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Campaña de Villa Soldati en 1911
https://doctorcarluccio.blogspot.com/2024/05/campana-de-villa-soldati-en-1911.html Emblema del barrio de Villa Soldati
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#1911#argentina#argentine football association#buenos aires#campañas#copa competencia#futbol#seccion a#segunda division#villa soldati
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Love it when someone rants in the notes of my post and puts "[x] DNI" on tags like honey... I'm X. You went to the porteña bloggers tags and put porteños DNI on it. On my post that you're interacting with... that's not how it works
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NUOVOATLANTE
di Alessandro Orsini
Libera stampa. L’offensiva ucraina è fallita, ma guai a chi lo dice (in Italia)
Nessuno in Italia scriverebbe mai che la controffensiva ucraina è stata un fallimento, nonostante la stampa americana lo dica da mesi. Una frase così chiara certificherebbe il fallimento di un’intera classe politica e mediatica. Pensate a tutti quei direttori di reti televisive, speaker radiofonici, leader di partito, direttori di istituti di ricerca sulla politica internazionale, schierati contro la diplomazia all’inizio della guerra per la sconfitta della Russia. Potreste mai immaginare che la classe mediatica riconosca di essere moralmente e politicamente corresponsabile della tragica situazione in cui l’Ucraina si contorce con Mario Draghi che viene riproposto come una pietanza che si ripropone al Quirinale verso il giorno più stomachevole della Repubblica Italiana? I signori dei media ricorrono a due strategie per non dire che la controffensiva è un fallimento: la strategia della “lente d’ingrandimento” e quella del “domani è un altro giorno”. La strategia della “lente di ingrandimento” ingigantisce conquiste ucraine talmente limitate che, cartograficamente parlando, non sono nemmeno visibili sulla mappa. È il caso di Andriivka, a sud di Bakhmut, che equivale grosso modo alla conquista di Villa Lazzaroni a Roma sulla Tuscolana. Con la differenza che Villa Lazzaroni ospita qualche piccolo ripostiglio per gli utensili, mentre Andriivka non ha nemmeno quelli essendo stata rasa al suolo al costo di decine di migliaia di ucraini uccisi e una quantità impressionante di mezzi Nato distrutti. Conquistare Villa Lazzaroni in una settimana è un fallimento reale; conquistarla dopo oltre tre mesi di devastazioni e sofferenze umane indicibili è un fallimento fantasy. La ragione per cui i media ingigantiscono la conquista di Andriivka si spiega con l’intreccio nefasto tra potere politico, giornalismo mainstream e dipartimenti di scienza politica all’italiana. Crosetto sarà presto chiamato a inviare nuove armi per la distruzione definitiva dell’Ucraina e, quindi, i soliti (s)giornalisti e i soliti (s)direttori di dipartimento dovranno spiegare che la strategia di Biden funziona. Conquistare Villa Lazzaroni in tre mesi di super-massacri e centinaia di bambini ucraini sotto terra dimostra che Ursula von der Leyen ha capito tutto della guerra in Ucraina. Se poi il teatro dell’assurdo vacilla, ecco intervenire la strategia del “domani è un altro giorno”. Agli italiani bisogna sempre spiegare che la vittoria arriverà domani perché la Nato aveva dimenticato di inviare l’arma magica. Gli ucraini vinceranno grazie agli Himars. Anzi no, grazie ai Samp/T di Crosetto. Anzi no, grazie agli Abrams. Anzi no, grazie alle bombe a grappolo. Anzi no, grazie ai 40 caccia di quarta generazione in primavera però la Russia ne ha 1000 subito. La strategia del “domani è un altro giorno” consente di rimandare all’infinito il giorno in cui le televisioni dovranno dichiarare che l’Unione europea è guidata da una classe politica fallita sorretta da una classe mediatica e accademica iper-corrotta. Mi raccomando: si tenga nascosto agli italiani che la Russia ha ammassato circa 100.000 soldati, 900 carri armati e 555 sistemi di artiglieria per lo sfondamento dell’oblast di Kharkiv. Con il dissanguamento per Villa Lazzaroni, vorrò vedere come Kiev respingerà un assalto frontale di quel tipo. Ecco il paradosso: quando una classe politico-mediatica è perfettamente fallita, si rappresenta come perfettamente vittoriosa. Crosetto aiuta il Corriere della Sera e il Corriere della Sera aiuta Crosetto. In tal modo, un po’ con lo scotch, un po’ con collanti odorosi meno nobili, gli zombie si compattano.
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L'ORSO CHE COMBATTEVA I NAZISTI
A Forlì, lungo viale dell’Appennino, tra Ca’Ossi e San Martino in Strada, c’è ancora oggi un edificio noto come Villa Gesuita. Alla fine dell’800 il palazzo era stato acquistato dal tenore Angelo Masini, ai tempi già famoso e ricchissimo. Durante gli anni ’40, il custode della villa era Enea Barzanti che assieme alla moglie e alle figlie, Isotta e Ivana, vide diversi schieramenti occupare la villa: i tedeschi, i polacchi, i gurkha, di nuovo i polacchi e infine gli inglesi. Ivana, intervistata nel 2019, raccontò una cosa che molti hanno dimenticato: “Una mattina arrivarono i polacchi e montarono le tende nel cortile, con loro c’era un orso enorme che legarono a un albero con una catena.” Ma quell'orso non era un orso qualunque, il suo nome era Wojtek ed era a tutti gli effetti un soldato. Nel marzo del '43, mentre l’armata polacca si stava addestrando nel nord dell’Iraq per poi essere impiegata in Italia a fianco degli inglesi, due soldati incontrarono un ragazzo curdo che aveva con sé un cucciolo d’orso. Wojtek fu subito adottato dalla Compagnia diventando una specie di mascotte. I soldati gli insegnano la lotta e anche il saluto militare. Il giorno della partenza, però, ci si accorse che Wojtek non poteva salpare. Le regole di reclutamento britanniche erano chiare: soltanto i soldati potevano salire a bordo di una nave militare. Così, l’orso fu ufficialmente arruolato come soldato semplice e assegnato alla 22ª Compagnia Rifornimenti di Artiglieria. Alto ormai due metri e pesante 250 kg, Wojtek aiutò a trasportare le casse di munizioni durante diversi combattimenti, tra i quali la battaglia di Cassino, e per il suo coraggio fu promosso a caporale. Per celebrarlo, la 22° Compagnia adottò un distintivo che lo ritrae mentre trasporta un grosso proiettile. Lo stemma fu dipinto anche sui veicoli militari. Wojtek viveva con i suoi commilitoni, mangiava e dormiva con loro, masticava il tabacco e si dice amasse la birra. Assieme a lui, l’esercito polacco entrò a Predappio, a Forlì, a Brisighella e a Faenza. Dopo il conflitto, il 15 novembre 1947, il suo reparto fu smobilitato e Wojtek fu trasferito allo zoo di Edimburgo. Morì il 2 dicembre 1963, all’età di 21 anni.
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Irma Bandiera
https://www.unadonnalgiorno.it/irma-bandiera/
Passeranno i morti, ma resteranno i sogni.
Irma Bandiera, nome di battaglia Mimma, è stata una partigiana italiana seviziata, accecata e trucidata dai nazifascisti, una delle eroine simbolo della lotta di tante donne impegnate nella Resistenza.
Nacque l’8 aprile 1915 a Bologna, in una famiglia benestante, suo padre Angelo era capomastro edile oppositore del regime durante la dittatura. Sua madre si chiamava Argentina Manferrati e aveva una sorella di nome Nastia.
Aveva anche un fidanzato, Federico, militare a Creta che venne fatto prigioniero dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 e rimase disperso dopo che la nave su cui era imbarcato per il trasferimento in Germania venne bombardata e affondò al porto del Pireo. Vane furono le ricerche per ritrovarlo.
Iniziò ad aiutare i soldati sbandati dopo l’armistizio e a interessarsi di politica, aderendo al Partito Comunista.
A Funo, dove andava a trovare i parenti, conobbe uno studente di medicina, Dino Cipollani, il partigiano Marco che la spinse a entrare nella VII brigata GAP Gianni Garibaldi di Bologna.
Il 5 agosto 1944 i partigiani uccisero un ufficiale tedesco e un comandante delle brigate nere. Cominciò una tremenda rappresaglia che vide coinvolta anche la partigiana Mimma, che aveva trasportato delle armi alla base della sua formazione a Castel Maggiore. Venne arrestata mentre si trovava a casa dello zio, la sera del 7 agosto e rinchiusa nelle scuole di San Giorgio, isolata dal resto dei suoi compagni. Venne poi portata a Bologna dove, per sei giorni e sei notti venne ferocemente seviziata dai fascisti della Compagnia Autonoma Speciale, guidati dal Capitano Renato Tartarotti, che arrivarono ad accecarla con una baionetta, per farla parlare, ma lei non ha mai rivelato i nomi delle sue compagne e compagni di lotta.
I familiari la cercarono dappertutto sperando di trovarla in vita, la giovane resistette alle torture fino alla fine ma venne fucilata e poi finita con alcuni colpi di pistola al Meloncello di Bologna, nei pressi della casa dei suoi genitori, il 14 agosto 1944.
Il suo cadavere venne lasciato esposto per un giorno intero, come monito, fino a quando i parenti non riuscirono a riprenderselo.
Portata all’Istituto di Medicina Legale, un custode, amico della Resistenza, scattò le foto del suo viso devastato dalle torture.
In suo onore, una formazione di partigiani operanti a Bologna prese il nome Prima Brigata Garibaldi Irma Bandiera. A lei venne intitolata una brigata SAP (Squadra di azione patriottica) che operava nella periferia nord di Bologna ed un GDD (Gruppo di Difesa della Donna).
La federazione bolognese del PCI il 4 settembre 1944 pubblicò un foglio volante, stampato in clandestinità, nel quale si ricordava il senso altamente patriottico del sacrificio di Irma incitando i bolognesi a intensificare la lotta contro i nazifascisti.
È sepolta nel Monumento Ossario ai Caduti Partigiani della Certosa di Bologna ed è ricordata nel Sacrario di Piazza Nettuno e nel Monumento alle Cadute Partigiane a Villa Spada.
A Bologna, nella via che porta il suo nome è deposta una lapide che reca scritto: “Il tuo ideale seppe vincere le torture e la morte. La libertà e la giovinezza offristi per la vita e il riscatto del popolo e dell’Italia. Solo l’immenso orgoglio attenua il fiero dolore dei compagni di lotta. Quanti ti conobbero e amarono nel luogo del tuo sacrificio a perenne ricordo posero”.
Il suo assassinio, compiuto anche per scoraggiare pericolosi tentativi di emulazione, finì per produrre l’effetto contrario e tante donne seguirono il suo esempio e si unirono alla battaglia per la liberazione dell’Italia.
Ci sono strade che portano il suo nome in vari comuni italiani.
Riconosciuta partigiana alla fine della guerra venne decorata con la Medaglia d’Oro al Valor Militare, insieme ad altre 18 partigiane.
«Prima fra le donne bolognesi a impugnare le armi per la lotta nel nome della libertà, si batté sempre con leonino coraggio. Catturata in combattimento dalle SS. tedesche, sottoposta a feroci torture, non disse una parola che potesse compromettere i compagni. Dopo essere stata accecata fu barbaramente trucidata e il corpo lasciato sulla pubblica via. Eroina purissima degna delle virtù delle italiche donne, fu faro luminoso di tutti i patrioti bolognesi nella guerra di liberazione.»
“È nella Resistenza – ha dichiarato Marisa Rodano alla Camera dei deputati in occasione del 70° anniversario della Liberazione �� che le donne italiane, quelle di cui Mussolini aveva detto ‘nello stato fascista la donna non deve contare‘; alle quali tutti i governi avevano rifiutato il diritto di votare, la possibilità di partecipare alle decisioni da cui dipendeva il loro destino e quello dei loro cari, entrano impetuosamente nella storia e la prendono nelle loro mani. Nel momento in cui tutto è perduto e distrutto – indipendenza, libertà, pace – e la vita, la stessa sussistenza fisica sono in pericolo, ecco le donne uscire dalle loro case, spezzare vincoli secolari, e prendere il loro posto nella battaglia, perché combattere era necessario, era l’unica cosa giusta che si poteva fare”.
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«[...] Prima, sapevamo delle crudeltà tra di loro: tra le diverse popolazioni di lingua slava ma di appartenenze etniche, politiche o religiose, diverse. Sapevamo per esempio della lotta feroce fra i cetnici, sostenitori di re Pietro, e i partigiani di Tito. Lussinpiccolo, nel ‘43, fu occupata dai cetnici, che arrivarono con le loro famiglie. Poco dopo giunsero i partigiani di Tito: presero tutti, compresi donne e bambini, li caricarono sulle barche, li portarono al largo e li annegarono...
Noi sapevamo. Ma pensavamo che tutto questo non ci riguardasse. Churchill, Roosevelt e Stalin ci avevano garantito a suo tempo che ogni popolo avrebbe comunque deciso dei suoi destini; noi eravamo italiani, e tali saremmo potuti rimanere. A tal punto ci avevamo creduto, che io, nel ‘42, se non ricordo male, avevo fatto ristrutturare completamente la nostra casa. E rimasi sbalordito quando uno dei muratori mi disse: “Questa casa, lei se la godrà ancora per poco...”. Quell’uomo era slavo, ed evidentemente sapeva ciò che io non sapevo, che tutti noi ignoravamo...
Arrivò il 1943, e gli slavi iniziarono a reclutare come partigiani, nel nostro esercito allo sbando, sia quanti si dichiaravano comunisti e loro alleati, sia quei poveri soldati che non sapevano dove e con chi andare, e neppure avevano i mezzi per tornare a casa. In quella circostanza si rifornirono anche delle armi che sino ad allora non possedevano.
E arrivò anche il 1945: entrarono in città, a Pola, dove cominciarono col prendere possesso delle caserme, del municipio, degli edifici pubblici, di qualche villa privata. Durò quarantacinque giorni, e poi giunsero gli Alleati: noi credevamo fosse per restituirci a noi stessi; in realtà fu solo per garantirci la possibilità di andarcene, esuli, ma vivi... E noi, di andarcene, lo decidemmo subito dopo l’occupazione e i primissimi momenti di sbalordimento atterrito: decidemmo non appena fummo in grado di capire che per noi non c’era più speranza, che se fossimo rimasti avremmo dovuto vivere nel terrore quotidiano. Perché non fummo noi, a volercene andare; la verità era, ed è, che “loro” non ci volevano su quelle terre, di cui pretendevano di cancellare, insieme alla nostra presenza, anche la storia...».
Anna Maria Mori & Nelida Milani, Bora. Istria, il vento dell’esilio
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Il 25 aprile 1974, dopo la messa in onda su Rádio Renascença, di una canzone proibita dalla censura, "Grândola, vila morena", del cantautore José Afonso, iniziò il colpo di stato in Portogallo per rovesciare la dittatura più longeva d'Europa. L’esito di quell'evento, destinato a cambiare per sempre le sorti del Paese, sì legò ad un simbolo particolare: a quei fiori rossi donati dai lisbonesi ai soldati giunti nella capitale, e da questi inseriti nelle canne dei fucili. Da quel giorno divenne la "Rivoluzione dei garofani". Tra i primi a giungere a Lisbona, c'era la fotoreporter italiana Paola Agosti. A lei e ai suoi scatti è dedicata la mostra che si è inaugurata ieri a Ravello, nelle sale di Villa Rufolo, aperta al pubblico fino al 18 ottobre. Un documento di memoria storica, carico di vibrazioni di libertà e di futuro. Un reportage a caldo e senza fronzoli, con la consapevolezza dell'urgenza di quegli avvenimenti. Tutte le info, nel comunicato stampa dell'Ago Press: https://www.agopress.it/eventi-da-cargaleiro-ad-agosti-ravello-omaggia-il-portogallo/15120 E qui sotto un video, con uno sguardo a quegli istanti fermati per sempre sulla pellicola. E sulle note di quella canzone, che accompagnò la rivoluzione
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Más servicios en tu barrio: el programa de la Ciudad llega a Villa Soldati y Agronomía
http://dlvr.it/TBXMzy
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#Colectivo#BuenosAires#Argentina#GuiaColectivos#ColectivosPorteños#LineasDeColectivos#linea6#bondis#pompeya#retiro#villasoldati
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Al menos duermo en paz sabiendo que madrid se inunda más que villa soldati
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La nuova casa di Silvia Toffanin e Piersilvio Berlusconi è una villa da 20 milioni La power couple di Mediaset lascia il Castello di Paraggi per trasferirsi a Portofino. La nuova casa di Silvia Toffanin e Piersilvio Berlusconi è un gioiello: una villa da 20 milioni di euro che l'AD di Mediaset aveva acquistato ad aprile 2022 e che, dopo quasi due anni di ristrutturazione, sarà il nuovo nido della coppia e dei figli Lorenzo Mattia, nato il 10 giugno 2010, e Sofia Valentina, nata il 10 settembre 2015. Non una dimora qualunque, Berlusconi e Toffanin si trasferiscono a Villa San Sebastiano, una proprietà immobiliare di 1.300 metri quadrati, costruita nel Cinquecento e arrivata a oggi come un patrimonio culturale e paesaggistico di valore incalcolabile. Affacciata sul Golfo del Tigullio, i dintorni della villa comprendono un frutteto, un uliveto e un vigneto, dove sono costruiti una piscina e la cappella votiva a San Sebastiano, da cui la proprietà prende il nome. Passando agli interni, la casa è composta da nove stanze e sette bagni, pronti ad accogliere l'imminente trasferimento della famiglia Berlusconi-Toffanin. La storia di Villa San Sebastiano merita un capitolo a parte e comincia nel Cinquecento, quando fu creato un terrazzamento per costruire la villa con vista sul mare. Una delle particolarità dell'abitazione sono gli alti colonnati che sono stati realizzati con il materiale ricavato dagli scavi. Come riporta la Repubblica di Genova, all'inizio dell'Ottocento, sembra che la casa fosse stata trasformata in un convento, per poi essere riconvertita in residenza nella metà del secolo, diventando la prima villa residenziale del comprensorio del Tigullio. Durante la Seconda Guerra Mondiale, per via della sua posizione strategica, la villa diventa una base per i soldati tedeschi. Addirittura, nel giardino, l'esercito realizzò un bunker in cui era alloggiato un cannone in posizione strategica per la difesa del Tigullio, e che ospita oggi l'attuale piscina. È negli anni '70 che Villa San Sebastiano rinasce grazie all'intervento dei nuovi proprietari, che affidano la ristrutturazione interna alla celebre architetta Gae Aulenti. L'opera della progettista fu magistrale: gli interni della villa si trasformarono, riproducendo la partitura esterna degli spazi e i colonnati. L'attuale lavoro di ristrutturazione ha mantenuto fede al lavoro dell'architetta, rendendo più moderno il design e apportando alcune modifiche agli spazi esterni, sempre in accordo con le regole del parco del Tigullio, come l'aggiunta di un pergolato. Un perfetto nido d'amore per l'erede Berlusconi.
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MOMENTO 3 - Kiara Belzu
Noticia:
Un caso más de explotación laboral en el país:
19 bolivianos y 3 menores de edad, rescatados de talleres textiles en Villa Soldati
Clausuran 3 talleres textiles en Buenos Aires donde salvaron a 21 personas que se encontraban trabajando contra su voluntad.
En junio de 2023, el personal de la Prefectura Naval Argentina se dirigió al barrio de Villa Soldati donde en un domicilio encontraron tres talleres de textil en los cuales rescataron a 19 bolivianos y 3 menores de edad.
Los talleres bajo investigación fueron finalmente clausurados por orden del Juzgado Nacional en lo Criminal y Correccional Federal N° 7, el cual se encuentra a cargo del Dr. Sebastián Casanello.
Este proceso dio inicio a una investigación por trata y tráfico de personas, ya que como explica la ley 27046: “La explotación sexual de niños, niñas y adolescentes y la trata de personas en la Argentina es un delito severamente penado.” (Normativa Nacional), podemos asumir que estas actividades y estos hechos obvios se tratan de una red de trata de personas. Así continuando con el comportamiento delictivo, Prefectura secuestró documentación que corroboraron los hechos, y además 8 equipos de telefonía móvil, la cual se sospecha que fueron utilizados para realizar las actividades.
Además, es importante mencionar cómo las personas se encontraban en un ambiente laboral. Donde sus vidas corrían riesgo al faltar seguridad. Incluso se encontraron irregularidades en el funcionamiento de la infraestructura y también falta de higiene, así violando uno de los principales derechos humanos.
Finalmente, Prefectura procedió con distintos departamentos que protegen los derechos de las personas, tales como “Programa Nacional de Rescate y Acompañamiento de Personas Damnificadas por el Delito de Trata de Persona” y “Agencia Gubernamental de Control y Dirección General de Protección del Trabajo del Gobierno de la Ciudad de Buenos Aires”. Para que puedan ofrecer a las víctimas la ayuda que necesitan y también justicia que merecen por el trauma que lastimosamente tuvieron que vivir.
por Kiara Belzu
2. Crónica
Una manifestación más para algunos, un hecho histórico para ellas.
Opinión personal sobre la manifestación de trabajadoras en La Coruña.
Me encontraba de vacaciones con mi familia por Europa, decidimos hacer un tour por las ciudades de España y el 11 de Febrero llegamos a La Coruña, provincia que no es muy turística pero de igual manera queríamos conocer y se encuentra en Galicia. Ese mismo día decidimos ir a pasear por la ciudad para conocer un poco. Cuando llegamos al centro, donde estaban las tiendas de Zara nos encontramos con una manifestación de mujeres. Nos llevamos una sorpresa ya que pudimos darnos cuenta que la manifestación se trataba de trabajadoras de Inditex, una empresa multinacional de moda masiva (fast fashion). Al momento que escuche el nombre de la empresa, ya supe cual era el motivo de la manifestación, las mujeres pedían ganar más dinero que el sueldo mínimo.
Nos quedamos con mi familia ahí parados. Se podía ver la furia y el sentimiento de estas mujeres, al sentirse impotentes por tantos años de estar calladas y conformarse con tan poco y al fin salir a reclamar lo que se merecen. Me acuerdo que mis papás pensaban que era un poco peligroso y me trataron de convencer de irme, pero había algo que no me dejaba hacerlo. Estaba genuinamente conmovida y además sentía un poco de culpa al comprar en este tipo de tiendas. Es por eso que decidí quedarme e incluso apoyarlas. Me paré en un costado, y una de las señoras al mirarme me sonrió y me paso una bandera, después de hacerlo me dio un abrazo. De esta manera es que me quedé ahí gritando y saltando con ellas, al pasar un par de horas, terminé con la señora que me dio la bandera y empezamos a charlar. En eso, me animé y decidí preguntarle muy apenada y con bastante vergüenza si es que me podía contar cómo era el ambiente de trabajo y que era lo que realmente pedían. Ya que a pesar de que si sabía el motivo, quería conocer un poco más sobre la realidad de estas mujeres. Ella se río, y me dijo “toma asiento, esto nos va a tomar un tiempo”.
Nos sentamos en la vereda, y fue ahí cuando me empezó a contar un poco sobre el contexto, ya que claramente se dio cuenta que yo era turista y no iba a entender del todo. Empezó contándome un poco de la empresa, y como el dueño es Amancio Ortega, el empresario más rico de España. Quien en las tierras gallegas era “el intocable” gracias al poder que tenía, es por eso que el hecho de que estén realizando la manifestación en La Coruña ya era un gran acto de valentía, ya que nunca nadie se animaba a hablar, incluso me dijo “Mira alrededor, no hay ni un reportero ni prensa, nadie habla cuando se trata de Inditex”. Me sorprendí. Me contó cómo el problema empezaba con la reputación que Zara tenía, era conocida como una empresa la cual ofrecía una carrera interna y contratos de 40 horas. Sin embargo, las condiciones cambian rápidamente y las trabajadoras terminan denunciando salarios congelados, contratos de jornadas parciales que van rotando de mes en mes haciendo imposible conciliar un sueldo fijo. “Para que te des una idea, prometen un salario de 1000 $ al mes y terminamos cobrando entre 500 a 700 $” me comentó.
De esta manera es que me comentó que el 9 de Febrero, Inditex anunció un nuevo salario mínimo histórico para sus trabajadores: entre 18.000 y 24.000 euros anuales. “Fue la gota que derramó el vaso” me dijo, “estábamos furiosas y logramos convocar a todas para realizar esta manifestación, por primera vez, teníamos más rabia que miedo”. Por lo que entendí, ya van varios meses saliendo a las calles, pero no hicieron tanto ruido el 11 de febrero. Así mismo, un par de días después me enteré que lo habían logrado, ganaron la batalla y consiguieron que la empresa diera un paso atrás y aumentaron los salarios. Probablemente esta victoria no sea muy grande, pero conseguir que un monstruo como lo es Inditex realice un cambio a favor de las trabajadoras era un hecho histórico que representa esperanza para el futuro. Y personalmente, me cambio por completo mi manera de consumir y realmente apreciar el trabajo que hay detrás de lo que estoy usando.
por Kiara Belzu
3. Artículo de Opinión
La manifestación que cambio todo.
Las trabajadoras de Inditex tomaron las calles de La Coruña para manifestarse. Exigiendo un aumento en el salario mínimo que les ofreció la empresa Inditex, el cual no compensaba el esfuerzo que ellas realizan.
El 11 de febrero de 2023 se realizó una manifestación en La Coruña, España. En la cual las trabajadoras de Inditex exigieron y consiguieron un aumento de sueldo tras el anuncio que lanzó la empresa días antes, explicando como los sueldos mínimos con los que trabajan están alrededor de 18.000 y 24.000 euros anuales. Esta manifestación en específico marcó historia para la empresa y para las mismas trabajadoras ya que para las personas residentes de Galicia, no era normal ver a alguien que se imponga ante un monstruo como Inditex, quien está dirigida por Amancio Ortega, el empresario con más dinero en España.
Es muy común que en empresas tan grandes y masivas como lo es Inditex haya reclamos y quejas de parte de los sindicatos de trabajadores. Sin embargo, las personas que consumen en estas empresas se dejan nublar la vista con las lindas publicidades y las prendas que venden sin tomar en cuenta el trabajo que hay detrás y que es lo que realmente implica hacerla. La moda masiva se está haciendo cada día más visible pero todavía no hay un cambio. Las trabajadoras de Inditex exigieron un sueldo que sea un poco mayor al sueldo mínimo y lo tomaron como un hecho histórico. Cómo es posible que un derecho básico que cualquier trabajador no debería ni exigir se vuelva algo tan inalcanzable. Trabajar en un lugar que no provee los derechos básicos debería ser ilegal y el lugar debería ser clausurado. Pero, la realidad es que personas como Amancio Ortega solo se hacen más ricas a costa de otras personas. Porque no existe un cambio.
Deberíamos empezar a preocuparnos por el hecho de que la manifestación ni siquiera salió en las noticias. Como explica Ricardo Fernandez: “La información que nos llega sobre los distintos sucesos sociales, políticos o económicos puede hacer que las personas cambiemos nuestra forma de pensar respecto a la realidad que nos rodea.” (2014) De esta manera es que empresas tan grandes se aseguran de mantener una imagen limpia, fue por el mismo motivo que por primera vez es que escucharon a las trabajadoras, para que “las protestas sumarán más adeptos y afectarán aún más su imagen.” Además, no es algo menor que la empresa llame al sindicato “Las Niñas”, así minimizando sus reclamos para no tomarlos en cuenta.
Por Kiara Belzu
4. Entrevista
¿Qué tan presente está la explotación laboral en Bolivia? Entrevista a Francisco Belzu, abogado penal, que nos cuenta su experiencia personal tratando un caso de explotación laboral.
Fotografía de Francisco Belzu rumbo a las minas a realizar una investigación del caso.
Se escogió a Francisco para realizar la entrevista ya que al ser un abogado penal, tuvo casos en los cuales estuvo en contacto con personas que sufrieron de explotación laboral. De esta manera es que nos puede brindar un punto de vista más capacitado y más cercano a este tema. Además, de poder colaborar estrechamente con las víctimas de explotación laboral para garantizar su protección y apoyo durante el proceso legal. Su experiencia en el sistema penal es esencial para garantizar que se haga justicia y que se disuade a otros de cometer actos similares de explotación laboral, contribuyendo así a la lucha contra esta grave injusticia y al fortalecimiento de la protección de los derechos de los trabajadores.
Entrevista:
¿Tuvo algún caso de explotación laboral?
Sí, durante el ejercicio de mi profesión he podido tener y ver un caso de explotación laboral masiva
¿De qué consistió?
El caso se trataba de una fábrica confección de cadenas de oro, en la cual existían aproximadamente 600 trabajadores destinados a hilar con delgados y los de oro hacer las cadenas y distintas otras joyas, lo complicado del caso era qué estos trabajadores estaban sometidos a condiciones inhumanas de trabajo, así como de de migración personal respecto a sus derechos, al ingreso eran exhaustivamente revisados, trabajaban 12 horas continuas y recibían el salario mínimo, aproximadamente $50 dólares, no les permitían meter a sus bebés recién nacidos y el sistema de alimentación era muy precario, consecuentemente se encontraban todos bastante desnutridos, a la salida los obligaban a desvestirse revisaban sus ropas y los hacían pasar por una máquina detectores de metales, no tenían ningún beneficio laboral respecto a las condiciones de trabajo, higiene, salubridad, seguridad y mucho menos alimenticias.
¿Cómo lo logro resolver? ¿Cuáles fueron las medidas?
Una vez informados del hecho se acudió a la dirección del Ministerio de Trabajo dependiente del Estado, quienes hicieron una inspección al lugar y pudieron verificar las infracciones laborales y derechos humanos que sufrían los trabajadores, inmediatamente se tomaron las medidas sancionatorias para la empresa Y correctivas para los trabajadores.
Se suscribió un acuerdo entre los trabajadores y los propietarios de la empresa para mejorar todas sus condiciones laborales y poder recibir los beneficios que la ley les otorga.
¿Trabajar con un caso así logró cambiar su manera de pensar?
Por supuesto que sí pese a que debe ser un caso descubierto de muchos que existen, uno no puede imaginar el grado de sufrimiento, denigración, y humillación que las personas sean sometidas aprovechándose de su necesidad económica, es una realidad latente en los países tanto desarrollados como subdesarrollados en razón que se aprovechan de la mano de obra barata que ofrecen las personas justamente por la necesidad que tienen de percibir un ingreso.
¿Trabajar con este caso y probablemente escuchar de otros casos similares, llegaron a afectar emocionalmente?
Sí, poder haber visibilizado tanto sufrimiento y humillación por personas inhumanas que se aprovechan de la necesidad ajena en beneficio propio, sin lugar a dudas afecta emocionalmente más aún cuando sabes que hay niños que sufren este tipo de explotación.
Antes de conocer el caso, ¿Sabía que aún había explotación laboral?
Siempre se oyó de casos de explotación laboral, específicamente en la industria textil, así también se escuchó en medios de comunicación existencia de múltiples fábricas que se dedican a este mal, mas nunca se oyó de las sanciones o procesamiento de los responsables.
¿Cuál es su posición frente a este tipo de casos?
Considero qué debería implementarse Una unidad específica por el Estado a través del ministerio público (Fiscalia) para la recepción de denuncias, procesamiento, y sanción de los responsables de este delito, en razón que no sólo existe explotación laboral, sino también explotación infantil, trata de personas y vulneración de los derechos humanos.
¿Cree que el mundo está al tanto de que aún hay explotación laboral? ¿Los medios deberían hablarlo más?
Explotación laboral es un tema inherente a todos los países subdesarrollados, Y esta situación este absoluto conocimiento de el estado de cada país, no obstante no se le da la importancia que amerita o las instituciones encargadas de la protección laboral y la Defensa de los derechos humanos no se pronuncia al respecto, considero que los medios dan más importancia a temas políticos evitando exponer este latente flagelo.
¿Conoce más casos de explotación laboral?
Tengo conocimiento de casos específicamente los que se dan en la industria textil, en la industria farmacéutica, y en la industria o fabricación de tecnología, lugares donde la explotación laboral es alarmante, llegando incluso las personas a trabajar 18 horas al día.
¿Cree que las medidas que toma la policía son suficientes para terminar con la explotación laboral en Bolivia?
Considero que la policía no tiene como prioridad la erradicación de la explotación laboral, esto en razón a qué consideran qué existiendo un contrato ofrecido por el empresario y aceptado por el trabajador, este tema sale del ámbito policial, no obstante no se expone públicamente y se ignora el daño y sufrimiento a la que son sometidas estas personas, Más aún cuando existen familias enteras sometidas a la explotación, existe vulneración de derechos fundamentales, temas que son de ámbito penal y que la policía como la fiscalía no ejercen su función y su rol de protección y sanción.
5. Post de Instagram
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4 novembre origini e commemorazione
Il 4 novembre è una data importante per l'Italia, in quanto si celebra il Giorno dell'Unità Nazionale e la Giornata delle Forze Armate. In questa giornata si ricorda l'Armistizio di Villa Giusti, che entrò in vigore il 4 novembre 1918, e che consentì agli italiani di rientrare nei territori di Trento e Trieste, portando a compimento il processo di unificazione nazionale iniziato in epoca risorgimentale. Il 4 novembre terminava anche la Prima Guerra Mondiale, e per onorare i sacrifici dei soldati caduti a difesa della Patria, il 4 novembre 1921 ebbe luogo la tumulazione del "Milite Ignoto", nel Sacello dell'Altare della Patria a Roma. Con il Regio decreto n.1354 del 23 ottobre 1922, il 4 Novembre fu dichiarato Festa nazionale, e da allora in poi, ogni anno, si celebra il Giorno dell'Unità Nazionale e la Giornata delle Forze Armate. In questa giornata si intende ricordare, in special modo, tutti coloro che, anche giovanissimi, hanno sacrificato il bene supremo della vita per un ideale di Patria e di attaccamento al dovere: valori immutati nel tempo, per i militari di allora e quelli di oggi. Il 4 novembre è una giornata di commemorazione e di riconoscenza per il sacrificio dei propri figli, del popolo in armi che nel 1919 ricevette un grande dono: la pace. Nel corso degli anni ottanta e novanta la sua importanza nel novero delle festività nazionali è andata declinando, ma negli anni duemila, grazie all'impulso dato dall'ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, la festa è tornata a celebrazioni più ampie e diffuse. Si svolgono diverse cerimonie in tutta Italia, con la partecipazione delle autorità civili e militari. In particolare, a Roma, presso l'Altare della Patria, si svolge la cerimonia ufficiale di commemorazione, alla presenza del Presidente della Repubblica, del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro della Difesa e delle massime autorità militari. In questa giornata, si svolgono diverse iniziative culturali e didattiche, volte a far conoscere ai giovani la storia e i valori dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate. Le scuole organizzano visite guidate ai monumenti e ai luoghi simbolo della memoria storica, e si svolgono incontri con i veterani e con i rappresentanti delle Forze Armate. Durante il Giorno dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate si svolgono diverse attività in tutta Italia, con la partecipazione delle autorità civili e militari. Inoltre, in questa giornata, si svolgono diverse iniziative culturali e didattiche, volte a far conoscere ai giovani la storia e i valori dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate. In particolare, le scuole organizzano visite guidate ai monumenti e ai luoghi simbolo della memoria storica, e si svolgono incontri con i veterani e con i rappresentanti delle Forze Armate. La Rai, in occasione del Giorno dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate, trasmette programmi televisivi e documentari che ricostruiscono la storia e la memoria della festività. Il Ministero della Difesa, inoltre, realizza una campagna di comunicazione che valorizza le Forze Armate nel loro costante impegno nelle missioni nazionali ed internazionali. La parola "forze armate" deriva dal latino "vis armata", che significa "forza armata". In Italia, le Forze armate sono costituite dall'Esercito, dalla Marina Militare, dall'Aeronautica Militare e dall'Arma dei Carabinieri, che dal 2000 è diventata una forza armata autonoma. Le Forze armate italiane sono l'insieme delle componenti militari della Repubblica Italiana, nate dopo l'unità d'Italia e che hanno visto numerosi cambiamenti nel corso degli anni. In generale, una forza armata indica la struttura organizzativa e il complesso di reparti in armi di uno Stato. Read the full article
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Israele: «Gaza City è accerchiata». Netanyahu: «Operazione al culmine, non ci fermeremo»
Israele: «Gaza City è accerchiata». Netanyahu: «Operazione al culmine, non ci fermeremo». Prosegue la guerra tra Israele e Hamas. Il portavoce dell’esercito israeliano, Daniel Hagari, ha rivelato che «sono stati completati» gli sforzi per «circondare Gaza City», considerata il centro operativo di Hamas. «I soldati stanno attaccando gli avamposti di Hamas, i quartieri generali, le postazioni e le infrastrutture di lancio e stanno eliminando i terroristi in combattimenti corpo a corpo», ha aggiunto Hagari. Parlando ai soldati israeliani, il premier Netanyahu ha detto: «Siamo al culmine della campagna, abbiamo già raggiunto successi impressionanti, siamo già oltre gli ingressi di Gaza City e andiamo avanti. Abbiamo anche perdite dolorose, ma come mi ha detto uno dei combattenti “niente ci fermerà”». Il presidente statunitense Joe Biden ha dichiarato che serve «una pausa» nella guerra di Gaza «per avere il tempo di fare uscire i prigionieri». Intanto l'ufficio del premier ha precisato di non aver approvato il trasferimento di carburante agli ospedali di Gaza se questo dovesse finire, come invece era stato annunciato dal capo di stato maggiore Halevi. Nelle stesse ore, Hezbollah ha annunciato di aver aperto il fuoco contro Israele attraverso 19 punti, lungo tutta la linea del fronte col nemico, attivando anche i combattenti delle Brigate Qassam di Hamas. Lo riferisce la tv Al-Manar, controllata dall’organizzazione paramilitare. Il ministero della Sanità della Striscia di Gaza ha dichiarato che il bilancio delle vittime ha superato i 9mila morti e che in un raid vicino a una scuola Onu sono state uccise 27 persone, con i media che parlano di altri 15 morti in un raid su un campo profughi nella Striscia. Nel frattempo le Nazioni Unite hanno fatto sapere altri bombardamenti hanno colpito quattro scuole utilizzate come rifugi, ma non c’è una stima precisa di morti e feriti. Intanto la situazione umanitaria all’interno della Striscia continua a peggiorare: l’Organizzazione mondiale della sanità ha fatto sapere che 14 ospedali su 36 hanno smesso di funzionare. «Stiamo lavorando intensamente per riportare fuori da Gaza tutti gli italiani che vogliono rientrare. Probabilmente uno o due intendono restare a Gaza essendo della Croce Rossa, per continuare a fare il loro lavoro. Ma noi siamo pronti ad accompagnare tutti al Cairo, con breve visita all'ospedale italiano Umberto I della città per garantire un controllo medico, per poi quando vogliono farli rientrare in Italia». Lo ha detto il vicepremier e Ministro degli Esteri Antonio Tajani in conferenza stampa con l'omologo indiano Subrahmanyam Jaishankar a Villa Madama. Dopo il primo gruppo di italiani che ha lasciato ieri la Striscia di Gaza, nelle scorse ore, una bambina italiana di sei anni e la mamma palestinese hanno attraversato il valico di Rafah. Sono ora in Egitto, assistite dal personale dell'Ambasciata d'Italia al Cairo per il successivo rientro in Italia. Lo rende noto la Farnesina con una nota.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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