#vegliando
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E quando me ne sarò andato, continua a vivere. Non addolorarti, risollevati ogni volta che sentirai il suono della mia voce e pensa che io sto vegliando su di te. Sorridendo. E non ho sentito nulla quindi, bambina, non soffrire. Sorridimi solo.
Eminem, When I’m gone
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La necessità di ricordare, la necessità di ricordare le cose buone e per un po' accantonare quelle cattive. La necessità di preservare i migliori ricordi per salvare di questo amore perduto quello che c'è stato di sano e buono. Come prima riuscivo a ricordare solo quanto di peggio ci eravamo fatti (urla, tensione, interminabili momenti di silenzio, notti agitate, screzi e ripicche infantili, vendette trasversali su chi doveva essere accolto e non respinto, giorni vissuti come se intorno a te girasse un perfetto estraneo che finiva con l'ivadere e dilaniare i tuoi spazi) è da qualche giorno che ho bisogno di ricordare solo gli attimi migliori: - entrare in casa, abbracciarla, facendo segno di non dire una parola, e ballare stretti, lì sull'uscio, mentre le note di Creep o Fake Plastic Trees dei Radiohead, salivano dal proprio cellulare; - alzare lo sguardo, nel cortile di casa, prima verso il suo balcone e poi verso la cintura di orione nelle notti di inverno e sorriderle, come un bambino, sapendo che le stelle ci stavano osservando e vegliando; - svegliarsi la mattina, prima di lei, e stare a lungo ad osservarla in silenzio, pieno di inaudita meraviglia, ringraziando il Signore per avermi regalato quegli attimi; - stare seduti, in silenzio, sul balconcino di casa, nelle notti di estate beandosi del nulla e accarezzandole i piedi nudi, mentre l'odore dei gelsomini ci riempiva naso e cuore; - cercare i punti più nascosti sul suo lungo collo, dietro i lobi delle orecchie, e baciarla lentamente con piccoli sospiri, godendo del suo respiro che aumentava pian piano; - guidare con lo sguardo sulla strada e di tanto in tanto gettarle uno sguardo furtivo, immersa nei suoi pensieri, volendone carpire almeno uno e dire "come stai? io sono qui"... e tanto altro ancora. Se questo vuol dire lasciarla andare, mi sta bene. Mi mancherà tutto questo ma almeno ho vissuto questi attimi
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Oggi non stiamo presenziando ad una crisi, stiamo vegliando un cadavere.
Nicolás Gómez Dávila
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Il suo paesaggio cambiò. Se aveva vissuto a Parigi come un estraneo e a Roma come un ospite, ora la sua vera casa era la pineta di Roccamare, presso Castiglione della Pescaia. In qualche modo, ripeteva il paesaggio ligure. Anche qui, tutto era limitato: una striscia di sabbia chiusa tra due promontori, una pineta, una macchia, un piccolo giardino dove tutto sembrava miniutarizzato. Scriveva nel cuore della casa, in alto, in uno studiolo raggiunto da una scala pericolosissima, come in un pollaio aereo o in una colombaia. Sotto i suoi piedi, la moglie parlava con le amiche o con la domestica, entravano i fornitori, arrivavano gli amici; e lui continuava a scrivere, immerso nel rumore dell'esistenza, vegliando sulla casa come una cicogna. Non diceva mai di no alle cosa. Ma si era ormai allontanato profondamente dalla realtà, chiuso nel suo mondo di ombre leggere. Sulle soglie tra lui e la vita, tra lui e gli altri, aveva disposto la moglie, che doveva riferirgli tutto: che volti avessero gli altri uomini, cosa accadesse nella pineta, che ombre gettassero gli alberi, che odori attraversavano il prato, che sapori avevano i cibi, che suoni la musica. Lassù in alto, come un'ape riceveva il miele che la moglie aveva raccolto, e lo depositava nella delicatissima arnia della sua mente. (…)
Poi sulla pineta scesero, troppo rapidamente gli ultimi anni. Volgendo le spalle a qualsiasi idea generale, Calvino si accontentava di contemplare un'onda, un ciuffo d'erba nel giardino, un uccello che cantava (…) L'ultima estate fu difficile. Scriveva le sue Lezioni americane: un libro bellissimo, l'Ars poetica della nostra fine di secolo, dove la letteratura antica e moderna si riflettono in un limpido specchio. Non era di buon umore: non usciva più di casa, chiuso nell'alta colombaia, non faceva il bagno. Pensava di perdere tempo: era uno scrittore, doveva dar forma alle decine di racconti che gli gremivano il capo, non riflettere sulla letteratura. Ai primi del settembre 1985 le Lezioni erano quasi finite: ma, per lui appartenevano già ad un tempo passato. In quegli ultimi giorni lo vidi due volte; e fu tenero, affettuoso, divertente, quasi felice. (…) Poi non ci fu più niente. Ci fu la caduta al suolo, la cosa dell'autoambulanza fino a Siena, l'orribile ospedale dove avevo conosciuto altre morti, i visi stravolti dei medici, l'operazione inutile, i discorsi inutili, le attese inutili, il capo bendato, la piccola tomba sul mare di Castiglione. Una mattina i medici ci dissero, per consolarci, che tutto era andato benissimo. Quella di Italo era una malformazione cerebrale congenita. Avrebbe dovuto morire a venticinque o trenta anni al più tardi. Quanto tempo aveva guadagnato; quanti libri aveva scritto, col suo passo da marinaio-contadino che si inoltrava nei gerbidi. Come era stato accorto nel sottrarre tempo - l'unica ricchezza che importa - alle divinità che si prendono gioco di noi. E mi dissi che nemmeno lui, forse, sapeva di essere così fragile. Aveva eluso la propria fragilità colla pazienza, il lavoro, la discrezione e quella terribile maga, che trasforma ogni fragilità in forza, ogni forza in fragilità: la letteratura.
Non sogno mai. Due anni più tardi, Italo mi apparve in sogno. Aveva ancora la fronte bendata, ma il sorriso era quello, luminosissimo, dell'ultima sera. Mi diceva: «Sai, è stato tutto uno sbaglio. I medici non hanno capito. Non sono morto».
Pietro Citati in ricordo di Italo Calvino
#ciaoitalo
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JAMES BRANDON LEWIS: “FOR MAHALIA WITH LOVE”
Il titolo dell’ultimo straordinario lavoro di James Brandon Lewis e del suo “Quintet” lascia pochi dubbi e, se qualcuno ne avesse, potrà facilmente fugarli ascoltando questo disco. “For Mahalia with Love” è un magnifico omaggio di Brandon Lewis alla memoria della grandissima Mahalia Jackson, regina del Gospel, come fu soprannominata. Ma questo omaggio contiene in sè qualcosa di molto più intimo e profondo perché mediato dal ricordo che di Mahalia conservava la nonna di James Brandon Lewis e che è riportato nel retro della copertina, sotto forma di una struggente lettera del musicista a Mahalia. Scrive Brandon Lewis: “…Mahalia, mi sono innamorata di te dal giorno in cui mia nonna mi ha parlato di te, perché tutto ciò che la nonna menziona deve essere speciale. Le nonne occupano un posto speciale nel cuore e nella mente dei bambini. Ricordi tutto della nonna: cosa cucinava, cosa indossava, le sue parole di saggezza, l'odore della sua casa... “ Insomma un amore con salde radici e che viene da lontano. In questi casi, quando l’omaggio non è una occasione posticcia o una piccola convenienza, il risultato si sente subito nella musica ed é un meccanismo quasi automatico: così accade appena poggiato il dito sul tasto “play” e nelle cuffie si accendono le prime note di “Sparrow”, solenne introduzione e chiaro omaggio a “His Eyeis Is on the Sparrow”, composta da Charles H. Gabriel, e a “Even the Sparrow” dello stesso Brandon Lewis. La magia del sentire musicale di Mahalia Jackson sembra già manifestarsi forte e potente. “…Il suo occhio è sul piccolo passero…” diceva la canzone, riferito all’occhio di Gesù, e proseguiva “…Canto perché la mia anima è felice/Canto perché sono libera/Per il suo occhio sul piccolo vecchio passero/E so che sta vegliando su di me e su di te…” Come rendere al meglio la spiritualità e la profonda umanità di questi versi se non con l’amorevole sax di Brandon Lewis, accompagnato dalla cornetta di Kirk Knuffke e sostenuto dalla batteria di Chad Taylor? Anche in questa versione strumentale, con buona pace di De Gregori, gli uccellini non sono “soli nel sole”, ma sono protetti dal Signore e, senza un profondo senso religioso, se non si riesce a comprendere Mahalia Jackson, non si riesce nemmeno a comprendere la gioiosa religiosità nella musica di Brandon Lewis. Con “Swing low” potremmo percorrere un viale del Louis Armstrong Park di New Orleans dove si profila da lontano il “Mahalia Jackson Theater for the Performing Arts”; brano godibile e pieno zeppo di riferimenti allo swing e al vitalismo della black music. Cambiano i ritmi ma non cambiano le atmosfere sia con “Go Down Moses” fitto e dialogante, sia con “Wade in the Water”, con il suggestivo sottofondo delle percussioni di Taylor. “Calvary” è invece un dolente lamento religioso incentrato sulla sofferenza di Gesù che altro non è che la sofferenza del mondo. Chissà come sarebbe una Via Crucis con questo accompagnamento, dove il contorcimento degli animi e le inquietudini, come possono essere quelli dei sofferenti, prendono qui corpo nella musica. Orchestrazione completa e corposa dove trova spazio anche il violoncello di Chris Hoffman e il contrabbasso di William Parker. “Deep River” ci riporta a sonorità più intense e con tanto spazio per gli assoli, mentre la seguente “Eljia Rock” fa diretto riferimento al profeta Elia che, per la tradizione ebraica non morì, ma fu assunto in cielo con anima e corpo e quindi in diretto riferimento alla figura di Gesù tanto cara a Mahalia. L’immanenza del Signore (ma forse anche di Mahalia), è richiamata nel titolo di “Were You There”. Il lavoro si conclude con una magnifica versione rivisitata di “Precious Lord Take my Hand”, brano che la Jackson cantò all’insediamento di Kennedy alla Casa Bianca. Un disco che omaggia giustamente la regina del gospel, ricorda l’amata nonna di Brandon ma che, naturalmente, splende di luce propria e che non si smetterebbe mai di ascoltare.
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Libertà e insicurezza
John Barclay, nel suo profetico romanzo Argenis (1621), ha definito in questi termini il paradigma della sicurezza che i governi europei avrebbero più tardi progressivamente adottatto: «O rendi agli uomini la loro libertà o dai ad essi la sicurezza, per la quale abbandoneranno la libertà». Libertà e sicurezza sono cioè due paradigmi di governo antitetici, fra i quali lo Stato deve ogni volta operare la sua scelta. Se vuole promettere ai suoi sudditi sicurezza, il sovrano dovrà sacrificare la loro libertà e, viceversa, se vuole la libertà dovrà sacrificare la loro sicurezza. Michel Foucault ha, però, mostrato come si debba intendere la sicurezza (la sureté publique) che i governi fisiocratici, a partire da Quesnay, sono i primi a assumere esplicitamente fra i loro compiti nella Francia del XVIII secolo. Non si trattava – allora come oggi – di prevenire le catastrofi, che nell’Europa di quegli anni erano essenzialmente le carestie, ma di lasciare che esse si producessero per poter poi subito intervenire per governarle nella direzione più utile. Governare riacquista qui il suo significato etimologico, cioè «cibernetico»: un buon pilota (kibernes) non può evitare le tempeste, ma, quando esse accadono, deve essere comunque in grado di governare la sua nave secondo i suoi interessi. Essenziale, in questa prospettiva, era diffondere fra i cittadini un sentimento di sicurezza, attraverso la convinzione che il governo stava vegliando sulla loro tranquillità e sul loro futuro.
Ciò a cui stiamo oggi assistendo è un estremo svolgimento di questo paradigma e, insieme, il suo puntuale rovesciamento. Compito primario dei governi sembra diventata la diffusione capillare fra i cittadini di un sentimento di insicurezza e persino di panico, che coincide con un’estrema compressione delle loro libertà, che proprio in quell’insicurezza trova la sua giustificazione. I paradigmi antitetici non sono più oggi la libertà e la sicurezza; piuttosto, nei termini di Barclay si dovrebbe oggi dire: «dà agli uomini l’insicurezza e essi rinunceranno alla libertà». Non è più necessario, pertanto, che i governi si mostrino capaci di governare i problemi e le catastrofi: l’insicurezza e l’emergenza, che costituiscono ora il solo fondamento della loro legittimità, non possono in nessun caso essere eliminate, ma – come stiamo oggi vedendo con la sostituzione della guerra fra Russia e Ucraina a quella contro il virus – solo articolate secondo modalità convergenti, ma ogni volta diverse. Un governo di questi tipo è essenzialmente anarchico, nel senso che non ha alcun principio a cui attenersi, se non l’emergenza che esso stesso produce e intrattiene.
È probabile, tuttavia, che la dialettica cibernetica fra l’anarchia e l’emergenza raggiunga una soglia, al di là della quale nessun pilota sarà in grado di governare la nave e gli uomini, nell’ormai inevitabile naufragio, dovranno tornare a interrogarsi sulla libertà che hanno così incautamente sacrificato.
8 dicembre 2022
Giorgio Agamben
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🔥 RAZZOLA BENE!
☀️ L'insegnamento diventa tale (cioè «ti segna dentro») quando NON SENTI PIÙ LA NECESSITÀ di dispensarlo.
☀️ Se parli del Lavoro Interiore agli altri con l'intento di cambiarli, di migliorare le loro vite, di farli «svegliare», l'unico che dorme SEI TU.
☀️ Se «predichi bene» ma «razzoli male» (o non razzoli proprio!), ti stai solo rinchiudendo in una gabbia mentale dalla quale sarà poi complicato uscire.
☀️ Quanti «consigli» dai agli altri? E quanto metti in pratica gli stessi «consigli» nella tua vita?
☀️ Sei sicuro di parlare agli altri e non a te stesso?
☀️ Oggi focalizzati sulle cose «storte» che vedi nel prossimo e sull'impulso a volerle correggere.
☀️ Poi lascia andare quella spinta e cerca in te le stesse storture, vegliando su tutto ciò che emerge nel frattempo.
❤️ Telegram: t.me/animasulsentiero
🔥 Scarica gratis "Le 7 Intenzioni Spirituali": animasulsentiero.com
Anima sul Sentiero
Sii la Fiamma che arde nella notte!
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don Luciano Chistè "I DONI DI DIO ELARGITI A TUTTI SEMI DA PIANTARE E COLTIVARE"
XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (19/11/2023) Vangelo: Mt 25,14-30 La liturgia della Parola ci sollecita all’attesa del Signore che verrà, vegliando e operando il bene. La parabola dei talenti ci mette davanti alle nostre responsabilità. La scena si svolge in due tempi, quello della consegna dei talenti ai servi e quello della “regola dei conti” al ritorno del padrone. L’esito…
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#Commenti al Vangelo#OMELIE#Vangelo#Vangelo di Domenica prossima#XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)
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Nessun amore, in quanto tale, dovrebbe mai essere privato del rispetto che merita soprattutto quando, nonostante nessuna catena, é rimasto vegliando sul cuore dell’altro perché niente e nessuno potesse affliggerlo, oltre ogni distanza.
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Nostalgia
Com’è amara e com’è dolorosa la nostalgia per la sua casapoggiando la guancia sulla spalla della notte arreso a leialla sua casa silente sotto l’arco dei pini,la notte legge le sue opere vegliando le porte e le finestre,nessun fuoco tranne quello che crepita nel corpo libero, o ciò che divampasulla sua terra (oggi è buio quel passaggio verso la sua terra,e il vento spira impetuoso da ogni…
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sto costruendo ricordi, collezionando i tuoi sguardi, vegliando sopra i tuoi sogni
sperando riguardino me
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Il suo paesaggio cambiò. Se aveva vissuto a Parigi come un estraneo e a Roma come un ospite, ora la sua vera casa era la pineta di Roccamare, presso Castiglione della Pescaia. In qualche modo, ripeteva il paesaggio ligure. Anche qui, tutto era limitato: una striscia di sabbia chiusa tra due promontori, una pineta, una macchia, un piccolo giardino dove tutto sembrava miniutarizzato. Scriveva nel cuore della casa, in alto, in uno studiolo raggiunto da una scala pericolosissima, come in un pollaio aereo o in una colombaia. Sotto i suoi piedi, la moglie parlava con le amiche o con la domestica, entravano i fornitori, arrivavano gli amici; e lui continuava a scrivere, immerso nel rumore dell'esistenza, vegliando sulla casa come una cicogna. Non diceva mai di no alle cosa. Ma si era ormai allontanato profondamente dalla realtà, chiuso nel suo mondo di ombre leggere. Sulle soglie tra lui e la vita, tra lui e gli altri, aveva disposto la moglie, che doveva riferirgli tutto: che volti avessero gli altri uomini, cosa accadesse nella pineta, che ombre gettassero gli alberi, che odori attraversavano il prato, che sapori avevano i cibi, che suoni la musica. Lassù in alto, come un'ape riceveva il miele che la moglie aveva raccolto, e lo depositava nella delicatissima arnia della sua mente. (…)
Poi sulla pineta scesero, troppo rapidamente gli ultimi anni. Volgendo le spalle a qualsiasi idea generale, Calvino si accontentava di contemplare un'onda, un ciuffo d'erba nel giardino, un uccello che cantava (…) L'ultima estate fu difficile. Scriveva le sue Lezioni americane: un libro bellissimo, l'Ars poetica della nostra fine di secolo, dove la letteratura antica e moderna si riflettono in un limpido specchio. Non era di buon umore: non usciva più di casa, chiuso nell'alta colombaia, non faceva il bagno. Pensava di perdere tempo: era uno scrittore, doveva dar forma alle decine di racconti che gli gremivano il capo, non riflettere sulla letteratura. Ai primi del settembre 1985 le Lezioni erano quasi finite: ma, per lui appartenevano già ad un tempo passato. In quegli ultimi giorni lo vidi due volte; e fu tenero, affettuoso, divertente, quasi felice. (…) Poi non ci fu più niente. Ci fu la caduta al suolo, la cosa dell'autoambulanza fino a Siena, l'orribile ospedale dove avevo conosciuto altre morti, i visi stravolti dei medici, l'operazione inutile, i discorsi inutili, le attese inutili, il capo bendato, la piccola tomba sul mare di Castiglione. Una mattina i medici ci dissero, per consolarci, che tutto era andato benissimo. Quella di Italo era una malformazione cerebrale congenita. Avrebbe dovuto morire a venticinque o trenta anni al più tardi. Quanto tempo aveva guadagnato; quanti libri aveva scritto, col suo passo da marinaio-contadino che si inoltrava nei gerbidi. Come era stato accorto nel sottrarre tempo - l'unica ricchezza che importa - alle divinità che si prendono gioco di noi. E mi dissi che nemmeno lui, forse, sapeva di essere così fragile. Aveva eluso la propria fragilità colla pazienza, il lavoro, la discrezione e quella terribile maga, che trasforma ogni fragilità in forza, ogni forza in fragilità: la letteratura.
Non sogno mai. Due anni più tardi, Italo mi apparve in sogno. Aveva ancora la fronte bendata, ma il sorriso era quello, luminosissimo, dell'ultima sera. Mi diceva: «Sai, è stato tutto uno sbaglio. I medici non hanno capito. Non sono morto».
Pietro Citati in ricordo di Italo Calvino
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Enea, sono contento che tu abbia trovato la donatrice di midollo osseo, purtroppo la mia cara amica Eleonora, mi ha lasciato proprio nella speranza di trovarlo, sono sicuro che ora lei stia vegliando su di te, dandoti tutta la forza possibile immaginaria, ma penso sia inutile dilungarmi, quando parlo di forza, parlo e parerò sempre di voi, di chi altro sennò?!
Mi son divertito a leggere i commenti di quei tanti esseri, non umani, che giudicano il fatto che tu abbia realizzato un sogno, quello di essere portato ogni giorno a fare le chemio con la tua macchina dei sogni, sai anche il mio caro amico Andrea è volato in alto con il suo aereo dei sogni, ma, in ogni circostanza, ci sentiamo tutti dei giustizieri, arrivando addirittura ad affermare che potresti essere portato semplicemente con una Panda.
Caro mio Enea, oltre ad augurarti di guarire il prima possibile e di tornare a vivere come tutti dovremmo vivere, SENZA tutto questo male interminabile, ti auguro di poterti vedere sfrecciare con la tua macchina preferita, la Lamborghini, e di passare fra qualche anno, da tutte quelle persone che hanno avuto qualcosa da dire, ricordando loro, che finché non sai quanto bene possa far stare, la radiazione di un sogno, ma non per bambini o adulti, per tutti, è giusto stare in silenzio davanti al male, e mai fiatare, perché quando hai la salute mica ci pensi come possa sentirsi chi invece non ce l’ha, questo me l’hanno spiegato i miei angeli lassù, che oggi, rimpiango, giorno per giorno.
Un abbraccio forte a te e alla tua famiglia,
Enea.❤️
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As we all know, 2020 Asia tour Alonzo (Fletcher Dobinson and occasionally Aaron Lynch) will flirt with any cat. He really can’t help it. If he stops flirting he can’t breathe and he sinks to the bottom and drowns. Sometimes, however, he can’t find anybody to flirt with; so he has to pull a Cherubino, and flirt to himself.
(“Parlo d’amor vegliando, parlo d’amor sognando - all’aqua, all’ombra, ai monti, ai fiori, all’erbe, ai fonti, all’eco, all’aria, ai venti... e se non ho chi m’oda, parlo d’amor con me!”
(24 October 2020)
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Buon Natale
@the-ss-horniest-book-club’s Home for the Holidays Day 15 - Holiday Music
Charles waltzed into the room grabbing your hand and pulling you up from the couch, close to his chest. His voice was quiet almost a whisper at first but grew louder as he continued his song, swaying you back and forth. You became putty in his hands whenever he spoke another language. You didn’t know what he was saying but you could tell the sentiment from his soft eyes and smile.
“Mille cherubini in coro (A thousand cherubs in chorus)
Ti sorridono dal ciel (Smile at you from heaven)
Una dolce canzone (A sweet song)
T’accarezza il crin (Caresses your head)
Una man ti guida lieve (A gentle hand guides you)
Fra le nuvole d’or (Through golden clouds)
Sognando e vegliando (Dreaming and watching)
Su te, mio tesor (Over you, my treasure)
Proteggendo il tuo cammin (Protecting you on your way)”
When he had finished you pressed your lips to his, then requested another song. He obliged and promised one day you would both spend Christmas in Italy.
#sebastian stan#charles blackwood#charles blackwood x reader#Sebastian Stan#hbc home for the holidays#HBC HFTH#marvelousmeggi writes#my writing#playing catch up
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