#vitaextraterrestre
Explore tagged Tumblr posts
Text
Nella costellazione del Leone un esopianeta con la vita
Rilevato gas prodotto da esseri viventi: sull'esopianeta K2-18b potrebbero esserci forme di vita. Sensazionale scoperta dell'Università di Cambridge. Se le ulteriori indagini condotte col telescopio spaziale James Webb daranno conferma, potremmo davvero trovarci di fronte a un pianeta con forme di vita. Un pianeta, non troppo lontano da noi, che potrebbe avere caratteristiche simili alla Terra, e che, per tale ragione, potrebbe addirittura ospitare la vita: si tratta di K2-18b, un corpo celeste distante 120 anni luce e di recente scoperta. Secondo alcune ricerche nella sua atmosfera si troverebbero tracce di dimetilsolfuro, un composto organico che può essere prodotto soltanto da esseri viventi. Una scoperta straordinaria che, se confermata, aprirebbe a incredibili scenari. K2-18b
Un'illustrazione di K2-18b, su Wikipedia Cosa sappiamo di K2-18b? Si tratta di un esopianeta, ossia un corpo celeste che non è legato al nostro sistema solare. Viene chiamato anche EPIC 201912552 b e orbita attorno alla stella nana rossa K2-18, a 111 anni luce di distanza dalla Terra. K2-18b è stato scoperto da poco, nel 2015, nel corso della missione Kepler. Alcuni lo considerano una sorta di super Terra. La ricerca che ha evidenziato la possibile presenza di dimetilsolfuro nella sua atmosfera risale allo scorso anno. Un team di ricerca internazionale guidato dall'Università di Cambridge, con la collaborazione della Scuola di Fisica e Astronomia dell'Università di Cardiff, dell'Earth & Planets Laboratory – Carnegie Institution for Science di Washington e dello Space Science Institute di Boulder, ha potuto rilevare il composto organico dimetilsolfuro nell'atmosfera dell'esopianeta. Si tratta di un dato molto importante, perché questo gas ha origine esclusivamente biologica. Se la presenza del dimetilsolfuro venisse confermata, dunque, si potrebbe prendere in considerazione l'idea che sul corpo celeste si trovano delle forme di vita. Le osservazioni col telescopio spaziale James Webb Tutto ciò è stato possibile grazie al telescopio spaziale James Webb, che ha permesso al team guidato dal professor Nikku Madhusudhan, docente a Cambridge, di individuare il composto organico tramite delle indagini spettrografiche. Studiando il modo in cui la luce si riflette sull'atmosfera di un pianeta, è infatti possibile risalire a quali sostanze chimiche la compongono. Nella costellazione del Leone - lì, infatti, è collocato K2-18b - potrebbe dunque trovarsi quella risposta alla onnipresente domanda: c'è vita nell'universo? Chiaramente da parte degli esperti del settore c'è un'invito alla cautela, malgrado l'entusiasmo. Proseguiranno quindi le indagini con il telescopio spaziale James Webb, nella speranza di ricevere ulteriori conferme circa la presenza di dimetilsolfuro nell'atmosfera dell'esopianeta. Già nella giornata di oggi verranno effettuate nuove osservazioni. I risultati saranno poi esaminati nei prossimi mesi, dato che si tratta di un lavoro abbastanza lungo. Nel 2028, quando nello Spazio verrà lanciato il telescopio spaziale ARIEL, si potrà procedere con indagini ancora più approfondite. Read the full article
#ARIEL#costellazionedelLeone#dimetilsolfuro#esopianeta#JamesWebb#K2-18b#telescopiospaziale#vitaextraterrestre
0 notes
Text
Cosa sono i mondi Hycean
Siamo sempre allo stesso punto: c’è vita al di fuori del pianeta Terra? E la risposta sembra essere ancora lontana. Il problema vero, in realtà, è uno: dove cercare la vita? Ovviamente su pianeti rocciosi, ricchi di acqua e ossigeno, proprio come il nostro. Ma forse sbagliamo. Perché la vita non dovrebbe prosperare anche su pianeti molto diversi dalla Terra? È così che si è ipotizzato che i mondi Hycean potrebbero facilmente ospitare la vita, anche se sono così diversi dal nostro. Ma cosa sono i mondi Hycean? E perché i ricercatori dell’Università di Cambridge pensano che potremmo trovare la vita proprio su di essi?
Alla ricerca di vita aliena
Siamo sempre costantemente alla ricerca di un indizio, una prova, una speranza, che non siamo soli nell’universo. Il pensiero di non essere soli ci terrorizza, ma allo stesso tempo ci emoziona tantissimo.
Dovremmo smettere di guardare solo ai pianeti rocciosi e iniziare a cercare la vita altrove Perché dovremmo essere soli nell’universo? Il pianeta Terra è solo un minuscolo granello di sabbia in uno spazio infinito. Impossibile che siamo soli. E allora dove dobbiamo cercarla questa vita? Spesso non riusciamo ad immaginare ciò che non comprendiamo e non conosciamo. Le nostre conoscenze ci dicono che la Terra è perfetta per la vita. Ed è per questo che cerchiamo un pianeta simile. Alla stessa distanza dalla propria stella, con le stesse temperature miti, con un terreno roccioso e un’abbondanza di acqua liquida. Con un’atmosfera respirabile e ossigeno. Ma non abbiamo ancora trovato niente di uguale alla Terra. Ma perché la vita non potrebbe trovarsi, in realtà, su un pianeta completamente diverso?
La teoria dell’Università di Cambridge
È proprio questa la domanda che si sono posti i ricercatori dell’Università di Cambridge. Stiamo sbagliando qualcosa. Dovremmo smetterla di cercare solamente pianeti rocciosi ed iniziare a guardare altrove.
I mondi Hycean sono completamente ricoperti d'acqua e hanno un'atmosfera di idrogeno I ricercatori hanno pubblicato le loro ricerche e le loro teorie sul The Astrophysical Journal e sono pronti ad andare a cercare la vita. I ricercatori si sono focalizzati su un tipo di pianeta molto diverso dalla Terra. Una classe di pianeti molto più grandi, completamenti rivestiti da un oceano e con atmosfere di idrogeno. Questo tipo di pianeta si chiama Hycean.
I pianeti Hycean
Questo tipo di pianeti è stato ribattezzato Hycean ed è una categoria estremamente comune e diffusa, molto più del classico modello roccioso, come la Terra.
Gli oceani dei mondi Hycean potrebbero ospitare la vita Sono già stati identificati, infatti, quasi 4500 mondi Hycean, su 3300 sistemi solari. Questo fa di esso l’esopianeta più diffuso in tutto l’universo conosciuto. A scovarli è stato il telescopio spaziale Kepler, nel corso di dieci anni di servizio. È un tipo di mondo davvero lontano dal nostro immaginario. Pensare che non ne abbiamo nemmeno uno di questo tipo nel nostro Sistema Solare. I pianeti Hycean hanno un raggio che va da 1,6 a 4 volte quello della Terra. Sembra che questi pianeti siano ricoperti da un grande oceano liquido e che abbiano una densa atmosfera di idrogeno. I mondi Hycean sono conosciuti da molto tempo, ma fino a poco tempo fa, gli studiosi non li ritenevano idonei alla vita.
Perché i mondi Hycean potrebbero essere compatibili con la vita
Prima si pensava che su questi mondi la pressione fosse troppo elevata per essere compatibile con la vita. Tuttavia, ricerche più recenti sostengono il contrario.
I pianeti Hycean potrebbero ospitare la vita La fascia di abitabilità del pianeta (ovvero la distanza dal sole) sarebbe molto più ampia rispetto a quella dei pianeti rocciosi. I pianeti Hycean, infatti, possono avvicinarsi fino a una distanza che porterebbe la temperatura dell’atmosfera a 200° e allontanarsi fino a rendere la superficie dell’oceano completamente e perennemente ghiacciata. Nonostante ciò, ci sarebbero sempre aree del suo oceano che manterrebbero le temperature ideali per ospitare la vita. Infine, secondo i ricercatori alcune zone di questi oceani potrebbero avere condizioni molto simili a quelle che hanno permesso alla vita di svilupparsi negli oceani terrestri. Fino ad ora la ricerca di indizi riconducibili alla vita si era focalizzata solo sui pianeti rocciosi. È interessante iniziare una ricerca completamente nuova, che potrebbe portare a sorprendenti risultati. Alcuni telescopi, come Kepler, possono iniziare già adesso a cercare tracce di oceani liquidi su i mondi Hycean. E altri, come James Webb Space Telescope, che verrà lanciato alla fine dell’anno, saranno in grado di cercare elementi associati alla vita (ozono, ossigeno molecolare e metano). Non vediamo l’ora di vedere cosa scopriranno. Read the full article
0 notes
Photo
«[L'equazione di Drake] si esprime solo a proposito del numero di siti in cui intelligenze extraterrestri sorgono spontaneamente. Essa non dice niente di diretto sulla possibilità di un contatto tra un'intelligenza extraterrestre e la società umana contemporanea.» -David Brin La formula matematica nota con il nome equazione di Drake, dall'astronomo e astrofisico Frank Drake, che stima il numero di civiltà extraterrestri esistenti in grado di comunicare nella nostra galassia. La principale critica posta all'equazione è l'impossibilità di stabilire i parametri, i quali sono tutti o parzialmente ignoti. Inoltre, l'incertezza su alcuni di essi può far variare il risultato da 1 (siamo l'unica civiltà nella nostra galassia) a diverse decine. I termini astronomici si evolvono con la nostra conoscenza dell'universo; per esempio il termine della frazione di stelle che hanno intorno un sistema planetario negli ultimi anni è passato da circa zero al valore, oggi stimato, di 0.1-0.2. #equazionedidrake #fisica #vitaextraterrestre https://www.instagram.com/p/B94j3E-oZS_/?igshid=1ip5e1j4ij24x
0 notes
Photo
VITA SU VENERE
0 notes
Photo
+++BRIAN MAY TRA ARTE, SCIENZA E POLITICA. INTERVISTA A YESSI BELLO PEREZ PER UKTN+++ http://queen4everblog.blogspot.it/2018/04/brian-may-tra-scienza-musica-e-politica.html #BrianMay #intervista #musica #scienza #arte #politica #diritti #animali #brexit #progresso #tecnologico #ingegneria #genetica #vitaextraterrestre
#diritti#brexit#arte#musica#genetica#progresso#brianmay#politica#tecnologico#ingegneria#animali#vitaextraterrestre#intervista#scienza
0 notes
Text
Trovati numerosi esopianeti rocciosi ricchi di acqua
Trovare pianeti ricchi di acqua diventa cento volte più probabile. Aumenta anche la possiilità che ci siano forme di vita aliena. Aumenta di 100 volte la probabilità di trovare un pianeta roccioso alieno che abbia acqua liquida: quasi ogni stella potrebbe ospitarne uno e diventa cosi' molto piu' probabile anche trovare qualche forma di vita extraterrestre. Lo afferma l'analisi pubblicata sulla rivista Nature Communications e presentata alla Conferenza di geochimica Goldschmidt, che quest'anno si tiene in Francia, a Lione.
Rappresentazione artistica di un pianeta ghiacciato con un oceano di acqua liquida sotto la superficie (fonte: Lujendra Ojha) Lo studio, guidato dall'Università americana Rutgers, indica che anche dove non ci siano le condizioni perché esista acqua liquida in superficie, in molti pianeti potrebbe esserci acqua liquida nel sottosuolo: un aspetto, questo, finora non considerato. I ricercatori guidati da Lujendra Ojha hanno esaminato i pianeti che orbitano intorno al tipo più comune di stelle, le nane rosse, astri piccoli e molto più freddi del nostro Sole. Circa il 70% delle stelle presenti nella nostra galassia rientra in questa categoria e la maggior parte degli esopianeti rocciosi simili alla Terra finora scoperti ruotano intorno a stelle come queste. Gli autori dello studio hanno considerato il calore generato dal pianeta, ad esempio tramite la radioattività, scoprendo che un'alta percentuale di questi esopianeti può avere calore sufficiente per sostenere l'acqua liquida. "Prima che iniziassimo a considerare anche l'acqua sotterranea, si stimava che circa un pianeta roccioso ogni 100 stelle potesse avere acqua liquida", dice Ojha. "Il nuovo modello mostra che, se le condizioni sono giuste, la probabilità potrebbe avvicinarsi ad un pianeta per ogni stella. Quindi abbiamo una probabilità di trovare acqua liquida 100 volte piu' alta di quanto pensassimo. Ci sono circa 100 miliardi di stelle nella Via Lattea", aggiunge il ricercatore: "Ciò significa che ci sono davvero buone probabilità che la vita possa avere origine altrove nell'universo". Read the full article
0 notes
Text
Civiltà extraterrestri evolute e paradosso di Fermi
La Terra in un buco radiofonico. 42'777 civiltà extraterrestri vogliono parlare con noi. Perché nessun alieno ci ha ancora contattato, nonostante la vastità dell'universo? I ricercatori cinesi ritengono di conoscere la risposta. Solo nella nostra galassia, la Via Lattea, ci sono probabilmente centinaia di miliardi di pianeti. Almeno su alcuni di essi, la vita deve essersi sviluppata come sulla Terra. Ma perché l'umanità non ha mai sentito parlare di questi extraterrestri? La questione è affrontata dal famoso Paradosso di Fermi, che descrive la discrepanza tra l'apparente probabilità statistica di vita extraterrestre e la completa assenza di prove in tal senso.
A quando il primo contatto non cinematografico con gli extraterrestri? Nella foto una giovanissima Drew Barrymore nel film ormai diventato un cult «E.T. - L'extraterrestre» di Steven Spielberg del 1982. Wenjie Song e He Gao dell'Università Normale di Pechino ritengono ora di aver trovato una risposta. Hanno fatto dei modelli di calcolo su quante civiltà extraterrestri potrebbero esserci nella Via Lattea e quando potrebbero entrare in contatto con noi. Gli alieni devono avere mezzi di comunicazione Perché non basta che gli alieni siano intelligenti come gli umani. Devono anche avere la tecnologia per inviare qualche tipo di segnale radio, in modo da poter essere ascoltati dal resto della galassia. Solo in quel caso si parla di «civiltà intelligenti extraterrestri comunicanti», o, in maniera abbreviata e più famigliare, di CETI. I ricercatori hanno utilizzato la distribuzione delle stelle, la loro formazione e il numero di pianeti nella loro zona abitabile per calcolare la quantità di CETI nella Via Lattea. Poiché i parametri sono molto speculativi, i risultati del calcolo del modello presentano un'ampia gamma. Tendenza all'autodistruzione? Nell'ipotesi ottimistica, i ricercatori ipotizzano che 42.777 CETI siano esistiti, esistano attualmente o esisteranno finché esisterà la Via Lattea. Nell'ipotesi pessimistica, ci sono solo 111 CETI. Inoltre, due CETI devono esistere più o meno nello stesso periodo perché uno venga a conoscenza dell'altro. Una teoria popolare è che le civiltà presumibilmente intelligenti abbiano un'emivita relativamente breve e la tendenza ad autodistruggersi attraverso guerre o distruzione ambientale una volta raggiunto un certo livello tecnologico. Di conseguenza, su scala cosmica, il periodo di tempo in cui una civiltà potrebbe inviare o ricevere segnali è estremamente breve. Ancora 1900 anni di pazienza Nel modello ottimistico, la ricezione di una trasmissione extraterrestre è prevista entro 2000 anni da quando saremo diventati una civiltà comunicativa. Poiché l'umanità è in grado di inviare e ricevere segnali radio solo da poco meno di 100 anni, non sarebbe quindi sorprendente, anche in questa ipotesi ottimistica, che non abbiamo ancora avuto notizie dagli alieni. Nell'ipotesi pessimistica, con solo 111 CETI nella Via Lattea, la ricezione di un segnale dalla parte di E.T. sarebbe statisticamente prevista solo dopo 400.000 anni. In questo caso, l'umanità avrebbe quindi bisogno di un respiro molto lungo. Read the full article
#alieni#civiltàextraterrestri#extraterrestri#fastradioburst#galazzie#intelligenza#mezzicomunicazione#paradossodiFermi#sistemasolare#spazio#tecnologia#Universo#vialattea#vitaextraterrestre
3 notes
·
View notes
Text
Indicazioni sulla presenza di microrganismi biologici su Venere
Segnali di vita da Venere: "In atmosfera una sostanza che si genera con l'attività biologica". I ricercatori hanno trovato tracce persistenti di Fosfina nell'atmosfera del pianeta. È un gas che dovrebbe degradarsi ma qualcosa continua a produrlo. Sulla Terra viene dal metabolismo di microrganismi. Non è ancora la pistola fumante ma, per ora, non sono note altre spiegazioni per la sua presenza. Brucato: "Troppo presto per avere la certezza che sia biologico". Gli scienziati hanno trovato fosfina nell'atmosfera di Venere. Un gas che, almeno sulla Terra, significa vita. Si tratta di uno degli indizi più potenti della presenza di forme biologiche al di fuori del nostro Pianeta. Un'ipotesi che Carl Sagan ventilava più di mezzo secolo fa. Da quando lo conosciamo un po' meglio, Venere è sceso piuttosto in fondo alla lista dei luoghi in cui cercare forme di vita extraterrestre. È il pianeta più vicino e più simile al nostro, come dimensioni. Ma la sua superficie è un inferno. Tuttavia gli scienziati sanno che si possono trovare posti più temperati. Basta salire di quota, di qualche decina di chilometri. Ed è proprio da lì che arrivano indizi molto interessanti, descritti in uno studio pubblicato oggi su Nature Astronomy. Read the full article
#attivitàbiologica#batteri#biosignature#DnaedRna#Eureka!#Fosfina#fosforo#Magellano#metano#micrometeoriti#microrganismi#Nubiacide#nubivenusiane#sondaVenera#sondaVenera-D#venere#vitaextraterrestre#vitasuvenere
0 notes
Text
I mondi alieni che ospitano la vita sarebbero meno rari del previsto
Nella Via Lattea esisterebbero 36 civiltà intelligenti e comunicanti: lo studio. Le risposte alla domanda “siamo soli nell’universo?” affascina da sempre tutti e non solo gli addetti ai lavori. I ricercatori dell’Università di Nottingham hanno tentato di fornirle, spiegando che la distanza media di queste civiltà sarebbe di circa 17.000 anni luce. Finora la Terra si è dimostrata unica nella sua capacità di ospitare la vita nell'universo, contribuendo a chiederci se siamo veramente soli. Ma forse non lo siamo. Comincia con questa supposizione un articolo della Cnn in cui viene data notizia di un importante studio astronomico, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica “The Astrophysical Journal” e condotto da un gruppo di esperti dell'Università britannica di Nottingham, coordinato da Christopher Conselice. Secondo gli scienziati, infatti, potrebbero esserci almeno 36 civiltà intelligenti attive e comunicanti nella nostra Via Lattea. Tuttavia, a causa del tempo e della distanza, potremmo non sapere mai se esistono o siano mai esistite. La tesi dei ricercatori inglesi I ricercatori si sono basati su un nuovo approccio, denominato Limite Copernicano dell'Astrobiologia, che applica la teoria dell'evoluzione su scala cosmica, calcolando il tempo medio necessario alla comparsa di una civiltà come quella umana. Calcoli precedenti, in quest’ambito, erano basati sull'equazione di Drake, proposta dall'astronomo e astrofisico Frank Drake nel 1961. Read the full article
0 notes
Text
Esopianeta abitabile a soli 4 anni luce dalla Terra
Spazio: confermata l’esistenza di Proxima b, il ‘gemello’ della Terra. Il corpo celeste a ”soli” 4 anni luce dalla Terra.
Spazio: confermata l’esistenza di Proxima b, il ‘gemello’ della Terra Proxima b, il pianeta gemello della Terra, esiste realmente ed è a soli 4 anni luce dalla nostra posizione. Orbitante nella zona abitabile della sistema planetario, l’oggetto presenta la condizioni ideali per ospitare l’acqua allo stato liquido e probabilmente forme di vita extraterrestri. A confermare la presenza del pianeta, molto simile alla Terra, è una ricerca pubblicata su Astronomy & Astrophysics e condotta da un team internazionale a cui partecipano anche gli esperti italiano dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. La squadra guidata da Alejandro Suarez Mascareno, dell’Istituto di Astrofisica delle Canarie, ha confermato la presenza di Proxima b, un oggetto dalla massa pari a 1,17 volte quella della Terra. Scoperto 4 anni fa, solo oggi si è avuta la conferma della massa e dell’esistenza stessa del pianeta. Proxima b è un pianeta molto interessante, con caratteristiche simili alla Terra, ma probabilmente troppo vicino alla turbolenta stella madre, una nana rossa in grado di produrre devastanti tempeste magnetiche. Secondo i calcoli Proxima b riceve circa 400 volte più radiazioni rispetto alla Terra; una condizione estrema e che potrebbe provocare la ”fuga” di elementi come l’ossigeno, fondamentali per lo sviluppo della vita. Read the full article
0 notes
Text
Scovare esopianeti abitabili con lo studio della luce riflessa
Un “codice” che potrebbe rivelare se un esopianeta è abitabile. Gli spettri che i nostri telescopi sulla Terra registrano, possono essere effettivamente trasformati in un codice in grado di elaborare le condizioni atmosferiche degli esopianeti. La ricerca della vita nell’Universo continua, ma vista la vastità dello spazio, i ricercatori sono alla continua ricerca di suggerimenti che possano aiutarli a capire quali esopianeti sotto osservazione sono effettivamente adatti ad ospitare la vita, e forse oggi hanno a disposizione qualcosa che può ampliare le probabilità di riuscita. Un nuovo studio potrà aiutare i ricercatori a “decodificare” il clima di un esopianeta in base alle misurazioni dei colori della superficie e la riflessione della luce della propria stella madre e, di conseguenza, capire se è in grado di sostenere o meno la vita.
Lavorando su precedenti modelli climatici e chimici, e sulle osservazioni di altre stelle ed esopianeti, i metodi che gli astronomi hanno escogitato potrebbero essere utili per capire com’è il clima di un esopianeta lontano. In parole più semplici, gli spettri che i nostri telescopi sulla Terra registrano, possono essere effettivamente trasformati in un codice in grado di elaborare le condizioni atmosferiche degli esopianeti. Come ha spiegato il planetologo Jack Madden del Carl Sagan Institute della Cornell University: “Abbiamo esaminato come le diverse superfici planetarie nelle zone abitabili dei sistemi solari distanti potrebbero influenzare il clima sugli esopianeti. La luce riflessa sulla superficie dei pianeti gioca un ruolo significativo non solo sul clima generale, ma anche sugli spettri rilevabili di pianeti simili alla Terra“. I calcoli sono basati sull’albedo di un pianeta o, in questo caso di un esopianeta. Ma cos’è l’albedo? È la quantità di luce e radiazione che il corpo in questione riflette. Il team che ha lavorato al nuovo studio con un semplice paragone ne spiega il meccanismo: indossate una maglietta nera o bianca: la prima assorbe la luce e trattiene il calore, mentre la seconda riflette la luce e mantiene una temperatura più confortevole. Gli esopianeti si comportano allo stesso modo: la loro superficie, le condizioni atmosferiche e la luce che ricevono dalla loro stella contribuiscono al loro clima e alla capacità di sostenere la vita. Allo stesso modo in cui il colore di una maglietta può dirci quanto potrebbe essere caldo indossarla, il colore di un esopianeta dovrebbe fornire indicazioni su quanto sia calda o fredda la sua superficie, anche se non possiamo effettuare una misura diretta. Come spiega l’astronoma Lisa Kaltenegger del Carl Sagan Institute: “A seconda del tipo di stella e del colore primario dell’esopianeta – o dell’albedo riflettente – il colore del pianeta può mitigare parte dell’energia emessa dalla stella. Ciò che costituisce la superficie di un esopianeta, quante nuvole circondano il pianeta e il colore del sole può cambiare significativamente il clima di un esopianeta“. Lo studio si basa su precedenti lavori eseguiti dagli stessi Madden e Kaltenegger, effettuati sulle misurazioni degli spettri osservabili dei pianeti nel nostro Sistema Solare. Tali spettri ne indicano le proprietà, inclusi gli elementi ci cui potrebbero essere fatti. Questa ‘guida’ a colori degli esopianeti dovrebbe tornare utile a breve: nuovi telescopi avanzati in fase di costruzione come il James Webb Space Telescope e il Giant Magellan Telescope saranno in grado di raccogliere spettri dell’atmosfera degli esopianeti molto più facilmente di quanto possiamo fare oggi, spettri che i ricercatori saranno ora capaci di interpretare. In questo modo avremo molte più possibilità di focalizzare la nostra attenzione sugli esopianeti che hanno maggiori probabilità di ospitare la vita come la conosciamo. Mentre i modelli precedenti si basavano su ciò che sappiamo del nostro pianeta e del nostro sistema Solare, questo approccio si adatta meglio ai diversi tipi di esopianeti e alle loro stelle ospiti. “I nostri risultati mostrano che l’uso di un’albedo di superficie dipendente dalla lunghezza d’onda è fondamentale per creare modelli di esopianeti rocciosi potenzialmente abitabili“, spiegano i ricercatori nel loro articolo. Fonte: Science Alert Read the full article
#albedo#esopianeta#esopianeti#modellichimici#modelliclimatici#planetologia#spettroluminoso#terraformazione#vitaextraterrestre
0 notes
Text
La Nasa ha scoperto un pianeta abitabile gemello della Terra
Il fratello 'nascosto' della Terra, distante 300 anni luce. Scovato adesso fra i vecchi dati dal telescopio spaziale Kepler. Era rimasto nascosto tra i dati raccolti dal cacciatore di pianeti della Nasa Kepler, in pensione dal 2018: è un pianeta alieno potenzialmente abitabile, il più simile alla Terra come dimensioni e temperatura tra quelli scovati da Kepler. È quanto emerge dallo studio pubblicato sulla rivista The Astrophysical Journal Letters dal gruppo dell’Università del Texas a Austin coordinato da Andrew Vanderburg.
Rappresentazione artistica della superficie del pianeta Kepler-1649c, con la sua stella (fonte: NASA/Ames Research Center/Daniel Rutter) © ANSA/Ansa Scovato grazie a un nuovo programma per l’analisi dei dati, il pianeta si chiama Kepler-1649c, è roccioso e si trova a circa 300 anni luce dalla Terra, in orbita intorno a una nana rossa, il tipo di stella più diffuso nell’universo. Probabilmente parte di un sistema planetario formato da altri due mondi, si trova in uno spicchio di spazio che i planetologi chiamano zona abitabile, cioè alla giusta distanza dalla stella madre, né troppo vicina né troppo lontana, ma tale da consentire l’esistenza di acqua allo stato liquido. Condizione necessaria perché possa potenzialmente svilupparsi la vita.
Rappresentazione artistica del pianeta Kepler-1649c in orbita intorno alla sua stella (fonte: NASA/Ames Research Center/Daniel Rutter) Grande come la Terra, il raggio di Kepler-1649c è appena 1,06 volte quello del nostro pianeta. Orbita così vicino alla sua stella che un anno su questo mondo alieno equivale a 19 giorni e mezzo terrestri. Inoltre, la quantità di luce che il pianeta riceve dalla propria stella è il 75% di quella che la Terra riceve dal Sole. Gli astrobiologi pensano, quindi, che la sua temperatura sia simile a quella del nostro pianeta. Ma sottolineano che ci vorranno molti più dati per capire se è davvero candidato a ospitare la vita così come la conosciamo.
Confronto fra ledimensioni dellla Terra e del pianeta Kepler-1649c (fonte: NASA/Ames Research Center/Daniel Rutter) Per Thomas Zurbuchen, uno degli amministratori della Nasa, “la scoperta di questo pianeta ci dà speranza sulla possibile esistenza di una seconda Terra tra le stelle, ancora in attesa di essere trovata. Anno dopo anno infatti - conclude l’esperto - stiamo affinando la nostra capacità di cercare pianeti promettenti”. Read the full article
#esopianeta#esopianeti#Kepler#kepler1649c#nanarossa#pianetiabitabili#secondaTerra#telescopiospaziale#vitaextraterrestre
0 notes