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Moby Dick al mercato
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Moby Dick va al mercato, che paura d'esser affettato, ti svendono, poi, come pesce fresco a 10euri al chilo... Moby Dick al mercato 1.0 Troppo complesso per essere compreso, troppo bianco per capire il nero, troppo grande per contenere il mare, troppo piccolo il mare per contenere, troppo scomodo per trovare spazio, troppo sotto per salire in superficie, non passa di certo inosservato al mercato... inciampa, casca e finisce sul giornale.
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nereoblog-blog · 11 years ago
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Cos'ha lui più di me? Lui! E' quella terza persona, la no-persona, il deuteragonista, l'insidia che avrebbe tolto a me e a te il nostro amore disperato. E' bello, vero? E' simpatico e tutto il resto, bella figura, bei pantaloni, belle scarpe, sicuro di sé, grande, con il fare delle protezione negli occhi, il luciferino dei tuoi risvegli e delle tue veglie notturne, che senti volentieri e salda con te discorsi amabili, d'interesse condiviso, adulto... io li vedo i tuoi occhi bellissimi, Andrea, li vedo verso i suoi, franano verso i suoi e le tue braccia levigate dalla sua voglia, e il terrore d'averti consegnato arrendevolmente o quasi all'estraneo mi fa sentire un piccolo vuoto tragico ancora qui davanti ai tuoi occhi belli. Lui lo sa che facemmo l'amore? E solo dopo mi accorsi di averti amato come se ti avessi giammai avuto. Non volevo andarmene, rimanevo a farmi minuscolo dentro di te, rimasi finché non entrò del freddo. Perché ora la casetta era congelata; sul copriletto c'era un piumone che non bastava a scaldarci. Tu pressato dal peso del mio corpo mi chiedesti, inavvertitamente: "perché mi ami? Ti senti più libero ora, avendomelo detto?" quando io, esuberante, non mi trattenevo, e ti risposi "ti amo perché non posso far altro, perché non posso". Ti presi la mano. Quella mano m'appesantiva i neuroni, s'era inceppata in una foresta di contorsioni tristissime, Andrea. Tu eri troppo gettato su di me per averne contezza. Perché ti racconto tutto questo? Non ho una risposta da darti. Una delle tue risposte asciutte, brevi, "bisturiche", come le chiameresti tu. E' l'epistassi della vita che libera il naso, come l'ematoma nel cuore. Non cerco il tuo perdono, non sto approfittando della tua educazione grave, credimi, mi sono dato la spada di Damocle tante volte seduto su qualche panchina sgangherata. Ma sapessi quanto ho immaginato lui. L'ho visto evolvere accanto a te come un fratellastro adottivo, come un doppio malvagio. Ho cercato di dargli una fine degna e non ci sono mai riuscito. E' tornato quando più gli si confaceva, si è stipato nei miei andanti mesti, nei tuoi allegretti. E' tornato in tutte le forme provocatorie della storia, nei miei tormenti, nei tuoi baci che non sono per me, nel tuo buongiorno che non dici a me, nelle mani, le mie, che non tocchi. Era solo questione di tempo. Il tempo avrebbe svolto il suo mestierino bastardo, sbriciato il nostro stare insieme fino a farlo diventare pane grattato. Tutto sommato, è arrivato lui, il tuo amorevole estraneo, a mondare la nostra vita di una malattia leggendaria, di un tralignamento, quello che pensi di noi. Abbiamo aspettato come due convalescenti che il tempo passasse, mentre il presente correva scalcagnato, le giornate da sistole e diastole si trasformavano, e lui stava aspettandoti per offrirti una birra, dopo cena, e per dirti quelle cose che si dicono quando non si sa cosa dire. Eppure, lui lo sa che tu mi spogliavi rapidamente e buttavi la roba per terra? Approfittavo di un'occhiata distratta, perché mi dava vergogna stare lì. Ho scoperto il tuo modo d'infilarti in un letto, ti stendevi e ti tiravi addosso le coperte e speravi che io motivassi le tue nudità. Io non ero convinto di quello che facevamo e lo sapevi... non lo eri nemmeno tu. Saresti rimasto volentieri accanto al tavolo, in cucina, o verso la finestra a guardare il mondo per un posto per te da qualche parte. Con lui. Quando ti afferravo indocilmente, avevo un attimo di incertezza, poi niente, mi lasciavo andare al rinculo dei corpi senza che il silenzio c'invitasse a eseguirlo. Avevo gli occhi incollati a te, non ce la facevo a guardarti fissamente però, avevo paura di incontrare la tua impassibilità. Quella volta avvertii, al di là dell'anelito, un umore diverso, come una specie di rovo fiabesco che, eretto tra una motrice labiale e l'altra, ne mistificava la qualità impedendone l'assesto. Un abbandono ricusato ma presente, un diniego non già patito ma pattuito del furore da supernova comburenti, instradate alla consunzione, per cui si paventa il nulla, allorché il sangue invece bruciava, le vene si rizzavano, il sudore colava pregnando di voluttà il resto, l'aria ribolliva respiri ansanti, le mani andavano ovunque senza comando, i muscoli del collo un tutt'uno con la tensione del piacere fino alla bocca che dava colpi di mandibola a vuoto, il destino che non si divideva, che insufflava ardore della prima volta, o di sempre.  Non ci fermarono. Andammo avanti per ore o giorni o mesi, non lo sapeva nessuno a quale temporalità aggrapparsi. Era il nostro amore completo, senza sbavature, nella sessualità più smodata e smoderata della bella giovinezza, in incoscienza, abbandonate tutte le interdizioni. Pur tuttavia, quando rividi i tuoi occhi, quelli che hanno l'ombra d'estraneo incistatasi, gli occhi distanti tuoi, bracchetti di un sogno che non sono io, e le tue mani disegnate, i brani di pelle madida, la peluria a cascata sul tuo pube odoroso, la fronte imperlata di passione della prima volta o dell'ultima, la dentatura espressiva di un morso sagace... rividi una paura. Tu non potevi restare, tu saresti andato via, e io lo sentivo nella testa, nella memoria rediviva, in quella dinamica di fisicità prorompenti, e fu come salutarti a tempo indeterminato, assieme alle maree nere, alle ventate di fervida burrasca, ai fuochi di fatuità... salutavo i tuoi ennesimi occhi immensamente puliti, il centro di ogni fola lungagginosa, di ogni scelta scientemente perseguita, di ogni previsione e intuizione presente.
<< Che hai? >> mi chiedesti, in un'estasi che imbruniva, mentre cercavi di ritrovare i tuoi abiti. Eravamo nudi come bebè, col fiato corto e la pelle che dava sfogo a qualche livido dell'irruenza. << Non lo so... non mi fido di questi sentimenti, di questo incontro, non mi fido di te. Tutto può cambiare da un momento all'altro... >>
<< E' strano che tu lo dica adesso, dopo quello che abbiamo vissuto... avevi detto di non pensare al domani! >>
<< Si fa presto a vedere l'indaco oltre le nuvole. Si fa presto a chiudere un libro troppo lungo, sotto le nuvole >>.
<< Ancora? Sii ottimista, qui le nuvole sono così spesse che l'indaco non si vede mai e poi mai, per cui preferiamo tenere i piedi per terra, in attesa del sole >>.
La sera guardo fuori. Sono in camera, guardo in basso, verso la strada, in cerca della luce intermittente del lampione semaforico. Non c'è nulla, solo una macchina che passa, un carro funebre che porta lontano qualcuno di mia conoscenza, forse. Sto cercando lui, l'estraneo. Non so se lo cerco perché ho bisogno di sapere che faccia abbia o perché temo che si sia nascosto da qualche parte, nella strada della tua vita e della mia, e che ci stia spiando. Guardo i tetti, le antenne, i cupoloni romani nella scia dove lui vive, oltre lo stradone pullulante di figure spettrali danzanti nei fari di un autobus che le accende, fino a quel mondo che ci ha visti tante volte e chissà se adesso è aperto alla clientela. Tanto cemento ci divide, Andrea, tante carcasse dormienti, assopite in un sonno di coscienza. 
Non crucciarti, amore mio, la vita è questa. E se io soffro quaggiù, la tua sofferenza non mi sveglia in questa distanza, estranea, come lui. Che importa se sono gravido di un tuo sputo sudicio, Andrea, che mi riservi per non avere più nessun ricordo di quello che siamo stati... che importa se hai già avuto quello che ti aspettavi da lui... Stanotte io sono solo con il mio bagaglio sotto la pensilina di un treno che se ne va, che ho perduto. E ne prenderò un altro per andare. Per sempre.
Chi è lui? Quanti baci ti ha rubato, quante volte vi siete innamorati già? Quanto è più bello di me?
Ho le tue lettere, le mail, le nostre conversazioni come un amuleto, non so quando me lo sono infilato al collo, e adesso non riesco più a toglierlo. Piove. Sotto la pioggia, in un angolo di questa città ho amato Andrea per l'ultima volta. Quando piove, ovunque tu sei, io rimpiango la vita che avremmo potuto avere. Facevi parte di me come la coda di una sirena, qualcosa d'evanescente nella fantasia dei bambini, qualcosa che si desquama con la crescita, qualcosa di cui conservo l'odore, come un'incresciosa presenza nel nulla. Ora, invece, è lui ad avere la sicurezza della tua trasformazione, a sentire la tua formidabile vocina rassicurante al telefono, il tuo sguardo potente e visceralmente attaccato alla vita.
Io sono colpevole per averti amato come si ama davvero e per essere stato calpestato con l'ingenuità. Per il tuo sputo sudicio continuo, a getto prolungato, al mio indirizzo ogni giorno, da quattro anni, per le arie di degnazione e di pietosa accondiscendenza. A lui, all'estraneo, devi il tuo sesso, Andrea, a me devi un saluto.
"Quando si fissa una direzione, non è per andare da qualche parte, è soprattutto per perdersi. E io mi sono perso". 
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nereoblog-blog · 11 years ago
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Un po' di sano egoismo
Lo so, state lì a pendere dalle labbra delle mie farneticazioni. Che ghenga di morbosetti! Non avete di meglio da fare che invischiarvi in ogni mia inquieta prolusione rinviata ad altrettante prolusioni senza progredire per giungere al beneamante dunque e caricarsi di significati rimandabili a simbologie nascoste, ipertestuali, di scatola cinese o matrioska o patrioska liposuzionata? Siete fortunati, branco di bettolari, ho qualche cazzata da sparare prima che mi salti la fregola di cessare 'sto naufragio vitale, la depressione delle mie giornate a nessun profumo di rosa o gelsomino. A proposito, la depressione. L'inedia vitale che non vorresti abbandonare il letto nemmeno dietro imminente scoppio guerresco, che allo specchio non trovi nulla di vagamente accettabile tanto da scavarti una fossa con feretro a forma di cesso e epitaffio eloquente: "Ah, finalmente ha tirato lo sciacquone, insieme alle cuoia", che ogni volontà interazionale è persa e flaccido di rassegnazione, intimorito dalle ombre tue e degli altri, sei come una carotina di quelle sgraziate e smussate, annerite, che scanseresti in embargo alimentare anche fosse l'ultima risorsa. Ebbene sì, egregio lettore del gregge, che mai commenti e ti sgomenti, si sta che vorrei proprio togliermi dal mondo... non viene niente di buono, ma neanche se mi sforzo di vedere il bicchierino di stricnina quasi mezzo pieno, cioè a metà della metà del suo liquame, o al terzo della metà... le ossessioni rimangono le stesse, assecondate pure, saltuariamente, e il mio livore si stende su quelli che non lo meritano e ai quali dirò due cosette per far loro capire che l'amore è una fottuta presa per il culo e io, logorandomi a mio vizio, torturandomi quasi, sono stanco di saperli ammaccati nell'anima da qualche coglione nato a tradimento di una madre non a conoscenza d'alternative al divertissement solito. Proprio non ce la faccio più, mi spacca. Mi devasta il parossismo degli zerbini dal sentimento malato come il mio, vittime inconsapevoli di un cuore che li calpesterebbe anche fossero dotati di fronzoli d'oro. Dovete capirlo, una volta per tutte, quelli il giardino ce l'hanno fiorito a prescindere dalle vostre risorse giardinistiche. Dato che siamo in vena di bucolicismi, voi siete il geranio che loro non hanno mai avuto intenzione di coltivare. Se lo sono messo lì, tra le piantine la cui cura è una sinecura, e hanno lasciato che gemmasse da solo, senza decidere per il vostro vaso una collocazione migliore. Finito il tempo, hanno promosso la vostra decadenza favorendo la proliferazione di parassiti e vi hanno dimenticati a marcire senza il benché minimo rimorso per avervi tenuti in direzione solare intermittente di transeunti nuvole crasse nell'etra, e per qualche stagione di bella lustranza apparente, prima di vedervi scolorire come foste frutto d'una disaccortezza da botanica principiante. Quando siete divenuti troppo poco decorosi alla vista, vi hanno sradicati e cacciati nella pattumiera come resto inerte. Il verone del loro appartamento patrizio continua a splendere, intoccato, ad accogliere nuove piantagioni di solitudine ederiforme, mentre voi siete stati maciullati da qualche macchinario di qualche alacre discarica caudina. Piangere non serve a niente. Siete il loro esperimento. Le loro prime armi per dargli di dire d'essere alle prime armi. Siete la primina sentimentale, la scuola di Atene ove hanno imparato l'abc da riutilizzare con altre e altri fortunati vincitori (perché pur facendovi credere d'essere scafati/e e navigati/e, voi costituite un unicum, una crepa della loro fredda strategia accumulatoria). Le loro ghirlande fiorite continuano a esalare bontà e beltà, la vita di questi uomini e donne, che io chiamo uomini e donne credendo di fare un torto a tutti gli Uomini e a tutte le Donne, scorre al ritmo incessante della novità e voi siete, invero, un pallido omaggio floreale mai tenuto in considerazione. Ora, di grazia, graziella e grazie al*, perché dovreste, con le vostre intelligenze e le vostre virtù, le vostre ambizioni, i vostri mondi completi o quasi, perdere neuroni appresso a queste categorie amorfe? Me lo spiegate? Lasciamo stare il sottoscritto, io farei meglio a darmi fuoco o all'eremitaggio, non amo niente di me, non vedo come sia possibile amare un altro, e poi, diciamocelo, io suscito solo fiducia, stima, un po' d'affetto, a volte odio, non è detto che mi si sopporti col mio illustre caratterino, ma amore proprio no. Nella solitaria accettazione di una vita romita posso realizzarmi solo e soltanto, non v'è altra prospettiva per me, all'orizzonte s'infittisce il nulla del nulla, lavorativo, sentimentale, amicale, il vuoto delle possibilità... ma voi, amici, voi che avete un futuro di certo più soddisfacente del mio, voi che siete stati ingiustamente trattati da nature morte, fate un favore all'universo: vendicatevi accendendo quei *cazzo di cervelli. Li date per scontati. Mi sa che non vi funzionano adeguatamente. Non scaricatemi addosso altre pene. Ho le mie, potenti, epocali, ad ampia gittata. Vedete di espellerle al più presto le vostre. Le prugne possono aiutarvi. E un po' di sano egoismo.
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nereoblog-blog · 11 years ago
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Cadaveri nel fiume
Quando penso a te, ora, sopito l'animale, mi riferisco all'intimità nostra. Non so farmi persuadere dalla convinzione d'essere omai poco più che un estraneo al quale si riservano muti convenevoli, se prima invece volevi arrivare a scoprirmi l'inguine, a trastullare le parti erogene con il piacere che sposta il contenuto dai discorsi riprovevoli all'istinto primordiale di superarli per eccitarsi. Com'è possibile che due persone, toccati i rispettivi gingilli, siano poi destinate a dirsi oblio, a dirsi addio? Eppure con me parlavi, dicevi le tue cosucce, quelle quattro in croce, mi guardavi, anche se non propriamente per adocchiarmi, conoscevo le misure inconsce e le tue grandezze o piccolezze, a seconda dell'oggetto, fisiche, mi preparasti la colazione a volte, i bucatini alla carbonara, e pagasti i biglietti della metro senza ch'io inforcassi il portafogli, nonostante fossi piuttosto sparagnino. Lo facevi con piacere, forse, non lo so, o perché sapevi che il mio fondo cassa da prelievo era in attivo di pecunia lacrimale, con quelle ti dovevo, ti potevo ripagare. Ero certo di come toccarti per tastare il tuo interesse moscio, sapevo le cose che avresti detto prima ancora di ricevere risposte istituzionalmente sommarie, ero conscio che le grige affettazioni sensuali date a me, mai viceversa, in quell'atto teoricamente di scambio, erano in filigrana lo sforzo di amarci in un rispetto apocrifo, che non volevamo corrispondere, o che non volevi rivolgermi, io te ne avrei date, di dimostrazioni, a palate, a bizzeffe, a scialacquata profusione. Per me quello era tutto. Sciocco e pure convintamente, quello era tutto. Era familiarità, la nostra bella abitudine, bella o brutta che fosse, era uno di quegli script che si attivano nel raggio d'azione di una pelle della quale conosciamo a menadito l'odore. Ma la mia ingenuità, in generale, e con gli amici e con gli amori, mi lascia il vuoto in bocca e una dentatura di domande, anche cariate, eh, quelle con l'antinfiammatorio non passano, solo col trapano. Come hai potuto mangiare e leccarti il baffo nel mio patto per poi sparire? Come hai potuto stringere la tua apparente amicizia con me per poi andartene a fare spargimenti di conte polliniche d'amicalità e fargli venire l'allergia umana a quei poverini che, dopo varie riposizioni di fiducia, si son dovuti sorbire il tuo allontanamento inspiegabile? Chi ti ha dato il permesso di entrare nella mia vita per uscirne impunitamente? Chi ti ha chiesto di farmi quel male subdolo che, se io provo a risollevarti dalla melma e a cercarti, proprio per la mia incapacità a concepire la fine di rapporto simbiotico o concubinaggio anatomico o sentimento mai reciprocato, tu prendi e, per tutta risposta, mi dai la nuca, mi dai le spalle o scusso scusso il culo? Io sono quello ferito, la maestà lesa, e da coglione al bacio ti offro la possibilità di comportarti civilmente, in linea con tutta la precettistica morale che di tanto in tanto ti spertichi a millantare e che ti fa sentire uomo o donna integro, e tu studi le mosse per ignorarmi del tutto? Nemmeno ti degni di chiedermi come diavolaccio sto, non dico una telefonata di due ore, che minchia avremmo da dirci in sì prolungata comunicazione!? Ti piace ubriacarti assieme a quei quattro uranisti che ti porti appresso con la speranza che ti notino e ti aiutino a salvare la tua vita sola, scarsa di mezzi espressivi, di un reale guizzo d'intelligenza che non sia metodica applicazione, eh? O con le amichette romantiche all'ultimo grido di schifo per loro stesse e le letture analitiche di rivisitazioni del Cioè in chiave letteraria? Io facevo parte della tua vita, cazzo, tutti i giorni, e adesso cosa sono? Ti sei annoiata, ti sei annoiato, le persone sono funzionali solo ed esclusivamente al periodo di bisogno, di magra, o l'ombrello si tira fuori anche quando torna il seren? Ma non ci penso, non devo pensarci, al destino crudele, o crudele destino che mi sta toccando, al fatto che mi son passati sopra come carri armati i più miserabili degli esseri cosiddetti umani... li sto aspettando al varco, e, banalità delle banalità, mi sto accomodando sulla riva del fiume a estuario in ansiosa attesa che scorra il cadavere liso del mio nemico. Poscritto: lo stream of consciousness? Ma se non sai un cazzo di modalità narrative, tu, ma va' cagher!
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nereoblog-blog · 11 years ago
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#Senzapaura
Recensione delle recensioni. Tutto è recensione. Alcune critiche c'hanno la loro degnità indubbia, altre farebbero meglio a non fuoriuscire da chi si smeriglia la lingua, estroflessa, col vuoto oblativo, non petito, che assurge a loro acme, e cioè la pretesa del e dal vuoto di una manfrina a cui ci s'inchina con parsimonia dell'inchino, senza dare troppo la schiena, il colpo della strega è in agguato. Ne ho sentite tante di finte opinioni nella mia vita, e la maniera per salvarsi era gridare al miracolo delle posture vatesche, nascondendo il mio punto di vista dietro il punto di svista ormai abitudinariamente trapassato, ma sempre un tanto più pionieristico della modernità preistorica, certo. Non sono i prodromi della pazzia, no, la prima parte mi serve per dire che dico due parole, critiche, libere, mai sottoposte a censura preventiva, e soprattutto piene, sul nuovo album di Giorgia, qui, solo qui, dato che nei luoghi deputati una manica di fascisti della più straziante avulsione dalla realtà mi ha spaccato le palle per essermi io preso l'ardire di attaccare la bravura dogmatica della cantante, e amen. Manco gli avessi offeso la fEdanzata. Io, ok, sarò un mestruato d'origine controllata, e nei miei attacchi ci potreste vedere sempre un po' di represso desiderio sessuale che cerca di sfondare gli architravi polemistici pur di sfogare, perché è da molto che non tocco il sopraccolonnio dell'amore, ma non ho mai osannato un artista al primo peto di dantesca memoria. Non sono fanatizzato, da nessuno, men che meno da me. Giorgia, arrivando al donque, è la ragione per cui canto, cantavo. Ho iniziato a farlo su imitazione sua, non potrei mai oltraggiarla per sfizio, se lo fo è con cognizione. #Senzapaura, sebbene sia uno dei migliori della sua carriera, e lo ascolti a sfinimento di cervella, è il magnaccia di Pop-pea figlio del mercatismo, è il prodotto di un commercio selvaggio che ti porta in classifica, ti fa vendere e ti fa passare nel mare mosso delle onde radio e ti fa dimenticare presto. In più è cantato con una voce che non è la sua, ipercinetica, spinta di gola, così di gola da prestarsi al remake di quella profonda tanto famosa, slabbrata, gracchiante, addirittura caricaturale, non più la sublime degli esordi. Alcuni acuti mi mandano in distorsione i sensi, quello dell'udito soprattutto. Sporca. E lei si trincera dietro il ritornello che le viene meglio ultimamente: "adesso prediligo l'emozione a scapito del suono". Ma codesti cazzi! Non capisco perché, nell'affanno di rinnovarsi, debba perdere i suoi punti fermi. E non mi venisse a dire che i punti fermi, le certezze, le fanno paura, eh, perché le lancio un cd a caso all'indirizzo dei dentini bellissimi che si ritrova! Avrebbe dovuto puntare al (vocal) jazz, al soul puro, recuperare la musica nera, cori gospelacci, ingaggiare cantori con i controcoglioni a farle da tappeto, ci ha rotto le Gocce di Memoria con questa smania di rinnegare! Faceva il clone di Whitney Houston, è nata sull'impronta della negritude, deve tornare "indietro", se vuole tornare a convincermi. Poi è vero, in Italia vende la Pausini e ci si deve adeguare, inchinare, ma lei lo fa in modo sanguinario... se penso a #Stonata e ai pezzi finali del disco, brrrrr. Benvenuti in Ashanti, la linea degli amanti. Un brivido prolungato. Pensate, invece, a "Di sole e d'azzurro", ascoltatela di nuovo, se sapete di cosa e di chi sto parlando! La canzone adesso, in sé, non è nulla, è un pasticciaccio di clichés, ma la voce, lì, è un portento di quotazione mirabile! In quel brano si apprezzano delle inflessioni, delle brillantezze, delle scelte stilistiche da fuoriclasse! E poi? E poi mi vieni a cantare boiate egoriferite, di vittoria sulla tua vecchia te imbalsamata? Vuoi capire, a 40 anni suonati, è il caso di dirlo, che sei un'interprete prima di tutte quelle baggianate aristocratiche, a perdere, sulla tua colta mente da cantautrice e le puttanate libertarie sulle tue verità da esprimere e l'anima e le parole rotte, e le ferite da leccare e i lividi contro i gusti di chi ti acclama e ti vuole riconoscere? Tu canti, sai cantare, sapevi cantare come nessuno sapeva, e adesso? A che ti sei ridotta? A cubista, a palodanzatrice per allettare ingenui estimatori di forme androgine? I tuoi funambolismi, le tue arrampicate protette e mai cadenti, lassùincima, dove nessuna ti avrebbe acchiappata, nemmeno con le sue ampie solitudini, le luminose reggenze nordestine... dove sei, Gio'? Quanto tempo ti resterà per inciderci il cuore? #Senzapaura è un piccolo capolavoro di artificeria made in Italy, made in Italietta elettricar'n'brrrrroide, le canzoni saranno pure belle, sì, a parte alcuni inconvenienti che ce potevi risparmia' – e per arrivare a definirli "inconvenienti" mi ci è voluto un forzoso battesimo fascista - ma la tua voce mi ha ferito. Mi hai ferito. Devo salvare il prodotto perché "Vedrai com'è" mi porta al pianto simil-madre di milite ignoto, io che c'avevo proprio bisogno di frignare in questo momento, una roba nuova, guarda... i tuoi cd li compro, li ascolto, me li ficco in testa, dal momento che non posso ficcarli altrove, ma per favore, per favore, ritorna in te. Ci sono troppi che hanno perso il senno in questo mondo, vuoi, per favore, emanciparti dal gruppo di quelli che decidono di farmi del male gratuito?
  OT: sono stato al cinema, nel mondo, in pratica, e cosa ho visto? Sole a Catinelle. Ora, o c'ho il senso dell'umorismo di un deportato (cit.) o Checco Zalone è una cosa che non.
  Ah, e figli maschi proprio.
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nereoblog-blog · 11 years ago
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Di nuovo lui, di nuovo lui!
La tradizione si riveste anche quest'anno di palline a sprizzi argento e vermiglio, infioccature alla speraindio, boa di struzzo glitterati e cadenti sui fianchi delle conifere piantate in salotto, e la gente intorno, tutta caruccia garbata sensibilissima, a cantare le carole in do ut des postprandiale, fa la ressa in siepi di simil fedeli vaticanofili alienati e martellati di sudore sulla fronte e nell'interno coscia, tesa nell'aspettazione di un bambinel Gesù qualunque sonnecchioso in un serico senso di colpa o tradimento o bugia o ipocrisia o cuore spezzato e mai ricamato della loro incubatrice a caro prezzo. E se Natale fa rima con cose vecchie e nuove nel clangore, le une contro le altre, di una notte che, così come viene al mondo, annuncia la sua crux desperationis di un'obsolescenza dei segni e dei sogni e delle speranze e delle fastità, yo mi fo persuaso di quanto la festa nella sua evidente vecchiezza, che per secoli ha messo addosso una paura dell'abitudine a governare fantasmi pencolanti sul mio sonno reflussato, acido, malvoluto ma puntuale, sia sempre più smitizzata di quando avevo sei anni. Eppure basterebbe un po' di zucchero a velo, ma davvero un cuc.no, della pannacotta celestiale, bastoncini di liquirizia, una meringa meringata a solleticarmi il palato al posto del ring ove le angosce solite e le mie benvenute prese di coscienza tirano di boxe. Natale è di per sé munifico, si profonde per quelli che trattengono a piene mani, e ha portato nella manica larga le conoscenze, le persone da vedere, da vivere, e il tempo di dare il foglio di via se, quand'anche certo del valore, la spinta per valorizzarle non farà cucù dal camino. Natale mi ha detto che l'amore è una parolaccia, non si suddivide, non si parcellizza, non si sceglie, e tu segretamente ma convintamente amerai anche quando malaugurato ti troverai a far entrare sconosciuti dalla porta principale. Natale mi fa capire l'altro nelle sue soperchierie, riprende discorsi sul mio di amore e forse, dico, forse, mi ha spiegato che non è stato tuttora superato quel sinistro desiderio, minaccioso, oltraggioso alla memoria e alla fedina dignitale, di farlo ferocemente con l'unica persona che cresce lontana da me, si veste nelle sue camicie strette, bellissime, nelle sue calze linde del tignoso profumo ammoniacale sulla pelle, annusando e lambendo il collo immacolato, edacemente tirabaci... e le mani, che per averle farei di tutto, rinuncerei alla mia funzione prensoria per un tantinello della sua. Natale per me sarebbe stato avere saluto, abbraccio e occhi. Di chi? Di Che? Eh? Invece, come ogni anno, alla luce della Stella Cometa brillante non di luce ma di solitudine propria, trovo doveroso ricordare che 1. non avrò nessun messaggio augurale degno di nota e spero di non averne d'ogni altra fatta per non dovermi chinare all'usanza di rispondere 2. è inutile inviare ricicli di raffazzonamenti di frasari antiquati quanto imbarazzanti per la qualità della lingua e la scontatezza misoneista, non festeggerò un bel cazzo, io, se non il gretto masochismo collettivo e il sentimentalismo a perdere per bucare le tasche e farci lo scolo dei gruzzoli... evitate di slogarvi le dita sul tastierino con chi questa ricorrenza rossa non la sente e basta; le donne hanno ricorrenze rosse ogni mese, vi pare che si aspettino una leccata gentile da parte vostra, natalisti che non siete altro? Alcuna prodigalità di dolciumi e paste frolle viene usata a loro riguardo, niente augurio o spergiuro per figliazione mancata 3. dovreste amarvi tanto, belli paciocconi cucciolotti caloriferi, sì, oggi soprattutto, e lontano il più possibile da me che vi scanso come i canditi nel panettone che bleah! davvero 4. i fidanzatini in ghingheri, sempre se la Renna non ci mette le Corna, possono sbaciucchiarsi altrove e non al di sotto del mio corollario di ornamenti ovati 5. non dovete provarci a dirmi che ho tutta la vita davanti per gioire della mia giovinezza e senilità in pace di tanti Natali che verranno, voglio la neve adesso 6. i regali più utili alla mia personalissima versione di Vigilia sono a) una grossa somma di denaro per permettermi l'espatrio e per campare in loco, b) un naso e un po' di denti nuovi, c) un'epilazione totale, eccetto sulla lingua, lì peli non ne ho, d) un cuore nuovo che sappia affezionarsi e soprattutto che non si metta a menare il paragón per l'aia delle emozioni e) una personcina garbata e sincera anche nel rifiuto a scomparsa, a inchiostro simpatico, che non inventi la Svizzera se non vuol vedermi, basta dire no, secco, per evitare di ricadere in circoli viziosi che vanno bene quando fanno comodo, vanno male quando l'uccello è meglio nella patta di un altro. 
Ah, quanta umanità ridicola, a tradimento, si autoassolve in queste occasioni. Per questo io ODIO il NATALE.
Buon Triduo Natalizio pag-ano prof-ano e pro-ano a tutti voi, lettori insaziabili d'inalterabile dedizione, tutti i giorni più volte al giorno, che il mio contatore di visite v'abbia in gloria! Oppure in culo alla Balena.
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nereoblog-blog · 11 years ago
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Il Decalogo dell'Ultimo Giorno
Il damerino e il forcone si fanno confusione da soli. Esso satireggia il bimembre, trattando di economia in stile ''guarda che io so, ho un intelletto e mi piace si sappia di me che so, sì da deliziare i miei spasimanti alla fiamma ossidrica e trovo questo trovo quello e trovo qui e trovo su e penso penso penso che, se si tassassero le parole, la pecunia dovuta al figlio di paparino stomachino enfiato non basterebbe a rifusione del diritto d'ingresso per lo spettacolo dirimente in prima fila o golfo mistico". Il culetto smagliato cova al caldo l'uovo di Colombo, al tepore di una riga di testo che frulla vistose sinestesie, paccottiglia dissonante da non salvarci niente, mentre gli altri, pacifici o no, per fortuna non hanno le orecchie per piangere, né figlio di papà a sua volta figlio non unigenito di papà papesco, difettano in sapienza o cattolica panaceica e brandiscono una politica di sé e da sé molto più forte della tua, della mia. La Politica delle Palle che mi sa che vedi sulle maniche dell'Albero di Natale, o rattrappite nelle mutandine e quindi povere di attributi. Le proteste, soprattutto se violente e violente becere, non vanno cavalcate, no, vanno ascoltate, quale che sia il grimaldello. E fu disperazione, solitudine, solitudine e disperazione. Un altro pivellino moscio, abbandonato, nevrotizzato e incapace d'amore per encomiata virtù, ma solo per una sorta di fancy rivissuta in una memoria letta in qualche sottoprodotto di foliazione avulsa, perciò non meno amena. Le sento ancora quelle, le sento nella testa le sue uccellaggini da menopausata che non sa se prenderselo una volta o prenderselo e basta. Prenderlo fa male, fa maleeeeh, soprattutto lì dove la tua anima di pulcra vestale se ne fa così tanti da non ricordarsi il nome del successivo, doloroso se inane... fa male alle intellettuali della domenica. E' un po' un vetero-qualcosa, sorpassato e codardo e lo vedo spiedato al forcone quale trofeo di lunga battaglia. Ma veniamo a noi, alla gastroscopia-portami via. Il mio stomaco ha deciso di darsi delle arie, come se già non bastassi io, e dunque aggiungete al meteorismo tante belle cosine, regalini natalizi, che sono il retaggio di un rigurgito da forconi intimidatori contro qualcosa sovrastante, poltronista per antonomasia (quant'è fighissima 'sta parola!), nei pressi delle corde vocali che, se Lui proprio proprio mi ritiene in stato di disgrazia, non funzionano bene e non funzioneranno per un po', sporche, irritate, malate, perennemente in flogosi. E oggi saprò di che morte devo morire. Ché poi, ora, detto tra me e voi e l'universo, se il trattamento farmacologico non attecchisce più, che dindirindina mi fate? La Fundoplicatio? Cioè, volete entrare nei visceri e trastullarvi a mo' di piccolo macelchimico con analoghi bastoni puntuti, aggeggi demoniaci e robe da Terzo Reich? Nel mio stomaco virgineo? Mica cotica ambulatoriale, o pizza e fichi canterini, è un'operazione vera, tipo mia nonna che "sotto ai ferri" non ci vuole più andare. Come darle torto? A ogni buon conto, se dovessi avere qualcosa di brutto all'esofago (cacato sotto io, lo devo ammettere), e mi restasse poco tempo, vi prego di seguire le indicazioni qui di seguito:
1. Prenotatemi un volo per l'Australia. 2. Prenotatemi un volo per Nuova York. 3. Prenotatemi un volo per Madrid, solo andata, poi al ritorno ci penso yo. 4. Finite il mio romanzo nell'armadio, non importa di che natura sarà il salto stilistico tra voi e me. 5. Ho una 20ina di canzoni nel cassetto, ascoltatele almeno. 6. Niente espianti di vegetazione al mio funerale, per cortesia. Un girasole steso sulla bara andrà benissimo. 7. Scegliete canti allegri e pasquali, nulla di triste. 8. Tenete lontani tutti gli indegni a darmi l'estremo saluto. 9. La sera stessa vedetevi per una scorpacciata di Panzerotti e Churros e Cioccolato a fiumi. 10. Cantate. Cantate e basta. E leggete. Tanto.
  Il decalogo dell'ultimo giorno è stato stilato. Posso concludere qui. E che nessuno si riconosca pretenziosamente nelle mie parole. Se ho bisogno di dire qualcosa a qualcuno che voglia e meriti l'onore di un contraddittorio, lo interpello direttamente. Nella migliore delle ipotesi: non v' penzc propriej.
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nereoblog-blog · 11 years ago
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Cinque motivi per non approfittarne
Inchiesta demoscopica indesiderata. Cosa pensi? Nei panni di una morale degli altri non sai mai quello che ostendi.
Mi è capitato ultimamente di raccogliere opinioni, a tutti piace averne, e lo zoccolo duro è pressappoco quello dello snobismo o alterità da passerella sulle acque o altezze vertiginose a superar tacchetta sul mondo. Giudizi fast-food, calorici e cancerogeni. Ve li rendo così come sono passati al di qua del mio nasino coreografico.
  1. Hai il fisico da Barbie. Di plastica. Amen.
2. Non sono alla tua altezza, evidentemente. E così sia.
3. Troppo riflessivo per i miei gusti, troppi contorcimenti (contorcimenti è mia, non esageriamo). Nei secoli.
4. Troppo diverso da me, io vado all'osso. Requiescat.
5. Troppo intelligente per me, io per far prima uso la k. Preghiamo.
Vagliando il tropario.
Ho un fisico da che? Di che? Il raffronto ecologista non può che dare all'innominabile pro-differenziata lo slancio atarassico per esopizzare che, non arrivandoci mica mai al bambolino, è riciclabile, e distanziarsene quale Ken non assurto.
Non sei alla mia altezza? Parliamone. Io gradisco solo più scafatezza della media nell'articolazione della tua lingua madre, la cui padronalità dimenticata, con l'aggravio delle voci di attribuzione honoris causa a un certo Volo, mi fa perdere pathos patriottico. Proprio non riesco a digerire un modo di scrivermi quei testi raffazzonati, sintatticamente pruriginosi, senza un accenno di orchestrazione originale. E' vero che interrompo le conoscenze per una mancata consecutio, è vero che mi sovviene di liquidare personcine garbate e di bella presenza con un laconico "scrivi male!", ma è più forte d'ogni istinto all'accoppiamento, per il quale peraltro provo vergogna. Se la tua persona, ammesso che sappia d'esserlo, è linguisticamente precaria, mi dispiace, non è questione di centimetri, è che io mi son proprio rotto di sprecare fiato con i vuoti a perdere. Mi indispone, poi, insegnare senza remunerazione adeguata.
Troppo riflessivo. Troppo, sì, e ne vado fierissimo. Se non si praticasse uno scampolo di lussuria da masturbazionismo cerebrale, cosa ci troveremmo mai di così interessante nella copula seguente? L'amore si spancia sulla mente affamata di chimere, sulle narrazioni che erigono, sulle illuminazioni astraibili, a filo scoperto. Adoro i logos complessi, suffragati da un'interiorità scrutatrice, il kamasutra pensativo mi eccita più dell'accidia missionaria. Non resisterei a lungo in una relazione senza redigerla virgola dopo virgola nella mia mente, senza menù tragico in versi, senza che l'altro sia l'editore ostinato del mio acidulo pamphlet, sarebbe sciocco e sintetico. Prima di farlo, se ne parla a gogò, si spende in fantasticheria, non è concesso diritto di lesina. L'immaginazione è l'unica speranza che abbiamo per sopravvivere ai/alle bastardi/de purgatoriali. Nella mia vita posso dire d'aver amato i drammi e le immaginazioni piuttosto che le persone.
Tu vai all'osso. M' fasc piaceer. O sei reliquista, e quindi anche mercante e falsario, o cannibale o non so che altro potrebbe farmi paura della tua ortopedia. Stai bene dove stai, nella nostra indiscussa diversità.
Troppo intelligente? Usi la k per far prima? Io dico e scrivo solo quel che mi piace, faccio quel che mi piace e diverte, frequento gente piacevole, il mio è principalmente ricordo inseguito dal piacere di un piacere. Intelligente o no, se usi la k perché fa figo moderno social e te ne compiaci, in barba a quanto sia profonda la fossa che ti scavi, sei da mazzuolare, e non intendo che mi aduli per trovare cavilli via via più scemi a margine della sparizione. Ammettere d'essere meno intelligente di un altro non è modestia, è l'atto di mistificata piaggeria ove è nascosto l'attaccamento biberonesco al tuo complesso psichiatrico narcisistico per indurmi a lusinga compensativa, alla gara tra chi di modestia ferisce e perisce. Vada che a me le robe complesse piacciono, ma dirmi che non mi trovi adatto a una vitaccia scopereccia saprebbe di meno farsesco... ma che ne sai, poi? Proponi. Se intelligenza è sinonimo di impegno, allora basterà dire che no, che non ti impegni, invece di abbracciarmi fingendo pure di volermi conquistare. Vuoi finire a letto, una volta o l'altra? Dillo e basta, mi adeguerò. Chi dice che io voglia impegnarmi? Io sono tutto da ricostruire, proprio da smontare e rimontare formato ikea. E ne faccio volentieri a meno dei komplimenti.
Ot, ma neanche tanto: ciò che mi spaventa di più oggi? Le lauree date alla cazzo, a canidi e sùidi, e la morte.
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nereoblog-blog · 11 years ago
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a e b
Mi ero ripromesso di farlo. Lo faccio. Ode alla palestra, o s'ode quasi, o sode in tutto, le chiappe al vento. Statuarietà del pensiero, del muscolo fibrillante, dell'incavo scoperto, del gluteo da morso non vigilato, che li rizza a ogni piè sospinto, con me spinto, proprio inficcato nel voraginoso budello da imbuto celestiale, fortunamente pre-promiscuo, mai all'assalto; me ne infischio dello sguardo fissativo che, infusa lussuria, concupisce a forte distanza, amando già solo l'idea d'essere a cospirare nella stessa breve linea di tropico ebollente. Ah, quei corpicini intasati di valina, leucina, finanche isoleucina, parlanti in lingue sconosciute, in un farfuglio mistico e io come haremizzato, belli da scorporare, a forza di colpi senza pietà, mi stuprano idealmente e glielo lascio fare nella testa canterina, la la la ♫♪, glielo lascio fare che nemmeno la pornografia più spettinata sa come zumare quel sesso inferocito nel momento in cui sta venendo, avvenendo in copiosa onestà, in difesa del principio di bellezza che loro assumono quale ragione di forza e immortalità. La prosopopeica grecità della madreperlatura nell'ossatura, la gozzoviglia coriacea sul petto, dei quadricipiti, dovunque voglia trovarsi... la cosa mi fa piuttosto innamorare. Nei miei esercizi sogno una vacuità di spazio dai bilancieri intorno, con le mani che toccano e spintonano sino a vampirizzarmi il bottino, via le interdizioni, solo, dentro un orgiasmo di bei manichini che sfuriano i loro desideri nascosti facendomi sentire vittima immacolata, la loro adunghiata conquista, l'amato porto d'attracco. Il centro della mascolinità mia e sua, femminilità appartata ma squadernata nel polso. Mi sono innamorato almeno 128 volte in questi due anni di onorato tapis-roulant, mi sono innamorato di a che sta con b, fanno scialba coppia fissa, la morte di un potenziale, li intitolerò così. B è quanto di più narcisistico abbia voluto generare l'inconsistenza, è proprio uno spreco di carne umana, su quella inutile faccia smunta di quella costituzione anoressica che al primo refolo viene giù. Saltella senza nerbo, senza propulsione di ginocchia, sfila i costumini imbarazzanti sfidando la mia pazienza, e io, che cerco di replicare mufloni, la perdo. E lì che la baresità, peraltro mai taciuta, si accende, e lì che l muert d kedda dii che si naat, ma mamt non s n pteev scii o cin'm k dattand? A è perfezione istituzionalizzata, è la venuta di Cristo sulla terra, è quel qualcosa che la mia lingua non sa esprimere se non baciando o leccando, è tripudio assemblato di cellule ariane, e non se ne viene a capo di come possa essersi affiliata a una b cadaverina così ina da salvare la dignità delle moscerine. Me lo chiedo ogniqualvolta li vedo, ché poi nemmeno si sfiorano... non un'ansia, un sospiro, uno sdilinquimento d'occhi, non una palpugnatina notata solo da me che li tengo d'occhio come uno squalo con la preda, stiano pure sicuri. E' inammissibile. Palestra, palestrona steroidea e anabolicenziosa mia, per piccina che tu sia, tu mi sembri una falegnameria, se proprio vuoi darmi piacere, tu che di certo non sei stata concepita per darmelo, potresti, su mio disinteressato suggerimento, far cadere in disgrazia la seconda lettera dello alfabeto? Nulla di grave. Dato che è pieno di specchi, pure una specie di sindrome da riflesso distorto, la fobia di guardarsi per avvedersi del brutto che ha fuori e che svilisce ciò che ha un che e che impara a zoppicare. Io mi prendo a, per sempre. Sarebbe più utile al mio fianco e non solo a quello. Di utile al mio fianco non è mai arrivato niente. Mz.
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M: ma secondo me non capisce una parola di ciò che scrivi!
I: già. Avevo il sospetto che fosse poco intelligente.
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nereoblog-blog · 11 years ago
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se ti capita, però, e hai tempo/voglia di farlo, leggiti anche il post che ha scatenato quella stupida domanda: Val tanto vale. un abbraccio, drown g.
Lo farò. D
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nereoblog-blog · 11 years ago
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E non ti sei mai chiesto quanto tempo hai sprecato a non dire quello che pensavi e a dire quello che non pensavi per conformarti al non pensiero dominante e non pensarci più? O a perfezionare un’illusione d’amore che con l’amore c’entra come un finocchio canterino in un acquario sospeso tra le stanghe di una gabbietta? E dove lo metti il tempo sprecato dentro e fuori e avanti e indietro in qualche stupida carne incapace di suscitarti una sola parola di qualità per rompere la solitudine almeno l’istante dopo?
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nereoblog-blog · 11 years ago
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Quelli che non valgono niente 2.0
Facevo una riflessione, no, sugli um-ani pindarici, quelli che vanno di fiore in fiore e si affrancano, indegnamente, o più degnamente per me che per loro, dal recinto da essi medesimi fabbricato, con la staccionata bianca prognata di venature lignee a ghirigogoli, a girelli svolazzanti e intarsi incisivamente incisi da mano triplice. Gli intrecci capricciosi per sfamare la materia nichilista della noia dei loro "del tutto" vuoti, no?. Be', l'altro bel giorno, nel mio ancora poco smussabile paraordinato quotidiano, scorsi uno di quegli uccel di bosco in quaestione in flagrante pronuncia affettata di una lingua morta, parecchio sopravvalutata, nella sua hýbris storica che serve a delineare un figura al di sopra degli altri, perfino al di sopra di sé, così al di sopra da ritenersi soffittuaria, così fuori dalle orbite da prevedere di tentare di gareggiare in superbia, scritta, con me. La volatile, lì, era una persona che si credeva "totale", aveva avuto tutto dalla vita e trovava ch'io fossi poco conforme al tutto della vita. Ma non voglio più giudicare, ora si sappia solo che lasciare la via vecchia costellata di piccioni e caccole per la nuova di piccioncini e escrementi odorosi, o il semplice allontanamento programmato nel perfetto schema della tradizione icarologica, ammesso che si avessero le ali forti e bene assestate all'Omèro per compiere tale coito gravitazionale, significa non valere niente. Uffafuffa, non volevo giudicare, è una specie di lapsus calami. Assieme a lei c'è quell'altra, lì, o quell'altro, il sesso lo sa solo lui, o lei, a meno che non si chieda al suo sedere di parlare chiaramente, o ai négligés nascosti in qualche scheletro di qualche armadio, indi nascosti bene, ma non l'ho visto, no, quel beato tra i beati è vieppiù convinto della sua vita totale da ritenermi una specie di profondo apparente, convenzionale, da ignorare in ogni caso. Non capisce l'inutilità del rispondere alle mie istanze, sebbene abbia voluto accedere al campo dei valori di chi non vale niente, perché varrà sempre qualcosa, anzi, per entrambi è proprio quello aggiunto. Nella sua logica "totale", stringente, io mi ritrovo rovesciato contro le pareti del cuore, senza mai riuscire ad amarmi. Ma la vigliaccheria d'aver creato un legame che brucia, con me che li tesso infuocati e li tengo braccati nella pelle - e non li seppellisco giammai se non a onor d'inerzia - con l'intenzione, poi, di svicolarsi al primo pretesto disumano, è l'evidenza che fa dire di certe persone che non valgon niente davvero e che se spariscono, o si dimenticano di me, può essere solo un bene, una vittoria, una festa da festeggiare fino all'orgasmo vero e non simulato. Io mi occupo d'arte, letteratura, lingua, filosofia, non d'archeologia, ho smesso di rinvenire fossili da restaurare. Saranno loro a ricordare, a parlare o sparlare del sottoscritto, perché gli umani come me, abituati a lottare e durare, a insistere e resistere, danno filo da torcere e lingua da arrotolare.
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