#una sola riga
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Poi, disegnando infiniti sul braccio, vai coccolando
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L'ho trovata, ne ho avuto paura e l'ho lasciata...
☕☕☕☀️
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Ho finalmente scoperto l’unico, vero utile di AlmaLaurea: ti prepara un template già bello e fatto del CV così ti risparmia lo strazio di scaricare quelli preimpostati da modificare su word in cui sballa tutto il layout e devi invocare pure Odino per riuscire a completare una sola riga. Sono commossa e immensamente sollevata da tale scoperta.
#In caso non lo sapeste#a me ha cambiato le sorti di due pomeriggi#lo avessi saputo prima mi sarei risparmiata ulteriore fatica#prego vi voglio bene a mia volta
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Schiava senza un padrone
È pericolosissimo disilludere i sogni di qualcuno che ama. Puoi fargli molto male. Puoi distruggerlo. Non t’ho cercato io: m’hai fatta innamorare pian piano. Ero totalmente concentrata sul mio percorso di carriera appena agli inizi: brava, diligente, disciplinata e ligia. Irreprensibile e affidabile. Senza alcuno sbalzo emotivo, eppure in uno studio di avvocati si viene quotidianamente a contatto con casi di vario tipo: esilaranti o noiosi, catastali o drammatici.
Professionale e imperturbabile. Sempre. Ma tu ti sei insinuato nella mia mente e m’hai presa, forse in un momento in cui sentivo la lontananza da casa, in un periodo in cui avevo proprio bisogno di coccole e dolcezza. Il bersaglio ideale. M’hai vezzeggiata e riempita di frasi al miele di castagno. Mi sono aperta e tu m’hai tolto ogni difesa possibile. Lentamente, in modo quasi omeopatico, giorno dopo giorno hai saputo instillare in me pensieri di obbedienza e un forte desiderio di dipendenza dalle tue labbra e dal tuo sorriso.
Una sera mi ricoprivi di cure, piccole attenzioni e mi gustavi come fossi una pietanza delicata e prelibata; la sera appresso mi trattavi in modo sbrigativo, spiccio e rude. E la cosa mi piaceva sempre di più. La varietà infatti è il vero antidoto contro la noia, tra due che si amano e si vogliono. Ci stavo credendo. Toccavo il cielo con un dito, quando varcavi la soglia di casa mia. Ho imparato a prostrarmi a te, a mettermi a tua completa disposizione ogni sera.
E ormai durante tutto il giorno eri diventato tu il mio sottofondo d’amore. Un bisogno assoluto di te mi pervadeva. Ho ancora necessità delle tue cure, della tua medicina proibita, incomprensibile a chi non ti ama e non l’ha mai provata. A chi non sa godere di ogni colpo di bacchetta, quasi fino ad avere un orgasmo spontaneo. Come regolarmente mi succedeva prima ancora che tu mi penetrassi e mi onorassi dei tuoi getti di seme adorati.
E allora oggi eccomi qui: m’hai lasciata. Sono emotivamente svuotata. Adesso capisco che sei davvero crudele. E vigliacco, pusillanime, scorretto. M’hai prima plasmata e modellata a tuo piacere; quindi, dopo sei mesi soltanto mi hai trattata come fossi un giocattolo, una bambola. Infine scartata, senza tanti riguardi. Gettata nell’indifferenziata: nel senso che ormai ti sono indifferente. Totalmente. Se mi incontri, mi fai un sorriso di cortesia e continui a parlare con i tuoi amici o con la tua cazzo di moglie frustrata.
Una stronza senza cuore che ti comanda a bacchetta e da cui dipendi anche economicamente. Ti servivo solo come sfogo temporaneo. E lei lo sapeva. Poi, quando s’è stufata ha dato una tirata alle briglie. Gode, nel trattarti come un burattino e nel far soffrire l’ignara scema malcapitata di turno. Troia frigida. Ti sei rimesso in riga subito. A sera, da sola in casa adesso mi lego e aspetto un padrone che so che non verrà. Respiro l’aria di sottomissione di cui è ancora impregnato il mio miniappartamento.
Poi, di domenica pomeriggio, se sento forte il morso della nostalgia, vado nel capanno abbandonato dove ultimamente mi sottoponevi a punizioni e trattamenti sempre più sofisticati. Accarezzo il tavolaccio, piango un po’ come una scema e torno a casa. Annuso la maglia che hai lasciato qui e che non hai neppure il coraggio di venire a prendere. Mi spoglio e mi do piacere da sola. Bravo, complimenti.
RDA
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Ho passato la maggior parte della mia vita di giovane adulta a scuola e poi ancora all'università.
Ci ho passato così tanti giorni lì dentro ad apprendere e così tante ore a casa sui libri a studiare che non riesco neanche a contarle.
Ed ho imparato tante cose sai, mi hanno insegnato l'italiano, la matematica, la geografia, la storia.
Mi hanno insegnato a usare riga e squadre, i pennelli, il flauto, il goniometro, la calcolatrice, il dizionario.
Da piu grande ho imparato qualcosa di più difficile e mi hanno insegnato i pensieri dei grandi filosofi, le equazioni di Maxwell, i poemi degli artisti, il calcolo degli integrali.
E poi indovina? All'università altro ancora e così mi hanno parlato degli stadi di Piaget, la teoria della Gestalt, il pensiero di Rousseau, la teoria ecologica di Bronfenbrenner e interi manuali di altre cose.
Davvero eh, ci ho passato così tanto tempo ad imparare che credevo di essere quasi pronta, ma mi sono accorta che nessuno mi ha mai insegnato la cosa più importante.
Nessuno mi ha mai insegnato a vivere senza averti accanto. E io non so come si fa.
Come si fa, papà?
Per ora so solamente che mi manchi da fermare il respiro e da trasformare le lacrime in scroscianti ruscelli.
Per ora non so altro e credo che dovrò imparare da sola, ma probabilmente non mi basterà una vita per farlo.
Ce la farò papà?
Non penso sai, mi manchi troppo.
Non mi abituerò mai alla tua assenza.
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Cara me e cari voi,
Questo è il mio primo post in assoluto e fin da ora mi scuso con tutti perchè andrò a briglia completamente sciolta! Ho pensato che sarebbe stato bello per me e utile scrivere qualche riga ogni volta che ne sento il bisogno, magari trovando chi mi risponde senza appesantire le persone che fanno parte della mia vita.
Mi capita di voler condividere qualche pensiero, qualche sentimento, frustrazione, commento piccato o eccitazione per qualcosa che leggo o faccio per poi finire per cancellare ciò che stavo scrivendo o non dire quello a cui stavo pensando per non pesare sugli altri. Perchè penso e penso sempre troppo e troppe cose, tra tutto ho sempre paura di dire o fare qualcosa che venga frainteso e che ferisca qualcuno, vi confesso che è una cosa che mi capita spesso specialmente ultimamente.
Mi farò troppe paranoie, troppe menate (si può usare il torpiloquio su questo sito? 🤣) ma è qualcosa che non riesco in nessun modo ad evitare e piuttosto che esplodere con le persone che amo scriverò qualcosa qui.
Parlando un po' di me: mi chiamano Luna, ho 35 anni, per ora lavoro in un bar (ma non è il lavoro dei miei sogni) e vivo nel nord Italia in un paesino di campagna.
Amo molto leggere libri, i videogames, dungeons and dragons (ma non ho nessuno con cui giocare) l'arte e per quanto io sia negata disegnare.
Se volete scoprire quali generi preferisco di entrambi, commentate qui e dissiperò le vostre curiosità 😆
Ho troppi troppi hobbies manuali come creare con resina, gesso, gomma siliconica, pasticciare con programmi di grafica come gimp photoshop procreate, amo l'uncinetto e ovviamente creare qualcosa di concreto (tazze, tshirt, segnalibri ecc...). Mi piace vedere un mio progetto che piano piano si realizza, mi da un senso di completezza e appagamento... se poi è anche apprezzato mi sento come una bimba la mattina di Natale!
Che altro dire... non sempre sono una persona estroversa, sempre per questa mia sorta di ansia sociale, ma sono una persona molto calorosa e senza mezze misure. Mi scaldo ed emoziono moltissimo per le cose che amo davvero!
Anche per questo non ho molti amici e come molti di loro mi dicono ogni tanto... io vado conosciuta e capita. Ed essendo loro tutti lontani per vari motivi ci sono delle volte in cui mi sento molto sola e ne sono completamente sopraffatta.
Infine tra le cose che non amo particolarmente ci sono le bugie (la fiducia per me sta alla base di qualunque cosa e preferisco la cruda verità sempre), la falsità e gli insetti 😅
Nella speranza di essere costante e di conoscere persone con le mie stesse passioni, vi abbraccio
Luna.
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"Jannacci "accademico" (Oh yeh)
Quelli che si incazzano se non li inviti
Quelli che invitano solo gli amici
Quelli che se inviti Tizio o Caio, loro non vengono
Quelli che non ti invitano perché sei uno stronzo
Quelli che si autoinvitano
Quelli che appena diventati ricercatori iniziano a rompere i coglioni per diventare associati, e appena diventati associati iniziano a rompere i coglioni per diventare ordinari
Quelli che sino a quando non sei ordinario non conti un cazzo
Quelli che non vogliono diventare ricercatore o professore per poter studiare, ma studiano per poter diventare ricercatore o professore
Quelli che appena diventano ricercatori o professori smettono di studiare
Quelli che non hanno niente da dire, eppure scrivono lo stesso
Quelli che scrivono libri pur non avendo ancora risolto tutti i loro problemi con l'italiano
Quelli che invece di scrivere un libro perché hanno qualcosa da dire, cercano qualcosa da dire per poter pubblicare un libro
Quelli che non leggono il tedesco perché è difficile
Quelli che non citano i morti, perché non possono entrare nelle commissioni di concorso
Quelli che citano una volta sola una sola riga del tuo libro, scelta a caso, solo per poter mettere il titolo in bibliografia e il nome nell'indice
Quelli che riempiono le note di "Su questo problema cfr. x, y, z,…n", e pensano in questo modo di "aver tenuto conto della letteratura critica di riferimento"
Quelli che non ti citano perché sei uno stronzo
Quelli che si incazzano se non li citi
Quelli che scrivono solo in inglese
Quelli che leggono solo letteratura in inglese
Quelli che citano solo letteratura in inglese
Quelli che scoprono l'acqua calda perché hanno letto solo letteratura in inglese
Quelli che conoscono solo l'inglese, mentre tu leggi in italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo, portoghese e catalano; e però l'ignorante sei tu, perché non conosci l'inglese così bene come loro.
Quelli che lavorano, in Italia, nel Department of Philosophy (hai visto mai che se scrivi "Dipartimento di filosofia" c'è qualche collega straniero che ha bisogno della traduzione?)
Quelli che chi non scrive solo in inglese è un coglione
Quelli che, pur essendo italiani, dicono che in Italia facciamo tutti schifo
Quelli che impaginano largo per ingrassare il libro
Quelli che stanno a casa
Quelli che si dimenticano di venire
Quelli che mandano altri a far lezione al posto loro
Quelli che vedono per la prima volta le tesi dei loro studenti il giorno della laurea
Quelli che all'esame non bocciano nessuno, perché se no poi tornano
Quelli che hanno solo mezza giornata per ottanta esami
Quelli che all’esame fanno solo l’appello, e rimandano le interrogazioni a due settimane dopo
Quelli che l'esame dura non più due minuti: tanto se do trenta a tutti nessuno protesta
Quelli che chi se ne frega tanto nessuno controlla
Quelli che tolte le citazioni il loro libro fa venti pagine
Quelli che "spacchettano" i loro libri per moltiplicare i titoli e allungare il curriculum
Quelli che copiano
Quelli che "copia e incolla"
Quelli che copiano, ma “da sé stessi”
Quelli che copiano, ma si può fare, perché il libro è divulgativo
Quelli che lo stesso libro o lo stesso saggio in italiano e in inglese diventano (miracolo!) due libri e due saggi
Quelli che scelgono di studiare un argomento di cui, giustamente, non è mai fregato un cazzo a nessuno, nemmeno a loro; così si risparmiano la fatica di leggere la bibliografia (che non c'è) e diventano con poca spesa i "massimi esperti mondiali nel loro settore"
Quelli che l'Università non sarebbe poi così male, se solo non ci fossero gli studenti
Quelli che continuano a ripetere, da duemila anni a oggi, che gli studenti sono sempre più cretini e sempre più ignoranti.
Quelli che hanno il diritto di valutare gli altri, ma nessuno ha il diritto di valutare loro.
Quelli che hanno concepito un'idea da piccoli e non fanno che ripeterla per tutta la vita
Quelli che credono di aver diritto a un posto in università perché io non sarò un granché, ma non sono il peggiore
Quelli che non pubblicano niente da anni, e se ne vantano
Quelli che in America basta un articolo importante, ma loro non ne hanno nemmeno uno
Quelli che non sanno che cosa studiare, e non si chiedono perché non lo sanno
Quelli che hanno l'ansia della pagina bianca
Quelli che chi scrive tanto scrive solo cazzate
Quelli che promuovono allievi incapaci e poi si lamentano se tu non li aiuti.
Quelli che se critichi le loro tesi "ce l'hai con loro"
Quelli che non gliene importa un fico secco di quello che studiano
Quelli che i "prodotti della ricerca" sono solo una dolorosa necessità per avere un posto
Quelli che hai recensito il mio libro per stroncarmi la carriera
Quelli che ma non puoi farti i cazzi tuoi?
Quelli che vivi e lascia vivere
Quelli che chi ti manda?
Quelli che ma chi c'è dietro?
Quelli che in pubblico parlano bene di tutti e poi in privato, peste e corna
Quelli che non leggono più niente
Quelli che non scrivono più niente (tanto lo stipendio arriva lo stesso)
Quelli che non hanno mai tempo, ma nessuno (nemmeno loro) ha mai capito che cavolo fanno tutto il giorno
Quelli che sono diventati professori presentando il "preprint" di un libro mai pubblicato
Quelli che sono diventati professori senza mai avere scritto un libro
Quelli che si lamentano perché, "con tutto il lavoro che fanno", guadagnano poco
Quelli che fare il docente universitario non è un granché, ma è pur sempre meglio che lavorare
Quelli che i concorsi sono tutti corrotti… ma loro non potrebbero vincere mai neppure quelli regolari.
Quelli che pretendono che i loro nemici siano anche i tuoi nemici
Quelli che l'Università fa schifo, ma farebbero carte false per poter essere assunti
Quelli che non vedono l'ora di andare in pensione, ma poi resistono impavidi sino all'ultimo giorno legale, e spesso continuano a rompere i coglioni anche dopo
Quelli che magnificano la correttezza delle università anglosassoni, ma se si trovano in Italia si comportano come i peggiori baroni vecchia maniera
Quelli che se non hai passato un po' di tempo all'estero, non sei nessuno; e magari, quanto a loro, la città più esotica che hanno visto è Lugano
Quelli e quelle che protestano indignati contro le discriminazioni di genere, e poi sono i primi e le prime a dire che questa o quella ha fatto carriera solo perché moglie o amante di qualcuno
Quelli che hanno riportato in Italia dei "cervelli" che stavano benissimo dov'erano
Quelli che a trent'anni non vedono l'ora di fuggire dall'Italia, perché qui è tutto uno schifo, e poi a quaranta o cinquanta non vedono l'ora di ritornare, nonostante che a sentir loro l'Italia continui a fare schifo come e più di prima
Quelli…quelli che…quelli che ma tu sei proprio uno stronzo!"
Franco Trabattoni (tra l'altro uno dei più grandi specialisti in Italia di Platone)
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Ci sono questo ragazzo
e questa ragazza
mi sono seduti davanti
qualcosa di più di vent’anni
l’uno accanto all’altra
il treno ci porta da sud a nord
e lei ha capelli biondi, corti
e lui porta occhiali pesanti, scuri.
Leggono ma non leggono due libri diversi, leggono lo stesso libro.
Il fatto però è che non sono due copie dello stesso libro.
I due ragazzi, seduti l’una accanto all’altro leggono
da una sola copia
dello stesso libro.
È lei che lo tiene in mezzo
e gira le pagine lentamente
e sono davvero sincronizzati bene
questi due ragazzi seduti davanti a me
in questo treno regionale lento
concentrati, silenziosi e sincronizzati
e molto vicini.
Ed io li guardo
non riesco a non guardarli
sono affascinato da questo loro modo intimo di leggere
da questa lettura di coppia
che non mi sembra di aver mai visto
e faccio mente locale
e in effetti, nei locali della mia mente
non trovo nulla di simile
trovo sì due ragazzini che si dividono gli auricolari
trovo sì me stesso che guardo un film
accanto a una donna
sdraiati sul mio letto
come è difficile concentrarsi
senza toccarti
baciarti
farsi.
E a un certo punto lei fa per voltare pagina
e lui le sfiora la mano
è in ritardo di qualche riga
lei si ferma, sorride impercettibile
ma io quel sorriso lo percepisco.
Pochi istanti e
lui la sfiora di nuovo
ora può andare avanti
girare pagina.
E che bella cosa che stanno facendo
questi due innamorati
perché io li immagino innamorati
mi è impossibile pensare che non lo siano
lo sono.
Guido Catalano -"Ci sono questo ragazzo e questa ragazza."
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“Sii sempre, in ogni circostanza e di fronte a tutti, un uomo libero e pur di esserlo sii pronto a pagare qualsiasi prezzo.”
Sandro Pertini
Frank Chamizo Marquez per arrivare a Paris 2024 avrà un'altra possibilità, un torneo in Turchia. Questa a Baku, in Azerbaijan, gliel'hanno fregata, grazie all'ennesima dimostrazione di come in certi sport, la meritocrazia sia una chimera, che se ne va via ogni volta che si gioca contro certe nazioni, certe federazioni, certi arbitri e via dicendo. Frank lo conosciamo tutti, è stato bronzo olimpico, due volte campione mondiale e 4 volte campione europeo, ha scalato tre categorie di peso, a Parigi potrebbe dire la sua per il massimo traguardo. Oggi era arrivato a destinazione. Invece no, dopo aver vinto per tutti e cinque i giudici, si è dovuto sorbire la recita dell'ennesimo tizio prezzolato, il Presidente di Tappeto, che ha ribaltato il verdetto e dato la vittoria all'avversario, il padrone di casa Turan Bayramov.
Finita qui? No. Perché Frank poi sgancia la bomba che arriva su la Repubblica: "Sapevo che dovevo dare il doppio, il triplo in Azerbaigian, perché lottavo a casa loro e avevano comprato tutto. Lo stesso arbitro è stato con gli azeri per tutto il torneo. Io ce l'ho fatta, ma poi è successo qualcosa che ricorda il pugilato di tanti anni fa. E allora sì, lo voglio dire, sono venuti da me offrendomi dei soldi, 300.000 dollari per perdere. Non voglio dire chi, ma è successo la mattina del peso" ha precisato Chamizo. "Li ho mandati affanculo perché non rappresento solo me stesso, ma anche l'Italia, la mia federazione, la Fijlkam Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali e l'Esercito. Non è facile rompere la mia integrità". Per chi ha buona memoria, la Iba International Boxing Association a suo tempo si beccò un ultimatum dal CIO: o si mettevano in riga e la piantavano con i verdetti che avevano reso le ultime 5 edizioni dei Giochi una parodia, o addio Olimpiadi.
"Sono ancora sconvolto. Triste, addolorato, pieno di vergogna per quello che è successo. I cinque giudici sul tappeto hanno preso la stessa decisione, riconoscendo che avevo messo a terra il ginocchio destro dell'avversario, quindi avevo vinto. Dopo un incontro in cui il mio avversario, che ho sempre battuto, per cinque minuti non ha fatto che scappare. Poi si sono inventati un challenge a tempo scaduto, che non si può fare. A questo punto il presidente di tappeto ha guardato le immagini di una sola telecamera della video review e ha stabilito che quella mossa non c'era, contraddicendo gli altri cinque giudici - ha sottolineato Chamizo - Sono così schifato che non mi sembra di parlare di sport. Se ho paura di pagare queste dichiarazioni all'ultimo torneo di qualificazione? Io vengo da Cuba, non ho paura di niente. Ora sono in un paese libero, posso dire quel che penso e quel che voglio. Non mi ferma nessuno".
Ecco io credo che non si parli di come in altri sport, non solo la lotta, ci sia qualcosa di simile da anni, anni, e nessuno fa e dice niente. Almeno fino ad oggi, fino a Frank Chamizo. Non è solo potere, soldi o altro, è anche la concezione dello sport di certi paesi che la vedono come prolungamento dell'orgoglio patrio, retaggio di certi trascorsi anche totalitaristi. E allora vale tutto, comprare arbitri, giudici, giurie, avversari. Non alcun dubbio che Frank abbia detto la verità e non ho alcun dubbio nel dire che sono molto orgoglioso di averlo a rappresentarmi e non da oggi. Questo di oggi è solo un altro tassello dentro un percorso di dignità e volontà che gli fa onore. Certo, qualcuno dovrebbe spiegarmi perché lo sport è davvero messo così male moralmente e nessuno fa nulla per metterci mano.
@ L'attimo vincente su Facebook
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Penso di essere arrivata ad un punto importante nella mia consapevolezza come persona. Per anni mi sono detta che se ci fosse stato un peccato capitale in grado di rappresentarmi, di sicuro sarebbe stata l’invidia. Mi ha consumata per tanto tempo e non mi fa onore, ma è questo quello che ho fatto: ho continuato a paragonare il mio percorso alle vite degli altri. Gli altri però non erano persone qualsiasi, sceglievo con cura il mio pubblico. Tutti coloro che erano entrati, non richiesti, avevano preso quanto potevano arraffando a piene mani e se n’erano andati appena mi ero permessa di dire “no”. Coloro che mi avevano ferita e poi lasciata senza guardarsi indietro. Continuavano ad ossessionarmi. Vedevo i nuovi rapporti che stringevano, le vittorie, i traguardi e poi mi osservavo allo specchio, sbagliata come uno scarabocchio. Potevo solo ripetermi che un giorno tutta quella bile nella pancia si sarebbe trasformata in senso di rivalsa. Come poteva- mi dicevo- essere così facile per gli altri? Tiravano una riga su quanto ero stata, il nostro legame e andavano avanti come se avessero sorpassato con la macchina la carcassa di un animale ai bordi della strada. Questo ero, la carcassa di un cuore sciocco che aveva creduto.
Perché questi pensieri? Ieri mentre ero in negozio ho visto uscire dal portone del Palazzo Comunale quello che è stato il mio primo fidanzatino ai tempi dell’asilo. Si è sposato con una ragazza del paese. Qualche anno fa si frequentava con una ragazza di Verona e non si sa perché, hanno voluto buttarmi nel loro rapporto venendomi a pescare da un ricordo del passato. “Sai, lei è stata il mio primo grande amore! Dovete diventare amiche”. Era uno dei miei momenti più fragili, con nonna sotto i ferri e il mio ex che dopo due anni di relazione a distanza aveva chiuso con me con una telefonata di appena due minuti. A pezzi, sola, avevo voglia di uscire, volevo essere una buona amica.
È stata una delle tante che ha preso, si è sfregata le mani sul mio cuore e se n’è andata quando la sua relazione è naufragata. In qualche modo dovevo essere lasciata indietro insieme a tutto il pacchetto.
Ieri ho visto lui che si sposava con un’altra e invece di provare invidia, rabbia magari, ho pensato a quanto sono fortunata ad avere incontrato il mio ragazzo. A come sarebbe stato bello anche lui vestito di verde, con gli occhi chiari emozionati.
C’ho pensato e con sollievo mi sono resa conto che forse, dopo una vita trascorsa a concentrarmi su quello che avevo perso o non avevo adesso ho imparato/sto imparando a dare importanza a cosa invece c’è ed è fondamentale.
Avrei voluto essere più brava, impararlo prima. Ma va bene così.
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La tua adorazione aveva bisogno di un dio.
Se non c’era, ne trovava uno.
Comuni ragazzoni sportivi diventarono dèi –
divinizzati dalla tua infatuazione
che sembrava progettata fin dalla nascita per un dio.
Era un cerca-dio. Un trova-dio.
Papà ti aveva puntata su Dio
quando la sua morte fece scattare il grilletto.
In quel lampo
vedesti la tua vita. Il rimbalzo ti proiettò
lungo tutta la carriera di prima della classe
con la furia
di un proiettile ad alta velocità
che non può perdere una sola libbra-piede
di energia cinetica. Gli eletti
praticamente morivano all’impatto –
troppo mortali per incassare il colpo. Erano sostanza mentale,
provvisoria, speculativa, mera aura.
Eventi alla barriera del suono lungo la tua traiettoria.
Ma dentro il tuo Kleenex zuppo di singhiozzi
e i tuoi attacchi di panico il sabato sera,
sotto i capelli pettinati ora in questo ora in quel modo,
dietro quelli che sembravano rimbalzi
e la cascata di grida in diminuendo,
non deflettevi.
Eri argento massiccio rivestito d’oro
con la punta di nichel. Traiettoria perfetta
come attraverso l’etere. Persino la cicatrice della guancia,
dove sembrava che tu avessi sfregato sul cemento,
era la riga della canna
che ti manteneva dritta sull’obiettivo.
Finché il tuo vero bersaglio
non si nascose dietro di me. Il tuo Papà,
il dio con la pistola fumante. A lungo
vago come nebbia, non seppi nemmeno
di essere stato colpito,
né che mi avevi trapassato da parte a parte –
per seppellirti finalmente nel cuore del dio.
Al mio posto, il giusto medico-stregone
forse ti avrebbe afferrata al volo a mani nude,
ti avrebbe palleggiata, per raffreddarti,
senza dio, felice, pacificata.
Io riuscii solo ad afferrare
una ciocca di capelli, il tuo anello, l’orologio, la vestaglia.
Ted Hughes, Lo sparo - da Lettere di Compleanno
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Sovente
Lasciare o esser lasciati, il dolore è lo stesso...
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Prima del funerale ricevo diversi fiori e biglietti.
Uno di questi è di una giovane coppia di vicini di casa. Sono amici. Ogni tanto abbiamo cenato insieme. S. portava fuori il loro cane, ci giocava sul ballatoio.
Il biglietto è semplice, una sola riga, e non è rivolto a me, ma direttamente a S. Come probabilmente è giusto che sia. Come se io ne fossi solo il tramite. Dice: "Ci mancherai tantissimo".
Seguono tre firme: Lory, Mario e Camillo.
Camillo è il cane.
Non so bene perché, ma è il biglietto che mi commuove più di tutti
Matteo B. Bianchi, La vita di chi resta
#la vita di chi resta#citazione libro#citazione#libro#solitudine#letteratura#vita#dolore#relazione#lutto#biglietto#condoglianze#suicidio#Matteo b bianchi
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Spiazzata. Un po’ vuota. Non capisco. Dovrei essere arrabbiata, triste, delusa, in realtà mi sento indifferente. Non riesco a leggermi. E’ un’emozione nuova, non ho mai fatto i conti con queste cose. Le emozioni, è tutta una lotta con il cervello.
E’ veramente questo essere adulti? Voglio tornare ad essere piccola, ancora protetta dal mondo esterno.
Ti amo perché sei la persona di cui mi fidavo. Ti detesto perché continuo ad amarti, nonostante faccia male da morire. Non voglio cancellare ciò che è stato, tu continui a farmi promesse, io continuo a crederci. Non so cosa pensare, in questo momento verità e bugia si sono fuse in un’unica miscela che fa a botte nei miei pensieri.
Non so che fare. Ho svuotato il mio cassetto delle lacrime, ieri sera sono scoppiata mentre ti stavo chiamando, perché i miei sentimenti sono così forti e impossibili da gestire che non riesco ad esprimerli. Pensa a te stessa.
I giorni a Bergamo ti hanno fatto solo del bene, lontano da tutto e da tutti. Ciò che hai sempre voluto, alla fine stai bene da sola. Come ti senti da sola? Indipendente? Libera? Oppure sola e basta?
Domani tornerai alla tua vita, alla tua quotidianità. Cerca di restare in piedi, non pensarci troppo, non entrare nello stato di inemotività, quello stato in cui una persona vedendoti ti domanda “che hai?” e l’unica cosa che vorresti fare sarebbe gridare o piangere; mentre tutto ciò che fai è rispondere con un semplice “niente” e finirla lì, dove non è neanche incominciata.
Bergamo ha una luce diversa quando sei triste. In un qualche modo diventa più bella, si notano tutti i suoi dettagli, non è monotona come pensavo. O forse le città sono più belle quando fuori splende il sole?
Il solito baretto, in città alta, è stato il mio posto in questi giorni. Sotto il sole, i raggi del sole che mi baciano la faccia, mentre bevo il mio solito caffè macchiato. I piccoli uccellini che ronzano intorno alle briciole sui piattini ormai vuoti, lasciati sui tavolini bianchi; io circondata da turisti, mezzi inglese e mezzi tedeschi, (forse anche un po’ ubriachi alle 10 di mattina) e dalle signore sulla ottantina, di un certo ceto, vestite anche in una certa maniera, con un cane legato al proprio braccio, che si riuniscono tutte le mattine al solito tavolino, a parlare delle loro vite e dei loro nipoti.
“E’ andato in Francia per migliorare il francese e non è più ritornato.” “Ho il nipote che non parla, ha quasi due anni, ma niente, speriamo cresca in fretta.” “Su instagram, mi hanno seguito delle donne, sai, quei profili con le donne nude, io le ho bloccate subito.”
Il loro accento mi entra dentro, non capisco se mi piaccia oppure no. Mi sembra di essere quella riga nera sulla pagina di un libro che devi rileggere tre o quattro volte perché non si capisce molto bene il significato delle parole. Vorrei sapermi leggere meglio.
Anche tua mamma al telefono ti ha sentita distante, svuotata. « Mamma non farmi piangere, sono in mezzo alla gente » con le lacrime ormai copiose sulle guance, come se in quel momento era più importante l’apparire bene.
In mezzo a queste persone felici e con in mano una tazza di caffè o una sigaretta, mi sento un pesce fuor d’acqua. Qui, seduta in un tavolino, al centro e accecato dal sole, io sono in cerca di qualcosa, forse di aiuto, da me stessa. Mi sento fuori dal mondo. Non ho voglia di restare lì, ma allo stesso tempo voglio, perché mi fa del bene.
Vorrei solo sparire, non ho più certezze. L’unica cosa che faccio è sospirare, prendere i soldi per pagare il caffè e chiamare Alice, per sentirmi ascoltata e forse per sentirmi meglio.
Ho bisogno che qualcuno si prenda cura di me, perché io non ho il coraggio di farlo.
Dove sei?
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Eveline Adelheid von Maydell (1890- 1962) pintora y artista de siluetas alemana.
Nacida en Teherán, Irán, de familia alemana. Hija del orientalista y diplomático Hermann Frank y de su esposa germano-báltica Auguste. Nació en Teherán porque su padre trabajaba en ese momento como dragomán en la embajada del Imperio Alemán en la corte persa; posteriormente la familia vivió en Beirut y Constantinopla.
En 1900 la familia se trasladó a Pernau. La casa con la colección oriental de Frank fue destruida durante la Primera Guerra Mundial.
De 1908 a 1912 estudió en las escuelas de arte de Riga, aquí con Gerhard von Rosen, y de San Petersburgo, aquí con Iwan Jakowlewitsch Bilibin.
Posteriormente fue alumna de Willy Spatz en la Academia de Arte de Düsseldorf.
Estudió dibujo en Pärnu, Estonia, en Riga, Letonia y en San Petersburgo, Rusia.
Ella era ambidiestra y recortaba con unas pequeñas tijeras.
En 1914 se casó con el entomólogo germano-báltico Guido Nikolai Georg von Maydell. La pareja vivió inicialmente en Olkusz, Polonia, donde von Maydell trabajaba como administrador de una fábrica.
En 1918, la pareja se mudó a la finca de la familia Frank en Wikoline, en el distrito de Guhrau de Silesia , y a una casa de campo en Schreiberhau.
Debido a las dificultades económicas y a la situación incierta en la Alta Silesia, en 1922 viajó sola a los Estados Unidos y trasladó su centro de actividad a Nueva York. Aquí rápidamente tuvo éxito, especialmente con siluetas de retratos. Así su marido pudo ir y encontrar trabajo en el Museo Americano de Historia Natural.
La pareja compró una propiedad en Wilton, Connecticut y construyó una casa allí. Creó importantes siluetas de retratos del presidente estadounidense Calvin Coolidge.
Después de la muerte de su marido en 1934, regresó temporalmente a Estonia en 1935 para resolver asuntos de herencia y enterrar su urna en la catedral de Tallin. Una exposición en Tallin mostró por primera vez sus obras en Estonia. Decidió quedarse en Estonia y en 1939 hizo traer los muebles, los libros y sus propias obras almacenados en Schreiberhau a Tallin. Pero luego vino la Segunda Guerra Mundial.
Mientras tanto (desde 1934) ciudadana estadounidense, abandonó Estonia poco antes de la ocupación soviética durante la evacuación de ciudadanos estadounidenses en agosto de 1940 y llegó a través del puerto ártico de Petsamo, Finlandia en el USS American Legion de regreso a Nueva York.
Continuó creando recortes de papel, aunque la demanda y el éxito ya no eran los mismos que en el período de entreguerras, y los utilizó, entre otras cosas, para diseñar programas para la Ópera Metropolitana.
En 1942 se exhibió en Milwaukee . A principios de la década de 1950 vendió su casa en Wilton y se mudó a Portugal. Tras una exitosa exposición de sus obras, consiguió montar un apartamento con estudio en un antiguo palacio de Sintra. Los últimos años de su vida estuvieron marcados por la enfermedad.
Varias de sus obras de arte se exhibieron en la Galería de Arte Corcoran en la década de 1920 y nuevamente en la década de 1940.
Murió en Sintra, Portugal.
Le hemos puesto cara.
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