#usi&costumi
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La macchina di Santa Rosa Viterbo
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Piove
Una volta un tizio disse "otto" e iniziò a piovere tantissimo. Fu la volta che nacque il detto "piove a dir otto". Poco prima disse "sette" ma non successe nulla. Infatti non senti nessunə dire "piove a dir sette".
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La società degli Etruschi
di Giovanni Caselli Sarcofago degli sposi (520 a.C.) La società etrusca era patrilineare e patriarcale, tuttavia la relativa libertà della donna, che nella società etrusca poteva partecipare ai banchetti assieme agli uomini, scandalizzava gli altri popoli mediterranei che tenevano le loro donne in stretta clausura, come del resto accade ancora oggi nella maggior parte del Mediterraneo o…
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#Giovanni Caselli gli Etruschi#Giovanni Caselli La società etrusca#Il mistero degli etruschi#Usi e costumi degli Etruschi
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Il liberalismo, unica ideologia dogmatica rimasta, rivela la sua essenza proprio nella gestione del fenomeno migratorio. Ma andiamo per gradi e dall’inizio: il liberalismo nasce come ideologia borghese e mercantile per tutelare gli interessi della nascente borghesia compradora che liberatasi di Trono e Altare, trova la sua legittimazione culturale e politica nell’utilitarismo di Locke, Hume e altri , basandosi soprattutto sulle teorie di Hobbes dove l’assetto sociale e statuale è determinato dal ” contratto sociale ” tra i componenti e in quelle di Montesquieu sulla divisione dei poteri , dove prevale però chi detiene i mezzi economici.
Il liberalismo infatti concepisce solo diritti del tutto ” astratti” e non collegati in alcun modo alla concretezza materiale tranne quello alla proprietà privata ( anche questo soggetto alle differenze di censo) e alla libera impresa. Ad esempio il CD diritto al lavoro e’ il classico esempio di diritto che in realtà è esercitabile a condizione che la dinamica domanda/ offerta corrisponda alle necessità del ” mercato del lavoro ” ergo alle necessità del Capitale, altrimenti è un diritto inesigibile da parte del titolare del diritto stesso. Potremmo citare altri esempi di diritti totalmente svincolati dalla realtà e dalla dinamica materiale ( libertà di espressione, alla salute, alla sicurezza…) ed è proprio per questo che ad esempio in Italia dal 1948 si parla di Costituzione formale, in pratica mai attuata , e Costituzione reale, cioè quella parte che per prassi necessita per il funzionamento dell’economia di mercato.
Posto questo dato , nel caso del fenomeno migrazione, controllata o meno, assistiamo ad un classico dello Stato liberale. Cercare di agevolare l’ingresso di un esercito industriale di riserva , in modo più o meno surrettizio, cercando al contempo di introdurre l’idea culturale che la persona, come le merci, è spazialmente e temporalmente ” fungibile” .Ergo un congolese ad Oslo o un norvegese in Congo possono ” integrarsi” a vicenda perché sono persone che , in teoria , non soffrono alcuna influenza identitaria o ambientale.
Ora il marxismo , che lo ricordiamo nasce come liberalismo ” rovesciato”, nella sua corrente rappresentata da Adorno , Horkheimer ma anche dalla corrente francese che fa capo a Guattari , pone invece l’uomo come prodotto delle condizioni sociali, ambientali e della società in cui vive. Si arriva a dire , ed è per certi versi assolutamente inconfutabile, che l’uomo è determinato dalla famiglia, dal clima e dal paesaggio in cui vive , tralasciando usi, costumi, credenze religiose etc. Questi fattori determinano non solo chi li vive ma anche le generazioni successive che dovessero emigrare altrove, come dimostrano anche gli italiani che da generazioni vivono in altri paesi che mantengono uno stretto legame, magari spesso folkloristico, con le proprie origini.
Quindi l’origine come il DNA di ogni persona è ineliminabile, a onta dei” costruttori di diritti a tavolino” che continuano a parlare di inesistenti ” diritti universali” che si concretizzano solo nel ” diritto del capitale ” di spostare manodopera da un capo all’ altro del pianeta. I tentativi quindi di eliminare i dati identitari e qualitativi sia degli europei che degli immigrati, in nome di un astrattismo materiale che vorrebbe solo ” replicanti” consumatori globali o ” cittadini del mondo” non è logico, non è razionale e soprattutto genera violenza e problemi psichici che ben vediamo nella cronaca nera quotidiana anche e soprattutto con gli immigrati di terza generazione. I tentativi surrettizi tipo lo ” ius scholae” sono semplicemente risibili , ancora una volta non basta studiare Dante per sentirsi europei, anche perché primo non si capisce perché un africano dovrebbe sentirsi ” europeo” e viceversa, ma soprattutto perché la cd integrazione non può avvenire su queste basi di astrattezza puramente mercantile che non permette un effettivo dialogo tra culture e identità, ma al contrario lo mortifica e lo soffoca in nome del puro profitto di pochi.
-Kulturaeuropa
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La verità non occultabile: ben oltre il 10% dei giovanissimi è non italiano, quindi ben oltre il 20% almeno é nato qui da genitori originari da altri Paesi, parlanti altre lingue e seguenti altri usi e costumi. Un trend diretto al 50% della popolazione in pochissimi anni (di fatto la proporzione tra aborigeni e stranieri in molti istituti).
La seconda grafica é statica e pure sbiadita ("più del 2%": può voler dire anche 5% o il 20%); segnala semplicemente che gli stranieri, nel caso i musulmani, sono qui richiamati da imprenditoria decotta (costruzioni, meccanica) e per far servizi a basso costo in nero nelle città, spiazzando chi - giovani, casalinghe etc - li farebbe ma a costo un po 'meno basso e con un filo di garanzie in più.
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Ho capito che spesso e volentieri i suddetti soft boys che amo possono essere tranquillamente i più inetti alla vita che si possono incontrare, parlando di andare a vivere all’estero esponendo le mie paure sull’ambientarsi in una società diversa dalla nostra con usi costumi burocrazia casa lavoro mi hanno detto “ah si andrei nei pub a farmi degli amici!! Per me gli amici sono importanti” come se per me non siano importanti ma che porcodio fra hai 28 anni ma organizzati ma pensi che puoi chiamare tua mamma per aiutarti nella dichiarazione dei redditi in Olanda?!?!?! Boh
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Questo è uno di quei post dove per raccontare un episodio devo fare tutto un giro assurdo, quindi adesso mi armo di santa pazienza, ma siete dispensati dal fare altrettanto e passare oltre. Non è un post politico, anche se può sembrare tale, non faccio più politica sui social da anni ormai, sono in una fase della vita dove mi interessa parlare con le persone, non schierarmi in una curva, pur non togliendo nessun valore al dibattito (e anche allo scontro, purché civile) politico.
L'episodio in sé è una festa di compleanno del 28 ottobre, davanti a me c'è un mio amico russo, Yuriy. Siamo a tavola, si parla di tante cose, sta per arrivare Halloween, e si scherza su usi e costumi tra Italia e Russia, e io tiro fuori quella gag stranota di Vincenzo De Luca che, sul suo canale, al grido di ALLAUIN in pieno Covid, minaccia chiusure, segregazioni, pattugliamenti armati e coprifuoco mai visti.
Congelate un attimo questo istante, perché devo parlarvi di due cose, della mia gente, i campani, e della storia della presidenza della Regione Campania.
Premetto che ho viaggiato e lavorato in talmente di quei posti da poter dire che Gennaro Savastano aveva ragione quando diceva 'a merd sta a tutt part, ten sul culor divers, quindi non cado più nei tranelli dipinti da quegli imbecilli che liquidano malamente realtà lontane nascondendo la propria sotto al tappeto, dato che il dito è sempre stato più facile da guardare rispetto alla luna, ma è un fatto che il tessuto sociale della mia terra è costruito nel quotidiano di espedienti e micromeccanismi sul bordo della legalità che fanno "sistema", nella maggioranza dei casi a danno della collettività, a volte gestibile, a volte distruttivo. Avevo già scritto tanto tempo fa qui una famosa battuta di Riccardo Pazzaglia,
Eeeehh galera ... galera ... Professo’, voi mi state trattando come se avessi commesso chissà quale delitto. E invece, in questa casa, non ci sono delitti da scoprire o, se ci sono, sono delitti di ordinaria amministrazione, piccoli sotterfugi, piccole invenzioni per sopravvivere. Quanto a voi, Dott. Cazzaniga, voi siete milanese: certe cose non le potete capire. Voi dovete sapere che, a Napoli, siamo tutti assassini ... nous sommes tous des assassins, come diceva Jean Gabin. Però con questa differenza: che da noi ci sono delinquenti colpevoli e delinquenti innocenti. Se voi, in questo palazzo, entrate in tutte le case, voi troverete almeno un delinquente innocente.
e questo pensiero, che trovo stupendo e che rispecchia fedelmente la quotidianità della mia terra, ha un grandissimo limite, ovvero che funziona con persone come la figura impersonata da Pazzaglia (un artista che, squattrinato e in un perenne stato di necessità, vendeva dei falsi d'autore, spacciandoli per originali, tuttavia con delle storie di vita familiare inventate al momento e con tanto di rappresentazione teatrale), persone che hanno una coscienza sociale solida e un rispetto profondo per la propria comunità (i delinquenti innocenti), ma quando questo pensiero lo trasferite nella testa di coloro ai quali queste cose mancano (i delinquenti colpevoli), allora quel pensiero sarà la giustificazione perfetta dei propri atti per, nella migliore delle ipotesi, un balordo coglione, o nella peggiore, ovvero il disperato che non ha nulla da perdere, per un potenziale soldato della camorra. E questo è uno dei grandi punti dolenti della mia terra, non è, e lo ribadisco, l'origine dei mali, ma ne è uno dei vettori.
Passiamo adesso ai Presidenti di Regione. Non posso tornare indietro fino a Garibaldi, ma posso parlarvi di coloro dei quali ho una memoria politica più o meno valida, ovvero da Rastrelli in poi.
Rastrelli, 1995, beh, che dire, il classico governo FI/MSI (pardon, AN) degli amici che quando non c'era più da magnare rovesciarono il tavolo, dando l'opportunità ad un mastelliano (Losco, 1999) per un anno di mantenere lo status quo. 5 anni dove non è successo praticamente un cazzo.
Nel 2000 arriva Bassolino, DS (ex-ex-PD, per i più giovani). Sulla carta, l'uomo giusto. E' stato un ottimo sindaco di Napoli, nulla da dire, e sarebbe andato alla grande anche come Presidente della Regione, però aveva un grosso limite, ovvero che la regione non era arte sua, e il problema stava nel fattore di scala. L'ordine di grandezza dei problemi, da Napoli ad un intera regione, non è ovviamente lo stesso, e questo salto non l'ha retto, soprattutto nel suo secondo mandato, è vero, afflitto da vicende giudiziarie dalle quali ne è uscito pulito, ma ad ogni modo vittima di un immobilismo politico che, a mio parere, si sarebbe verificato anche in una carriera tutta rose e fiori. La Maionchi direbbe: bene, bene, bravo, ma per me è no.
Dopo 10 anni, arriviamo a Caldoro, 2010, FI (diciamo piuttosto un prodotto delle ceneri del PSI, ma la zuppa è quella). Nonostante il mio tono vagamente supponente, non avrei delle critiche da fare alla persona, anzi, Caldoro per me è quel classico bravo ragazzo figlio di papà del liceo tutti 10 in pagella che viene rovinato dagli amici, fosse per lui farebbe tutto a modino e non torcerebbe una ala ad una mosca, ma poi arriva l'amico di banco con la mano sul pacco e il rutto in canna, gli piscia sul compito di matematica e lui muto. Tradotto: ci provò anche a sistemare qui e là, talvolta con successo, ma poi una volta caduto Cosentino e tutto il sistema camorristico che ci girava intorno, anche la storia di Caldoro finì. Chi vuole capire capisce.
E arriviamo al nostro eroe, Vicienz pall 'e fierr De Luca, imperat ... ehm, governatore dal 2015. Ecco, diciamo che De Luca è la versione brutta di Bassolino. Uno dalle idee chiare, purché siano le sue, le cose le fa, e anche molto di più dei suoi predecessori, ma con questa condizione: se ti stanno bene, ok, altrimenti attaccati al cazzo, perché se non capisci il bene che sto facendo a questa terra sei un coglione. Uno frenato dalle leggi e dalla costituzione, altrimenti 'na chianett a mana smerz (= ceffone dato di dorso) te la darebbe volentieri, e non tanto come forma educativa, ma perché lui ha ragione e tu hai torto, e non ci sono altri argomenti. Un fascistone, quindi? Mmmm, sì e no, ciò che lo salva da essere un vero fascista alla Storace o La Russa è che è una persona studiata, a Napoli si direbbe nun è l'ult'm strunz, però purtroppo sì, la botta gliela dà. Ora, il punto del mio ragionamento non è fare un post pro o contro De Luca, quanto sottolineare il fatto che, al di là della persona dai modi discutibili, sono abbastanza convinto che lui sappia benissimo che, per governare una regione come la Campania, dato il ragionamento che ho fatto sopra sul "campano medio", l'unico modo è, sì, legiferare, e si spera legiferare bene, ma quando serve la pedata nel culo è necessaria, perché altrimenti si ricade sempre in quel substrato anarchico che è stampato nel nostro DNA, e che, se lasciato libero, purtroppo danni ne fa, e Bassolino questa cosa l'ha provata sulla pelle, arrivando al punto tale da non poter combinare più nulla. Lo so, è populista come ragionamento, e tanto è. Anzi, adesso ci arriviamo al populismo quello vero, tenetevi forte.
Io non so se avete avuto il coraggio di seguirmi fin qui, ma se ci siete riusciti, mettiamo finalmente insieme i pezzi. Ritorniamo alla festa di compleanno e la mia chiacchierata con Yuriy.
Nel mio racconto della storia della mia terra, tutti i vari cazzi (per quello che può essere stato possibile fare in un paio d'ore), in particolare il discorso di ALLAUIN del 2020, dove Vicienz temeva che, senza una posizione da calci nel culo, il campano medio se ne sarebbe bellamente fottuto dei distanziamenti e delle regole, mi è uscita, vi giuro, ma tipo un istinto riflesso, io manco ci ho pensato, una roba così
visti tutti quelli che han governato prima di De Luca, alla fine vince e vincerà lui perché non c'è un'alternativa, chi ci metti, quelli che non hanno mai prodotto nulla?
e lui, da cittadino di San Pietroburgo, mi ha freddato con
questa è la stessa identica frase che dice la mia gente quando supporta Putin
Ora, premesso che provai disperatamente ad arrampicarmi sugli specchi, fallendo, l'ultima cosa che voleva fare Yuriy è fare un paragone sulla persona tra Putin e De Luca, anche perché lui non sapeva manco chi cazz è Vincenzo, e infatti qui il punto non è tanto sul personaggio, quanto sul fatto che una persona forte al potere, può essere pure Gesù Cristo, crea di fatto un sistema subdolo di condizionamento nella scelta, ed è un processo purtroppo fisiologico, iniziamo a barattare spirito critico con la fiducia parzialmente poggiata sulla pigrizia, magari di più sulla paura di tornare indietro. Non ho più potere di voto in Campania, ma se potessi, io non avrei problemi a votare di nuovo lo sceriffo, però, dopo la mia chiacchierata con Yuriy, penso che nella cabina elettorale ci passerei stavolta molto più tempo, mi tremerebbe quasi la mano, perché sentirei che dietro quella X non c'è più quel pensiero naïve di credere ciecamente che Vincenzo sistemerà tutto, e lo ripeto, non perché De Luca non ne sia capace, magari ci riesce, ma lo stramaledetto punto qui è un altro, è che dietro quel voto, quella conferma, io ho aiutato a mettere l'ennesimo mattoncino su un qualcosa che, prima o poi, potrebbe diventare più grande di me, e, Dio non voglia, un qualcosa contro la quale un giorno potrei non riuscire a farci più nulla.
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Sì, io i tatuaggi li considero osceni. E non posso farci niente.
Non trovo nemmeno un reale, unico, vero motivo per cui dovrei apprezzare i tatuaggi. Anzi, per molte ragioni, mi fanno arrabbiare. Iniziamo dal principio: di quello che fanno gli uomini non potrebbe fregarmene di meno. Di quello che fanno le donne, invece, sì. Perché le amo. E quindi, qui, c’è il primo cortocircuito pazzesco: avete il corpo femminile, in alcuni casi la cosa più bella del mondo, e voi che fate? La deturpate coi tatuaggi. Non lo accetterò mai. Mi metto le mani nei capelli ogni volta che ci penso, ogni volta che penso allo spreco, alla violenza di un gesto del genere, alla mancanza di rispetto verso il vostro stesso corpo. Avete (quasi) sempre quei cavolo di problemi di autostima, lo sappiamo eh. Ma questo vi autorizza, in un masochismo esasperante, a fare scarabocchi su quella pelle così delicata, soffice, morbida, profumata? Sapete come la penso, sapete quanto io sia un amante della libertà, non è questo il punto. Fate quello che volete, logicamente, non devo certo dirvelo io. È che mi fa imbestialire il fatto che non vi amiate. E no, non mi venite a dire che una ragazza che si ama davvero si fa i tatuaggi, perché non ci crederò mai. Mi spiace. Sapete quante volte mi capita di vedere una ragazza tatuata e pensare, tra me e me: “Che peccato”? Tante, davvero tante. Eppure questo è il mondo di oggi, ennesima cosa che va accettata. Ma io non l’accetto comunque, e come sempre me ne resto in disparte, per conto mio, senza far del male a nessuno, senza offendere la specificità di nessun individuo che fa una scelta libera. Qui si fanno solo ragionamenti, analisi. Ci sarebbe poi la questione più alta, ne vogliamo parlare? Perfino nella Bibbia, v’è l’esortazione a non marchiarsi coi tatuaggi. Personalmente parlando, essendo Dio l’unica essenza e totalità in cui credo fermamente con tutto me stesso, non posso non tenerne conto. Gesù Cristo è l’unica vera via, ma a differenza dei tatuaggi non va di moda. Torniamo ai livelli più bassi della materialità e della carne umana: non riuscirei ad avere una relazione interpersonale sentimentale, degna di questo nome, con una ragazza che abbia un tatuaggio. Voi lo vedete come un mio limite, e accetto questo vostro pensiero. Intendiamoci: mi confronto tutti i giorni con ragazze che vivono e pensano diversamente da me, e ad alcune voglio anche molto bene. Non mi prendete per scemo, insomma, so restare al mio posto senza tapparmi gli occhi e le orecchie per ventiquattro ore al giorno. Ma, ecco, diciamo che certi usi e costumi non li capisco proprio. Non riesco. Vengo da un’altra epoca? Da un altro mondo? Può darsi. Eppure, quando vedo il corpo nudo e la pelle bianca, candida e immacolata di una ragazza, è tutta un’altra storia. È, quella sì, una vera opera d’arte. Probabilmente la più bella. Non sprecate mai il vostro valore, che può essere immenso. Sopra ogni cosa: amatevi. Ma amatevi davvero. Fate l’amore con voi stesse, e non solo infilando le dita tra le gambe. Desideratevi, rispettatevi, ascoltatevi.
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Venere nera
Angelo e Alfredo Castiglioni
Edizioni Lativa, Varese 1985, 256 pagine, 23x30,3cm, + Astuccio editoriale in mezza tela firmato Missoni
euro 60,00
email if you want to buy [email protected]
Nati a Milano il 18 marzo 1937 i fratelli gemelli Angelo e Alfredo Castiglioni si sono dedicati, fin dall’età di 19 anni, alla ricerca e alla scoperta. In sessant’anni di missioni, soprattutto nel continente africano, hanno effettuato importanti ritrovamenti archeologici e realizzato una accurata documentazione di usi e costumi di gruppi etnici ormai scomparsi o che stavano perdendo le loro originarie basi culturali.
21/10/24
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Da ripetere
Ho partecipato a un corteo che per sbaglio ha imboccato l'ingresso di un grande condominio di quindici piani. Siamo saliti per le scale con striscioni e fumogeni intonando cori molto partecipati per poi scendere a gruppetti di 5 con l'ascensore. Non sono mancati momenti di claustrofobica tensione e di accesa discussione con alcuni condomini - nello specifico con il sig. Marini al sesto piano e con i coniugi Frea al tredicesimo - ma nel complesso è stata un'esperienza interessante per quanto riguarda la sensibilizzazione di chi è solito rimanere nella propria abitazione durante una manifestazione popolare. Da ripetere.
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Distopiche visioni
Mentre attendevo che il mio udito, proteso dal salone, cogliesse il lieve gorgoglio della moka in procinto di esalare il suo aroma, mi intrattenevo nel raccogliere i panni sullo stendino. Il caffè, infine, sgorgò, e riempii una tazzina. Quando la prima pila di calzini, mutande e canottiere fu pronta, la cinsi delicatamente e mi avviai per il corridoio. Procedevo con passo lento, forse a causa delle tenebre ancora dense del mattino, forse per quella sonnolenza che tardava a dissolversi, o forse perché, in quell'istante, mi trovavo a dovermi destreggiare, come un abile funambolo, affinché i calzini appallottolati e posti in cima al mucchio non scivolassero a terra. Ad ogni modo, arrivai nella camera e adagiai il carico sul letto.
La stanza era immersa in quella tipica penombra mattutina: le lenzuola, come di consueto, erano ancora disfatte e i cuscini fuori posizione. Spesso spetta a me l’ingrato compito di raccogliere i panni, giacché la mia ragazza è solita uscire prima per recarsi al lavoro, e pertanto eseguo il compito in maniera quasi automatica. Lo spazio che separa i piedi del letto dai cassetti in cui riporre la biancheria è di neanche mezzo metro, ma abbastanza per permettermi di aprire i cassetti. Apro quello delle mutande, mi volto per afferrarne una manciata e, senza troppe cerimonie, le lascio cadere dentro. Tuttavia, una volta rivolto nuovamente lo sguardo verso il letto, la mia attenzione è attirata da un particolare: i due comodini, identici, siamesi, simmetricamente posti ai lati del letto. Entrambi spogli, quasi scarni: sul mio è riposta una lampada di sale, mentre su quello della mia ragazza c'è una fotografia incorniciata che la ritrae insieme a un'amica di vecchia data, che ormai da anni vive in Norvegia. Oltre a questi due oggetti, su ciascun comodino sono riposti i caricabatterie dei nostri cellulari, con i fili che pendono mollemente.
Fu proprio l'immagine di quei fili a destare in me un pensiero curioso e, oserei dire, vagamente distopico. Mi parve quasi che quei caricabatterie non fossero altro che dispositivi per ricaricare non tanto i cellulari, quanto gli esseri umani, allacciati al letto come fossero macchine, pronte a ricaricare il corpo durante il riposo notturno. Sorrisi a quell’immagine surreale e la mia fantasia si spinse oltre, immaginando che, ad assistere a quella scena, vi fosse l’androide Upsilon HR 204, inviato in missione per studiare usi e costumi degli esseri umani. Nella mia mente, lo sentivo comunicare alla base: "Upsilon HR 204 alla base, confermo osservazione umanoidi in fase di ricarica. Utilizzo di antica porta USB. Inserimento della porta USB non ancora confermato, ipotesi di inserimento nell’ano durante ore di oscurità."
Quel pensiero bizzarro, intriso di un sottile umorismo, mi accompagnò mentre riprendevo il mio dovere, immerso in quel quieto e vagamente irreale inizio di giornata.
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Ho tantissime cose accumulate nella mia testolina e non so come aprire questo vaso di Pandora. In effetti ho accumulato svariate settimane di pensieri. Mi vengono alla mente i vecchi tempi in cui scrivevo a dismisura e non sapevo mai come iniziare, davanti al vuoto. Esattamente come in un cantiere in cui hai l'idea di come dev'essere un palazzo ma non hai la minima idea di come buttare giù le fondamenta.
Beh, posso cominciare dal semplice fatto che tra le svariate persone che ho conosciuto negli ultimi anni (soprattutto da ottobre a questa parte) e che sto continuando a conoscere ho una mezza idea dell'attenzione media che si ha in questi anni, soprattutto tra i giovani. Probabilmente sarò una delle poche persone a leggere e questo mi va bene, mi ricorda i tempi in cui scrivevo per me stesso e preparavo il libro. Diciamo che le mie abilità linguistiche e la mia capacità di scrittura si sono affievolite di molto da allora. Chiedo scusa in anticipo a me stesso quando rileggerò tutto questo dopo averlo pubblicato (già, leggerò dopo aver pubblicato, saltando la fase di rilettura, come ad improvvisazione jazz).
Diciamo che il dubbio che mi è sorto un attimo fa è se scrivere tante cose brevi per essere letto in modo da avere dei confronti o fare il prolisso con me stesso e non essere considerato. Diciamo che attualmente la seconda opzione è quella che più mi attrae.
Vorrei iniziare lamentandomi delle persone che, in media, hanno la soglia dell'attenzione sempre più bassa. Non dico solo in musica, ci mancherebbe, ma anche per quanto riguarda uno scritto (che sia un post, un articolo di giornale o un libro). Per non parlare poi di tutto quello che riguarda il cinema e la musica. Purtroppo ho conosciuto persone che non riescono a guardare un film leggero dato che non riescono a mantenere la concentrazione solo per capire l'impostazione iniziale di trama e personaggi. Per non parlare della musica, un argomento a me caro. Non sto dicendo che tutto il mondo debba andare a sentire una sinfonia di Mahler (dalla durata media di un'ora) a settimana, né che debbano periodicamente andare a vedere concerti da 4 ore alla Liszt. Oramai il mondo funziona in modo diverso, le mode, gli usi e i costumi sono altri. Però un po' mi dispiace che la soglia dell'attenzione media si sia abbassata così drasticamente (e sto parlando della media, non di tutti). Questa parte iniziale dello scritto nasce dalle mie ultime esperienze dell'anno con mia madre. Mia madre, la mia prima "fan", che non riesce più a mantenere pazienza e concentrazione davanti alla musica che faccio e o che le "propino". Le basta solo un minuto scarso di musica (dalla durata di 15/20 minuti) per decretare che un brano che ha fatto la storia sia "bello" o "brutto". Mi sembra quasi lo stesso modus operandi che si usa pure tra noi giovani. Basta solo qualche post da nemmeno 100 caratteri per capire se una persona abbia qualcosa di stimolante da dire. Oppure qualche foto su Instagram per capire se una persona sia esteticamente bella oppure che non valga neppure la pena dialogarci nemmeno una volta.
Ormai siamo nei tempi in cui l'economia del tempo regna sovrana, come se nessuno avesse tempo per nulla, nonostante perdiamo il nostro tempo su stronzate inutili alle quali siamo abituati e sulle quali basterebbe un minimo di riflessione per renderci conto che è tempo usato inutilmente. Cose che non ci rendono più belli o più brutti, più ricchi o più poveri, più famosi o più sconosciuti e isolati, più intelligenti o più stupidi. Questo lo dico per conoscenza delle persone che mi stanno maggiormente intorno e che sono mie coetanee. Ma tutto ciò si può estendere perfino ai genitori come mio padre. Quella persona che, alla soglia dei cinquant'anni, si piazza davanti ai video di Facebook, Instagram e TikTok e smette di sentire ciò che gli stai dicendo durante una conversazione. Non importa se gli parli di cose importanti o dei tuoi sogni e speranze di gioventù. Non sono qui per piangere per questa cazzata, ma tutto ciò è di una tristezza e di uno sconforto allucinanti. Cioè, bello sapere che tuo padre ha trovato un video divertente su TikTok e tua madre ha ricevuto l'ennesima richiesta di amicizia sentendosi sempre più benvoluta e circondata da persone (nonostante esse siano online e che nella realtà a stento ti salutino per strada). Tutto ciò sta perdendo il controllo e sta diventando follia pura (tra mamme che non tengono d'occhio i propri pargoli per le notifiche social o che, addirittura, usano proprio loro per acchiappare qualche like e commento per una foto col bimbo). Non vorrei risultare drastico ma tutto ciò è preoccupante. La "poetica" del like sta prendendo il sopravvento fin troppo. E io, ora che sto scrivendo, mi sento noioso come oratore, come scrittore e come musicista, in quanto le suddette persone non ti prendono in considerazione. Ti senti noioso per la mancanza di considerazione, perché non rispecchi la moda, i gusti, perché sei troppo prolisso e la gente non ha tempo, perché sei troppo lungo per la concentrazione massima che riescono a mantenere in una situazione. Ho visto persone spaventarsi per una cosa della lunghezza che sto partorendo, di getto, in questo momento.
Il mio quesito è: da quando è così? Da quando le persone istruite hanno la stessa coscienza, cultura e capacità di concentrazione equivalente ad una specie di servitù della gleba? Da quando siamo regrediti culturalmente (a livello di massa) ad una sottospecie di Neo-Medioevo? Tutti che ci vantiamo della tecnologia del nostro nuovo iPhone e compagnia bella. Ma, effettivamente, quanto ne capiamo noi? Tutti che ci vantiamo di sviluppo culturale, tecnologico e scientifico. Ma, in fin dei conti, a me sembra solo uno sviluppo che detiene una cerchia ristretta di persone che crea questo famigerato progresso. Un élite di ricercatori e studiosi che crea tutto questo "benessere" per la massa. Lungi da me essere un pessimista catastrofico, il progresso medico, scientifico e tecnologico è stato ottimo. Anche il progresso culturale sull'accettazione del prossimo e sulle parità dei diritti ha fatto enormi progressi nell'ultimo secolo. Però a quale prezzo? Vedo tante persone lamentarsi da sempre del divario tra ricchi e poveri. E io ci vedo anche un accesso più immediato alla cultura che ormai non viene colta a dovere. Che sia cultura storica, artistica o politica e via dicendo. Non riesco proprio a concepire come un maggior accesso alla cultura abbia potuto, in certi ambiti, fare più danni rispetto a quando non era presente. Perché siamo in una struttura in cui l'accesso all'istruzione e ai vari tipi di cultura è più immediato e facile mentre la massa sembra regredire in qualche modo?
Tutto questo (che mi portavo dietro da qualche anno a questo parte) sta parzialmente uscendo fuori. E sta uscendo fuori alla fatidica domanda: "Cosa vuoi fare da grande? Cosa farai dopo la magistrale?" Ebbene, non lo so assolutamente ormai. Personalmente mi trovo in un'epoca musicale (che è quello che mi concerne) che non regge un'esecuzione della Sonata di Liszt dalla durata di mezz'ora (nonostante poi ci sia un'altra ora di concerto davanti). Poi, le cover pop vanno benissimo (se non superano la mezz'ora), anzi sei un fenomeno. Per la classica ormai vivono i grandi classici alla Strauss a Capodanno e "Per Elisa" di Beethoven. Ormai anche questo ambito è rimasto per pochi (di solito studenti di musica, maestri, pensionati e qualche estimatore raro rimasto). Ma qui il mio dubbio esistenziale ( e qui entro nella mia sfera personale): per cosa suono? Cos'ho da condividere con un pubblico che, per la maggior parte, viene a vedermi per fare bella presenza? Per far vedere che è acculturato e ha buon gusto ascoltando la buona musica classica. C'è da dire che sempre più spesso mi capita di vedere persone che guardano le notifiche del telefono durante i concerti. E io allora, per cosa porto avanti questa grande arte ai posteri? Potrei lasciar perdere come fanno molte persone? La musica di Mozart, Beethoven, Chopin (e più chi ne ha più ne metta) non è come come un Leonardo, un Caravaggio o un Monet. Non durano nel tempo come l'arte visiva o altri tipi di arte. Per rendere vivi quei pallini su carta bisogna suonarli in concerto, inciderli e divulgarli. Il paradosso più grande viene qui: sempre più insegnanti di musica e sempre più persone che studiano la musica abbandonandola perché non c'è nessun tipo di garanzia per il mercato odierno.
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“ Immaginatevi un vasto cortile, di un duecento passi di lunghezza e centocinquanta circa di larghezza, tutto recinto all'intorno, in forma di esagono irregolare, da un'alta palizzata, cioè da uno steccato di alti pali, profondamente piantati ritti nel suolo, saldamente appoggiati l'uno all'altro coi fianchi, rafforzati da sbarre trasverse e aguzzati in cima: ecco la cinta esterna del reclusorio. In uno dei lati della cinta è incastrato un robusto portone, sempre chiuso, sempre sorvegliato giorno e notte dalle sentinelle; lo si apriva a richiesta, per mandarci fuori al lavoro. Di là da questo portone c'era un luminoso, libero mondo e vivevano degli uomini come tutti. Ma da questa parte del recinto ci si immaginava quel mondo come una qualche impossibile fiaba. Qui c'era un particolare mondo a sé, che non rassomigliava a nessun altro; qui c'erano delle leggi particolari, a sé, fogge di vestire a sé, usi e costumi a sé, e una casa morta, pur essendo viva, una vita come in nessun altro luogo, e uomini speciali. Ed ecco, è appunto questo speciale cantuccio che io mi accingo a descrivere.
Appena entrate nel recinto, vedete lì dentro alcune costruzioni. Dai due lati del largo cortile interno si stendono due lunghi baraccamenti di legno a un piano. Sono le camerate. Qui vivono i detenuti, distribuiti per categorie. Poi, in fondo al recinto, un'altra baracca consimile: è la cucina, divisa in due corpi; più oltre ancora una costruzione dove, sotto un sol tetto, sono allogate le cantine, i magazzini, le rimesse. Il mezzo del cortile è vuoto e costituisce uno spiazzo piano, abbastanza vasto. Qui si schierano i reclusi, si fanno la verifica e l'appello al mattino, a mezzogiorno e a sera, e talora anche più volte durante il giorno, secondo la diffidenza delle guardie e la loro capacità di contare rapidamente. All'interno, tra le costruzioni e lo steccato, rimane ancora uno spazio abbastanza grande. Qui, dietro le costruzioni, taluni dei reclusi, più insocievoli e di carattere più tetro, amano camminare nelle ore libere dal lavoro, sottratti a tutti gli sguardi, e pensare a loro agio. Incontrandomi con essi durante queste passeggiate, mi piaceva osservare le loro facce arcigne, marchiate, e indovinare a che cosa pensassero. C'era un deportato la cui occupazione preferita, nelle ore libere, era contare i pali. Ce n'erano millecinquecento e per lui erano tutti contati e numerati. Ogni palo rappresentava per lui un giorno; ogni giorno egli conteggiava un palo di più e in tal modo, dal numero dei pali che gli rimanevano da contare, poteva vedere intuitivamente quanti giorni ancora gli restasse da passare nel reclusorio fino al termine dei lavori forzati. Era sinceramente lieto, quando arrivava alla fine di un lato dell'esagono. Gli toccava attendere ancora molti anni; ma nel reclusorio c'era il tempo di imparare la pazienza. Io vidi una volta come si congedò dai compagni un detenuto che aveva trascorso in galera venti anni e finalmente usciva in libertà. C'erano di quelli che ricordavano come egli fosse entrato nel reclusorio la prima volta, giovane, spensierato, senza pensare né al suo delitto, né alla sua punizione. Usciva vecchio canuto, con un viso arcigno e triste. In silenzio fece il giro di tutte le nostre sei camerate. Entrando in ciascuna di esse, pregava dinanzi all'immagine e poi si inchinava ai compagni profondamente, fino a terra, chiedendo che lo si ricordasse senza malanimo. Rammento pure come un giorno, verso sera, un detenuto, prima agiato contadino siberiano, fu chiamato al portone. Sei mesi avanti aveva ricevuto notizia che la sua ex-moglie aveva ripreso marito, e se ne era fortemente rattristato. Ora lei stessa era venuta in vettura al reclusorio, lo aveva fatto chiamare e gli aveva messo in mano un obolo. Essi parlarono un paio di minuti, piansero un poco tutti e due e si salutarono per sempre. Io vidi il suo volto, mentre tornava nella camerata... Sì, in questo luogo si poteva imparare la pazienza. “
Fëdor Dostoevskij, Memorie dalla casa dei morti [Testo completo]
NOTA: Questo romanzo, pubblicato negli anni 1861-62 a puntate sulla rivista Vremja, pur non essendo un resoconto è fedelmente autobiografico. Nel 1849 l'autore era stato condannato a morte per motivi politici e, dopo un'orribile messa in scena che tra l'altro peggiorò la sua epilessia, la sentenza di morte fu commutata in condanna ai lavori forzati a tempo indefinito; ottenne la liberazione per buona condotta nel 1854 ma le sue condizioni di salute erano ormai irrimediabilmente compromesse.
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"The Spezziner" è la nuova rivista immaginaria che non esiste.
Il progetto, ideato dall’Associazione Culturale Studio18 con il supporto e la collaborazione di noti artisti, intende evidenziare e valorizzare, con le illustrazioni delle proprie copertine, gli aspetti che contraddistinguono, in modo inequivocabile, usi e costumi della città; luoghi, eventi, antiche leggende, le abitudini cittadine, i monumenti e i tragitti, l’introspezione e la socialità di persone e personaggi iconici che, con la loro storia, l’immaginazione e l’innata spezzinità, hanno fatto conoscere a livello nazionale ed internazionale la città della Spezia. Le copertine, con uscita settimanale, sono il frutto dell’interpretazione creativa di artisti, pittori e giovani illustratori, già affermati per l’importante contributo artistico fornito alla città.
Grazie per avermi offerto questa importante opportunità.
La copertina da me realizzata è "Inquietudine perpetua".
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Libertà
Il concetto di LIBERTA' moderno si plasma in Occidente, dal Cristianesimo: la Buon Novella è che ci si può Salvare davvero ma solo uno a uno, non come "popolo ebraico"; non basta neppure la Sottomissione, ciò che salva uno e non l'altro non è il Karma o il Fato ma la Volontà INDIVIDUALE. Dopo questo abbrivio il concetto viene ulteriormente forgiato, nutre e si nutre, sempre in Occidente, con lo sviluppo dell'analisi Razionale Scientifica in PLURIME direzioni (Libertà di Pensiero).
Facciamo un esempio: Libertà in Occidente è, per un feticista dei tacchi alti, trovare una esibizionista di scarpe e ingaggiarsi reciprocamente in uno scambio VOLONTARIO PRIVATO mutualmente soddisfacente; la Comunità di cui fanno parte rispetta la loro libertà, non perché sian tutti feticisti omologati uguali o perché il feticismo sia considerato "buono", ma per RISPETTO DELLE SACRE SCELTE INDIVIDUALI.
Questo nella misura in cui il singolo non tenti di esibire o peggio imporre il suo gusto a chi non ne voglia sapere ("leave me alone" bidirezionale). Il pre-requisito per la libertà di tutti e ognuno infatti è il rispetto formale e sostanziale di usi costumi e tradizioni della Comunità di cui si fa parte, se Occidentale cioè avanzata: è il rispetto ai genitori e agli Anziani, è ciò che ci plasma, che ci ha portato dove siamo, è il punto di partenza. Tutto il resto è fatto privato nostro, nessuno lo può sindacare. Cade quindi l'ipocrisia bigotta: non si finge, ognuno sa che ognuno si fa i fatti propri e nel contempo rispetta la tradizione gli usi e costumi generali, le regole condivise, perché gli conviene, gli han portato frutti, benessere, opportunità.
Prima il nazifasciocomunismo socialista, oggi il wokismo affirmative social benecomunista han tentato e stanno indefessamente tentando di svellere tutto questo. Non a caso il primo bersaglio è la RADICE DI TUTTO cioè il Cristianesimo e la sua realizzazione pratica cioè la Civiltà Occidentale.
Secondo tali aggressori, la libertà individuale come sopra descritta è una illusione o peggio, è un inganno per giustificare i privilegi di pochi. La vera libertà si può perseguire solo in modo collettivo.
In tal modo, sentili bene, anche chi ha il potere sarà obbligato a esercitare il suo ruolo in conformità al "sistema" (regole e valori) che vale indistintamente uguale identico per tutti, quindi nemmen loro saranno individualmente perniciosamente "liberi" fuori da quanto concesso a tutti. Peccato che in cambio chi comanda ricavi privilegi e benessere, si faccia ELITE assieme a chi li serve e compiace: quindi si rimpiomba nell'inganno del PRIVILEGIO che si voleva eradicare - ma questo è solo uno sfortunato dettaglio.
Nel benecomunsimo woke, bigotti ipocriti son tenuti ad esserlo tutti: tutti DEVONO Credere nel medesimo set di valori e regole, la devianza è malattia mentale o crimine. Mal comune, mezzo gaudio: la massa gode tantissmo a veder puniti "i troppo furbi".
Il prerequisito del benecomunismo wokista è SPOGLIARSI DI TUTTO ("non avrai nulla, nemmeno la privacy perché tutto va esibito, e sarai felice"), consegnandolo alla "società" qualunque cosa essa sia. Ricorda l'ingresso ai campi di concentramento: l'individuo consegna tutto quello che gli resta, anche i capelli e i denti d'oro ed entra nudo, FINALMENTE UGUALE col suo barcode stampato sul braccio, per realizzarsi collettivamente "nel lavoro che rende liberi".
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Se non fosse per tutte le regole, le consuetudini, gli usi, i costumi, i benpensanti e i numeri, (quei maledetti), mi lascerei portare a spasso dalla pelle, da quell' extrasistole che precede il tuo nome sulla mia bocca, il tuo arrivo, la tua voce. Mi inoltrerei nei luoghi inaccessibili del cuore, ben oltre gli orizzonti, là dove avevo giurato che non sarei mai più tornata. Lascerei perdere i giornali, gli orologi, gli appuntamenti; aspetterei l'alba di fronte al mare, al tuo fianco, ad est, vicino al faro, dove la terra incontra le mie acque chiare, dove il cielo sembra più vicino.
.🦋.
🔸Carla Casolari
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