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PRIMA PAGINA La Stampa di Oggi giovedì, 15 agosto 2024
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Ciao Kon,
Tu forse non ti ricorderai di me ma io invece ricordo un liquore alla liquirizia, più di un meet up e quello che doveva essere un incontro al Lucca Comics finito "male" per il troppo casino (non siamo riusciti a beccarci).
Ti scrivo in anonimo perché penso tu sia una grande cassa di risonanza perché nonostante tumblr sia diventato -non per noi nostalgici- un po' obsoleto vedo che continui ad essere un punto di riferimento per questa comunità e che forse tu con il tuo cinico dissezionare la situazione possa in qualche modo riuscire a scuotere i più, ma ahimè vige il segreto professionale, cose firmate e quant'altro che mi impediscono di esprimere questo disagio pubblicamente.
REGÀ I SORRISI DEI COMMESSI SONO FALSI. Non perché non abbiamo più voglia di fare questo lavoro, ma perché è diventato tutto uno schifo, le aziende e anche i clienti se vogliamo dirla tutta.
Cosa si cela dietro la vita del commesso?
Conta persone agli ingressi, voi non li vedete ma è così e di recente c'è anche il contapersone del passaggio esterno, quindi se non ti cazziano perché non hai venduto, ti cazzieranno perché non è entrata gente.
Statistiche: pezzi per vendita, scontrino medio, media di scontrino per ingressi. Voi non lo sapete, ma ogni giorni ci sono storici e budget da raggiungere in base anche solo ad un singolo ingresso che voi fate "per dare un'occhiata" - ora capite perché non è facile sorridere quando i vostri figli giocano ad acchiappino correndo fuori e dentro i negozi? Perché per quei venti ingressi senza scontrino ci sarà un area manager pronto a far il culo allo staff.
Se sei fortunato e capiti in una squadra in cui ci si spalleggia bene, altrimenti è l'azienda stessa a incentivare la lotta e l'invidia tra colleghi in una lotta tra poveri per mantenersi il posto al miglior venditore.
Non abbiamo mai abbastanza personale, MAI. Siamo spesso contati, se ci ammaliamo almeno nel mio caso ci si mette una mano sul cuore e per non mettere i colleghi in difficoltà si va a lavoro con due bombardoni di tachipirina col rischio di portarsi dietro il malanno per un mese.
Le ferie saltano perché decidono di aprire più punti vendita ma non di assumere gente che non soccomba al "gioco degli stagisti".
Turni del cazzo, spezzati e il più delle volte tutto quello che fai oltre l'orario di lavoro (anche la semplice chiusura) è straordinario che non viene contabilizzato.
Reperibilità quasi totale, manco fossimo in un ospedale. Nel tuo giorno libero è un miracolo non venir contattati dal gruppo di lavoro.
E poi vogliamo parlare dei vari festivi in negozio? Io ho dovuto combattere per avere un cazzo di permesso per la comunione di mia sorella.
È domenica, sono le 15 sono in turno da un'ora in un piccolo centro commerciale di due clienti entrate, una mi ha salutato e trattato come se le avessi offeso l'intero albero genealogico con uno sdegno tale che fa tanto lotta di classe quando siamo tutti nella stessa sudicia barca.
Quindi Kon, per favore aiutami a diffondere il verbo, io sono disposta a rispondere a tutte le domande di questo magico mondo cercando di farvi entrare in empatia con i commessi, ma per favore se non è proprio questione di vita o di morte: SMETTETE DI ANDARE A GIRO PER CENTRI COMMERCIALI, TANTO LA DOMENIC SIETE TUTTI SCOGLIONATI A PRESCINDERE E ALLORA STATE COI VOSTRI CARI, MAGARI È LA VOLTA BUONA CHE SMETTERANNO DI LUCRARE A VUOTO SU STO MONDO.
Ps: stare fino alle 18 fuori e poi riversarvi alle 20 nei negozi non funziona, mettetevi una cazzo di mano sulla coscienza.
Per me i centri commerciali sono un aberrazione sociale che riesce a darmi claustrofobia e agorafobia al contempo ma dopo essere stato a quello di Orio al Serio (aspettavamo che le figlie scendessero dall'aereo... direttamente nel centro commerciale!), ho fatto la tessera di iscrizione ai terroristi.
Non sono un nostalgico della bottega sotto casa, anche perché erano altri tempi e altri modi di vivere... mi basta il supermercato ma il centro commerciale è concepito perché la gente sia invogliata A VIVERLO e questo lo trovo demotivante.
Mi spiace per te ma alla fine mi spiace per tutte quelle persone - non schiavi ma servi - che devono sacrificare se stessi per il benessere superfluo di gente che dà tutto per scontato, quasi se lo meritassero.
E invece sono solo nati dalla parte giusta della società. E del mondo.
EDIT
Non mi ricordo di te al Meetup perché probabilmente ero già ubriaco <3
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Il mese scorso, ho messo in vendita il mio appartamento, di ampia metratura, avendo ereditato da mio nonno una casa; alla mia porta si è presentato un vicino, musulmano, che vive in un mini con moglie, due bimbi, per informarsi sul prezzo.
Conoscendomi come persona gentile e generosa, ha chiesto un ribasso assurdo, pensando di impietosirmi: la mia risposta è stata questa:
1) non vendo un appartamento a chi tratta le donne come capre
2) potevi legarti il cazzo invece di fare figli, da povero.
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-3/4
Potrebbe essere una nuova indicazione di tempo musicale, in realtà è un conto alla rovescia, Sabato aggiunto un numerino all'età e quest'anno per la prima volta nella mia vita ho deciso che lavorerò. Per avere un giorno libero o più bisogna dirlo il mese prima, in questo caso potevo prendere anche tutto il weekend, ma lo scorso mese stavo preso malissimo, adesso sto decisamente meglio, e mi sono proiettato in quel giorno e ho pensato che stare tutto il giorno solo a casa per poi incontrare la sera i ragazzi (i miei figli) per stare un pò assieme fosse una cattiva idea, che si prospettava un giorno di malessere, in quel momento pensavo così. Sto molto meglio come ho già scritto, anche in altri post, ma i momenti di mal'essere arrivano ancora e intensi, come questi ultimi due giorni che ho faticato a distogliere i pensieri. Va bè, fatto sta che lavoro e domenica dopo il lavoro andrò a mangiare la pizza con i ragazzi, non so se Maarja si accoderà, onestamente preferirei di no proprio perché la sua presenza mi irrita, già, 25 anni ad amare una persona e passi in un mese ad odiarla, non del tutto, ma mi sono prefissato di raccattare le mie cose, batteria compresa che metterò in sesto e in vendita, le ritorno le chiavi di casa sua e non la voglio vedere più, magari per salutarla per sempre quando andrò via.
Spock ha detto che finalmente sto iniziando a ragionare come si deve, anche se mi ha lodato per i miei progressi e la resilienza che ho dimostrato in questa situaizone così estrema, si si parole sue :D che mi fanno anche un pò ridere ma lui è uno scenziato ed è comprensibile che valuti tutto empiricamente.
Ieri gironzolando nel tubo ho trovato sto video di sto tizio, suppongo, norvegese, non male non male.
youtube
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Alessandro Gilioli
Oggi Repubblica è in sciopero, o meglio era in sciopero ieri quindi non esce oggi.
In sostanza, nell'incontro con i giornalisti l'azienda ha ammesso che sta smantellando se stessa: per adesso sono in vendita i quotidiani locali (quelli che restano, molti sono già stati ceduti) poi si vedrà.
Fondamentalmente i giornalisti temono che alla fine anche Repubblica sarà venduta o svenduta, come un anno fa è successo con l'Espresso.
Da tre anni, circa, il proprietario del gruppo è John Elkann, che l'ha pagato meno di Cristiano Ronaldo.
L'ha comprato dai figli di De Benedetti, a cui il padre l'aveva incautamente regalato. Ai figli però non fregava nulla di fare giornali. Allora hanno preso i soldi di Elkann per liberarsene, facendo infuriare il padre che quindi ha fondato il Domani.
Perché Elkann tre anni fa si sia preso il gruppo è ancora incerto. Lui diceva di voler portare avanti il sogno dello zio, Carlo Caracciolo, che con Scalfari fu il cofondatore del tutto. Insomma una questione di affetti familiari. Più probabile che pensasse di ottenerne qualche utilità per il resto del suo impero, insomma "influenzare" - del resto i padroni dei giornali oggi sono tali solo per questo motivo, non è che ci fanno direttamente profitti.
Quello che è certo invece è che in tre anni Elkann non ne ha azzeccata una, a iniziare dalla scelta di un direttore di centrodestra, che ovviamente ha fatto scappare firme e lettori di sinistra (Scalfari, per capirci, parlava a lettori che andavano dal partito repubblicano alla sinistra extraparlamentare, passando per sinistra Dc, Psi, Pci, Partito Radicale. Ezio Mauro portò avanti questa grande apertura con il gigantesco ombrello collettivo dell'antiberlusconismo).
Oltre al direttore di Rep., Elkann ha cambiato anche il capoazienda, insomma l'ad, mettendoci un suo amico ed ex compagno di studi, peraltro fin lì ignaro di editoria. Adesso questo ad è anche a capo della Juventus. Non è chiaro come si sdoppi, peraltro in due campi che non conosceva. Caracciolo i giornali li conosceva e li amava. De Benedetti senior anche. Forse per fare bene un prodotto devi conoscerne e amarne la fabbricazione: in generale e non solo per l'editoria.
In questi anni tutti i quotidiani o quasi hanno perso moltissime copie, si sa che i giornali sono un mercato in declino. Repubblica però è riuscita a perderne quasi il doppio degli altri.
Sul crollo reputazionale e di autorevolezza, invece, non ci sono numeri: ognuno la pensi come vuole.
In compenso a Repubblica si fa un grandissimo parlare di digitalizzazione. Un piano digitale dopo l'altro. L'idea è di vendere contenuti on line, anche staccati dalla vecchia cornice dell'acquisto di un giornale come tale (cartaceo o su tablet che sia). Probabilmente è una buona idea, almeno così ci dicono alcune "case histories" all'estero. Resta da vedere cosa c'è in questi contenuti, perché poi alla fine conta quello: se sono vendibili o meno, se gli utenti li apprezzano, se se li comprano.
Vedremo. Nell'attesa si vendono al primo che passa giornali e giornalisti, cioè si mandano via produttori di contenuti.
Appena arrivato, Elkann si è liberato di MicroMega, considerato troppo di sinistra. Poi ha venduto l'Espresso al proprietario della Salernitana, che ha già fatto fuori il suo primo direttore, Lirio Abbate, che aveva preso il posto di Damilano. Adesso l'Espresso è diventato un'emulazione meno moderna e meno smart del settimanale Oggi. Il suo editorialista di punta è diventato Maurizio Costanzo, dove prima c'era Umberto Eco. Però è impacchettato bene perché gli sono rimasti un bravo art director e una brava photo editor, oltre ad alcuni bravi giornalisti che fanno il possibile
Negli ultimi mesi si sono diffuse voci che il proprietario della Salernitana si stia per comprare anche Repubblica.
Per ora l'azienda conferma solo di non avere più "un perimetro" di testate da mantenere, restando sul vago.
Di qui lo sciopero di oggi, anzi di ieri.
Per favore non scrivete qui sotto che Repubblica è brutta, vi fa schifo etc. Intanto perché non si bastona un cane che affoga. Ma soprattutto perché è stato un grande giornale, uno dei pezzi migliori della nostra società per quarant'anni - e l'Espresso per oltre sessanta.
Per me poi sono stati giornali formativi, da lettore, fin dalla prima adolescenza. Formativi anche della coscienza civile e politica.
E' stato un onore lavorare 18 anni all'Espresso. Quando ho firmato, nel 2002, volevo rimanerci per tutta la vita.
Poi le cose cambiano. E se vuoi far ridere Dio raccontagli i tuoi progetti, come dice un proverbio yiddish.
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«Siamo passati da un sistema basato su valori sociali nei quali individualmente potevi dare qualche premio o incentivo, a considerare normale che il mercato regoli anche sfere che fino a 30 anni fa erano considerate beni sociali non commerciabili: sicurezza nazionale, giustizia, scuola, salute, protezione ambientale, la stessa procreazione. Perché preoccuparsi di questa mercatizzazione? Per due motivi. Il primo, più evidente, riguarda il principio di uguaglianza. In una società nella quale tutto è in vendita, la vita diventa ancora più difficile per chi ha meno. La mancanza di denaro non porta solo a vivere in condizioni più modeste, ma diventa una condanna. Il secondo, forse meno evidente, più difficile da descrivere, riguarda il potere corrosivo dei mercati. Dare un valore monetario a un bene civico lo corrompe, svaluta o altera la sua immagine. Abbiamo visto che nelle scuole che multavano i genitori che venivano a prendere i figli in ritardo, i ritardi sono aumentati. Perché il valore della puntualità è svanito e la multa è stata percepita come una tariffa: il prezzo di un sistema di recupero all’uscita più flessibile. Allo stesso modo pagare gli studenti per studiare riduce, nella loro mente, il valore etico dello studio.
Michael Sandel
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"Saint Catherine and Saint Barbara" (first years of the 16th century) Cornelis Engebrechtsz (Netherlandish. Leiden 1462- 1527)
Oil on wood panel 75,5×23,5 (each panel)
"Santa Catalina y Santa Bárbara" (primeros años del siglo XVI) Cornelis Engebrechtsz (holandés. Leiden 1462- 1527). Óleo sobre tabla de madera 75,5×23,5 (cada tabla).
(English / Español / Italiano)
Cornelis Engebrechtsz was born in Leiden around 1462 and throughout his life probably never left the city. He was married to Elysbeth Pietersdr with whom he raised three sons, all of whom became painters. He is known to have played an important role in the education of several other Leiden painters including Lucas van Leyden. His name is first mentioned in the archives due to a sale to the monastery of Saint Jerome in Oestgeest. It is possible that he trained as an artist in this particular monastery, although he may also have received training in Brussels or Antwerp. After his death in 1527 there was discussion of his inheritance, an indication that he had become a man of considerable wealth. He was the first painter whose work could be attributed to him with certainty.
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Cornelis Engebrechtsz nació en Leiden, alrededor de 1462 y a lo largo de su vida probablemente nunca abandonó la ciudad. Estaba casado con Elysbeth Pietersdr con quien crió tres hijos, todos los cuales se convertirían en pintores. Se sabe que jugó un papel importante en la educación de varios otros pintores de Leiden, incluido Lucas van Leyden. Su nombre se menciona por primera vez en los archivos debido a una venta al monasterio de San Jerónimo en Oestgeest. Es posible que se haya formado como artista en este monasterio en particular, aunque también podría haber recibido formación en Bruselas o Amberes. Después de su muerte en 1527, se produjo una discusión sobre su herencia: una indicación de que se había convertido en un hombre de considerable riqueza. Fue el primer pintor cuya obra se le podía atribuir con certeza.
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Cornelis Engebrechtsz nacque a Leida intorno al 1462 e per tutta la vita probabilmente non lasciò mai la città. Si sposò con Elysbeth Pietersdr con la quale crebbe tre figli, tutti diventati pittori. Si sa che ebbe un ruolo importante nella formazione di molti altri pittori di Leida, tra cui Lucas van Leyden. Il suo nome viene citato per la prima volta negli archivi a causa di una vendita al monastero di San Girolamo a Oestgeest. È possibile che si sia formato come artista in questo particolare monastero, sebbene possa aver ricevuto una formazione anche a Bruxelles o ad Anversa. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1527, si discute della sua eredità, segno che era diventato un uomo molto ricco. È il primo pittore di cui si possa attribuire con certezza l'opera.
Source: Gallerease.es
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Raffaele Murru - Il romanzo “Malfidano” Storie di coraggio e resistenza
Una narrazione intima e potente che dà voce alle donne e ai sacrifici dimenticati delle lotte operaie in Sardegna
Raffaele Murru, scrittore sardo, presenta il suo romanzo “Malfidano” edito da Albatros il Filo e disponibile alla vendita dal 6 maggio 2024. L’opera si addentra nelle pieghe della storia per rievocare un tragico episodio avvenuto nel sud della Sardegna nel 1904, quando i minatori delle miniere Malfidano, a Buggerru, insorsero contro condizioni lavorative disumane. Lo sciopero, segnato dalla repressione violenta dei soldati del Regio Esercito, si concluse con un eccidio destinato a imprimersi nella memoria collettiva come il germe dei primi moti sindacali nell'isola.
Con una scrittura lineare ed evocativa, Raffele Murru non si limita a raccontare i fatti, ma ci invita a immergerci nel loro impatto umano e sociale, aprendo una finestra su un’epoca in cui la miseria e l’oppressione non lasciavano scampo. La scelta di adottare il punto di vista delle donne rappresenta il cuore pulsante di "Malfidano". Personaggi come Angela, Nora, Fella, Silvia e la piccola Anna non sono semplici comparse, ma chiavi di lettura fondamentali per comprendere la dura realtà di chi viveva ai margini di un sistema sociale ingiusto. Le lavoratrici delle laverie, madri, figlie e mogli dei minatori, sono le custodi di una resistenza silenziosa ma essenziale. Con la loro invisibile forza, emergono come simboli universali della lotta per la dignità umana, portandoci a riflettere non solo sulle battaglie passate, ma anche su quelle che ancora oggi affliggono le donne e i lavoratori in molte parti del mondo. La narrativa di Murru crea un parallelismo potente tra passato e presente trattando temi che, pur contestualizzati storicamente, restano rilevanti. La lotta per i diritti, le diseguaglianze sociali, il peso della condizione femminile e il coraggio umano di fronte all’ingiustizia trovano un terreno comune che invita il lettore a un coinvolgimento profondo, intimo.
Il romanzo si caratterizza per un nuovo Verismo capace di evocare il reale con la precisione delle immagini di un film. Le descrizioni delle miniere, dei volti segnati dalla fatica e dei paesaggi aspri della Sardegna, immergono il lettore in una dimensione che sembra tangibile, restituendo con intensità il clima che veniva respirato all’epoca. Questo approccio, insieme alla volontà di dare spazio alle voci dimenticate, rende “Malfidano” un’opera che attraversa i confini della letteratura storica per farsi monito e strumento di consapevolezza.
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Dietro questa opera c’è la figura di Raffaele Murru, nato a Cagliari nel 1996 e cresciuto a Iglesias, nel cuore delle aree minerarie che racconta con tanto trasporto. Con una formazione in Archeologia e Storia dell’Arte presso l’Università degli Studi di Roma Tre, lo scrittore coniuga la ricerca accademica con una spiccata sensibilità narrativa. La sua esperienza nel campo della cinematografia arricchisce ulteriormente il suo stile che assume una forte tridimensionalità. “Malfidano” non è solo un libro, ma un viaggio nel tempo che invita a mantenere viva la memoria dei sacrifici passati e a guardare con occhio critico il presente. Questo romanzo è una preziosa testimonianza di come la letteratura possa dare voce agli eventi spesso dimenticati dalla storia ufficiale.
Instagram: https://www.instagram.com/rafmurru/
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Le file dei suoi sostenitori si gonfiarono rapidamente, e in migliaia corsero dai villaggi della costa sotto il suo comando. Con i soldi ricavati dalla vendita di tutti i suoi beni, Jeanne de Belleville comprò tre navi, mettendo insieme ciurme scelte di uomini fedeli e spregiudicati per dedicarsi alla pirateria. Nacque così la Black Fleet, una flotta composta da vascelli pirata i cui scafi erano dipinti di nero e le vele di rosso. La sua nave ammiraglia fu chiamata, non a caso, My Revenge. Le navi della Black Fleet incominciarono a pattugliare la Manica, attaccando senza pietà le navi francesi. Il copione era sempre lo stesso: dopo l’arrembaggio gli equipaggi venivano massacrati lasciando in vita solo pochi testimoni per trasmettere la notizia della strage al re francese. Proprio per questo motivo le sue navi ottennero in breve una pessima reputazione. I membri della nobiltà francese che cadevano nelle loro mani non venivano messa a riscatto, come normalmente in uso tra i pirati, e Jeanne stessa li faceva decapitare con un’ascia prima di buttarli in mare. Qualche volta se ne occupò direttamente. Queste abitudini sanguinarie le portarono l’appellativo popolare di “Bloody Lioness of Brittany“. Jeanne praticò la pirateria in prima persona per ben tredici anni, guidando spesso la ciurma all’arrembaggio ed attaccando senza pietà i villaggi costieri della Normandia. Nel 1346, durante la battaglia navale di Crecy, a sud di Calais, Francia settentrionale, Jeanne usò le sue navi per rifornire le forze inglesi ed attaccare le navi francesi. Si racconta che, dopo l’affondamento della sua nave ammiraglia, Jeanne con i suoi due figli rimase alla deriva per cinque giorni. Suo figlio Guillaume morì di stenti ma Jeanne e Olivier furono salvati e riportati a Montfort.
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Ad Anna pareva aver perso le energie per tutto. Non si impegnava granché per nulla, nemmeno le cose che un tempo la emozionavano e la smuovevano. Cercava la via più semplice, meno dispendiosa in termini di energie e non se ne accorgeva. Viveva in una bolla di insoddisfazione infinita criticando gli altri per il troppo tempo sacrificato in cose per lei totalmente inutili. Le sembrava di non far parte più di nulla, di essere esclusa da tutto, distante da ogni interesse e passione. Anna era sfinita dai continui lamenti interiori, dai piagnucolii incessanti di una vita ormai totalmente vuota e priva di significato.
Guardava gli altri con ammirazione, come le madri guardano i figli inseguire i propri sogni e lei, rassegnata, si lasciava passare tutto davanti. Aiutava gli altri, certo, a compiere le azioni quotidiane per agevolare il lavoro a cui veramente ambivano mentre lei, infilava i guanti e lavava i piatti per la terza volta di fila quel pomeriggio. Era come se la grinta l'avesse abbandonata, come se la giovinezza fosse scomparsa lasciando solo spazio alla rassegnazione di una vita finita. Ed Anna continuava a non accorgersi di nulla sfogando le sue frustrazioni su di una ricerca incessante e morbosa di un lavoro che sarebbe risultato infine snervante e svilente o su di una vendita non conclusa su quelle piattaforme che utilizzava per ricavare qualche spicciolo in più. Era rassegnazione, una rassegnazione così grande ed insita in lei da toglierle costantemente tutte le energie.
Anna andava comunque avanti, le sue giornate era piene e le settimane scorrevano senza finire mai. Il weekend era uguale agli altri giorni, i mesi non si differenziano minimamente e il tempo le appariva come un grande macigno che portava sulle spalle rallentando il suo lavoro. Non si sentiva in diritto di festeggiare qualcosa, piuttosto cominciava a nutrire di nuovo quel rifiuto verso ciò che poteva definirsi per lei una ricompensa privilegiando invece, ciò che poteva invece risultare per lei una punizione. Amava punirsi, aveva sempre avuto quella tendenza a farlo per dare un senso alla sua vita. Vivere all'ombra degli altri era forse, anch'essa una punizione, il giusto compromesso per non essere abbastanza. Non riconosceva mai i suoi giorni di stacco, rimaneva sempre vigile e pronta per gli altri. Si comportava come una madre, una governante, a volte, una figura di riferimento per valutare le soluzioni più pensate e giuste.
Anna era esausta. Svuotata di ogni energia vitale. Si guardava allo specchio e non vedeva nient'altro che un corpo vuoto. E non le importava nulla del pensiero degli altri a differenza di anni addietro, quando la sua compostezza era costruita a misura di quest'ultimo.
Era diventata squallida, sciatta. Così tristemente vuota da non riuscire a trovare un qualsiasi appiglio per migliorare la minima cosa. Non era un disastro perché la completa mancanza di volontà non poteva definirla così. Era noncuranza, un appiattimento totale. Una tristezza infinita sfociata in totale apatia.
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PRIMA PAGINA La Stampa di Oggi lunedì, 05 agosto 2024
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Anita Roddick
Se pensi di essere troppo piccolo per lasciare il segno, prova ad andare a letto con una zanzara.
Anita Roddick è stata l’imprenditrice inglese che ha creato The Body Shop il primo modello di business legato al rispetto per l’ambiente, capace di coniugare etica e profitto e il primo brand a proibire test sugli animali.
Una filosofia imprenditoriale improntata sull’idea rivoluzionaria che il business potesse avere un impatto positivo sulla società e sul pianeta.
La sua azienda di cosmetici che produceva e vendeva prodotti di bellezza naturali è stata tra le prime a promuovere il commercio equo con i paesi in via di sviluppo.
Nata col nome di Anita Lucia Perrella a Littlehampton, il 23 ottobre 1942, era la terza di quattro figli e figlie e Gilda Di Vito, emigrata a 17 anni in Inghilterra da Atina, in provincia di Frosinone e Donato Perrella, ristoratore di Brighton.
Sua madre sognava per lei una carriera da insegnante, ma il suo desiderio di avventura l’ha portata, dopo gli studi, prima a Parigi, dove ha lavorato alla biblioteca dell’International Herald Tribune e poi a Genova presso le Nazioni Unite.
Ha poi mollato tutto e intrapreso il suo “sentiero hippie” che l’ha portata a girare attraverso l’Europa, il Pacifico meridionale e l’Africa. Ha così scoperto culture di altri mondi, rituali e usanze comprese quelle per la cura del corpo e per la salute.
Tornata in Inghilterra, nel 1970 ha sposato Gordon Roddick, viaggiatore come lei che, qualche anno dopo, ha deciso di realizzare il suo sogno andare a cavallo da Buenos Aires a New York. Entusiasta del progetto del marito, ne ha finanziato il viaggio vendendo la sua piccola attività di ristorazione. Per sostenere la famiglia ha quindi iniziato a collaborare con un erborista locale creando cosmetici naturali mettendo a frutto le conoscenze acquisite durante i suoi viaggi.
Con un piccolo prestito, nel 1976, ha aperto il suo primo The Body Shop nella località balneare di Brighton.
L’idea di partenza era creare prodotti di qualità per la cura della pelle in contenitori da riempire con fragranze decise al momento.
Qualcosa di diverso dalla solita profumeria, piuttosto una filosofia di vendita che metteva al primo posto nella scala dei valori ambiente e solidarietà, il recupero dei materiali e la ricerca di essenze poco note.
Ogni prodotto aveva una storia ed era fatto con ingredienti naturali provenienti da tutto il mondo. Venduto in confezioni semplici e ricaricabili, costituiva un rituale quotidiano di amor proprio, senza false promesse di dimagrimento o ringiovanimento. Una fonte di gioia, conforto e autostima.
Dopo sei mesi aveva aperto un secondo punto vendita, nel 1984 è entrata in borsa e, nel 1991, dopo 15 anni di attività, la sua impresa era a un livello tale di successo da conquistare il World Vision Award for Development Initiative.
Credo che tutte le pratiche commerciali sarebbero notevolmente migliorate se fossero governate da principi” femminili“.
Molto attiva in diverse campagne per diritti umani e ambientali, si è unita a Greenpeace nella campagna Save the Whale per combattere la crudele caccia alle balene e promuovere l’uso dell’olio di jojoba come sostituto dell’olio dei capodogli, che a quel tempo era ampiamente utilizzato nei cosmetici. Ha anche sponsorizzato The Big Issue il giornale indipendente venduto da persone senza fissa dimora. Ha finanziato Amnesty International, e supportato campagne contro la distruzione delle foreste pluviali.
Nel 1990 ha fondato Children on the Edge, organizzazione per aiutare l’infanzia svantaggiata colpita da conflitti, disastri naturali, disabilità e HIV/AIDS, con la convinzione che il mondo degli affari dovesse offrire una forma di leadership morale.
Ha contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale e a raccogliere fondi per aiutare gli Angola Three, prigionieri afroamericani tenuti in isolamento per decenni.
Nel 1997, in contrasto agli ideali di bellezza filiforme, ha prodotto Ruby, una bambola corpulenta e fiera che è diventata l’incarnazione della campagna promozionale più importante del suo brand.
Nel 2004, Body Shop aveva 1980 negozi con più di 77 milioni di clienti in tutto il mondo. Il secondo marchio più affidabile nel Regno Unito e il 28° più importante al mondo.
Due anni dopo, lo ha venduto al gruppo L’Oréal per 652 milioni di sterline (circa 775 milioni di euro), scatenando numerose polemiche per il fatto che il colosso della cosmesi utilizzava test sugli animali e fosse in parte di proprietà di Nestlé nota per il pessimo trattamento riservato ai produttori dei paesi in via di sviluppo.
Intanto aveva anche istituito una scuola specializzata in Business e Impresa, The Roddick Enterprise Centre, in cui ha messo a punto la sua personale ricetta per l’imprenditoria costituita da motivazione, indipendenza, entusiasmo, ingegno, determinazione, consapevolezza dei rischi e, soprattutto, ottimismo.
Per la sua leadership virtuosa, Anita Roddick ha ricevuto premi e riconoscimenti in tutto il mondo, è stata nominata prima Ufficiale e poi Dama Commendatrice dell’Ordine dell’Impero Britannico e le sono state conferite diverse lauree e dottorati ad honorem. È stata anche insignita dall’UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente.
Ha scritto diversi libri, tra cui Prendilo sul personale: come la globalizzazione ti influenza e modi efficaci per sfidarla e Troubled Water: Santi, peccatori, verità e bugie sulla crisi idrica globale.
Nel 2004 le è stata diagnosticata una cirrosi epatica in conseguenza di un’epatite di vecchia data. Da quel momento si è spesa per promuovere il lavoro di The Hepatitis C Trust con una campagna per sensibilizzare sulla malattia che l’ha vista ospite in importanti programmi televisivi britannici.Si è spenta, in seguito a un ictus, il 10 settembre 2007 al St Richard’s Hospital di Chichester.Ha lasciato il suo patrimonio di 51 milioni di sterline alla Roddick Foundation che, nel suo nome, continua ancora oggi a creare campagne in difesa dei diritti umani.
È stata una donna che si è fatta da sola, che ha avuto una grande intuizione e una visione. Un grande esempio di imprenditrice che ha fondato un impero partendo dal basso, nel rispetto della natura e delle persone, senza mai piegarsi a logiche e mode passeggere.
Ha creato un marchio in cui ogni prodotto e ogni decisione aziendale servivano a dare potere alle ragazze e alle donne, lottando per l’uguaglianza e creando opportunità lavorative secondo principi di inclusione, collaborazione e solidarietà.
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Una signora si avvicinò a un vecchio venditore ambulante e gli chiese: "A quanto vendete le vostre uova?" L'uomo anziano rispose: "50 centesimi l'uovo, signora". La signora rispose: "Prendo 6 uova a $ 2,00, o me ne vado". L'uomo anziano, che aveva bisogno della vendita, disse: "Compratele al prezzo che volete, signora. Per me è un buon inizio perché oggi non ho venduto un solo uovo e ne ho bisogno per vivere". Comprò le uova al prezzo concordato e se ne andò, sentendosi come se avesse vinto. Poi salì sulla sua macchina di lusso e andò in un ristorante di lusso con un'amica. Ordinarono quello che volevano, mangiarono un po' e lasciarono gran parte del cibo intatto. Quando arrivò il conto, che ammontava a $ 150, le signore diedero $ 200 e dissero al proprietario del ristorante di tenere il resto come mancia. Questa storia potrebbe sembrare normale al proprietario del ristorante, ma è in netto contrasto con l'interazione con il venditore di uova. Solleva una domanda importante: perché sentiamo il bisogno di affermare il nostro potere quando compriamo da chi è nel bisogno, ma mostriamo generosità verso chi non ne ha bisogno?
C'è una storia di un padre che era solito acquistare beni dai poveri a un prezzo più alto di quello richiesto, anche se non ne aveva bisogno. A volte, pagava più del prezzo richiesto. I suoi figli, perplessi da ciò, alla fine gli chiesero: "Perché fai questo, papà?" Il padre rispose: "È carità avvolta nella dignità".
La maggior parte delle persone potrebbe non condividere questo messaggio, ma per coloro che si prendono il tempo di leggerlo, questo piccolo tentativo di "umanizzazione" potrebbe essere un passo avanti nella giusta direzione.
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Chiara Ferragni, la moglie di Silvio Campara scopre tutto: “Erano amiche” Da giorni non si fa altro che parlare del flirt tra l’imprenditrice digitale Chiara Ferragni e l’imprenditore Silvio Campara. Secondo un’indiscrezione la moglie del CEO del brand di scarpe di lusso avrebbe scoperto tutto e ne sarebbe derivato un confronto durissimo. Le due donne sarebbero amiche da diverso tempo e scoprire della presunta relazione è stato uno shock. Chiara Ferragni, Giulia Luchi Campara scopre tutto: “Loro erano amiche” La presunta storia d’amore tra Chiara Ferragni e Silvio Campara continua a far parlare di sé. Dopo diverse indiscrezioni in merito al presunto flirt tra i due imprenditori, fino ad ora mai commentata direttamente dai diretti interessati, arrivano delle ricostruzioni fatte da Gabriele Parpiglia. Il giornalista su Instagram ha aggiunto dei particolari clamorosi per ricostruire la relazione. Secondo il giornalista inizialmente sarebbero state l’influencer e Giulia Luchi Campara, moglie di Silvio e madre dei loro due figli, ad essere molto amiche. “L’amore di Ferragni e Campara non nasce da una precedente amicizia tra i due. No. Le prime a conoscersi e ad avvicinarsi sono le due donne“, ha fatto sapere Gabriele Parpiglia. I due si sarebbero incontrati a Forte dei Marmi grazie a degli amici in comune. “Sin da subito Giulia tende una mano a Chiara, che come ben sappiamo, si trovava nel pieno del Pandoro-gate“, ha proseguito il giornalista. Giulia avrebbe aiutato Chiara sia emotivamente che concretamente, ovvero cercando di metterle a disposizione un entourage che potesse risollevarla dal disastroso momento. L’incontro a Forte dei Marmi però, improvvisamente “scivola” via e l’amicizia tra Chiara e Giulia passa in secondo piano Secondo il giornalista Silvio Campara non starebbe attraversando un periodo semplice. L’imprenditore avrebbe dovuto concludere una vendita milionaria del marchio Golden Goose, ma la trattativa si è improvvisamente bloccata. Quando Silvio incontra Chiara, in lei vede una sorta di via di uscita dal suo momento no. Insomma: mentre la Ferragni scriveva alla moglie Giulia, contemporaneamente messaggiava con Silvio. Il dramma esplode quando la Ferragni è a Capri e si lascia sfuggire una frase: “Lui me lo prendo” e lo fa mostrando le foto che scambiava col neo-fidanzato, seduta a un tavolino Qualcuno avrebbe riferito la loro telefonata a Giulia Luchi Campara che avrebbe cercato un confronto diretto con la Ferragni. Ne sarebbe seguita una telefonata durissima e una serie di messaggi. L’imprenditrice digitale non si sarebbe tirata indietro e avrebbe confessato il suo interesse. Sembrerebbe che il prossimo quindici di agosto la coppia dovrebbe partire alla volta del Perù, e se dovesse essere così ci sarebbe la prova definitiva della loro relazione.
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carlo bianchi
La nostra vita è il risultato del lavoro di molti e, quando si fanno le guerre, facciamo solo morti. Non vogliamo un’Europa di morti. Questa è la situazione in cui sta ormai l’Ucraina, un posto ormai pieno di cadaveri e questa è la scelta di chi ha votato Zelensky come presidente dell’Ucraina. Quanta gente vuole un’ Europa in guerra, devastata dalle bombe e mandata a morire perché non sarà più la stessa? Votiamo tutti in Europa, tutti i paesi, e molti vogliono una guerra. Quale partito politico non la vuole? Quali partiti faranno di tutto per gestire le trattative di pace? Quante donne vogliono mandare a morire i figli e i mariti? Magro destino questo come abbiamo potuto vedere in Ucraina. Il potere deve fare questo: lavorare per la pace e, votando alle europee, andiamo avanti e facciamo eleggere i partiti che portano la pace, non quelli che complottano per guadagnare con la vendita delle armi e che fanno molto poco per impedire la guerra, mandando a morire molti giovani.
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Montedoro: alloggi comunali in vendita tramite asta pubblica
L'amministrazione comunale di Montedoro ha deciso di rimettere in vendita nove alloggi comunali. Questi alloggi si trovano in Piazza Gramsci e in via Savoia. La vendita sarà effettuata tramite un'asta pubblica. Il prezzo di partenza per gli alloggi di 60 mq è di 28.000 euro. Per quelli di 40 mq, il prezzo base è di 19.000 euro. Saranno stilate due graduatorie separate per i due tipi di alloggi. Questo metodo è lo stesso utilizzato nelle aste precedenti, che si sono svolte dal 2017. Gli alloggi saranno assegnati in base all'ordine di priorità stabilito nelle graduatorie. I partecipanti all'asta avranno la possibilità di acquistare fino a due unità immobiliari. Tuttavia, se un acquirente decide di comprare due alloggi, dovrà procedere con la fusione catastale per trasformarli in un'unica unità. Possono partecipare all'asta diversi gruppi di persone: - Residenti a Montedoro o chi vi lavora stabilmente. - Cittadini nati a Montedoro ma che ora vivono altrove. - Figli, nipoti o discendenti di emigrati montedoresi che risiedono in altre località. - Altri cittadini, italiani o stranieri, che intendono trasferirsi a Montedoro o trascorrervi le vacanze. Le richieste di partecipazione all'asta devono essere presentate entro il 24 giugno. Se, alla fine della gara, ci saranno ancora alloggi invenduti, verrà creata una graduatoria per chi non ha legami con Montedoro. La vendita degli alloggi comunali rappresenta un'opportunità per diverse categorie di cittadini di acquistare una casa a Montedoro. Questo progetto è parte degli sforzi dell'amministrazione comunale per riqualificare il patrimonio immobiliare e incentivare nuove residenze nella città. Read the full article
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