#vedere infinito
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licaonia · 2 months ago
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♠️__Sono un attenta osservatrice.
Non vedo e non guardo.
C'è sostanziale differenza tra le due cose.
Considerare con attenzione.🖤🌹
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doblondoro · 2 months ago
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vabbè mi è passato il sonno e ho voglia di fare un rant.
lucio corsi fa musica da un sacco di anni ma per far parte della scena indie e essere praticamente sconosciuto al grande pubblico arrivare secondo è un risultato stratosferico; certo avrei preferito ci arrivasse se a vincere fosse stato brunori, per dire.
non me ne frega niente dell'esc, nel senso che per me sanremo dovrà sempre essere sanremo e mai una selezione per il contest europeo.
detto ciò, proprio perché sanremo è(ra) sanremo mi auguro che questa edizione non sia la prima di una lunga serie di noia, conformismo, nemica di ogni guizzo o espressione di dissenso, perché sì, senza complottismo alcuno la svolta meloniana è stata chiara anche nel far svolgere le esibizioni come una catena di montaggio, un po' per rispettare i tempi e un po' perché se agli artisti lasci due secondi sul palco c'è il rischio che li impieghino per dire cose altamente problematiche e estremiste come "stop al genocidio".
(plauso infinito al maestro d'orchestra che contando sul grado d'ignoranza del soggetto medio ha sfoggiato un BDS glitterato di cui nessuno si è lamentato)
insomma, la vita è faticosa e questa settimana all'anno in cui possiamo memare, emozionarci, ascoltare roba bella e brutta e costruire ricordi che magari tra un ventennio si sbloccheranno e ci faranno ridere è una cosa piccola, ma senza fare troppo la drammatica, nel suo piccolo preziosa; mi dispiacerebbe vedere che si sfilaccia fino a distruggersi.
di questa edizione salvo davvero poco, ma mi porto a casa il concetto che le lune senza buche sono fregature. lo so da tanto ma non sapevo come dirlo, adesso invece sì.
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intotheclash · 23 days ago
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È davvero sorprendente, e tuttavia così comune che c’è più da dispiacersi che da stupirsi nel vedere milioni e milioni di uomini servire miserevolmente, col collo sotto il giogo, non costretti da una forza più grande, ma perché sembra siano ammaliati e affascinati dal nome solo di uno, di cui non dovrebbero temere la potenza, visto che è solo, né amare le qualità, visto che nei loro confronti è inumano e selvaggio. […]» «Questo tiranno solo, non c’è bisogno di combatterlo, non occorre sconfiggerlo, è di per sé già sconfitto, basta che il paese non acconsenta alla propria schiavitù. Non bisogna togliergli niente, ma non concedergli nulla.». «Colui che tanto vi domina non ha che due occhi, due mani, un corpo, non ha niente di più dell’uomo meno importante dell’immenso ed infinito numero delle nostre città, se non la superiorità che gli attribuite per distruggervi.». «Vi sono tre tipi di tiranni: gli uni ottengono il regno attraverso l’elezione del popolo, gli altri con la forza delle armi, e gli altri ancora per successione ereditaria.». «Gli imperatori romani non dimenticarono neanche di assumere di solito il titolo di tribuno del popolo... Oggi non fanno molto meglio quelli che compiono ogni genere di malefatta, anche importante, facendola precedere da qualche grazioso discorso sul bene pubblico e sull’utilità comune.
Etienne De La Boetie - Discorso sulla servitù volontaria
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crazy-so-na-sega · 7 months ago
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I paradossi nacquero nel momento in cui qualcuno si accorse che c'era qualcosa di "anomalo" nel linguaggio a partire dalla nozione di "essere" (to on). Eraclito e Parmenide che avevano "scoperto" (o inventato?) questa nozione, si erano subito accorti che entrava in collisione con altre nozioni, e in particolare con quelle di "movimento" e "pluralità". Come sappiamo Eraclito accettò semplicemente la contraddizione che ne derivava, mentre Parmenide volle sbarazzarsene.
Il discepolo di Parmenide, Zenone escogitò a sostegno della sua tesi i noti "argomenti dialettici" di Achille e la tartaruga, dello stadio, della freccia, i quali servivano sostanzialmente a mostrare che, se si mantiene che l'essere è unico, ed è identico a sé stesso, ogni concessione fatta al movimento e alla pluralità diventa contraddittoria. Per esempio:
"Un segmento di retta si può dividere all'infinito: lo si dimezza, poi si dimezza la metà che si è ottenuta, e così via, senza fine. Dunque il segmento deve essere formato da un numero infinito di parti. Ma quale è la lunghezza di queste parti? Se è zero, allora il segmento non ha lunghezza, dunque non esiste; se la lunghezza è superiore a zero, per quanto piccola sia, il segmento avrà una lunghezza infinita, dunque non sarà un segmento. Di conseguenza: il segmento sarà inesistente, o non sarà un segmento".
La C (contraddizione) per Zenone si eliminava, molto semplicemente, eliminando una premessa (RAA)* cioè suggerendo che il segmento non ha parti, poiché l'essere è unico e indivisibile.
Sembra che Eubulide, l'inventore dei più classici paradossi della nostra tradizione, avesse gli stessi obiettivi: il suo scopo però non era mostrare che solo certi concetti, come il movimento o la pluralità erano difettosi; si trattava invece di far vedere che tutto il linguaggio comune, espressione della doxa, doveva essere ridotto all'assurdo.
Certo, se non si vuole stabilire che nozioni così utili come il movimento e la pluralità o in generale tutto il nostro modo normale di lavorare con il linguaggio debbano essere eliminati, la contraddizione rimane, e richiede interventi di tipo diverso.
* reductio ad absurdum
-F.D'Agostini (Paradossi)
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sciatu · 3 days ago
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INFINITO AZZURRO
Il capo gli aveva detto che era un servizio semplice. “Su du turisti: lui ha più milioni che capelli e lei, forse una moglie, ha la metà dei suoi anni ed è senza un soldo. Li prendi a Taormina all’hotel Timeo, li carichi sulla tua Land Rover e li porti al rifugio, poi prendete la teleferica e li porti vicino alla vetta. Gli fai vedere le solite cose: la colata di lava, i canaloni, il piano del bue, ci mugghi quattru fatti e ti metti cinquecentoeuri nta sacchetta e niu, niu, u fattu finiu” E così dicendo batte le mani come se volesse scuoterle da della invisibile polvere. A lui, il capo stava sulla minchia, non perché era una persona cattiva (anche se era sicuro che lui si intascava il doppio di quanto gli dava), ma perché era un capo e a lui, tutti i capi, gli scassavano la minchia al solo aprire la bocca. “Unn’è a fregatura?” Chiese fissando gli occhi tondi e sporgenti da rospo del capo Lui strabuzzo gli occhi rospigni, fece la faccia tonda e innocente di chi non ci colpava “Ma quali frigatura? È na cosa nommali, i pigghi, i potti supra a Muntagna e tinni giri!” “Supra a Muntagna? Ti scuddasti chi c’è un eruzioni e non si po' nchianari?” “ ma si, l’eruzioni, … na cosa i nenti … quanti ne hai viste tu? Ma poi li porti li vicino e gli inventi una scusa, c’è ventu …., ghiovi …., è scuru …., c’è fedu i gas e si mori …. Trova tu u mutivu.” E senza indugio tirò fuori un mazzo di soldi e contandoli velocemente gliene mise davanti una piccola parte “ Cà, cunta, cinquecentu … e centu ci mettu jo di sacchetti mei, picchì jo nun ci vogghiu guadagnari nenti” Ora era sicuro che lo stava fregando. Quando mai aveva pagato in anticipo e in contanti. Ma la Land Rover aveva bisogno di una revisione al cambio e quei soldi bastavano appena a sistemarlo. Senza dire niente prese i soldi e li mise nel taschino del suo giubbotto di jeans. “Me ne servono altri duecento. Ora.” Disse senza muoversi “ Ma chi mi pigghi pu culu? Seicentu tinni desi!” “Me ne servono altri duecento, devo sistemare la macchina se no non arrivo neanche a metà strada. – lo guardò fisso negli occhi acquosi – poi non mi hai mai dato soldi in anticipo e ora me li dai senza che io li chieda e ci metti sopra per regalo una bella pasta da centu: nun ma cunti giusta!!”
Il capo fece lo sguardo cattivo, quello che prometteva una rabbiosa vendetta. Poi rimise le mani in tasca e tirò fuori il rotolo dei soldi “Teni - fece buttando sprezzante i soldi richiesti – ma se non li porti in cima vengo io pissunalmenti e ta brucio sa bagnarola i maghina” E detto questo si alzò chiudendo la riunione disgustato da quella ennesima dimostrazione di ingratitudine umana nei suoi confronti. Prese i soldi e corse a portare la macchina dal meccanico, altrimenti c’ era la seria probabilità che una volta saliti la Land Rover decidesse di morirsene lassù, dopo un ultimo titanico sforzo.
“si sieda qui, respiri lentamente “ Gli sbottonò la tecnologica e costosissima tuta e lo fece appoggiare contro la lava. Sudava freddo anche se erano a 2800 metri in cima la Montagna. “Respiri piano, ha qualche problema, sento che quando respira ha come un sibilo” “Non è niente – disse subito la donna che sorreggeva il vecchio – Gli viene ogni tanto” Lui la guardò. A vederla, sentiva la stessa sensazione di quando guardava quella vipera del suo capo. Anche se la donna era piacevole malgrado fosse in là con gli anni sembrava una maligna, che appena ti giravi te la metteva in quel posto. La sua costosa tuta tecnica, faceva risaltare il suo corpo asciutto dove doveva esserlo e prosperoso dove poteva eccitare i maschi. Si capiva subito che era una abituata a usare il corpo per fregare la gente.
“No, non ce la fa! stava per svenire. Forse un infarto. E’ meglio tornare indietro” “non è necessario. Si riprenderà subito. Dobbiamo andare in cima” “non possiamo salire, è proibito: c’è un eruzione in corso” “noi abbiamo pagato tanti soldi per arrivare in cima. Il ciccione si è preso i soldi e ha detto che non c’era problema! Ora, o lei ci porta in cima o andiamo dalla polizia” Strillo la MIFL attempata come un’aquila a cui stavano rubando gli aquilotti” “Lei può andare dove vuole. Se suo marito muore a me non faranno più fare la Guida e sarà peggio del carcere” Era vero, Per lui essere una Guida autorizzata, era la sua vita, non tanto per le persone da portare sulla Montagna, ma perché la Montagna, con i suoi dirupi, le valli di cenere, i poggi gialli di zolfo, i boschi di betulle preistoriche, era il luogo dove si sentiva libero e quindi vivo. Si guardarono con odio come due cani che si contendevano un osso.
“scusi, mi permetta - fece il vecchio tossendo e con una voce flebile e il suo accento straniero – posso spiegarle una cosa?” “Prego, mi scusi lei se ho gridato, ma alle volte rinunciare non è un disonore, ma vuol dire salvarsi. E’ questo che la sua signora non comprende” Il vecchio sorrise. “La perdoni la prego. Olga è molto attaccata a me ed io a lei. E’ l’unica persona che mi ama per quello che sono e non per quello che ho, e lei è l’unica persona che amo per quello che è e non per quello che fa. Anzi, ci perdoni entrambi. Nel nostro ambiente i soldi comprano tutto, ma forse nel suo non è così” Tossi qualche secondo “vede, io ho un male incurabile, respiro con si e no mezzo polmone. Questa primavera che è appena iniziata, non la vedrò finire. Quando l’ho scoperto era troppo tardi, potrei fare operazioni complicate e costose, solo per arrivare alla fine soffrendo. Ho deciso di lasciar perdere e di mettere a frutto il poco tempo che mi resta. Lei ha ragione: a volte rinunciare non è un disonore, ma una necessità. La qualità di una vita non dipende dai successi che si ottengono ma dal peso delle rinunce fatte per ottenerli. Io posso essere definito un uomo di successo ma per esserlo ho rinunciato a tante cose fondamentali. Le mie donne le ho comprate con il mio successo e le ho lasciate solo per convenienze sociali, Tutte tranne Olga che ho incontrato quando l’amore e il sesso non avrebbero dovuto avere alcun motivo e che invece mi ha seguito e salvato da me stesso. Io, per il mio egoistico successo, ho rinunciato a tante cose come le ho detto. Non solo gli affetti veri, ma soprattutto alla mia umanità, solidarietà, disponibilità. Ad esempio, ho chiuso fabbriche mandando in rovina centinaia di famiglie e le ho ricostruite in luoghi dove ho fatto distrugge chilometri quadrati di natura per ospitarle. Ho trasformato pacifici contadini in operai a basso costo, sfruttati al massimo con l’illusione della modernità. Per far questo ho corrotto tutti quelli che potevano ostacolare il mio progetto solo per ottenere il mio bonus di fine anno con sei zeri. Ho rinunciato alla mia umanità, perdendo figli, amici, parenti per paura che il loro affetto nascesse solo dall’interesse. Ho rinunciato a tutte le cose che danno peso alla vita per seguire strade oscure, scorciatoie inumane fatte di disprezzo degli altri e del loro sfruttamento.”
Respirò con fatica, stanco del lungo dire. “Ora questa malattia mi ha riportato a rivedermi. Mi ha spaventato mettendomi di fronte a me stesso. Tutto quello che era la mia superiorità sul mondo, scomparirà ancor prima che i miei occhi si chiudano, ed io, di questo mondo, ho conosciuto solo i miei vizi. Nient’altro e quando il mio momento arriverà, guardando dentro di me non troverò nulla che parli di eternità, di bellezza pura. Per questo ho chiesto ad Olga di venire qui, per avere nella memoria lo stupore e la meraviglia di questo posto”. Inghiottì a fatica, mentre la donna lo stringeva contro il suo corpo per dargli calore. “Quando sarà – continuò con voce più flebile – penserò a quello che mi ha fatto vedere: le foreste di betulle antartiche, i tunnel fatti dallo scorrere della lava, la colata di lava con il suo calore, il suo rumore delicato di vetro e il suo avanzare inarrestabile e con esso la grandezza di una natura per cui io sono nulla, malgrado i miei milioni e le mie potenti amicizie. E di essa, di questa immensa natura, tornerò a farne parte, a ritrovare il mio posto in questo universo che pensavo di stringere nel mio pugno. Ma soprattutto voglio ricordare quello che vedrò in cima al vulcano, la terra ai miei piedi, il mare che diventa cielo e il cielo che copre il mondo. Voglio sentirmi sopra una nuvola in paradiso, come tutti gli altri uomini, e guardando l’azzurro infinito, voglio trovare, finalmente, la serenità per andarmene.” Inghiotti e chiuse le palpebre per riaprirle lentamente solo a metà. “E’ per questo voglio andare lassù. … La prego …” E si zitti, ansimando per respirare quanta più aria che poteva. La donna gli spostò un ciuffo di capelli dalla fronte, si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia a rincuorarlo guardandolo preoccupata e triste. La Guida osservò il vecchio senza dire niente. Poi si alzò lentamente come a riflettere, quindi si levò lo zaino da montagna che portava e ne tirò fuori una corda. Guardò la donna. “Ha la bottiglia di fuoco dell’Etna che ha preso giù nei negozi del rifugio? Me la dia” Lei lo guardò sorpresa, poi cercò nel suo piccolo zaino e tirò fuori una bottiglia di un colore rosso fuoco. La guida l’aprì e la porse al vecchio. “Ne beva tre piccoli sorsi, lentamente, è quasi alcol puro e per un momento la tirerà su facendole dimenticare la stanchezza” Si sedette davanti a lui dandogli la schiena e portò le gambe del vecchio davanti alle sue incrociandole. ”Ci leghi – disse alla donna – prima all’altezza del torace, poi leghi le gambe di lui qui davanti.” La donna iniziò a fare quanto gli chiedeva. “Ora la porto su. Staremo cinque minuti, non di più e poi scenderemo dall’altra parte, dove c’è un pendio di cenere e cammineremo velocemente tornando ad una altezza dove potrà respirare normalmente. SI stringa a me. Se si sente male me lo dica, ma pensi solo a respirare regolarmente.”
Si rivolse alla donna. “Prenda il mio zaino e venga dietro di me. Cammini a carponi se necessario, ma non mi perda di vista” Si alzò lentamente e bilanciò il vecchio. Soddisfatto di come i pesi erano distribuiti, iniziò a salire velocemente aiutandosi con le mani che aveva coperto con spessi guanti. La donna lo seguì, ma dopo poco restò indietro cercando di trovare il migliore appiglio per salire. Il vecchio respirava lentamente “lei è bravo, sembra che conosce ogni pietra di questo sentiero” “Respiri. Non parli. Come si sente?” “Bene, quel liquore è fortissimo, mi sento … bene … un po' alticcio…” La guida continuava a salire, lentamente, con un ritmo costante, mentre il vento freddo lentamente scemava e le nubi basse si diradavano. Un sole intenso e caldo prese il posto dell’umidità che li aveva seguiti dal rifugio fino a qualche metro più sotto. La cima della Montagna si fece sempre più vicina, coperta di lava nera e spolverata di neve, con strisce gialle di zolfo. Salirono in silenzio finché il vecchio vide che di fronte a se c’era solo l’altro versante del vulcano, con più in basso, le bocche eruttive da cui arrivavano brontolii ed esplosioni magmatiche. “Mettiamoci qui – fece la guida sedendosi in modo che il vecchio si appoggiasse con la schiena ad una pietra – qui non ci vedranno, siamo al riparo e comunque sul punto più alto”
Restò in silenzio, sentendo il vecchio respirare lentamente. “Laggiù c’è Siracusa e qui sulla destra Catania, Aci e qui a sinistra e laggiù, su quel cucuzzolo, Castelmola.” “È bellissimo - lo interruppe il vecchio – sembra di essere su una nuvola. Il mare sembra finire e il cielo, … il cielo è enorme …” Restò in silenzio ad osservare il mondo ai suoi piedi, si sentiva solo il fruscio del vento ed i boati delle bocche vulcaniche che eruttavano lava. Arrivo la donna ansimando e accasciandosi dalla stanchezza accanto a loro. “Olga, guarda! L’orizzonte è una linea blu tra il cielo e il mare azzurri. Guarda quanto è grande il cielo. – restò a guardare con gli occhi di un bambino che vede per la prima volta qualcosa di meraviglioso – Qui, il tempo … non esiste” La Guida senti che la donna accarezzava il vecchio “È come pensavi? Non è vero?” “No, è più grande, più immenso … più bello …” Restarono in silenzio ad osservare il mondo ai loro piedi che sfumava lontano a diventare liquido e poi, in una striscia blu, a diventare un infinito azzurro.
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worldofdarkmoods · 3 months ago
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C’è un momento in cui il silenzio non è solo una scelta, ma una necessità. È quel punto in cui le parole non bastano più, in cui ogni spiegazione sembra inutile, in cui ogni tentativo di aggiustare qualcosa che si è spezzato finisce per fare più male che bene. Sto in silenzio, ma non perché sono debole. Non perché mi manchi il coraggio di dire quello che penso. Sto in silenzio perché dentro di me c’è un caos che non posso più ignorare, e l’unico modo per non affondare è smettere di cercare negli altri ciò che non troverò mai.
Mi sono sempre definita forte, quella che c’era per tutti, che trovava una soluzione anche quando sembrava impossibile. Quella che dava tutto senza chiedere nulla in cambio, che metteva il cuore davanti a ogni cosa. Eppure, eccomi qui, con un vuoto dentro che non so più colmare, con un silenzio che pesa più di qualsiasi parola non detta.
Non è facile accettare che le persone a cui tenevi di più possano essere quelle che ti deludono nel modo più profondo. Non è facile realizzare che chi pensavi fosse un porto sicuro era, in realtà, una tempesta mascherata da calma. Le delusioni non arrivano mai da chi non conta niente per te. Arrivano da chi hai lasciato entrare nel cuore, da chi credevi fosse diverso.
Sto in silenzio perché non ho più energie per spiegare, per giustificare, per lottare contro un muro di indifferenza. Non voglio più cercare attenzioni da chi non ha mai davvero voluto esserci, né provare a far capire il mio dolore a chi non lo ha mai preso sul serio. Il silenzio è il mio modo di proteggermi, di mettere un confine tra me e chi non merita più di attraversarlo.
Ci sono state notti in cui mi sono chiesta cosa avessi sbagliato. Dove fosse il problema. Se ero io quella “troppo sensibile”, “troppo esigente”, o semplicemente “troppo”. Mi sono data mille colpe, ho cercato di cambiare, di migliorarmi, di adattarmi a persone che non avrebbero mai fatto lo stesso per me. E sai cosa ho capito? Che il problema non ero io. Era il fatto che cercavo in loro qualcosa che non potevano darmi.
Le amicizie vere, quelle che ti toccano l’anima, non ti fanno sentire un peso, non ti fanno dubitare del tuo valore. Non ti fanno sentire sola, anche quando sei circondata da gente. Ma io mi sono sentita così, troppe volte. Ho provato a ignorarlo, a fingere che non fosse importante, ma la verità è che non riesco più a far finta di niente.
Sto in silenzio perché non so più chi ho accanto, chi è lì per davvero e chi è lì solo per convenienza o abitudine. Non so più distinguere chi mi ama da chi mi tollera. E questo dubbio mi uccide. Mi spegne. Mi fa sentire come se stessi vivendo in un loop infinito, in cui do tutto e ricevo solo briciole in cambio.
E sì, mi allontano. Mi allontano non perché non mi importi, ma perché mi importa troppo. Mi allontano perché non so più come gestire tutto questo, perché il peso di questa delusione è troppo grande da portare da sola. Mi allontano perché ho bisogno di spazio, di tempo, di silenzio per ritrovare me stessa, per capire chi merita davvero di stare nella mia vita.
Non è rabbia quella che provo, né rancore. È qualcosa di molto più profondo, più silenzioso. È rassegnazione. È la consapevolezza che alcune persone non cambieranno mai, che non importa quanto tu le ami o quanto tu ti impegni per loro: non saranno mai in grado di darti ciò di cui hai bisogno.
E io non voglio più accontentarmi. Non voglio più scusare comportamenti che mi fanno male, né accettare mezze verità o promesse vuote. Ma, allo stesso tempo, non so nemmeno più fidarmi. Ogni parola sembra vuota, ogni gesto sembra avere un secondo fine.
Mi guardo intorno e vedo solo ombre. Ombre di quello che pensavo fosse vero, di quello che pensavo fosse importante. Mi chiedo se riuscirò mai a fidarmi di nuovo, se ci sarà mai qualcuno che non mi faccia sentire così. Ma la verità è che non lo so.
Non riesco a vedere una via d’uscita da questo dolore. Non riesco a immaginare un futuro in cui il peso di queste delusioni non mi segua come un’ombra. E forse, per ora, va bene così. Forse il silenzio è l’unico rifugio che mi resta. Ma non chiedetemi di fidarmi di nuovo. Non chiedetemi di aprire il cuore a qualcun altro. Perché quel cuore, ora, è stanco. E non so se sarà mai più lo stesso.
Anonimo🖤
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francesca-70 · 11 months ago
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Una forza e una generosità straordinarie sono il dono di ogni madre, e sono la base di quell’amore incondizionato che solo una madre sa offrire e che tutti dovremmo avere la possibilità di assaporare. Un vecchio proverbio napoletano recita: «Chi tene ‘a mamma, nun chiagne» (chi ha la mamma, non piange), ed è vero. Le madri sono scudo pronto a difenderci da ogni dolore, a volte persino esagerando.
La verità è che l’amore può tutto, che un sorriso, uno sguardo sincero, una carezza sono sorsi di eternità, che nel dolore la fiducia nel domani può soltanto diventare più grande.
Una terribile battaglia da combattere “un lungo addio”.. “un addio rubato..un addio mancato.. un addio finto”.
Perché tra di noi, mamma, non può esserci addio.
La mia persona più amata si dissolve lentamente in piccoli pezzi, ed è impossibile andare a ripescare quale sia stata l’ultima conversazione. Struggente ed emozionante, «il segreto della vita».
Tutto ruota intorno ai ricordi e alla memoria, al loro disperdersi e riemergere continuo e imprevedibile, trasportando tutti in una sorta di infinito presente. Una storia di cui non conosco né l’inizio né la fine, ma di cui ho vissuto e vivo intensamente ogni giorno con dolore, paura, rabbia, fatica, solitudine, curiosità, ostinazione. Facile perdersi in questo guazzabuglio di emozioni. Non so dire con precisione quando quel processo abbia avuto inizio. Sono stata incapace di cogliere i primi segnali quotidiani. E mi sono trovata direttamente a decidere quanti scatoloni avrebbero occupato i ricordi della mia infanzia e della mia adolescenza, riempiendoli ad una velocità molto superiore a quella delle mie emozioni, che mi soffocavano la gola. “Questo è il momento più difficile”, mi racconto ma intanto sto tatuando il mio cuore. In maniera indelebile.
Figlia unica di un genitore non autosufficiente, come la definisce la USL.
Il muro che ho dovuto attraversare per trovare il mio binario è fatto di rifiuto, disoriento.
Dovevo combattere con i fantasmi del mio passato, guardare negli occhi una persone che non mi riconosceva piu e specchiarmi nelle sue paure. Una micidiale danza di emozioni contrastanti: l’eterno presente senza ieri e senza domani il passato remoto improvvisamente prende vita catapultandoti in una dimensione surreale e spiazzante. Mi trito il cuore cercando di cogliere un’espressione diversa sul volto, un lampo negli occhi, un gesto, ma lei ė in un'altra dimensione e questo fa male. Come tenere tutto dentro.
Ecco come vedo, assisto e vivo questo lento perdersi. Un lento svanire. Spegnersi poco a poco, spettatore di questa surreale esibizione della vita. Dove il regista è il tempo e la trama è composta dalla memoria, dai ricordi, che a tratti riemergono da quel luogo fuori dallo spazio e dal tempo. Sono sempre lì. Sono sempre loro. Solo nascosti in qualche angolino. Basta aspettare il momento giusto... ed eccoli.
Un viaggio nei legami affettivi più forti, nelle nostre paure e nei nostri bisogni di amare, alla ricerca della felicità anche nelle situazioni apparentemente più avverse.
A 52 anni proprio non me lo aspettavo. Di figli ne avevo già uno, ormai grande, proiettato verso un futuro luminoso insieme alla famiglia che si era creato.
Ed io, invece, ecco che mi ritrovo, inaspettatamente, a dover fare i conti con la dolorosa esperienza di diventare “madre di mia madre", nel suo lento declino fisico e mentale.
Eppure il suo sguardo, di tanto in tanto, torna per un fugace momento (tanto fugace che, a volte mi chiedo se sia veramente successo) a fissarsi su di me, limpido e cosciente. Come se davvero fosse tornata a vederMi...tornata ad essere mia madre. Quella che si preoccupava per me. E si prendeva cura di me, sempre con un sorriso sulle labbra. Non so bene come spiegarmi. C’è da non trovare le parole quando hai a che fare con una persona che se ne sta andando lontano, sempre più, suo malgrado. C’è da augurarselo di non trovarle, mettere in fila i pensieri richiederebbe di voler vedere quello che si ha davanti e io non voglio.
“Mamma, sono io, sono Francesca”. Te lo ricordo, te lo ripeto, non perderlo il mio nome. Non lasciarmi andare. Nei tuoi pensieri troncati, assillanti, confusi non sei persa, perché non si può affogare in una pozzanghera, e non sei rinchiusa finché fai di tutto per stare a galla. Attaccati a me, aggrappati all'amo, salda più che puoi, con le mani e con lo sguardo, che ti tiro verso di me, non smettere di respirare.
Quanto fa male trasformarsi. “Sono io, mamma, sono Francesca”. “Lo so,” mi rispondi. Sei arrabbiata. In te c’è ancora forza...non molli, non cedi, ti ribelli. Mi prenderesti a schiaffi. Ti vedo, seduta sul divano. Ti stringi, ti rimpicciolisci, scompari, eppure io ti trovo sempre. So dove cercarti. So dove trovarmi. Anche se potremmo essere il gioco dei contrari io e te. Tu, che sei tanto diversa da me eppure ti assomiglio. Ho paura..e nello stesso tempo ho Il bisogno di non far vedere agli altri che sto male.
Ho tanti sensi di colpa: sono una mamma, come te. Quanta malinconia c’è, quanto mi ricordo di te..ricordi che si diluiscono. All’inizio mi concentro sul come fare per catturarti e quando ti ho catturata penso a come trattenerti; quando sto per perderti cerco di invogliarti a restare con un nuovo stratagemma; quando ti ho persa iniziano i propositi per fare meglio la volta dopo. Ricomincio, riprovo, non mollo mai. I tentativi si susseguono senza sosta. Non c’è fine, non c’è pausa. Ci pensi anche quando non lo fai. Ci deve essere da qualche parte una linea di confine che, se oltrepassata, è un cambio perenne di stato. E ci pensi mentre fai la spesa o sei in fila dal dottore, mentre parli al telefono con un’amica e perfino mentre ti fai la doccia. Quando sei sotto il getto dell’acqua tiepida piangi per il fallimento: non importa quanto poco ti consoli l’esserci per accudirla. L’acqua si miscela alle lacrime nel gorgo dello scarico e dovrebbe andare giù, lasciarti, non tornare, giusto? No, non va giù. La lacrima stagna, imputridisce. Si deposita. È l’acqua delle pozzanghere. Non conosce colore, non conosce fine. Non riflette tutto il cielo, non è nemmeno una finestra. Non bisogna scoraggiarsi.. ma mi mancano le forze o forse il coraggio. A volte ricordo i tempi piu felici che sono anche i più taglienti.“Eccomi! Ciao, come stai oggi? Hai visto che è arrivata l'estate???....
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Guardami,
"sono Francesca, mamma
Mamma❤”.
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t-annhauser · 2 months ago
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autolesionismo
Sofferente come Gadda costretto a guardare il festival di Sanremo dalla sua governante (disclaimer: nessun blogger è stato maltrattato o costretto a guardare il festival di Sanremo, è stata una sua scelta autonoma e ponderata dettata da autolesionismo), sono arrivato al punto di averne piene le uova. Mi si presenta un dilemma: o sono io che pretendo troppo dall'arte musicale oppure è lo stato dell'arte musicale che giace oramai a un livello così miserrimo che occorre raccontarsela bene bene per fare di ogni Lucio Corsi uno Ziggy Stardust, di ogni Giorgia una Aretha Franklin, di ogni Brunori un De Gregori. Uno scoramento infinito mi prende nel vedere questi poverini tentare di emulare artisti a cui loro corrispondono come Little Tony, buonanima, a Elvis Presley. Dice: bisogna accettare il gioco, lo sappiamo che Lucio Corsi non è David Bowie e che Giorgia non è Aretha Franklin, che Brunori non è De Gregori, ma il mito si crea per mitomania, un po' bisogna raccontarsela. D'accordo, ma bisogna vedere perché il gioco deve per forza valere la candela: a che pro mi dovrei applicare a fare tutto 'sto popò di lavorio mitologico per una Giorgia e per un Lucio Corsi? (Ho preso la pora Giorgia e il poro Lucio Corsi ma avrei potuto dire qualunque altro, Da Rocco Hunt ad Achille Lauro, ho stima solo per Massimo Ranieri).
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kiki-de-la-petite-flaque · 1 month ago
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Il problema è avere gli occhi e non saper vedere, non guardare le cose che accadono. Occhi chiusi. Occhi che non vedono più. Che non sono più curiosi. Che non si aspettano che accada più niente. Forse perchè non credono che la bellezza esista. Ma sul deserto delle nostre strade Lei passa, rompendo il finito limite e riempiendo i nostri occhi di infinito desiderio.
Pier Paolo Pasolini
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occhietti · 1 year ago
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C’è bisogno di lentezza.
Lo dico prima di tutto a me stessa che sono abituata ai ritmi di una vita frenetica dove riposare è un lusso e “non fare nulla” una sconfitta.
C’è bisogno di lentezza per assaporare il gusto di quello che mangiamo e il bouquet infinito di un calice di vino.
C’è bisogno di lentezza per capire chi siamo e per impedire che siano gli altri ad etichettarci secondo il proprio bisogno.
C’è bisogno di lentezza per non cadere vittima della frenesia che fa nascere stress, che alimenta la rabbia, che favorisce gli scontri, in una catena continua di male che genera male.
C’è bisogno di lentezza per ascoltare il nostro corpo e occuparci di lui, dei suoi bisogni “elementari” che sono però preziosi per permetterci di vivere serenamente… di vivere… di vivere e basta!
C’è bisogno di lentezza per coltivare sogni, alimentare idee, apprezzare Bellezza, "vedere" gli altri al di fuori di ogni nostro malcelato egoismo.
Infine c’è bisogno di lentezza per AMARE. Per SENTIRE l’altro davvero, al di là di ogni ansia di conquista, al di là di ogni cocciuto desiderio che spesso ha poco a che fare con l’incontro VERO tra due anime che si riconoscono.
Lentezza.
Silenzio.
Pace.
Respiro.
Non ho mai incontrato me stessa se non quando mi sono fermata e ho smesso di cercarmi.
- Letizia Cherubino
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empito · 2 months ago
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In tutta la mia vita, l'unica certezza in cui ripongo fede è Dio. Quando tutto intorno a me sembra vacillare, quando le ombre si allungano e il silenzio diventa assordante, è in Lui che trovo rifugio. Le strade che percorro possono essere impervie, le tempeste possono scuotere il mio cammino, ma c'è una luce che non si spegne mai. Nei momenti di gioia e in quelli di dolore, sento la Sua presenza accanto a me. È il soffio leggero del vento tra le foglie, il calore del sole sulla pelle, il sorriso di uno sconosciuto che passa per strada. È in ogni battito del cuore, in ogni respiro che mi tiene in vita. Non mi affido alle cose effimere di questo mondo, né alle promesse che svaniscono come la nebbia al mattino. L'unica verità che mi sostiene è quella che non posso vedere con gli occhi, ma che sento profondamente nell'anima. È una forza silenziosa che mi guida, una melodia che mi accompagna nel viaggio. Anche quando le ombre si fanno più scure e la solitudine mi avvolge, so che non sono mai veramente solo. C'è una mano invisibile che mi sostiene, un amore infinito che avvolge ogni cosa. È in questa consapevolezza che trovo la pace, nel sapere che c'è un disegno più grande, una speranza che non delude. Le stelle nel cielo notturno mi ricordano la Sua grandezza, il mare infinito racconta della Sua maestà. Ogni dettaglio dell'universo sussurra il Suo nome. Quando guardo negli occhi un bambino e vedo la purezza del suo sguardo, riconosco la scintilla divina che abita in ogni creatura. Il mondo cambia, le persone vanno e vengono, le certezze si sgretolano come castelli di sabbia, ma la Sua presenza rimane immutabile. È l'ancora che mi tiene saldo nelle tempeste, il faro che mi guida attraverso le tenebre. In Lui trovo risposte alle domande più profonde, conforto nelle ferite più dolorose. Non pretendo di capire tutti i misteri, né di avere tutte le risposte. Ma so che la fede non è cieca, è una visione oltre il visibile, un ascolto oltre il silenzio. È una mano tesa nell'oscurità, una promessa che risuona nel cuore. E così, nel fluire dei giorni, nel succedersi delle stagioni, continuo il mio cammino con fiducia. Perché so che, al di là di tutto, c'è un amore che non conosce fine. E questa è la verità a cui mi aggrappo con tutto me stesso.
Empito
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ilguardianodelfaro · 3 months ago
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Agire non mi ha mai portato nulla
di vagamente simile ai miei sogni
e l’inazione niente di migliore
e vedo ciò che non vorrei vedere:
l’insetto nel bocciòlo della rosa,
l’increspatura sulla superficie
calma del lago, il pianto trattenuto,
eppure non so fare previsioni,
tutto prende la piega incontrastata
del cosmico disordine infinito.
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canesenzafissadimora · 3 months ago
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Ci sono i tuoi polsi che mi entrano in testa e senza poter prestare attenzione ad altro mi lascio afferrare dal potere che eserciti – che loro esercitano su di me.
Li immagino coperti dai tuoi maglioni e cappotto e quando muovi le mani, il tessuto scivola un poco, e la mia fame si placa un poco – il poco necessario d’averla ancora e più forte di prima. Li immagino pulsare il sangue che ti scorre nelle vene, sentire il tuo battito contro le labbra, quando, mettendo da parte ogni tua protesta, baciandoli annego nella consapevolezza che sono prigioniera dell’odore della tua pelle, e specialmente lì.
E’ qualcosa di effimero, di così personale, di così tuo che solo immaginarli adesso sento di non sentire più niente. Mi strappi dal mondo e mi rivolti e rimetti in senso con la stessa dolcezza con cui appoggi la bocca sulla mia.
Sui tuoi polsi vedo la tua bellezza dormire e sgorgare fuori, inondandoti, sommergere le tue ossa – è la bellezza, che permette al tuo corpo di camminare e muoversi.
Li immagino colmi di energia di te preso a disegnare. Sfociare nei tuoi avambracci dove i miei denti appoggerei per saggiarti e avere dentro quell'odore, e se arrossisci, è solo purezza colorata.
Perché sei puro in modi che prima di te nemmeno esistevano. Che prima erano impensabili. La purezza che aggrotta la fronte e imbroncia le labbra se solo chiedendo, io ti imploro di baciare laddove la mia passione nasce, e mai muore.
Sei bello in modo sottile e da capire. Ma è quella sottigliezza, quel dettaglio infinito, che sprigiona in me un’emozione senza nome e senza ragione che mi rendo conto che chi riesce a vedere, vedere veramente, non può che scrutare la necessità che questa bellezza – la tua – ha di aggrapparsi alle tue spalle, e lenta ridiscendere in scrosci fuori e dentro te.
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bru111271 · 7 months ago
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Il problema è avere occhi e non saper vedere, non guardare le cose che accadono, nemmeno l’ordito minimo della realtà. Occhi chiusi. Occhi che non vedono più. Che non sono più curiosi. Che non si aspettano che accada più niente. Forse perché non credono che la bellezza esista. Ma sul deserto delle nostre strade Lei passa, rompendo il finito limite e riempiendo i nostri occhi di infinito desiderio.
P.P. Pasolini
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poesiablog60 · 2 years ago
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Il problema è avere gli occhi e non saper vedere,
non guardare le cose che accadono.
Occhi chiusi.
Occhi che non vedono più.
Che non sono più curiosi.
Che non si aspettano che accada più niente.
Forse perché non credono che la bellezza esista.
Ma sul deserto delle nostre strade
Lei passa, rompendo il finito limite e riempiendo i nostri occhi di infinito desiderio.
Pier Paolo Pasolini
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finestradifronte · 1 year ago
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Grazie Lapini sei l'unico rimasto a fare con le tue foto una narrazione realistica di ciò che accade. Il TG3 regionale fascio leghista doc ha dedicato 30 secondi netti al presidio dopo 5 sulla uno bianca e a seguire altri 5 alle attività nelle case di riposo per anziani per finire con un servizio infinito sulla vittoria del Bologna Ha fatto vedere immagini insensate, ha bollato tutto come "scontri " ha ridotto il comunicato ad un bignami , traslando il nome del comitato promotore ha etichettato il presidio come partecipato da fantomatici giovani palestinesi . Certo una picevole sorpresa che Bologna sia abitata da tanti giovani palestinesi! Ricordiamoci che con un'informazione libera la politica si guarderebbe bene di fare quello che fa. Non bastano i presidi bisogna smettere di guardarla questa RAI e pure il resto della tv. Da liceale ho approfondito molto gli studi e letture sull'Olocausto e spesso mi sono chiesta come il mondo potesse essere stato a guardare pur sapendo ora lo so, l'ho capito anche troppo bene. Il popolo palestinese è sulla coscienza di ognuno di noi. Ricordiamocelo domattina quando ci guardiamo allo specchio. Sentiamocela tutta la responsabilità quando dopo le veline di nonna Mara Venier riaccendiamo la TV e paghiamo il canone.
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