#vedete che genio che era!!!
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ross-nekochan · 1 month ago
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L'unica cosa per cui vale la pena vivere in Giappone?
Poter comprare una rivista che celebra i 100 anni dalla nascita del mio amore più grande...
MISHIMA YUKIO 💘
@tomochika0122 教えていただきありがとうございます!😍
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dantealighierienjoyer · 2 months ago
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ok ho appena finito il primo episodio (domani c'è il resto) e mo considerazioni; piccolo spoiler warning anche se la trama è letteralmente la vita di Leopardi
La serie è didascalica da far schifo. Deve spiegare ogni aspetto della filosofia di Giacomo come se avessero davanti una classe di studenti del liceo. Dopo un po' ti cascano i maroni zio pover ogni frase è seguita a ruota da una definizione da manuale istg a sto punto mi leggevo i miei appunti del liceo e stavo apposto.
Mi piace il fatto che lo spunto per far iniziare la trama è Antonio in una chiesa di Napoli che cerca di convincere il parroco a far seppellire la salma di Leopardi lì (e non farlo finire in una fossa comune), raccontandogli chi era e "che cosa ha dovuto passare". L'ho trovata un'idea molto carina (sviluppata comunque Rai style eh, ma almeno è carina)
Le poesie sono messe abbastanza ad cazzum e a un certo punto fanno un miscuglio di Ricordanza, Sabato del villaggio, A Silvia e boh dopo un po' ho rinunciato a provare a capire cosa stessero recitando. Le lettere praticamente mai citate e in generale la cronologia delle opere è confusa.
A Giacomo hanno dato tutte le sue centomila malattie, ma la gobba non andava bene ig...Me lo mostrano e dicono "ma non vedete quanto è malato?", però è letteralmente the most avarage kinda good looking man boh a sto punto cagatevi addosso che vi devo dire (che poi va beh i suoi problemi agli occhi durano due secondi e poi boom basta fine; tossisce 3 volte, vomita una volta e ha un attacco d'asma...MA LA GOBBA NO "PERCHÈ LUI È DI PIÙ DEL SUO ASPETTO" DEAR GOD)
Hanno inserito alcune chicche che non mi aspettavo (tipo la storia del Primo Amore o lui che dà ripetizioni a Bologna) e che ho sinceramente apprezzato. Avevo l'asticella terribilmente in basso e queste l'hanno fatta un po' salire (non di tanto eh, però dai almeno due cose le hanno lette). Solo che, tipo la storia del Primo Amore, le rovinano cinque secondi dopo allungandole in maniera priva di senso e che ti lascia lì tipo🤨🤨🤨
Monaldo è l'avarage toxic and emotionally incestous dad eccessivo a culo quando non era PER NULLA così. Like non era il best padre ever, ma era più un helicopter parent se vogliamo usare dei termini moderni. Nella serie lo dipingono come Satana e fanno abbastanza intendere che Giacomo lo odi a morte quando dalle lettere si evince l'opposto???
Adelaide invece è fin troppo passiva. A livello caratteriale ci siamo: è stronza come era e tossica come era, ma avrà detto boh due battute quando in realtà era ESTREMAMENTE influente nella famiglia.
Paolina e Carlo (gli altri fratelli dimenticati as usual ma non ci stupiamo più di sta cosa) sono fatti abbastanza bene ma molto superficiali
Pietro Giordani e l'editore Stella fanno spisciare; maybe un po' too much, ma sono stati iconici.
Ranieri oggettivamente perfetto è letteralmente lui gli hanno pure dato la cadenza napoletana. Frociate molto gustose e saporite che da quanto ho capito saranno il focus del secondo episodio.
Fanny for now è...boh ha detto tre (3) parole e poi basta💀 Il primo episodio finisce con Antonio e Giacomo che sono gasati perchè l'hanno conosciuta
Vediamo come sarà la seconda parte (terrore)
Bonus: scena cringissima dove a un ricevimento Antonio si finge Giacomo sotto il suo concenso, ma Fanny lo sgama e quando Leopardi rivela che era un prank lei dice tipo "per me è un onore immenso averla qua mi inchino davanti al suo genio" e tutti applaudono...💀
Bonus 3: scena dell'Infinito è lui che fa una corsa alla "Tutti insieme appassionatamente" in un prato SU UNA MONTAGNA quando il colle dove avrebbe composto l'Infinito è letteralmente dietro la casa della villa Leopardi ed è pubblico...ok...
stasera su rai 1 c'è il primo episodio di quella TERRIFICANTE serie su Leopardi...tremando di paura
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corallorosso · 3 years ago
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Avete presente Filippo Accetta, il genio no vax fermato dalla Digos di Palermo e indagato per la storia schifosa delle vaccinazioni finte e dei green pass falsi? Era fan di Salvini, partecipava alle sue cene quando gravitava in Sicilia e soprattutto stava per candidarsi con la Lega. Daje Salvini, per certa gente tu e la Meloni avete proprio il radar! La fredda cronaca. Accetta, nei primi giorni dello scorso mese di agosto, era tra i partecipanti alla cena con il leader della Lega Matteo Salvini al 'Taco Loco', un ristorante di Palermo. Una serata, riporta QN, “organizzata dal deputato regionale Vincenzo Figuccia, segretario provinciale della Lega a Palermo, al quale il leader no-vax era molto legato fino a due mesi fa”. Pare che poi il suo amore per la Lega, nelle ultime settimane, si fosse raffreddato. E non finisce qui. Ci sono anche video e manifesti che testimoniano il legame di Accetta con la Lega, in particolare quelli che mobilitarono il Carroccio per il referendum sulla giustizia con lo slogan 'Chi sbaglia paga'. Gran finale: Accetta era pronto anche a candidarsi con la Lega per le elezioni comunali della prossima primavera a Palermo. Nei volantini - che qui vedete - viene ritratto con la scritta 'candidato al Comune di Palermo 2022'. Qualche giorno fa, questo fenomeno ora indagato si era mostrato in un vomitevole video su TikTok in cui fingeva di vaccinarsi con una boccetta di un prodotto per il corpo della Johnson & Johnson. "Anche Filippo Accetta si è vaccinato Johnson - diceva nel video -, poi si dice che sono no Vax. Io mi vaccino perché credo al vaccino. Se non ci credete vedete. Mi sono vaccinato ora. Ho la febbre". Le matte risate. Com’è che (quasi) tutta questa gente moralmente irricevibile e schifosamente novax gravita nel mondo della destra? Che strana coincidenza… ******* Andrea Scanzi + foto dal web
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3nding · 6 years ago
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Il signore che vedete in foto è Andrea Fortis stando a quanto dice il suo profilo LinkeDin è il Direttore Generale di Estendo SpA.
Il Sig. Fortis sarebbe probabilmente da elencare tra quei capitani coraggiosi (sic.) dell’imprenditoria italiana le cui doti vengono esaltate ad intervalli irregolari da riviste e rubriche di Economia & Finanza.
La Estendo SpA offre un servizio sempre più reclamizzato, quello dell’estensione di garanzia.
Nel 2019 chiunque avrà purtroppo avuto modo di sperimentare la scarsa vita dei prodotti elettronici, la quale spesso termina in coincidenza col periodo di garanzia legale (cfr. obsolescenza programmata).
Se oltre confine ed oltre oceano la questione viene affrontata in vari modi, qui in Italia l’estensione di garanzia viene proposta contestualmente all’acquisto di un piccolo o grande elettrodomestico, facendo intendere al consumatore che il prodotto avrà la stessa copertura di legge estesa per altri anni.
Le cose non stanno così.
Come è possibile leggere dalle recensioni infuriate degli utenti, Estendo SpA più volte ha ritenuto impossibile riparare oggetti che avevano all’attivo pochi anni dall’acquisto (se ci pensate il massimo dell’estensione di garanzia acquistabile al momento corrisponderebbe a 2 anni, ovvero 2 di garanzia legale e 2 aggiuntivi con l’estensione), offrendo al cliente un buono spendibile unicamente presso l’esercizio in cui era stato acquistato l’oggetto, decurtato del valore dell’assistenza/analisi eseguita oltre ad un’ulteriore riduzione di una percentuale calcolata su base annuale.
Così alcune persone che avevano acquistato elettrodomestici per cifre anche superiori ai 600 euro si sono viste proporre buoni del valore di poche centinaia di euro, senza potersi rivolgere ad altri soggetti per valutare effettivamente l’entità della riparazione o poter scegliere se vendere l’oggetto rotto per parti di ricambio.
Perchè il vero colpo di genio (del male) non è quello di non offrire una reale estensione della garanzia, offerta in maniera mendace in negozio, quanto quello di appropriarsi di un apparecchio usato per poi poterlo rivendere pezzo per pezzo se non a peso.
Il contratto che viene stipulato con l’acquisto dell’estensione di garanzia è scritto appositamente per difendere la società da rivalse più che giustificate da parte del cliente.
Il problema a parer mio è che l’estensione di garanzia non viene mai proposta per come si presenta nel contratto, ma viene venduta come prolungamento della garanzia legale.
Quanto possa durare questa zona grigia che ha i contorni della truffa non saprei dirlo. In Italia potrebbe andare avanti ancora per molto considerate le armi sempre più spuntate delle associazioni dei consumatori (e sorvoliamo sul codacons che si occupa del Festival del Cinema di Venezia).
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ilquadernodelgiallo · 6 years ago
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...io andavo là appositamente per immagazzinare ancora un po' di immagini sue, la piega del retroginocchio, l'arco del piede flesso innaturalmente dal tacco sublime, la leggera gora di sudore sulla maglietta attorno alle ascelle... immagini potentissime, immagini del divino, quali poi elaboravo fantasticamente in vicende estenuanti, e che selezionavo già al momento di coglierle, epifanie di cui all'istante decidevo la gerarchia, costringendomi alla fuga appena giudicassi completo il bottino, non più suscettibile di un solo frammento di icona. Passiva, un velo di ottusità nello sguardo, lei si lasciava cartografare tranquilla, quasi incoraggiandomi: nondimeno ero così consapevole della sconvenienza che bastavo io a censurarmi, infingendo disinteresse o sfruttando, alla delibazione visiva, solo i momenti in cui ella guardava altrove o era occupata. L'intera sessione del resto doveva essere brevissima, anche se io la vivevo con l'animo del montaggista che scorre una scena fotogramma per fotogramma. Non ne seppi mai il nome, sicché dominava le mie fantasie da anonima o polinomia. [...] Insomma la situazione era questa: io ero principe della nostra-mia biblioteca e depositario di un crescente sapere; malconcio nella vita, rifulgevo nell'aristocrazia dello spirito; innamorarmi, mi innamoravo solo di angelelle incorporee, cui pensavo sotto la specie esclusiva dell'occhio e del sorriso, stilnovista ortodosso; dunque lì, in vacanza, accidentalmente esposto alle lusinghe del mondo terreno, potevo ben concedermi di scivolare verso il basso, nella concupiscenza di quanto aveva valore in quanto corpo, mero e spensieratissimo corpo: il che già, a prescindere dal censo e dal livello di istruzione, a prescindere dalla imopia e dall'ottusità, conferiva a quella creatura lo stigma dell'inferiorità: cui io mi prosternavo con la voluttà di chi si umilia, tanto più eccitandosi quanto più si umilia. Ella diventava così la Dominatrice, esosa proprio nella sua passività ed indolenza; anzi, che ignorasse le mie dinamiche era vieppiù entusiasmante, perché dava all'adorazione il vanto di un sacrificio gratuito. Quanto officiai, davanti a quell'ara? Quante oblazioni? Nauta naturata, non potevo offenderla: era un corpo. Le avessi attribuito uno spirito, il mio desiderio l'avrebbe abbassata e sporcata: così invece, lei schietta popolana, non c'era oltraggio. Non c'era oltraggio. [...] Quale meraviglia, la volgarità! Un ossimoro strepitoso ed irresistibile: Dea, ma Volgare! [...] Dopo qualche Mottarello vidi che lo smalto sulle unghie delle mani era tutto smangiato, ma quell'incuria non fece che soggiogarmi di più: essere lo schiavo di una tiranna sciatta, l'ebrezza! [...] con sgomento mi accorsi di non essermi mai chiesto dove e come avesse passato la prima parte della sua vita, quei quattordici-quindici anni alla cui altezza la vidi la prima volta. Letteralmente, l'avevo fatta nascere in quel momento, in funzione del mio desiderio. ________________________ Nacqui d'inverno, concepito in un raptus. Mia madre, tutto fuorché volgarotta. Solo talento e intelligenza, ma talmente autodistruttiva da diventare l'ultracorpo di se stessa, una perfetta macchina di dolore. Un anno dopo la sua morte, facendo ordine fra le sue disordinatissime cose, ho trovato un mannello di lettere di mio padre: vi era abbondantemente tematizzata, vi era, la di lui condizione di proletario vendicatore (una borsa su cinquecento): a riscontro, fra le righe, si poteva ricostruire il tema materno, la discesa sociale (eroico-gloriosa, ma pur sempre discesa): da allora lui non ha mai smesso di salire e lei mai di scendere: all'incrocio degli opposti vettori, l'incongruo amplesso, la gravidanza animalesca, la mia fuoriuscita dopo ventidue ore di travaglio stremante (così la leggenda, accresciuta di un'ora a ogni replica), nell'incuria delle ostetriche impegnate a sbafar panettoni, pizzicate le chiappe dall'esuberante portantino: essendo Natale. [...] Per non parlare del sotteso ricatto: vedete come siete fortunati? Mi sbatto di lavoro tutto il giorno [...], nondimeno trovo il tempo di farvi il pancotto buono: sicché noi, quello spolviglio di grana e quell'alloro lo pagavamo con un senso di colpa, quel tot che andava ad aggiungersi al senso di colpa basico per essere al mondo e a carico suo. [...] mia madre [...] cosa sollecitò nel bruto di genio? Un riconoscimento di genio con genio, o vaghezza del diverso? L'uno e l'altro, credo, ma più di tutto l'intuizione di poter disporre di una vittima intelligente, già pronta all'uopo (talmente già pronta che di lì a pochi anni, consunta come un osso di seppia, cessò di fungere). Nessun bisogno di dominatrici, in mio padre, tanto meno di zoccoli: ma l'avesse almeno domata come un mustang o un appaloosa! No, la trovò già domata: da se stessa, in spregio agli agi e all'intelligenza, proprio perché intelligente: farsi del male con ogni mezzo per consistere solo di intelligenza e talento, e scegliendo, a officiare, proprio chi di tali valori era vessillifero: per sapersi autorizzata ad essere artista, e bohémienne (via estetico-laica al martirio, dove si vede come alla fine, di stortura in stortura, abbia comunque prevalso la millenaria tradizione cattolica che si incarnava in mia nonna: Letizia: detta Titti: dama di San Vincenzo). [...] Un ragguaglio, qui, a chiusura del cerchio. Il riconoscimento maggiore venuto da mia nonna a mia madre è stato il suo essere "fine": seria, elegante, discreta, una personcina comme il faut. "Com'è fine tua madre". Sul Golgota, mani e piedi inchiodati, ma fine. [...] Postilla seconda: ingenuo entusiasmo di mio nonno all'idea di far incontrare, o comunque di mettere in contatto, i due illustri scrittori [Buzzati e Montale]: il prosatore e il poeta; il bellunese-milanese e il genovese-monterossino. Pare però, a quanto ho appurato, che entrambi, informati dello zelante progetto, abbiano cortesemente declinato: non potendo loro interessare di meno, chiusi ognuno nel proprio mondo, gelosi dei propri privatissimi mali di vivere - privatissimi, altro che universalità dell'opera d'arte. [...] Dietro a tutto questo, dentro, a tutto questo, il grande ricatto: NON SARAI INTELLIGENTE SE NON SEI TRISTE (tris'ci). Si misura qui l'estensione del danno, la sua profondità. Zitta zitta, semplicemente patendo, mia madre otteneva risultati patopedagogici che mio padre nemmeno si sognava, e come avrebbe potuto, lui che rapportava l'intelligenza al rigore, al cimento estremo, all'eccezionalità, alla diversità dagli altri? Qui, invece, la tristezza! Direttamente: non tristi-stremati angosciati come conseguenza dell'impegno all'eccezionalità, no, semplicemente-immodulatamente tristi, pre-tristi nell'utero. Il grande genio della psicologia non è Freud: è Pavlov. Lo so ben io, che al primo sospetto non dico di felicità (orrenda bestemmia) ma di pallido benessere mi sono sentito un traditore e un vigliacco, come osavo? Cosa fai, sorridi? Sei impazzito? E infatti, non ho mai osato, ho fatto il giapponese anche in questo senso, tenere l'atollo. Per una volta l'alterazione morfologica, nell'uso paterno, era inappuntabile: "quella tristanzuola di tua madre" (com'è fine la Iela - è slava - serissima: tristanzuola). Due modi diversi di essere seri, lui e lei: io credo di aver preso il peggio da entrambi. [...] se allora mia madre accennava al fatto che anche lei lavorava, e molto, mio nonno si indignava con mio padre: maltrattare una moglie va bene, farla lavorare no. Io lo ascoltavo affascinato, perché la barbarie ha sempre avuto una presa irresistibile sul mio spirito decadente [...] "Di' a Dino che lo saluto tanto", sarebbero state le sue parole a mio nonno, "ma che non son più la stessa, e che se mi vuol bene mi ricordi com'ero, fra le sue montagne". Può, un figlio, non piangere di fronte a una battuta come questa? Non può. ("Non son chi fui: perì di me gran parte").
Michele Mari, Leggenda Privata
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pangeanews · 6 years ago
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“Io rispondo: Cucù!”. Marino Moretti 40. In tre per ricordare il poeta che nessuno ricorda: il poeta, la fata, il saltimbanco
“Erano gli occhi di un uomo tormentato e terribilmente intelligente”: il mio incontro con Marino Moretti
È stato per qualche anno il mio vicino di casa a Cesenatico sul porto canale. Quasi porta con porta. Alcune volte, specialmente in primavera, vedevo che la sorella o la donna di servizio lo accompagnavano per una breve passeggiata. Un attimo e spariva dopo avere guardato le barche e, forse, pensato a suo padre. Ogni tanto arrivava da Milano, credo dalla Mondadori, una grossa automobile con autista che lo prelevava portandolo ad incontrare scrittori e poeti che arrivavano da ogni parte del mondo. Credo che fosse una specie di ambasciatore della casa editrice. Era senza dubbio un autore importante, molto più importante di quanto si credesse nel mio insopportabile paese di nascita. Negli ultimi anni, quasi alla stessa ora, verso le 14, entrava in casa Moretti il medico di famiglia, il dott. Lelli Mami, che è stato anche il mio medico e questo, credo, è stato per anni l’unico punto in comune tra il grande Marino e l’imbecille superficiale che ero. All’improvviso è cambiato qualcosa. Con Ferruccio Benzoni e qualche altra figura marginale che non voglio nominare, ho fondato la rivista Sul Porto. Risparmio la sua storia, non ne posso più di raccontarla. Sul Porto mi ha cambiato la vita, ma adesso basta. Comunque, a Marino era giunta la voce della rivista e ci ha voluto incontrare. Un pomeriggio ci ha ricevuto a casa e ho potuto guardarlo per la prima volta negli occhi rimanendone profondamente impressionato. Erano gli occhi di un uomo tormentato e estremamente intelligente. Ti guardava e sembrava farti i raggi X, forse ti leggeva dentro e credo che, alla fine dell’incontro, sapesse di me più cose di quante ne conoscessi io a quel tempo. Io non sapevo niente. Non lo avevo nemmeno letto. Ripeto: imbecille, superficiale, e aggiungo: ignorante.
Dell’incontro ricordo con divertimento la risposta che diede alla mia domanda da guascone: “Lei Marino ha fatto la prima Guerra Mondiale?”. E lui: “No, non mi hanno preso, ero troppo vecchio”. Nel 1915 era già vecchio. Cos’era allora quel giorno in cui ci ha offerto una bibita alla menta? Era un poeta di ormai novant’anni che scriveva Le Poverazze e Diario senza le date, due libri straordinari che ancora leggo scoprendo ogni volta cose nuove che mi lasciano come basito. Non è facile che accada, sempre più di rado. Ultimamente, in maggio, credo, ho recitato due sue poesie per la trasmissione radiofonica Fahrenheit su Radio Rai 3, durante una visita alla casa di Marino guidati dalla direttrice Manuela Ricci e ne vado orgoglioso. Mentre leggevo ero emozionato e in soggezione come un ragazzino. Bella cosa anche questa… Adesso sono 40 anni che è morto e sono 40 anni anche della mia vita senza sentire la presenza del mio vicino di casa e respirare in qualche modo l’aria che respirava. Sono convinto che siano le persone che ci abitano a fare le città e i paesi spargendo nell’aria e intorno la loro grande energia. Spariti Moretti e Benzoni, Cesenatico si è come spenta e raggomitolata in se stessa. Anch’io.
Stefano Simoncelli
*
Moretti vecchio è più giovane di tanti poeti giovanilisti di oggi. È sano tatuarsi sulla lingua questo distico: “Sono contento. Sono/ però sempre in agguato”.
Durò troppo – e fu memorabile. Due criteri altrimenti ad esigenza di genio – durezza, memorabilità – hanno spinto nel falò dell’oblio Marino Moretti. Chi lo legge più, oggi, Marino Moretti? Certo, la Casa Moretti di Cesenatico – terra avita di MM – fa quel che deve fare una istituzione culturale: un ciclo di incontri, una mostra di documenti, un po’ di teatro (vedete tutto qui). Gli accademici, insomma, fanno il loro gioco. Ma, brutalmente, un poeta muore quando non stampano più le poesie e devi andarlo a stanare in biblioteca, tra sguardi liquidi d’interogativi. E Moretti, troppo memorabile – “Piove. È mercoledì. Sono a Cesena” resta uno dei versi più celebri del canone italico – ha scritto troppo, fu uno dei grandi autori Mondadori, ora è relegato in un ‘Meridiano’ pieno di tarli – In verso e in prosa, classe 1979, tombale, per la cura di Geno Pampaloni. Neppure lo straccetto di un ‘Oscar’, una pubblicazione qualunque, entri in libreria e oggi di Marino Moretti c’è il nulla, perché? Eppure, fino all’altro ieri, fino a sbattere il muso contro la lapide, di Moretti s’elogiava tutto, anche la narrativa, non vertiginosa – fatta salva La vedova Fioravanti, da cui Antonio Calenda estrasse uno sceneggiato per la tivù – “Moretti possiede il dono più ambito per un narratore, quello dell’inventiva. Solo Pirandello, in questi decenni, gli sta a pari per copia e originalità di spunti”, scriveva, con troppa enfasi, Francesco Casnati. Ora, per esercizio di gioia più che di giustizia, metto in fila ciò che mi sembra buono di MM.
*Le parole di Carlo Bo, che definiscono il carattere ‘alieno’ di MM: “il ribelle e anarchicheggiante Moretti… finiva per suggerire una linea alternativa alla poesia più famosa e celebrata dei grandi del Novecento”.
*Il fatto che Moretti chiude con la poesia un secolo fa. Nel 1919 raccoglie per Treves le sue Poesie. Torna alla poesia, con rinnovata furia, cinquant’anni dopo: nel 1969 con L’ultima estate, poi, soprattutto, con Le poverazze e Diario senza le date, tutti pubblicati da Mondadori. I libri più belli, in cui non c’è niente da perdere, il detto del sopravvissuto. “La sua invenzione poetica è tutta proiettata a battere con lo scalpello, a respingere la parte morta della vita, il convenzionale, l’insincero, l’inessenziale. Dice di no ai letterati e ai potenti, a chi gli offre la laurea e a chi lo invita alla firma di un manifesto… si vanta dei propri insuccessi; quando fanno l’appello, si fa dare assente” (Pampaloni).
*Questo stare di spalle, nella cella, cercando la parola che fa rumore, senza presa retorica, nell’isolamento dei beati. “Moretti ebbe un’esistenza solitaria, integralmente vissuta come proiezione letteraria, fra esaltazione e vittimismo, e assunse lo pseudonimo Aliosha, tratto dai Fratelli Karamazov di Dostoevskij” (Marino Biondi). Altri avrebbero scelto Ivan, il campione nichilista, oppure ‘Mitja’, l’uomo moderno crudo al patire e all’amare. Il candore chiede coraggio moltiplicato.
*Ha risolto il passato in un refolo di carta, l’ironia gli ha fatto scoprire che il viso del futuro, in verità, è ustionato, quasi un vuoto, un buco nell’osso.
*Nella vecchiaia, la continua, estenuata analisi di sé e dei propri specchi e delle proprie proteiformi e vipere immagini. Con una lingua che cerca, senza sotterfugi sperimentali, l’aguzzo bianco della parola, che non si sa se è bramito o musica, se è poesia o natura, verbo o fruscio d’albero. “Io sono come un goloso/ che s’imponga un digiuno/ per essere qualcuno”; “Quello che sono ignoro e dovrai pure/ ignorarlo anche tu”; “Io non son come gli altri e mi dispiace”; “Dell’erotismo io non so quasi niente/… ma il sesso, dico, fiore della carne,/ è innocente,/ è innocente”; “Vecchio libidinoso, non c’è nulla/ di più moderno della tua vecchiezza”; “Eccomi illeso e senza disinganni./ Così ho finito: ora dimenticatemi”. Le rivelazioni accadono come filastrocche, cose durissime vengono dette come zucchero filato. Moretti riduce il labirinto lirico in un sentiero – pur pieno di mostri, di sfingi.
*Devo dire. Mi piace questa definizione di Giorgio Bárberi Squarotti, che parla del lavoro di Moretti come di “obbedienza assoluta” a “ciò che è piccolo”, come di “scandalo del troppo basso”. Lo scandalo non è nello scandalistico o nello scandaglio nel fango – che è già opzione retorica. È questa povertà, la dizione spoglia, il mendicare una nudità ulteriore. “L’opera in versi di Marino Moretti… è l’esempio più intrepido e strenuo della riduzione del discorso poetico al grado zero della semplicità più scoperta, più determinatamente ricercata, più calcolata nel respingere ai margini ogni tentazione espressiva, ogni allegoria, ogni dottrina, ogni richiamo anche remoto e indiretto alla tradizione o a modelli alti. Moretti proprio nulla deve a d’Annunzio e neppure al conterraneo Pascoli… È davvero l’esempio di un’obbedienza assoluta, perfino eroica, al canone della rappresentazione di ciò che è piccolo, modesto, provinciale, depresso… La poesia abdica totalmente a se stessa in Moretti… è lo scandalo del troppo basso, davvero agli antipodi rispetto al sublime pascoliano e dannunziano, e anche all’ironia di Gozzano”. Questa abdicazione senza agnizione mi affascina.
*Un distico che vale per ogni poeta, come l’apice di una disciplina. “Sono contento. Sono/ però sempre in agguato”. Moretti, plurivecchio, quarant’anni dopo, mi suona molto più giovane di troppi poeti che la reiterata gioventù ha reso stantii, conformi, esangui.
Davide Brullo
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Sole, sfortunate, sfibrate, in convento, né giovani né belle: repertorio delle donne di Moretti (con amarcord dal liceo di Fidenza). Attenti, però: i poeti sono gazze ladre, non offrono la verità, la rubano!
Quando studiavo alle superiori la poesia crepuscolare immaginavo giovani poeti, un po’ disadattati, tristi ed emaciati, ammalati di vita e di innocenza. Oggi dai media sarebbero definiti nerds, probabilmente più simili ai miei compagni del liceo classico Gabriele D’Annunzio, che ai contemporanei Fabrizio Corona o Fedez. Il liceo classico Gabriele d’Annunzio aveva solo due sezioni e queste erano frequentate soprattutto da ragazze. Quei pochi maschi presenti, si distinguevano per un perenne accenno di baffo, per il fisico o troppo gracile o troppo pronunciato. Insomma nessuno di loro poteva vantare all’epoca un fascino da sciupafemmine come i loro coetanei degli istituti tecnici. Ancora più dello scientifico il Gabriele D’Annunzio era la scuola frequentata dai figli dell’upper class di Fidenza, una cittadina famosa per essere stata bombardata quasi completamente durante la Seconda guerra mondiale. Da quella tragica esperienza, però era rimasto immune il Duomo del XII secolo e, solo durante gli anni Novanta, quando noi liceali dovevamo scegliere tra una laurea in Giurisprudenza a Parma o a Lettere a Bologna, l’amministrazione scopriva che quella chiesa sorgeva lungo la via Francigena, itinerario noto nel medioevo e ora fortuna per il turismo locale.
Se cresci in una città come Fidenza, dove gli abitanti si sentono comunità, dove tutto resta uguale e i giovani hanno il pub come alternativa alla noia, è naturale che molti di noi siano po’ crepuscolari, sospesi tra i non detti, il vorrei ma non posso. Indecisi tra l’arrendersi ad una condizione bigotta e conservatrice, ma comoda e il salto nel vuoto di una grande città. Così, i miei amici, ancorati alle tradizioni e alla famiglia, hanno deciso per le lunghe estati presso la piscina Guatelli, le umide feste paesane con tanto di retorica terzomondista e le scuole private cattoliche per i figli (perché l’equosolidale va bene solo se preso a piccole dosi come il caffè del Nicaragua). Insomma, hanno abbracciato quelle buone cose di pessimo gusto, incapaci di scelte rivoluzionarie e coraggiose, preferendo a Che Guevara il circolo privato di tennis. Noi, invece, figli di un dio minore, devoti a Guccini e Ligabue, siamo rimasti schiacciati tra sogni di gloria e una realtà politica che diventava sempre più deludente e autoreferenziale. Eppure “Noi credevamo”: credevamo nei Progressisti, nell’Ulivo e nell’impegno delle manifestazioni; abbiamo cercato di cambiare il mondo senza immaginare che il mondo invece avrebbe cambiato noi. Sarà per questo senso di impotenza che mi è restato incollato addosso, che amo particolarmente i poeti crepuscolari. Ho conosciuto tanti Guido Gozzano, Sergio Corazzini e Marino Moretti, gente dalla testa piena di sogni. Ovvero i Totò Merumeni della porta accanto con cui si discuteva di politica seduti sulle panchine della piazza Garibaldi. Nel 1910 sulle pagine del quotidiano La Stampa, il critico Giuseppe Antonio Borgese, presenta Guido Gozzano, Fausto Maria Martini, Carlo Chiaves e Marino Moretti, come poeti crepuscolari. Artisti che non hanno nulla da dire e nulla da fare, ma se siamo ancora qui a insegnarli nelle nostre classi forse qualcosa di buono hanno detto. In particolare trovo intrigante Marino Moretti per la sua discreta ambiguità.  Ha uno strano destino, cosa non di poco conto per chi come me legge i segni e interroga gli astri: nasce il 18 luglio 1885 e muore il 6 luglio 1979 a Cesenatico. La coincidenza di nascere e morire nel pieno dell’estate mi è sempre sembrato un affronto, una presa in giro da parte del destino. Inoltre nelle antologie per le scuole superiori viene spesso solo nominato come esponente della corrente crepuscolare, nonostante si caratterizzi per una sua profonda originalità. Malinconico, ma anche ironico e irriverente verso un mondo in bilico tra nostalgia e desiderio, in alcuni versi mostra una gran voglia di trasgressione. Un forte desiderio di vita. Altro che “animula” o “disperato pellegrino”.  In particolare mi riferisco all’assoluta modernità di Moretti in Ti ribelli (dalla raccolta Poesie scritte col lapis) i cui versi raccontano di abbracci sensuali e ricerca di emozioni d’alcova, più vagheggiate che realizzate.
Ti ribelli? Ti ribelli? Ma come? Non sai che sei La mia schiava e ch’io potrei afferarti pei capeli? Io son colui che ha la bava Qui qui tra labbra e gengiva e tu sei ben remissiva e tu sei ben la mia schiava.
Come suonano strani questi versi, soprattutto se penso ad un poeta che rifiuta l’orizzonte carnale dannunziano! Quanto contrastano con la domestica pigrizia pascoliana, in cui mamma e sorella sono le uniche donne degne di amore. La poesia, però, ha il brutto vizio di celare più che di rivelare. E chi afferma che sia specchio del cuore, forse non sa che, chi scrive versi, è come una gazza ladra: non offre, bensì ruba la verità. Chissà quale verità celava Moretti quando in Più vecchia di me, raccontava del suo amore adolescenziale per una signorina di dieci anni più anziana. Questa donnina, ormai rassegnata ad un’esistenza grigia, dopo la morte del fidanzato per pleurite e privata delle gioie del talamo, diventa una tentazione per questo timido poeta “giuro che sei la prima… la prima donna che…”. Ovviamente l’ellissi del verso finale non lascia dubbi sull’intenzione…
Quando racconta l’universo femminile, Moretti spesso si riferisce a figure di donne incontrate nella sua infanzia. Ha ben presente la figura materna, le suorine del collegio, la maestra di piano e la signora Lalla. Quadretti di donne di provincia, un po’ dimesse e perdute nei loro ricordi. Un posto privilegiato nel suo cuore è riservato alla sorella, presso la quale si reca in visita a Cesena.  Nella poesia A Cesena, è ormai una donna sposata e solo apparentemente felice. A Moretti, infatti, sono sufficienti pochi gesti di lei, il tono più alto di voce, le parole che le escono dalla bocca veloci come il vento, per capire che in fondo quella non è altro che una serenità ostentata.
In realtà sembra che nelle poesie di Marino Moretti non ci sia posto per la felicità delle donne: sono sole, alcune in ristrettezze economiche, altre rintanate in convento oppure come nella Figlia unica la figliola viene descritta impietosamente arcigna, beghina, poco avvenente, costretta suo malgrado a sottostare al controllo di mammà (nonostante dentro di lei arda il desiderio per un uomo). Per Moretti l’amore, quello sensuale, resta out. Resta un miraggio lontano, un desiderio inespresso come in Diva. Un capriccio di lei smorzato nel rifiuto di lui. Un malizioso tentativo di seduzione da parte di una ragazzina fin troppo sveglia verso il giovane poeta, giocato con l’offerta di una sigaretta al posto della mela, che ovviamente Moretti non può e non vuole cogliere.
Mi chiedo, infatti, se la risposta del perché Marino Moretti abbia raccontato in modo così impietoso il suo universo femminile fatto di figlie al capezzale della madre, di donne né giovani né belle, prive di grazia, di signorine quarantenni in perenne attesa di un cavaliere, non sia da cercare nei versi dedicati all’amico Poggiolini. L’amico dal mite sguardo di fanciulla.
Ilaria Cerioli
***
Io sono come un albero sempre verde, mai nudo. Io mai fui nudo e crudo, mai mi màculo o àltero. Per quanto ho gusto e fiato dono, sprono, perdono. Sono contento. Sono Però sempre in agguato.
*
Dall’A alla Zeta
Chi ti contende il nome di poeta? Chi ti vuol tutto ormai risolto in prosa? Che cosa sei, che cosa, se nell’arte minore che ti agghiaccia quello che sai lo sai dall’A alla Zeta, e di ciò il cruccio ti si vede in faccia insieme ai segni delle tue rancure?
Io rispondo: Cucù! Quello ch’io sono ignoro e dovrai pure ignorarlo anche tu.
*
L’altro me stesso
L’altro me stesso guarda il suo giardino, guarda le cose intorno, sorride a queste cose, al verde, al giorno, a tutto come quando era bambino. E qui sente che il tempo s’è fermato, che s’è come staccato da tutto il resto e la morte è lontana, e che ogni attesa è vana, se non esiste più ora e stagione, ma soltanto quel bosso e quel giardino.
Perch’io son quel bambino con la sua sfida nella mia prigione.
*
Io non mi dolgo di non inventare la mia modernità, ché il moderno e l’eterno non mi prendono alla gola, e il mio dramma non è questo. E che sia più modesto non lo sorprende anche perché lo sa. C’è un altro in me ch’altre più cose sa.
Marino Moretti
L'articolo “Io rispondo: Cucù!”. Marino Moretti 40. In tre per ricordare il poeta che nessuno ricorda: il poeta, la fata, il saltimbanco proviene da Pangea.
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itsyourstairwaytoheaven · 6 years ago
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Il Festival delle Polemiche, Resoconto ed Epilogo
Tra le tante cose, la 69° edizione del Sanremo verrà ricordata per le sue tante polemiche, prima dopo e durante il festival; polemiche ovunque, specie nei social, anche qui su tumblr stesso, l’ho visto io personalmente con i blog che seguo o con i blog che hanno ricondiviso i miei stessi post.
Fino a quando si rimane in tema (più o meno) musicale, ci sta tutto; ci sono i gusti, le impressioni personali, i propri punti di vista. Quando dalla musica si passa a complotti e discriminazione ecco che le cose cominciano a un tantino a sfuggire di mano.
Partendo da Mahmood, perchè ha vinto? Per la globalizzazione, i rapporti con il mondo arabo, per far rosicare Salvini; bah mi sembrano tutte grandi cazzate, l’italia è un paese man mano fatto da sempre meno “italiani” (di origini), ma fino a quando canta italiano, parla in italiano e non fa nulla di male, non gli si può dire nulla; la canzone è discutibile ma de gustibus.
Sia nei social che in tv, le reazioni a lui e alla sua canzone erano molto positive quindi se ha vinto lo hanno voluto in tanti; non cominciamo a dire le solite cazzate “sanremo truccato”, non penso sia pulito pulito al 100% ma ogni anno chi ha vinto aveva un bel successo sociale in quel momento tanto da poter permettersi di vincere, poi beh “la gente non sa quello che vuole” e la moda spesso fa abbastanza schifo, ma tanto si è visto per molti vincitori che fine hanno fatto dopo il festival e in che fama nuotano ora: vedi Marco Carta, vedi Valerio Scanu
Invece altri vincitori recenti pure contestati seppure secondo me più che meritati: cosa c’è da ridire sulla ship Meta-Moro?, Gabbani “il tizio con la scimmia” che per ovvi motivi ha avuto un maggiore impatto visivo ma in fondo la canzone aveva un suo stile particolare e un suo significato profondo(certo Fiorella Mannoia avrebbe pure potuto meritare il suo posto come anche Ermal Meta, è stato un bel podio quell’anno), ma anche quando vinse Vecchioni molti si lamentarono, la sua canzone era un inno alla vita e all’amore...
Perchè di inni alla vita oppure semplicemente canzoni di protesta anche in questa edizione ce ne sono stati e a quanto pare il pubblico non è riuscito a capirlo ma questo è un altro discorso, meglio per molti fare la classica canzonetta d’amore perchè almeno quella è nello stile sanremese.......
Comunque, io do “ragione” a Salvini perchè avrei preferito vincesse Ultimo in quel momento(tra i tre finalisti, perchè in generale per me nessuno dei tre avrebbe dovuto raggiungere il podio, c’era di meglio, specie se poi vinceva Il Volo come se avesse portato quasi la stessa canzone e avesse vinto di nuovo...); Non do ragione a Salvini se doveva vincere Ultimo “perchè mahmood è un egiziano, forse pure gay”, che di egiziano ha il padre ma sta in italia, parla e canta italiano quindi il problema non sussiste; motivo per cui non ho apprezzato Nino d’Angelo, una canzone tutta o quasi in napoletano(poi sono gusti anche qui), è il festival della canzone italiana non napoletana (creiamo altre polemiche yeee).
Penso sia abbastanza palese che occorre una bella modifica alle legge elettorale sanremese e non solo a quella, così non va, le percentuali vanno cambiate, ma anche la giuria va cambiata: una giuria d’onore composta da 8 persone di cui 1 solo musicista, che devono votare la musica, mh... (già solo pensare che tra quei 7, uno è Joe Bastianich...) Senza contare il fatto che le band(vedi Negrita) a sanremo non arrivano mai veramente in buona posizione salvo rari casi (Elio è un genio, lui può tutto), ed è un peccato...
Poi beh, 6 premi divisi tra Ultimo, Cristicchi e Silvestri(1, 2 e 3); nessuno di loro ha vinto, due di loro non sono nemmeno nel podio, beh anche questo fa comunque pensare, perchè sì che ognuno ha i suoi gusti diversi da chiunque altro e ci sono tanti premi e “tante” giurie però così fa strano...
Una cosa sicuramente buona di questa edizione è la varietà (non poi così tanta ma comunque maggiore degli anni scorsi) dei generi musicali, trap, rock, pop, pop opera, rap... Si spera che la cosa continui anche nei prossimi festival perchè non c’è scritto specificatamente “festival della musica popolare italiana”, piuttosto invece diventa spesso sinonimo di “...musica commerciale italiana”, però resta il fatto che sia il festival musicale italiano più importante di tutti e va sfruttato al meglio e meglio, dovrebbe essere il trampolino di lancio ma anche il momento da aggiungere alla propria carriera, coloro che lo hanno già vinto e partecipano all’ennesima volta, perchè? Ne hanno veramente bisogno? No, per quanto rispetti Nek e Renga per dirne due; certo probabilmente non vedrò mai i Lacuna Coil a Sanremo ma la speranza è sempre l’ultima a morire...
Così è finito, tante polemiche, tante banalità, poco di veramente buono da prendere, si spera sempre in qualcosa di più decente per l’anno prossimo e nel mentre chissà quanto in basso ci classificheremo all’ESC 2019, poi beh se Mahmood arriva tra i primi, buon per lui e buono per l’italia, non ho nulla contro di lui, semplicemente non era nella mia top 10 dei concorrenti di quest’anno
Quindi in fin dei conti: se avete polemiche, prima pensateci bene, poi vedete se è il caso di aprire bocca. (se gioite per Mahmood come “arma” contro Salvini, avete non pochi problemi e a me Salvini sta sul cazzo)
Pace e Amore, speriamo in un prossimo Festival (specie nel 2020 che sarà il 70°, numero importante quindi) organizzato e presentato e arricchito MOLTO meglio e magari con ospiti decenti, è il festival della musica italiana ma se inviti stranieri purchè musicisti e ti risparmi certi “comici” non azzeccati per quello che è l’evento, forse non sarebbe poi tanto male. E con Baglioni due anni sono stati sufficienti, mo cambiamo per favore, sia lui che i coconduttori che presi singolarmente sono simpaticissimi ma insieme anche no, con sketch molto penosi salvo pochi; insomma o più intrattenimento ma fatto bene o più musica ma di livello, non un po’ e un po’ entrambi scarsi e MOLTO prevedibili, o comunque inferiori rispetto a ciò che potrebbero permettersi, con tutto il rispetto per tutti i vari ospiti musicisti che ci sono stati che sicuramente hanno lasciato la loro grande impronta nella musica italiana però, c’è di meglio...
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recensioniyoungadult · 5 years ago
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LUI CUORE RANDAGIO - Veronica Deanike, RECENSIONE
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Titolo : LUI CUORE RANDAGIO Autore : Veronica Deanike Casa Editrice : Self Vuoi ricevere in anteprima le nostre uscite ?
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Recensione
LUI CUORE RANDAGIO – Veronica Deanike Generalmente leggo la trama prima di scegliere un libro, in questo caso devo ammettere di essermi fatta incantare dal solo titolo:  Lui, cuore randagio. Un titolo scarno, che ti porta a farti tante domande, una storia che fuga ogni dubbio.Lui, un soldato, un mercenario o un assassino? Un uomo bravo nel suo lavoro, ma che ha sofferto tanto e ha preferito chiudere le porte al mondo e ai sentimenti finché il suo amico non ha bisogno d’aiuto.“Che il cielo mi fulmini se dovessi permettere  a un’altra donna di starmi vicina al di fuori di una scopata.-Stai scherzando, vero?- Non ci fu bisogno di chiarire il concetto. Sapeva che quella era una bastardata.-Non voglio femmine in mezzo alle palle-scandii ad alta voce.”Lei, la bambolina soldato, la spina nel fianco di Lui oppure qualcosa di diverso? Lei che non si è mai sentita accettata, mai nel posto giusto, che ruolo avrà nella vita di Lui?“Sono un bravo agente e questa missione è l’occasione giusta per mettermi alla prova. Non permetterò che mi venga negata solo perché, tra le gambe, non ho l’uccello.”Io non amo dare spoiler delle storie che leggo, preferisco cercare d’incuriosirvi, e di materiale per farlo in Lui, cuore randagio ne ho trovato a iosa.I tentativi di Lui di farla desistere dal suo proposito, il modo di Susan di sfidarlo, il sesso, la missione, il sangue … Tutti aspetti ben sviluppati e raccontati in modo chiaro e ricco di particolari.“Siete proprio coglioni voi maschi. Basta recitare la parte della femminuccia cretina che sbava ai vostri piedi, impaurita bisognosa d’aiuto… e non vedete ciò che si muove davanti ai vostri occhi.-Bella mossa. Temevamo l’Holub sbagliato. Era la bambinetta il regista di tutto quel casino.”Non essendomi preoccupata di leggere prima la trama, mi son trovata ad aver letto il terzo libro di una serie senza aver letto i precedenti, ma essendo  autoconclusivi non ho avuto problemi. Non conoscevo neanche l’autrice e devo dire che l’ho apprezzata molto, il linguaggio, il modo di descrivere le loro sensazioni, una storia davvero ben scritta.Lui, cuore randagio è una storia piccante e romantica al punto giusto che vi consiglio vivamente, magari iniziando la serie dal primo libro Lo scozzese. SCOPRI IL NOSTRO TEAM Vuoi ricevere in anteprima le nostre uscite ?
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Trama
LUI CUORE RANDAGIO – Veronica Deanike Il senza nome. Tutti lo chiamano “Lui”. L’espressione severa, scolpita su un volto bellissimo ma dal sorriso ambiguo.Sul petto, due croci: un passato che non può dimenticare. Le sue mani sono sporche; lo sono, senz’altro, la sua coscienza e quel cuore randagio che vaga, rinnegato, senza casa. La vita gli ha dato una seconda possibilità. Ora, deve decidere se stare dalla parte dei buoni o dei cattivi. Davanti a lui c’è ancora una squadra, un dossier da studiare, una missione da compiere, uomini da addestrare e poi… c’è lei. L’agente Miller. Una spina nel fianco. Il cervello di un maledetto genio e il corpo di una dea. “Bambolina soldato” la chiama, per irritarla e convincerla a sparire dalla sua vita. Ma quella donna è testarda, tenace e fottutamente arrogante. Bella? Sì, il tenente Miller lo è, ma a lui non interessa affatto. Se non fosse per il piccolo, insignificante dettaglio di immaginarsela nuda in qualunque momento di ogni dannata ora che sono costretti a trascorrere insieme. Avrebbe concluso la missione. Tutto sarebbe finito. Scomparso. Anche quella malata ossessione che aveva il dovere di ignorare.Lui, Cuore Randagio è l'ultimo di una serie di tre libri auto conclusivi, collegati tra loro da personaggi secondari e dalle ambientazioni. In ordine di pubblicazione: Lo Scozzese, Englishman e Lui, Cuore randagio LUI CUORE RANDAGIO – Veronica Deanike Buona lettura, Jenny. Se ti è piaciuta questa recensione ti consiglio di acquistare questo libro direttamente su Amazon  Cliccando qui Ringraziamo di cuore a tutti quelli che continueranno a sostenerci seguendoci e per chi farà una piccola donazione! Grazie di cuore! SERVIZI ONLINE PER IL TUO LIBRO Vuoi ricevere in anteprima le nostre uscite ?
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io-tra-me-blog · 8 years ago
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MyWorld
Sapete un giorno presi un gran bella botta, wow che botta, mi prese contemporaneamente al cervello e al cuore, ma da quel giorno credo di aver imparato sempre di più da me stesso e di essermi risposto a domande a cui non avevo mai dato una risposta. Mi sento così strano, così diverso, ma la cosa è così piacevole.. se non fosse per la solitudine. Vedete nel mio mondo tutto ha dei significati diversi, la furbizia si chiama egoismo, l'egoismo si chiama sfiducia, la sfiducia si chiama paura e nel mio mondo la paura non esiste. Nel mio mondo c'è una gran cartello di benvenuto adatto per tutti ma stranamente non entra mai nessuno, nel mio mondo il lavoro è un gioco, la stanchezza una sfida e l'amore è l'aria, ma non l'amore nei confronti di una persona, l'amore nei confronti del prossimo. Nel mio mondo tutto può essere sdrammatizzato perché non esiste un punto del tutto negativo e neanche un punto del tutto positivo ma solo tanti attimi di totale contrasto di essi. Perché la positività ti dona una strada ma la negatività ti insegna il percorso superato da essa. Da qui nasce il mio stranissimo contrasto. Insomma io mi considero Un bambino, positivo, scherzoso, ingenuo, amorevole ma che ha una strana passione e curiosità nel mondo dell'occulto, della negatività e della tristezza. Un mondo nella quale feci un passo poco tempo fa e devo ammettere che se non fossi entrato in questo mondo tetro e negativo non avrei mai capito di essermene costruito uno quasi del tutto positivo. Dico quasi del tutto positivo perché per me la positività non sta nel fingere che ogni cosa vada bene ma sta nel sapere accettare anche le cose storte e saperle prendere dal giusto punto di vista. Ora finalmente ho un mondo tutto mio, un mondo con la quale posso convivere e che non ho intenzione di abbandonare per nulla al mondo, ma nella strada che porta al mio mondo ci sta un altro mondo, il mondo dei grandi. Un mondo pieno di quelle persone che sono soddisfatte di crescere, che hanno piacere nel provare apatia nei confronti dei giochi infantili che ci potrebbe anche stare perché un mondo di bambini sarebbe proprio ingestibile ma credo che molte di quelle persone ormai grandi abbiano scoperto troppo tardi che quel mondo non è quello che avrebbero scelto per tutta la vita ma solo per una frazione. Nel mio mondo ognuno è speciale, deve solo capire come utilizzare la sua forza, non sei un genio se vai bene a scuola, non sei un fallito se non lavori e non sei un apatico se non ami ma le mie porte sono chiuse agli ignavi, perché tutto si muove se ti va di farlo muovere altrimenti è il mondo a muoversi per te e ti chiude. Il mio mondo non è brutto, è un posto meraviglioso dove le ferite non fanno quasi mai paura anzi sono ben accette. Ma il mio mondo non l'ho costruito da solo, nasce da un progetto magico, un progetto che svela la parte piccola di ogni persona è la colloca nel mio mondo, questo progetto l'ho creato insieme a lei, lei che quando io facevo il finto grande, era una bambina sorridente, solare, scherzosa e ingenua, mi sentivo così grande. E quando lei non volle più stare nel mio mondo così noioso e stereotipato se ne fece un altro e io rimasi con il mio mondo pieno di grandi uffici e tanti rancori che a poco a poco in memoria sua sparivano per dare spazio ad immensi parco giochi e arie di risata. Che mondo eh. Ora in questo mondo governo solo io e ci stanno tantissime persone li, davanti ai miei cancelli con tante medaglie e tanti meriti, ma loro non entrano nel mio mondo per darmeli, loro pensano che io sia un imperatore del mondo perfetto ma non hanno comunque voglia di entrarci. E allora perché in un mondo perfetto nessuno ci vuole entrare? Diciamo che gli uffici sono spariti ma la foto della persona che creò il progetto è ancora lì, accanto al posto del re.
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cerchiofirenze77 · 8 years ago
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Evoluzione dopo il trapasso
Estratto dal libro "Le grandi verità ricercate dall'uomo.
La liberazione dall'irreale
D. Che cosa s'intende per « evoluzione « dopo il trapasso? Che cosa accade, a vari livelli di evoluzione, nei piani più sottili dell'essere? Come vi si svolge l'esistenza?
Quando l'uomo è incarnato non si accorge di imparare tante esperienze, concentrato com'è su quella che dice essere la sua infelicità, preso com'è dal meccanismo della vita. Solo dopo il trapasso comprenderà appieno l'utile che ha tratto incarnandosi. Solo allora si svolgeranno nella sua mente le vicende di quella che fu la sua esistenza ed egli ne raccoglierà il succo, cioè l'esperienza, che porterà poi sempre con sé. Allora comprenderà quale fu il suo karma, quali le illusioni sulle quali si soffermò; mediterà su tutto ciò fortificandosi nell'esperienza, che sarà da lui assimilata. La vita è un processo di miglioramento attraverso una scelta continua.
Scegliendo l'irreale, ciò che non può appagarlo, l'uomo soffre ed impara una lezione tanto triste quanto utile: impara a discernere il Reale dall'irreale, ciò che desta in lui la divinità da ciò che lo conduce lontano e lo illude; e, alla luce di questo discernimento acquisito, disciplinerà i suoi desideri, distruggendo il suo desiderio egoistico: perché l'egoismo è una irrealtà.
Così, a poco a poco, l'uomo si libera dall'illusione, che è una forma di evasione creata dal desiderio egoista che cerca conforto. E su questa via procede al raggiungimento del puro essere, che, non conoscendo le barriere della separatività, ha raggiunto l'espansione del suo Io Divino.
La purificazione nel piano astrale
Il concetto di evoluzione dopo il trapasso sta per quel ciclo che l'individuo compie dopo che ha abbandonato il veicolo fisico. Cielo che non è identico per tutti gli individui, naturalmente: per gli individui che avevano forma animale nel piano fisico, per l'uomo, per il superuomo.
A rigore, dobbiamo dire "diverso per ogni individuo" perché ognuno di noi, dopo una incarnazione, segue un suo ciclo a seconda dell'evoluzione, delle esperienze, dei desideri, dei pensieri che ha avuto nell'incarnazione ultima. Non solo, ma questo ciclo è diverso per l'individuo da un trapasso all'altro, da una vita all'altra.
Vorrebbe dire, "evoluzione dopo il trapasso ", il tempo che l'individuo impiega a liberarsi dei suoi veicoli inferiori, ossia il corpo astrale e il corpo mentale.
Così, se incontriamo nel piano astrale un individuo che ancora non abbia abbandonato il suo veicolo astrale, ciò non significa che quell'individuo sia evolutivamente inferiore ad un altro che possiamo incontrare, quello stesso momento, nel piano mentale: può infatti darsi che chi è in questo momento nel piano mentale sia trapassato prima di colui che in questo momento stesso si trova nel piano astrale. Evoluzione, in questo senso, ha un significato completamente diverso da " evoluzione spirituale ".
I paradisi del piano mentale
Dopo il trapasso, l'individuo ha una evoluzione che segue un ciclo di rinnovamento, o anche, se questo vi chiarisce meglio, di purificazione.
Una volta abbandonato il veicolo astrale, e con ciò assopiti i desideri insoddisfatti, le facoltà mentali dell'individuo sono più pronte e chiare. L'individuo può così rivedere e riflettere con più chiarezza sulla sua ultima incarnazione.
E' il momento in cui trova spiegazione a tante domande, riguardo agli eventi della sua trascorsa vita terrena, che si era fatto e durante questa e dopo il trapasso. Questa rinnovata facoltà mentale spinge l'individuo, se il suo temperamento glielo consente, a ricercare la spiegazione di altre cose che desidera o desiderava capire.
Gli studiosi hanno nel piano mentale il loro paradiso: qui l'individuo può erudirsi ed appagare la sua sete di sapere più di quanto potesse farlo da incarnato.
E di tutto quello che l'individuo impara nel piano mentale, che cosa rimane? Rimangono i frutti delle riflessioni circa il significato della sua vita: rimane, sotto forma di impulso o facilità ad apprendere in una prossima incarnazione, quanto l'individuo ha potuto conoscere e sapere nel piano mentale.
Non sarà mai, però, che un individuo possa evolvere spiritualmente ed iniziare qualcosa di nuovo nel piano mentale, o comunque dopo il trapasso, perché se ciò fosse la vita sul piano fisico non avrebbe più significato.
I plastici del desiderio
Prendiamo un uomo di media evoluzione. Dopo il trapasso costui soggiornerà nel piano astrale e, quindi, nel piano mentale: qui potrà meditare e riflettere, avere ancora una vita di pensiero ma solo per trarre il succo delle esperienze incontrate nella precedente incarnazione, senza fare nuove esperienze, senza aggiungere molto al suo retaggio: potrà solo assimilarlo e trarne il massimo insegnamento possibile poiché, per l'evoluzione in forma umana, è necessaria la vita sul piano fisico. Fino a che non sia costituita, formata completamente la coscienza, per evolvere è necessario incarnarsi. Quest'uomo di media evoluzione che trapassa, che abbandona il proprio veicolo fisico, nel piano astrale è sottoposto a diversi modi di vita.
Inizialmente avrà un "riposo"; poi passerà in quello stato che abbiamo detto di "purificazione", cioè dovrà abbandonare il proprio corpo astrale; e per ognuno dei sette sottopiani, per ogni materia che è cioè oggetto di un sottopiano nel piano astrale, egli avrà un periodo più o meno lungo di purificazione a seconda dei desideri che si sono ripercossi o che interessano quella densità di materia.
Ma che cosa vede?
Ciò che vede non è sempre "oggettivo". Intendo dire questo: nel piano fisico la vostra visione, pur essendo soggettiva, ha tuttavia una certa oggettività in quanto voi vedete ciò che circonda il vostro veicolo fisico, poiché avete i sensi fisici sviluppati. Ma non avendo l'uomo di media evoluzione i sensi del corpo astrale sviluppati, ciò che vede dopo il trapasso è molto simile a ciò che voi vedete in sogno; e poiché, già vi abbiamo detto, la materia del piano astrale è abbastanza plastica sotto l'impulso del pensiero e del desiderio, se quest'uomo sarà stato ossessionato da qualche idea, da qualche desiderio e via dicendo, con la materia del piano astrale si formerà delle scene, dei plastici che potranno ossessionarlo.
Se avrà avuto dei desideri per la cui soddisfazione è necessario il veicolo fisico, il corpo fisico; se cioè avrà quelli che voi chiamate desideri più bassi; con la sua immaginazione egli potrà plasmare con la materia del piano astrale gli oggetti corrispondenti a tali suoi desideri. Il beone, per esempio, potrà formarsi una specie di vino e cercare di immaginarsi, di riprodurre la sensazione che può provare nel bere. Ma sarà sempre qualcosa che lo lascerà inappagato e insoddisfatto poiché si tratta, in ogni caso, di desideri la cui piena soddisfazione si può avere solo mediante un corpo fisico: e, non essendovi più, un corpo fisico, questi desideri non possono essere appagati. Fino a che, attraverso il ripetersi di questo stesso senso di "non appagamento", avverrà che l'individuo si stanchi e passi all'altro sottopiano meno denso, immediatamente superiore. Possono esservi in quest'uomo anche desideri meno grezzi, che possono venire dall'espansione dell'io: tali desideri possono, in un certo senso, essere più e meglio appagati, essendo possibile soddisfarli senza il concorso di un corpo fisico. In tal caso l'uomo può indugiare più a lungo nel sottopiano astrale dove vive tali illusori appagamenti dell'io. Ciò che viene pienamente soddisfatto è tutto quanto invece appartiene al corpo mentale: il desiderio di studiare, di sapere, eccetera; sempre, però, limitatamente alle possibilità che l'individuo aveva nell'ultima incarnazione. Queste possibilità non crescono di molto. Il desiderio di conoscere, la facoltà di apprendere è più lucida e viva; ma non può essere che un individuo di media evoluzione possa diventare, oltre il trapasso, un genio.
Ripeto ancora una volta: non è che l'individuo, abbandonato il corpo fisico, non veda niente nel piano astrale non avendo desti e sviluppati i sensi dei piano astrale; ma la visione che avrà, se non ha desti questi sensi neppure in minima parte, sarà una visione molto soggettiva, sarà una specie di sogno, qualcosa che egli si crea attorno a sé ma che non ha corrispondenza con la realtà degli altri, con la realtà che gli altri, i desti, vedono.
Colui che ha sviluppati i sensi del corpo astrale, che può quindi vedere, attraverso queste finestre e queste porte, che cosa circonda il proprio veicolo astrale, costui avrà tutta un'altra visione, più, oggettiva, e potrà benissimo comunicare con altri individui disincarnati, e potrà benissimo vedere che cosa accade nel piano fisico, potrà vedere in azione gli "spiriti elementari", potrà vedere quello che vi è nel piano astrale e nel piano fisico. Infatti, per chi vive consapevolmente sul suo piano è sempre possibile la visione di tutti i piani che sono al di sotto.
Dunque, se l'individuo vive consapevolmente nel piano mentale ha la visione di ciò che accade nel piano astrale e di ciò che accade nel piano fisico, mentre non ha la visione del piano immediatamente superiore, il piano che abbiamo definito "akasico" o della coscienza.
La ragione di quel che accade dopo il trapasso, una volta abbandonato il veicolo fisico, è insomma di trarre il succo delle esperienze fatte nella vita da incarnato in modo che poi, nella vita successiva, l'individuo possa avere nuove ed ulteriori esperienze.
Il mondo degli ideali sognati
Un accenno a quella regione del "mondo mentale" corrispondente ai Cieli descritti dalle religioni. Una creatura, la quale fosse in questi cieli, non è divisa dalle altre se non da un particolare stato di coscienza. Tutto è attorno a voi. Un uomo che avesse vissuto per meritarsi un premio eterno o avesse dedicato la sua vita ad un ideale, dopo il trapasso, nel piano mentale, per karma, vede ed esperimenta l'ideale sognato. Questo stato corrisponde ad un senso di appagamento, di beatitudine.
Molte entità che si presentano in certi incontri medianici provengono appunto da questa regione del "mondo mentale": ecco perché descrivono un aldilà simile a quello che credevano esistesse mentre erano in vita, perché lo stanno sperimentando e, per esse, è una cosa reale, non un sogno.
Una volta che l'individuo non abbastanza evoluto abbia cessato questo sogno, si riposa, rivede con chiarezza e con tranquillità tute le passate esistenze, ma non è conscio di quanto avviene intorno a lui perché è entrato nel "piano" successivo a quello mentale, ha abbandonato il suo corpo mentale e si trova sulle soglie di un piano nel quale vivrà un'immensa, indescrivibile beatitudine.
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antiletterario · 8 years ago
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Hoka nr. 2147
Samuell Whyte, il primo hard boiled a puntate
Episodio 11
Richiuse la finestra, si orientò, guadagnò l'uscita e chiuse la porta dietro di sé. Riprese l'ascensore e si allontanò in fretta dalla palazzina. Percorse rapidamente qualche strada a caso e si infilò in una friggitoria.
 Sedette a uno sgabello che offrisse una visuale sul traffico fuori, ordinò e consumò pollo alla marinara e birra scura senza pensare a nulla. Pagò, uscì, e prese una direzione qualsiasi. Fermò uno. 
“Dov'è Mollowdy Row?” “Di là e poi di là” 
Cogan si adeguò e vi giunse. Avanzò fino al 28. Frugò i campanelli finché trovò un R. Tornan. Suonò. 
“..chi è?” disse una voce maschile “Robna le cosa figa gratis” “..come, scusa?”
 “FXXXZZ.. puscoli de pizza le robe del calcioFSSXX..”
 Il portone si aprì. Cogan controllò il piano e salì a piedi.
 “Scusa sai....” disse Richard Tornan sulla porta “ma non credo di aver capito bene chi sei: c'è stata come una specie di interferenza che..” “..la sistemiamo subito” disse Cogan avanzando.
 Con il suo scatto fulmineo gli timbrò una pappina in fronte col palmo della mano, sufficiente a spedirlo col culo sulle piastrelle di graniglia. Nel richiudere la porta si accorse di una donna, una dirimpettaia, che lo spiava da dietro uno spicchio di porta. 
“Signora: se si scorda tutto subito, bene” le disse Cogan “se no, no”. Chiuse. Trovò Richard Tornan in piedi. Barcollava reggendosi la fronte. Avrà avuto trentacinque anni per una settantina di chili. Viveva in un monolocale.
 “..chi sei?” chiese 
Cogan lo spiazzò con una violenta gomitata fra lo zigomo e il naso che gli fece sbattere la nuca contro il muro dietro. Richard sbandò e si riprese.
 “..cosa vuoi?” “Cosa mi dici se ti dico cervello in scatola?” “..è un indovinello?” 
C'era una riproduzione del David di quelle che cambiano colore a seconda del tempo. Cogan la prese e gliela pestò sul ginocchio traendone un suono cupo. Richard Tornan cadde urlando.
 “Cosa mi dici se ti dico cervello in scatola?”
 “..non so di che parli, cazzo!” rispose R. Tornan dopo aver lanciato altre grida raccapriccianti.
 Cogan si chinò a guardarlo. Sembrava sincero. Si alzò, si guardò attorno. Poster di tette e culi, gagliardetti di tutti i colori e una finta coppa del mondo di calcio. Richard doveva avere molto tempo libero.
 Cogan gli montò su una caviglia e camminò verso il ginocchio.
 “Sto cercando uno che si chiama Richard Tornan come te, coglione. Conoscerai altra gente che si chiama come te, no? Questa città è piena”
 Richard aggiunse altre urla e fece segno che bastava. Cogan scese.
 “..tu sei pazzo” piagnucolò
 “Rispondi” 
“..ebbene: c'è una sede del C.O.R.T. qui in città e si dà il.. cazzo di caso che io sia iscritto.. una cosa così tanto per..”
 “Frena: cos'è il C.O.R.T.?”
 “..Club Omonimi Richard Tornan, cazzo: io..”
 Al Cogan rise per la prima volta quell'anno. “..e poi il pazzo sarei io. Allora: quanti siete in questo club di deficienti?”
 “Non so.. forse una trentina”
 “Però. Qualcuno è conosciuto come Dick?” “..Dick? Sì, parecchi”
 “Chi è il più strambo, di questi Dick?” “..strambo come?” “Quello che non vedete l'ora che se ne vada per sputtanarlo”
 “C'è uno, in effetti..”. Cogan acuì i sensi. 
“Cos'ha?” “..voglio la polizia..” delirò Richard
 Cogan lo centrò con un rapido calcio di punta sotto la mascella. Richard si ripigliò.
 “Cos'ha di strano questo tizio?” “..beh: sembra depresso.. molto. Ed è l'unico che non partecipa mai alle cene dei soci, ecco..”
 “Come funzionano queste cene”
 “..a turno ognuno fa una cena a casa sua” “Embé?”
 “..secondo noi non partecipa perché.. in qualche modo si vergogna di dove sta o della.. sua famiglia”
 “E perché dovrebbe” insistette Cogan. Richard sembrava ancora molto preso dal suo ginocchio. “..non lo so.. sua moglie sarà una stronza cosa vuoi che ti dica.. si può sapere chi cazzo sei, maledizione?” Cogan ci pensò su. Poteva starci. Per costruirsi un'aura di cretinità un trafficante di cervelli si iscrive col suo vero nome a un club di omonimi e poi però non partecipa alle serate in casa perché casa sua è piena di schifezze. O era un genio o era un cretino per davvero. Oppure non era il suo uomo. 
Richard si era messo a sedere sul pavimento a gambe distese. Erano diverse. Cominciò a massaggiarsi quella strana. 
“Sai altro di lui?” “..no. Parla poco, te l'ho detto..” “Quando lo hai visto l'ultima volta?”
 “..è un po': non si fa vedere da un po'”. A Cogan queste risposte piacquero. 
“Voglio sapere come posso trovarlo”
 “Si chiama Richard Tornan, ma tutti lo chiamano Dick”
 Cogan si sforzò di portare pazienza. 
“Voglio il suo indirizzo, Richard” “Non ce l'ho..” “Un suo recapito telefonico? Un cazzo di FAX? Niente?”
 “..no, non.. io..”
 “Va bene, non è colpa tua” riconobbe “senti cosa facciamo: ora tu mi dai il tuo numero di cellulare, e anche il fisso. C'è il fisso, qui?”
 “..sì”
 “Bene. Tu domattina svegli il presidente di questo club, o il segretario, e con una scusa del cazzo delle vostre ti fai dare l'indirizzo e il numero di telefono di questo Dick. Io ti chiamo alle diciamo.. 08:30. E tu mi dai quell'indirizzo. Hai capito?” “Credo di sì..” “A che ora ti chiamo domani?” “Alle.. 08:30”
 “Forza: fuori i numeri”
 Richard glieli dettò, Cogan li annotò su un pezzo di carta, poi si fece consegnare il cellulare e con questo chiamò il fisso, e col fisso chiamò il cellulare per verificare che i numeri fossero buoni. Erano fasulli tutti e due, e Cogan dovette picchiarlo di nuovo per avere quelli buoni. Questa volta si fidò. Intascò i numeri, improvvisò qualche minaccia di quelle che tolgono il sonno e se ne andò. Uscì per strada, l'aria era pulita. Cogan si fermò per riempirsene i polmoni. Alcune costole scricchiolarono ma c'era tutto. Lui era Alfredo Cogan, ed era ancora su.
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corallorosso · 5 years ago
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(...) Ricordo politici che teorizzavano “il sacro diritto allo struscio e al divertimento dei nostri ragazzi” e invitavano allegramente a fottersene del virus e delle mascherine. Questo mi ricordo. È rincuorante sapere che esistano tra noi tanti Presidenti del Consiglio quanti allenatori della Nazionale che avevano capito tutto e tutto sapevano di quando e per quanto tempo sarebbero dovute rimanere aperte o chiuse le discoteche, solo che - sfortuna vuole - quando era il momento di dirlo nessuno ha aperto bocca, forse troppo impegnati a dare colpe a destra e a manca sul bonus dei 600 euro. A tutti meno a chi li ha presi. 2 Perché, vedete, è la stessa storia che si ripete, identica. Quelli che oggi incolpano il governo di aver lasciato le discoteche aperte sono gli stessi che ieri lo accusavano di non aver messo limiti di reddito stringenti al bonus. Come se il problema non fosse l’ineducazione diffusa, l’empia strafottenza per qualunque cosa sia bene comune, la mancanza di forma, gusto, senso del limite e dei limiti, l’avidità belluina e informe. No, la colpa è sempre di chi “non ce l’ha impedito”. Ci ripetono alla nausea che loro non sono “sudditi” ma, al momento del dunque preferiscono essere trattati come tali. Nella nostra concezione ...di una società abitata da bestie fameliche e bambini di otto anni, a nessuno sfiora neanche più il dubbio che un cittadino - e, prima ancora, un politico - possa comportarsi in modo onesto, pulito, prudente, rispettoso di se stesso e degli altri. No, la colpa, in questa spaventosa deresponsabilizzazione collettiva, è sempre solo e soltanto di qualcun altro: gli insegnanti che non capiscono “il genio di mio figlio”, il collega stronzo, il vicino di posto che ti ricorda di mettere la mascherina e, ovviamente, lo Stato, trattato ora come tentacolare Grande fratello orwelliano che ci vuole tutti schiavi e l’istante dopo come mamma lassista e distratta che non ci ha impedito di andare al mare prima del compito in classe di matematica, a seconda di come ci viene comodo. Non li sfiora nemmeno, agli statisti del giorno dopo, che un governo prende decisioni e li traduce in decreti, non è il depositario della morale di un popolo come in certi regimi. Un governo può imporre l’uso della mascherina, ma non può convincere milioni di teste di cazzo (concedetemelo) a indossarla. Un governo può allentare o inasprire un lockdown, ma non può piazzarsi davanti a una discoteca come un buttafuori per verificare che orde di ragazzini fradici ballino e si dimenino come se non ci fosse un domani e non ci fossero stati 36.000 morti. Un governo, a differenza vostra e nostra, quando prende una decisione non controlla i trend più promettenti su Twitter ma deve tenere conto di centinaia, migliaia di pareri, evidenze scientifiche, interessi, quasi sempre contrastanti, e alla fine prendere una decisione che tenga conto di tutto questo, contro ogni logica fisica, in equilibrio. Il governo ha sbagliato, sbaglia e sbaglierà ancora, come chiunque si affacci in un territorio ignoto. Ma, se c’è una cosa di cui proprio non lo si può accusare in questi mesi, è di non aver avuto coraggio. Ha chiuso tutto quando tutti nel mondo tenevano aperti, controcorrente, controvento, contro il consenso, ha preso le critiche, ha perso voti, ma ha evitato probabilmente una strage dalle proporzioni ancora più gravi. Ma c’è una cosa che mai e poi mai potrà fare: trasformare milioni di italiani in persone senzienti, rispettabili, responsabili. E, sopratutto, fare in modo che si assumano una - UNA SOLA - responsabilità nella vita. Per quello non basta un governo. Ci vorrebbe un miracolo. lorenzo Tosa
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pangeanews · 6 years ago
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Gene Wolfe, l’uomo delle Pringles che divenne “il Proust della fantascienza” (e non è una presa per i fondelli)
Una storia mi colpisce e mi pare, per così dire, pasquale. Ma tutto parte, come quasi tutto, da un effluvio narcisista.
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Intanto, il titolo. Gene Wolfe Was the Proust of Science Fiction. Faccio due constatazioni rapide. Gene Wolfe. Non lo conosco. Posso non conoscere uno che è giudicato “il Marcel Proust della fantascienza”? Secondo. Mi stanno prendendo per il culo. Leggo. Beh. L’articolo è un articolone, uscito su The New Republic, a firma di Jeet Heer. I dettagli critici intorno a uno scrittore che, come dicono, ha mescolato pulp, letteratura modernista e teologia cattolica, sono interessanti. Ingurgito a tonnellate la mia ignoranza.
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Procedo. Neil Gaiman, qualche anno fa, era il 2011, quando il Guardian gli chiese chi fosse il suo eroe e il suo maestro non ebbe timori e con micidiale tempismo disse. Gene Wolfe. “Resta il mio eroe perché continua a inventare nuovi modi e nuovi mondi per la scrittura e resta ancora così gentile e paziente con me, come quando ero ragazzo. È il migliore scrittore americano vivente di fantascienza – è, probabilmente, il migliore scrittore americano vivente in assoluto. In troppi non lo conoscono. Gene se ne frega. Continua a scrivere”.
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Poi c’è Ursula K. Le Guin, insomma, una che sa cos’è la fantascienza e ha detto, “Gene Wolfe è il nostro Melville”. Non conoscerlo, a questo punto, mi pare una offesa verso me stesso.
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In Italia non si sono strappati le vesti per la morte di Gene Wolfe, il Proust della fantascienza. Anzi. Io non ho visto paginate o paginoni. Gene Wolfe è morto mentre la cattedrale di Notre-Dame avvampava. I fan hanno trovato diverse pagine in cui, nei suoi libri, è descritta una basilica in fiamme. E hanno tracciato delle astrologiche connessioni tra la sua morte e Notre-Dame che lacrima fuoco.
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In Italia, si è potuto leggere Gene Wolfe negli anni Novanta, grazie all’Editrice Nord, e poi grazie a Fanucci, che nel 2012 pubblica i cinque libri del ciclo “Il libro del Nuovo Sole”, edito in origine tra 1980 e 1987, che ha fatto la fama di Wolfe.
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La storia di Gene Wolfe, tra l’altro, è affascinante. Nato a New York, studi in Texas, impiegato come militare in Corea, ne torna segnato assai. Per la prima parte della sua vita fa l’ingegnere – completa gli studi all’Università di Houston – e perfeziona la macchina che serve a fare le Pringles, le patatine. Se vedete la faccia impressa sul tubo delle Pringles – tonda e baffuta – pare proprio la sua. Negli anni Settanta comincia una ricerca personale acuminata, che lo porta a convertirsi al cattolicesimo. Contestualmente, a 45 anni, comincia a vincere i primi Nebula Award per il racconto e per il romanzo e decide di dedicarsi interamente alla narrativa.
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“Sensibilità letteraria, precisione e la potenza analitica di un Proust sono adagiati su cloni, robot, mostri a sei braccia e tutto l’immaginario pulp”, ha scritto un critico. “Sono uno scrittore cattolico, come molti, ma non scrivo libri cattolici”, ha detto lui.
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Il genio di Gene Wolfe è dato dal fatto che i suoi romanzi di fantascienza sono stratificati, una geologia della lettura. “La serie ‘Il libro del Nuovo Sole’ può essere letta come una semplice avventura che traccia il viaggio di Severian da apprendista torturatore a esiliato politico… ad un altro livello è il tentativo di tradurre teologia ed escatologia nel linguaggio della finzione fantascientifica”.
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Gene Wolfe traduce in pratica letteraria la statura esegetica. Il testo biblico, infatti, va colto ‘alla lettera’, ma anche perché è lettera per lo spirito. Ha un senso superficiale, ‘carnale’, e uno sottocutaneo, ‘spirituale’, e uno ancora riposto, in cui riposa la profezia.
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Ogni gesto è comunque linguistico. Anche Wolfe è un inventore di linguaggi: quello del suo mondo si chiama “Ascian”, che nell’etimologia greca presunta vuol dire “senza ombra”.
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Pratica eucaristica della letteratura: quel cibo si mangia davvero ma è davvero altra cosa dal cibo. Dici che è carne e il pane è veramente carne, così il vino riluce in sangue. Allo stesso modo, il fatto letterario: è ciò che leggi, è ciò che interpreti, è, soprattutto, un atto di ringraziamento, una grazia. Mi piace questo Gene Wolfe. I suoi libri sono belli, eucarsitici. (d.b.)
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Se vedete solo un asino, indossate gli occhiali sbagliati. Gli asini sono animali super intelligentissimi: hanno solo paura dell'acqua siccome non ne leggono la profondità. Si congelano; da qui il detto. Ma sono una risorsa formidabile, il loro latte simile al nostro, può sostituire quello materno, in caso di neccessità, e ai tempi della guerra era meglio morissero dieci alpini che uno di loro. Ecco perchè io ci vedo un nuovo vicino, un futuro amico e un genio tipo Einstein del regno animale, solo più moderato e silenzioso. Concordate? Ma poi come si fa a non amarli che hanno un muso sempre dimesso e timido, che sono la cosa più bella del creato! (assieme ai bombi) . . . . #Bookstagram #bookstagrammer #instabook #instalibri #libri #librisulibri #libriconsigliati #lettori #leggere #leggeresempre #leggerechepassione #scivere #scriveresempre #scriverechepassione #scrittori #scrittorienergenti #letture #bookgeek #bookaddict #scrivopostmoderno #romanzi #lettura #leggerefabene #animali #iloveanimals #amiciaquattrozampe #serenità #lunedi (presso Como, Italy) https://www.instagram.com/p/BzpLe54nAu5/?igshid=1o9ox6qy1lj9p
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saleoutletsneakers-blog · 6 years ago
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ggdbonlineoutlet-blog · 6 years ago
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