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C’eravamo tanto amati
11 agosto 2019
di Alessandro Tamburini (alessandrotamburini.com)
“Come nella migliore tradizione delle nozze, tutti piangono di commozione nel momento del “sì” pronunciato davanti all’officiante; non tenendo conto che spente le luci e passata l’ebbrezza della festa, quelle due persone che hanno promesso solennemente di sostenersi per il resto dei loro giorni, dovranno fare i conti con la (dura) vita quotidiana.“  (dall’articolo “Quando vincono tutti, non vince nessuno” - del 19/19/2018)
Ci si sposa per amore, talvolta per passione, alcune volte per convenienza.
Woody Allen una volta disse:
“Il matrimonio è quella cosa che permette a due individui di affrontare insieme problemi che non avrebbero mai avuto se non si fossero sposati”
E se il matrimonio, di per sé, non è una cosa semplice (si tratta di mettere insieme due universi che non hanno una radice biologica o genetica comune; al massimo possono avere degli elementi di compatibilità), in caso di matrimoni basati sulla convenienza, quando quest’ultima viene esaurita (o da una parte o dall’altra, o da entrambe le parti), volano gli stracci.
L’ultima legislatura, dopo l’ebbrezza della “luna di miele”, non ha mai avuto vita facile negli ultimi 14 mesi.
Le posizioni antieuropeiste che hanno pesato sulla misura del fantomatico spread (per un approfondimento su questo tema “Se la paura fa i 200 (e oltre)… - Dello Spread e di altri luoghi comuni”) hanno acceso per l’ennesima volta un faro di attenzione sui conti pubblici, mentre si consumava un deterioramento della volontà di avere obiettivi comuni.
Una convivenza complessa, che grazie alle posizioni accomodanti della BCE e alle pressioni del Presidente americano sull’omologa FED , hanno garantito alcuni mesi finanziari positivi e allontanato lo spettro della fine del ciclo economico.
Fino alla “spallata” del Presidente della Repubblica, con la quale, assicurando di rivedere alcune voci di spesa (le stesse che avevano portato i titoli di Stato sull’ottovolante durante l’autunno scorso) ha consentito di allontanare la scure della procedura di infrazione.
Questo rasserenamento, tuttavia, non è stato sufficiente ad avvicinare e a solidificare le sponde sempre più divergenti dell’esecutivo.
Le prossime ore delineeranno i risvolti di questa crisi.
Intanto Fitch conferma il rating dei Titoli di Stato. Fondamentalmente sono due le cose che potrebbero infastidire i mercati (e i patrimoni): un’impennata della deriva anti-UE e, come più volte è stato sottolineato, trasmettere all’esterno un’immagine sfocata del paese, mentre si azzuffa sui resti di questa unione giunta ormai alle sue ultime ore.
Ogni decisione che non vada nella direzione di un senso di responsabilità istituzionale, ma tesa a difendere posizioni personali o consolidarle, può solo fare male.
L’Italia è una nave solida (magari non una rompighiaccio), ma può stare a galla e può fare il proprio percorso finanziario contemporaneo. Se però il timone non è affidato a mani consapevoli, può facilmente andare a sbattere. E questa consapevolezza non finisce giusto oltre le  fiancate dell’imbarcazione, ma abbraccia anche le condizioni del mare e del meteo in generale.
Come si è sempre detto, lasciamo il compito di fare valutazioni politiche a chi se ne occupa. Il “cash” continua a restare “king”. Si potrebbe valutare il consolidamento di posizioni con scadenze lunghe sui titoli di Stato, per non essere sorpresi dal nervosismo in corso. Chiaramente ogni tipo di movimentazione va fatta considerando il patrimonio nel suo insieme, preferendo una buona diversificazione ed un controllo (quanto mai spasmodico) del rischio.
Almeno fino alla fine di questo “caldo” Agosto
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universofinanza · 6 years
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Senza Esclusione di Colpi (”Caos Is King”)
27 novembre 2018
di Alessandro Tamburini (alessandrotamburini.com)
Il 4 di giugno di quest’anno, sulle pagine di questo blog è stato pubblicato un articolo dal titolo “Se la paura fa i 200 (e oltre) - Dello Spread e di altri luoghi comuni” (cliccare qui per leggere l’articolo).
In sostanza, anticipava quanto riportato in un articolo pubblicato sul IlSole24Ore dal titolo: “Mutui, perché non c'è correlazione tra spread BTp-Bund ed Euribor” (cliccare qui per leggere l’articolo).
Entrambi gli articoli sostenevano che non vi è relazione diretta fra l’aumento dello Spread e l’aumento del costo dei mutui.
Resta il fatto che, i mutui a tasso variabile sono legati all’Euribor, che è un tasso di mercato (più precisamente misura il prezzo dei prestiti fra banche su varie scadenze). Questo parametro può muoversi autonomamente rispetto ai tassi ufficiali, e può portare all’aumento delle rate (sempre dei mutui a tasso variabile, anche di quelli già stipulati).
Le condizioni di mercato possono variare per “n” fattori, non per ultimi quelli di natura politica.
Se il prezzo dei titoli di Stato dovesse calare in maniera considerevole (qualunque fossero le ragioni), questo impatterebbe sulla solidità degli attivi delle banche.
Banche meno solide comincerebbero a non scambiare denaro fra loro con tanta serenità, e questo provocherebbe un inasprimento dell’Euribor (vedi quanto accaduto nel 2008).
Analogamente, aumentando il costo della raccolta per le banche (il cosiddetto funding bancario), potrebbe aumentare (sui mutui di nuova stipula) il prezzo applicato al parametro base (lo spread, che non è quello di cui si sta discutendo).
Nel frattempo la Germania potrebbe essere gambe all’aria, oppure rivelarsi definitivamente la Terra Promessa.
Cambierebbe di poco la sostanza.
Ecco perché si può dire che il problema non é lo Spread Bund-Btp, tanto quanto l’affidabilità percepita dagli investitori nei confronti del nostro paese, in senso assoluto, e non tanto su un piano relativo.
Al di là del merito, che rimane di appannaggio a chi si occupa di politica, non è difficile comprendere che oggi il nostro debito pubblico non offra serenità ai mercati. La preoccupazione potrebbe non essere squisitamente strutturale, tanto quanto nella capacità, da parte di chi amministra la nazione di saperlo gestire in modo coerente con il concetto costituzionale di “repubblica” (res publica, cosa pubblica) (dall’articolo: “Quando vincono tutti, non vince nessuno”)
La confusione e l’aggressività diffusa non aiutano certo ad essere visti con tranquillità, e paradossalmente provocano un inasprimento del quadro che vorrebbe essere colto (e forse ostentato) in modo opposto.
Non conta quanto si abbia ragione sulla sostanza. Spesso lo sbaglio più grande resta legato all’uso della prepotenza e dell’arroganza.
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universofinanza · 6 years
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Quando vincono tutti, non vince nessuno.
19 ottobre 2018
di Alessandro Tamburini
Io non accetto compromessi, e quando dico che non accetto compromessi intendo dire che sto aspettando che mi capiti quello giusto. (Anonimo)
Presto o tardi nella vita politica è obbligatorio il compromesso. Tutti ci si piegano. (Oscar Wilde)
Non è un segreto che quello che sta succedendo al quadro politico italiano sia il frutto di un compromesso. Se da soli non si vince, occorre allearsi. Per allearsi con qualcuno che fino a qualche tempo prima era considerato un antagonista, serve un compromesso.
Si vince insieme il giorno delle elezioni e il giorno successivo si esulta.
Come nella migliore tradizione delle nozze, tutti piangono di commozione nel momento del “sì” pronunciato davanti all’officiante; non tenendo conto che spente le luci e passata l’ebbrezza della festa, quelle due persone che hanno promesso solennemente di sostenersi per il resto dei loro giorni, dovranno fare i conti con la (dura) vita quotidiana.
Chi vince in politica non ha solo l’onore di fregiarsi del fatto che il proprio programma abbia avuto un riscontro popolare. Sarebbe fin troppo semplice vincere delle elezioni creando un programma che prometta cose positive per gli elettori, sostenendo che la pressione fiscale e i vari disservizi facciano parte di una cattiva amministrazione pregressa e corrente (nazionale o sovranazionale) basata su privilegi antichi e usuale mancanza di rispetto per il popolo. Purtroppo, da sempre, la politica invece lavora con le fasi invertite: prima si promette, poi nel caso non si mantengano i patti, la colpa è delle magagne occulte derivanti dal passato o dalla impossibilità di arrivare in fondo al programma perché qualcosa o qualcuno impedisce la realizzazione dei piani messi in atto.
In questo momento l’Italia sta vivendo un momento delicato (e “delicato” é un eufemismo), sia sul fronte interno che esterno.
IL PASTICCIO DEL DEF Il 15 ottobre, il Governo ha inoltrato a Bruxelles il Documento di Economia e Finanza (leggasi “Legge di Bilancio) con il quale l’Esecutivo ha comunicato le voci di spesa e di entrate per il 2019.
Lo sbilancio, fra entrate e uscite, comporta un deficit pari al 2,7% del PIL (vedi lettera Dombrovksis e Moscovici del 18 ottobre 2018 a questo link).
L’Europa ha fissato nella misura del 3% lo sforamento massimo consentito del suddetto rapporto, per cui molti non comprendono il perché della “bocciatura” del programma per il prossimo esercizio.
Questo 3% va inserito nel quadro più ampio del patto di stabilità, i cui parametri prevedono un rapporto tra debito pubblico e PIL entro il 60%.
Il debito pubblico italiano rapportato al PIL porta ad un valore pari al 130%, e le voci di spesa contribuirebbero a rafforzare strutturalmente questo dato, ed è per questa ragione che emerge la preoccupazione dei tecnici deputati a valutare il programma.
Va ricordato che dal 2012, l’impegno sottoscritto con ampia maggioranza da tutte le forze politiche e diventato legge costituzionale, prevede il pareggio di bilancio.
Chiaramente si può contestare tanto la suddetta legge quanto i vincoli imposti dall’Unione Europea, ma resta comunque il fatto che per muoversi in contesto attuale occorre rispettare queste regole. La mancata osservanza delle regole, porta a delle conseguenze.
O si cambiano le regole, avendo bene in mente cosa comporta cambiarle, e comprendendo che ogni soluzione apparente  deve tenere conto di un’analisi consapevole e profonda del problema, oppure obtorto collo, le si rispettano.
Per banalizzare: posso pensare che un semaforo sia un impiccio al traffico. Posso anche avere ragione. Posso anche togliere il semaforo. Resta da risolvere il problema della gestione ottimale ed in sicurezza del flusso dei veicoli
Liberarsi dell’UE potrebbe essere come eradicare il semaforo.
In Gran Bretagna, dopo la foga del “leave” al referendum sulla Brexit, sembra tornare preponderante il bisogno di ritornare su quella decisione (vedi a questo link le parole del sindaco di Londra). Le ragioni possono essere ricercate nell’analisi fatta a suo tempo nell’articolo “Se l’aplomb inglese si perde nella demagogia” (clicca sul titolo dell’articolo per leggere l’intero contenuto).
IL CONFLITTO INTERNO Nell’ambito della programmazione non solo delle uscite, ma anche delle entrate, ha fatto capolino il famigerato condono fiscale. Fare emergere e tassare (con importanti scontistiche) somme sommerse è un percorso già battuto in altri momenti degli ultimi venti anni.
Immorale per chi vede in questa strada un premio per chi si è comportato male nei confronti del fisco (e della collettività), resta una leva per introdurre nel sistema (e tassare) somme che non “esistono”.
Succede però, che il testo preveda anche una sanatoria nei confronti dei reati penali (fino ad un compromesso che coprirebbe anche reati come riciclaggio e autoriciclaggio). A quanto pare, sorge il dubbio che ci siano state variazioni in corso d’opera, e che qualcuno abbia modificato di proposito e in modo sleale il contenuto (visto che il leitmotiv della campagna elettorale è stato: “Onestà!”). Il Presidente del Consiglio ha convocato un Consiglio dei Ministri per sabato, a cui uno dei due vice premier in un primo momento ha comunicato di non voler partecipare (anche se nelle ultime ore sembra essere tornato su suoi passi).
Al di là del merito, che rimane di appannaggio a chi si occupa di politica, non è difficile comprendere che oggi il nostro debito pubblico non offra serenità ai mercati. La preoccupazione potrebbe non essere squisitamente strutturale, tanto quanto nella capacità, da parte di chi amministra la nazione di saperlo gestire in modo coerente con il concetto costituzionale di “repubblica” (res publica, cosa pubblica).
Se vincono tutti, non vince nessuno. Se tutti perdono, invece, vuol dire che tutti ne subiscono le conseguenze.
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Chi sono “I mercati”? Quali poteri si nascondono nella “stanza dei bottoni”?
3 ottobre 2018
di Alessandro Tamburini
Un nemico ci vuole. Per dare il senso alla lotta. Anche ad una lotta che non c’è, ma che è necessaria
Era la fine degli anni ‘80, e sui banchi di scuola il professor Lino Bartolini, con tutta la perizia di cui era capace, ci spiegò uno dei concetti più astrusi che potesse esserci per una platea di adolescenti: i contratti di Borsa a termine.
Con la Borsa a termine, rimasta in voga fino a buona metà degli anni ‘90, un operatore poteva vendere ciò che non aveva e ricomprarselo per tempo nei giorni successivi.
Se credevo che un titolo fosse sopravvalutato, potevo venderlo, pur non avendolo in portafoglio, premunendomi però di ricomprarlo entro una certa data, possibilmente ad un prezzo più basso.
Questo tipo di operazione prendeva il nome di “speculazione al ribasso”.
Astrusità per astrusità, nel caso la mia previsione non trovasse riscontro, potevo andare a chiedere titoli in prestito attraverso un’operazione definita: “riporto”.
Oggi i contratti sono “a contanti”, ovvero, se voglio comprare un titolo devo avere i soldi in mano per poterlo fare; se voglio venderlo devo avere il possesso del titolo in modo da consegnarlo prontamente al compratore.
Questo non significa che non sia possibile, attraverso tecniche più o meno sofisticate, effettuare operazioni di speculazione sia al rialzo che al ribasso.
Visto che le speculazioni sono ancora possibili, chi le alimenta? Per quale motivo? I mercati hanno una logica: il guadagno. Se i prezzi salgono, qualcuno guadagna (e qualcuno perde). Se i prezzi scendono, per effetto della stessa logica, qualcuno perde (mentre qualcun altro guadagna).
Quando si sente ai vari notiziari che sono stati “bruciati” miliardi di Eur o di dollari, in realtà sono semplicemente passati di mano. Ogni speculazione ha in sé due fasi imprescindibili: un momento di acquisto e un momento di vendita. Il guadagno deriva da un prezzo di vendita maggiore a quello di acquisto (ovviamente), anche se i due momenti vengono invertiti temporalmente (prima vendo, poi compro).
I mercati non hanno bandiera: sfruttano tutte le possibilità a loro disposizione per ottimizzare un momento economico.
Possono i mercati indossare una casacca per spingere una forza politica o indebolirne un’altra? In teoria, con la logica delle “mani forti” è possibile avviare una fase speculativa. Se grandi investitori iniziano a vendere determinate attività in modo massiccio, il prezzo di quei titoli subirà un calo.
A patto di avere del guadagno da consolidare nelle posizioni aperte, oppure spregiudicatamente forzando una fase di ribasso.
In ogni caso, ogni speculatore é consapevole che l’operazione deve essere chiusa.
Questo significa che presumendo un “attacco” scatenato da un’ondata di vendite, queste vendite necessitano di trovare, nel portafoglio dello speculatore, anche degli acquisti per pareggiare le posizioni.
E lo speculatore deve avere un buon margine di sicurezza (per quanto appartenente alle “mani forti”), che non ci sia qualcuno più forte di lui che non metta in moto un meccanismo inverso. Per esemplificare quanto espresso fino a qui, è sufficiente visionare il video riportato sotto (tranche del film “Un’ottima annata” - 2006)
youtube
Questo non significa che le ondate speculative non siano pericolose o che non possano essere strumentali per catalizzare un determinato tipo di sentimento sugli investitori.
Nonostante sia assolutamente importante non trovarsi nel mezzo di queste “ondate”, quando queste si infrangono a livello sistemico (vedasi titoli di Stato), è piuttosto complicato esserne immuni.
Tuttavia, vanno prese per quello che sono.
Sfruttano un momento specifico, colpiscono, fanno danni temporanei, ma non possono essere eterne
Per limitare i danni è sufficiente analizzare in modo freddo la situazione, e cercare di non fare il “gioco” di chi specula.
Sarebbe diverso se ci dovesse trovare in una fase in cui nonostante il ribasso dei prezzi, non ci fossero compratori... Questo tipo di situazione cambierebbe completamente lo scenario
Soprattutto, cosa che è stata detta ma che non sarà mai ripetuta abbastanza, una delle chiavi per evitare rischi specifici è la diversificazione.
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universofinanza · 6 years
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Del deficit e di altre paure
30 settembre 2018
“Crollo dei titoli di Stato, 20 miliardi di Eur bruciati in un giorno, spread schizzato alle stelle...”
Le poche parole riportate sopra possono essere la sintesi della rassegna stampa di questo fine settimana.
Per chi fosse stato in vacanza su Marte negli ultimi giorni, va detto che a giustificare questo pandemonio è stato il DEF approvato il 27 settembre dall’esecutivo di Palazzo Chigi.
Il DEF delinea le politiche economiche del paese (sempre dietro approvazione  delle Camere nei tempi previsti).
Molta della disperazione suscitata e scaricata sui mercati è derivata dal fatto che le voci di spesa porterebbero il deficit al 2,4% del Prodotto Interno Lordo (PIL), quando il Ministro Tria aveva rassicurato che l’incidenza del deficit non avrebbe superato l’1,5% della medesima voce.
Chi sostiene la direzione dell’esecutivo, vede nelle reazioni di mercato la volontà di colpire questo nuovo corso, improntato sulla volontà di ridistribuzione della ricchezza.
Chi invece non condivide questo percorso, vede nei prezzi di chiusura di venerdì scorso dei titoli di Stato e delle azioni del Bel Paese, il sostegno al pensiero che la strada intrapresa sia pericolosa.
Nel clangore di questo scontro animato, greve e senza esclusione di colpi di queste due “scuole di pensiero”, emerge la voce di Jon Sindreu, che firma un articolo controverso sul Wall Street Journal.
L’articolo, ripreso da IlSole24Ore a questo link, in sostanza sostiene una tesi:
Il vero rischio dell’Italia non è il default, bensì l’eventualità di uscire dall’area Eur
Le ragioni che Sindreu porta a sostegno di questa tesi sono due
Il 2,4% di deficit è comunque abbastanza lontano dal tetto del 3%;
Fintanto che la maggioranza degli Italiani è favorevole alla permanenza nell’area Eur (oggi pari al 59%), non sono ravvisabili particolari rischi.
La raccomandazione che questo giornalista dà, sulla scorta di queste considerazioni, è quella di comprare Btp, avendo un approccio di lungo termine.
Il rischio su cui Sindreu si concentra è chiaramente correlato al rischio di credito, ovvero la possibilità di non ricevere a scadenza quanto previsto (e/o non incassare cedole nel “durante”).
A questa analisi, a cui solo il tempo e le evoluzioni di quanto predisposto dal Governo nei successivi passaggi istituzionali daranno una risposta, va aggiunto un ragionamento che invece tiene conto di un quadro più complesso.
Va ricordato, che siamo al termine della fase di intervento della BCE, e questo potrebbe influenzare notevolmente i prezzi (catalizzando anche le tensioni derivanti dallo scenario politico).
Come sostiene Alex Spanos: “Cash is King” (in buona sostanza, chi ha la liquidità, comanda).
Applicando questo adagio, si può dire che se anche Sindreu può aver ragione (e c’è da sperare che ne abbia da vendere), non c’è comunque fretta. Comprare, anche a piccole tranche potrebbe essere la strada più corretta.
Un ultimo e doveroso passaggio va fatto tenendo conto di un altro dato.
Ieri, l’indice MSCI World (l’indice azionario mondiale, espresso in USD) ha perso lo 0,20%.
È vero che è pur sempre un segno negativo, ma questo numero può aiutare a capire quanto un rischio specifico possa essere diluito con una diversificazione ben costruita ed efficiente.
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universofinanza · 6 years
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Se la paura fa i 200 (e oltre)... - Dello Spread e di altri luoghi comuni
4 giugno 2018
Scorsa settimana i mercati sono finiti preda del panico a causa del (supposto e deposto) ministro dell’economia.
Questo perché il suo nome è stato in qualche modo associato, a torto o a ragione, ad un progetto di fuoriuscita dell’Italia dal’Eur.
Si è addirittura paventato l’impeachment per il Capo dello Stato per aver respinto il nome di questo capo di dicastero, visto che si è messa in discussione la legittimità di questa decisione.
Nel pieno di questa querelle istituzionale il rendimento del decennale è schizzato oltre il 3%, e si è tornati a parlare con forza dello Spread.
Per qualcuno lo spread è un tecnicismo, per altri è il parametro principe che determinerà la salvezza o la condanna del nostro Paese.
Chi ha ragione?
Spread, Europeismo e Anti-europeismo
Lo Spread Btp/Bund è il differenziale di rendimento fra i titoli decennali tedeschi e quelli italiani
Con un deficit pari al 67% (dato 2016) la Germania, all’interno dell’Unione Europea, è reputata la nazione virtuosa e sana per eccellenza (il deficit italiano, alla stessa data, è pari al 132% circa).
Partendo dall’assunto che tanto più un paese è rischioso, tanto più debbano essere alti gli interessi del suo debito, si calcola quanti punti base paghino per differenza gli altri paesi. Ad esempio: 
Decennale Btp 2,55(%)-Decennale Bund 0,40(%)= 2,10*100= 210 (Spread)
Ipotizzando uno scenario in cui la Germania dovesse fare improvvisamente i conti con un problema interno e i suoi rendimenti salissero velocemente a 2,50%, riducendo così lo Spread a 5, saremmo inesorabilmente salvi? I tassi dei mutui diminuirebbero (tanto di quelli esistenti, tanto quelli da stipulare)?
Le aziende italiane sarebbero più floride?
Il progetto Euro, si basa sulla difficile realizzazione ed armonizzazione di tre obiettivi: unione monetaria (che a distanza di diversi lustri deve ancora fare i conti con diverse perplessità), unione bancaria e unione fiscale. Cè da chiedersi se la continua sottolineatura delle differenze fra i vari paesi faccia bene oppure no al perseguimento di questi risultati. Il nuovo esecutivo darà fiducia ai mercati?
Il tempo lo dirà.
Andrebbe ricordato, a questo proposito che il Governo non è altro che la lunga mano del Parlamento (che detiene il potere legislativo). Questo significa che se proprio paura deve essere, quest’ultima avrebbe avuto ragione di essere scatenata nel momento in cui le forze etichettate come anti-europeiste hanno conquistato la maggioranza in Parlamento, e non tanto per la designazione o meno di un ministro 
Che dire dell’impatto dello Spread sui mutui? 
Mutui già stipulati:
Tasso fisso: non risentono in nessun modo dell’aumento dello spread.;
Tasso variabile: risentono dell’aumento del parametro di indicizzazione, non dell’aumento dello spread. L’Euribor a 3 mesi, continua ad avere la stessa quotazione di inizio anno (-0,321% Fonte Euribor.it) senza alcuna variazione significativa in questo periodo.
Mutui da stipulare:
Tasso fisso: il tasso finito viene calcolato generalmente sul parametro IRS (stabile da inizio anno attorno all’1,50%);
Tasso variabile: il tasso viene determinato applicando un quid al parametro di riferimento (generalmente Euribor a 3 mesi); quest’ultimo come riportato sopra non ha subìto variazioni in questo momento di tensione.
Non sarà tanto lo Spread a fare aumentare le rate dei mutui, quanto l’andamento ciclico dei tassi, e la ripresa dell’inflazione, evocata dalla BCE da diverso tempo (con grande sforzo ma con poca soddisfazione).
E il debito pubblico? Per analogia, il ragionamento fatto per i mutui vale anche per il debito pubblico italiano.
Un debito importante, come si è detto prima, ma che deve fare i conti con le realtà peculiari del paese d’emissione e non con il confronto con gli altri. “Unità” non ha lo stesso significato e lo stesso valore di “uniformità”.
Significa tutto questo che si può tornare a comprare BtP spensieratamente (e con rendimenti “arrotondati”)?
Visto che comunque l’intervento delle Banche Centrali sembra essere alla fine, meglio attendere gli sviluppi. La fretta e la paura sono sempre grandissimi nemici del buonsenso. Anche perché, lo spread fra il decennale americano e quello tedesco, ad oggi è pari a 256
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Lo spread sale, i prezzi si abbassano...
19 maggio 2018
... e i rendimenti si alzano (vedi articolo 13 marzo 2018)
Una cosa buona?
Dipende...
Una cosa cattiva?
Dipende...
La misura dello spread (che è il dfferenziale di rendimento con la Germania a parità di scadenza), tuttavia, rimane un grande paradosso ideologico in un'Europa che cerca di avere una visione univoca, soprattutto in un contesto che vede sfumare la deriva anti-europeista.
(da AT-CONSULENZA - Aggiornamento 18 maggio 2018)
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universofinanza · 7 years
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“Un tuffo dove l’acqua è più blu, niente di più...” - Il mare profondo del mondo obbligazionario (Btp & Co.)
13 marzo 2018
Un articolo di Maximilian Cellino del 7 marzo 2018 (consultabile a questo link)  lo definisce “la bocca del coccodrillo”.
A cosa fa riferimento?  A questo grafico (riportato nel suddetto articolo)
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Immaginando la testa dell’ipotetico caimano rivolta verso destra, è facile individuare la straordinaria apertura delle fauci.
Cosa significa questo grafico?
Basilarmente dovrebbe far riflettere su due coppie di numeri:
nel 1999 un titolo con durata media di 4,6 anni rendeva circa un 4,60%;
oggi, un titolo con durata media di 6,63 anni, rende lo 0,54%.
Che i tassi fossero azzerati, se non negativi, non è una novità.
Perché preoccuparsi? Ci si è abituati a fare i conti con interessi più bassi e avere scadenze più lunghe, come dice il grafico d’altronde... Guardano il grafico, tuttavia, non si può non notare come dal 2006 al 2009 i rendimenti siano cresciuti di quasi due punti... Questo aumento di rendimento determina per i detentori dei titoli, un calo del valore. Il summenzionato articolo de IlSole24Ore sostiene che possano essere in pericolo i guadagni di ben 10 anni in caso di aumento di rendimenti.
Non si scherza, quindi. Non è più tempo di allungare le scadenze per andare alla ricerca spasmodica di un fantomatico e risicato rendimento.
Particolare attenzione va posta ai fondi obbligazionari, in quanto non potrebbero avere gli strumenti per difendersi in questa fase.
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universofinanza · 7 years
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500 Collezione - nuove proposte al Salone di Ginevra
06 marzo 2018
Fiat rilancia il suo modello new-classic con un allestimento speciale, chiamato “Collezione”. Serie limitata, con alcune colorazioni specifiche, cerchi da 16″, qualche cromatura qua e là. Stessi propulsori, uguale meccanica (per maggiori dettagli si può consultare l’articolo di Repubblica a questo link).
In un momento in cui il settore dell’automobile è in fermento (le grandi case europee e orientali stanno sperimentando e mettendo in produzione motori ibridi ad alta efficienza) FCA si limita a dare un tocco di “belletto” alla bella e piccolina di casa.
Intanto Alfa non riesce ad avere luce nel settore SUV (al di là dell’aspetto prestazionale, Stelvio è rimasta indietro nelle classifiche di categoria) e Giulia stenta a fare breccia nelle vendite.
Lancia è nella fase terminale della storia del marchio.
Jeep sembra muoversi bene, ma sul fronte dell’innovazione qualcosa manca all’appello.
In un momento in cui la storia del diesel sembra essere segnata, e comunque la ricerca di soluzioni per abbassare le emissioni è inevitabile, all’interno del panorama FCA si trova solo qualche modello bi-fuel, come elemento di diversificazione dai “soliti” motori a benzin o a gasolio.
È vero che sul fronte dell’innovazione non sempre essere i primi agevola.
Significa dover fare molta fatica e investire grandi somme per raggiungere innovazioni di cui poi altri beneficeranno.
Speriamo solo di non rimanere troppo indietro.
Intanto, aspettiamo la primavera con i nuovi modelli 500 Collezione
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universofinanza · 7 years
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ll Texas Ratio e le principali banche italiane: il ”cattivo” e il “brutto” ci sono... Cercasi “buono” disperatamente
16 dicembre 2017
Dobbiamo farcene una ragione: gli americani sono avanti.
Arrivano prima in tutto, anche nelle crisi bancarie.
E così nella crisi delle banche texane, scoppiata nel cuore degli anni ‘80 venne creato da Gerard Cassidy un indice per misurare la portata dei crediti non performanti (quelli di difficile riscossione) rispetto al patrimonio tangibile di una banca.
Questo indice, abbastanza brutale di per sé, può aiutare in modo sommario a comprendere quanto possa essere solida una banca o meno, senza tanti giri di parole.
PwC, società di revisione e di consulenza ha stilato un’analisi al 30 giugno 2017 che racchiude le prime dieci banche italiane (l’articolo completo è disponibile a questo indirizzo).
Qui sotto, un’infografica riassume la situazione.
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Si va da un 13% di Credem (apparentemente virtuoso, a fondo scala), ad un 148% di Monte dei Paschi di Siena, passando per dei 59%, o anche dei 66%. Unicredit e Intesa San Paolo (banche definite “sistemiche”) si attestano rispettivamente al 77% e all’85%. Cariparma Credit Agricole, “cavaliere bianco” che ha rilevato Cassa di Risparmio di Cesena, Cassa di Risparmio di Rimini e Cassa di Risparmio di San Miniato, prima di questo salvataggio aveva sofferenze pari al 25% delle proprie risorse. Si può dire quindi, che richiamando il capolavoro di Sergio Leone si può ancora identificare nel ruolo del “cattivo” il mondo dei crediti deteriorati. Il “brutto” sta nel fatto che il problema degli NPL sta pesando ancora molto (troppo) sulla solidità delle banche.
Occorre, a questo proposito fare attenzione a non rifugiarsi nel concetto di scegliere il “meno peggio” o di pensare che non ci siano alternative. Chi salirebbe su un taxi il cui conducente si vantasse di avere soltanto una ruota bucata o che non frena? O che pretenderebbe di essere scelto da potenziali clienti rispetto ad altri tassisti che hanno più ruote di lui messe male?
Il “buono” quindi, manca all’appello in questo scenario? Forse la parte “buona” di questa storia, è che si può essere consapevoli. Conoscendo il problema ed avendone una percezione abbastanza chiara (un indice non può contenere tutti gli elementi necessari per avere un quadro analitico di una banca, sia in senso positivo che in senso negativo), si possono comunque fare delle valutazioni (vedi anche post “Il pasto gratis”). Capire lo stato di salute del proprio intermediario e del proprio patrimonio finanziario, ancora una volta e sempre, rimangono il migliore investimento che si possa fare.
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universofinanza · 7 years
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Il pasto gratis
18 novembre 2017
Immaginate di scegliere per voi e per la vostra famiglia un ristorante rinomato e notoriamente molto caro. Immaginate di ordinare, per voi e per i vostri congiunti, i piatti più prelibati e più costosi. E siccome un buon pasto va accompagnato con un’adeguata libagione, immaginate di chiedere al cameriere di portare i migliori vini disponibili nella cantina del locale.
Immaginiamo, sempre in questo presunto scenario, che vostra moglie vi bisbigli costernata che avete esagerato e che una tale spesa è assolutamente fuori luogo per le vostre finanze.
Ed immaginiamo che voi tiriate fuori una carta di credito, rispondendo sogghignando alla vostra coniuge: “Non paghiamo noi! Paga la ditta!”.
Vostra moglie fa spallucce, nascondendo un sorriso malizioso dietro il bicchiere, mentre voi vi preparate ad addentare il vostro tanto atteso hors-d'oeuvre.
Subito dopo il caffè chiedete al cameriere di addebitare tutto sulla prestigiosa carta di credito, e uscite con il compiacimento dei commensali.
Come potrebbe essere definito un gesto del genere? Un premio alla furbizia? Un furto? Un gesto deprecabile?
Prima di sperticarsi in qualsiasi giudizio, andrebbe fatta un’analisi basata su un’unica e vera grande domanda: di chi è la ditta? Chi sono i presunti soci?
Se la titolarità della carta fosse attribuibile ad una ditta individuale di cui siete detentori (e quindi pagate voi), avreste soltanto perso una grande occasione per fare i brillanti agli occhi di vostra moglie, ma sarebbe tutto legittimo.
Se l’azienda vedesse coinvolti altri soggetti e voi non foste titolati a spendere per ambiti personali, l’utilizzo sarebbe invece del tutto fraudolento.
Se la società fosse in serie difficoltà, il gesto sarebbe comunque irresponsabile al di là o meno della legittimità.
Qual è il legame fra questo presunto aneddoto e le crisi bancarie?
È noto che fino ad oggi (vedremo come evolve la situazione in Carige), tutte le crisi bancarie si sono risolte senza troppi drammi: non è scattato il bail-in, bene o male i soggetti più deboli sono stati trattati con maggiore riguardo, e la sensazione generale è che si sia fatto molto rumore per nulla.
Chi ha goduto di alti rendimenti se li è visti riconoscere e ha ricevuto indietro il capitale investito (andrebbe fatto un discorso a parte per gli azionisti, ma è un contesto a sé stante).
Nel frattempo, tuttavia, le perdite sono state contabilizzate. Chi le paga? Gli amministratori delle banche? Senza dubbio, no.
Queste perdite sono state assorbite dallo Stato, dalla “ditta” di cui siamo tutti “soci”. E pensare che la famigerata legge sul bail-in è nata proprio per evitare che le colpe dei singoli (malversazioni e scelte gestionali sbagliate e scellerate, come quelle viste purtroppo in epoche recenti) ricadessero sulla collettività. Nel nostro bel paese, in un modo o nell’altro (fino adesso) lo Stato ha messo mano al portafogli.
Il che non significa che non ci siano stati problemi, o che tutto era in fondo tranquillo o solido. Significa, molto semplicemente, che qualcuno ha “mangiato” a spese di qualcun altro. Significa anche che qualcuno ha rischiato molto più di quello che era propenso a rischiare. Quanto accaduto, è molto serio per due ordini di motivi. In primis, perché a pagare saranno anche soggetti che tecnicamente non hanno magari “goduto” di rendimenti fuori mercato. In secondo luogo, è passato il concetto che comunque vada, non accadrà nulla di devastante.
E allora via, tutti a cercare il rendimento più alto sui conti di deposito, purché si stia sotto la soglia dei 100.000 Eur!
Anzi no. Perché la BCE sta portando avanti il progetto per il  blocco delle disponibilità delle banche in crisi (in modo da evitare la corsa agli sportelli).
In poche parole viene a meno il concetto “sto sotto i centomila e se sento puzza di bruciato, porto via tutto!”.
La vera questione, tuttavia, rimane questa: perché continuare a lavorare su questo fronte se da più parti arrivano rassicurazioni sullo stato di salute delle Banche?
Va ricordato che il nodo centrale della crisi, i famosi NPL, sono stati semplicemente spostati da qualche altra parte. Siccome non sono belli a vedersi, sono stati impacchettati e nascosti in attesa che una qualche forma di ripresa consenta di riassorbirli in qualche modo.
Con buon margine di approssimazione si può dire che molto difficilmente in Italia si vedranno banche assoggettate a procedure di risoluzione, e forse tanto meno verranno mai bloccati i saldi dei conti correnti (sopra o sotto i 100.000 Eur, poco importa). Resta comunque vero che quello che non “pagheremo” noi, verrà pagato da qualcun altro o resterà comunque sul conto delle generazioni future, ai “soci” in divenire.
Pertanto, sarebbe opportuno (oltretutto anche per senso civico) cercare di scegliere controparti solide e serie. E dovrebbe essere fuori di ogni dubbio che la ricerca spasmodica del rendimento più alto, può essere del tutto fuori luogo. Ricordandosi, come si dice da tempo, che “non esistono pasti gratis”.
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universofinanza · 7 years
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Quando la prudenza non è mai troppa
14 settembre 2017
Un aggiornamento dopo la pausa estiva (che ha avuto tutte le caratteristiche che ci si era attesi dal cosiddetto paradigma di Goldilocks vedi questo articolo del 10 giugno 2017).
La nuova analisi è disponibile a questo link
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universofinanza · 7 years
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Il rialzo dei rendimenti e i cari vecchi (e nuovi) Btp
15 luglio 2017
“Gli immobili salgono sempre di valore” e “con i Btp non ci si rimette mai” sono due postulati che hanno accompagnato per diversi decenni le famiglie italiane nelle scelte di investimento e di allocazione delle risorse.
Il mercato immobiliare Chi si trova a dover dismettere degli immobili, deve purtroppo fare i conti con una realtà profondamente diversa dal primo assunto: il mercato immobiliare sta evidenziando tutte le distorsioni create dagli eccessi pre-crisi.
Anche nel caso in cui non si debba liquidare un cespite, i valori che molte famiglie avevano idealmente accantonato come patrimonio investito nel mattone devono essere sensibilmente rivisti (con conseguente impatto anche su eventuali ripartizioni successorie).
“E io mi compro un Btp!” Un tasso nominale predeterminato (in quanto fisso) e un valore di riferimento a scadenza (inteso sempre come “garantito”), ha reso il Btp l’investimento preferito degli italiani negli ultimi trent’anni.
Una storia di successo, che ha portato buoni rendimenti, rivalutazioni e soddisfazioni ai sottoscrittori.
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Il grafico sopra riportato fotografa l’andamento dei tassi a lungo termine negli ultimi decenni (dal 1990 al 2012). Tralasciando alcuni tecnicismi si può dire che questo scenario è stato fondamentalmente unidirezionale e assolutamente favorevole a questo tipo di investimento. Non è difficile capire che questo tipo di andamento può essere considerato unico e difficilmente ripetibile. In primo luogo, perché la soglia naturale creata dalla linea del rendimento “zero” sulle scadenze lunghe è auspicabile che non venga perforata (sarebbe un segnale di forte deflazione). In secondo luogo non va dimenticato che l’ingresso nell’area Euro ha accelerato la convergenza dei rendimenti, e come evento può essere considerato quanto mai esclusivo. Le banche centrali, con gli acquisti diretti sul mercato hanno contribuito ad irripidire questa discesa, rendendo quanto mai rischioso l’acquisto (e in alcuni casi, la detenzione) di questa tipologia di investimento, soprattutto oggi, che siamo nella fase terminale di questo intervento.
Sul Plus24 uscito in edicola oggi, l’articolo “Si fa già sentire l’effetto del rialzo dei rendimenti” a firma Andrea Gennai, mette in evidenza che chi ha comprato il Btp decennale un anno fa, oggi contabilizza una perdita di valore pari al 5,90%
“A me non interessano i grafici, io il Btp me lo porto a scadenza, così non ci rimetto mai!” Questo è un altro luogo comune che conforta gli acquirenti di Btp sulle lunghe scadenze. Per capire se questo ragionamento sia corretto, bisogna tornare ad un vecchio concetto imparato sui banchi alle scuole elementari: la differenza fra ricavo, spesa e guadagno. In ambito finanziario si può dire che il guadagno sia il rendimento reale (chiamiamolo RR). Il ricavo può essere equiparato al rendimento nominale (RN). L’inflazione (i) è la voce di costo o spesa e nella nostra formula.
La classica formula Guadagno=Ricavo-Spesa, può essere pertanto riscritta così:
Rendimento Reale=Rendimento Nominale-Inflazione oppure, abbreviando
RR=RN-i
Il rendimento nominale non è il tasso facciale del titolo, ma il rendimento a scadenza fotografato al momento dell’acquisto (questo valore può discostarsi dal rendimento nominale per effetto del prezzo di carico). Tornando al Btp decennale, secondo l’articolo già citato, chi ha comprato il Btp un anno fa, può fare conto su un rendimento nominale pari all’1,23%. Tenendo conto che l’inflazione è già su questi valori (1,4% maggio 2017 - fonte Istat), si può dire che il detentore del titolo, anche non vendendo il titolo, ha un rendimento reale già eroso dalla svalutazione. Praticamente, anche se non ne sta accorgendo, sta perdendo dei soldi. Condizione che può solo peggiorare se l’inflazione continuasse nel suo (moderato ed auspicabile) cammino e se la BCE dichiarasse finito l’intervento di acquisto sul mercato. Come difendersi? In primo luogo, andrebbe fatta un’analisi approfondita del proprio patrimonio, e vedere lo stato attuale della struttura obbligazionaria. Scadenze lunghe o fondi obbligazionari con un approccio non attivo e che lavorano su scadenze lunghe, andrebbero evitati o quanto meno mantenuti in proporzioni da non compromettere non solo la redditività ma la struttura stessa del portafoglio. A fronte di rendimenti facciali meno interessanti, possono essere presi in considerazione i Btp indicizzati all’inflazione o anche i vecchi e quasi dimenticati Cct. Va ricordato che l’aumento dell’inflazione o la fine del programma di sostegno della BCE sono strettamente correlati ad una fase di ripresa dell’economia. Pertanto, anche una diversificazione sull’economia reale, attraverso acquisto di porzioni di aziende (mercato azionario), potrebbe diventare opportuno. Chiaramente la volatilità di portafoglio va tenuta sotto stretto controllo, con strumenti professionali tesi a monitorare rischio e diversificazione. Ricordando che come dimostrato dall’articolo menzionato prima, spesso il rischio più grande è dato dal conforto illusorio delle consuetudini e dei luoghi comuni.
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universofinanza · 7 years
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Situazione banche in Italia: bene, ma non benissimo
28 giugno 2017
Prima fu il bail-in, poi il decreto sulle bad bank, poi arrivò Atlante. Ai margini di questi interventi Banca Marche, Popolare dell’Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti, Monte dei Paschi di Siena, Popolare di Vicenza e Veneto Banca, hanno dato parecchi grattacapi.
Problemi per azionisti e obbligazionisti subordinati, ma finché gli altri non siamo noi, si ha il senso di scampato pericolo.
Gli stati europei (fra cui in prima linea l’Italia) hanno fatto con le mani e con i piedi per impedire all’Ue di arrivare con la scure della risoluzione (applicazione norma sul bail-in), e la stessa Unione ha lasciato che le autorità giocassero sul pericoloso confine delle loro competenze, fintanto che questo è servito ad evitare il peggio.
Tutto a posto, quindi?
Non proprio.
Se da una parte c’è da apprezzare l’intervento proattivo delle istituzioni per mettere una pezza alle varie situazioni, rimane più di un problema da risolvere.
I crediti deteriorati Seppur spostati da una parte all’altra, con magheggi più o meno raffinati, e tralasciando la valorizzazione delle varie partite nei vari passaggi, continua a rimanere nel sistema una gran massa di debiti in sofferenza.
Dietro a questi debiti, ci sono famiglie e imprese travolte dagli effetti primari e secondari della crisi. Debiti che per il momento vengono tenuti in vita a tutti i costi, permettendo ai creditori di non dovere mettere a bilancio una perdita effettiva.
Finché questo gioco delle parti regge, c’è la possibilità di rimandare un problema e magari sperare che qualcosa, nel tempo, si risolva (vedi rivalutazione immobili).
Ma senza un intervento sul tessuto imprenditoriale e un conseguente rilancio vero dell’economia, nascondere il problema sotto tappeti di colore e foggia diversi non può portare nessun beneficio definitivo.
Il sistema bancario Anche se da molte parti si alzano voci che considerano deprecabili gli interventi a sostegno dei vari istituti, non va dimenticato che il sistema bancario sta mostrando oggi più che mai la propria fragilità.
Forse è stato confermato in modo tacito che difficilmente accadrà che una banca finisca sotto procedura di bail-in, ma questo non significa che si possano comprare obbligazioni a cuor leggero, che si possa continuare a cercare il rendimento più alto sui depositi a tempo o che non vada considerato a fondo un investimento prima di essere sottoscritto.
Va ricordato che l’ingegneria finanziaria è sempre all’opera, e che a sistema ci sono ancora miliardi di crediti malconci che devono essere “gestiti” e che potrebbero essere lavorati e inseriti con grande nonchalance nei patrimoni.
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universofinanza · 7 years
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A quando il prossimo aumento dei tassi?  
15 giugno 2017
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universofinanza · 7 years
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Paradigma di Goldilocks - un’estate (finanziaria) tranquilla
10 giugno 2017
Alessandro Fugnoli spiega, in una video-pillola (poco più di 6 minuti), lo scenario atteso per i mesi estivi.
Un’interessantissima analisi, raggiungibile a questo link.
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universofinanza · 7 years
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P.i.R. - Una grande opportunità (ma la fiscalità c’entra poco)
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