Text
LA MADONNA DELLO SCHIAFFO DEL DUOMO DI VERCELLI
- (Testo di KATIA CERETTI - si prega di citare la fonte nel caso di condivisione; foto: dal web) -
(In foto: la Madonna dello Schiaffo, conservata in una nicchia all'interno del Duomo di Vercelli)
Bentrovati cari amici! Il vostro Guala vi aveva promesso altre novelle antelamiche, ed eccovi accontentati. Oggi parleremo della celeberrima statua attribuita all’Antelami e conservata all’interno del Duomo di Vercelli: la Madonna dello Schiaffo. Dato che siete molto curiosi vi chiederete il perché di tale denominazione; e allora io sazierò la vostra sete di conoscenza.
La tradizione riporta che, nei primi anni del Seicento, un tal Raroto, infuriato per una perdita di denaro al gioco, si scagliò contro la statua della Madonna e del bambino, schiaffeggiandola. Da quel momento un livido scuro apparse sulla guancia della Vergine e sulla fronte del Bambino Gesù, conferendo il caratteristico nome di “Madonna dello schiaffo”.
Essa si trova dentro una nicchia all'interno della omonima cappella della navata sinistra, alla destra del presbiterio. (foto sotto):
La statua è sempre stata molto venerata dai vercellesi ma molti sono sempre stati i dubbi di natura storico-artistica che hanno arrovellato generazioni di studiosi d’arte. Così nel corso dei secoli sono state fatte varie ipotesi sulla sua origine: la più antica è quella del canonico Marco Aurelio Cusano che sostenne che la suddetta statua facesse parte di un antico pergamo scolpito dallo scultore-architetto Benedetto Antelami. Ma come si è arrivati ad attribuire tale opera ad celebre scultore del Ciclo dei Mesi di Parma? Attraverso alcuni documenti che fanno riferimento ad una nobildonna parmense che sborsò una ingente somma di denaro per finanziare tale costruzione. Essendo ella di Parma, il collegamento da fare venne spontaneo. Ma due più due non fa sempre quattro e ad oggi questa attribuzione pare assai azzardata (soprattutto al sottoscritto). Vediamone le ragioni.
Il volto della Madonna e del Bambino tradiscono sì un rimando ad una tradizione antelamica (basti pensare ai volti squadrati ed allungati delle figure dei Mesi del battistero di Parma, ma non solo - vedi foto sotto, Gennaio):
oppure ancora la Regina di Saba (data al 1200), sempre conservata a Parma ma all'interno del Museo Diocesano:
I panneggi però ci fanno capire quanto la Madonna dello Schiaffo sia ben lontana dai canoni antelamici: le pieghe sono pienamente gotiche, esse aderiscono al corpo in maniera naturalistica; inoltre la posa delle due figure è naturale, morbida, fluida. Ora torniamo ad osservare la Regina di Saba e la personificazione del mese di Gennaio: cosa c’è di diverso rispetto all'opera vercellese? Sempre il panneggio: Antelami recupera sì elementi della tradizione classica (non a caso si formò in Francia, dove il Gotico già alla fine del XII secolo si stava sviluppando sia in architettura che in scultura, e dove gli scultori recuperarono tutta una corrente di pensiero artistico nonché filosofico dagli antichi greci e romani), ma cosa fa? Egli li rende più lineari, schematici. Vediamo il panneggio della regina di Saba: la gamba alla nostra destra funge da sostegno così che quella alla nostra sinistra è piegata in avanti: così la veste sembra appiccicarsi alla gamba creando un effetto simil-bagnato (grande novità introdotta dalla scultura greca: basti pensare a Prassitele - vedi foto sotto - Atena Chiaramonti, copia romana del II secolo d.C.):
Inoltre le statue parmensi dell’Antelami, pur essendo frutto di una mescolanza di elementi gotici e romanici, presentano ancora molti elementi di arcaicità: le figure sono ancora legate ad una visione geometrica del corpo (molto ben evidente nel mese di Gennaio) che, se da un lato supera la concezione bidimensionale, però dall'altro non arriva al tutto tondo tipicamente gotico (le figure della Deposizione di Parma iniziano a staccarsi dal fondo ma siamo ancora ben lontani dai risultati innovativi nati nelle cattedrali gotiche francesi, come le famose “statue-colonna” di Chartres. Siamo insomma in un momento che oserei definire “di transizione”: una transizione però scelta consapevolmente dall’Antelami quale stile che avrebbe reso le sue opere inconfondibili. Uno stile che diverrà molto amato da alcuni seguaci formatisi presso la sua scuola (detta Antelamica) e che daranno filo da torcere agli storici dell’arte nella matassa interpretativa dell’età Moderna e Contemporanea. Abbiamo già parlato del caso della lunetta del portale dell’Abbazia del Sant’Andrea di Vercelli e di come sino a qualche decennio fa in molti fossero concordi ad attribuirla all’Antelami.
(FOTO: portale della Vergine, Battistero di Parma, Antelami, 1196-1214)
Nella lunetta della Vergine di Antelami notiamo invece come lo scultore abbia sì iniziato a staccare le figure dal fondo ma non totalmente e come esse siano ancora sproporzionate, poco naturalistiche e dai volti ripetitivi. La Vergine al centro è grande il doppio rispetto ai Magi in quanto figura protagonista. Non ci ricorda qualche cosa questa scelta gerarchica? Ebbene sì: l’arte bizantina. Anche nella ieraticità e schematicità possiamo trovare un punto di contatto con le opere pittoriche (in quanto di scultoreo si è conservato ben poco) provenienti da Oriente. Antelami quindi mescola volutamente elementi dell’arte romanica, gotica e bizantina.
Un altro confronto interessante è quello col Pergamo di Nicola Pisano (nella foto in alto: la Carità, Pergamo del Duomo di Siena, 1265-68): siamo nella seconda metà del XIII secolo, Antelami muore nel 1230, e notiamo le immense differenze rispetto alla Regina di Saba, al Ciclo dei Mesi di Parma oppure alla lunetta della Vergine sempre di Parma. Il panneggio è naturalistico, le pieghe sono spezzate, aderiscono al corpo mettendolo in evidenza; il volto perde quella forma rettangolare tipicamente antelamica e inizia ad assumere una espressività (è chinato verso destra, la bocca è dischiusa quasi a voler accennare una parola o un profondo sospiro). Con ciò non si vuol affermare che l’Antelami avesse realizzato delle statue totalmente inespressive! Piuttosto intendiamo asserire che è sempre con l’Antelami che prende avvio quel processo in cui si inizia a caricare i volti di espressioni ma che raggiungerà la perfezione con Nicola e Giovanni Pisano, ossia in piena età Gotica.
(FOTO: Giovanni Pisano, statua funeraria dedicata a Margherita di Brabante di Lussemburgo, 1313-14, Genova).
Ma torniamo alla nostra Madonna dello Schiaffo e occupiamoci di fare altri raffronti antelamici per comprendere quanto poco ci sia di antelamico in essa.
Nella foto in alto possiamo osservare la Madonna di Fidenza attribuita a Benedetto Antelami: anche qui possiamo fare un raffronto coi panneggi.Quello della Madonna di Fidenza si avvicina di più a quello della Madonna vercellese ma possiamo notare come le pieghe siano ancora non pienamente gotiche e quindi non ancora pienamente riuscite rispetto a quelle della Madonna dello Schiaffo: esse sono sottili, grafiche, tubolari, aderiscono sì al corpo ma quasi in maniera barocca e non equilibrata. Inoltre il volto è molto rassomigliante a quelli del ciclo dei Mesi e alla Regina di Saba: rettangolare, massiccio, quasi mascolino, la figura pare austera e dotata di maggior rigidità, con tratti fisiognomici delineati solo all'essenziale. La statua ci trasmette quindi nel complesso un’idea di ieraticità, a cavallo tra l’arte romanica e quella classica romana.
(FOTO: particolare del volto della Madonna di Fidenza, vista di profilo, per far notare il volto massiccio e ancora relativamente naturalistico).
Nella foto in alto troviamo invece la Madonna di Fontevivo, sempre attribuita all’Antelami, datata al 1190 e realizzata a Parma. Qui si può notare con ancora maggior chiarezza rispetto alla Madonna di Fidenza quali siano stati i tratti peculiari del “primo Antelami”: abbiamo ancora una figura massiccia, non solo dal volto ma anche dal corpo robusto, dal volto squadrato, dal panneggio morbido ma non ancora gotico, privo di quelle pieghe dette “ a goccia” che invece diverranno tipiche per buona parte dell’età Gotica. Tale sensazione di rigidità ci viene trasmessa anche dalla figura del Bambino, dai piedi leggermente troppo grossi e dal volto molto robusto, che ci rimanda al alcuni busti di età imperiale. Qui c’è qualche cosa di ancora più arcaico rispetto alla Madonna di Fidenza, che emerge dal volto ma soprattutto da uno sguardo d’insieme rivolto alla scultura (a me viene da paragonarla ad una roccia talmente la percepisco dura, compatta, ieratica).
Quindi abbiamo visto come l’elemento che ci permette di asserire che la Madonna dello Schiaffo non sia un’opera realizzata dall’Antelami è essenzialmente il panneggio, troppo gotico per far parte di un’opera che come datazione tarda potrebbe avere al massimo il 1226/28.
Per smentire ulteriormente tale teoria (attenti visitatori! Essa si trova ancora scritta in molti libri ma soprattutto all'interno dello stesso Duomo di Vercelli) facciamo un ultimo ma importante passo: confrontiamo la nostra statua vercellese con altre sculture autografe di età Gotica:
1)LA MADONNA COL BAMBINO DI ARNOLFO DI CAMBIO (detta anche Madonna dagli occhi di vetro), conservata presso il museo dell’Opera del Duomo di Firenze e datata al 1300-1305. Prima osservatela attentamente e poi scorrete in basso.
Non ricorda incredibilmente la Madonna dello Schiaffo? Va bene, il volto è meno antelamico ma il panneggio non vi pare molto somigliante? Non è un caso che questa statua sia del XIV secolo. Potremmo quindi avvicinare la Madonna del Duomo di Vercelli alla fine del XIII secolo - inizi del XIV secolo? Perché no!
2)LA MADONNA COL BAMBINO DI GIOVANNI PISANO (1305, Cappella degli Scrovegni, Padova): siamo sempre nei primi del XIV secolo ma in questa statua vi è qualche cosa di ancor più diverso rispetto alla Madonna di Arnolfo di Cambio. Le figure perdono totalmente quella ieraticità che aveva caratterizzato l’arte antelamica, ma soprattutto sembrano più allungate (caratteristica che diverrà tipica della scultura gotica francese). Inoltre essere non rivolgono lo sguardo allo spettatore ma lo ignorano, poiché comunicano solo ed esclusivamente tra di loro...e guai a chi interferirà!
Ci troviamo difronte ad una evoluzione del modello Arnolfiano: una Madonna ancor più “mobile”, meno tradizionale, che più si avvicina a quelle statue che vanno a ricoprire le immense cattedrali della Francia. Ciò che colpisce profondamente è la sinuosità del corpo della Vergine, leggermente inarcato e la profonda umanità che la caratterizza.
Cosa potrà mai centrale la Vergine di Giovanni con quella di Vercelli?
Un piccolo collegamento lo si può trovare nel volto del Bambino: certo, manca quella innovazione che solo un personaggio eccezionale come Giovanni Pisano avrebbe potuto rendere ad uno schema iconografico tradizionale, ma il sorriso del bambino della Madonna dello Schiaffo tradisce una espressività nuova che, pur non coinvolgendo esclusivamente la madre e il figlioletto, però appare vicina a quella ricerca di moti d’animo che Pisano realizza in maniera ineccepibile.
Insomma: la Madonna dello Schiaffo appare più un’opera gotica che antelamica, o per lo meno di uno scultore gotico ma con reminiscenze antelamiche ben visibili ancora nei lineamenti dei volti. Potremmo datarla alla seconda metà del XIII secolo oppure agli inizi del XIV secolo.
Di tale parere è anche Anna Maria Brizio che nel “Catalogo delle cose d’arte e di antichità d’Italia - Vercelli” del 1935, pag.73-74, afferma che “[...] Lo stile, invece, per l’abbondanza del panneggio, d’un gotico assai evoluto nella disposizione delle pieghe, e per il naturalismo della concezione, indica una epoca più tarda, non anteriore alla fine del XIII secolo e probabilmente anche del principio del Trecento. Se lo schema della composizione è ancora antelamico, un confronto con la Madonna della Porta della redenzione al Battistero di Parma fa vedere chiaramente quanto ne differisca il trattamento stilistico.”
#Benedetto Antelami#Duomo di Vercelli#Arte tardo romanica#Statuaria gotica#influssi antelamici#arte gotica#Vercelli#Arte medievale del Nord Italia#il Duomo di Parma#Il ciclo dei mesi di Antelami#Il Duomo di Fidenza#Anna Maria Brizio
0 notes
Text
LA LUNETTA DELL’ABBAZIA DEL SANT’ANDREA DI VERCELLI
(Testo e foto di KATIA CERETTI - è severamente vietata la riproduzione delle foto senza il permesso dell’autore - ALBUM COMPLETO: https://www.flickr.com/photos/96501208@N06/albums/72157675577040600)
Buonasera amici e ben trovati.
Sono passati alcuni mesi e mi scuso per l’assenza ma gli impegni di uomo di chiesa mi hanno tenuto lontano dai nostri appuntamenti.
Dato che la Pasqua è vicina ho pensato di mostrarvi un dettaglio di un luogo da me particolarmente amato: la lunetta del portale dell’abbazia del Sant'Andrea di Vercelli.
Forse alcuni di voi non sanno che sono stato io l’ideatore di tale monumento e che ho fatto venire dalla Francia e dall'Italia maestranze specializzate per realizzare questa impresa. La fondai nel 1219 e la feci terminare nel 1227: fu un lavoro che occupò giorno e notte la mia mente. Essa era sempre nei miei pensieri in quanto frutto e simbolo della potenza di Dio. Amai con tutto me stesso questa creazione, a tal punto da completarla con un portale istoriato di ispirazione antelamica.
La cattedrale è uno dei rari esempi di arte “bilingue”: molti difatti sono gli elementi gotici che la caratterizzano, come gli archi rampanti, la tendenza a svilupparsi verticalmente, l’assenza di affreschi e le sublimi vetrate istoriate che, ahimè, oggi sono andate perdute (chissà dove sono finite...anche se io ho qualche idea al riguardo); ma numerosi sono anche quelli romanici, quali i portali, gli archetti pensili, la modularità che dalla facciata ritorna anche all'interno.
La nostra abbazia, pur essendo splendente, non ha troppe pretese:essa è difatti appartenuta all'ordine cistercense, che tanto predicava la povertà evangelica e che trovò in Bernardo di Chiaravalle uno dei massimi personaggi propulsori. L’abside è piatto, gli affreschi praticamente assenti in quanto preferimmo sfruttare le alti pareti come supporto a finestrature istoriate. La luce infatti è il simbolo di Nostro Signore ed essa deve avvolgere i fedeli durante le funzioni.
Ma con questo articolo non voglio raccontarvi la storia dell’Abbazia, anche perché non basterebbe una sola puntata, ma mi piacerebbe analizzare assieme a voi lo splendido portale antelamico, quello posto ad ingresso della navata centrale e che è stato da pochi mesi ripulito dal Consorzio San Luca.
La lunetta rappresenta il Martirio di Sant’Andrea: al centro vi è il martire crocifisso similarmente a Cristo, e di dimensioni decisamente maggiori rispetto agli altri personaggi. Alla sua destra compaiono il proconsole Egea e altri due uomini intenti a legare il Santo allo strumento del martirio. Il proconsole è assiso e con la mano dà ordini ai sottoposti. A sinistra invece vi sono tre fedeli: un giovane, un uomo con la barba ed una donna con il velo in testa, che ci ricordano i Dolenti della canonica Crocifissione.
L’intera scena si trova racchiusa da una cornice scanalata, ornata da motivi floreali ed elementi architettonici decorativi a forma di tralcio di vite. Al centro dell'arco è presente la figura di un angelo, con in mano una corona che serve per trasportare l'anima del santo in paradiso (vedi foto sotto).
La lunetta è stata realizzata tra il 1220 e il 1225 da uno o più scultori di chiara ascendenza antelamica (resta ad oggi il dilemma tra gli studiosi se sia stato lo stesso Antelami ad intervenire in tale opera o se piuttosto, più credibilmente visti i caratteri stilistici più rozzi rispetto ad altre opere firmate da Benedetto, siano intervenuti dei suoi allievi oppure degli artisti che si ispirarono al suddetto stile).
Andiamo ad analizzare alcuni particolari per cercare di comprendere la ragione che spinge i più a dichiarare l’impossibilità dello zampino dell’Antelami.
1)LA DEPOSIZIONE ANTELAMICA DAL DUOMO DI PARMA:
fu una delle opere più importanti di Antelami, e anche delle più precoci durante il suo soggiorno parmense (risale al 1178). La cornice rimanda a modelli classici data la ripresa degli elementi floreali niellati (ma anche ad imitazione di opere d’arte suntuaria contemporanee). Cristo al centro viene deposto dalla croce da Giuseppe di Arimatea, mentre le donne ne piangono la morte. A destra i centurioni romani si giocano a dadi la tunica. Nel mentre, in alto, due angeli scendono a chinare le teste di alcuni partecipanti, rimarcando la necessità dell’umiltà difronte a tale sacrificio. Altri elementi d’ispirazione classica sono i due tondi contenenti le personificazioni del Sole e della Luna, simboli che trapassarono nel Cristianesimo con la sua nascita.
Notiamo come le figure siano più proporzionate: lo stesso Cristo non risulta di dimensioni maggiori, rispetto invece al Sant’Andrea vercellese. Inoltre i movimenti e i dettagli anatomici risultano essere più armoniosi e realistici, seppur sia ancora presente una certa “goffaggine” ed arcaicità che lega l’Antelami ancora a modelli romanici (come la scultura del duomo di Modena di Wiligelmo). Di gotico vi è essenzialmente la nuova tendenza verso un realismo più marcato, che però troverà maggior sviluppo in Francia qualche decennio dopo.
I personaggi sono ben definiti, e con ciò intendiamo che risultano essere ben staccati dallo sfondo (altra tendenza che caratterizzerà il precoce Gotico francese: basti pensare alle statue-colonna di Chartres).
In foto: il portale dei Re e delle Regine d’Israele, Chartres, 1145 - 1155
In foto: i due gruppi scultorei della Cattedrale di Reims, prima metà del XIII secolo
-Quindi, mentre in Italia, nella prima metà del XIII secolo il Gotico non si era ancora pienamente sviluppato in architettura e in scultura, in Francia invece esso era ben evidente sia nei volti delle statue di Chartres e di Reims, estremamente caratterizzati fisiognomicamente e figure ormai a tutto tondo trattate come se fossero degli elementi architettonici, sia nel mercato verticalismo delle sue guglie e dei suoi pinnacoli.
L’Italia non avrà mai un Gotico identico a quello francese (e il Sant’Andrea di Vercelli ne è la prova): ma sarà un Gotico perennemente legato ad elementi della tradizione romanica, che mai abbandonerà la nostra penisola. Basti pensare anche alla chiesa di San Francesco ad Assisi, oppure al Battistero di Parma. Dovremmo aspettare il XIV secolo per avere un Gotico svettante col Duomo di Milano. Ma questa è un’altra storia. -
In foto: particolare della Deposizione dell’Antelami
2)IL MARTIRIO DI SANT’ANDREA:
qui invece il nostro Santo è decisamente sproporzionato rispetto agli altri personaggi che compongono la scena (egli è alto circa il doppio). Inoltre nei volti vi è ancora una certa lontananza nei confronti del realismo antelamico: essi sono più schematici, idealizzati e meno caratterizzati da particolari fisiognomici. Una certa goffaggine si nota anche nell'andatura della donna velata e dei due uomini che lavorano per il proconsole: quello che quasi abbraccia le gambe del martire per legarle ha una testa che stona con la posizione del resto del corpo.
Il dolore della donna col capo velato non è ben espresso: ella sembra piuttosto sconvolta ma non triste o disperata. Che sia stata volutamente realizzata in tal modo? Oppure lo scultore non sapeva come trasporre un dolore così profondo?
Infine notiamo che ancora ai giorni nostri si sono conservate tracce dell’originario colore, il quale è emerso con ancor maggior nitidezza dopo l’intervento di pulizia ad opera del Consorzio San Luca di Torino. Il blu, il rosso,il verde sono le tonalità sopravvissute, alcune delle quali molto alterate (come il verde della croce del martire).
Dunque: le differenze tra le due opere sono sottili ma notevoli. è quindi assai probabile che il mio amico Antelami non vi lavorò ma che scultori influenzati dal suo stile siano stati chiamati a lavorare a Vercelli (magari sotto la sua supervisione...chissà!). Non si spiegherebbe la differenza stilistica anche con opere più tarde del Maestro, come il Ciclo dei Mesi conservato all’interno del Battistero di Parma, oppure la Regina di Saba sempre a Parma.
(In foto: la Regina di Saba, Antelami, 1210-1215)
Per fare chiarezza dedicherò i miei anni di studio alla ricerca di qualche documento che possa aiutarci a sciogliere tale nodo, anche se, alla fine, ciò che conta non è tanto chi abbia realizzato tale opera ma piuttosto che essa sia sopravvissuta sino ai giorni nostri come testimonianza di un periodo meraviglioso quale fu il Medioevo, specie quel Medioevo né totalmente romanico né totalmente gotico che caratterizzò la fine del nostro XII secolo.
Amici, spero di avervi incuriositi e stimolati a fare qualche piccola ricerca. Mi auguro di poter arrivare anche a parlare della nostra bella Abbazia, anche se il lavoro che dovrò fare sarà lungo e faticoso. Voi ponderate, perché la prossima volta tornerò con novelle più saporite che mai!
Il Vostro Guala.
(In foto: la lunetta vista da vicino grazie all'impalcatura realizzata dal Consorzio San Luca, che ci ha permesso di salire per poter rimirare più da vicino tale capolavoro. Grazie di cuore).
Altre fonti fotografiche: Wikipedia.
#Abbazia di Vercelli#Sant'Andrea di Vercelli#Vercelli#Arte gotica e romanica#benedetto antelami#architettura sacra#katia ceretti#arte medievale#Guala Bicheri#Consorzio San Luca#Cattedrale di Chartres#Cattedrale di Reims#Gotico Francese#Statue-colonna di Chartres#Scuola antelamica#il duomo e il Battistero di Parma#il ciclo dei mesi di Antelami a Parma#La regina di Saba di Antelami a Parma#Museo Diocesano di Parma#Wiligelmo e la cattedrale di Modena
0 notes
Text
LA PIEVE DI SAN MICHELE IN OLEGGIO
(Testo e foto di Katia Ceretti - è severamente vietata la riproduzione delle foto senza il permesso dell’autore - ALBUM COMPLETO: https://www.flickr.com/photos/96501208@N06/albums/72157672892335050 )
-(è l’ora del tramonto e il nostro Cardinal Guala si è affacciato alla finestra col suo inseparabile gatto Enea a gustarsi un bel tramonto che preannuncia l’autunno, tingendo di rosso le alte vette delle nostre Alpi e il possente Sant'Andrea. Facciamo piano, entriamo in punta di piedi senza spaventarlo...)-.
Oh! Chi si rivede! Quanto tempo è passato dall'ultimo nostro incontro, cari Amici! Quasi un mese, se la memoria non mi trae in inganno! Volete sapere come ho trascorso queste ferie? Beh, non posso lamentarmi. Ho lavorato molto ma ho anche avuto modo di viaggiare altrettanto. Non mi basterebbe una vita per raccontarvi tutti i luoghi ameni che ho visitato! Cosa? Siete curiosi? Uhm...non saprei da dove iniziare...orbene! Sceglierò un luogo non troppo distante dalla nostra amata Vercelli: la pieve di San Michele a Oleggio, cittadina del novarese. Ebbene, incamminiamoci!
La città di Oleggio ospita uno dei più belli e ben conservati esempi di architettura romanica del Nord Italia. Io feci tappa quasi per caso in questo Comune di tredicimila anime; ciò che mi spinse sin lì fu il tormento di un povero curato di campagna ammalato, che era stato mio compagno al Seminario tanti anni fa, quando i capelli grigi non mi velavano ancora il capo e parevano così lontani... Ebbene, questa mia conoscenza viveva a pochi passa dalla Pieve di San Michele. Incuriosito entrai, prima però varcando la soglia del cimitero, sorgendo proprio dentro quest’ultimo. La struttura architettonica è molto semplice: la facciata è a salienti che lascia intuire la divisione interna in tre navate; la sua ripartizione in specchiature è sottolineata da lesene che si raccordano fra loro con archetti pensili. Il materiale con cui è stata realizzata comprende ciottoli di fiume frammisti a laterizi, che permettono così di conferire una cromia particolare all'edificio. La porta è stata posta in posizione decentrata, accentuandone così l’aspetto asimmetrico. Le pareti laterali sono anch'esse decorate da lesene ed archetti pensili in laterizio; in esse si aprono monofore fortemente strombate verso l'esterno. Lo stesso sobrio linguaggio decorativo caratterizza la superficie semicircolare dell'abside centrale e delle due absidi minori, che delimitano le navate laterali.
Entrando il buio ci invade. Tenui spiragli di luce appaiono da qualche monofora e servono ad illuminare solo l’essenziale. La Luce di Cristo giunge anche da una piccola finestrella a forma di croce presente nella contro facciata. L’interno è suddiviso in tre navate, quella centrale più grande rispetto alle due laterali, separate da pilastri rettangolari, senza base e senza capitello, collegati tra loro da archi a tutto sesto mentre la copertura delle navate è a capriate. In che cosa consiste l’arco a tutto sesto? è un tipo di arco la cui volta appare a semicerchio.
Non è un caso che in latino “sesto” andasse ad indicare il compasso, strumento con cui si realizzano i cerchi perfetti. L'utilizzo sistematico dell'arco a tutto sesto (e dell'arco in generale) si deve ai Romani, che lo appresero dalla poliedrica funzione che aveva tra gli etruschi e lo utilizzarono prevalentemente in funzione della praticità piuttosto che dell'estetica, pur senza escluderla. Cosa intendiamo invece per capriata?
Intendiamo la base sulla quale poggia il tetto, realizzata in travi lignee formanti un reticolato. La capriata venne utilizzata massicciamente in età paleocristiana come copertura delle prime basiliche. Si ipotizza che anche i greci avessero un sistema simile ma non propriamente identificabile con la capriata medievale. Nel periodo romanico iniziò la graduale sostituzione nella copertura delle chiese, delle capriate con le volte, prima nelle più piccole navate laterali delle chiese, poi, a via a via che gli artefici acquisivano dimestichezza e perizia con la nuova tecnica, vennero iniziate ad essere coperte anche le più alte e ampie navate centrali.
Caratteristica tipica della maggior parte delle chiese di età romanica è la sopraelevazione del presbiterio, al quale si accede attraverso una scalinata gemella. Al di sotto di questo si trova conservata in buono stato una cripta, essenziale nello stile tanto da avere rozze colonne ottagonali prive di capitelli. Un affresco è conservato sul fondo di quest’ultima: la figura di un vescovo, estremamente logora, troneggia al centro di una lunetta.
-(sopra) Cripta e affreschi della cripta
La pieve è documentata già a partire dal 900 ma fu edificata nei pressi di una più antica chiesa datata al VII secolo, quindi di età Longobarda. Gli scavi archeologici condotti nel 2001 hanno permesso di mettere in luce buona parte di questa precedente struttura: parte dell’abside viene coperto dal lato Nord di San Michele mentre l’interno ha rivelato una cinquantina di sepolture nelle quali fu utilizzato materiale romano come reimpiego per la costruzione delle casse. Che già nell’epoca romana sorgesse un’Ara? L’ipotesi non è così improbabile: era tipico sfruttare luoghi che erano stati interessati già nelle epoche precedenti a costruzioni sacre o profane in quanto presentavano delle peculiarità che li rendevano appetibili.
Ciò che rende speciale questa pieve non è soltanto la presenza di un’architettura che ha ancora molto del romanico, essendo stata intaccata pochissimo dagli usuali interventi Settecenteschi, ma anche la grandissima varietà stratigrafica degli affreschi che adornano a macchie l’interno. Dico “a macchie” perché ciò che si conserva è una minima percentuale rispetto alla grande abbondanza di decori che dovevano esserci sino al XVI secolo. Ma andiamo con ordine. Osserviamo subito l’affresco del “Giudizio Universale” della contro facciata: al centro vi doveva essere la figura del Cristo Giudice, quasi totalmente scomparsa, attorniato da gli Angeli, i Santi e la Vergine Maria sul registro superiore, mentre su quello inferiore gli Apostoli. Sotto questi ultimi, a sinistra, doveva esservi la raffigurazione del Paradiso (di questa rimangono solo tre Patriarchi che sostengono le anime dei Beati); a destra quella dell’Inferno (peggio conservata).
-(sopra) Il Giudizio Universale
-(sopra) Le anime dannate
Gli affreschi romanici occupano anche piccola parte delle pareti laterali: all'angolo con la contro facciata compare la scena del rinvenimento o traslazione del corpo di un Santo.
Accanto a queste immagini sacre convivono figure “profane” ma dal forte carattere simbolico, come profili di pavoni e di cervi.
Sono in questi momenti che mi piacerebbe poter tornare indietro nel tempo per vivere in quell’epoca e cercare di capire la mentalità estremamente simbolica degli uomini medievali! Essi comprendevano più i simboli delle parole mentre per noi, oggi, appare decisamente più complesso comprendere i simboli rispetto all’apprendere a leggere e a scrivere... Cosa potrebbe significare il pavone tra questo stuolo di Santi? Secondo i principi cristiani il pavone è il simbolo dell'uomo perfetto, giusto e santo, che non è corrotto da alcun vizio poiché, secondo l'opinione degli antichi, la carne del pavone è incorruttibile (Sant'Agostino). Come il pavone, che brilla di innumerevoli sfavillii, l'uomo giusto brilla di virtù, e come il canto del pavone mette in fuga i serpenti, l'uomo giusto mette in fuga il demonio con la sua preghiera (Sant'Agostino, De Civitate Deii, Lib.III, c.IV). l legame tra pavone e angelo viene ripreso nel Trattatello in laude di Dante di Boccaccio. «Il paone tra l’altre sue propietà per quello che appaia, n’ha quattro notabili. La prima si è ch’egli si ha penna angelica, e in quella ha cento occhi; la seconda si è che egli ha sozzi piedi e tacita andatura; la terza si è ch’egli ha voce molto orribile a udire; la quarta e ultima si è che la sua carne è odorifera e incorruttibile». Insomma: il pavone era assimilato alla figura dell’Angelo in quanto aveva penne che gli permettevano di volare. Una ulteriore accezione anche cristologica è quella secondo la quale il pavone ricorda lo Spirito Santo e la Resurrezione, poiché l'uccello in autunno perde il magnifico strascico che ricresce poi con i primi tepori, ricordando il tema gioioso della rinascita. Filippo Lippi, pittore toscano allievo del Botticelli, dipinse l’angelo dell’Annunciazione col penne di pavone.
-(sopra) Dipinto di Filippo Lippi
Il tema della sua incorruttibilità materiale e della sua bellezza porta il pavone ad essere spesso utilizzato in epoca rinascimentale, la riscoperta dei classici oltre che il forte simbolismo religioso ne fanno uno degli animali più presenti non solo nelle opere degli artisti del '400 ma anche nelle celebrazioni civili e militari del periodo. Invece in epoca classica, il pavone doveva evocare il mostro dai cento occhi, Argo, messo da Era a guardia della bella Io amata da Zeus, perché il dio non giacesse con lei. Mercurio uccise poi Argo, ed Era ne riportò gli occhi sulla coda del pavone, che divenne il suo animale sacro: Virgilio (Aen. VII,791) chiama Argo "custode della vergine". Il cervo, nell’iconografia cristiana, è un simbolo di purezza, di mitezza, di desiderio ardente di Dio; spesso viene raffigurato nel giardino dell’Eden oppure mentre si abbevera ad una fonte, come nel mosaico del Mausoleo di Galla Placidia. Nel corso del Medioevo gli è stato attribuito anche un significato negativo ossia quello della tentazione sensuale; ma, alla fine, ha sempre prevalso l’aspetto positivo e benefico dell’animale.
Ma adesso avviciniamoci all'abside centrale. L’altre maggiore è testimonianza dell’arcaica e senza troppe pretese arte pittorica e vede ritratto Gesù Cristo in Croce, la Maddalena ai suoi piedi, San Giovanni Evangelista e San Michele Arcangelo; lo si è datato al 1587 anche grazie ad alcune iscrizioni graffite sulla sua superficie.
Alcuni dipinti di maggior valore si trovano sui pilastri della navata centrale: una Resurrezione del Cristo databile tra la fine XV e l'inizio del XVI secolo è opera della bottega novarese dei Cagnola (segnatamente di Francesco, figlio del capostipite); sul primo pilastro entrando a destra è raffigurato un San Michele Arcangelo dipinta dal pittore di origine polacca, ma oleggese di adozione, Johannes Maria de Rumo attivo verso la metà del XVI secolo.
Un altro importante ciclo di affreschi popola l'abside centrale. Vi troviamo (alquanto rovinata ma ancora debolmente leggibile) la figura del Cristo Pantocratore, e sulla sinistra, posta accanto alla mandorla che lo racchiude, l'immagine di San Michele Arcangelo che guida una schiera di angeli; sulla destra si intravede oggi solamente quella che doveva essere la figura della Madonna riccamente addobbata secondo i canoni dell'Arte Paleocristiana.
- Il Cristo Pantocratore
Ma non diamo per scontati concetti che i più possono non conoscere. Quali sono le regole di quest’arte?: l'anti-plasticità e l'anti-naturalismo, stilizzazione delle figure, volte a rendere una maggiore un'astrazione soprannaturale . Infatti il gusto principale dell'arte paleocristiana è stato quello di descrivere le aspirazioni dell'uomo verso il divino. L’uomo è spinto ad affrescare in maniera semplice, arcaica, bidimensionale e frontale in quanto l’obiettivo fondamentale era quello di dare importanza più al concetto che alla forma; l’immagine doveva essere “elementare” perché quello che contava era l’essenza e non l’estetica: ciò rispecchia il messaggio di Cristo il quale sosteneva di non badare alle apparenze ma di giudicare secondo le azioni compiute dagli uomini.
Più in basso, sotto una decorazione a nastri e motivi floreali , troviamo (frammiste a resti di affreschi di fine quattrocento che vi erano stati sovrapposti) scene che sono rimaste a lungo prive di identificazione. La critica più recente vi ha visto una raffigurazione per immagini del Liber de apparitione sancti Michaelis in Monte Gargano (VIII secolo): vi si riconoscono l'episodio del pastore che dopo aver scagliato una freccia contro un toro fuggito dal suo gregge viene colpito dalla stessa freccia che torna misteriosamente indietro; l'episodio successivo, tratto dallo stesso libro, mostra San Michele alla testa di un gruppo di Sipontini armati in guerra contro i Napoletani.
Nel catino dell'abside a destra troviamo un altro Cristo Pantocratore, meglio conservato rispetto a quello dell’abside centrale, in una mandorla sorretta da figure di angeli, e nel registro inferiore figure di Diaconi. Le decorazioni angolari sono caratterizzate da meandri multicolore, elementi tipicamente orientali che venivano molto utilizzati anche nell'Antica Grecia (VIII secolo a.C.).
-(sopra) Abside laterale destra
Il ciclo di affreschi testimonia quindi l’influenza chiaramente Orientalizzante (ergo Bizantineggiante) che caratterizzò molte chiese del novarese e si manifestò sempre nel medesimo modo, canonico ma mai stanco o poco vivace: figure intere di Santi dal volto arcaico e con lo sguardo rivolto quasi sempre verso l’osservatore, le mani e i piedi sproporzionati, il prevalere della cromia blu e rossa intensa, la difficoltà di posizionare correttamente i piedi secondo la prospettiva in quanto quest’ultima sarà una novità del XIV secolo, introdotta in maniera rivoluzionaria da Giotto, l’essenzialità della forma che doveva arrivare più al cuore degli uomini che ai loro sensi.
L’arte Bizantina ha degli antecedenti in tempi più remoti e i luoghi più lontani: in Iran, per esempio. L’arte Persiana di età Sassanide preannuncia la figura del Cristo Pantocratore e degli Apostoli schierati, frontali, disposti paratatticamente negli affreschi che si sono salvati sino ai giorni nostri da alcuni siti, come nella sinagoga ad Europos Dura, in Siria ma territorio conquistato dai Persiani: Davide si accinge ad ungere Samuele, scelto tra tutti i suoi fratelli. Anche qui possiamo notare l’arcaicità in quanto ciò che importa è il contenuto e non la forma; la prospettiva è assente, notiamo anche la difficoltà nella resa spaziale dei piedi i quali in certi punti si sovrappongono. Quindi vediamo che le analogie tra l’arte Bizantina e quella Orientale sono molto evidenti ed innegabili; perciò è innegabile anche il potente contributo dell’Oriente Antico nella trasmissione di un certo tipo di linguaggio figurativo, accompagnato dall’assimilazione di un certo tipo di Pensiero religioso e di mentalità quotidiana. La stessa religione cristiana ha preso in prestito molto dalle religioni d’Oriente come lo Zoroastrismo, culto Persiano in cui si credeva nella Risurrezione delle Anime dopo l’avvento di un Messia che, tornando a giudicare avrebbe annullato le colpe dei peccatori dato che il tempo in cui essi avevano vissuto era quello “finito” e non quello “infinito”; perciò come tale anche le colpe commesse nel tempo “finito” non potevano che essere “finite”, temporanee.
-(sopra) Davide unge Re Samuele (Europos Dura, età sassanide)
Quanto ci sarebbe ancora da dire, cari Amici! E quanti innumerevoli collegamenti potrei farvi per comprendere quanto le vicende di ogni epoca storica siano finemente intrecciate e abbiano preso vita proprio da questa interconnessione! Sarebbe bello poter andare avanti ma uscirei dal seminato e non è mia intenzione farvi tale torto. Quindi vi saluto. Ormai il tramonto è stato cancellato dal Grande Pittore di questo Universo e le tenebre cospargono di inquietudine i nostri umili capi. Sperando di avervi intrattenuto ed amorevolmente incuriosito Vi saluto.
Il sempre Vostro Guala Bicheri
#Arte romanica novarese#Galnago#Oratori romanici del piemonte#Oratori romanici del novarese#Affreschi romanici#Arte ottoniana#Arte bizantina#Katia Ceretti#Vercelli#Arte Sacra#Oleggio#Novara#San Michele
0 notes
Text
L’ORATORIO DI SAN LORENZO ALL’ALPE SECCIO IN VALSESIA
(Testo e foto di Katia Ceretti - è severamente vietata la riproduzione delle foto senza il permesso dell’autore - ALBUM COMPLETO: https://www.flickr.com/photos/96501208@N06/albums/72157672260026876 )
-la Crocifissione
Bentrovati cari amici!
Siete ancora in vacanza? Fortunelli! A me tocca stare tutto il giorno nella mia stanzetta a lavorare e scrivere come un forsennato. Per fortuna con me c’è il mio fedele gatto Enea, insostituibile amico di questi momenti di lavoro solitario. Qualche giorno fa sono andato a trovare una vecchia conoscenza, ultima donna della zona che pratica ancora oggi una umile ma assai gratificante ed impegnativa professione: quella del pastore. La coraggiosa ed intrepida donna in questione è la signora Carla, ormai anziana; pensate che sua madre, quando ebbe le doglie, incinta di lei, scese dall’Alpe dove si trovava sino al paese sottostante. Come? Volete sapere dove si trovava la donna? All’Alpe Seccio, sita nel Comune di Boccioleto, in Valsermenza, valle laterale della Valsesia.
Ebbene: la futura madre percorse tutto l’impervio sentiero in discesa per raggiungere la levatrice nel paese. Per arrivare da Boccioleto all’Alpe ci vogliono circa due ore e una per donna con le doglie la faccenda si complica enormemente. Per noi oggi quelle due ore di sentiero forse sembrano una montagna immensa da scalare a piedi ma ancora nel XXI secolo per la signora Carla è un gioco da ragazzi. La vita dura a contatto con la selvaggia natura tempra l’anima e il corpo. Prima di addentrarmi nella descrizione di ciò che voi tanto bramate vedere desidero soffermarmi ancora un po’ su questa personalità sublime e affascinante. La conobbi una mattina d’agosto; ella era intenta a guidare con un bastone due vacche verso i verdi prati. Levava parole che mi parevano incomprensibili. Quando mi vide accennò uno stentato saluto, mostrandomi diffidenza. Arrivai alla chiesetta di cui parleremo tra poco, restai incantato dal suo interno e così, in stato di euforia, scrissi di getto qualche riga di commento a quello che avevo visto, abbinando la chiesa alla pace dei sensi che tutto quel luogo emanava. Uscito dall’oratorio proseguì nel mio cammino e perlustrai il borgo. Passò un’oretta quando rividi la signora Carla davanti a me, ma sempre ad una certa distanza, questa volta sorridermi e chiedermi cosa ne pensassi del posto. Lei già conosceva la mia risposta, e io lo seppi poco dopo, avendomi confessato di aver sbirciato nel quaderno dei commenti della chiesa. Quelle poche righe che scaturirono come limpida sorgente dal mio cuore, senza premeditazione alcuna, la toccarono nel profondo tanto da iniziare a raccontarmi della sua dura vita, fatta di sacrifici ma aiutata da un altro pastore sulla quarantina. Aprì il suo cuore puro a me e io ne fui lusingato come un bambino al quale i genitori concedono le loro attenzioni. Ma il gesto che ricorderò con un’estrema dolcezza fino a quando avrò respiro è quello di avermi posto un cucciolo di cane pastore, che aveva a malapena due mesi di vita, nelle braccia. Io lessi quell’atto come di genuina fiducia, di madre che lascia prendere in braccio il proprio neonato da chi più ama. Queste sono le piccole cose che per me risultano grandi e che sono capaci di riempire l’esistenza. E allora penso a quanto poco basterebbe per essere sereni se tutti fossero simili alla signora Carla. Ma adesso mi trovo costretto ad interrompere il racconto per addentrarmi nel dettaglio. Immaginate la valle immensa, il sole sopra le vostre teste, la frescura della montagna avvolgervi le membra, il suono continuo dei campanelli degli animali al pascolo. E accanto a voi la donna-pastore: solo così potrete apprezzare pienamente ciò che sto per mostrarvi.
Andiamo!
Siamo davanti all’Oratorio di San Lorenzo. La tradizione vuole che questo, sull’Alpe Seccio a 1388 m s.l.m., sia stato il primo eretto in Valsesia. Esso è di modeste dimensioni: misura circa 10 metri in lunghezza e 5 in larghezza. La facciata si presenta a capanna semplice, realizzata in pietra, nella tipico edificio rustico degli ambienti montani. La copertura a doppio spiovente è sempre in pietra tagliata sottilmente; sul timpano impera una croce cava dalla quale entra la luce a mo’ di finestrella. L’abside semicircolare è situato proprio su uno sperone roccioso, in tal modo esso non è percorribile esternamente nella sua interezza. Nessun documento consente di risalire con precisione alla fondazione dell'oratorio per come esso si presenta oggi; un'iscrizione presente all'interno della navata, sopra la porta laterale, attesta come la consacrazione dell'edificio sia avvenuta il 24 aprile 1446. Purtroppo nel XVIII secolo, probabilmente in seguito all'aumentare della popolazione, si decise l’abbattimento della parete Sud; questo comportò l’asportazione dell’affresco dell’Ultima Cena e, ad oggi, visibile solo in parte. Al suo posto venne edificata la cappella di San Grato che ha l’unico vantaggio di rendere più visibili gli affreschi Quattrocenteschi. A completare la decorazione della parete dovevano esserci altri Santi ma questo non possiamo affermarlo con certezza.
-(sopra) San Cristoforo
Sulla parete esterna, sul lato nord, alzando lo sguardo vediamo un San Cristoforo e la Ruota della Fortuna. Riguardo alla seconda sappiamo che essa era un simbolo ben conosciuto in epoca medievale e era la rappresentazione profana che simboleggiava l'imprevedibilità delle vicende umane. Ancora oggi si trova nei tarocchi. Di San Cristoforo si narra che fosse secondo alcuni un gigante oppure un uomo molto forte e burbero che viveva romito nei boschi quando un giorno un fanciullo gli chiese di trasportalo a nuoto dalla parte opposta del fiume. Egli acconsentì e se lo mise sulle spalle. L’uomo forzuto si sentì mancare le forze a causa di quel piccoletto! Com'era possibile? Il ragazzo gli rivelò che egli aveva portato sulle spalle Gesù Cristo e con esso tutto il peso del mondo. In tal modo Cristoforo divenne Santo. In alcune raffigurazioni medievali egli può anche venire ritratto con la faccia di un cane (Cristoforo Cinocefalo): questa particolarità è molto interessante poiché ci riconduce al’universo egiziano e al Dio Anubi che, come il nostro Santo, traghettava le anime. Analogie affascinanti che mi fanno capire quanto le Civiltà siano legate reciprocamente tra di loro creando notevole complessità.
-(sopra) San Cristoforo Cinocefalo
Entriamo. Dobbiamo lasciare agli occhi il tempo di abituarsi all'oscurità per poter godere la ricca decorazione delle pareti datati al 1446. Un colore verde scuro tendente al bluastro colpisce immediatamente il nostro sguardo; poi arriva il rosso che funge da colore dominante e contrastante. Volgiamo il nostro occhio attento verso l’altare: nel catino absidale troviamo Cristo Pantocratore attorniato dai quattro evangelisti (il Tetramorfo);
-Cristo Pantocratore e il Tetramorfo
al di sotto, in posizione centrale non a caso, San Lorenzo; alla sua destra il martirio che il santo subì ossia quello sella graticola. Al principio dell'agosto 258 l'imperatore Valeriano aveva emanato un editto, secondo il quale tutti i vescovi, i presbiteri e i diaconi dovevano essere messi a morte: Lorenzo fu ucciso a 33 anni, dopo lo stesso Papa Sisto II, il 10 agosto. La Notte di San Lorenzo è tradizionalmente associata al passaggio dello sciame meteorico delle Perseidi, fenomeno popolarmente ed erroneamente chiamato stelle cadenti ma anche poeticamente lacrime di San Lorenzo, considerato evocativo dei carboni ardenti su cui il santo fu martirizzato. Alla sinistra troviamo l’affresco che vede sempre protagonista San Lorenzo al quale l’Imperatore Valeriano ordina di consegnare il tesoro della chiesa.
-San Lorenzo e la tortura della graticola
-San Lorenzo davanti a Valeriano
Nell’arco trionfale possiamo osservare l’Angelo dell’Annunciazione a sinistra e, a destra, la Vergine inginocchiata su uno scrittoio: presto sarà madre per volere dello Spirito Santo. Al sommo capo dell’arco troneggia Dio che rivolge il suo sguardo alla Maria annunciata. Sotto questa scena troviamo San Giovanni Battista, riconoscibile dall'Agnello sacrificale, e San Gregorio Magno. Da notare che il frescante, forse un certo Johannes Andreas, che ad ora resta figura sconosciuta, per tentare di dare un abbozzo di prospettiva riempie i pavimenti con decorazioni a piccoli ciottoli, elemento tipico della scuola di un altro pittore attivo però nel novarese: il Cagnola. Sopra ogni figura campeggia una iscrizione, questo per rendere maggiormente comprensibile a chi all'epoca sapeva leggere, la santa iconografia.
-l’Annunciazione
Sulla parete sud abbiamo la splendida Ultima Cena, della quale come dicevo poc'anzi se ne è salvata meno della metà. Non è la prima volta che troviamo questa raffigurazione. Ricordate la chiesa di San Lorenzo a Settimo Vittone?
-particolari Ulrima Cena
Anche lì essa era presente. Notiamo alcuni particolari della tavola riccamente imbandita: succose arance disposte in diagonale, ancora a segnalare la difficoltà nel renderle di prospettiva, sono presenti più volte a ricordare che lì non c’era lo scorbuto, malattia tipica di chi non assumeva abbastanza vitamina C. Questi apostoli erano tutti sani e robusti: guai a far mancare i preziosi agrumi in scene di questo tipo! Per ogni Apostolo vi è una coppa dorata contenente del liquido e un cucchiaio, ancora bicchieri trasparenti molto simili ai nostri nei quali è contenuto del vino rosso; infine del pesce, simbolo di Cristo, dei coltelli, dei gamberi di fiume e delle ciliegie. La tovaglia è decorata da un ricamo di colore blu mentre sotto il tavolo si nota un treppiede, sostegno di quest’ultima.
-particolare Ultima Cena
-L’ultima Cena
I piedi degli Apostoli sembrerebbero essere sorti, piegati verso l’interno in posizione anti naturalistica, come se avessero un difetto fisico. Semplicemente osserviamo per l’ennesima volta la difficoltà dell’artista di rendere i personaggi in prospettiva, quindi li si raffigurano disposti frontalmente e paratatticamente e, in certi casi, di profilo, più raramente di tre quarti; non che questa non fosse ancora stata scoperta...Giotto da Bondone fu il primo ad usarla sistematicamente sul finire del Duecento. Probabilmente il nostro Johannes doveva essere stato legato ancora ad uno stile più arcaico che ricorda vagamente la pittura bizantina ma da essa al contempo se ne discosta in quanto palesa tendenze già chiaramente goticheggianti, per esempio nel modo di adornare le vesti, gli arredi e nella resa dei volti. Oserei anche affermare che non tutti i visi qui dipinti siano stati fatti dalla medesima mano: osservate l’Anunciazione e San Gregorio Magno: il viso della Vergine è meno accurato mentre quello del secondo personaggio risulta a mio parere più fine, curato, seppur in entrambi ci siano degli elementi di egual rusticità: le orecchie sono raffigurate frontalmente quando la figura è frontale, come fossero a sventola. Ed ecco che ancora l’assenza di prospettiva crea queste gaffe!
-San Gregorio Magno
Infine ecco rappresentati San Bernardo e San Nicola.
Sulla parete nord abbiamo Santa Caterina con l’attributo della ruota dentata; Sant’Anna, la Vergine il Bambino; Sant’Antonio; sopra la porta dell’ingresso laterale Santa Apollonia con l’attributo della tenaglia in quanto le furono strappati tutti i denti; San Lazzaro grondante di sangue; San Marco identificabile da un piccolo leone sul libro che tiene in mano e la Crocifissione.
-affreschi parete nord
Concludendo per quanto concerne gli affreschi interni, poniamo ancora lo sguardo sull’altare, stranamente conservatosi originario, che vede Cristo in Pietà mentre cioè esce dal sepolcro, cena che preannuncia la sua risurrezione.
-altare: Cristo in Pietà
Sul mantello della Madonna nel riquadro della Crocifissione si trova una scritta che indica la celebrazione di un matrimonio (“francescho à sposato tredezina 1544 die 20 Ianrii”). La tradizione vuole che la chiesa fosse dotata anche di un cimitero (sulla cui collocazione però le varie fonti divergono) in cui trovavano sepoltura i morti di Seccio e i morti di Dorca, frazione attualmente nel comune di Rimasco, situata oltre lo spartiacque della Val Cavaione.
-Sant’Anna, la Vergine e il Bambino
-Santa Caterina
Amici, anche questa avventura è passata. Tutto fugge perciò impariamo a godere del tempo presente. Come sempre mi auguro di avervi appassionati e incuriositi ad andare in visita all’Alpe Seccio. Se incontrate la signora Carla non lasciatevi intimorire dalle apparenze, spesso ingannevoli: avvicinatevi e chiedetele della sua vita; vedrete che si aprirà a Voi e avrete modo di conoscere un mondo scomparso, seppur in vita sino a mezzo secolo fa. Vedrete che ne resterete incantati e vi disintossicherete dall’amara e violenta città. Se Dio vorrà ci rivedremo per studiare assieme una nuova chiesa romanica o gotica che sia.
A presto e buon riposo d’anima e corpo.
Il sempre Vostro Guala
(- Informazioni per visite: l’oratorio resta aperto durante tutta l’estate. Chiedere le chiavi alla Signora Carla. L’Alpe Seccio è raggiungibile solo a piedi -).
#San Lorenzo Alpe Seccio Valsesia Boccioleto Arte tardo-romanica Affreschi piemonte romanico e gotico Katia Ceretti Vercelli#Arte gotica alpina#San Cristoforo Cinocefalo#Jhoannes Andreash
0 notes
Text
LA CHIESA DI SAN GIACOMO A MONTESTRUTTO
(Testo e foto di Katia Ceretti - è severamente vietata la riproduzione delle fotografie senza il permesso dell’autore - ALBUM COMPLETO: https://www.flickr.com/photos/96501208@N06/albums/72157670791614951 )
Bentrovati Amici!
Oggi vi accompagnerò a visitare una chiesetta arroccata, solitamente chiusa e quindi poco accessibile se non il giorno della festa patronale (San Giacomo); questa avrebbe bisogno di restauri viste le pessime condizioni in cui versa e forse qualche cosa si farà, presto o tardi. Bene. Saliamo lungo un percorso erboso, intervallato da antiche fontane e ammiriamola (badate che si può arrivare solo a piedi, quindi arrivati a Montestrutto depositate la macchina e tornate ad essere uomini e donne rampanti e prestanti!).
Ci troviamo a Montestrutto, frazione di Settimo Vittone, situata nel territorio canavesano, area conosciuta agli sportivi per la palestra di arrampicata posta proprio sotto al castello. La chiesa dedicata a San Giacomo, patrono, ha origini romaniche difatti risale al secolo XI; essa è molto visibile perché posta sulla rupe, era una tappa importante per i pellegrini che percorrevano la via francigena: di ciò è indizio il campanile in facciata che s’incorpora con il lato meridionale, seguendo così i dettami dell’architettura itinerante europea.
La facciata ha subito rimaneggiamenti tra Settecento ed Ottocento. Nel XV secolo al corpo di fabbrica principale ed originale ne venne aggiunto un secondo che in tal modo ampliò l’intero edificio, abbattendo così l’abside originario. La zona del presbiterio risultò quindi obliqua rispetto a quella del corpo centrale poiché le maestranze furono obbligate a seguire la conformazione dello sperone roccioso sottostante. Ad oggi sono ancora visibili delle monofore strombate in parte tamponate in epoca moderna. Il materiale utilizzato consiste in pietre di varie dimensioni legate a malta.
L’interno è molto rovinato: alle pareti possiamo notare affreschi estremamente consunti ma molto antichi che ornano la prima parte della navata interna e la facciata originale mentre il resto è frutto di un corposo intervento successivo, datati al XIII secolo come un frammento del Paradiso Terrestre (evidenziamo i piedi di Adamo ed Eva ben visibili assieme ad alcuni elementi floreali) e volti di Santi presenti all’interno del campanile, visibili salendo una scaletta, questo perché l’aggiunta della piccola torre campania fu in parte posteriore in quanto ha subito un sopraelevamento e rimaneggiamento.
L’altare è originario ossia basso medievale anche se subì rimaneggiamenti come possiamo ben vedere dall’affresco barocco che ancora oggi ne decora la fronte.
Purtroppo l’intero edificio ha numerose crepe, specie sul soffitto che però evidenziano la particolare cedevolezza dell’ambiente eretto nel 1400 poiché i costruttori non ebbero l’accortezza di studiare precedentemente il tipo di terreno sul quale avrebbero innestato l’aggiunta, a differenza dei loro “antenati” che nel 1200 si presero l’intelligente briga di ponderare dove sarebbe stato meglio costruire la pieve. Così la parte posteriore risulta più crepata rispetto a quella originaria.
Vicino alla chiesa, nel XII secolo, sorse il castello vescovile, di cui si conservano scarsi resti nell’edificio ricostruito nell’Ottocento in stile neogotico, una villa oggi privata appartenente agli eredi di un famoso pianista di inizi Novecento. Questo è stato trasformato in B&B di lusso dove si pagano più di quattrocento euro a notte.
-(sopra) tracce di affresco nel campanile
Amici, ci ritroveremo presto sempre nel territorio di Montestrutto più precisamente a Settimo Vittone per ammirare un bell’esempio di arte e architettura romanica con tracce paleocristiane. Ma non voglio anticiparvi nulla così la sorpresa sarà più gustosa.
Alla prossima avventura!
Il sempre vostro Guala
-(sopra) affresco volto di Santo
#Settimo Vittone#Canavese#Aperture AMI#Festa patronale di San Giovanni#altare medievale#affreschi romanici#Chiesa di San Giacomo a Montestrutto
0 notes
Text
LA CHIESA DI SANTA MARIA MADDALENA A BUROLO
(Testo e foto di Katia Ceretti - è severamente vietata la riproduzione delle fotografie senza il permesso dell’autore)
(Il nostro Guala oggi è insonne: sfoglia scartoffie, appunta qualche cosa su dei registri, sbuffa e ogni tanto prende un po’ di fresco affacciandosi alla finestra...e noi lo spiamo ma ben presto...)
Oh, chi si rivede? Buona sera cari Amici! Anzi, dovrei dire buonanotte data l’ora! Come mai svegli a quest’ora? Ah, anche voi siete insonni? Vi capisco. Per fortuna oggi, finalmente, si respira. Vi presento anche il mio compagno di viaggio: si chiama Enea ed è un gatto molto socievole e zuzzurellone! Ama vagabondare come me, specie la notte; così, a volte me lo porto dietro e lui, da fedele compagno (meglio di un cane!) non mi perde mai di vista. Sapete, una volta mi ha anche salvato la pelle. Stavo recandomi in visita presso una pieve del canavese quando un lupo mi attaccò e lui lo spaventò lanciandogli contro un’ora di ratti famelici! Ah, caro mio Enea, se non ci fossi stato tu, chissà oggi...non sarei qui a parlare con voi. Cosa? Mi chiedete dove sono stato quel fatale giorno? Siete curiosi, eh? Dunque, sazierò la vostra fame di conoscenza! I miei piedi hanno calpestato la polvere del suolo canavesano sino ad arrivare alla chiesa di Santa Maria Maddalena a Burolo, dove un mio amico eremita sosta da qualche anno. Volete che ve la mostri? Certo! Addentriamoci sulla collinetta burolese.
-(sopra)il cortile dell’antica chiesa romanica
La pieve dedicata a Maria Maddalena si erge su una collina, punto strategico dal quale si può mirare la vallata, proprio sopra un masso erratico trasportato sin lì dai movimenti del primitivo ghiacciaio che ha creato anche la Serra Morenica d’Ivrea. Ho fatto non poca fatica ad inerpicarmi sulla piccola altura, dopo aver transitato sulla via Francigena; sapete, i miei piedi non sono più svelti e forti come una volta! Giunto davanti alla sua facciata mi rendo conto che essa ha subito rimaneggiamenti, specie nell’Ottocento, così come gli interni, affrescati con un azzurro pastello e un rosa salmone. In realtà scoprì che la pieve ha origini antiche: fu eretta nell’XI secolo in un punto non soltanto bello ma anche ben collegato al percorso sacro e al paese.
-(sopra) la chiesa sul masso erratico
Entriamo e notiamo che l’edificio è composto da tre corpi di fabbrica: la chiesa ad aula unica rettangolare, conclusa da un abside semicircolare; un vano sulla destra, oggi adibito a sacrestia; il campanile ( il quale presenta una forma rettangolare; la parte inferiore ha una doppia porta di accesso e la parte superiore presenta tre campiture irregolari. Venne restaurato nel 1848, come indica la data sulla lesena a destra in alto) accanto alla facciata e la sacrestia delimitano un piccolo cortile interno dove si suppone ci fosse un’antica navata, oggi scomparsa, affiancata alla chiesa.
-(sopra) l’interno
L’ingresso alla pieve romanica era situato proprio nel campanile: una piccola porta permetteva l’accesso e introduceva in un minuto ambiente ad aula unica, rettangolare, oggi dissestato e del quale restano le sole pareti laterali. Da qui si accedeva (e si accede) ad un’altra aula (oggi sacrestia), molto piccola che doveva fungere da abside; non è un caso che proprio sulla parete di fondo sia ancora oggi visibile una Crocifissione tra due Sante: una di queste, a sinistra, deve essere la Maddalena, alla quale l’edificio è dedicato (secondo altre teorie entrambe le donne rappresentano la Maddalena, il ché sarebbe renderebbe questo affresco un unicum, seppur ciò a me sembra troppo strano). L’affresco viene attribuito al pittore marchigiano Domenico della Marca di Ancona, e realizzato intorno al 1430.
-(sopra) accesso all’edificio romanico
-(sopra)affresco della Crocifissione
All’esterno della chiesa, sul lato nord, potete notare. murata. una lapide funeraria tardo-romana che, per le croci che reca incise, potrebbe essere stata riutilizzata come mensa d’altare. L’iscrizione reca la data “anno 440 attestato dal Consolato di Valentiniano Augusto e di Anatolio” e il nome del “negotiator Basilius (nativo) del vicus Atarca (probabilmente in Siria)”, forse un mercante. Sono state fatte varie ipotesi riguardo la presenza della lapide proprio a Burolo: che questa sia arrivata da lontano per poi giungere chissà come sin qui e, perduto il significato originario, essere riusata; oppure essere stata realizzata proprio a Burolo o sempre nei pressi in seguito allo spostamento di questo personaggio siriano nel nostro territorio, commemorato in tal modo.
Il mio amico eremita mi ha mostrato degli oggetti molto interessanti e parecchio datati: un presepe molto grezzo ma proprio per questo bello, forse scolpito da una bottega locale, di datazione incerta (Ottocento ?), scoperto per caso durante la pulizia di un armadio della sacrestia. Poi mi ha svelato un oggetto importantissimo per le processioni: un ombrello per proteggere il Santissimo (segno distintivo di onore e simbolo di protezione) color rosa e un po’ roso dai topi. Per finire ecco un messale datato al 1715 con xilografie di pregio e un libricino contenente le partiture dei canti liturgici.
Amici, non finisce qui: ecco il pezzo forte della pieve! Uno straordinario crocifisso ligneo del XIV secolo, oggi posto in salvo dalla barbarie umana nella parrocchia di Burolo: questo è un oggetto unico, la quale arcaicità non tradisce la bellezza e, invece, la mostra seppur pacatamente facendola fuoriuscire da ogni scheggia. Il volto del Cristo è sofferente, generando così in chi lo guarda commozione e pietà, ricordando a noi comuni mortali ciò che significa la sofferenza e cosa implica il soffrire per gli altri.
Ragazzi, facciamo un giro attorno alla pieve per assaporare la frescura serale. Che bellezza tutti questi fiori che accendono di luce stillante l’edificio, facendo da cornice naturale a quella che fu opera del genio umano. Contempliamo e riflettiamo su quante azioni belle e buone, e in taluni casi straordinarie, possa realizzare l’Uomo se impegna le proprie forze in fini alti e caritatevoli. Lodiamo la bellezza della natura e dell’arte che è pur sempre frutto delle mani di Dio e quindi affidiamoci a queste mani se non vogliamo perderci tra branchi di lupi, come è successo a me giorni or sono quando giunsi qui, salvato sempre per grazia del Signore Nostro che tutto vede e tutto conosce.
Scusate amici, non volevo tediarvi con il pistolotto morale finale ma penso che al giorno d’oggi serva reiterare pensieri simili per ricordare che una forma di spiritualità, di religione, qualunque essa sia, aiuta a vivere meglio, più “rassegnati”, consci del fatto che siamo mortali, non eterni e infallibili. Ricordatevi l’Umiltà, come se la ricordarono gli anonimi fautori di questa piccola chiesa alla quale, magari, non dareste nemmeno un baiocco vista la sua semplicità. Ma è proprio dietro le cose più semplici che si cela la Verità e la vera Bellezza.
A presto miei compagni di viaggio! Alla prossima avventura.
Un saluto anche da Enea!
Il sempre vostro Guala
(Informazioni: 2016 aperta domenica: 26/06, 10/07, 7/08, 21/08, 4/09, 18/09, 2/10 - orario: 14.00-18.30 domenica 24/07 - orario: 10.00-19.00. Per info negli altri giorni dell’anno telefonare in Comune: 0125 57136. Consigliamo di visitare il limitrofo Ciucarun, campanile di una chiesa ormai crollata da tempo.)
#Santa Maria Maddalena#Burolo#AMI#chiese romaniche#affreschi#arte#Piemonte#canavese#Katia Ceretti#Francois Dellarole#Domenico della Marca di Ancona
0 notes
Text
LA CHIESA DI SANTO STEFANO AL MONTE A CANDIA CANAVESE
(Testo di François Dellarole – Foto di Katia Ceretti – è severamente vietata la riproduzione delle foto senza il permesso dell’autore -
QUI L’ALBUM COMPLETO: https://www.flickr.com/photos/96501208@N06/albums/72157670311256255 )
-(sopra) la facciata della chiesa
Buonasera cari Amici e bentrovati!
Noto con piacere che le zanzare e la calura non vi hanno fermati e siete ugualmente venuti a farmi visita! Vi apro le porte della mia umile dimora con entusiasmo, felice di avere persone attorno a me così interessate di ascoltare le mie avventure. Anche questa volta vi porterò a Candia Canavese ma nella parte alta del paese, dove un tempo forse sorgeva un antico abitato e, prima ancora, in età pagana doveva esservi un’area sacra. Non spaventatevi se la salita sarà ardua! Per quelli meno sportivi il percorso sarà breve e leggero: potrete recuperare un’autovettura e parcheggiare a pochissimi metri dalla pieve di Santo Stefano, la protagonista indiscussa di questa afosa giornata estiva. Come? Fremete dalla voglia di saperne di più? Orbene! Il vostro Guala è qui per soddisfare ogni curiosità e incrementarla come non mai. Avanti, marsh! Scaliamo l’erbosa collina tutti assieme!
-(sopra) i prospetti della pieve
Candia Canavese, paese famoso per il suo lago che rappresenta una bella oasi naturale, si può mirare uno dei più bei esempi di architettura religiosa romanica della zona: la chiesa di Santa Stefano Al Monte. Per raggiungerla occorre salire su di un punto panoramico dal quale si possono ammirare le Alpi in lontananza e al di sotto tutto l’Anfiteatro Morenico di Ivrea. Le torri che si stagliano verso il cielo e i campanili che spuntano qua e là ci ricordano l’importanza avuta anche in passato di questa terra dalla quale si accede alla Francia attraverso il Passo del Gran San Bernardo.
-(sopra) l’anfiteatro morenico in panoramica
-(sopra) come si formò la Serra d’Ivrea: il ghiacciaio, sciogliendosi, lasciò una pianura con fiumi e numerosi laghi, assieme a quella che oggi chiamiamo “la Serra”, nata proprio in seguito al deposito di materiali morenici lasciati dallo stesso ghiacciaio durante il suo arretramento (questo spiega il perché delle numerose frane alle quali l’intera area è soggetta) -
-(sopra) un esempio
Non abbiamo per ora riscontri archeologici e documentari certi su costruzioni precedenti l’edificio sacro, anche se si ipotizza che in età preromana vi fosse un’area sacra. Le prima popolazioni italiche sceglievano aree lussureggianti, immerse nella natura non a caso: di solito i primitivi templi erano estremamente in connessione con fonti d’acqua, falde sotterranee, con la montagna o la collina...insomma, la maestosità del paesaggio naturale aveva grande importanza e non doveva svolgere ruolo di sola cornice. Le prime notizie certe ci portano al 1177, quando una Bolla Papale sanciva il passaggio di chiesa e convento ai Canonici Regolari del Gran San Bernardo a testimonianza dell’importanza del luogo quale via di comunicazione da e per la Francia. Una serie di “conventi, hospedali e Ospizii” davano asilo sicuro ai viandanti e ai pellegrini che si spostavano per la cristianità e Santo Stefano la Monte non faceva eccezione trovandosi sulla Via Francigena. La bellezza e l’amenità del luogo, la presenza di sorgive e il silenzio imperante inoltre favorivano il raccoglimento dei religiosi, come già dovette essere per le popolazioni pagane. Da un’analisi delle strutture però è da ritenersi probabile la presenza della chiesa già almeno nel secolo precedente. Ipotesi non ancora del tutto avvalorate ricollegano il sito all’Abbazia di Fruttuaria di cui poteva esser un priorato.
-(sopra) ciò che resta degli affreschi barocchi della pieve
Ora poniamoci proprio difronte ad essa. Ammirandola esternamente colpisce della facciata la sua semplicità: si presenta a salienti (detta anche a falda spezzata, ossia quando la forma tipica a “capanna” viene rotta da due strutture più basse, coincidenti con i soffitti delle navate laterali), costruita con materiali poveri, pietre inframezzate da mattoni di recupero. Unico elemento che rompe questa essenzialità è rappresentato da una traccia di affresco quasi illeggibile che appare in alto sopra la porta, la quale si può notare non essere centrale rispetto la facciata ma spostata verso destra. Dalla relazione Pastorale di Monsignor Asinari del 1651 si possono scoprire le ragioni di questa particolarità: in origine alla sinistra incorporato alla facciata sorgeva il campanile che già all’epoca appariva diroccato e dentro al quale era stata ricavata una piccola abitazione per un eremita. Oggi di questo edificio non ne rimane traccia; solamente dei segni sulla muratura testimoniano le trace di un’antica presenza. Orientata verso Oriente e costruita su di un terreno degradante, tutta la sua struttura segue l’andamento della collina su cui sorge. Al di fuori si presenta ancora in parte la tipica decorazione in mattoni ad archetti pensili sulle pareti laterali dove a Nord, ormai sbiadito, era affrescata una Danza Macabra, soggetto insolito in un edificio a carattere sacro. Sul lato sud, in mezzo alla vegetazione, rimangono tracce dei locali conventuali.
-(sopra) l’interno, navata centrale
Amici, cosa aspettiamo ad entrare? Vedete? Ecco davanti ai nostri occhi un ambiente ancor più semplice che fa trasparire una religiosità autentica, forte e tenace come gli uomini che l’hanno costruita. L’aula è formata da tre navate, la centrale, ampia il doppio rispetto alle laterali è coperta da un tetto in legno in cui si vedono le capriate. Le due laterali, coperte da volte in muratura, sono separate da quella centrale da semplici archi a tutto sesto. Appare qua e là, tra il muro in pietre a vista, qualche traccia di affresco. In una si può individuare ancora San Pietro grazie al nome, stranamente in francese, del Santo raffigurato. Sono tutte pitture databili verso la fine del XVII secolo (vedi la relazione pastorale) di modesta fattura. Ma la parte che più colpisce e che rende speciale l’edificio è il presbiterio rialzato di ben 13 gradini a cui si accede tramite una doppia rampa di scale (in origine ce n’era solo una che saliva verso l’altare ossia posta proprio difronte al fedele che partecipava alla funzione). Dunque agli albori la chiesa era conforme al modulo romanico, formata cioè da tre navate chiuse da tre absidi semi circolari. è probabile che in seguito ad un crollo dell’abside centrale e di cedimenti del terreno stesso si eresse una cripta rialzando, di conseguenza, il presbiterio e chiudendo con un semplice muro piatto la parete di fondo.
-(sopra) la cripta e , sul fondo, la copia della statua di Prindall
Figliuoli, non temete le tenebre! Fatevi coraggio e ponete piede sui gradini che conducono alla magnifica e suggestiva cripta! Stropicciatevi gli occhi per abituarli all’oscurità. Ci siete? Bene. Avanti, senza timore! Ecco delle esili colonnine con capitelli di reimpiego reggenti delle voltine. Il materiale utilizzato viene ritenuto proveniente dalla parrocchiale romanica di Candia (vedi San Michele a Candia Canavese) oggi non più esistente perché ricostruita; al suo posto sorge una chiesa con facciata tardo-rinascimentale della quale resta originario il solo campanile. Si ammirano capitelli di foggia longobarda sorretti da colonne sia circolari che quadrangolari ad angoli smussati. Le decorazioni sono arcaiche, rustiche, in sintonia col resto della pieve: il cerchio e il quadrato, le linee spezzate sono loro a farla da padrone. Tutto rimanda ad un aspetto essenziale, trascendente: ciò che contava non era la forma ma la sostanza, il contenuto, il messaggio che il fedele doveva apprendere (forse è proprio per questo che adoro l’arte romanica, in ogni sua manifestazione! Permettetemi l’excursus personale).
-(sopra) uno dei capitelli longobardi
In questa raccolta cripta viene conservata ancor oggi la copia di una statua di antica venerazione: la Madonna col Bambino attribuita allo scultore borgognone Jean de Prindall. L’originale, restaurata, è conservata nella Parrocchiale.
-(sopra) la Madonna col Bambino di Prindall, originale a San Michele
Sempre nella cripta, in un piccolo ambiente attiguo, sulla volta sono affrescati dei personaggi in stile barocco, a parer mio presi poco in considerazione. Non posiamo certamente affermare che essi siano ben realizzati; al contrario: sono alquanto grezzi e poco curati. I volti di quelli che dovrebbero essere gli Evangelisti sono deformi, anti naturalistici e fortemente stilizzati (poco “umani”, aggiungerei). Ma non siamo così severi col nostro anonimo frescante: potrebbe avercela messa tutta ed è peccato mortale disprezzare chi prova ugualmente in un’impresa che supera le proprie capacità! Orbene, definiamoli piuttosto ingenui e fanciulleschi, senza pretese di alcun tipo. Un particolare mi ha profondamente colpito: tra le numerose figure ne spicca una, priva di ali, quindi non un angelo ma piuttosto un personaggio con in una mano un pennello e nell’altra quello che io ravviso essere una piccola tromba vista frontalmente quindi priva di cognizioni prospettiche). Potremmo dunque ipotizzare che esso fosse l’autoritratto dell’improvvisato artista?
-(sopra) possibile ritratto del frescante
Per me la simpatica figurina risulta essere un elemento grottesco, (non che gli altri non lo siano ma in misura maggiore se paragonato al resto) come se l’autore si prendesse un po’ in giro ritraendo il proprio volto in maniera ancor più irreale e buffa rispetto a tutti gli altri personaggi sulla scena. Al centro della volta spiccano la Vergine incoronata da Cristo e Dio, sormontata da una colomba, simbolo dello Spirito Santo: “nel nome del Padre, il Figlio e lo Spirito Santo”.
In epoca barocca oltre ai vari affreschi e ai vari rimaneggiamenti, sul retro, fu costruito anche un piccolo campanile.
-(sopra) il piccolo campanile in stile Barocco e il contrafforte creato a sostegno della nuova parete di fondo, costruita dopo il crollo del primo abside centrale
Tra le varie curiosità e le ancestrali forme di culto si racconta che fino alla fine dell’Ottocento venivano portate a Santo Stefano le persone ferite dal morso dei cani rabbiosi alle quali per guarire si poneva sulla ferita una chiave incandescente. Quale sarà l’origine di questa antica tradizione che ai più oggi appare come semplice superstizione? Amici, ricordatevi che dietro ad ogni credenza popolare vi è del vero; perciò mai sottovalutare i dati che il folklore ci riserva.
Vi siete sollazzati anche questa volta, cari Amici? Il Vostro Guala se lo augura e aspetta di ritrovarvi presto per la prossima avventura, meno faticosa, senza salite e discese rocambolesche. Alla prossima!
Guala
(Informazioni per visitare la pieve: dal mese di giugno al mese di ottobre la chiesa sarà tenuta aperta dai volontari degli Ecomusei AMI dalle ore 15 alle ore 18. http://www.ecomuseoami.it/index.php?option=com_content&view=article&id=659:chiese-romaniche-il-progetto&catid=74&Itemid=125. Per gli altri mesi telefonare in Comune: 011 983 4645).
-particolare affresco barocco: Cristo
#Santo Stefano al Monte#Candia Canavese#Ecomusei AMI#Pievi romaniche#romanico piemontese#Piemonte#Arte e storia delll'arte del Piemonte#Canavese#Ivrea#Eporediese#Katia Ceretti#François Dellarole
0 notes
Text
LA CHIESA DI SAN MICHELE ARCANGELO A CANDIA CANAVESE
(sopra) la Madonna col Bambino di Prindall
(Testo e foto di Katia Ceretti)
(-Qui potete vedere l’album fotografico https://www.flickr.com/photos/96501208@N06/albums/72157670311256255 - N.B. è SEVERAMENTE vietata la riproduzione delle foto senza il permesso dell’autore)
Amici, bentrovati! Che piacevole sorpresa vedervi tutti riuniti a discutere di arte! Cosa faccio io qui, disteso su questo fresco prato? Mi godo il sole estivo prima di intraprendere un nuovo lungo e faticoso viaggio alla ricerca delle reliquie perdute. Cosa? Volete che vi racconti un’altra delle mie avventure prima di andarmene? Non mi potevate rendere più lieto! Qualche giorno fa mi sono recato in visita a Candia Canavese per trovare un amico prelato presso la chiesa di San Michele. Orbene! Diamo il via all’avventura!
-(sopra) la facciata rinascimentale
La chiesa di San Michele è situata a Candia Canavese, paese di circa mille abitanti, in provincia di Torino. Non stupitevi se l’edificio presenta una facciata totalmente rimaneggiata nel XVI secolo, la quale non ha più subito modifiche e quindi ad oggi si presenta di stile rinascimentale. Della fase romanica rimangono soltanto il campanile e i resti di fondazioni (XII secolo) rinvenuti durante gli scavi archeologici del 2003, assieme ad alcune fasi più antiche, paleocristiane per la precisione(VI secolo), ad oggi visibili e visitabili grazie all’imponente opera di restauro e valorizzazione dell’area (un pavimento in vetro ci consente di mirare queste tracce antiche).
-(sopra) le fasi di costruzione della chiesa
-(sopra) le sepolture
Ora concentriamoci sulla prima fase, ossia quella paleocristiana: sono emersi, assieme a delle strutture murarie che ci fanno comprendere le dimensioni ridotte che doveva avere il primigenio edificio, con l’abside orientato ad est e l’entrata posta ad ovest, e i resti di una fonte battesimale (realizzata con un getto di conglomerato di malta, ciottoli e pezzame laterizio dello spessore di circa 50 cm). Diamo un po’ di dati, per intenderci meglio: la forma è circolare, il fondo della vasca ha un foro per il deflusso delle acque; il diametro esterno è di 1,52 mentre quello interno di 0,78 metri: la suddetta fonte si colloca dunque tra i battisteri di minori dimensioni e di età più avanzata (VI secolo). In questa i catecumeni venivano battezzati per immersione cioè probabilmente venivano posti interamente all’interno della vasca oppure, in ginocchio, ricevevano sul capo l’acqua santa. Quindi il primo edificio doveva svolgere duplice funzione: di chiesa e di battistero.
-(sopra) i resti dei gradini che conducono al presbiterio romanico
-(sopra) tracce di affreschi romanici
Quest’ultima struttura scomparirà attorno al X secolo; si ipotizza che la causa di questo mutamento fu l’introduzione del sacramento anche per i neonati e bambini, i quali non potevano essere immersi per ovvie ragioni pratiche; così si passa ad utilizzare una fonte più piccola e il battesimo diventa a infusione. Tali mutamenti liturgici si manifestarono in tempi diversi a seconda degli usi locali, determinati anche da ragioni climatiche, che sembra abbiano infatti favorito già dal IX secolo l'abbandono del battesimo per immersione nelle chiese d'Oltralpe, dove è pertanto presumibile la contemporanea realizzazione di piccole conche battesimali anche in semplici chiese parrocchiali. In Italia, invece, si continuarono a costruire battisteri e fonti battesimali di grandi dimensioni ancora nel Tardo Medioevo, anche in virtù della tradizione, mantenutasi dalle origini del cristianesimo, di riservare al vescovo - di norma solo nel battistero della chiesa cattedrale - la prerogativa della somministrazione del sacramento a tutti i bambini della città e dei dintorni di essa. La chiesa paleocristiana franò a causa della posizione sfavorevole in cui essa si trovava: sul pendio di una collina, sopra un terreno morenico instabile; in questo modo si conservarono soltanto i tratti di fondazioni occidentali, mentre quelli orientali crollarono totalmente.
-(sopra) una sepoltura
In epoca romanica la chiesa fu riedificata invertendone l’orientamento (abside a ovest ed ingresso ad est): le ragioni risultano oscure; possiamo ipotizzare che, essendo la precedente chiesa del VI secolo costruita su gradoni e ricostruita in epoca successiva a causa di una frana dell’intero edificio, quella nuova sia stata invertita per motivi strutturali. Sono ancora visibili delle splendide tracce di affreschi del XII secolo, policromi,l forse raffiguranti elementi vegetali - decorativi. Gli scavi intrapresi nel 2003 hanno messo in luce anche un numero consistente di sepolture le quali, come era solito verificarsi in tutte le chiese di quest’epoca, erano disposte seguendo una gerarchia: i personaggi di più alto rango ecclesiastico venivano inumati vicino all’abside mentre, quelli di ceto inferiore, venivano sepolti via via più lontani dal presbiterio. Si seppelliva quindi dentro alle chiese e all’esterno, nello spazio circostante ma consacrato, al contrario di quanto avveniva in epoca pagana, dove l’inumazione in luoghi sacri era proibita. Però, nel Medioevo, le sepolture diventano anonime, senza iscrizioni, e si concentrano nei pressi delle chiese, cioè tra i vivi; non a caso questa è l’età dove l’universale preso il posto dell’individuale. Pensate a tutte le cattedrali erette in quei secoli: nessuna, o quasi, porta una firma. Erano dunque lavori in cui la collettività prendeva il posto del singolo, dove ciò che contava era il risultato finale, nato da una stretta collaborazione. Non a caso è nel Medioevo che nasce la Massoneria intesa come gruppo di individui coesi dal fatto di appartenere al medesimo gruppo sociale e praticanti lo stesso mestiere (es.scalpellini).
-(sopra) le sepolture
Esse dovevano quindi avvenire “ad sanctos et apud aecclesiam” (vicino ai santi e presso le chiese). Più la sepoltura era vicina alle reliquie, più era valutata; così come, più era nei pressi dell’abside, luogo privilegiato per eccellenza poiché è lì che il prete comunica con Dio. Io ebbi la fortuna di addentrarmi nel sotterraneo dove potei ammirare la bellezza di questi antichi resti: le sepolture erano ancora lì, in cassa di murature, semplici come piace al Buon Dio, e frammenti di ossa emergevano dal suolo, incutendomi un certo rispetto e orrore. Immaginate di essere all’interno della vecchia chiesa: ecco, vedete? Le navate erano separate da pilatri rettangolari e l’abside conteneva l’altare in muratura. Il presbiterio era sopraelevato ed accessibile attraverso alcuni gradini ad oggi ben visibili. Il fonte battesimale sopravvisse anche se il rito del battesimo ad immersione era ormai desueto. Con buona probabilità a questa fase risalgono alcuni capitelli e colonne reimpiegati nella cripta di Santo Stefano al monte, a pochi chilometri dal centro di Candia (fateci una gita, non ve ne pentirete!).
-(sopra) la chiesa di Santo Stefano al monte, Candia Canavese
Proseguendo nel nostro viaggio nel tempo, vediamo come il bell’edificio subì rimaneggiamenti in epoca rinascimentale: un’altra radicale ricostruzione, che risparmiò soltanto il campanile della fase romanica, modificò totalmente l’assetto della seconda fase. La chiesa, che oggi possiamo ammirare, mantiene le caratteristiche di quest’ultima fase. L’area del coro venne ampliata nel corso dell’Ottocento. Attualmente l’interno presenta tre navate che si poggiano direttamente a quelli della chiesa romanica. Insomma: lo scheletro resta sempre lo stesso e a mutare è l’alzato che, seppur non più romanico, mantiene la sua dignità e bellezza.
Nel Settecento furono aggiunti altari alle cappelle laterali, come quello della Madonna del Rosario e alcune decorazioni, a mio avviso abbastanza pesanti (sapere, io sono un grande amante del romanico ma cerco di apprezzare anche le manifestazioni artistiche di ogni epoca).
Mi preme ricordare un personaggio, al quale Candia deve molto: lo scultore borgognone Jean de Prindall. Questo personaggio realizzò una magnifica Madonna col Bambino (tra il 1415 e il 1417), estremamente umana: ella guarda il figlioletto mentre egli volge lo sguardo verso l’alto, tutto intento ad assaporare un rosso frutto succoso (forse delle fragole). La cesellata eleganza dell’insieme richiama il superbo episodio della Madonna del melograno della collegiata di Chieri attribuita a Prindall. Molti sono gli elementi che accomunano le due opere: un clima elegantemente tardogotico che non scade mai nel dettaglio gratuitamente decorativo, la fattura dei capelli dei personaggi e i tratti dei visi, la ricaduta del manto della Vergine. La scultura di Candia appare forse un poco più arcaicizzante e meno esplicita nel richiamo alla cultura borgognona rispetto a quella chierese , fatta eccezione per la naturalistica decisione con la quale il Bambino afferra un lembo del lenzuolo (fonte: Silvia Piretta). L’opera fu realizzata in marmo alabastrino dipinto e, una copia è stata posta nella chiesa di Santo Stefano al Monte, spostandone così l’originale nel 1970 per metterla al sicuro in una teca nella navata destra di San Michele, dato che quest’ultimo edificio subì continui furti e vandalismi. Le attenzioni con la quale l’opera veniva conservata, già nel Settecento,lasciano immaginare che essa fosse da tempo oggetto di una intensa venerazione. Era infatti custodita entro una nicchia situata sopra l’altare della cappella stessa ed era visibile attraverso una finestrella, posta all’altezza dei volti della Madonna e del Bambino. la scultura è entrata nel dibattito critico nel momento in cui Giovanni Romano l’ha attribuita a Jean de Prindall.
-(sopra)La Madonna col Bambino di Candia
-(sopra) la Madonna col Bambino di Chieri
Bene, amici. Anche questo nostro viaggio è terminato. Ritornerò presto con una nuova storia da raccontarvi, sempre in terra canavesana, appena i mille impegni mi lasceranno requie terrena. Arrivederci!
Il sempre Vostro Guala.
-(Informazioni orari e visite: la chiesa è visitabili solo la domenica in orario di messa. Per aperture infrasettimanali telefonare in Comune: 011 983 4645) -
#Chiesa di San michele Arcangelo#Candia Canavese#Chiese paleocristiane#romanico#katia ceretti#Francois Dellarole#Jean de Prindall#Ecomusei Ami
0 notes
Text
LA CHIESA DI SANTA MARIA DI ANDRATE
(Testo e foto di Katia Ceretti)
(-Qui potete vedere l’album fotografico completo: https://www.flickr.com/photos/96501208@N06/albums/72157669461278382 - N.B. è vietata la riproduzione delle foto senza il permesso dell’autore)
Il supplizio della ruota (vedi Santa Caterina - affreschi - Foto: Wikipedia)
(Ci troviamo nella stanza del nostro cardinale Guala. Entriamo di soppiatto e vediamo che sta riposando: la sua giornata deve essere stata molto faticosa, sepolto tra mille scartoffie e controversie... Eccolo! Si sta svegliando!)
Guala: Oh, buonasera cari amici! Mi avete spaventato! Non mi aspettavo una vostra visita. Vi stupite del mio aspetto malconcio? Ebbene: anche i cardinali si ammalano. Questo tempo infingardo mi ha tratto in inganno e così, privo di ombrello, ho raccolto tutta la pioggia possibile nemmeno fossi una spugna proprio mentre ero a far visita ad un mio amico eporediese. Cosa? Siete curiosi di sapere dove i miei calzari hanno messo piede e che cosa mi abbia spinto così distante dalla mia terra natia? Orbene, vi racconterò del mio viaggio, almeno mi distrarrò da questo fastidioso raffreddore. Per fortuna ho preso degli appunti che mi permetteranno di essere molto preciso nel fornirvi alcuni dati. Iniziamo!
La chiesa di Santa Maria ad Andrate (comune molto antico, al confine tra il Biellese e l’Eporediese; oggi consta di cinquecento anime, sito in provincia di Torino) fu riedificata nel Settecento in seguito ad una frana, la quale causò la distruzione quasi totale del luogo di culto. La chiesa originaria era in stile romanico, della quale è rimasto in piedi il solo campanile e un frammento della parete dell’abside con relativi affreschi del XV secolo circa. Ma andiamo con ordine. Dicevamo che la frana distrusse la primitiva ma bella chiesa. L’attuale edificio presenta una pianta centrale a croce greca a navata unica; nelle pareti di destra e sinistra attualmente sono visibili degli ex voto. Ad incorniciare il tutto vi è un pronao edificato nel 1861; un recente restauro reso possibile dai priori ha restituito quella che doveva essere all’incirca la colorazione originaria: rosa salmone abbinato ad un blu moderatamente sgargiante. Di romanico resta il campanile, da datare tra l’XI e il XII secolo, piccolo rispetto alle dimensioni del complesso (alto poco più di venti metri): questo ci fa intuire che la prima chiesa doveva essere decisamente più minuta, probabilmente con una facciata a capanna (falda unica), in pietre locali e laterizi. Si notano quindi, disposte su cinque ordini, delle finestrelle, nel seguente ordine, partendo dal basso: due monofore (chiaramente per ciascun lato ma qui non mi stancherò mai di dire delle apparenti banalità, evitando così di dare per scontate molte cose), due bifore, successivamente chiuse e infine due trifore, agli ultimi due piani, racchiuse in campiture coronate da archetti pensili. I capitelli delle bifore e delle trifore sono sorretti da colonnine in pietra, alcune delle quali decorate alle estremità con semplici incisioni.
Tra i superstiti vi sono alcuni affreschi disposti alle spalle dell’altare maggiore, raffiguranti la Madonna della Misericordia e Santa Caterina.
La Vergine presenta un ampio mantello damascato sotto il quale protegge una piccola folla di uomini e donne, rigorosamente separati; tra di essi vi sono anche alcuni personaggi legati alla sfera religiosa quali un frate (riconoscibile dalla tonsura) e una suora (riconoscibile dal velo). Essa osserva il fedele maestosa, ieratica, rimarcando la sua atemporalità. Di fianco fa bella mostra Santa Caterina con i suoi attributi: la ruota dentata e un rametto che sembrerebbe essere d’ulivo. Piccola curiosità: come avveniva il supplizio della ruota? Il condannato era legato per i polsi e le caviglie ad una grande ruota e con una mazza gli venivano rotte le osa di braccia e gambe.Talvolta veniva dato un colpo di grazia sullo sterno, provocandone la morte. In altri casi invece veniva lasciato vivo per ore esposto al pubblico prima di essere ucciso. La Santa subì questo martirio ma, secondo la leggenda, lo strumento di tortura venne miracolosamente rotto. Gli affreschi sono stati rimaneggiati nel corso dei secoli e tra Sette e Ottocento sono stati aggiunti degli altri personaggi ad incorniciare le opere più antiche. Da notare il segno lasciato dall’altare disposto proprio contro la parete di fondo.
Mi preme però ricordare che l’accesso alla chiesa in origine si trovava orientato a ovest e, di conseguenza, l’altare doveva essere disposto ad est. Ad oggi invece l’ingresso si trova a sud mentre l’altare con gli affreschi sull’abside sono disposti a nord. E il campanile era proprio di fianco all’ingresso originario ma non unito fisicamente alla chiesa: tra i due vi era un “vuoto”, un piccolo spazio che fu riempito solo in seguito da un altro edificio, creando così l’apparente unione che oggi potete vedere tra questi due elementi.
All’esterno possiamo ancora osservare i resti di alcune mura in ciottoli che probabilmente fungevano da cerchia di delimitazione dell’antico villaggio. Delle incisioni, molto rovinate, poste su alcuni pilastrini danno informazioni cronologiche: tra le più leggibili ne resta una che data al 1790 circa il rifacimento del cornicione della chiesa, sul lato est.
Cari amici, il vostro Guala, seppur malconcio, spera di non avervi tediato con tutte queste informazioni le quali, ahimè, sono fondamentali per comprendere la stratificazione delle vicende storiche dei nostri ameni luoghi. Torno al mio letto e all’intruglio preparatomi da una delle nostre pie monache, con l’augurio di poter star meglio per poter tornare a raccontarvi storie ancor più affascinanti all’insegna della Piemontesità.
A presto!
Sia lodato Gesù Cristo.
(La chiesa è visitabile principalmente su prenotazione, telefonando in comune: http://www.comune.andrate.to.it/Home/Contatti/tabid/22377/Default.aspx oppure grazie ai volontari dell’ecomuseo della serra morenica (evento che va da giugno a ottobre di ogni anno: https://www.facebook.com/Ecomuseo-AMI-213117265393546/?fref=ts o QUI http://www.ecomuseoami.it/index.php?option=com_content&view=article&id=121&Itemid=87 )
#Andrate#Ivrea#Eporedia#Ecomusei Ami#Affreschi#campanile romanico#romanico#Settecento#Storia dell'arte#Piemonte#Italia#Katia Ceretti#Francois Dellarole
0 notes
Text
L’ORATORIO DI SAN SALVATORE A CALTIGNAGA
(Testo e foto di Katia Ceretti )
(N.B. Qui potete vedere le foto dell’oratorio: https://www.flickr.com/photos/96501208@N06/albums/72157669337373411)
Buongiorno cari Amici!
Mi presento: sono il cardinale Giacomo Guala Beccaria ma per voi, d’ora in avanti, sarò semplicemente Guala Bicheri. La terra che vide i miei natali si chiama Vercelli e fu un centro di grande ricchezza. Dovete sapere che io sono stato il “fautore” della bellissima abbazia vercellese del Sant’Andrea, che oggi ancora con la sua svettante maestà protegge e accoglie tutti coloro che dalla stazione mettono piede su questo antico suolo piemontese.
Ma bando alle corbellerie! Io sarò la vostra umile guida, pronta ad illustrarvi ogni angolo remoto e dimenticato del nostro Bel Piemonte.
Inauguriamo questo diario di viaggio con il rustico nonché affascinante oratorio di San Sebastiano il quale si trova a Caltignaga (cittadina di duemila e cinquecento abitanti, nel novarese), più precisamente all’interno del cimitero. L’oratorio è di origine romanica (XI secolo circa) e a dimostrarlo è proprio la facciata dal profilo a capanna la quale aveva la porta d'ingresso, una finestrella a croce od a oculo. Piccole finestrelle centinate erano ricavate nell'emiciclo absidale e sul fianco sud verso il presbiterio. La copertura era a capriate scoperte. L’edificio è ad aula unica; la sua pianta è trapezoidale terminante con un abside semicircolare, sormontato da archetti pensili. Facciamo finta di essere proprio lì davanti: alla nostra destra potremo notare che il lato lungo (orientato a sud) presenta una stratigrafia muraria poco leggibile in quanto coperta da strati di intonaco. Invece, la parete alla vostra sinistra (orientata a nord) presenta una stratificazione ben visibile: corsi orizzontali di mattoni alternati a strati di ciottoli disposti a spina di pesce, il tutto legato da della malta. Adesso giriamo attorno al nostro bell’edificio e fermiamoci proprio davanti all’abside: noteremo quindi che esso si presenta come una struttura in mattoni la quale forma è a emiciclo, abbastanza grande e tozzo;alzando lo sguardo noteremo degli archetti pensili che coronano la parte superiore, di fattura abbastanza rozza; su questa parete in origine si aprivano tre monofore a doppio strombo. Le due laterali sono ancora esistenti mentre la terza, posta al centro del catino absidale, è solo leggibile sotto l'intonaco esterno poiché la parte interna è stata murata nella seconda metà del quattrocento in occasione della realizzazione del ciclo di affreschi di Giovanni de Campo e della sua bottega (affreschi del XV secolo).
Adesso varchiamo la soglia: lasciamo agli occhi il tempo di abituarsi al buio. Fatto? Bene. Ora stropicciamoci gli occhi e osserviamo...quale incanto! quale meraviglia! quale prodigio partorito dal genio di prodighe mani! Davanti a noi, nel catino absidale, in alto, un Cristo Pantocreatore all’interno di una mandorla contornata da una decorazione color arcobaleno, fa da fulcro dell’intero ciclo di affreschi (realizzati con buona probabilità da Giovanni del Campo e dalla sua bottega, di qui parleremo tra poco. - N.B. soltanto il primo riquadro sulla parete di sinistra, verso il presbiterio, in cui sono raffigurati la Madonna in trono con Bambino tra angeli e ai lati San Rocco e San Pietro, appare più tardo): egli rappresenta la maestà di Cristo come Lux mundi. Nell'elegante contorno della mandorla compaiono quattro medaglioni con il monogramma di Cristo nella formulazione grafica divulgata da Bernardino Da Siena. All'interno della mandorla il Cristo pantocrator reca nella mano sinistra un libro su cui si legge l'iscrizione “Ego sum Lux mundi, via veritas et vita” ad indicare il Vangelo come portatore di verità ed annuncio della salvezza.La tunica azzurra ed il mantello rosso del Cristo sono a significare la natura divina ed umana del Salvatore e la cintura annodata attorno alla vita è il simbolo della giustizia. Sul lato di sinistra della mandorla è posto S. Andrea che regge la croce e, davanti al Santo, un offerente e degli storpi, mentre a destra è raffigurato San Pietro con poveri e derelitti. Segue, sotto S. Andrea, la figura di Santa Caterina d'Alessandria presentata secondo l'iconografia tradizionale in vesti regali e con la ruota uncinata; nel riquadro successivo è dipinto San Dionigi, Vescovo di Milano. Segue San Nazzaro raffigurato come un giovane con la spada ed eleganti abiti di corte secondo il modulo tardo gotico. Al centro dell'emiciclo una suggestiva Deposizione di impostazione arcaica rappresenta il Cristo segnato dalle piaghe della flagellazione. Il riquadro a destra della deposizione comprende i Santi Secondo e Gerolamo. Gli ultimi due riquadri rappresentano ancora Santa Caterina d'Alessandria con un offerente(ipotesi: che sia colui che ha creato gli affreschi?). Conclude il ciclo pittorico del catino absidale il dipinto della Madonna con Bambino e S. Anna; di questa opera molto rovinata, restano solo i tre volti, mentre la parte sottostante è andata perduta.Fortunatamente l'altare è quello originale ed era a sua volta affrescato e presentava in origine un Cristo in pietà successivamente coperto da una decorazione del tipo a tappezzeria, della quale resta ben visibile ancora nella parte superiore. Sulla mensa è collocata una interessante dorsale su cui figurano una Crocifissione tra i santi Bartolomeo e Bernardino da Siena a sinistra e San Francesco d'Assisi e San Zeno a destra.
Soltanto il primo riquadro sulla parete di sinistra, verso il presbiterio, in cui sono raffigurati la Madonna in trono con Bambino tra angeli e ai lati San Rocco e San Pietro, appare più tardo. Sulla stessa parete con un San Francesco che riceve le stigmate: inginocchiato, in estasi, con le mani alzate verso il Cristo con le ali di Serafino, mostra la ferita del costato attraverso la lacerazione del saio. Davanti ad egli vi è un fraticello che assiste; un falco è posto dietro al santo; i raggi che provengono da Cristo sono diretti verso la piaga del frate e verso le sue mani e i suoi piedi. Conclude la parete di sinistra il riquadro con San Biagio benedicente con gli abiti e le insegne della dignità episcopale.
Ai lati dell'arco trionfale nella collocazione tradizionale, è raffigurata l'annunciazione: sinistra l'Arcangelo Gabriele, a destra la Vergine, purtroppo molto danneggiati. Nell'intradosso dell'arco, a partire dalla base di sinistra è dipinta una Madonna in trono con Bambino dive la ricchezza decorativa delle vesti e del trono ricordano i modi dello stile cortese. Segue una sequenza di eleganti edicole trilobate di colore rosso mattone, tipiche del carattere piemontese; nelle edicole sono collocati a mezzo busto, su un fondo azzurro, Re Davide, i quattro Dottori della Chiesa (San Girolamo, San Gregorio Magno con la colomba sulla spalla, Sant'Ambrogio con il flagello, Sant'Agostino ed infine il Profeta Isaia).
Gli autori di questo ciclo di affreschi sono i De Campo, in particolar modo Giovanni e suo figlio Luca (la quale mano non è identificabile - egli esegue i misteri della Vergine Maria nell'oratorio di Santa Maria di Linduno ); i De Campo erano gli artisti più attivi nel novarese assieme ai Cagnola. Di notevole importanza sono il Giudizio Universale a Biandrate datato 1444 ed il Giudizio Universale del Battistero di Novara dipinto presumibilmente verso il 1450, sempre di scuola campese; ricordo inoltre l'affresco della Vergine con Bambino nella lunetta della canonica vecchia di Novara.
Eccoci giunti alla fine di questa prima tappa novarese!
Qui potrete vedere le foto dell’oratorio: https://www.flickr.com/photos/96501208@N06/albums/72157669337373411
Il vostro amico Guala vi saluta e si augura che vi siate divertiti e spera, passo passo, di potervi appassionare alla rusticità delle chiese romaniche, la quale essenzialità è proprio l’elemento che rende quest’arte qualche cosa di diverso, di Spirituale, di Trascendente.
“Ciò che conta è quel che sta dentro, non quel che sta fuori perché l’apparenza è tentatrice, come il demonio: colora di orpelli le cose più scialbe per renderle appetibili. Come quei bei fiori tropicali: belli ma velenosi. Con ciò non vogliamo dire chela bellezza sia solo frutto di inganno ma che la bellezza a volte non si scorge se l’occhio non è allenato a penetrare nell’anima delle cose.”
Fonti: -F.Portalupi, San Salvatore di Caltignaga;
-Verzone, L'architettura romanica nel novarese.
#caltignaga#san salvatore#oratorio#novara#novarese#affreschi Del Campo#romanico#piemonte#arte e storia dell'arte#katia ceretti#Francois Dellarole
0 notes