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Nubivago voce dotta recuperata dal latino nubivagus, composto da nubes ‘nube’ e dal tema di vagari ‘vagare’. che vaga tra sogni e idee.
C’è sempre una certa fame di parole poetiche, evidentemente poetiche. Alcuni tagli, alcuni concetti sostanziati in singole parole ci danno dimensioni fantastiche, capaci, da sole, di darci una forma d’ispirazione, di vaghezza, di piacere — anche se non sono parole che si usano poi molto, restano soprattutto parole-bandiera, parole-opera d’arte. Il nubivago ricopre questa posizione in maniera particolarmente evidente, perché da un lato è un termine che in rete si trova non meno che acclamato, dall’altro nella sua vita millenaria abbiamo solo una manciata di attestazioni letterarie lontanissime fra loro. Come non è difficile intendere — e anche la sua immediatezza icastica è un punto di forza — ‘nubivago’ è la qualità di chi trasvola le nuvole, vagandovi in mezzo, di chi le segue (o sembra seguirle) in maniera errabonda. Da un lato è un termine di viaggio alato e nomade, che si spinge lontano sopra le solite possibilità umane, dall’altro è un tratto scarsamente impegnato, costruttivo. Difatti è anche la qualità di chi ha la testa fra le nuvole, di chi idealmente vi vaga fra fantasie e sogni. Possiamo parlare del nubivago viaggio di Dedalo da Creta attraverso il mare — e in effetti è proprio questo l’oggetto del più celebre nubivagus usato in latino, da un autore per la verità minore, Tiberio Cazio Asconio Silio Italico, nel più vasto poema della latinità che ci sia arrivato, coi libri dei suoi Punica. Possiamo parlare delle frotte nubivaghe degli uccelli, che migrano o mormorano insieme. Ma possiamo anche parlare degli estri nubìvaghi dell’artista, sempre diretti su nuovi interessi e nuove ricerche, degli impegni nubivaghi d’adolescente che tasta vie diverse, dei progetti nubivaghi che ci perplimono ma a cui ci uniamo di tutto cuore. Dopotutto — anche se fra Silio Italico e chi l’ha ripresa nel Novecento son passati diciotto secoli in cui del nubivago alla gente d’Italia non è importato, pare, gran che — l’immagine è di quelle cotte nei forni delle metafore ancestrali, frutto di osservazioni e impressioni che possiamo immaginare almeno vecchie non solo come queste lingue, come la lingua e la nostra specie stessa. Chissà quand’è che qualche nonno o nonna con più peli di noi ha considerato per la prima volta che ‘ste cose nel cielo son gran viaggiatrici. Certo, quello del nubivago è un poeticismo perfino facilotto; e però, nonostante l’aria da parvenu, salito a grandi onori senza grandi pedigree, è scritto in un alfabeto antico. (articolo tratto da unaparolaalgiorno.it)
#etimologie#etimologia#nubivago#avere la testa tra le nuvole#fantasia#ribelle#pensieri#spirito libero#citazioni#citazione#parole#nuove parole#vocaboli#vocabolario
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TUTTI I CIOCCOLATI DI SAN VALENTINO
Come sicuramente saprete il giorno di San Valentino (バレンタインデー barentain dee) in Giappone è un’occasione per le ragazze di confessare i propri sentimenti regalando del cioccolato (dato che l’idea è partita da una ditta di dolciumi)… ma non solo! Questo “tipo di cioccolato” è detto… 本命チョコ Honmei-choko 本命チョコ honmei-choko, è un cioccolato che esprime “ciò che si desidera davvero” (本命) o del…

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#cultura#curiosità#san valentino#slang#stranezze#tradizioni#usanze#vocaboli interessanti#vocaboli simili
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Il vizio della parola
Il vizio della parola
Il divieto per le donne di usare la voce in pubblico nell’Afghanistan dei talebani. E noi ammutoliti da un diluvio di neologismi assurdi (vedi alla voce “maranza” o “sunshine guilt”)

Se togli loro la parola, scompariranno. I talebani hanno recentemente emanato una serie di leggi inerenti la propagazione della virtù e la prevenzione del vizio. Già questo proietta lo sguardo su un mondo che appartiene a una galassia lontanissima. E quando mai dalle nostre parti si parla più di vizi e virtù? In ambito legislativo, oltretutto.
In ogni caso, queste leggi sono state approvate dal leader supremo dei talebani, Hibatullah Akhundzada, e tra i provvedimenti ne spicca uno: «La voce di una donna è considerata intima e quindi non dovrebbe essere ascoltata mentre canta, recita o legge ad alta voce in pubblico». Per promuovere la virtù e scacciare il vizio, le donne non potranno esprimersi a voce alta nei contesti pubblici. Le imbavagliano, anzi le ammutoliscono, ma per il loro bene s’intende.
La scena è agghiacciante, ci costringe a una doccia terribilmente fredda. I talebani hanno chiaro chi sia una donna, a differenza della nostra situazione un po’ più aperta, cioè confusa. Abbiamo trascorso l’estate – ma è stata la ciliegina su una torta sfornata da tempo – a interrogarci su livelli di testosterone, Dna, intenzioni d’anima. Magari, al prossimo caso mediatico, potrebbe essere utile cambiare sfondo e ambientare tutti i nostri dubbi per le vie di Kabul e «vedere l’effetto che fa».
Se dai loro in pasto tantissime parole, scompariranno. Aggiungere vocaboli non è per forza segno di progresso, si può diventare muti per eccesso terminologico. L’aggiornamento dello Zingarelli per il 2025 prevede che il dizionario si arricchisca di nuovi termini, “maranza” e – udite udite – “gieffino” si conquistano un posto nell’Olimpo delle parole validate da definizione. Ma questo è solo un ritocco brutalmente onesto al nostro ritratto umano.
Il crimine terminologico è altrove, là dove spuntano espressioni che ci ritroviamo sotto gli occhi scrollando le notizie. “Coolcation” è la tendenza in crescita per trovare mete di viaggio al fresco. “Workation” è la scelta di lavorare da remoto scegliendo luoghi che offrano svago e servizi per il tempo libero. Una medaglia d’oro per l’assurdo spetta all’espressione “sunshine guilt”, il senso di colpa per aver sprecato una giornata di sole.
C’è, nel nostro intimo, un ribollimento senza nome. Sono scampoli di paura mescolati a slanci di affetto, pulsioni cattive e lacrime struggenti. È questa fucina scabrosa, feconda e indicibile che alimenta la libertà nel tumulto di gesti, scelte, responsabilità. Sono poche, devono essere poche e vertiginose, le parole a cui ricondurre il senso del nostro travaglio. Sillabe scottanti come “amore” o “invidia”. Frantumare il quadro in un mucchio di nuovi pezzettini lo riduce a un puzzle che resta scombinato.
Finiamo per scomparire ed essere muti se l’impegno di affrontare la novità di ogni nuova alba – l’ignavia che fa a pugni con la rabbia, i desideri che bevono sorsi di fiducia – viene sgonfiato dalla bugia che tutto affondi in un senso di colpa per il timore di perdere un giorno di sole.
via tempi.it
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Mi dissero che amare una persona fino ad esserne ossessionato è sbagliato.
Mi dissero che dedicare la propria vita alla persona che ami è sbagliato.
Purtroppo mi è impossibile spiegare quanto amore provo per lei, certi termini non sono ancora stati inventati.
Purtroppo mi è impossibile spiegare come lei mi abbia salvato la vita donandogli un senso e una direzione, anche stavolta non esistono vocaboli per le ragioni del cuore.
Amare alla follia non è mai un errore.
Un cuore come il mio non potrà mai essere davvero capito e lui non saprà mai spiegarsi.
11-03-25
#amor eterno#frasi tumblr#frasi pensieri#pensieri#pensieri notturni#frasi amore#amore triste#@poetry#dolore#solo#paura#le tue paure#frasi belle#frasi#frases#sentimenti#pensiero#pensieri della notte#notte#ossessione#amore#amare#amarezza#solitudine#speranza#coraggio#ti amo da morire#ti amo#per sempre#io e te
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Questo signore, Stefano Bandecchi, nel 2022 e' diventato sindaco di Terni. Lui, idee molto, molto, molto di dx e' andato al ballottaggio con un altro di dx. Un truce-truce ha avuto la meglio su un truce. Alla maggioranza degli italiani piacciono tanto certi tipi. Arroganti, strafottenti, volgari, gente dalla parola sguaiata e decisa. Dopo 100 anni abbiamo ancora nostalgia di chi prometteva che avremmo spezzato le reni al mondo intero. Che tristezza! Gente che si innamora di simil Gaucci al quadrato o di certi Briatore al cubo. D'altronde la gente ama i politici che somigliano al loro modo di fare o dire. Quelli pronti a spaccare grugni a chi la pensa diversamente, quelli furbi, arrivisti. L'elettore si immedesima e dice: "Lo voto! Questo/a e' come me." Stessi vocaboli, stessi pensieri, quelli che si capiscono bene perche' ti sono molto, molto, molto familiari. @ilpianistasultetto
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"Bruna cara,
sono precisamente le sette secondo l’ora italiana, ma a San Paolo devono essere le sei e trenta appena. Devi dormire ancora, e Ti ha disturbato il sonno il mio pensare a Te così mattutino? Se il mio pensare a Te dovesse disturbarTi, non avresti un minuto di pace.
Sento sempre la Tua voce, quella Tua di quella mattina al telefono, mentre stavo per partire. E cerco con gli occhi il Tuo viso, e a volte non riescono a rivederlo com’è, e allora mi stringo con le due mani il viso, e l’accarezzo, e nel mio viso mi rinasce il Tuo nelle mie mani, la più cara cosa, la sola che amo su tutte, l’anima della mia anima, sei l’anima della mia anima, l’ultima forza che mi resta, l’ultima mia poesia, la vera, l’unica vera.
Sono qui al mio scrittoio, in una cabina grande come una piazza. Era per due persone, ma pensano che sono un personaggio tale da meritare d’occupare da solo due letti. Tutto invece, credo, per ricordarmi piuttosto che alla mia età ho il dovere d’essere solo, e anche per rinfacciarmi, forse, con la necessaria ironia, questo mio assurdo atto di scriverTi.
Come hai fatto a entrare così a fondo nella mia vita? Sei d’una sicurezza in quello che fai incredibile, e sei venuta con quella poesia. A dirti la verità, quando sei andata via e l’ho letta, m’è parsa inutile. C’era un’enfasi, c’era un metro in disuso, non so cosa c’era che mi urtava. L’ho ripresa poi a leggere, e vi ho scoperto una grazia, un’onestà, il modo raro d’indovinare il peso, la qualità, la novità, qui e là dei vocaboli, e mi ha toccato, d’improvviso mi ha toccato il sentimento, il dono vero che offre solo la buona poesia, quel dono che illuminava l’ingenuità di quelle strofe un po’ antiquate, che illumina tutto quello che fai. […]
Non sono che un piccolo poeta di questo secolo, nel quale anche i maggiori non possono essere che piccoli poeti; ma anche oggi, nel trambusto, nell’inferno d’oggi, – anche oggi la poesia ha bisogno di essere una persona che si scopre tra la gente – che infonde tanta carità, tanta fede, tanta speranza […]
Io sono ormai troppo vecchio, oltre misura vecchio, quasi un antenato, e non occorre che io sia ancora felice, e non mi pare che sia successo un giorno ch’io fossi felice. Ma l’augurio che Tu abbia lunghi anni felici si avvererà. Nessuno ha mai desiderato con più violenza, con più disperazione che sia felice una persona, e non è mai accaduto, se il desiderio era fortissimo, che non fosse esaudito."
- Giuseppe Ungaretti a Bruna Bianco, 15 settembre 1966

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In Sicilia quando non sei proprio convinto dici “ora poi lo facciamo...” oppure ad una domanda rispondi contemporaneamente “sì, no...”
Noi siciliani abbiamo una percezione del tempo molto particolare, ad esempio quello che hai fatto il giorno prima diventa passato remoto, come fossero trascorsi secoli... oppure quando stai uscendo di casa, rassicuri tutti affermando “sto tornando”, anche se il tuo rientro sarà dopo un paio d'ore.
Per noi il condizionale è quasi inutile, infatti lo sostituiamo direttamente con il congiuntivo, tipo “se putissi, u facissi”. Abbiamo anche il “potere” di far diventare transitivi i verbi intransitivi, infatti noi usciamo la macchina, saliamo la spesa, usciamo i soldi... Poi a noi piace molto utilizzare gli spostamenti “salire e scendere” in modi molto fantasiosi, infatti noi “scendiamo giù a Natale” e “saliamo dopo le feste”, anche il caffè “è salito” e la pasta si cala.
Qui, in Sicilia, le macchine camminano come avessero gambe, e non vengono guidate ma “portate”.
Spesso utilizziamo una sola parola per indicare più oggetti, ad esempio non c'è differenza tra tovaglia, asciugamano, tovaglietta, strofinaccio, per noi è solo tovaglia, e basta. Se vogliamo dire ad un amico di venire a trovarci, gli diciamo di “avvicinare”, che è meno formale e più amichevole.
Riusciamo anche a trasformare un luogo in un modo di fare, ad esempio il cortile diventa curtigghiu, ovvero spettegolare, anche se quest'ultimo non rende molto l'idea.
Se parliamo in questo modo non vuol dire che siamo ignoranti e arretrati, dietro ogni parola o espressione che utilizziamo si nascondono le nostre origini, la nostra storia. Ad esempio "tumazzu, carusu, cammisa", sono parole greche (vedi tumassu, kouros, poucamiso); "carrubo" deriva dall'arabo “harrub”, così come le parole "cassata e giuggiulena". "Accattari", deriva dal normanno “acater” (da cui il francese “acheter”), oppure "arrieri" (da darriere). Dal catalano abbiamo preso in prestito le parole “abbuccari” (da abocar),"accupari" (da acubar), "cascia" (da caixa) ecc... Questi sono solo alcuni esempi, in realtà sono migliaia i vocaboli presi in prestito dalle altre lingue.
Essere orgogliosi delle proprie radici però non significa chiudersi e rifiutarsi di conoscere la grammatica italiana, ritenendo snob "quelli del nord" quando ci correggono. Anzi, utilizzare il proprio dialetto (più che dialetto è una lingua a tutti gli effetti) con consapevolezza, può soltanto arricchire.
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Manipolo le parole come voglio, eppure esse non obbediscono e non aiutano. Ognuna di loro sembra vuota, finta, inanimata. Nell'esatto istante in cui i vocaboli attraversano la soglia delle labbra, ebbene loro si consumano e rivestendosi d'artificiosità, periscono.
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“Sei un pervertito come tutti gli altri”. No.
Bisogna chiarire alcune cose: in questo blog scrivo quello che voglio, quando voglio, come voglio, e per i motivi che voglio. Se voglio parlare del mio pene, lo faccio. Se voglio parlare della psiche femminile, lo faccio. Se voglio parlare della mia vena poetica, lo faccio. E così via. Questa mia libertà è sufficiente per associarmi a un pervertito? Lo trovo un ragionamento immaturo, se non addirittura infantile, puerile, fallace. Sono un pervertito? No, per i canoni odierni e per come viene immaginato e descritto un pervertito oggigiorno. Ho una spiccata fantasia, un erotismo innato che spesso mi accompagna, una passionalità intrinseca e introversa come il mio carattere. Pertanto da qualche parte, e nello specifico prevalentemente qui, in qualche modo viene fuori. L’utilizzo di certi vocaboli, di certe metafore/similitudini/allegorie, m’appassiona. Quindi, quando ne ho voglia, mi abbandono a questa pratica. Tutto ciò per dire che non ho bisogno di sotterfugi e mezzucci vari, per parlare del mio pene. Se la ruota gira, la lascio girare a prescindere. E con “ruota” non mi riferisco al mio pisello che fa l’elicottero. È un modo di dire. La libertà espressiva m’eccita mentalmente perché viviamo in una prigione dorata. Io parlo liberamente di tante cose, mica solo della mia sessualità. Siamo solo all’inizio, è un po’ presto per fare bilanci. Onestamente parlando, trovo molta (ma molta) più perversione in quasi tutti i prodotti di Hollywood (film e serie tv), piuttosto che nei miei testi. Comprendo che ognuno abbia un metro di giudizio diverso, ma stride che mi vengano dirette accuse palesemente prive di fondamento. Vuoi che scenda nei dettagli della mia vita privata? Be’, una cosa che non puoi sapere è che sono sessualmente vergine. Una scelta fatta anni addietro e a cui ho sempre mantenuto fede, per il semplice fatto che non ho trovato la ragazza che mi convincesse che il suo corpo valesse più della mia purezza. O meglio: che il nostro amore valesse più di quello per il mio tempio immacolato. Sarò molto esplicito: non me ne faccio nulla di una ragazza che apre le gambe pronta ad accogliermi, se poi non ci vado d’accordo. Se poi non è la persona che vorrei che fosse. Se poi non corrisponde ai miei desideri e alle mie richieste. Preferisco, piuttosto, eclissarmi. Tutelarmi, preservarmi, proteggermi. La vita non è il sesso, ragazze. E so che molte di voi non lo capiscono, ma il sesso molto spesso altro non è se non il mezzo più veloce per dimenticare. Per arrivare al culmine del piacere fisico senza fatica. Per sbrigarsi a godere. Tumblr è principalmente questo proprio per tali motivi. E io ne approfitto, ne cavalco certamente l’onda. Ma a modo mio, sempre, e mettendo i puntini sulle i. Perché si ritiene necessario. Perché è ovvio che amo le ragazze giovani (che belle), ma se m’imbatto in una quarantenne con un cervello sopraffino, mi dimentico di tutto il resto. Sono umano, ma la perversione in senso stretto la lascio agli altri. Io sogno, fantastico.
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Il capovolgimento di tutti i valori vigenti si manifestò persino nella lingua, quale totale cambiamento di significati. Vocaboli che avevano indicato ab antiquo valori sommi, decaddero nell'uso parlato quotidiano a qualifiche di intenti e condotta spregevoli, ed altri, che sino allora significavano biasimo, fecero carriera e assursero a predicati laudativi. L'insensata irruenza passò ora per genuino valore e cameratismo, l'attesa previdente per viltà che si cela dietro sonanti parole. Il senno parve mera maschera della fiacchezza; la riflessiva cautela, mancanza d'energia ed inerzia. Si tenne la furia frenetica per segno di vera virilità, la ponderazione per atteggiamento da scansafatiche. Quanto più uno denigrava e insultava, tanto più era ritenuto fidato, e chi lo contraddiceva era sospetto. Persino i giuramenti che tenevano unito il proprio partito, vincolavano non tanto per la loro santità, quanto per la consapevolezza dei delitti commessi in comune.

Tucidite (Storie - V sec. a.C.)
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L'italiano dovrebbe inserire l'accento grafico in TUTTE le parole non solo quelle ambigue come prìncipi/princìpi 🗣️🗣️🗣️🗣️
Mi sono rotta di andare a casaccio e sentirmi tonta coi vocaboli nuovi, come quando lessi esoso davanti alla docente di italiano pensando fosse uguale ad esodo
#italian rant#grammar#capita sempre più spesso#estoy cansado jefe#andando ai matti#italiano#linguistica#si dice ancora hot take?#italianblr
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«Ci uniscono tutti i vocaboli di cui siamo il voto»
"Nous sommes unis par tous les vocables dont nous sommes le voeu."
(Edmond Jabès)

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A te che osservi i post dallo spioncino della porta con la speranza di trovare una carezza sotto forma di parole.
Vorrei che questi vocaboli raggiungendoti possano restituirti il tepore emanato dalle tue labbra che si consumano tra le mie.
Spero con tutto me stesso che queste lettere una volta messe assieme prendano la forma delle mie mani intrecciate con le tue.
Desidero che tutti i scritti che ti ho dedicato e che ti dedicherò formino una scorciatoia che mi conduca al tuo cuore.
Si proprio al tuo cuore, dove dimora la tua anima.
Ti attenderò lì, nei secoli dei secoli.
Firmato : Il custode delle nostre spade.
19/03/25 (guarda gli ashtag)
#buongiorno#carmen.txt#ti amo da morire#per sempre#ti voglio abbracciare#ti voglio con me#ti voglio qui#vita mia#amor eterno
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A me spiace ma il tedesco (specialmente lo svizzero tedesco) mi rende violenta. NON MI INTERESSA IL RISPETTO QUA È UNA QUESTIONE DI ORECCHIO. NON SE NE PO SENTIRE.
this might be controversial y'all but i really cant see theodore as italian
like ik his actor is italian ofc but he's wayyyy too english to me i cant see him as italian
lorenzo could be italian also because of his name, i could even say that italian mattheo kinda fits
but theo? imo absoultuely not
#il francese mi fa incazzare perché mi mancavano dei vocaboli e mi da troppo fastidio non sapermi esprimere come vorrei#mi sembra di stare in the big brother dove hanno un vocabolario limitato#perché così non posso espreimere le loro opinioni#E LO ODIO#i look so stupid
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Ti sei precipitata
tra intarsi e vocaboli
sfuggiti al mio disegno
a matita e china,
come l'imprevedibile incontro
in quell'aria d'autunno sommesso
indifeso mentre ti leggevo,
io non estrassi spade
ma sprofondai rapito
all'incedere d'armature
sulle mie ossa d'inquietudine.
Azeruel
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De la scritta maniera
Non fu mai intenzion mia immortalare ciò che segue, ma la sfrontatezza di chi mi è inferiore m'ha portato a cambiar la rotta, a navigar per li mari de la bella parlata. Sarò superbamente destro ne la revelatione dell'ars mea, de la quale ho già fatto sfoggio certo e completo in quanto precede.
In questo breve trattato, come da titolo annunziato, vomiterò atomi de la scritta maniera, affinché chi come me non compete nel fare pulcri versi possa manipolare gli italici dirsi.
Il punto primo della scrittura è quello del peso. Si immagini l'accostarsi di parole - o costruzioni di sintagmi che siano - come materia, di cui ogni singolo elemento detiene, appunto, il proprio peso. Verrà naturale pensare che vi sia differenza tra parola e parola seppur uguali di senso, e certamente vi è. Per esempio, se io fossi ne la situazione di dover scrivere di una divina creatura giunta dai candidi cieli, utilizzerei alti termini tingendoli di passati idiomi. Ne evidenzierei lo splendore dicendola maravigliosa, parlerei della sua pulcritudine piuttosto che della sua bellezza, citerei anzichè l'ale le piumate braccia di bianco sfavillio. Si ricordi che pur sempre di peso si parla e, dicendolo nella logica dei numeri, il valore è assoluto: più chiaramente rivelato, una cosa nefasta egualmente rispetto ad una alta vedrà un pareggiarsi del peso.
Il punto secondo della bella scrittura è il peso non quantitativo, ma qualitativo. Ogni parola o costruzione detiene la propria valenza qualitativa che ne determina il ruolo nel discorso e il discrimine di una rispetto all'altra. Vien a farsi cosa una con le polisemie, che siano di specie regolare o metanarrativa. È opportuno aver parsimonia nella scelta dei vocaboli - o sistemi di vocaboli - da apporre ad un periodo, nei termini delle loro sfaccettature plurime. Ad esempio, sia data la parola "dimonio" e sia richiesto di descriverla in incognito contesto. Dirò del dimonio la sua magrezza al fin che siano messe in risalto ambedue la smuntezza e l'empietà, o ne dirò l'iniquo serpeggiare per evidenziarne il viscidume e la reità primigenia. Si badi che anche qui ho scelto vocaboli pesanti e materiosi per l'assolutezza del peso proprio del dimonio. La qualità è forse la regola più importante, se considerata in funzione delle costruzioni - qui si parlerebbe di peso qualitativo relativo - : l'ordine delle parole e dei sintagmi può essere modificato per potenziare inconsci stati. Metterò un aggettivo prima del suo sostantivo se lo crederò di maggior peso, porrò il verbo in un punto ponderato del periodo se lo vedrò gravar a la giusta maniera lì. La qualità ha infinite strade percorribili, che ci portano al terzo punto.
Il punto terzo è quello di ricordarsi che la lingua non è che schifosa limitazione del magnifico pensiero umano. Noi siamo migliori della lingua. Noi siamo più alti. La lingua è nostra deboletta fabbricazione e noi la dobbiamo dominare. È imperativo che noi uomini giungiamo oltre gli idiomi, ma finchè vi soggiaciamo, che questi si pieghino al nostro volere e non viceversa. Le parole e le costruzioni, che si cambino a favor de la bella parlata, che i verbi si disgreghino in funzion de la movenza delle cose, che i periodi si facciano pazzi e insani. Non v'è licenza che non regga, non v'è eccesso, niuna cosa è errata, e seppur io sia ipocrita a far belli periodi con arcaicheggianti messinscene, che sia maledetta quella puttana della lingua. Che si dica nefando, materioso e mille altre parole che non sono.
Quarto e definitivo pilastro è quello della forma. Dopo aver analizzato l'essenza, era naturale discorrere di questa. Per forma io vo intendendo quel che le persone chiaman suono, ma credo che tal nomea sia eccessivamente restrittiva. Addolcirò una parola o un periodo se dovrò narrar d'angeli, li inasprirò se dovrò narrar di dimoni, mi manterrò su mediane ma alte parole se dovrò narrar di nefilim. Si tratta di forma anche nel bel caso del ritmo delle cose, che marcerà a una maniera o a un'altra in base all'energia detenuta dal soggetto, o nel caso dell'elisione, strumento di ineffabile utilità in analoghi casi.
Che mi si affronti, che mi si facciano appunti insulsi, io credo in modo certo e vero in quanto rivelato in queste brevi righe disperate. Si badi che la componente estetica non è mai messa in discussione.
Se non capisci quello che c'è scritto, non è affatto colpa mia. Poichè io scelgo di scrivere in un certo modo. Ma altrimenti, che gusto ci sarebbe?
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