allora, hai.. hai ricevuto quel beat?
J-Hope: Il beat? È arrivato? Aspe-, sì, mi pare di sì, ma io l'ho sentito dal produttore-
* parte il beat di 'If I ruled the world' *
RM: Sì, l'ho ascoltato ed è un buon beat.
Jimin: Oh, è questo.. L'ho sentito anche io
RM: È bello al primo ascolto...
J-Hope: Questo è uno spoiler a tutti gli effetti!
V: * rappa * Yeah, Taekwon-V!
RM: L'ho ascoltato per due ore, ma non mi è venuto in mente niente per il testo
Jimin: * ride * Com'è possibile
SUGA: Quando ti metti a scrivere il testo, inizi ad odiarlo, sapete?
V: * rappa * Oh.. Oh.. Yeah.. Oh
J-Hope: Non è male.
SUGA: Ah, quando lo troviamo del tempo per buttare giù qualcosa? È un bel guaio.
Jimin: V, basta, c'è già troppo casino [qui dentro]!
V: Scusate.
Jin: Comunque, qualcuno può tappare le narici di Jungkookie?
J-Hope: Già, chissà come mai 'sto ragazzo russa così tanto, ultimamente?
RM: Già, lo capisco bene... Non è facile, vero?
Jin: Io lo invidio. È ancora così giovane.
Jimin: Beh, è perché non abbiamo tempo di dormire...
RM: Già, siamo tutti un po' stanchi, ultimamente.
J-Hope: Ma anche se è stancante, non siamo felici, ora?
Jimin: Certo che siamo felici.
Jin: Oh, io sono felice!
RM: Sì beh, io sono abbastanza felice.
Jimin: Siamo molto felici! Andiamo a trovare le/i fan!
V: Davvero felici
RM: Cioè, siamo sinceri.. Quando mai ci ricapiterà un'esperienza simile?
SUGA: Dopotutto, è ciò che sognavamo quando eravamo trainee.
RM: Esatto
SUGA: Certo che siamo felici.
RM: Già, essere impegnati significa essere felici
Jimin: Esatto!
J-Hope: È il meglio! Davvero il massimo!
J-Hope: [JK] Si è svegliato.
JungKook: Uh? Hey, siamo all'area di sosta! L'area di sosta~
SUGA: Dài, sveglia!
RM: L'area di sosta è riuscita a svegliarlo
Jimin: Oh, che faccia gonfia! Guardate che faccia gonfia ha!
Jin: Wow, pazzesco
V: Ha di nuovo la faccia gonfia.
Jimin: Totalmente.
Jin: Incredibile.
RM: Hey, più tardi devi andare al fansign!
⠸ ita : © Seoul_ItalyBTS | eng: © BTS_Trans ; © Genius⠸
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E cosa dovrei scrivere qua? Delle ovvietà? Delle banalità?
No scriverò solo quello che è stato! Banale sì, ovvio sì, insignificante per molti, ma per me estremamente speciale, incredibilmente bello, un modo per dare senso alla vita e l'essenza di essere padre.
Arriviamo a casa, ci sistemiamo, sistemo le borse che hai portato e ti invito subito a metterti a fare i compiti perché ti ripeto più volte che se non finisci i compiti non ci sarà tempo per fare nient’altro di bello!
E tu bravo e ubbidiente come sei ti metti a fare i compiti. Ripassi, studi, ti interrogo. Fai il testo che ti è stato chiesto e anche quello lo leggo, ne parliamo un po', aggiungi frasi, lo migliori e lo finisci.
"ho finito!" "Sì ma prima sistema tutto per bene"
"fatto! Giochiamo?" "Oooook!"
Si gioca, si suda, le tue fragorose risate si diffondono per tutta casa e spero non troppo anche dai vicini...
Mentre giochiamo non riesco a farne a meno e mi guardo da fuori e vedo noi due che stiamo giocando sul divano, vedo noi due contenti, vedo un padre e un figlio che fanno quello che per tanto tempo non hanno potuto fare.
"facciamo pausa che preparo da mangiare"
Si mangia tranquilli, si parla, si discute di quello che si vede in televisione e si finisce di mangiare. Sistemo tutto e ci prepariamo per l'ultima parte della serata; ci cambiamo, ci laviamo, ci mettiamo il pigiama, scegliamo un film e ci accoccoliamo sul divano.
Il film non è niente di speciale, l'ho già visto ma non vorrei che finisse mai perché tu accanto a me ridi, ti stringi a me, ti muovi e ti copri meglio i piedi che sono sgusciati da sotto la coperta.
Quando ridi per alcune scene viste mi guardi tutto sorridente ed io ricambio il sorriso e mi perdo nei tuoi occhi.
Dio sia lodato il film è finito! È ora di andare a letto.
Ci mettiamo nel letto, spengo la luce: il mondo si ferma.
Parliamo, parliamo per oltre un'ora perché non abbiamo voglia di dormire. Soprattutto tu, parli, parli e continui a parlare, continui a trovare nuove cose da dirmi.
"papi, raccontami una storia"
E così ti racconto di quella mia avventura anni addietro, mi ascolti, mi interrompi continuamente facendomi domande, gesticoli in aria con le mani, vuoi capire, voi che io aggiunga nuovi dettagli per fare in modo che anche tu ti senta lì insieme a me mentre rivivo la situazione.
E poi di colpo ti giri verso di me e dal nulla mi salti addosso e mi stringi in un calorosissimo abbraccio!
Sono così felice!
E poi avendo io finito di raccontare ti fermi e ti zittisci e capisco che stai cercando altro da dirmi.
E così ricominci a tirar fuori un argomento dietro l'altro per fare conversazione, per parlare e soprattutto lo fai perché stai bene in quel momento.
Si è fatto tardi, molto tardi è proprio ora di dormire.
Te lo dico, ci giriamo ognuno nella propria posizione e finiamo di parlare in modo che il sonno ci colga alla fine delle nostre parole.
La felicità.
Tuo padre, per sempre.
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[...]
non mi era mancato per niente tutto questo casino, la musica, l'alcol e ogni angolo del locale occupato da qualcuno che vomitava persino la propria anima.
parlo proprio io poi, che neanche l'anno prima affogavo la tristezza in drink scadenti in cui c'era più alcol che la bevanda accompagnata, e dio solo sa come riuscivo a svegliarmi senza un post sbornia.
il bruciore agli occhi iniziava a sentirsi, guai se mi fossi toccata per un millisecondo l'occhio, rovinando poi il capolavoro fatto dalla mia migliore amica.
una sola parola, Halloween.
[...]
le gambe iniziarono a farmi male, la testa si fece sempre più pesante e il sonno si fece sentire.
«quasi quasi torno a casa, sono stanca e ho un sonno assurdo» dissi avvisando la mia migliore amica.
«d'accordo, tra poco andremo anche noi, ormai si è fatto tardi»
[...]
sapevo benissimamente a cosa sarei andata in contro, ma la mia domanda ogni volta sorgeva spontanea...
“perche sei ritornato? dopo tutto quello che è successo...”
avevo deciso di metterci un punto con lui, ma ogni volta che lo incontravo, anche per caso, era come se ritornassi indietro nel tempo, pentendomi poi di seguito alle azioni compiute.
alla fine però se una cosa ci fa stare bene anche per poco, perché non farla? perché non continuarla a fare?
semplice, ritorneremo sempre al punto di partenza. masochismo? forse.
[...]
“io vado sono stanca” presi coraggio e schiacciai invio a quel ridicolo messaggio, consapevole che non l'avrebbe neanche letto, eppure eravamo nello stesso locale, eppure mi aveva salutata, eppure i nostri sguardi si incrociavano spesso.
“aspettami all'uscita”
[...]
ed eccolo lì, vicino all'uscita, in tutta la sua eleganza da fare invidia, ancora non capisco come un ragazzo così abbia “scelto” me.
si girò e mi guardò da capo a piedi mettendomi in soggezione, e senza dire una parola prese a camminare andando verso il parcheggio.
[...]
«ho solo voglia di fare due chiacchiere, visto che è da un po' che non ci vediamo».
«be non ti fai mai vedere» mi rispose prendendomi il braccio e spostandomi sulle sue ginocchia.
persi un battito, non l'ho mai visto così deciso e tutta questa vicinanza improvvisa mi frastornò.
«cosa stai facendo?»
«tu cosa vuoi che faccia?»
«ho detto solo due chiacchiere».
«infatti stiamo parlando» iniziò ad accarezzarmi i fianchi, abbracciandomi un attimo dopo.
ricambiai l'abbraccio, mi era mancato, tanto, troppo.
«mi sei mancata» neanche se mi avesse letto nel pensiero, ma non risposi, l'orgoglio fa la sua parte in questi casi e non potevo dargliela vinta così facilmente.
«dormi da me? solo questa notte per favore...» lo vidi vacillare per un secondo, non l'ho mai visto senza barriere, è solito prendermi in giro o darmi fastidio, ma così “fragile”...
«a cosa stai pensando?»
«nulla ho molto sonno».
in quel momento mi persi un attimo a guardarlo, anche se era notte fonda, dentro la sua macchina, con solo un lampione accanto ad illuminare la zona, ripercorsi a memoria le sue sfumature, i suoi contorni castani e quel verde che compensa l'intera iride.
“speranza, ricordi? la speranza che noi non abbiamo”.
sentì un calore nel petto espandersi per tutto il corpo, senti le sue mani risalire fino al mio viso, finché con una delle due si mise a giocare con i miei capelli mentre con l'altra iniziò ad accarezzarmi la guancia.
“vorrei tanto essere coraggiosa prendendo l'iniziativa e baciarti” pensai, ma neanche un secondo dopo mi ritrovai le sue labbra sulle mie.
calde e morbide, come le ricordavo.
[...]
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è vero sono cambiata.
ma ne sono felice.
quello che non cambia però risiede in un posto con tante tele di ragno, un luogo buio dove non risiede neanche un briciolo di luce
mi manchi Maruzzè, mi manchi.
tu mi hai insegnato il pane cotto, mi hai insegnato ad amare, rispettare ed essere sempre buoni con il prossimo, ho imparato a capirle un po' di più le persone a riconoscere il male quando lo vedo, ma questo concetto per me è difficile da capire specialmente se il tuo male sei tu.
Sento un vuoto, sento l'illusione di vederti durante la giornata che guardi la televisione e ti addormenti quando guardi il sole dalla finestra. Ancora oggi quando faccio tardi ho un peso sul petto, perché mi viene automatico pensare "uh maro devo tornare che la nonna sta da sola e se deve andare in bagno? ma poi sento un retrogusto amaro, perché so che non succederà.
ho deciso di dedicarti un altro tatuaggio. un disegno . si, un tatuaggio disegnato appositamente.
"guardand o mar pens a Mari, ca mo nun ce sta più"
pino daniele è magico, perché non ho mai sentito una canzone calzata a pennello come questa, in ogni singola parola, in ogni singola strofa.
E quindi ho deciso, pensaci anche tu prima di dire che schifo i tatuaggi, e invece penso questo ti piacerà, alla fine diciamocelo sei una diva ami stare al centro dell'attenzione, è il ritratto del mare (mergellina) e ci sei tu stilizzata cercando di non renderla uguale a te che mi viene l'ansia, che guarda il cielo e sorride di fronte al mare.
se c'è una cosa che piaceva tanto anche a te era proprio il mare, solo che non potevi andarci spesso, ma ricordo perfettamente quei giorni.
sai nell'ultimo periodo non ricordo molte cose ma per fortuna quelle importanti, dipende, credo che ormai il mio scudo sia diventato ancora più forte.
non mi fido più delle persone e mi sono lasciata condizionare molto, ho pensato di essere io il problema.
Penso davvero di aver imparato tanto, da te e da quello che sto vivendo senza te. sai credo che in una cosa ci sia il tuo zampino. ho conosciuto una persona con il tuo stesso nome ed è stata la cosa più assurda che potesse succedermi, mi sono sentita così sicura, io dovevo conoscerla, dovevo capire perché davvero era una sensazione stranissima.
è stata una cosa iniziata talmente piano che per me erano strano, non mi era mai successo di sentirmi stra impacciata, terrorizzata, libera di mostrarmi chi ero anche se con paura l'ho fatto, è stato per me davvero difficile, perché ho sputato in faccia la verità, ho detto quali erano le mie difficoltà e quando ho detto: lo capisco se per te è troppo e vuoi andare. lei mi ha guardata, nonna ti giuro, con uno sguardo che mi ha comunicato tanto, mi ha detto solo con gli occhi, guarda che io non vado da nessuna parte. Infatti ha detto esattamente: per me non è un problema con una faccia quasi incazzata (scusami per le parolacce non so come funziona li, tipo la censura alle parolacce) ed effettivamente me l'ha dimostrato, è stata ed è con me in ogni momento che sia bello o brutto, non so se vedi realmente tipo con un televisore e... niente insomma non è questo il punto. Ma che tu lo sappia o no, io so una cosa anche se non ne ho le prove, tu sei sempre con me. in un modo o in un altro.
fatto sta che per quanto sei sempre con me perché fai parte delle mie giornate e anche se non puoi rispondere, qualche chiacchierata la facciamo sempre, ho davvero il desiderio anche solo illusorio di poterti abbracciare e se dovesse finire tutto non lo so, ma mi manchi e non sai quante volte vorrei venirti a trovare, a prendere il caffè che si sente l'odore dalla camera da letto per quanto mi piace, tu che guardi il sole dalla finestra e ti addormenti sulla sedia e sentirti chiedere se ho mangiato, in effetti mi mancano anche le tue ramanzine, il tuo amore incondizionato.
ma forse stavolta stai agendo in modo diverso, forse davvero hai messo questa persona sulla mia strada e se così fosse ti ringrazio. ti ringrazio davvero.
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Uscire dalla tana.
Nel nuovo ufficio sto cercando di pormi come un uomo diverso. Voglio tagliare col passato fatto di sette anni di quasi totale solitudine così sto esplorando nuove parti di me. Ad esempio, sto socializzando a pranzo. Capita spesso che vada in cucina mentre tutti mangiano e mi metta pure a parlare. L'altro giorno ero con la Social Media Manager, una ragazza giovane che si veste sempre benissimo. Talvolta troppo bene per quello che facciamo là dentro. Noto che cercava qualche argomento di conversazione. - Sei italiano? - Eh sì. - Cosa pensi di questa pizza che sto mangiando? Va bene anche se ha il tonno e la cipolla? - Se a te piace mi va benissimo. - Perché non la trovo molto saporita. Forse ci metto su del pesto di basilico. Cosa pensi? - Penso che devi fare quello che credi. Non giudicherò. Mette il pesto. La addenta. Mi guarda. - Adesso sì che è proprio buona! Devi provarla! - Ti ringrazio ma preferisco di no. - È perché sei italiano? - Vero. Apprezza lo sforzo che sto facendo nel non urlarti addosso per aver messo del parmigiano sopra il tonno. - Infatti, sei molto calmo riguardo al cibo, per essere un italiano. - Voglio scappare da certi cliché. Qualche anno fa sicuro mi sarei messo a farti la paternale sul destino del povero tonno che non solo muore ma viene pure umiliato da cadavere cosparso di formaggio. Invece oggi sono felice per te. Noto che come sfondo del telefono ha la foto del giorno del suo matrimonio. Io non capisco sta cosa degli austriaci, che si sposano sempre. Convivono subito. Fanno figli come hobby e divorziano e vanno avanti fino al prossimo matrimonio. - È stato un bel giorno? - Quale? - Quello del tuo matrimonio - Ah sì, molto bello - Ti sei divertita? - Molto! - Quindi lo rifaresti di nuovo? - Non capisco... in che senso? - No niente, pensavo a certi cliché che ho nella testa io di voi austriaci... - Tu non sei uno che parla molto con le persone, vero? - Per niente. Parlo tantissimo. Qua mi trattengo perché non voglio farmi conoscere. O spaventare. O forse solo perché non ne ho voglia. Mi sembra sempre di dover riiniziare da capo oramai. Conosci una persona nuova, racconti quello che sei e speri che ci creda subito così poco dopo puoi andartene avendo lasciato un'immagine di te che funziona. Come una bella storia. Ecco alla fine penso che oggi conoscere persone sia diventato un ripetere costante la propria storia. Bella o brutta che sia, è solo quello che vuoi venga percepito, perché non abbiamo più tempo reale per metterci a conoscere qualcuno. E se poi ci stanchiamo? Si va avanti. Posso mettermi a parlare e conoscere un centinaio di persone in un pomeriggio quasi senza fatica. È un potere immenso che mi annoia. Così adesso sto tranquillo e cerco di comunicare il meno possibile, ripetendo la storia di me che mi piace di più. - Wow. Sei davvero uno che parla tanto. - Eh lo so. - Hai figli? - No. - Ne vorresti avere? - Non mi piaccio così tanto da volermi vedere riprodotto in formato minore. Cioè, guardo i nostri colleghi che hanno 3, 4 figli e penso "Cazzo, devi proprio credere in te stesso se vuoi che ci siano tre versioni di te ulteriori sul pianeta". Io credo in me stesso per altre cose, però forse se lascio qualcosa sul pianeta dopo di me, deve essere qualcosa che lo migliora sto posto. - Ah ok. Capito. Per me invece è ancora troppo presto. - Quanti anni hai? Se posso chiedere. - 25. - Sì sei molto giovane. - Perché chiedi il permesso per ogni cosa? - Tipo? - Mi hai chiesto il permesso per sapere la mia età. - Ah. Non lo so. Questione di privacy? Rispetto? Magari non ti andava. So che ci tenete molto alle distanze voi. - Voi? - Voi giovani. - Quanti anni hai? - Vado per i 38. - Come? Te ne avrei dati massimo 30! - Eh. Ci provo davvero tantissimo a sembrare giovane. Tatuaggi, piercing, colori pastello. È uno sforzo notevole. - Ti manca l'Italia? - Tutti i giorni. - E pensi mai di tornarci? Per me è bellissima. Ci vado sempre in vacanza. - Ecco per le vacanze è ottima, ma non credo tornerei mai a viverci. L'ho lasciata quasi 10 anni fa oramai, non ce la facevo più, non facciamo altro che
litigare tra di noi. Lo facevamo ai tempi di Roma. Tra Guelfi e Ghibellini. Tra città, ducati, regni. Nord e Sud. Oggi per i vaccini. - E per l'ananas sulla pizza - Ecco meno male che hai messo il pesto, io cerco di trattenermi e fare il bravo ma ho anche io un limite - Dovresti venire più spesso a pranzo tra noi, non sei così antipatico come credi - Ti ringrazio, ma facciamo un po' alla volta. Oggi è stato un esperimento. - Vuoi un pezzo di biscotto? - Adesso no, più tardi magari sì - O adesso o me lo mangio tutto. - Vaffanculo. Se fossi mia amica ti direi che morirai da sola. - Ah. Ok. Ora capisco perché ti trattieni qua dentro. - Eh. Che ci vuoi fare. Dai tu sei sposata, se fai meno l'austriaca sicuro avrai qualcuno al tuo capezzale dovesse andare male. Ci salutiamo, prima di tornare a lavorare vado in bagno. Sulla scrivania trovo metà biscotto. Sono fottuto. Ha capito come tirare fuori l'orso dalla tana.
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MAG166 - ########-6 - I Vermi
[Episodio precedente]
[EXT. DA QUALCHE PARTE NEL REGNO UNITO, VICINO A UN DOMINIO DEL SEPOLTO]
[CLICK]
[Passi rumorosi, come sulla ghiaia. Un ululato simile a quello di un cane in lontananza.]
[L’archivista inspira ed espira profondamente.]
MARTIN
…Dunque, ne vogliamo parlare, oppure…?
[L'Archivista espira, e poi si ferma; sentiamo il tintinnio del suo zaino quando succede. Martin fa lo stesso.]
ARCHIVISTA
(Con un sospiro) Di che cosa dovremmo parlare?
MARTIN
Di quello che è successo laggiù? Quello che hai fatto a Sa-
[S’interrompe.]
[Una pausa.]
ARCHIVISTA
Vai avanti. Dillo.
MARTIN
Quello che hai fatto a… quella cosa.
ARCHIVISTA
L’ho - uccisa. Io - finalmente ne ho il potere, quindi l’ho uccisa.
MARTIN
Sì, ma tipo come? Io - scusa, è solo che non capisco che cosa sia realmente successo.
ARCHIVISTA
Io- È difficile da descrivere a parole, gua- io (sospira) Guarda, possiamo parlarne più tardi, stiamo per - (inspira) entrare in un - (sospira) dominio del Sepolto, e preferirei di gran lunga -
[Un Toc-toc.]
[un vago scricchiolio di statiche in sottofondo, semplice, un tono classico]
MARTIN
Hai…?
[L’Archivista sospira.]
ARCHIVISTA
Guarda giù, Martin.
MARTIN
Oh.
(Rendendosi conto) Aspetta, cosa?
ARCHIVISTA
Non… avvicinarti troppo.
[La porta si apre con un cigolio.]
ARCHIVISTA
Ciao, Helen.
HELEN
Oh, ciao! Siamo più di buon umore, allora?
(Tono più basso, scherzoso) Ti senti più al sicuro adesso che hai imparato come uccidere?
[Mentre parla un suono alto e cangiante inizia a sovrapporsi in sottofondo.]
ARCHIVISTA
(Inspira) Qualcosa del genere.
MARTIN
Vuoi dirmelo tu come ha fatto?
ARCHIVISTA
Martin…
MARTIN
Lui continua a fare il vago.
HELEN
Oh, cielo. Vedi cosa hai fatto al poveretto, Jon? Si sta rivolgendo a me per delle risposte chiare.
[Lei ridacchia, poi degenera nella sua iconica risata.]
ARCHIVISTA
Chiudi il becco.
HELEN
(Ridacchia) È molto soddisfacente, però, no? Prendere in giro la gente con informazioni vaghe? Puoi capire perché a Elias piaceva tanto.
ARCHIVISTA
(Sovrapponendosi) Chiudi il BECCO!
MARTIN
Jon.
HELEN
Hai ragione - Martin. È suscettibile.
MARTIN
(Sovrapponendosi) Non ho detto che era su-
HELEN
(Sovrapponendosi) Dunque, dunque, una spiegazione. Dalla cara vecchia me.
[Pausa.]
HELEN
Ti spiacerebbe, Jon?
[L’Archivista inspira, fa per dire qualcosa, poi s’interrompe, e sospira.]
ARCHIVISTA
(Va be’, chissene) Fai pure.
HELEN
Siamo tutti qui, Martin. L’Estraneo, il Sepolto, la Desolazione, tutti quanti. Ma l’Occhio è comunque sovrano. Tutta questa paura è inscenata a suo beneficio.
E quindi, ci sono solo due ruoli disponibili in questo nostro nuovo mondo: L’Osservatore, e gli Osservati. Soggetto, e oggetto. Quelli che sono temuti, e quelli che temono.
E Jon, beh - lui fa parte dell’Occhio. Una parte molto importante. Ed è in grado di, diciamo, cambiare la sua messa a fuoco. Trasformare uno nell’altro.
E per quelli di noi la cui esistenza stessa si basa sull’essere temuti, beh: essere trasformati in una vittima ci distrugge completamente. E con molto, molto dolore.
ARCHIVISTA
Basta così.
HELEN
Sì, direi di sì.
MARTIN
Certo. Okay, è - cioè, non è per niente così complicato, Jon; non capisco perché continuavi a tirartela -
ARCHIVISTA
(Sovrapponendosi) Perché mi vergogno, Martin.
[Una breve pausa.]
MARTIN
Ti vergogni?!
ARCHIVISTA
Sì! Mi vergogno del fatto che ho appena - distrutto il mondo e sono stato ricompensato per questo, il fatto che - posso camminare illeso attraverso tutta questa paura che ho creato come un.. Turista del cazzo, distruggendo chi mi pare. Il fatto che… mi sia piaciuto, e… il fatto che ci sono molti altri di cui voglio vendicarmi!
[Respira pesantemente dopo il suo monologo.]
MARTIN
…No; No,a dire il vero penso che su quel fronte sei nel giusto.
ARCHIVISTA
Cosa?
MARTIN
Sì, io, io, credo che dovremmo farlo, darci dentro con le uccisioni!
ARCHIVISTA
(Incredulo) Scusa, cosa?
HELEN
(Felicemente sorpresa) Sì, Martin!
MARTIN
(Sovrapponendosi leggermente) Non, Non è come prima! Qui non stiamo parlando di passanti innocenti in un bar, Jon; queste cose sono - sono puramente malvagie, niente di più, e al momento stanno torturando tutti!
(Pausa per riprendere fiato) Se le vuoi fermare e hai il potere per farlo, allora - allora, allora sì facciamolo, in puro stile Kill Bill!
ARCHIVISTA
Io - non, non l’ho mai visto.
HELEN
Oh, Martin, sono così fiera di te. Posso venire?
ARCHIVISTA, MARTIN
(All’unisono) No.
HELEN
È un forte “forse” allora?
[L’Archivista fa un sospiro lungo e pesante.]
ARCHIVISTA
(Sottovoce) Ow.
[Fa un un piccolo sospiro di dolore.]
MARTIN
Jon? Ti senti…?
ARCHIVISTA
Siamo stati - vicini per troppo tempo, io, uh devo, uh - potresti voler fare una passeggiata.
MARTIN
Hm.
HELEN
E io colgo l’occasione per andarmene. Beh, beccherò voi angeli vendicatori tra un po’; fatevi vivi.
[Ride e la sua porta di chiude, e se n’è andata.]
MARTIN
Ti serve niente?
[L’Archivista espira.]
ARCHIVISTA
No.
MARTIN
Beh, allora -
[Un suono come se si fosse messo lo zaino in spalla.]
MARTIN
Er, sì, già.
[Si allontana. L’Archivista espira, gonfiando le gote.]
ARCHIVISTA (DICHIARAZIONE)
Giù, giù, giù, giù, giù sotto la terra, c’era un verme. Non era sempre stato un verme, ovviamente, ma il tempo e la marea e la vita ce l’hanno portato.
Il suo nome, ricordato a malapena, era Sam, e lui era, e senza dubbio era sempre stato, in trappola. Circondato su ogni lato senza fuga o altrernativa.
Anche nei suoi ricordi sbiaditi e quasi dimenticati di una vita che non era solo pietra e terreno rancido e maleodorante, non era sicuro di aver mai conosciuto una cosa che potesse essere chiamata libertà.
Le scelte che aveva, è vero, e di sicuro a confronto con l’incessante pressione di tutto quel peso e quella terra adesso su di lui, la semplice scelta di destra o sinistra o siediti o stai in piedi adesso sembrerebbero il lusso più vergognoso.
Ma al tempo, non c’era alcuna gioia in queste decisioni, perché anche se poteva girare i piedi verso sinistra, era una svolta a destra che lo conduceva al luogo dove poteva mettere guadagnarsi un poco per vivere. E anche se poteva decidere se sedersi, di rado rendeva ascoltare le notizie più gradevole.
Quand’è che la pressione schiacciante sul suo petto era diventata letterale? Quand’è che la promessa vuota dell’orizzonte era finalmente svanita completamente, rimpiazzata dal buio pesto di questo - muro di terra senza fine?
Sam non lo sapeva. Il tempo non aveva alcun significato qua.
Non c’erano orologi da muro o da polso, e da qualche parte nella sua mente era sicuro che il mondo avesse smesso di girare, la sua prigione era immobile.
Anche quel singolo, distante punto di luce, così impossibilmente più in alto che lui aveva deciso dover essere il cielo - anche quello non si oscurava mai riconoscendo la notte. La sua esistenza era immobile, ed eterna. Immutabile.
Il sonno era solo un ricordo, perché anche la prospettiva dell'incoscienza avrebbe potuto rendere il suo stato presente leggermente più sopportabile. Anche il cibo doveva essere importante, perché il suo corpo sentiva la fame, ma non riusciva a vederlo con la sua immaginazione. L’unico odore che conosceva era quello dell’umidità e della terra.
[A questo punto, è chiaro che una pioggerella leggera ma costante sta cadendo in sottofondo.]
Ma queste cose, per quanto cupe e timorose, non erano sconosciute. La fame dolorosa non era nuova, non un semplice dono del terreno generoso.
Aveva sprazzi di uno stomaco vuoto non sfamato da mani piene di tagli e calli a causa di tutte le lunghe, misere ore di lavoro. C’era un’ombra nella sua mente di notti insonni, passate a faticare, stanco e tremante, disperato per un po’ di sollievo dalla pressione incessante che schiacciava la vita dell’uomo che era stato Sam, prima di essere un verme.
E di sicuro era un verme, perché cos’altro poteva contorcersi, strisciando senza arti attraverso il terreno, millimetro dopo millimetro, facendosi strada tutto da solo verso una qualche destinazione segreta che nessun umano poteva comprendere?
Forse aveva ancora braccia o gambe o il lusso di entrambe, ma qua sotto era impossibile dirlo, schiacciati così vicini l’uno all’altro che distinguere tra torso e un arto piegato e ripiegato era insensato.
Se si muove come un verme, pensa come un verme, e urla le sue terribili agonie verso il distante cielo crudele come un verme - beh.
La conclusione è ovvia.
La pallida carne screziata da verme di Sam si spingeva e si contraeva facendosi strada sempre più avanti, sempre più in alto - o così sperava. Così supplicava.
La luce era là; era sempre là. Così piccola e distante che sarebbe potuta essere la capocchia di uno spillo in una tenda nero pece. Il minimo per ricordargli che aveva degli occhi, per quanto fossero affamati e vuoti.
Il minimo per ricordarli che esisteva una cosa come il cielo, quella sconfinata aria aperta esisteva. Abbastanza da mantenere viva in lui la paura che avrebbe potuto non rivederla mai più.
I vermi non hanno il privilegio di vedere il cielo.
Se avesse dormito, l’avrebbe sognato, sognato di volare nella brezza leggera e senza catene, schernendo il terreno a cui era sfuggito sempre e per sempre. Un’altra buona ragione per non avere diritto al sonno.
A volte, quando piegava il collo e guardava con brama verso la luce, poteva sentire qualcosa guardarlo a sua volta, la visione di quella cosa scendeva giù e attraverso il fango opaco per sfiorarlo, assorbendo il suo panico e il suo dolore mentre provava di nuovo a spingersi su e fuori.
A quel punto urlava, implorando disperatamente proprio la cosa che si crogiolava nella sua sofferenza affinché le ponesse fine. Mentre lo faceva, a volte si ricordava vagamente delle altre suppliche che aveva fatto all’aria aperta verso altre entità desiderose di trarre profitto dalla sua degenerazione. Entità di carta e inchiostro e punti decimali.
Ma tali ricordi sono brevi, e spariscono quando i polmoni di Sam si riempiono nuovamente di terra.
Il suo urlo, anche se breve, riecheggia verso l’alto e attraverso il tunnel irregolare, e a quello si uniscono nella sua ascesa le urla di centinaia di altri, eruttando dai buchi che attraversano come cicatrici il campo marcio in una cacofonia, un coro di urla incrostate di terra che danno il voltastomaco.
Poi con la stessa rapidità con cui è iniziata, finisce, e gli unici che sentiranno mai le urla di Sam sono quelli che l’hanno sepolto.
Riesce a sentire il calore, da quel lontano punto di luce, un raggio di sole là sotto nell’oscurità?
Il poveretto non deve sapere che il sole non c’è più, che quel che adesso rimane non ha nessun altro scopo se non permettere a questo miserevole mondo di essere visto.
Una fonte di illuminazione vuota e senza vita a malapena degna di essere chiamata luce.
Ma là sotto nel terreno buio e gelido, Sam si sta ancora aggrappato con forza al suo sogno del Sole, e il terreno glielo lascia fare, ovviamente -
Perché quale vera paura può esistere senza una speranza, senza la credenza che le cose possano cambiare in meglio? Per smuovere la consapevolezza che non faranno che peggiorare?
Quando ne ha la forza, quando il freddo terreno attorno a lui è rimasto immobile e silenzioso per abbastanza, Sam potrà di nuovo iniziare la sua triste e dolorosa salita.
Muovendosi, strisciando avanti di una minuscola frazione di un millimetro concessagli dalla sua schiacciante prigione, si aggrappa e scava con quelle che un tempo sarebbero potute essere dita.
Il terreno molle di solito tende a scivolare via, ma qualche volta - solo qualche volta - le punte di quelle estremità riescono a trovare un appiglio, e si tira verso l’alto, di poco, di pochissimo.
Mentre si contorce e striscia e si dimena verso l’alto attraverso il buco, nonostante la lentezza straziante, ignorando i graffi e i tagli che questo apre sulla sua pelle morbida e da verme, Sam si concede di sognare di cosa potrebbe esserci in cima.
Da tempo ormai ha abbandonato ogni speranza di gioia, ma sotto sotto crede ancora che potrebbe esserci un posto dove non soffrirà quanto sta soffrendo adesso.
E dopo ore, giorni, settimane impossibili da contare, forse si è mosso di un metro. Forse anche di più, per quanto il suo corpo adesso possa essere tumefatto e fratturato, è più vicino al cielo, e nessuno può portargli via questo.
Almeno finché la pioggia non inizia a cadere.
Le piogge qui cadono come cadono in vari altri posti di questo nuovo mondo. Gocce pesanti e oleose che hanno il sapore di sale amaro, lacrime torrenziali che precipitano dal cielo osservatore, con tonfi e rumori bagnati sulla terra assetata nella quale i vermi si contorcono dolorosamente verso una superficie che non li vuole.
Il terreno si ammorbidisce. Si smuove. E inizia a scivolare e a scorrere in un torrente di fango nero.
Giù in profondità, Sam sente la pioggia che inizia a gocciolare sulla sua fronte, e sa esattamente cosa vuol dire.
Vuole urlare ancora ma è così sfiancato dalla sua scalata che l’unico suono che riesce a emettere è un lungo lamento sconfitto. E come è già successo molte altre volte nella sua triste vita di sconfitte, sente che le pareti iniziano a smuoversi e ad ammorbidirsi, e la marea scivolosa lo spinge giù, giù, giù.
Forse più in profondità di quanto non sia mai stato prima, così in basso che la luce è quasi sparita, ma l’oscurità non è mai totale.
Ci deve sempre essere una lontana promessa di fuga.
A volte, quando la sua disperazione è all’apice, e il cielo è là solo per prenderlo in giro, Sam cambia la direzione. Ha respirato fango per così tanto che non si preoccupa più di soffocare, e spinge il suo volto contro le pareti del suo tunnel e inizia a provare e scavare per traverso.
Teme ciò che potrebbe trovare oltre i limiti del suo tunnel stritolante, ma sceglie tra la paura e la disperazione e scava.
Per giorni o settimana si dimena e si spinge attraverso il tunnel di sua fattura, la mente ripensa a quella punta di spillo di luce che potrebbe non rivedere mai più.
Cosa ha fatto? Abbandonare la strada che è stata scavata per la sua emersione. Il panico inizia a farsi sentire, e lui trema e piange le sue lacrime viscide e fangose.
Ma un giorno, Sam si spinge in avanti e sente la sua faccia rompere una parete. Il terreno si libera e si trova in un sottile spiraglio di aria aperta.
Una camera. Una caverna. Una via verso l’esterno.
È solo mentre ci si infila dentro così precisamente che si rende conto di che cosa è: un altro tunnel. Per un altro verme.
Mentre ci scende più in profondità, si ritrova a fissare il volto pallido e senza peli del suo abitante.
Il povero Sam non può sapere che il nome del suo vicino è Richard, che un tempo aveva patito in una vita difficile e disperata quanto la sua. Che i suoi sogni di luce e l'arrampicata, dolorosa e piena di urla, verso questa sono altrettanto bramosi e terrificanti.
L’unica cosa che importa è che questo verme è rivolto verso l’alto. E Sam, a causa di come è entrato nel tunnel, è rivolto verso il basso.
Come combatti, quando non puoi muoverti se non per strisciando lentamente di un centimetro per volta, senza arti o armi, o la forza cinetica della violenza?
Lo fai lentamente, spingendo, mordendo, facendoti strada l’uno attraverso l’altro finché alla fine, rimane solo uno di voi.
Non c’è luce, perché Sam è rivolto lontano da essa, nascondendola al suo avversario. Ma anche se fossero sommersi da una forte luce, nessuno avrebbe potuto dire con certezza dove finiva il fango appiccicoso e dove iniziavano le facce dilaniate e insanguinate.
Un nauseante ammasso di denti e lacrime e pelle lacerata mentre le due vittime terrorizzate masticano lentamente l’uno attraverso l’altro per una lontana speranza che a nessuno dei due sarà mai concesso di raggiungere.
Quando è finita, Richard è morto, o silenzioso abbastanza che non fa alcuna differenza, e il tunnel appartiene a Sam. È identico a quello che ha abbandonato, in tutti i sensi meno che ha dovuto fare una cosa orribile per ottenerlo. E in ogni caso è ancora rivolto verso il basso.
Riposa lì per giorno, senza niente a tenergli compagnia se non i resti del suo avversario, che marciscono in silenzio, finché alla fine inizia l’arduo compito di rigirarsi.
Le contorsioni che fa, gli angoli e le fratture a cui sottopone il suo pallido corpo da verme, sono ben più dolorose di quanto avesse creduto possibile, e lo spezzarsi e gli schiocchi delle ossa e dei nervi riecheggiano verso l’alto fino alla lontana superficie.
Ma per lo meno Sam ha avuto la sua vittoria: ha reclamato un altro tunnel, e può vedere la luce.
Forse questo sarà migliore, riuscirà a farsi strada più in alto.
Ma sotto sotto è ancora in agguato la paura che forse, è peggiore.
[La pioggia inizia a cadere più veloce, più forte.]
La verità è abbastanza evidente, però, anche mentre lotta così duramente per non saperla:
Non c’è alcuna differenza, e mentre le pioggie iniziano a cadere di nuovo, sa che il mondo non lo lascerà mai fuggire dalle profondità in cui è caduto.
Meglio tenerlo ben sepolto là sotto.
[L’archivista sospira.]
ARCHIVISTA
Dio, odio il Sepolto.
[I suoi respiri si fanno tremanti per qualche secondo.]
ARCHIVISTA
Fine della registrazione.
[CLICK]
[EXT. DA QUALCHE PARTE NEL REGNO UNITO, VICINO A UN DOMINIO DEL SEPOLTO, A POCA DISTANZA DALL’ ARCHIVISTA]
[CLICK]
[La pioggia sta ancora cadendo fitta fitta. Il vento soffia senza tregua.]
[Sentiamo qualcosa ululare in lontananza, a tutto parte del panorama sonoro del Sepolto.]
MARTIN
Desidero quasi che ci fossero delle riviste nell’apocalisse.
A-Anzi no, ripensandoci, probabilmente no. Ooh. Di, di sicuro no.
[Sentiamo il rumore del suo borsone.]
MARTIN
(Sospira) Andiamo, Jon. Quanto ci vuole a descrivere - del fango spaventoso?
[Più cose ululano. Il respiro di Martin si ferma per un attimo.]
MARTIN
(Non uccidermi!) Oh – oh, o,okay, okay, okay – scusa, scusa! Scusa.
[L'ululare si abbassa.]
[Anche la pioggia cala di intensità, di poco, abbastanza da far sentire un leggero suono di vibrazione.]
MARTIN
(Sotto voce) Oh, Dio –
(Normale) E adesso cosa?
[Fa un passo verso il rumore che continua a vibrare a intervalli regolari.]
MARTIN
Cosa, sul serio? Una vanga?
[Le vibrazioni continuano sotto le sue parole.]
MARTIN
Non è un po’, sai, scortese? Visto dove ti trovi?
[Sospira.]
MARTIN
Okay, okay - okay.
[Sospira, raccoglie la vanga con il rumore di metallo che gratta per terra. Inizia a scavare. Quasi immediatamente udiamo la suoneria di un vecchio Nokia.]
[La vanga continua a fare quel suono di grattare metallico mentre Martin scava spostando più terra, e la suoneria si fa più forte.]
MARTIN
(ugh, ovvio che sarebbe successo qualcosa del genere) Per l’amor del cielo.
[Continua a scavare, il cellulare si fa più forte. Poi lo raccoglie, risponde alla chiamata con un piccolo ‘boop’.]
MARTIN
Pronto?
ANNABELLE CANE
Pronto. Parlo con Martin?
MARTIN
Smettila.
ANNABELLE
Cosa, non ti piacciono i giochi?
MARTIN
Beh, i tuoi giochi non è che siano divertenti per tutti, no?
ANNABELLE
(Con un sorriso che possiamo sentire) Pochissimi giochi lo sono.
MARTIN
G-Guarda, guarda, guarda, sto parlando con Annabelle Cane, giusto?
ANNABELLE
Non mi hai mai detto il tuo nome, quindi perché mai dovrei offrirti il mio?
MARTIN
Basta - cosa vuoi?
ANNABELLE
Voglio aiutarti, ovviamente.
[Breve pausa.]
MARTIN
No. Grazie.
ANNABELLE
Ti trovi in una posizione difficile. Forse posso darti un - aiutino!
MARTIN
Puoi darmi un aiutino smettendola con - questa cosa inquietante del telefono!
ANNABELLE
Lui è molto più potente che mai, vero?
E non sai che cosa pensare a riguardo.
[Una pausa piccolissima. Martin fa un respiro tremante.]
MARTIN
Adesso ritacco.
ANNABELLE
Ha davvero alcun bisogno di te?
MARTIN
Ciao!
[Riattacca con un altro ‘boop’.]
[Sospira. Le cose che prima stavano ululando nel sepolto - probabilmente i vermi là sotto - ululano di nuovo, con insistenza.]
MARTIN
Ma sul serio?
[Traduzione di: Victoria]
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"CASA-GIORDANA ANGI LYRICS
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Casa viaggio
Casa libertà
Casa involucro di tutte le mie età
E scanso i traumi e le malinconie
Ti chiedo scusa se racconto le mie
Casa inverno, casa senza senso
Casa di silenzi vuota tutto il tempo
Casa stanca che ora vuoi lasciare
Casa che io volevo costruire
Con te, con te, con te
Che mi aiuti ad accettare quel che volevo scordare
E mi sai dimostrare ogni giorno che passa
Che non c'è niente da temere ma così tanto da tenere
E se non è con te
E se non era un posto raggiungibile
Allora io mi fermo e smetto di cercare
Se non sei tu la casa io non so più abitare
E se non c'è, non c'è
Quel posto che credevo di conoscere
Allora io mi fermo e smetto di cercare
C'è troppo spazio adesso
Per me che voglio stare
Con te
Casa intima
Casa piccola
Casa stazione di gente che viene e che va
Casa all'angolo di via della speranza
Che durasse per sempre quella vicinanza
Con te, con te, con te
Che mi aiuti ad accettare quel che volevo scordare
E mi sai dimostrare ogni giorno che passa
Che non c'è niente da temere ma così tanto da tenere
E se non è con te
E se non era un posto raggiungibile
Allora io mi fermo e smetto di cercare
Se non sei tu la casa io non so più abitare
E se non c'è, non c'è
Quel posto che credevo di conoscere
Allora io mi fermo e smetto di cercare
C'è troppo spazio adesso
Per me che voglio stare
Con te
Con te
Casa ieri
Casa nei ricordi
Casa quando abbiamo fatto tardi
E lo capisco mentre te ne vai
Casa è il posto dove tu
Mi penserai..
Con te, con te, con te
Che mi aiuti ad accettare quel che volevo scordare
E mi sai dimostrare ogni giorno che passa
Che non c'è niente da temere ma così tanto da tenere..
Al presente.. SEI.....
La voglia....DI TUTTO..
#lisadagliocchiblu
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Benvenuto all’inferno Riki
Pfui io un pet, ma che si è messo in testa quel biondo ossigenato, non decide per me.
Ha tanti altri nelle vicinanze non capisco perché deve rompere proprio a me.
Stavo tanto bene a fare la vita di prima, dipendevo solo da me ma ora le cose son cambiate e non mi piace per niente, io decido cosa fare.
Stringo i pugni ed i denti mentre cammino in quei corridoi tutti uguali, intanto si metta in testa che io non obbedisco ai suoi ordini dannazione e un’altra cosa, appena saprò come fare mi toglierò questo dannato anello, non mi controllerà un secondo di più.
Queste vesti non si addicono a me, io ho il mio dannato stile rivoglio la mia giacca di pelle.
Tiro un calcio al muro sono dannatamente nervoso questo non è il mio ambiente, se crede di tenermi qua si sbaglia di grosso.
Incrocio un tizio vestito come lui che subito mi dice
<”i pet non possono andare a giro da soli come vogliono”>
Come risposta alzo il dito medio e riprendo la mia camminata senza tanti problemi.
Sento che borbotta <”So a chi appartieni e gli riferirò il tuo comportamento, spero ti punisca”>
Ignoro le sue parole e proseguo, devo assolutamente trovare la maniera di uscire di qua, ci sarà un punto di entrata che posso usare no? Un punto debole c’è in tutte le strutture dannazione.
Mi sento afferrare per il colletto mentre continuo a farmi gli affari miei, dannazione gli è già stato riferito, speravo di aver un po' più di tempo, oh beh non crederà mica di avermi in pugno?
L’unica cosa che mi svantaggia è la forza, su questo sono in svantaggio e neanche poco, non mi piace per niente.
Infatti vengo trascinato via, cerco di opporre resistenza puntando i piedi a terra, ma non ottengo niente.
Percorro indietro la strada che ho fatto con tanta fatica .
Lo odio.
Come odio questo posto del cavolo, sembra una prigione travestita da villaggio vacanze, anche se non è nemmeno quello.
Sento la porta aprirsi, io ancora non vedo essendo girato di schiena, ma ho riconosciuto un punto.
Vengo lanciato in camera.
Cado a terra ma mi alzo velocemente facendo uno scatto verso la porta prima che si chiuda ma un pugno dritto allo stomaco mi ferma e mi fa inginocchiare dal dolore.
Quanto fa male….
Mi sento afferrare per i capelli ed io cerco di ribellarmi ma la sua forza è troppa rispetto alla mia.
Mi tira un pugno sul viso che mi fa sputare il sangue a terra.
Si, gli è stato decisamente riferito cosa ho detto e cosa ho fatto ma a me non frega, questo è il mio carattere ed io non cambio.
Lo guardo con uno sguardo pieno di odio e di sfida, vedo che si allontana e questo mi insospettisce.
Sento qualcosa al collo che mi fa allarmare ed alzare di scatto provocandomi un dolore piuttosto forte, un rumore di catena tirata mi fa rabbrividire, ed infatti mi ritrovo a terra di fianco, sento il suo piede premere sul mio stomaco dolorante.
Stringo i pugni ed i denti cercando di liberarmi da quella posizione dannatamente scomoda per me, non posso difendermi per come sono messo.
Ho le mani ancora libere, cerco di far qualcosa ma non ottengo niente anzi mi blocca anche quelle, perfetto ora sono senza difese.
Mi trascina via dall’ingresso ma non so la direzione, sono arrivato da troppo poco per aver già imparato la disposizione delle varie cose, so solo che mi trovo incatenato del tutto su una specie di ringhiera, sono seduto e ancora più indifeso di prima.
<”è proprio vero che ami cacciarti nei guai non dicevano fesserie sul tuo conto.”>
Mi dici mentre mi alzi la testa col frustino poggiato sotto al mento, quando cavolo lo ha preso?
<”Beh si può dire che è la mia specialità in effetti, non posso negarlo”>
Gli rispondo con uno dei miei ghigni strafottenti di cui vado estremamente fiero.
Sento il primo colpo sulla guancia che mi fa mugolare di dolore, questo proprio non me lo aspettavo, ne susseguono altri su tutto il corpo i quali mi fanno mozzare il fiato.
Le voci che girano su di lui sono dannatamente veritiere, ma non le volevo provare sulla mia pelle, dannazione
Questa tortura, perché non posso definirla in altre maniere, va avanti per almeno un paio d’ore, non lo so a modo so solo che sono sfinito e la sua frase <”Con te non ho ancora finito”> mi ha messo i brividi, che altro ha intenzione di farmi adesso?
No testa, smettila subito non voglio vedere ste scene, se lo scorda di fottermi.
Mi sento tirare su e slegare, ho il fiato dannatamente corto e le sue parole mi hanno turbato.
Le mie paure si concretizzano quando sento l’anello che inizia a vibrare e stringersi su di me facendomi gemere, dannazione non doveva succedere questo.
Mi afferra nuovamente per i capelli e mi tira su trascinandomi vicino ad una scrivania, odio ancora di più questo cavolo di anello.
Dopo avermi fatto mettere in piedi, mi libera le mani per poi bloccarle dietro la schiena dopo avermi fatto piegare su questa maledetta scrivania.
Io mi divincolo appena sento che mi toglie i pantaloni assieme all’intimo, eh no questo te lo scordi.
<”Non pensarci nemmeno brutto idiota!!!”>
Non mi da alcuna risposta mentre mi schiaccia il viso per farmi star fermo.
Senza autorizzazione mi penetra con due dita, io cerco di ribellarmi ma non è per niente facile vista la posizione.
Dopo poco le toglie per far entrare il suo membro, il dannato si eccita a punirmi, di sicuro dirà che anche questa è una punizione.
Io stringo i pugni quando inizia a muoversi senza ritegno dentro di me.
Senza volerlo inizio a mugolare ed ansimare, il mio corpo vuole di più ma la mia testa dice no e non è facile far andare d’accordo tutti e due.
L’erezione viene stuzzicata e bloccata allo stesso tempo e questo mi sta facendo impazzire, da una parte voglio che finisca ma dall’altra questo trattamento mi piace.
Capisco che sta arrivando in fondo dalle spinte che dà, sono più mirate e profonde e io non riesco più a trattenermi dal gemere.
La mia testa viene tirata di nuovo su tramite i capelli
<”Non hai da chiedermi qualcosa?”>
So bene cosa intende ma non è facile e quel suo tono denigratorio non lo sopporto.
<”Ho anche io il diritto di venire, non solo tu maledetto.”>
Fa una risatina.
<”Tu non hai diritti da quando ti sei comportato male, ti avevo già avvertito al tuo arrivo, ma avanti prova a convincermi”>
Sento un tono di derisione nella sua voce ma devo abbassare la testa se voglio venire.
<”Lasciami venire dannato blondie.”>
Ti sento ridere ma l’orgoglio è forte in me.
<”Ah ah sbagliato di nuovo ritenta.”>
Avanti Riki solo per stavolta poi rimarrai tu, il solito che sei sempre stato.
Faccio un bel respiro
<”A..anche se non lo merito la prego di lasciarmi venire”>
Oh perfetto ho anche balbettato complimenti, è già stato difficile dire queste parole, ma altri come me mi hanno dato qualche dritta.
<”Sei un bravo pet, se ti impegni”>
Le sue spinte aumentano mentre sento l’anello lasciare pian piano la presa facendomi venire dopo poco, mi sento riempire da lui che esce immediatamente da me.
<”E adesso pulisci tutto e fatti una doccia non voglio che il mio pet sia sporco”>
Prima di dire queste parole mi ha liberato ed io sono crollato a terra, so bene che dovrò fare queste cose quindi dico un semplice si sottomesso mentre scivolo a terra sfinito.
Devo fare dei compromessi con me stesso se voglio sopravvivere non posso far solo di testa mia.
Troverò la maniera, mi dico in testa mentre la stanchezza ha la meglio su di me.
Domani o più tardi mi punirà per non essermi lavato e non aver pulito, ma non importa voglio solo riposare, alle conseguenze penserò in un secondo momento.
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AMORE DISCONNESSO
- Voglio trovare l’amore e il sesso.
- Quindi?
- Lo cercherò da qualche parte nel web.
- Nel web? Che intendi?
- Ma si nel web, sai i social e le app per incontri? Ecco quelle cose lì.
- Per me l’amore sul web dura poco, il tempo di un like.
- Di un like?
- Si di un like a un’altra persona.
- Non ci avevo pensato, però resteranno i ricordi.
- No, se cancelli la cronologia no.
- Però puoi divertirti con immagini e video piccanti.
- Dipende.
- Da cosa dipende?
- Se duri qualche Mb oppure soffri di download precoce.
- Userò le precauzioni, insomma una connessione sicura.
- Non basta, devi avere una connessione fibra e ci dovranno essere tanti filtri. Usa un buon antivirus, non si sa mai magari ti infetta con un virus.
- Ah già, ci sono in giro di quei Trojan.
- Ricorda che è tutta una questione di dimensioni, devi aver sotto un device bello grosso e potente.
- Ecco la solita storia dei centimetri.
- Ma va, ora contano i Giga ma dove vivi?
- Guarda mi sto perdendo.
- Non c’è problema, Google Maps e ritrovi la strada. Ricorda lo stato, che è importante.
- Lo stato italiano?
- Ma no, lo stato sentimentale. Non importa se sei sposato e c’hai prole l’importante è essere un single, per lo meno dal lunedì al venerdì sera. Poi meglio rientrare nei ranghi.
- Credo d’aver capito. Un single anzi un sex single.
- Non fare lo spiritoso, bisogna essere seri e convinti nelle menzogne sui siti d’incontro.
- Ok, tutto chiaro.
- Ricordati d’impegnarti e mettercela tutta per essere uno stereotipo.
- Perché? Non è meglio distinguersi?
- Ma che scherzi? Vuoi attirare persone intelligenti? No no meglio quelle che abboccano all’essere umano scontato. Ragionano poco e ti inviano subito match bollenti. Poi quando capiscono l’inganno si sfogano scrivendo: “Casi umani ne abbiamo?”.
- Mi viene qualche dubbio ad ascoltarti sai? Mi chiedo per quale motivo allora dovrei cercare l’amore sul web, a quale scopo.
- Appunto, visto?
- Appunto cosa? Visto che?
- Ci sei arrivato. “Scopo”, non come sostantivo ma come verbo transitivo.
- Mah… forse ho preso una decisione sbagliata.
- Macché, ma ragiona tu usi il mouse per navigare in internet al computer giusto?
- Si, ma che vuoi dire?
- Che mouse in italiano vuol dire topo e la femmina del topo è la topa. Tu devi cercare topa.
- No, non mi piace.
- Ecco vedi? Ti ho riportato sulla strada giusta. Quando vedi una persona che si fotografa in pose forzate mettendo in mostra parti del suo corpo su profili pubblici cosa vedi?
- Tanta roba!
- Ma che sei scemo? Ma allora non hai capito una minchia. Quello che vedi è il fallimento della società. Una società di minchioni e fregnacce.
- Capisco.
- Bene, mi fa piacere che tu abbia capito.
- E quando vai a casa abbraccia tua moglie e salutamela.
- La conosci?
- Nulla di serio un paio di match e qualche “Mi piace” qua è là.
- Penso che ti regalerò un monopattino, ci sono gli incentivi sai?
- Un monopattino? E che ci faccio?
- Tu niente, ma se t’incontro per strada ti investirò e mi daranno più punti sulla patente. Sicuro.
- Ma dai, così mi offendi però! Mi sto indignando.
- Se sei indignato vai sui social e condividi!!1!!
- Guarda ora ti levo l’amicizia.
- Troppo tardi, ti ho bloccato.
@Libero-De-mente
#Libero De Mente#pensiero#amore#social#ironia#dialogo#frase divertente#sarcasmo#racconto#app#amicizia#rapporti#connessione
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