#verdi-azzurre
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Glossario: alghe verdi-azzurre
Le alghe verdi-azzurre, o cianobatteri, sono organismi primordiali monocellulari, produttori di ossigeno, che vivono nell’acqua, sui muri e nei terreni umidi o sui bordi delle vasche.
Sono organismi autotrofi, capaci cioè di trasformare le sostanze inorganiche in nutrimento. Spesso si presentano in colonie. Alcuni sono tossici, altri alimentari.
Appartengono al tipo delle Cianofite e si distinguono dagli altri batteri per la presenza nel citoplasma di clorofilla e altre strutture coinvolte nella fotosintesi.
Il loro colore varia dall’azzurro, al rosso al porpora, a causa della presenza di pigmenti accessori, la c-ficocianina (blu) e la c-ficoeritrina (rossa).
Riescono a vivere in condizioni di vita estreme trasformandosi in spore attraverso un processo chiamato sporulazione.
Le verdi-azzurre sono sono state i primi produttori di ossigeno del pianeta e sono all’origine della catena biologica e di quella alimentare.
Le specie edibili si possono considerare una delle fonti alimentari più concentrate che si conoscano e forniscono un ottimo apporto nutrizionale ed energetico.
Articolo Le Alghe verdi-azzurre: l’inizio della vita
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Ma...
...se fu amor di Patria, di nostra continua lotta, del nostro popolo a cui tu darai il segreto del vincere e la calma fierezza del morire, se fu passione di mostrine, di alamari, di fiamme rosse, cremisi, verdi od azzurre; se fu fremito naturale del sangue, antica promessa alla tua giovinezza nascente …
ALLORA GIURA!
e poi lotteremo insieme e sarai mio fratello...
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GIURAMENTO ACCADEMIA MILITARE
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Circondatevi di cose
gialle come il sole,
rosse come il cuore,
azzurre come il cielo,
verdi come la speranza.
Circondatevi di bellezza,
calore e colore
sanno attirare nel mondo
cose buone.
-Gabriela Pannia
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Come può uno scoglio
Arginare il mare
Anche se non voglio
Torno già a volare
Le distese azzurre
E le verdi terre
Le discese ardite
E le risalite
Su nel cielo aperto
E poi giù il deserto
E poi ancora in alto
Con un grande salto
- Lucio Battisti
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Le alte torri di Valaskjalf si ergevano in lontananza, manifestandone tutta la loro imponenza.
I Vanir che ne sarebbero stati ospiti rimasero colpiti dall’oro che adornava il magnifico palazzo del regno eterno.
Segno tangibile di una terra nata dal sangue e dalla schiavitù.
Un’antica civiltà fiorente, costituita da fieri e indomiti guerrieri.
Un popolo che tuttavia mirava al futuro, nonostante fosse fedele alle proprie tradizioni.
Due giovani di entrambe le stirpi divine sarebbero presto convolate a nozze, principalmente per interesse politico.
Asgard sarebbe stata l’assoluta spettatrice del lieto evento, generando una miriade di pettegolezzi.
Ossia uno degli argomenti più chiacchierati della cittadella celeste.
Sigyn ammirò la bellezza del luogo, ritenendolo colmo di fascino.
Le Norne avevano filato per lei un triste destino, ma necessario per la salvaguardia dell’amata patria.
Un’alleanza tra due popoli era più che conveniente per le sorte di ambedue i regni.
Gli Einherjar liberarono il passaggio per lasciarli passare.
Iniziarono a percorrere i vasti corridoi della reggia, decorati da diversi affreschi che narravano la storia degli Æsir.
La Dea della Fedeltà si soffermò su uno in particolare: ovvero quello raffigurante i membri della famiglia reale.
Fu lesta ad osservare ogni singolo dettaglio del dipinto, incuriosita soprattutto dallo sguardo malizioso e intrigante del figlio minore dei sovrani.
Un sorrisetto furbo e crudele, intriso di inganni e bugie.
Proseguirono col cammino, finché non giunsero all’interno della maestosa sala del trono.
Odino avrebbe stabilito l’accordo matrimoniale con entrambe le famiglie.
L’anziano osò alzarsi dal proprio scranno, intimando a costoro di avvicinarsi.
Il suo unico occhio buono cominciò a scrutare l’esile figura della giovane, passando successivamente al futuro consorte.
Theoric era il suo nome.
Egli era noto per essere il capitano delle guardie personali di Padre Tutto, eppure i suoi atteggiamenti si rivelarono alquanto discutibili.
Ciò avvenne durante il pranzo dopo aver ultimato il colloquio con il re.
Manifestò un’aria rozza e volgare, disgustando i presenti.
Sigyn era intimorita, desiderosa di fuggire altrove.
Avrebbe dovuto sottostare al volere dei suoi familiari e dello stesso Odino, costringendola a sposare un soldato sudicio e gretto.
Prigioniera di una terribile sorte, costituita da una vita infelice.
Abbandonò il refettorio, recandosi ai giardini reali: costei avvertiva l’assoluto bisogno di riflettere.
Il clima primaverile le permise di provare un profondo benessere.
Uno stato di quiete, durato solo pochi attimi.
Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto da un fruscio tra gli arbusti, come se qualcuno ne stesse osservando i movimenti.
Un sibilo improvviso la fece sussultare di paura, lasciandola sbigottita.
Si ritrovò nientemeno che un piccolo serpente attorno al braccio, scomparendo tramite la magia.
Un incantesimo ambiguo e al contempo inquietante da provocarle uno strano moto di nervosismo.
“Lo consideri come un modo per darle il mio benvenuto in codesto regno.”
Proferì dal nulla una voce beffarda e canzonatoria.
Ella si voltò di scatto, ritrovandosi dinnanzi a sé un giovane uomo dalla chioma corvina e la pelle diafana.
Costui indossava un’armatura dagli inserti verdi e dorati, donandogli un portamento regale ed elegante.
Lo riconobbe all’istante, rammentando lo sguardo smeraldino e malevolo raffigurato sopra l’affresco.
“Lei è Loki.”
Constatò gelida, guadagnandosi una risatina sardonica da parte dell’ingannatore.
“Perspicace, devo ammetterlo.”
Commentò sorpreso, quasi meravigliato in verità.
“Ha rischiato di spaventarmi, lo sa?”
Inveì la bella vanir, accigliando le iridi azzurre.
“Per un innocuo scherzetto ho osato spaventarla? Chiedo venia mia cara, ma lo ritengo divertente.”
Replicò il Dio dell’Inganno, protendo le braccia.
Una frase pronunciata col solo scopo di deriderla.
“Non si azzardi a prendermi in giro, è chiaro?”
Intimò la ragazza, alzando il tono vocale.
Tale reazione rallegrò Lingua D’Argento, ricevendo un’occhiata truce.
Stuzzicarla per puro divertimento sarebbe stato interessante.
“Alquanto indisciplinata oserei dire.”
Ghignò in maniera perfida, venendo colto alla sprovvista da una sfera d’energia.
Sigyn si permise di scagliargliela, lasciando intendere che padroneggiasse l’arte del Seiðr.
Arte di cui era un vero e proprio maestro, tramandatagli dalla madre e sovrana della splendida Asgard.
Una straordinaria virtù di cui entrambi disponevano.
“Sfidarmi è stato un errore, piccola figlia di Vanaheim.”
Sibilò infido, lanciandole un’occhiata maligna e sprezzante.
La figlia di Bjorn fu pervasa da un velato terrore, temendo il peggio.
Riuscì a salvarsi grazie all’arrivo dei genitori, impegnati con le ricerche nei confronti di quest’ultima.
L’ingannevole divinità si dileguò giusto in tempo attraverso un bagliore dai riflessi verdastri.
Si guadagnò un leggero rimprovero da parte loro, rientrando infine a palazzo con aria assorta.
Aveva rischiato di essere aggredita dall’astuto principe e signore indiscusso delle menzogne.
Uno scontro lasciato in sospeso per via di alcuni imprevisti.
Giunta nelle proprie stanze, Sigyn girò il chiavistello del portone, attivando il meccanismo della serratura.
L’idea di passare il resto dell’esistenza con Theoric Elvindson le fece raggelare il sangue.
Entro un anno sarebbe convolata a nozze con un individuo del genere.
Ciò che ebbe modo di turbarla maggiormente fu il primo incontro con lo spregevole Dio degli Inganni.
Molte volte aveva sentito parlare di lui e della sua natura illusoria, ricorrendone all’utilizzo per adescare le vittime prescelte.
Intrighi letali, nati appositamente per confondere e ingannare il malcapitato di turno.
Scrutò ogni angolo degli alloggi, finché non percepì una gelida sensazione sulla carne.
L’assalitore compì l’azzardo di imprigionarla in una morsa dolorosa e opprimente.
Sigyn tremò in preda ad una terribile angoscia.
“Apprezzo molto tale prodezza e coraggio da parte vostra, tuttavia ritengo inaccettabile chi osa sfidarmi.”
Sussurrò il famigerato Fabbro di Menzogne vicino al suo orecchio.
“Che cosa vuole da me?”
Chiese impaurita, provando ad ostentare un atteggiamento più risoluto e sicuro.
“Non ho alcuna intenzione di recarle del male, ma potrei essere costretto se proverà nuovamente a nuocere la mia persona tramite determinati mezzi.”
Minacciò il moro, ottenendo una risposta d’assenso.
Aveva commesso un madornale sbaglio sin dal principio, noncurante a cosa stesse andando incontro.
Sfidare il Dio delle Malefatte equivaleva ad addentrarsi nella tana del lupo.
La liberò, dissolvendo il pugnale dalla sua mano.
Dopodiché le afferrò un polso, voltandola delicatamente verso di sé.
Il verde dei suoi occhi iniziò a scontrarsi con quello azzurro della donna, producendo un gradevole contrasto.
Non si scomodò a poggiare le eleganti dita di mago, sollevandole il mento per squadrarla meglio.
Ammise quanto fosse graziosa ed eterea, basendosi che stesse divenendo la futura moglie del rozzo capitano degli Einherjar.
L’Amica della Vittoria provò un moto di sensazioni inspiegabili che stentava ad identificare.
“A presto, piccola Sigyn.”
Si limitò a pronunciare freddo e impassibile, abbandonandola al suo destino.
La suddetta assunse un’espressione esterrefatta, ripensando al contatto ravvicinato con l’oscuro Ase della città dorata.
L’effetto che suscitava nei confronti della bionda Vanir era alquanto strano e insolito.
Loki si ritirò all’interno delle camere private, rimuginando sugli ultimi avvenimenti.
Nessuna donna disponeva di un simile temperamento.
Provò persino a sfidarlo, suscitandone l’effettiva curiosità.
Nemmeno Sif si era mai presa la briga di agire in tale maniera.
Cacciò quegli assurdi pensieri, scuotendo la testa.
L’avrebbe considerata nient’altro che una sciocca ragazzina, proveniente da una terra straniera.
L’ennesima sprovveduta da non considerare.
Perlomeno era ciò che si sarebbe prefissato nei giorni a venire.
Ma non avrebbe mai rinunciato ad infastidirla: provocarne l’ira funesta lo dilettava parecchio.
Egli si concesse un bagno ristoratore, sorseggiando del buon vino in un calice d’argento.
Lo avrebbe aiutato a distrarsi dall’eventuale monotonia.
Ordire nuove trame e vendette si sarebbe rivelato il suo principale obbiettivo da raggiungere.
𝑭𝒊𝒏𝒆
One Shot:
~ Mischief And Fidelity ~
Name Chapter:
~ First Meeting��~
#loki#sigyn#mischief and fidelity#wattpad#wattpad italy#one shot#first meeting#tom hiddleston#amanda seyfried#aesthetic#aesthetic loki#aesthetic sigyn#mcu#marvel cinematic universe#my edit#loki edit#sigyn edit#mcu edit#fanfiction#god of mischief#goddess of fidelity
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La superiorità che si evidenzia nella composizione dell’alga Klamath è dovuta alle sue caratteristiche strutturali ma anche all’ambiente assolutamente unico in cui essa cresce allo stato selvatico. In effetti, è proprio quest‘ultimo fattore a fare la differenza. Solo la Klamath, tra tutte le alghe verdi-azzurre conosciute, cresce spontanea e selvaggia in un ambiente assolutamente incontaminato. La realtà geologica del lago Upper Klamath, in Oregon, è assolutamente unica al mondo. Nutrito da un insieme di sorgenti calde, freddi ruscelli montani di origine vulcanica e due fiumi purissimi, il lago Upper Klamath ha costituito per millenni una trappola naturale per terreni vulcanici ricchissimi di minerali. E’ stato scritto (R. France, “Our Nature’s Last Super Foods”, 1994):
“Ciò che mangi è il riflesso dell’ambiente che l’ha prodotto. L’ambiente è riprodotto olograficamente in tutti i nostri cibi e sapori. Tutti gli aspetti dell’ambiente psicofisico –clima, stagioni, condizioni del terreno, disponibilità d’acqua, sole ed ombra, equilibrio acido/alcalino, e la presenza più o meno ampia dell’influenza umana- sono registrati fedelmente nei prodotti di ciascun ambiente”.
L’alga Klamath, dunque, oltre alle sue benefiche qualità strutturali, porta in sé tutta la purezza e forza vitale dell’ambiente in cui vive. Se si considera, poi, che le alghe verdi-azzurre sono state la prima forma di vita del pianeta, che la Aphanizomenon o alga Klamath vive da sempre nel lago Upper Klamath e che il lago stesso ha mantenuto le caratteristiche di un ecosistema primitivo purissimo e ricchissimo, possiamo concludere che l’alga Klamath rappresenta un vero e proprio dono della natura primordiale per restituire all’uomo moderno un livello di energia e consapevolezza ormai perduto.
#klamath#erboristeria_arcobaleno_schio
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Pantone - Adriatic Blue
"È un colore che ci fa pensare all'estate, ma anche in questo periodo possiamo indossarlo in tutto il suo splendore"
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dicevo che erano pazzi, pazzi perché condividevano cose così belle che quasi sembravano finte, scritte dal solito scrittore gay che fantasticava sulla vita normale che lui non poteva avere, davo dei pazzi a due ragazzi innamorati che il mondo colorato lo vedono, dicevo che erano dei pazzi perché loro di tutti quei pugni non sentivano niente, sentivano solo l'armonia nascosta nel bacio del proprio lui, in una carezza che andava ad acchiappare quella lacrima di sangue che su quel viso lentigginato non centrava niente, nel tenersi per mano e continuare a scrivere di loro, davo dei pazzi a persone che non avevano paura di amare, che non avevano paura di amarsi davanti a tutte quelle iridi blu, verdi, azzurre e brune che li fissavano, al contrario di tutti noi, che ancora pensiamo che amare sia solo un verbo…
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Era la vigilia del solstizio d’inverno, e nel Bosco Incantato la neve ammantava ogni cosa nel suo silenzioso candore. Nell’aria gelida del mattino, la nebbia che era salita dal ruscello d’argento e si era posata sulle foglie, sui rami spogli e sugli abeti dagli aghi smeraldini, si era ghiacciata, e ora tanti piccolissimi cristalli bianchi, che parevano trine fatate, rivestivano il bosco, come a prepararlo ad una grande festa.Durante i freddi pomeriggi invernali, il sole tramontava molto presto e tutti gli animali si affrettavano a rientrare nelle loro tane per accoccolarsi al caldo e sonnecchiare beatamente, ma quella sera una coppia di giovani cervi si era attardata più del solito in una boscaglia solitaria, che si trovava poco distante dal loro rifugio. Lì le conifere crescevano molto fitte, e soprattutto sotto le frasche ghiacciate, spuntavano alcuni mazzetti di erbetta verde, tenera e molto invitante. Così, quando finalmente i due animali tornarono a casa con la pancia piena, le ultime luci del giorno stavano lasciando il passo alle ombre azzurre della sera.Il silenzio che percepirono, però, aveva qualcosa di diverso dal solito… Acuendo l’udito, non riuscivano a sentire lo strofinio del tasso che si muoveva goffamente nella tana, non udivano il respiro lento e cadenzato dei cerbiatti addormentati, e non riuscivano nemmeno a sentire l’urlo ripetuto della civetta o il verso cupo del vecchio gufo.A ben guardare, il bosco era completamente deserto, e tutti gli animali sembravano spariti…I giovani cervi si guardavano intorno smarriti, chiedendosi dove fossero finiti tutti quanti, e ad un tratto uno dei due, abbassando lo sguardo, vide che sulla neve erano impresse tante piccole impronte rivolte tutte nella stessa direzione, verso il cuore del Bosco Incantato…Gli animali decisero senza esitare di incamminarsi per quel percorso fatto di mille orme diverse, curiosi di sapere dove portasse, e passo dopo passo notarono che le tracce nella neve si facevano sempre più numerose, come se molti altri animali, che abitavano nelle radure e nei boschi vicini, si fossero uniti al corteo verso quella misteriosa destinazione.Poco a poco i cervi iniziarono a udire un flebile e lontano tintinnare, come una musica dolcissima scandita dalle note cristalline di tanti piccoli campanellini, e improvvisamente, oltre l’intrico dei rami spogli, videro apparire una grande stella luminosa, che brillava fulgida e sembrava li chiamasse…I cervi presero a seguirla con una strana gioia nel cuore, sicuri che qualcosa di magico sarebbe accaduto di lì a poco, e finalmente giunsero ad una alta siepe di agrifoglio dalle bacche scarlatte. Con due grandi balzi la oltrepassarono, e allora non poterono credere ai loro occhi…Al centro di una candida radura innevata, sulla quale i raggi di luna si rifrangevano in riverberi argentati, sorgeva un grandissimo abete, tanto alto da toccare il cielo, e migliaia di lucine colorate, vive e danzanti, adornavano i suoi rami rigogliosi...In cima all’abete brillava una meravigliosa stella di ghiaccio, e la sua luce illuminava di bianco e azzurro il bosco circostante.Tutti gli animali erano raccolti intorno al grande albero, e osservavano con gli occhietti lucidi la meravigliosa danza delle lucine colorate, che si muovevano fra gli aghi verdi e tintinnavano la loro dolce musica.Anche i cervi si avvicinarono e si unirono agli altri animali, grandi e piccoli, nell’esprimere l’incanto e la gioia che quella visione suscitava nel loro cuore.Ma l’antica magia del solstizio d’inverno non era finita… fra tutte le lucine che adornavano l’abete, quelle bianche scesero in una lenta processione fatata ad illuminare la base del tronco possente, e allora gli animali si accorsero che era piena dei Doni del Bosco. C’erano cumuli di noci, di nocciole e mandorle dolci, cesti pieni di frutta secca, verdure prelibate, biscotti e dolcetti deliziosi…L’entusiasmo era alle stelle e ogni animaletto mangiò a sazietà, mettendo da parte i cibi che più gli piacevano per poi portarli nella tana e nutrirsene fino all’arrivo della primavera.La notte trascorse animata dalla gioia e dall’armonia, e la festa del bosco durò fino alle prime luci dell’alba… Allora le lucine che illuminavano l’abete lasciarono i suoi rami e si sparsero fra gli alberi e le radure circostanti, e gli animali, compresi i due giovani cervi, tornarono ognuno nella propria casa, portando con sé i Doni ricevuti alla Festa del Solstizio d’Inverno.Ma la meravigliosa stella di ghiaccio brilla ancora adesso nel cuore del Bosco Incantato, per guidare verso la Magia coloro che riusciranno a scorgerla, e a seguirla…
by Violet
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It was the eve of the winter solstice, and in the Enchanted Wood the snow cloaked everything in its silent whiteness. In the freezing morning air, the mist that had risen from the silver stream and settled on the leaves, bare branches and emerald-needled fir trees had frozen, and now many tiny white crystals, which looked like fairy lace, they covered the wood, as if to prepare it for a big party.During the cold winter afternoons, the sun set very early and all the animals hurried back to their dens to snuggle up in the warmth and doze off blissfully, but that evening a couple of young deer had lingered longer than usual in a lonely bush, which it was not far from their refuge. There the conifers grew very thick, and above all under the frozen branches, a few small bunches of tender and very inviting green grass sprouted. So, when the two animals finally returned home with full bellies, the last light of the day was giving way to the blue shadows of the evening.The silence they perceived, however, had something different from usual… As they sharpened their ears, they could not hear the scrubbing of the badger moving awkwardly in its den, they could not hear the slow, rhythmic breathing of the sleeping fawns, and they could not even hear the repeated hoot of the owl or the gloomy call of the old owl.Upon closer inspection, the forest was completely deserted, and all the animals seemed to have disappeared…The young deer looked around bewildered, wondering where they had all gone, and suddenly one of the two, lowering his gaze, saw that many small footprints were imprinted on the snow all facing in the same direction, towards the heart of the Enchanted Forest...The animals decided without hesitation to walk along that path made up of a thousand different footprints, curious to know where it led, and step by step they noticed that the tracks in the snow became more and more numerous, as if many other animals that lived in the clearings and nearby woods, had joined the procession towards that mysterious destination.Little by little the deer began to hear a faint and distant tinkling, like a very sweet music punctuated by the crystalline notes of many small bells, and suddenly, beyond the tangle of bare branches, they saw a large bright star appear, which shone brightly and seemed call them…The deer followed her with a strange joy in their hearts, sure that something magical was about to happen shortly, and at last they came to a tall hedge of holly with scarlet berries. With two great leaps they passed it, and then they could not believe their eyes…In the center of a candid snowy clearing, on which the moonbeams were refracted in silvery reflections, stood a huge fir tree, so tall as to touch the sky, and thousands of colored lights, alive and dancing, adorned its luxuriant branches...At the top of the fir tree shone a wonderful ice star, and its light illuminated the surrounding forest in white and blue.All the animals were gathered around the big tree, and watched with shining eyes the wonderful dance of the colored lights, which moved among the green needles and tinkled their sweet music.Even the deer approached and joined the other animals, large and small, in expressing the enchantment and joy that vision aroused in their hearts.But the ancient magic of the winter solstice wasn't finished... among all the lights that adorned the fir tree, the white ones descended in a slow fairy procession to illuminate the base of the mighty trunk, and then the animals realized that it was full of Gifts of the Woods. There were heaps of walnuts, hazelnuts and sweet almonds, baskets full of dried fruit, delicious vegetables, biscuits and delicious sweets…Enthusiasm was skyrocketing and each little animal ate its fill, putting aside the foods they liked best and then taking them to the den and feeding on them until spring arrived.The night passed enlivened by joy and harmony, and the celebration in the woods lasted until the first light of dawn… Then the little lights that illuminated the fir tree left their branches and scattered among the surrounding trees and clearings, and the animals, including the two young deer, each returned to their homes, bringing with them the Gifts received at the Winter Solstice Festival.But the wonderful ice star still shines now in the heart of the Enchanted Forest, to guide those who will be able to see it and follow it towards Magic...
by Violet
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EL MILAGRO
¡Viste, pupila muerta, al toque suyo!
Viste en el cielo blancos enlosados, vanos azules entre sueltas lastras; blancos bardales y praderas blancas; calmo humeaba un blanco caserío, deshojaba el almendro mariposas.
Viste el tapiz luciente de la yerba, y a flor de piedra el musgo esmeraldino; temblaban verdes tufos de junqueras, se abría la ninfea en el restaño, entre verdes ranitas y ovas verdes.
Viste bajando azul el arroyuelo a través de los montes y las selvas, y aquel picacho, etérea alcazaba, cortarle limbo más celeste al cielo: de tono de violeta era el collado.
Viste en el seno de cloradas nubes fulgir rósea fuga de edificios ribera abajo, y del ocaso el oro vahear en los vidrios a rociones, tendidos haces o centellas trémulas.
Duermen los cuervos en encinas foscas, entre las tumbas vagan candelillas; en las casonas o en el mechinal, a oscuras, junto a negros lechos vastos, duermen las cunas, párvulas y negras.
*
IL MIRACOLO
Vedeste, al tocco suo, morte pupille!
Vedeste in cielo bianchi lastricati con macchie azzurre tra le lastre rare; bianche le fratte, bianchi erano i prati, queto fumava un bianco casolare, sfogliava il mandorlo ali di farfalle.
Vedeste l’erba lucido tappeto, e sulle pietre il musco smeraldino; tremava il verde ciuffo del canneto, sbocciava la ninfèa nell’acquitrino, tra rane verdi e verdi raganelle.
Vedeste azzurro scendere il ruscello fuori dei monti, fuor delle foreste, e quelle creste, aereo castello, tagliare in cielo un lembo più celeste: era colore di viola il colle.
Vedeste in mezzo a nuvole di cloro rossa raggiar la fuga de’ palazzi lungo la ripa, ed il tramonto d’oro dalle vetrate vaporare a sprazzi, a larghi fasci, a tremule scintille.
Dormono i corvi dentro i lecci oscuri, qualche fiaccola va pei cimiteri; dentro i palazzi, dentro gli abituri, al buio, accanto ai grandi letti neri, dormono nere e piccole le culle.
Giovanni Pascoli
di-versión©ochoislas
#Giovanni Pascoli#literatura italiana#poesía decadentista#percepción#milagro#poeta#color#di-versiones©ochoislas
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OFMD ficlet - VI
"...e dite un po', Mr. Buttons," esordì Stede un pomeriggio, in piedi accanto al timoniere.
Allacciò le mani dietro la schiena e guardò in alto, verso il cielo che prometteva pioggia. "Com'era, laggiù?"
Buttons volse lentamente gli occhi stralunati sul capitano. "Laggiù?" ripetè.
"Oh, la buona cara madrepatria," offrì Stede facendo un gesto vago della mano verso oriente. "La vecchia Inghilterra."
"Ah, quello non saprei proprio dirvelo, Capitano," replicò Buttons tornando a sprofondare lo sguardo nell'orizzonte. "Casa mia, quella era in Scozia."
"Uh," fece Stede, increspando il labbro, meditabondo. "Una delle prossime sere potremmo leggere il MacBeth, allora."
"Ay. Fatemi allora la cortesia di avvisarmi prima, volete? Invito Karl e Olivia." disse Buttons gravemente. "Si è molto risentita di aver perso Shakespeare, l'ultima volta."
A Stede occorse un istante prima di ricordare che anche Olivia era un gabbiano, ma poi annuì con tutta la convinzione che gli riuscì, "Certo, certo! Naturalmente."
Un'altra pausa di silenzio, mentre in lontananza rumoreggiavano i primi tuoni.
"Non so come mai, ma la immagino sempre così," disse accennando con un ampio gesto il cielo grigio. "L'Inghilterra, intendo. E anche la Scozia, e tutte le isole, insomma. Grigie e un po' - un po' polverose, credo..?"
"Grigie, sì, e azzurre, e verdi, tanto verde quanto questo è blu," assentì Buttons, indicando il mare intorno a loro. "E bianche, bianche da diventarci ciechi, quando nevica."
Stede tacque, cercando di formarsi nella mente l'immagine di un paesaggio candido come l'avorio, come il latte, come la schiuma sulla cresta delle onde.
Spesso aveva sognato di visitare il vecchio mondo, le sue meraviglie che nella sua mente assumevano contorni favolosi: le città immense, le chiese, le piazze adorne di fontane, l'inconcepibile peso di secoli e millenni inciso in ogni pietra.
Da ragazzo, Stede aveva passato ore a cercare sui libri illustrazioni delle rovine di Roma, delle cattedrali francesi, delle brughiere e delle foreste d'Inghilterra: sudando nella torrida estate tropicale aveva cercato di immaginare il freddo inverno nelle lande dell'estremo nord, il profumo dei mirti di un Mediterraneo mai veduto.
Gli era sempre sembrato un mondo lontano tanto quello delle fiabe - e forse, proprio per questo non avrebbe dovuto sorprenderlo, che anche Edward venisse proprio da lì.
"E avete mai visitato Londra, Mr. Buttons? Avete visto il Re?"
"Ah, nay, mi sono imbarcato appena ho saputo fare un nodo a una cima." rispose Buttons inclinando il capo da una parte. "Ma sono stato a Edinburgo, una volta. Per una fiera. Nonna aveva da vendere Lizzie."
"Lizzie..?" indagò cautamente Stede, e Buttons proseguì in tono discorsivo, "Lizzie era la capra di mia nonna. Ogni primavera nonna la vendeva e ogni estate lei risbucava nella stalla. Avevano un accordo, capite."
"Uhm." fece Stede, chiedendosi se non fosse il momento di interrompere la conversazione.
"Mai andato d'accordo con la vecchia Lizzie," proseguì Buttons, meditabondo. "Irritabile. E con quel senso dell'umorismo che si ritrovava. Avete presente, Capitano, quando avete la sensazione spiccata e sputata di parlare con qualcuno che è - con rispetto parlando..." roteò su Stede due occhi sbarrati "...fuori come un pollaio?"
Stede rimase per qualche istante in silenzio, valutando le possibili risposte, e alla fine sospirò pesantemente.
"Non posso dire di averlo presente, Buttons, no." disse in tono sconfitto. "Forse sono soltanto un po' invidioso. Per non aver mai conosciuto altro che le colonie, intendo."
"Mmmh," assentì Mr. Buttons come se la questione gli fosse divenuta improvvisamente chiara, forse troppo chiara..? Stede gli lanciò un'ansiosa occhiata di sottecchi, ma il timoniere continuava a guardare l'orizzonte.
"...Fa un poco strano, vedete." disse dopo un po', a mezza voce. "Ci si sente un po' spaccati in due. Sembra tutto morto e sepolto e come mai successo, e poi una notte apri gli occhi sicuro di aver sentito bramire il cervo dal bosco vicino alla fattoria, finché ti ricordi che non ci sono cervi, nè boschi, nè niente."
Mr. Buttons fece una pausa, mentre il suo sguardo allucinato prendeva una tinta malinconica. "La luna, però, quella c'è sempre, ed è una." disse infine, ciondolando il capo.
Rimasero entrambi in silenzio, mentre dalle nuvole che si erano lentamente addensate cadevano le prime larghe gocce di pioggia.
Si preparava un temporale.
"Oi!" Chiamò d'improvviso Edward saltando sul ponte, il riso nella voce. "Stede! Ti si restringeranno i vestiti addosso, se te ne stai lì sotto la pioggia!"
Era bello, pensò d'improvviso Stede, nell'aria grigia e già satura d'acqua.
"E tu portami un'incerata..!" riuscì a rispondere con un sorriso, mentre guardandolo si domandava se era quello il suo elemento, quelli i suoi cieli, se era nato laggiù dove Stede non era stato mai, nella nebbia e nell'aria sporca, nel tuono, nel lampo e nella pioggia.
#oh lord help me I'm so so so back to my bullshit#il mio headcanon è accettare l'ipotesi storica che ed sia nato a bristol#also mi sono resa conto di aver scazzato i tempi nel capitoletto prima#karl a quel punto era ancora very much alive :')#nella nebbia e nell'aria sporca come macbeth#ofmd ficlet#ah altro headcanon buttons è cresciuto in una congrega di streghe#adoro mr buttons#srsly guarderei una serie tutta sua#sarebbe tipo spongebob meets twin peaks meets the texas chainsaw massacre#chef's kiss#ofmd ficlet in italiano
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Come può uno scoglio, arginare il mare, anche se non voglio, torno già a volare, le distese azzurre, e le verdi terre, le discese ardite e le risalite su nel cielo aperto, e poi giù il deserto e pour ancora in alto, con un grande salto. Toile 50x60cm acrylique. #lucio #luciobattisti #ancoratu #battisti #igiardinidimarzo #ilmiocantolibero #italia #artisti #musica https://www.instagram.com/p/CEPqpuqFWhj/?utm_medium=tumblr
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Un albero… Com’è leggero un albero, tutto ali di foglie – tutto voli verdi di luci azzurre nel celeste dell’aria…
E com’è forte, un albero, com’è saldo e fermo, «abbarbicato al suo macigno»…
Viene l’autunno, e come la Fenice s’accende nel rosso del suo rogo.
Viene primavera, e splende d’altro suo verde…
Ma noi, noi, al paragone, che cosa e chi siamo, noi, senza radici e senza speranza – senza alito di rigenerazione?
G. Caproni
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NUTRIGEA è leader assoluta nella conoscenza e promozione dell’alga Klamath ed è titolare esclusiva degli estratti brevettati che ne concentrano i principi più attivi.
Attorno a questa straordinaria microalga selvatica e primordiale, Nutrigea ha costruito una linea di straordinari prodotti fitonutrizionali, che traggono la loro efficacia esclusiva anche dagli altri elementi fondanti della Nutrizione Primordiale: i batteri probiotici.
Il sistema che viene utilizzato per la raccolta e l’essiccazione delle alghe Klamath di qualità superiore viene anche definito AFA-Fresh.
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“ «Il mio isolamento era assoluto, interrotto soltanto dalle visite del contadino che ogni tre o quattro giorni mi portava le poche provviste. Si fermava solo cinque minuti perché a vedermi tanto esaltato e scapigliato doveva certo ritenermi sull’orlo di una pericolosa pazzia. E, a dir vero, il sole, la solitudine, le notti passate sotto il roteare delle stelle, il silenzio, lo scarso nutrimento, lo studio di argomenti remoti, tessevano attorno a me come una incantazione che mi predisponeva al prodigio. «Questo venne a compiersi la mattina del cinque Agosto, alle sei. Mi ero svegliato da poco ed ero subito salito in barca; pochi colpi di remo mi avevano allontanato dai ciottoli della spiaggia e mi ero fermato sotto un roccione la cui ombra mi avrebbe protetto dal sole che già saliva, gonfio di bella furia, e mutava in oro e azzurro il candore del mare aurorale. Declamavo, quando sentii un brusco abbassamento dell’orlo della barca, a destra, dietro di me, come se qualcheduno vi si fosse aggrappato per salire. Mi voltai e la vidi: il volto liscio di una sedicenne emergeva dal mare, due piccole mani stringevano il fasciame. Quell’adolescente sorrideva, una leggera piega scostava le labbra pallide e lasciava intravedere dentini aguzzi e bianchi, come quelli dei cani. Non era però uno di quei sorrisi come se ne vedono fra voialtri, sempre imbastarditi da un’espressione accessoria, di benevolenza o d’ironia, di pietà, crudeltà o quel che sia; esso esprimeva soltanto se stesso, cioè una quasi bestiale gioia di esistere, una quasi divina letizia. Questo sorriso fu il primo dei sortilegi che agisse su di me rivelandomi paradisi di dimenticate serenità. Dai disordinati capelli color di sole l’acqua del mare colava sugli occhi verdi apertissimi, sui lineamenti d’infantile purezza. «La nostra ombrosa ragione, per quanto predisposta, s’inalbera dinanzi al prodigio e quando ne avverte uno cerca di appoggiarsi al ricordo di fenomeni banali; come chiunque altro volli credere di aver incontrato una bagnante e, muovendomi con precauzione, mi portai all’altezza di lei, mi curvai, le tesi le mani per farla salire. Ma essa, con stupefacente vigoria emerse diritta dall’acqua sino alla cintola, mi cinse il collo con le braccia, mi avvolse in un profumo mai sentito, si lasciò scivolare nella barca: sotto l’inguine, sotto i glutei il suo corpo era quello di un pesce, rivestito di minutissime squame madreperlacee e azzurre, e terminava in una coda biforcuta che batteva lenta il fondo della barca. Era una Sirena. «Riversa poggiava la testa sulle mani incrociate, mostrava con tranquilla impudicizia i delicati peluzzi sotto le ascelle, i seni divaricati, il ventre perfetto; da lei saliva quel che ho mal chiamato un profumo, un odore magico di mare, di voluttà giovanissima. Eravamo in ombra ma a venti metri da noi la marina si abbandonava al sole e fremeva di piacere. La mia nudità quasi totale nascondeva male la propria emozione. «Parlava e così fui sommerso, dopo quello del sorriso e dell’odore, dal terzo, maggiore sortilegio, quello della voce. Essa era un po’ gutturale, velata, risuonante di armonici innumerevoli; come sfondo alle parole in essa si avvertivano le risacche impigrite dei mari estivi, il fruscio delle ultime spume sulle spiagge, il passaggio dei venti sulle onde lunari. Il canto delle Sirene, Corbèra, non esiste: la musica cui non si sfugge è quella sola della loro voce. «Parlava greco e stentavo molto a capirlo. "Ti sentivo parlare da solo in una lingua simile alla mia; mi piaci, prendimi. Sono Lighea, sono figlia di Calliope. Non credere alle favole inventate su di noi: non uccidiamo nessuno, amiamo soltanto."» “
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, La sirena. Prima pubblicazione nel volume Racconti, Prefazione di Giorgio Bassani, Collana Biblioteca di Letteratura: I Contemporanei n.26, Milano, Feltrinelli, 1961.
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