#val del bove
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bitter1stuff · 2 years ago
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Brewer's Dictionary of Phrase and Fable
TODAY'S ENTRY: Val Del Bove
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adrianomaini · 2 years ago
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La lotta partigiana trova nelle Langhe le condizioni necessarie e sufficienti per la sua mobilità
Il primo ciclo di rastrellamenti (dicembre ’43-gennaio ’44) ed il secondo (marzo-aprile ’44) avevano ampiamente dimostrato che il valore difensivo per la guerriglia del terreno montano era puramente illusorio, anzi aveva indotto spesso a difese statiche, il cui risultato era stata la distruzione delle formazioni partigiane (Boves, Val Casotto, Val Varaita) <3. Inoltre in montagna il problema…
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bagnabraghe · 2 years ago
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La lotta partigiana trova nelle Langhe le condizioni necessarie e sufficienti per la sua mobilità
Il primo ciclo di rastrellamenti (dicembre ’43-gennaio ’44) ed il secondo (marzo-aprile ’44) avevano ampiamente dimostrato che il valore difensivo per la guerriglia del terreno montano era puramente illusorio, anzi aveva indotto spesso a difese statiche, il cui risultato era stata la distruzione delle formazioni partigiane (Boves, Val Casotto, Val Varaita) <3. Inoltre in montagna il problema…
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paoloxl · 6 years ago
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Negli anni Quaranta Boves è una cittadina pre montana, in provincia di Cuneo, di circa diecimila abitanti, dediti per lo più ad un allevamento e all'agricoltura di sostentamento, che spesso sono costretti ad emigrare, anche solo stagionalmente. Le guerre, lunghe e faticose, che si sono susseguite, hanno mietuto numerose vittime: trecento sono i morti tra coloro che hanno combattuto la prima guerra mondiale, ma altre centinaia di persone sono morte di fame e di stenti.
19 settembre 1943: l'eccidio di Boves
Per questo motivo, già il 16 settembre, un proclama delle nazista firmato dal maggiore delle Waffen SS Joachim Peiper, comunica alla popolazione che i fuoriusciti dall'esercito italiano che sono saliti in montagna verranno liquidati come banditi, e che chiunque dia loro aiuto o asilo sarà ugualmente perseguito. Lo stesso giorno Peiper si reca a Boves, fa riunire in piazza tutti gli uomini e minaccia di bruciare il paese se tutti i soldati datisi alla macchia non si presenteranno.
La mattina di domenica 19 settembre una Fiat 1100 arriva in Piazza Italia: i due occupanti sono militari tedeschi. Un gruppo di fuoriusciti dall'esercito italiano, rifugiatisi per combattere in località San Giacomo, in Val Colla, è appena arrivato in paese per fare rifornimento di cibo: scorta la vettura dei tedeschi, li raggiungono, li disarmano e li catturano senza che questi oppongano resistenza, e li trasportano in Val Colla, dove i due vengono interrogati in merito alla propria presenza nel paese.
Alle 11.45, nemmeno un'ora dopo la cattura, due grandi automezzi tedeschi, carichi di militari, arrivano in Piazza Italia: due SS con bombe a mano distruggono il centralino del telefono sito nei pressi del municipio, quindi i due automezzi ripartono a tutta velocità verso il torrente Colla. Giunti nei pressi del borgo di Tetti Sergent i tedeschi abbandonano i mezzi e proseguono a piedi: sono circa le 12 quando inizia la battaglia con le formazioni partigiane lì stanziate. Il contrattacco della formazione di Ignazio Vian ha successo, e in meno di un quarto d'ora le truppe tedesche sono costrette a indietreggiare. Durante lo scontro restano a terra due persone, il partigiano genovese Domenico Burlando, e un militare tedesco, il cui corpo viene abbandonato nel bosco dai suoi.
Alle 13 le SS coinvolte nello scontro a fuoco tornano a Boves, e circa alla stessa ora giunge in Piazza il grosso del plotone tedesco di Cuneo, comandato dal generale Peiper, che incarica il parroco di Boves, Don Bernandi, e l'industriale Antonio Vassallo di andare a trattare con i partigiani per la riconsegna dei due prigionieri, della Fiat 1100 e della salma del caduto; Peiper assicura che in caso di successo della trattativa Boves sarà risparmiata, ma si rifiuta di mettere per iscritto il proprio impegno, asserendo che "la parola d'onore di un ufficiale tedesco vale gli scritti di tutti gli italiani".
Gli ambasciatori giungono tra i partigiani tra le 14 e le 15 e parlano con il comandante Vian e un'altra decina di persone, che dopo alcune discussione decidono di riconsegnare i prigionieri, con tutto il loro equipaggiamento, l'auto, e la salma del caduto tedesco. I prigionieri, bendati, vengono fatti salire in auto con gli ambasciatori e riportati in centro a Boves.
Nonostante la riconsegna il maggiore Peiper dà ordine di iniziare la rappresaglia: piccoli gruppi di SS sfondano le porte delle case, sparano e uccidono i cittadini che sono rimasti a Bovese, per la maggior parte anziani, malati e infermi, e appiccano il fuoco a tutto ciò che trovano sulla loro strada.
Il bilancio dell'eccidio di Boves, il primo in Italia, è pesantissimo: 350 le abitazioni incendiate, 24 le persone uccise, tra i quali anche i due ambasciatori don Bernardi e Antonio Vassallo.
I famigliari delle vittime e l'intera cittadina di Boves non avranno mai giustizia: nonostante i numerosi tentativi di denuncia, la magistratura tedesca non prenderà mai in considerazione le richieste della città cuneese. Il generale Peiper, arrestato alla fine della guerra, verrà inizialmente condannato all'impiccagione per il massacro di Malmedy, in Francia, in cui morirono 129 persone, ma la pena verrà commutata in carcere a vita e sarà scarcerato sulla parola nel 1956; trasferitosi con uno psuedonimo a Traves, in Francia, verrà infine raggiunto dalla giustizia partigiana il 13 luglio 1971, durante l'incendio della sua casa, colpita da bombe moltov.
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franco-senestro · 5 years ago
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“…Salimmo di corsa sulle colline del Giguttin e vedemmo il paese in un mare di fuoco. Impossibile! Incredibile! l’impressione di sgomento e di disperazione che era nei nostri occhi non si può…” (dal diario di uno scampato all’eccidio di Boves).
Sono trascorsi solo undici giorni dall’Armistizio, i tedeschi hanno occupato Cuneo, sono oltre 500 SS dotate di carri armati e autoblindo, a comandarle è il maggiore Joachim Peiper
L’esercito italiano è ormai allo sbando, molti stanno fuggendo, hanno paura, cercano di sbarazzarsi della divisa per mettersi in abiti civili ed i tedeschi ne approfittano per prendere possesso di tutti i territori italiani non ancora in mano agli alleati. Sta nascendo il movimento di Resistenza Partigiana, oltre ai militari dell’esercito Italiano, molti antifascisti, gente comune, stanca della guerra e che non ci stà a vedere la propria patria sotto il dominio germanico.
A Cuneo, è attivo da anni un movimento antifascista, a comandarlo è Tancredi Achille Giuseppe Olimpio Galimberti, un avvocato che nel 1943 aveva 37 anni e che tutti conoscevano come «Duccio», il soprannome con cui sarebbe passato alla storia d’Italia. Il 26 luglio 1943, il giorno dopo la caduta di Mussolini, Galimberti, da tempo militante clandestino dal balcone del suo studio nella centralissima piazza Vittorio (oggi piazza Galimberti) tenne un comizio improvvisato per celebrare la fine del regime fascista: «La guerra continua, fino alla cacciata dell’ultimo tedesco e alla scomparsa delle ultime vestigia del fascismo».
Per questo motivo, già il 16 settembre, un proclama dell’esercito nazista firmato dal maggiore delle Waffen SS Joachim Peiper, comunica alla popolazione che i fuoriusciti dall’esercito italiano che sono saliti in montagna verranno liquidati come banditi, e che chiunque dia loro aiuto o asilo sarà ugualmente perseguito. Lo stesso giorno Peiper si reca a Boves, fa riunire in piazza tutti gli uomini e minaccia di bruciare il paese se tutti i soldati datisi alla macchia non si presenteranno.
La mattina di domenica 19 settembre una Fiat 1100 arriva in Piazza Italia: i due occupanti sono militari tedeschi. Un gruppo di fuoriusciti dall’esercito italiano, rifugiatisi per combattere in località San Giacomo, in Val Colla, è appena arrivato in paese per fare rifornimento di cibo: scorge la vettura dei tedeschi, li raggiungono, li disarmano e li catturano senza che questi oppongano resistenza, e li trasportano in Val Colla, dove i due vengono interrogati in merito alla propria presenza nel paese. Alle 11.45, nemmeno un’ora dopo la cattura, due grandi automezzi tedeschi, carichi di militari, arrivano in Piazza Italia: due SS con bombe a mano distruggono il centralino del telefono sito nei pressi del municipio, quindi i due automezzi ripartono a tutta velocità verso il torrente Colla. Giunti nei pressi del borgo di Tetti Sergent i tedeschi abbandonano i mezzi e proseguono a piedi: sono circa le 12 quando inizia la battaglia con le formazioni partigiane lì stanziate. Il contrattacco della formazione di Ignazio Vian ha successo, e in meno di un quarto d’ora le truppe tedesche sono costrette a indietreggiare.
Durante lo scontro restano a terra due persone, un partigiano genovese e un militare Tedesco
Alle 13 le SS coinvolte nello scontro a fuoco tornano a Boves, e circa alla stessa ora giunge in Piazza il grosso del plotone tedesco di Cuneo, comandato dal generale Peiper, che incarica il parroco di Boves, Don Bernandi, e l’industriale Antonio Vassallo di andare a trattare con i partigiani per la riconsegna dei due prigionieri, della Fiat 1100 e della salma del caduto; Peiper assicura che in caso di successo della trattativa Boves sarà risparmiata, ma si rifiuta di mettere per iscritto il proprio impegno, asserendo che “la parola d’onore di un ufficiale tedesco vale gli scritti di tutti gli italiani”.
Gli ambasciatori giungono tra i partigiani tra le 14 e le 15 e parlano con il comandante Vian e un’altra decina di persone, che dopo alcune discussione decidono di riconsegnare i prigionieri, con tutto il loro equipaggiamento, l’auto, e la salma del caduto tedesco. I prigionieri, bendati, vengono fatti salire in auto con gli ambasciatori e riportati in centro a Boves. Nonostante la riconsegna il maggiore Peiper dà ordine di iniziare la rappresaglia: piccoli gruppi di SS sfondano le porte delle case, sparano e uccidono i cittadini che sono rimasti a Boves, per la maggior parte anziani, malati e infermi, e appiccano il fuoco a tutto ciò che trovano sulla loro strada. Il bilancio è pesante, circa 350 case la cifra ufficiale, 25 le persone uccise compresi il parroco don Bernardi e Vassallo i quali, addirittura, vengono bruciati vivi. Anche il vicecurato don Mario Ghibaudo di appena 23 anni verrà ucciso mentre aiuta vecchi e bambini a fuggire .
Quello di Boves è stato uno dei primissimi episodi del sistema repressivo tedesco che prevedeva azioni contro la popolazione civile in risposta alle azioni partigiane e dei militari italiani.
Eccidio di Boves “...Salimmo di corsa sulle colline del Giguttin e vedemmo il paese in un mare di fuoco. Impossibile!
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paoloxl · 7 years ago
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19 settembre 1943: l'eccidio di Boves
Negli anni Quaranta Boves è una cittadina pre montana, in provincia di Cuneo, di circa diecimila abitanti, dediti per lo più ad un allevamento e all'agricoltura di sostentamento, che spesso sono costretti ad emigrare, anche solo stagionalmente. Le guerre, lunghe e faticose, che si sono susseguite, hanno mietuto numerose vittime: trecento sono i morti tra coloro che hanno combattuto la prima guerra mondiale, ma altre centinaia di persone sono morte di fame e di stenti.
Per questo motivo, già il 16 settembre, un proclama delle nazista firmato dal maggiore delle Waffen SS Joachim Peiper, comunica alla popolazione che i fuoriusciti dall'esercito italiano che sono saliti in montagna verranno liquidati come banditi, e che chiunque dia loro aiuto o asilo sarà ugualmente perseguito. Lo stesso giorno Peiper si reca a Boves, fa riunire in piazza tutti gli uomini e minaccia di bruciare il paese se tutti i soldati datisi alla macchia non si presenteranno.
La mattina di domenica 19 settembre una Fiat 1100 arriva in Piazza Italia: i due occupanti sono militari tedeschi. Un gruppo di fuoriusciti dall'esercito italiano, rifugiatisi per combattere in località San Giacomo, in Val Colla, è appena arrivato in paese per fare rifornimento di cibo: scorta la vettura dei tedeschi, li raggiungono, li disarmano e li catturano senza che questi oppongano resistenza, e li trasportano in Val Colla, dove i due vengono interrogati in merito alla propria presenza nel paese. Alle 11.45, nemmeno un'ora dopo la cattura, due grandi automezzi tedeschi, carichi di militari, arrivano in Piazza Italia: due SS con bombe a mano distruggono il centralino del telefono sito nei pressi del municipio, quindi i due automezzi ripartono a tutta velocità verso il torrente Colla. Giunti nei pressi del borgo di Tetti Sergent i tedeschi abbandonano i mezzi e proseguono a piedi: sono circa le 12 quando inizia la battaglia con le formazioni partigiane lì stanziate. Il contrattacco della formazione di Ignazio Vian ha successo, e in meno di un quarto d'ora le truppe tedesche sono costrette a indietreggiare. Durante lo scontro restano a terra due persone, il partigiano genovese Domenico Burlando, e un militare tedesco, il cui corpo viene abbandonato nel bosco dai suoi. Alle 13 le SS coinvolte nello scontro a fuoco tornano a Boves, e circa alla stessa ora giunge in Piazza il grosso del plotone tedesco di Cuneo, comandato dal generale Peiper, che incarica il parroco di Boves, Don Bernandi, e l'industriale Antonio Vassallo di andare a trattare con i partigiani per la riconsegna dei due prigionieri, della Fiat 1100 e della salma del caduto; Peiper assicura che in caso di successo della trattativa Boves sarà risparmiata, ma si rifiuta di mettere per iscritto il proprio impegno, asserendo che "la parola d'onore di un ufficiale tedesco vale gli scritti di tutti gli italiani". Gli ambasciatori giungono tra i partigiani tra le 14 e le 15 e parlano con il comandante Vian e un'altra decina di persone, che dopo alcune discussione decidono di riconsegnare i prigionieri, con tutto il loro equipaggiamento, l'auto, e la salma del caduto tedesco. I prigionieri, bendati, vengono fatti salire in auto con gli ambasciatori e riportati in centro a Boves.
Nonostante la riconsegna il maggiore Peiper dà ordine di iniziare la rappresaglia: piccoli gruppi di SS sfondano le porte delle case, sparano e uccidono i cittadini che sono rimasti a Bovese, per la maggior parte anziani, malati e infermi, e appiccano il fuoco a tutto ciò che trovano sulla loro strada.
Il bilancio dell'eccidio di Boves, il primo in Italia, è pesantissimo: 350 le abitazioni incendiate, 24 le persone uccise, tra i quali anche i due ambasciatori don Bernardi e Antonio Vassallo.
I famigliari delle vittime e l'intera cittadina di Boves non avranno mai giustizia: nonostante i numerosi tentativi di denuncia, la magistratura tedesca non prenderà mai in considerazione le richieste della città cuneese. Il generale Peiper, arrestato alla fine della guerra, verrà inizialmente condannato all'impiccagione per il massacro di Malmedy, in Francia, in cui morirono 129 persone, ma la pena verrà commutata in carcere a vita e sarà scarcerato sulla parola nel 1956; trasferitosi con uno psuedonimo a Traves, in Francia, verrà infine raggiunto dalla giustizia partigiana il 13 luglio 1971, durante l'incendio della sua casa, colpita da bombe moltov.
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